Quaderno 13

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sfavoriti) e al numero dei componenti della famiglia che ci si sarebbe insediata. Perché, tranne nel caso del villaggio del Bracciante di Santa Maria di Rispescia, l’Ente Maremma non prevedeva una vita di paese o la costruzione di nuovi villaggi per i suoi assegnatari. Al contrario, scelse una forma di insediamento sparso che voleva la famiglia sul podere e questo per diverse ragioni. La prima di carattere funzionale10. Secondo gli esperti dell’epoca, vivere sul podere riduceva i tempi di percorrenza e i costi di spostamento; consentiva di sfruttare al massimo il potenziale lavorativo di tutti i componenti della famiglia e lo sviluppo «delle attività marginali in genere affidate alla massaia»11. In quest’ottica la casa non andava considerata solamente nella sua funzione abitativa ma intesa come uno «strumento essenziale per lo svolgersi del processo produttivo»12. I principi ispiratori che guidarono la mano dei progettisti si trovano in parte già espressi nel manifesto programmatico del Comitato per l’edilizia rurale economica che, sotto gli auspici del Ministero dell’Agricoltura e al motto de “il meglio è nemico del bene”, aveva già avviato una serie di studi indicando nell’alto costo dei fabbricati uno dei nodi primari da sciogliere per consentire lo sviluppo delle campagne. Il problema, avvertito in special modo sui poderi al di sotto dei dieci ettari, poteva risolversi ricorrendo a strutture moderne e, più che a nuove soluzioni standardizzate, all’utilizzo di materiale locale come il tufo o la pietra13. D’altronde erano criteri già espressi nel 1946 da Amos Edallo nel suo studio dedicato all’urbanistica rurale: razionalità d’uso, decoro e igiene per gli abitanti, il tutto mantenendo costantemente d’occhio costi e tempi di realizzazione14. I fabbricati rurali furono dunque costruiti tenendo presenti le condizioni economiche di partenza degli aspiranti assegnatari che avrebbero riscattato nell’arco di trent’anni la terra e gran parte delle opere effettuate sul fondo. Per esempio, nel progetto di trasformazione fondiaria di una zona costiera particolarmente ventosa come Pantano (Civitavecchia), venne suggerito che le case si estendessero su un “solo piano rialzato”, sia per non esporre l’abitazione al libeccio, sia perché l’ampliamento 10  R. Toman, La casa rurale nel comprensorio di riforma della Maremma tosco-laziale, s.n., Roma-Grosseto, 1958. 11  Ente Maremma, I borghi di servizio. Strutture periferiche, Roma, s.d., p. 3. 12  R. Milletti, Nuovi progetti di costruzioni rurali e tipi di insediamento, Edizioni agricole, Bologna, 1958, p. 11. 13  Fondato nel 1950, il comitato era composto da un gruppo di ingegneri e agronomi che ricoprirono incarichi vitali per la progettazione edilizia all’interno dell’Ente Maremma come Carlo Boccianti, Riccardo Medici, Roberto Milletti. Insieme a loro nomi di spicco del mondo agrario e politico come il primo presidente dell’Ente Giuseppe Medici (poi Ministro per l’Agricoltura), Rossi Doria, Olivetti, Perdisa, Ramadoro, Calzecchi Onesti, Mazzocchi Alemanni, Pallastrelli e altri. Si veda «Genio rurale», Edizioni Agricole, Bologna, (5) 1950, pp. 500 e ss. e l’allegato al n. 5 della rivista con la presentazione dei primi 3 progetti in Istituto Alcide Cervi, Biblioteca Archivio Emilio Sereni, b. 649, Case. 14  Secondo Amos Edallo, “tradire la funzione di un fabbricato rurale per il desiderio di abbondare costruttivamente o peggio per perseguire una pseudo bellezza” era da considerarsi un assurdo, perché nell’azienda rurale tutto doveva essere “dimensionato secondo un concetto unico: quello del diagramma funzionale della lavorazione, senza miseria ma anche senza sperpero”. In A. Edallo, Ruralistica. Urbanistica rurale, Hoepli, Milano, 1946, pp. 241-42. 252


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Quaderno 13 by Biblioteca Archivio Emilio Sereni - Issuu