Le voci di Malegno Marzo 1988

LATINA RENANA ASSICURAZIONI RAMI ESERCITATI:

-

-

Polizze malattia Incendio Responsabilità civile rischi diversi Furti Infortuni e rimborso spese ospedaliere Cristalli Globale fabbricati Ritiro patente Rischio globale della famiglia Polizza del cacciatore Polizza dei familiari Polizze extralavoro Responsabilità civile aziende agricole Cauzione

~

LATINA VITA . . . ASSICURAZIONI

S.p.A. Nel 2000 l'INPS non sarà in grado di elargire pensioni che permettano di mantenere inalterato il proprio tenore di vita.

Per un piano personale di previdenza è possibile scegliere ASSICURAZIONI VITA FONDO «3A».

Con questa formula l'assicurato versa premi costanti che confluiscono in uno speciale fondo di gestione.

Questo fondo, investendo nelle più sicure forme del mercato finanziario, garantisce ogni anno la rivalutazione del risparmio.

L 'Assicurato può scegliere la forma «rendita» per avere, a partire dalla scadenza del contratto, una rendita che si rivaluta ogni anno per tutta la vita oppure la forma «Capitale»: per avere alla scadenza del contratto un capitale rivalutato.

Agenzia di zona

Agenzia Generale:

GUARINONI CARLO

BOARIO TERME

Tel. 44776

Tel. (0364) 531920

Salumi tipici - Carni di casa nostra Spiedo giornaliero su commissione

BIBLIOTECA COMUNALE - MALEGNO

Le Voci di Malegno

MARZO 1988

In copertina:

Strada privata di collegamento tra via Costello e via Valarno.

PRESENTAZIONE Questo che vi trovate a sfogliare è il quinto numero de «Le voci di Malegno»: un traguardo che ci soddisfa in buona parte anche se non ci autorizza a pensare che meglio di così non sia possibile fare. Più che guardare ad una qualsiasi meta ( quel che sarà è solo in parte nelle nostre mani) ci sembra più giusto confrontarci con i nostri inizi. V aie la pena di ricordarlo: il primo fascicoletto, di una trentina di pagine, è giunto nelle nostre case nella primavera del 1985. Era un primo sforzo per ridare voce alla nostra comunità che, nonostante qualche frettoloso giudizio contrario conserva vivo il desiderio di farsi sentire, di scambiare esperienze, di entrare in sintonia con le cose di oggi ma anche con quelle di ieri.

A noi è parso di capire che ai malegnesi pesa tremendamente il pensiero che un giorno, neanche troppo lontano, possa accadere che più nessuno si ricordi di quel che eravamo e che abbiamo continuato ad essere per un tempo lunghissimo, per un lasso di tempo oggi non più ripetibile dato il ritmo rapidissimo dei cambiamenti. Ecco spiegato perché il numero precedente quasi raggiungeva le cinquanta pagine: abbiamo scoperto che raccontare il passato piace agli anziani (e questa non sarebbe poi una grande novità) ma piace anche ai giovani, agli stessi che spesso non conoscono più nulla dello stile di vita dei nonni e perfino dei padri.

E allora, se ci confrontiamo con i nostri inizi di tre anni fa, scopriamo con un po' di meraviglia e con un pizzico di orgoglio che un po' di strada l'abbiamo sicuramente fatta. E che anche le pagine e gli argomenti sono andati progressivamente aumentando.

Questo numero ospita alcuni contributi che mettono in evidenza l'importanza che avevano un tempo per la nostra comunità il mulino ad acqua e i magli; insomma, un altro capitolo di storia dopo quelli dedicati al torchio, alle «ferrarezze», al concittadino Aldo Caprani, per non citare che alcune delle ricerche che hanno dato spessore al nostro fascicolo.

Logicamente, ed è dato per scontato, non si vuol dire che le altre voci non- siano ugualmente importanti,· i gruppi e le associazioni sono il nerbo di un paese e dar loro spazio significa anche aiutarli a crescere e a diventare sempre più incisivi.

Se non fosse questa la nostra convinzione, perché mai il fascicolo che state leggendo si chiamerebbe proprio «Le voci di Malegno»?

La Commissione della Biblioteca

-3-

RICERCA IL MULINO DEL LANICO (de Gioàn dì Fòi) PREMESSA

Sebbene sia divenuto ormai uno stereotipo l'assunto che vuole che l'industrializzazione e la tecnologia moderna abbiano eclissato definitivamente la cultura materiale tradizionale, concordo con l'opinione di Roberto Leydi I che la regione lombarda, nelle sue vallate e in modo particolare nelle convalli minori, rivela lina), ai crotti dela Valchiavenna e, per restare in casa nostra, alle fucine della Val Grigna, ai tappeti di Monno e perchè no

l

Interno del mulino del Lanico: sono visibili la (<tramoggia», la (<faséra», il soppalco e la gru.

1 Roberto Leydi è uno dei coordinatori, con Bruno Pianta, della collana di ricerca etnografica promossa dalla Regione Lombaria e diffusa dalla Silvana Editoriale d'Arte, «Mondo Popolare in Lombardia». Vedi la premessa al volume «Brescia e il suo territorio».

-4-

ai ,numerosi mulini ad acqua, sparsi qua e là ed ancora funzionanti. ancora non sporadiche vitalità tradizionali. Si pensi ad esempio al Carnevale di Bagolino, ai pezzotti della Val d'Arigna (ValtelNel folklore, nelle lavorazioni artigianali, nella parlata, nella gastronomia, nelle pratiche di culto, molti aspetti della cultura popolare resistono nel tempo. Ciò significa che dentro la società moderna il processo di omologazione non è riuscito completa• mente e che sopravvivono momenti e spaccati di cultura conta• dina, «indipendenti ed autonomi», «diversi» e «alternativi» che in qualche maniera s'impongono come proposta culturale diversa a quella del consumismo dilagante con i suoi deleteri processi di deculturazione e di alienazione.

CENNI STORICI

La molitura come fatto sociale Nelle incisioni rupestri della Valcamonica e generalmente in quelle alto-italiche, non si riscontrano né raffigurazioni di mulini né di molitura, e ciò sta a significare, con assoluta certezza, che l'origine del mulino, da noi, non è preistorica.

Certamente anche fra i primitivi erano in uso dei rudimentali metodi di frantumazione delle granaglie, ma si trattava esclusivamente di lavorazioni manuali con l'utilizzo di semplici mortai in pietra e pestelli in pietra, ferro o legno 3.

Sembra che l'invenzione del mulino sia opera delle popolazioni antiche che risiedevano nelle regioni mediterranee meridionali; nella nostra penisola il mulino ad acqua era già presente all'epoca romana. In Valcamonica, la presenza della macina girevole si può datare con una certa approssimazione intorno al secondo secolo d.C., ma ]a sua capillare diffusione, con la conseguente specializzazione artigianale, avvenne soltanto nell'evo antico, e alto medioevo 4 • Inizialmente i mulini furono strumenti di privilegio e al tempo stesso di sfrutta1nento. Il feudatario era l'unico proprietario sia del mulino che del corso d'acqua. A turno e nei giorni 2

E. ANATI: Evoluzione e Stile nell'Arte rupestre camuna, Edizioni C.C.S.P. 1975.

3 G. SEBESTA, La via dei Mulini, 1977.

4 FRANCA GHITTI: La farina e i giorni, BVC. 1979.

-5-

prestabiliti le contrade del contado potevano sì accedere al mulino del signore feudale, ma pagando esosi balzelli, in denaro o in porzioni di macinato. A causa delle svantaggiose tassazioni imposte dal feudatario, fra i contadini si andarono diffondendo anche forme di molitura domestica, attraverso dei marchingegni azionati da animali da giogo. Era una prima reazione al potere monopolistico sulla macina, che sovente però veniva soggiogata brutalmente dal feudatario.

Superato il feudalesimo, con l'avvento della nuova organizzazione economica, dapprima «viciniale» e poi «comunale», la molitura s'impose prevalentemente come fatto sociale, come lavorazione artigianale collettiva, a utilizzo e controllo pubblico.

Compresa l'importanza vitale del mulino per la sopravvivenza dell'intera comunità, quale strumento di trasformazione dei prodotti agricoli in elementi basilari per la fabbricazione del cibo, la vicinia trasformò la proprietà privata della macina in pubblica, rendendo così la molitura un servizio pubblico. Dall'analisi dei numerosi statuti e regolamenti comunali e viciniali di Valcamonica, nonchè di quelli generali della Valle 5 si evince come l'attività del «mulinér» fosse dovunque annoverata tra le lavorazioni pubbliche, tra i mestieri che venivano messi all'incanto «sulla pubblica piazza, al suono della campana ed alla viva voce del banditore» 6 secondo le usanze del tempo. Il servizio veniva messo all'asta e ·assegnato in gestione al miglior offerente, il quale doveva però sottoscrivere un apposito statuto o regolamento d'esercizio. Il mulino era di proprietà della comunità e l'appaltatore veniva a trovarsi alle dipendenze della stessa, aveva il suo giusto guadagno e potesa essere controllato o rimosso in qualsiasi momento.

Questa forma di «Mulino Turnario» durò per molti secoli, praticamente fino allo smantellamento delle vicinie ed anche più in -là, poi progressivamente il servizio sociale si trasformò in professione privata. La storia del mulino è alquanto singolare se si pensa al fatto che una volta esaurite le fasi di monopolio feudal-signorile e di gestione pubblica, con il ritorno alla privatizzazione s'instaurarono nuovi privilegi e nuove forme di sfruttamento . ai danni dei contadini. I mugnai, artigiani di professione, costituirono delle vere e proprie corporazioni e una volta 5

Statuti di Valle Camonica riformati, Ed. Quaderni Camuni, 1983.

G. GOLDANIGA: «Dal masér al casér mille lavorazioni del tempc che fu», da «Bresciaoggi» 23-4-1986.

6

-6-

padroni del mulino, presto divennero benestanti speculando sulla mulenda 7 , dando così vita a nuove proteste e sommosse popolari A loro volta, sulla metà del secolo scorso, vennero tartassati dalle politiche economiche dei governi post-unitari. Nel 1864 con il «diritto di bilancia» e nel 1868 con la famigerata «tassa sul macinato» 8 proposto dalla destra, molti mulini dovettero chiudere. Nei primi mesi del 1860, in Italia su 70.000 mulini, ben 30.000 sprangarono le porte.

«La nuova imposta gravava per 2 lire il quintale sul grano, 1 lira sul granoturco e la segale, 1,20 sull'avena, 0,50 sugli altri cereali». Erano tassate persino le castagne e i legumi secchi. Chi portava le granaglie a macinare era tenuto a pagare subito e direttamente la tassa al mugnaio che a sua volta provvedeva a versarla all'erario in ragione di una quota fissa stabilita ogni cento giri di macina. I tumulti tanto dei mugnai quanto degli utenti si diffusero in tutte le regioni d'Italia e furono di tale potenza che determinarono la caduta del governo.

IL FUNZIONAMENTO

Il funzionamento del mulino a macine mi è stato illustrato dal fu Giovanni Furlani (Foi) del Lanico che per molti anni ha gestito l'impianto idraulico in Via Sant'Antonio, a due passi da dove abitavo. Questo mulino, alimentato dal Canàl dè lé Fusìne, è ancora in buono stato di conservazione e fino a poco tempo fa funzionava quotidianamente. Si macinava frumento, grano saraceno, mais e nei tempi andati anche le bilìne.

Per mezzo di una leva (léa) costituita da un'asta metallica si dà l'avvio al movimento della ruota idraulica. La leva, attraverso una cerniera, sposta la canalina, allineandola al canale permettendo cqsì all'acqua di cadere perpendicolarmente sulle pale dell~ ruota. Girando, la ruota idraulica (roda) detta anche ruota principale, trasmette il movimento ad una ruota dentata La mulenda era la quantità di macinato, la porzione, che spettava a] mugnaio per il suo lavoro e per il pedaggio del mulino. Vedi M. BLOCH: Lavoro e tecnica nel medioevo, ed. Laterza 1977 e Atti della giunta pe, l'inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, A.G.A. 1883-86.

8 La tassa sul macinato fu proposta da Quintino Sella per sanare il deficit statale e conteneva il progetto di applicare dei contatori meccanici ai mulini. Dopo la mediazione con altre due proposte dei parlamentari Scialoia e Ferrara, divenne legge istitutiva, varata il 7 luglio 1868, ed entrata in vigore il 10 gennaio 1869. Storia d'Italia vol. VII, Ed. 1978 - Istituto Geografico De Agostini - Novara.

7

-- 7 --

in ferro (rodèl) che a sua volta fa · girare la ruota della macina (caagnola). Così si mette in movimento la macina superiore (màsna), girevole. Contemporaneamente, utilizzando il secchio (sedèl) s'introduce il cereale da macinare nella tramoggia (trem6da) che scende a depositarsi sulla macina fissa (mola) e che verrà triturata dal moto rotatorio della macina mobile (màsna) su quella fissa. Il prodotto così polverizzato, divenuto farina grezza, fuoriesce da un'apertura laterale della «faséra» (rivestimento delle macine in legno) e attraverso un'apposita scivolo metallico scende a depositarsi nel buratto (btigat) il setaccio rotante munito di filtro. La farina grezza, una volta raffinata in questo setaccio, precipita direttamente dalla reticella dello stesso nel cassone sottostante (farinéra), mentre lo scarto (crusca) fuoriesce lateralmente in un secondo contenitore (caséta). Utilizzando i setacci a mano (sedàss), volendo, si può procedere ad una ulteriore raffinazione. Con le apposite palette (palète) la farina viene raccolta nei sacchi che, una volta pieni, vengono sollevati da un piccolo argano in legno (arghinì) e attaccati al gancio della «stadéra» per la pesatura.

Da ricordare infine che il setaccio rotante non dipende dalla .ruota idraulica principale, ma viene mosso da una ruota più piccola indipendente.

I MULINI DELLA VALCAMONICA

La Valcamonica viene considerata sovente, per me impropriamente, la Valle del Ferro. E' pur vero che l'attività mineraria in terra camuna ha una antichissima tradizione, iniziata intorno al 1000 a.e. 9, fiorita con la dominazione romana e continuata fino alle soglie dell'era industriale, tuttavia credo che il tipo di economia prevalente, dalla preistoria fino alla metà del nostro se~olo sia stata quella agricola. Del resto il pane è sempre stato più importante del ferro ed è sempre stato il simbolo di ciò che effettivamente serve all'uomo. Per economia agricola naturalmente intendo in senso lato tutte quelle attività legate alla terra: allevamento, pastorizia, lavoro dei campi, silvicoltura, frutticultura ecc. Questa convinzione è suffragata da alcuni dati, soprattutto riguardanti i mulini. In epoca medioevale, ogni paese annoverava in media tre mulini e ancora nel 1609 il catastico di Giovanni da Lezze ne elenca 110 da Pisogne a Pezzo.

9

Vedi la ricerca di G. MACULOTTI: «La gerla e i giorni»,. Periferia·n. 14.

- ·.s ~

La ricerca della Ghitti, operata nel 1979, elenca minuziosa• mente fra mulini attivi, inattivi, diroccati e distrutti un patrimo• nio di 161 impianti, dei quali 17 ancora funzionanti nelle contrade di Lava, Berzo, Erbanno, Artogne, Cimbergo, Nadro, Ceto, Cerveno, Sonico, Esine, Bienno, Paisco, Breno, Astrio, Lanico, Lombro.

Un'attività dunque quella della molitura che perdura e che in longevità surclassa le stesse fucine a maglio.

Lo storico Gabriele Rosa 10 sostiene che nel 1803 si espor• tavano dalla Valle ben 4000 quintali di castagne, mentre il notaio Gian Antonio Guarnieri 11 asserisce nel 1844 che si faceva grande smercio di segale in Valtellina e nel Trentino. Un'altro storico, il Bortolo Rizzi, par i.a di ottimi raccolti di frumento da Pisogne a Cividate e che lo stesso si coltivava con buoni risultati perfino a Borno 12 • Il clima diverso dell'attuale e le colture diffuse capillarmente consentivano ai contadini camuni soprattutto nel secolo scorso di coprire il loro fabbisogno.

«El biigat»: filtro rotant e che separa la farina dalla crusca

10

11 12

G. ROSA: La Valle Camonica nella storia, 1881.

Cit. B. RIZZI: Memorie sopra la Va/camonica.

B. RIZZI: La Storia della Valcamonica, Ed. 1974.

-9-

Una popolazione di circa 45.000 abitanti sopravviveva grazie alle produzioni del frumento, granoturco, grano saraceno, segale, orzo, miglio, avena, fava, castagne. Ed anche nei secoli più poveri, antecedenti al XVII secolo, in cui fu introdotto il granoturco o mais, la farina di castagne era un alimento basilare della frugale dieta dei camuni.

Dunque la molitura di questi prodotti agricoli fu alla base dell'esistenza e della sopravvivenza di numerose generazioni contadine e per molti secoli va da sè l'importanza vita del mulino.

DISLOCAZIONE DEI MULINI IN V ALLE CAMONICA

COMUNI E FRAZIONI

Pezzo Precasaglio Villa d'Allegno D'Allegno (P. di Legno) Pontagna Poia

Anno 1609 Anno 1770 Anno 1803 Anno 1979 (Ghitti) (catastico) (estimo di (Guarneri) Lezze Valle) aggiornato

tot. 13

tot. 14

tot. 20

Temù Lecanù

1

tot. 3

tot. 6

Vione Canè

1

tot. 6

tot. 9

3 2 2 4 2 1 3 3 3

Stadolina Vezza D'Oglio Davena

2

tot. 15

tot. 16

2 5

Incudine

1

2

3

3

Monna

2

4

5

3

Edolo

2 2 2 2

Mù

Cortenedolo Santicolo Corteno Golgi Megno S. Antonio Lombro

4

tot. 31

tot. 15

1 3 2 6

3

tot. 14

-10-

tot. 13

1 1 1

COMUNI E FRAZIONI

Anno 1609 Anno 1770 Anno 1803 Anno 1979 (Ghitti) (catastico) (estimo cli (Guarneri) aggiornato Valle) Lezze

Sonico Rino Garda

2

Malonno Zazza Lava Odecla

2

Berzo-Demo Monte

1

Paisco Loveno

tot. 5

tot. 8

tot. 5

tot. 14

1 3 1 4 2 1 2

tot. 6

tot. 5

1 2

1 1

1 1

2 1

3

Cevo Andrista

2

4

3

Saviore Fresine Valle Ponte

3 tot. 3

tot. 3

2

2

2

3 2 1 2 2

Cedegolo Sellero

2

Capo di Ponte Cemmo Pescarzo

4

7

5

5 2 1

Paspardo

2

2

3

3

Cimbergo

2

2

3

3

Ono S. Pietro

1

1

2

2

Ceto Nadro

1 1

1 1

1 1

3 1

Cerveno

4

5

4

2

Braone

1

2

2

Losine

2

3

3

Niardo

2

3

3

1

Breno Pescarzo

6

5

8

4 1

-11-

COMUNI E FRAZIONI

Anno 1609 Anno 1770 Anno 1803 Anno 1979 (catastico) (estimo di (Guarneri) (Ghitti Valle) oggi ornato Lezze

1

Astrio Malegno Lanico

tot. 2

tot. 2

Cividate

2

2

Bienno

3

Berzo

tot. 2

1

4

4

4

2

2

3

3

Prestine

2

2

2

1

Esine Sacca

2

3

3

1 1

tot. 2

tot. 6

tot. 5

2 1

3

3

3

3

tot. 4

tot. 8

tot. 4

4 1

Ossimo Inferiore Ossimo Superiore Lazio Borno Pianborno Erbanno Darfo Fucine

2 4

Angolo Sciano Terzana Mazzunno Anfurro

2 1 1 1 1

1 2 1

2 1 2

Artogne

2

5

6

Pian Camuno Beata Piazze Vissane

1 1

tot. 4

tot. 5

Pisogne Fraine Sonvico

3 tot. 10

tot. 14

4

tot. 220

tot. 226

tot. 161

Tot. paesi

+

fraz. n. 86 tot. 110

3

tot. 11

tot. 13

1

3

--- l2 ---

2 1

6

4

ARCHITETIURA ED ELEMENTI COSTITUTIVI DEL MULINO

Ho visto le macine al lavoro nel mulino ad acqua del Lanico (dè Gioàn di F6i) e in quello di Bienno della ultra settantenne Maddalena Trombini. In entrambe le esperienze mi sono fatto spiegare nei dettagli le caratteristiche della lavorazione e le parti costitutive del marchingegno idraulico.

Ha riferito ad esempio nonna Madalì 13 , che per macinare un quintale di granoturco ci vuole quasi un intero giorno e che a lavoro finito il ricavano dai settanta agli ottanta chilogrammi di farina. Il lavoro del mugnaio non è più renumerativo se si pensa che il costo di un quintale di macinato si aggira sulle 5000 lire.

Per la scarsa richiesta ed i costi irrisori, si capisce come la macina sia destinata inesorabilmente a diventare un pezzo da Museo. Ho notato tuttavia che il rapporto mugnaio-mulino, uomo-macchina, è ancora di tipo naturale e non artificiale.

Il mulino è un laboratorio artigianale dove l'uomo è protagonista, fatica ma è libero, controlla e domina la macchina e non viceversa. I tempi di lavorazione sono lenti, i ritmi sono solenni, l'acqua del canale scorre naturale, meno irruenta che nel condotto della fucina il cui salto è maggiore, le macine girano lente (come girava lento il mondo una volta). Ogni tanto bisogna molare le macine e ci si ferma.

Il mulino sorge generalmente nelle vicinanze di un corso d'acqua con una discreta pendenza per consentire la spinta sufficiente per far girare la ruota. L'edificio presenta quasi sempre murature in pietra, robuste, per reggere le spinte e disposto secondo il profilo del terreno. Quando non vi sono alloggiamenti del mugnaio, generalmente è costituito da un'unico stanzone, collegato al corso d'acqua, (a volte con un granaio adiacente) dove il piano terra è quasi interamente ingombrato dai macchinari che lasciano poco spazio alla lavorazione ed agli spostamenti. Le macine sono quasi sempre collocate sopra un soppalco di legno o di pietra che consente la sopraelevazione degli ingranaggi, della tramoggia di carico e la sufficiente pendenza per far scivolare in basso il prodotto finito, dopo che è passato dal buratto (filtro rotante).

13 G.C. SCOTUZZI: 70 anni, da sempre mugnaia sopravviverà al suo mulino, in «Bresciaoggi» 22-1-1981.

-13 -

Ma vediamo più nel dettaglio gli elementi costitutivi del mulino:

El canàl = il canale, il condotto in pietra o legno, fuori dall'edificio che converge sulla ruota del mulino l'acqua proveniente dal corso naturale.

La roda = la ruota idraulica a pale, fuori dell'edificio, ruota principale che dà il movimento a tutto l'impianto.

La canalìna = terminazione del canale, collegato al primo con una cerniera che permette di spostare il getto d'acqua sulla ruota.

El rodèl = ruota dentata secondaria di ferro che trasmette il movimento dell'albero della ruota principale alla ruota della macina.

~"9.ilth'

s.;1c.

--_;:;,..--z-.:zi~==-ih,--1."'rAi.

t7;,;;~--~

Ricostruzione grafica del mulino

-14 -

L'èrbor - l' àlber = un tronco di legno sul quale è imperrùata la ruota principale.

= ruota

La caagnola

di ferro dentata della macina girevole.

La léa = asta metallica che sposta la canalina (ultima parte del canale) sopra la ruota idraulica.

La mola

=

La màsna

la macina fissa, inferiore, in pietra.

=

la macina superiore, girevole, sempre in pietra.

La trem6da = la tramoggia, contenitore di carica dei ce.r eali, solitamente in legno a forma di tronco di piramide rovesciato.

La faséra = protezione della macina rotante in legno, a forma cilindrica che avvolge tutta la macina.

El bugàt = il buratto, filtro rotante o setaccio rotante che separa la farina dalla crusca. E' indipendente dalla ruota principale, mentre è imperniato su un albero più piccolo che porta una ruota a pale più piccola, situata all'esterno dell'edificio e sempre azionata dall'acqua del canale.

La farinéra = recipiente che raccoglie il macinato fuoriuscito dal buratto.

La casèta = recipiente che raccoglie lo scarto del macinato crusca).

La gru = piccola gru in legno, solitamente due travi installate ad un tronco mobile, la cui estremità del braccio porta un gancio di ferro a doppia punta. Serve ad estrarre e sollevare la macina quando si deve ravvivare la rigatura della pietra (molà).

L'arghinì = piccolo argano in legno utilizzato per il sollevamento dei sacchi più pesanti di macinato, durante la pesatura.

La stadéra

= bilancia usata per la

pesatura dei sacchi.

-15-

Le martèle = speciali martelli, piccole mazzette in ferro usate per la rigatura deJla macina.

Le pal~te

= palette in lamiera utilizzate per raccogliere la farina. = selacci a mano utilizzati a volte per l'ulteriore raffi-

I sedàss nazione della farina dopo che è fuoriuscita dal buratto.

I sedèi

=

recipienti per travasare il seme nella tramoggia.

Giacomo Goldaniga

Dello stesso Autore è stato pubblicato il volume

«SAPIENZA POPOLARE CAMUNA» Antologia di cultura orale locale

arricchita con 80 illustrazioni etnografiche

MALONNI Officina Rivendita Autorizzata FIAT 25053 MALEGNO (Bs) Via Lanico - Telefono (0364) 44082

-16-

ASSEMBLEA ANNUALE A.V.I.S. 5 Febbraio 1988

Come consuetudine, poiché previsto dallo Statuto, anche quest'anno noi abbiamo fatto H nostro dovere rispettando le norme statutarie, e come sempre l'as·s emblea è stata disertata dalla maggioran21a.

Io non so se queste diserzioni siano causate dall'eccessiva fiducia che gli avisini hanno nei loro dirigenti oppure dal più completo disinteressamento alla vita associativa; comunque sarebbe più grave se tale disinteresse -risultasse nel presenziare alle donazioni.

Pensando di fare cosa utile nel por.tare a conoscenza anche di coloro che per i più disparati motivi non hanno voluto o potuto partecipare, approfitto di questa occasione per presentare uno stralcio della relazione morale fatta ad un'assemblea composta purtroppo da una trentina di avisini, con una maggioranza venuta da Borno, Lazio ed Ossimo.

Più che un dovere, dovrebbe essere un desiderio per ogni avisino partecipare a queste riunioni, dove c'è possibilità di esporre le proprie idee, i propri punti di vista e chiedere delucidazioni su cose che possono interessare. Per questo è stato deciso che ogni singolo avisino potrà mettere nella cassetta postale collocata all'entrata della Sede, scritti con proposte, consigli e reclami. Riteniamo cosa utile e costruttiva, poiché darebbe modo di correggere e rimediare ad eventuali nostri errori o manchevolezze, oppure di realizzare certi vostri suggerimenti e soddisfare ciò che desiderate. Vostri accenni ad iniziative da noi trascurate, ci sarebbero utili. La perseveranza nelle donazioni, è più che soddisfacente, constatando che all'ultimo prelievo furono ben .98 le presenze, un record che speriamo ·si ripeta. Comunque nell'87 si sono 1totalizzate 309 donazioni superando di una sola unità quelle dell'anno precedente. Abbi·amo bisogno di aumentare il numero degli iscritti, e chi meglio di un avisino convinto dei propri ideali può fare opera di persuasione presso amici e parenti?

-1-7-

Ad ogni prelievo, esponiamo opuscoli che gratuitamente potete prendere e che vi potranno illuminare sia sulla vita associativa sia sulla vostra salute. Perché buttarli al macero senza nemmeno sfogliarli, anche solo per curiosità? E perché non prenderli per passarli ad ·a ltri ai quali potrebbero interessare?

Sarebbe un modo anche questo di propagandare la nostra associazione. Se è vero che l'avvenire è dei giovani, è nostro precipuo dovere far loro conoscere l'importanza del valore della vita ed additare loro la giusta strada per viverla bene.

Non dobbiamo piangere sul latte versato, se abbiamo trascurato di dare il buon ese-m pio. I giovani, i nostri figli ci guardano e ci giudicano.

Per finire permettetemi di presentarvi il codice del donatore di sangue tratto dal periodico A.V.I.S. SOS .. Dopo averlo letto - attentamente, facciamo un esame di coscienza chiedendoci se osserviamo appieno queste regole.

1

1

per il Direttivo: Rico Fedriga

CODICE DEL DONATORE DI SANGUE Io mi impegno sul mio onore: 1) ad osservare le regole seguenti perché è volontariamente che

io offro il mio sangue ad ogni ammalato, chiunque -e sso sia; 2) a sorvegliare la mia salute e a non abbandonarmi ad alcun

eccesso che potrebbe recare danno ad essa; 3) a prestarmi a tutti gli esami di controllo della mia salute,

giudicati indispensablii -dal Capo del mio Centro e accettati da tutti i donatori di sangue; 4) a non dimenticarmi che la salute o la vita di un malato pos-

•s ono dipendere dalla dimenticanza di queste regole; 5) a rispondere ad ogni chiamata per trasfusione; 6) a rispettare l'anonimato del malato, come pure io non sarò

per lui che un donatore anonimo; 7) a rimanere degno di essere · donatore di sangue, rispettando le regole della morale, della buona condotta e della solidarietà

umana.

- ·1s-

LUCI E COLORI DEL NATALE Il Natale, certamente la festa più sentita e più interiormente vissuta, è ormai trascorso.

Questa millenaria ricorrenza, che ci induce ad un momento di spirituale raccoglimento su quel messaggio di fratellanza e di pace, di familiarità e di intimità, si manifesta anche con alcune esteriorità che vogliono essere testimonianza di allegria e di gioia.

Abbiamo ancora tutti dinanzi agli occhi le diverse forme di luminarie che hanno dato un'immagine ed un colore nuovo e piacevole ai piccoli borghi di montagna come alle grandi città.

Anche nel fare questo non sono mancate delle esagerazioni.

In alcuni casi infatti lo sfarzo e lo spreco di luci e colori sono andati ben oltre il giusto modo di testimoniare, anche esteriormente, quella luce che dovrebbe essere anzitutto dentro di noi. ·M alegno ha certamente colto questo limite. Gli addobbi natalizi sono stati coinvolgenti per sobrietà e per la simbologi•a delle raffigurazioni.

Esse si sono arricchite rispetto allo ,scorso anno con forme nuove, frutto anche questo di un intelligente ed originale lavoro a cui hanno dato contributo di idee e di laboriosità tante persone prevalentemente operanti nell'ambito del nostro Oratorio.

Per questo impegno «Le voci di Malegno» vogliono esprimere, oltre ad un doveroso ringraziamento, un vivo apprezzamento.

Spesso è difficile fare; fare bene poi diventa una rarità.

Questo gruppo di persone ha fatto bene: ha ideato, progettato, realizz,ato e messo in opera, con quante difficoltà possiamo immaginare, uri qualcosa che ha piacevolmente richiamato l'at• tenzione di tutti noi che abitiamo il nostro paese, ma anche tanti passanti e visitatori. :Alcuni hanno addirittura :telefonato e chiesto notizie circa la «ditta» che avrebbe costruito tali addobbi.

Le risposte ciate e soprattutto le indicazioni sui coSiti sostenuti hanno positivamente meravigliato e ciò, crediamo, potrà far piacere a tutti.

Un'ultima cosa. Questa iniziativa, come altre, si è realizzata grazie alla volontà e gratuita disponibilità di alcune persone -19-

che si sono assunte un preciso impegno e lo hanno portato a termine; ma ciò si è verificato anche grazie ad uno spirito di collaborazione che si è instaurato a livello di comunità per cui gruppi ed associazioni si sentono profondamente coinvolti nello sviluppo e nella crescita del proprio paese.

E nel perseguimento di ques.to obiettivo è importante che continui ad esservi una interazione di energie e di volontà senza la quale non solo verrebbero meno le luci natalizie, ma sicuramente diminuirebbe sempre più la speranza, che invece deve diventare giorno dopo giorno certezza, di vedere crescere in ogni senso il nostro paese.

Le Voci di Malegno

DALL'A.N.F.FA.S. L'ANFFAS cerca di sensibilizzare le comunità sul problema dell'handicap. Noi pensiamo, come genitori di bambini handicappati, che i nostri figli, pur con le limitazioni dovute al loro difetto, che abbiano delle possibilità di esprimersi, e lo si può constatare anche con -i lavori realizzati da loro.

L'associazione non ha fini di lucri, ma è solo una ricerca di solidarietà tra persone che hanno un problema, e che cercano di risolverlo.

Noi vorremmo anche trovare persone che siano disponibili sia per u_n confronto che per una collaborazione con noi per non essere isolati dalla società.

Le molteplici iniziative che vorremmo intraprendere richiedono un notevole sforzo ed impegno che noi cercheremo di risolvere, anche con l'aiuto di tutte quelle persone di buona volontà.

-20-

DON GIOVANNI SIMONETTI NEL RICORDO DEI SUOI CONFRATELLI ...

LE RADICI

Ogni albero ha le sue radici. Così è di ogni uomo. Noi, distratti e superficiali, spesso ce ne dimentichiamo. Ci limitiamo, cioé, nel considerare la vita e l'opera delle persone, a guardarne i frutti, gli aspetti esteriori, gli esiti. Non ci domandiamo mai dove affonda ques·ta vita, da dove trae sostegno ed alimento.

Le radici, anche se umili e nascoste, danno sostegno, senso, giustificano, in un certo modo, l'esistenza.

Dove affondavano le radici di don Giovanni?

Nella .f amiglia di origine, certo, nel seminario che ha guidato la sua formazione, nella spiritualità in cui venne educato e che assorbì. Ma, come è per tutti noi, le sue «radici» affondavano anche nella comunità da cui uscì. Le sue radici erano ianche schiettamente malegnesi. Egli era profondamente «radicato» in quel di Malegno. La sua sepoltura nel cimitero del paese natale, sepoltura che a noi Capontini ha creato qualche rammarico, è stata l'ultimo segno di questo suo profondo attaccamento alla comunità di origine; è stata un ritorno a quella ter-ra da cui intimamente non si era mai staccato.

Tanti episodi, mi pare, sorreggono quest'affermazione. Tra i tanti ne ricordo uno, rimastomi, per comprensibili motivi, impresso indelebilmente nella memoria: 6 Luglio 1979, prete novello, vengo convocato dal vescovo a Brescia per la prima destinazione. L'emozione è grande. Sprovvisto di auto e di patente come sono, mi vuole a tutti i costi accompagnare don Giovanni. Forse già subodorava qualche cosa. «Hai idea di dove tu possa essere stato· destinato?» mi fa, non senza un sorriso, mons.

Morstabilini. Rispondo, anch'io tra il serio ed il faceto, che se anche avessi avuto qualche pallida idea della mia destinazione, i superiori avevano talmente confuso le carte in tavola, che, a questo punto, in testa mi rimaneva soltanto confusione. «Ti mando a Malegno, · sei contento?». Sì, sono contento, Malegno mi è familiare, anche solo per il fatto che il mio parroco, «l'asupret» come lo chiamiamo noi Capontini, è di quel paese.

Il più contento, però, era lui; e non tanto perché ci andassi io, (si vede che già allora mi conosceva bene), ma perché Malegno,

-21-

dopo due anni tornava a riavere un curato. Ecco, ancora una volta le radici riaffiorare.

Anche in seguito, ho più volte potuto constatare come, sia pure da lontano, seguisse con attenzione, quasi con ansia, i problemi e le vicende malegnesi. La sua preoccupazione era che quello spirito di fede genuina e schietta e quell'insieme di sane .tradizioni cristiane venute ad accompagnare e formare la sua giovinezza continuassero, si approfondissero, si dilatassero. Si informava ed era informato sulle vicende della «sua» Malegno.

Da essa aveva tratto la concretezza del carattere e la solidità, quasi caparbia, dei propositi e dell'opera, non disgiunte, tuttavia da una grande sensibilità umana.

Riandava, spesso, col pensiero a persone ed episodi che avevano segnato la sua formazione _sacerdotale: don Bentoglio, soprattutto, era, a questo proposito, oggetto dei suoi ricordi.

Prete, zelante e vicino alla sua gente, attivamente inserito nel contesto sociale della sua comunità, don Bentoglio è ricordato anche per la sua franchezza, franchezza che alle volte rasentava l'irruenza. Qualche «radice» di don Giovanni affonda pure qui, alla scuola di don Bentoglio. La sua pastorale in quel di Capo di Ponte è stata improntata ad una fervente attività, opere di promozione spirituale e sociale sono state da lui progettate, caldeggiate e realizzate per il bene della parrocchia. Questo suo «attivismo» non gli ha fatto dimenticare ciò che è più importante per una comunità cristiana: Parola di Dio, Liturgia, Sacramenti. Si è inserito appieno nel contesto sociale capontino: era divenuto un punto di riferimento; conosceva singolarmente tutti, e tutti potevano rivolgersi a lui per un problema e per un con• siglio. Una nota, mi pare, tra le tante, ha contraddistinto la sua azione pastorale: la franchezza; franchezza che alle volte può avergli alienato qualche simpatia e procurato qualche sofferenza, ma che rispecchiava l'insegnamento evangelico «Il vostro dire sia sì sì, no no. Tutto il resto viene dal Maligno». La sua era parola chiara, sicura, ferma; aspetti positivi e negativi di situazioni e vicende parrocchiali o più generalmente sociali erano vagliati senza mezzi termini, senza diplomatici annacquamenti.

Cosciente che era suo dovere di pastore illuminare e aiutare a discernere sempre, a tutti i costi, attingendo dalla parola di Dio, ha fatto sua la parola di Paolo «Insisti, rimprovera, esorta, a tempo opportuno e inopportuno».

Chi ha predisposto la sua salma alla sepoltura, forse non

-22 -

a caso, gli ha posto tra le mani con il rosario il libro della Bibbia, sottolineandone così il ruolo di maestro e di guida franca ed illuminata. Di don Giovanni ci restano le opere, gli esempi, gli insegnamenti.

Ci mancherà, tuttavia, la sua voce.

Don Ivo Panteghini

TESTIMONIANZE Ricordare il carissimo Don Giovanni equivale a ripercorrere un lungo tratto della mia vita, soffermandomi in modo speciale sugli anni della fanciullezza e giovinezza. E' in questo periodo che affiorano i più bei ricordi dell'indimenticabile Scomparso.

Esporrò il tutto a modo di flash.

*

Da ragazzi si ammirava il futuro Don Giovanni per il suo esempio di pietà e per la gioia che dimostrava per essere in seminario: tutto ciò era per noi motivo di amore, rispetto e desiderio per la vita sacerdotale.

Lo ricordo sempre presente in presbiterio - durante le vacanze - nel banchetto vicino alla porta della sagrestia: qui si riunivano ogni mattina i seminaristi per le pratiche di pietà sotto l'occhio vigile di Don G. Bentoglio. Egli era tra i primi ad arrivare ... e allora la S. Messa veniva celebrata alle ore 5,30.

A volte, entrando in chiesa nel pomeriggio, lo ritrovavo assorto in preghiera.

*

Durante le vacanze, con Don Beppe, ci raccoglieva nel cor• tile dell'oratorio dove era impareggiabile animatore delle attività ricreative. Curava con particolare predilezione il gruppo degli Aspiranti ai quali sapeva comunicare un profondo amore per Cristo, per. la Chiesa e per il prossimo... (Una delle regole che spesso commentava: «L'Aspirante è il primo in tutto per l'onore di Cristo Re» ed ancora: «L'Aspirante è un ragazzo in gamba che dà la mano a Gesù per svegliare i cristiani che dormono».

Pure,· con D. Beppe, insegnava il canto liturgico ... Beppe suonava e lui dirig~va. Con loro due abbiamo pure imparato la Messa a tre voci del Franco. Era pure un bravissimo regista: non solo curava il gruppo giovanile, ma con pazienza insegnava anche a noi ragazzi, per cui durante le vacanze debuttavamo delle commedie.

-23-

*mezzeEra misure piuttosto serio e riflessivo: non amava nè tollerava le ed era intransigente nel condannare le piccole bugie di noi ragazzi. (Ricordo che mentre si raccoglieva il tesoro spirituale uno del mio gruppo presentò delle comunioni e messe in numero esagerato. Ebbene ci chiamò tutti e ci fece una tale paternale che, penso ci servì per lezione per tutta la vita... f acendoci comprendere che nella vita bisogna essere onesti e sinceri.

*carattere Non era il giovane chierico facile agli entusiasmi: era per molto riflessivo, attento ragionatore e analizzatore di fatti, persone, avvenimenti... tenace nel raggiungere ciò che si prefiggeva. Inoltre lo ammiravamo per la sua cultura.

*vacanze, Come seminarista era ligio allo spirito delle regole delle molto riservato e sempre attento alla volontà e ai

desideri del parroco, per cui non mi ricordo di averlo mai visto rimproverare da D. Bentoglio che, essendo stato vicerettore del seminario, era di una particolare severità nel campo delle regole.

*Crescenzio Lo ricordo molto vicino al curato, don Arturo Maialini e a Guarinoni nelle lotte politiche di quei tempi. Egli viveva e sentiva profondamente le ansie e le preoccupazioni della vita sociale (ciò che ha continuato a fare da sacerdote).

*

Da Sacerdote fu per me un vero amico. Egli era un convinto cultore dell'amicizia, capace di comprendere le situazioni in cui uno si trovava, vicino a chi era nella malattia o nella sofferenza, prodigo nei consigli e prudente nelle correzioni e nei consigli, generoso nell'aiuto.

Ora so di avere un amico lassù in cielo che intercede e prega per me e per tutti coloro che hanno goduto della sua fraterna amicizia.

Don Marcello Casari

* * * Non mi risulta per niente facile scrivere parole su D. Giovanni; in primo luogo rischio di deturpare la sua cristallina sacerdotale figura; in secondo luogo i suoi quarantun anni di ministerò vanno guardati, pensati e pregati in silenzio.

Mi trovo ancora scioccato dalla sua scomparsa; anche nel prete, che perde un prete «amico», rimane un vuoto, che non si colma con parole, ma solo con la luce della volontà di COLUI, che ciò ha voluto.

In questo momento oso solo ricordare i nostri anni più «matti», quelli delle poche preoccupazioni per lo studio e della smania gioiosa per una giovinezza il più possible spensierata: la scuola e le vacanze, soprattutto. L'anno di età, che ci differenziava, l'ha soltanto portato un anno prima in seminario ... per il resto siamo cresciuti «insieme»: nel piccolo clero, negli Aspiranti di A.C., nell'oratorio, sulla strada del sacerdozio; stessi amici, stessi problemi, stessi ideali e ... a pressapoco, stessi difetti ed una gran voglia d'amicizia che si faceva più solida col passar degli anni, pure attraverso l'esperienza di bisticci, di incomprensioni momentanee.

Certamente eravamo due caratteri profondamente diversi, opposti forse, e proprio questo ha certo favorito il nostro legame, senza sfonzoli ed esteriorità, ma un legame pieno di stima, com• prensione e confidenza.

Parecchie volte, e talvolta con un pizzico di invidia cattivella, ho invidiato i suoi modi ed atteggiamenti più fini, più delicati, sostenuti da una certa piacevole signorilità di tratto, di parola e di intelligenza, per cui si faceva preferire dai nostri sacerdoti e dalle persone del cosidetto «giro» parrocchiale. Lo ritenevo un «modello» da copiare, senza mai riuscirvi... e di fronte a lui sono sempre rimasto timido, incapace e goffo.

Ci volevamo bene, tanto ...

In verità, in quegli anni, formavamo una «trinità» e su noi presiedeva la serietà del «padre» Giorgi. La vivacità e l'allegria ci aiutavano nella formazione (i chierici d'oggi farebbero ironia ~u quella nostra meschinità!). Come non ricordare i fichi (e altro) di Campiù? I gerani, i canarini, l'orto, i pesciolini rossi, le rose di D. Bentoglio? Come non ricordare le «lunghe» passeggiate fino al Crist dè Bèsét, col voluminoso Parroco, che se si sedeva a prender fiato, la nostra triplice forza era pressochè insufficente a ·rialzarlo? Erano risate a non finire ed erano le nostre «avventure» ...

Mi tornano alla mente due incontri che ebbi con D. Giovanni a Galleno, una visita che gli feci a Lombro, una scappatina a Sellero. Erano momenti pesanti per me, sotto il profilo sacerdotale ... la sua ·saggezza, pazienza e linearità mi diedero chiarezza, conforto e fiducia a «tirare avanti».

Sto pensando ai tanti fedeli a lui affidati nei vari posti del suo apostolato... Ho sentito anche qualche rilievo meno felice (meno male! Altrimenti non sarebbe stato simile a Cri-

-25-

sto...); certo tanta ammirazione raccoglie la sua maschia volontà, la sua intransigenza su «certe cose»; la sua intelligente intraprendenza ... Quanto bene ha operato! Oggi, e ancor più domani, si gusteranno i frutti del suo sacerdotale passaggio. d. Beppe

* * * Don Giovanni Simonetti. Era considerato da tutti il prete esemplare e il paladino dei confratelli. Lo ricordo in due episodi in cui intervenne a difendere i parroci contro le accuse dei parrocchiani e contro un certo sospetto dei superiori.

Si batteva con la sicurezza di chi può testimoniare direttamente. Era particolarmente serio nello scrivere e anche. nell'obiettare durante le varie adunanze.

A me fece più volte l'osservazione di essere più castigato nei trafiletti della « Voce del popolo» perché diceva che i nostri giornali non debbono far ridere.

Durante le adunanze interveniva per difendere la Valle e i preti Camuni. Questi interventi erano piuttosto piccantini e tutti noi ci meravigliammo all'ultimo ritiro quando fece due interventi bonari e umanistici. Aveva disarmato del tutto, voleva presentarsi a Dio colle mani alzate come Mosè per poter ancora intercedere per i suoi confratelli.

Auguri!

Don Giovanni Antonioli

* * * Testimoniare su un amico apre il cuore, dona speranza, e spinge alla fiducia, perché fa venire in mente e fa rivivere sentimenti e certezze che Don Giovanni ci ha lasciato come eredità preziosa da seguire e da attuare.

Se non vado errato, correva l'anno del Signore 1946, io avevo 10 anni e vi assicuro che non ero il più devoto dei chierichetti; ne combinavo una ogni mattina e la sera, dopo il Rosario, ·si aiutava il sagrista a preparare il catafalgo e poi via di corsa per le strade del paese a rincorrersi; al suono dell'Ave Maria della sera si doveva rientrare a casa.

Ebbene, un giorno Don Giovanni mi trova a· correre in chiesa; non mi disse come tutti gli altri: «Ricordati che Dio ti vede»,

-26-

ma, dopo avermi tirato v1cmo a sè, soggiunse: «Ricordati che Dio ti ama e ti prende così come sei».

Credo che questa sua frase con la festa della sua Prima S. Messa sia stato l'inizio della mia vocazione al Sacerdozio.

Passarono gli anni, lui era prete e faceva il curato a Lombro di Corteno, io ero seminarista e, nel 1956, mi ero recato lassù con i miei compagni, nella casa del Seminario a trascorrere qualche giorno di vacanza.

Era una sera di pioggia e, passando fuori dalla sua casa, entrai per salutarlo. Lo trovai seduto nel suo studio, che era tutto foderato di legno, come è costume fare in montagna. Non ricordo più che cosa ci siamo detti, rammento soltanto che, nel salutarci, uscì con una battuta: «Carlo "stelan (era il mio soprannome), il legno ripara dal freddo, ma, quando sarai prete, accendi il cuore degli altri con la mitezza, che vuol dire comprensione, pazienza e fiducia. Quelli di Malegno, infatti, non potranno mai tradire il loro stemma (Mites terram possident = I miti possiederanno la terra)».

Lascio svolazzare ancora per un attimo la mia memoria e mi ritrovo a Pezzo di Pontedilegno, dove facevo il parroco e, il giorno della patrona S. Lucia, avevo invitato Don Giovanni alla Messa solenne e a tenere la predica.

Egli commentò la leggenda degli occhi. Essa dice che il figli del prefetto Pascasio, presso il quale Lucia era stata accusata come cristiana, invaghitosi di Lei, mandò un soldato a cavarle gli occhi, che glieli riportò su di un vassoio.

«La parrocchia del mio compaesano Don Carlo ha intrapreso un cammino a suon di Bibbia e di documenti del Concili.o - disse - so che qualcuno si lamenta un po' per lo zelo del parroco, ma non c'è comunità cristiana senza Parola di Dio e della chiesa».

Da quel momento tutto si appianò e la sera, andandosene, aggiunse: «La vostra collaborazione nel tradurre i documenti alla portata del popolo mi commuove e mi è di esempio; da quel momento, ci venne in mente di preparare la visita pastorale con lo slogan: «La parola ai laici».

Erano infatti 5 i sacerdoti con i quali ci si trovava un . giorno o due alla settimana per pregare, studiare e «tradurre» alcune idee-forza del Concilio.

Non nascondo che ho sempre nutrito una grande ammirazione per Don Giovanni; mi piaceva la sua penetrazione dei

-27-

problemi, il suo darsi da fare e il suo partecipare con spirito di critica costruttiva a riunioni e convegni.

Era sempre lui a fare la battuta e a porre la domanda, che rischiarava, che riordinava le idee e che dava a tutti nuova fiducia.

Termino con due appunti: da qualche anno i sacerdoti nativi di Malegno trascorrevano una giornata di svago assieme; io facevo l'autista ed ascoltavo ed era così bello e fruttuoso.

Ora Lui ci seguirà dal cielo.

So che mia mamma mi dava questo suggerimento, quando Don Giovanni, molti anni fa, aveva fatto un'operazione abbastanza grave: «Prega, perché i preti diventeranno pochi e perché Don Giovanni guarisca; è troppo importante per la Chiesa.

E lui guarì: ora dal cielo una grazia potrebbe chiedere al Signore: quella di nuove vocazioni per Malegno.

Ciao don Giovanni, Grazie.

Don Carlo Domeneghini

COME CORNICE A questi affettuosi ricordi del caro confratello Don Giovan-

ni Simonetti sarebbe cosa buona poter dare una bella cornice che ci aiuti a ricordare il tempo, le persone, le circostanze storiche in cui la nostra vita di studenti e di giovani preti si è svolta.

Non si può dimenticare che quelli sono stati gli anni di Pio XXII (1939-1958), gli anni della guerra e del dopoguerra, con tutti i problemi della resistenza, della ricostruzione, delle nuove esperienze religiose, politiche, della nascita dei partiti, dello irrobustirsi delle associazioni religiose specie di Azione Cattolica,· fattori tutti che affermandosi cambiavano situazioni, rapporti tra le persone il clima anche nei paesi della nostra valle.

In questa inquieta fermentazione di valori, è da ricordare la crisi profonda che ha fatto soffrire il nostro Arciprete Don Giovanni Bentoglio nei suoi ultimi anni di vita che - potremmo dire - all'improvviso si è trovato di fronte a un cambiamento specie nei giovani - che non riusciva a spiegarsi. E' morto nel 1951, a soli 60 anni.

Don Beppe nelle sue note ricorda molto bene i nostri rap-28-

porti quotidiani con l'Arciprete, che cominciavano con la messa prima e finivano al tramonto.

Don Bentoglio da buon pastore ci teneva vicino e sapeva trovarci sempre qualche cosa da fare nella cultura del giardino, dei fiori, nella cura delle numerose gabbie di canarini disseminate per tutta la casa e certe volte anche per iniziative più impegnative, come quando si è trattato della rinnovazione della nostra bella chiesa parrocchiale e della prima visita pastorale dì Monsignor Tredici.

Le strutture dell'oratorio, delle sedi di catechismo e delle associazioni diventavano di giorno in giorno più inadeguate, ma c'era sempre una buona frequentazione e collaborazione, e ci si lavorava volentieri.

Don Giovanni in tutti questi servizi collaborava come tutti, con il suo caratteristico stile di serietà, di precisione godendosi però le risate cordiali, i commenti vivaci che rendevano serene le nostre giornate di vacanza e cordiali i nostri rapporti.

E qui innesto il ricordo della « prima malattia» di Don Giovanni. E' un ricordo che si è risvegliato nella mia mente, con particolare vivacità, alla notizia della sua morte prematura, perché di quella esperienza, ne sono stato la causa. · Nell'orto dell'Arciprete c'erano delle pianticelle di prugne e in collaborazione ne abbiamo fatto una bella.scorpacciata. Chissà forse non erano ben mature, il fatto è che Don Giovanni si è guadagnato una decina di giorni di letto, con febbre da parat_ifo.

La diagnosi del medico era precisa, ma la causa vera Don Giovanni non l'ha mai denunciata: sarebbe stato un temporale.

Anche nelle successive esperienze di malattia Don Giovanni non perdeva tempo in lamentele. Gradiva le visite, parlava della natura dei disturbi, dell'efficacia dei rimedi, ma poi con tatto passava a pa_rlare di cose più interessanti e allegre.

Insieme, un paio d'anni fa, abbiamo fatto una ventina di giorni per sabbiature, inalazioni, massaggi nell'isola della Madonna di Barbana, di fronte a Grado.

Sono state giornate di distensione: l'ambiente riposante, le conversazioni aggiornate ai nuovi problemi del Concilio, dei Sinodi, delle Riforme, dei laici, con i fratelli che condividevano le cure, hanno dato colore e interesse alle nostre giornate, che sono volate via senza accorgersi.

Sono però rimasti i ricordi che mi fanno sempre buona compagnia, non senza un po' di nostalgia.

Don Bortolo Giorgi -29-

COAMA: UN'ASSOCIAZIONE DI PAESE PER IL PAESE Malegno nel suo piccolo è uno dei paesi della Valle Camonica che ha più gente che vive nel commercio e nell'artigianato.

Vi trovi di tutto: dal bravo artigiano che in poco tempo ti ripara la saracinesca del negozio al grande magazzino che ti fornisce tutto dalla lavatrice al chiodo; dall'istruttore di guida che con tanta pazienza ti insegna a guidare al carrozziere che ti ripara l'auto quando a guidare sbagli; dalla boutique alla lavanderia, dalla tipografia alla falegnameria, per non parlare poi della macelleria e dei negozi di abbigliamento che sono conosciuti per la loro tradizione in tutta la valle.

Non poteva quindi mancare anche a Malegno, come già in altri paesi un'associazione di Artigiani e Commercianti.

E' nata fra entusiasmi, perplessità, polemiche ma subito ha messo a segno piccoli successi e qualche errore veniale.

Come in tutte le cose è stato abbastanza agevole iniziare anche perché ci si è appoggiati sull'iniziativa e sull'impegno degli associati più giovani.

Più difficile sarà continuare perché gli obiettivi che ci siamo prefissati sono alquanto ambiziosi.

Coama infatti non vuole essere un'associazione corporativa che vive chiusa in se stessa difendendo esclusivamente gli interessi di una categoria di cittadini ma si propone come un'associazione che si interessa a tutta la vita sociale del paese.

Il nostro obiettivo non vuole essere solo quello di attirare clienti dalle zone vicine ma quello di operare per lo sviluppo del paese perché crediamo sia più bello oltre che più facile lavo, rare in un paese per esempio non deturpato dalla speculazione dilizia, fornito di ampi spazi pubblici e sociali dove la gente possa riconoscersi con più faciltà e vivere più liberamente.

COAMA

-30-

CHI DI RIFIUTO COLPISCE...

Non è lontano il tempo in cui non esisteva il problema _«raccolta e smahimento rifiuti», almeno in termini di comunità, grandi e piccole. Il mondo agricolo economizzava e riciclava tutto.

La «fopa» (o letamaia) era il punto di raccolta domestico di ogni scarto che non potesse essere già cibo per galline, conigli, ecc.

Plastiche non ce n'erano, o quasi; i recipienti di vetro venivano gelosamente conservati per mille usi; latta e ferro che non fossero riattabili venivano rivenduti ai rottamai che passavano di frequente. Persino i bambini conservavano la stagnola delle cioccolate per rivenderla o per aiutare i ciechi.

Poi, il benessere, il consumismo.

A piccoli passi, l'orizzonte si è capovolto. Dalla penuria alla sovrabbondanza. L'industria ci ha investiti di prodotti di consumo, ma anche di involucri, scatole, tubetti, vasetti ecc. Poi ancora, la plastica: prima per le cose utili ed essenziali come catini, vaschette (chi non ricorda Gino Bramieri che reclamizzava il «moplen»?), poi plastica per gli involucri dei detersivi, per gli alimenti, per i vestiti, per i giornali, ecc ...

Potremmo continuare, raccontando una storia che è sotto gli occhi di tutti. La coscienza ecologica, che non si può continuare all'infinito con questi ritmi di consumo e di spreco, nasce da qui.

Non è solo il problema dello smaltimento delle scorie delle centrali nucleari (che rimangono radioattive per 20.000 anni!), ma anche - più in piccolo - di quello che scende attraverso · i tubi dei lavandini e va a finire nei fiumi, di quello che finisce in pattumiera e viene portato via daHa Nettezza Urbana. Ma dove? Viene immagazzinato in vere e proprie ·montagne di raccolta di rifiuti. Montagne che puzzano, che sono pericolose e vengono recintate, che ogni tanto scoppiano per i gas che si formano ·sotto. L'Italiia produce circa 200.000 tonnellate di rifiuti al giorno, di -cui 40.000 di origine domestica.

Attualmente i «nostri» rifiuti finiscono alla discarica di Ospitaletto. Ma questa fra qualche anno verrà chiusa perché «esaurita».

L'anno scorso lia popolazione di Ossimo insorse contro il progetto di costruire una discarica in località Ce,r reto.

1

-31-

Anche l'Amministrazione Comunale di Malegno si oppose al progetto in ragione delle conseguenze negative che avrebbe potuto avere sulle falde acquifere che da là provengono. Il progetto venne accantonato. Rimiane però il problema e ignorarlo non è una soluzione .

Una speranza e una soluzione parziale ma importante ci provengono dai dati sulla raccolta differenzi•a ta del vetro. ·L a Comunità Montana di Valcamonica ha recentemente reso noti i dati che riproduciamo nello specchietto (a lato): in un anno sono stati raccolti e riciclati da Pisogne a Pontedilegno ben 5.358 quintali di vetro, 8,5 Kg/anno per abitante.

Una cifra inferiore alle aspettative (che erano di 10 Kg./anno per abitante), ma comunque significativa. Bisogna infatti tenere conto ,c he comuni come Malegno e altri raccolgono autonomamente il proprio vetro. Per quanto riguarda il nostro paese sono stati raccoIti 450 ql. dl vetro.

Tutto ciò significa che più di 5.358 quintali di vetro non sono ,stati sprecati, non sono finiti nelle discariche controllate, oppure - peggio - lungo i pendii dei torrenti o dentro l'Oglio.

Anzi questo vetro potrà essere utilizzato per produrre nuovo vetro, con risparmio delle materie prime, di energia e di lavoro.

Secondo i dati. forniti dalla «Associazione nazionale industriali del vetro», ciascuno di noi consuma circa 30 chili di vetro all'anno, m a soltanto 7 chili vengono reimpiegati; si può quindi fare di più.

Nell'86 le «campane del vetro» hanno ingoiato in tutta la penisola 448.000 tonnellate di vetro a fronte di un consumo di circa 2 milioni di tonnellate. Peraltro, ogni bottiglia infilata nei raccoglitori fa risparmiare 32 lire. Ciò significa anche, a livello ambientale, 4 mila metri cubi di rifiuti in meno e risparmio di petrolio, in quanto produrre vetro partendo da altro vetro anziché dagH ingredienti normali (sabbia, soda e dolomite) richiede una temperatura di fusione molto più bassa.

La raccolta differenziata del vetro però non basta. Potrebbero essere raccolte e riciclate le latte e la carta. Dovrebbero esserlo -le «pile» scariche che contengono mercurio e sono pericolosissime. Esperienze in tal senso esistono già, senza andare tanto lontani. Il Comune di Brescia, con l'A.S.M., ha dislocato in tutta la città raccoglitori appositi per la carta e per le «pile». E' allo studio un progetto analogo per la raccolta della latta.

1

- 3 2 -.

Il Comune di Malegno ha già mosso qualche passo in questo senso, prendendo gli opportuni contatti. E' necessaria però una preventiva sensibilizzazione della gente.

Spero, con questo mio contributo, di aver gettato il sasso nello stagno.

Pier Luigi Milani RACCOLTA DEL VETRO IN VAL CAMONICA IN VAL CAMONICA escluso Malegno

MESE

Q .li di vetro

raccolto

ottobre 1986 novembre 1986 dicembre 1986 gennaio 1987 febbraio 1987 marzo 1987 aprile 1987 maggio 1987 giugno 1987 luglio 1987 agosto 1987

498 322 464 555 367 565 419 448

508 507

705 5.358

Popolazione servita: circa 67.800 abitanti.

Conferimento medio: circa Kg. 8,5/anno per abitante.

QUALCHE DATO SULLE «PILE»

Un grammo di mercurio contenuto nelle pile è sufficiente a contaminare 20 mila chilogrammi di •a limenti. L'uomo non può tollerarne più di 0,3 milligrammi alla settimana.

Si stima che il consumo mondiale di mercurio sia di 10.000 :t onnellate all'anno, di cui 2 mila ricadrebbero nell'ambiente (39 ,4 in Italia), ·L a quantità media presente in ogni pila è di circa 78 milligrammi, oltre un grammo ogni 13 pile. Ogni italiano consuma

circa 6 pile all'anno e getta nella spazzatura circa mezzo grammo di questo veleno che non si elimina nemmeno se sotterrato e che, bruciato, diventa anche più dannoso.

-33-

MALEGNO E I SUOI MAGLI: STORIE DI FATICHE E DI INGEGNO Nel precedente numero del Bollettino, Oliviero Franzoni ha esposto e documentato efficacemente il ruolo che Malegno ha avuto nella produzione delle «ferrarezze» nel corso dei secoli passati.

Senz'altro la posizione, per niente affatto trascurabile, occupata dai «fucinieri» malegnesi trova una sua spiegazione nella particolare ubicazione del paese, posto a metà strada tra due importanti centri abitati e commerciali (Breno e Cividate), attraversato dalla via Valeriana e collegato a Borno ,Lozio e la Valle di Scalve (da cui proveniva buona parte del minerale ferroso utilizzato nelle fucine camune). Inoltre il paese -è solcato dal torente Lanico, incassato in una valle stretta che 1s i presta facilmente allo sfruttameno idraulico delle sue abbondanti acque ed è circondato dai boschi e dalle pinete di Lozio e Ossimo (da cui proveniva il legname per le opere di carpenteda e per la produzione della «carbonella» utilizzata nei forni fusori e di preriscaldamento del metallo da fucinare).

Tutti questi fattori hanno fatto sì che il paese trovasse una propria «vocazione» nell'arte del ferro; vocazione che si è mantenuta e sviluppata fino ai nostri giorni. Questa particolare «ubicazione» del nostro paese non va sottovalutata: Malegno infatti, a differenza di altri paesi camuni come Malonno, Paisco Loveno, Sellero, Ono S. Pietro, Cerveno, ecc., non disponeva di miniere sul proprio territorio, né di estesi boschi ove attingere legname. Si trovava però sulla via del commercio del ferro e per Malegno dovevano :transitare buona parte dei prodotti, sia grezzi che lavorati.

Bisogna altresì considerare che il fondo-valle non era «urbaniz2.1ato» come lo è ora; l'unica via di collegamento era la antica Valeriana I.!, a Sud, il Lago d'Iseo costituiva un'insormontabile strozzatura. Per cui la viabilità, anche commerciale, assumeva una direzione intervalliva, favorendo gli scambi, siia materiali che umani e culturali, tra le valli contermini, più di quanto avvenga oggigiorno.

Sono un indice sicuro di ciò gli stessi cognomi disseminati, non casualmente, lungo le direttrici del commercio delle «ferrarezze» come quelli degli «Scalvini» e «Scalvinoni» che possiamo

-34 - -

Interno di una fucina con maglio, incudine e attrezzi vari.

In primo piano, badili in fase di lavorazione.

tuttora facilmente rinvenire sia a Borno che a Berzo, Esine, Bienno, Bagolino, Lumezzane, ecc., fino alla città di Brescia.

Cognomi diffusi, appunto, lungo tutto il percorso che collegava la Val di Scalve (esportatrice di minerali ferrosi) alle Valli Camonica, Sabbia e Trompia, fino alla città 1• Ugualmente indicativi dei mestieri dei loro antenati sono altri cognomi pure diffusi in tuìta la Val Camonica, anche se più distribuiti, come Ferri, Ferra.ri, Ferretti, Frerini, Ferraroli, ecc. Del resto tutto l'arco alpino, più o meno coinvolto dal Commercio delle ferrarezze (e non casualmente, vistia la predisposizione allo sfrutta1

Confronta elenco telefonico, comuni di Anfo, Bagnolo Mella, Bagolino, Gardone V. Trompia, Lumezzane, Brescia.

-35-

mento idraulico di fiumi e :torrenti), è rimasto disseminato di cognomi ché riecheggiano gli antichi mestieri: se in Italia sono diffusissim-i i «Fabbri», in Francia trovamo i «Léfèbre», «Léfèvre» e «Fabre» e, nei paesi di lingua Tedesca, gli «Schmidt» (che, appunto, significa fabbro).

Quella del ferro era in effetti un'economia articolata e ricca, che coinvolgeva minatori, legnaioli e tagliaboschi, fabbri e operai, commercianti e carrettieri, per non dimenticare i falegnami e i carpentieri 2• Si trattava di una vera e propria corporazione, dai caratteri intervalligiani e persino transnazionali, sicuramente capace di far sentire la propria voce e di tutelare i propri -interessi particolari.

Come hanno rivelato la citata ricerca di Franzoni e quelle di Bontempi e Maculotti 3, i «·signori delle ferrarezze» riuscivano a strappare privilegi fiscali non indifferenti sia ai dominatori veneziani (bisogna infatti ricordare che Venezia domina la Val Camonica per circa 300 anni), sia a Napoleone, sia agli Austriaci.

Ed è pur vero che proprio l'arte delle ferrarezze, così bisognosa di legname per la produzione di carbonella, finiva per impoverire drammaticamente i boschi e in generale le risorse naturali. Purtuttavia, essa veniva sempre gu•ardata con un occhio di riguardo dai vari «dominatori», forse perché produttiva di beni non destinati all'immediato autoconsumo o forse, perché da sempre legata alla produzione di armi o, comunque, facilmente riconvertibile ra i fini bellici.

Sta di fatto che intorno alla metà del 1800 una serie di fattori concomitanti, quali il ritardo :tecnologico (vedi la estraneità della penisola italiana alla «rivoluzione industriale»), il crescere del costo della carbonella dovuta alla penuria dei boschi 4, la concorrenzialità del prezzo del carbone e del minerale ferroso import~ti dall'estero attraverso i porti marittimi, rispetto a quelli· prodotti in loco, cominciano a far sentire il loro peso sull'economia del ferro, camuna e, più ampiamente, alpina.

Così, dopo un secolo di alti e bassi, delle 120 officine per la 2

Nei soli lavori minerari risultavano impiegati nel 1786 250 operai a Malonno, 300 a Paisco, 220 a Laveno, 130 a Corteno, 60 a Stadolina.

3 Vedi i relativi saggi in (<Appunti» Bollettino del Circolo Culturale G. Ghislandi, n. 1/87. Reperibile presso la Biblioteca Civica di Malegno.

4 G. Carlo Maculotti in (<Appunti», n. 1/ 87, pag. 13: «Le autorità dovevano intervenire per moderare il taglio indiscriminato del bosco e ciò si ripercuoteva negativamente sul costo del carbone che nei secoli XVII XVIII e XIX superava quasi sempre il costo dello stesso minerale».

-

36 --

lavorazione del ferro esistenti, nel 1873 ne rimangono in funzione solo 72, di cui 7 a Malegno 5• Come sappiamo da O. Franzoni, Malegno pur calando da 10 a 7 fucine riesce a resistere alla crisi meglio di altri centri, in quanto è vers,a to in una produzione più specializzata e diversificata; non può però evitare di essere travolto dalla onda lunga della corrente sfavorevole che impoverisce l'intera area camuna e lambisce tutto l'arco Alpino.

La crisi economica che travaglia le Alpi sul finire dell'800 e che le trasforma da luoghi di produzione di ricchezza in aree di sottosviluppo è all'origine della erronea convinzione che l'economia camuna sia stata in passato prevalentemente o esclusivamente agricola.

La «vocazione» metallurgica di Malegno invece sopravviverà e si svilupperà nel '900, con nuovi impianti, questa volta industriali. Non solo le fucine dovranno essere trasferite dalla golia del «Put» alla attuale via M. Gheza, con la costruzione di un nuovo canale di derivazione delle acque del Lanico, ma nuovi fattori diverranno determinanti, quali la realizzazione della ferrovia Breno-Iseo-Brescia nel 1907, l'installazione di nuovi e moderni stabilimenti (che hanno modificato l'assetto urbanistico e viario della Valle, basti pensare all'abitato di Cogno, creato «ex novo» intorno e per lo stabiHmento Olcese) le scoperte tecnologiche, ecc.

Di come queste trasformazioni si siano verificate nel tessuto produttivo di Malegno poco o nulla sappiamo: se siano state decise dai proprietari delle fudne o se siano state il risultato di uno sforzo collettivo, coinvolgente l'intera comunità o l'amministrazione comunale (un po' come era per il torchio?). Nemmeno sappiamo se il tra!sferimento -delle fucine sia stato frutto di una scelta calcolata, ovvero la conseguenza della costruzione del canale per la diga di Camina.

Il fattore della «ubicazione» del paese lungo la vecchia via del ferro perderà progressivamente peso, mentre lo acquisterà quello idrico o più propriamente quello idroelettrico. Il torrente Lanico attirerà l'attenzione dell'imprenditoria camuna più attenta, anche perché per parecchi anni ancora non sarà possibile trasferire l'enetgia elettrica a grandi distan~e senza perdite eccessive.

Non va però dimenticato il fattore umano; secoli di espe5

G. ROSA, Valcamonica e Lago d'Iseo nella Storia», 1881, pag. 198.

-37-

rienza nella lavorazione del ferro consentiranno di trovare in Malegno il personale qualificato anche per le nuove lavoraz·ioni.

L'intuito e le scelte anticipatrici di alcuni «.capitani d'industria» quali l'Avv. Maffeo Gheza e Antonio ,e Francesco Rusconi faranno H resto. I Rusconi, già proprietari di fucine in Bienno e Malegno, fondano all'inizio del '900 la «Metallurgica Rusconi» che opera fino agli anni '20 e viene poi assorbita dall'ELVA 6• L'Avv. Gheza fonda nel 1933 la SELVA (Società Elettroside~ rurgica di Vallecamonica), prima ubicata a Sellero, poi trasferita nel 1937 a Malegno. Ampliata dopo il 2° conflitto mondiale, è arrivata nel 1957 ad occupare 249 dipendenti.

Le fucine «tradizionali», di proprietà della famigHa Nobili, continueranno invece ad operare in via M. Gheza fino alla metà degli anni '60, spegnendosi poi silenziosamente di fronte alla concorrenza dell'industria e dei nuovi prodotti. Malegno continuerà comunque a mantenere una posizione significativa nella graduatoria dei comuni «industriali» della valle e della provincia: nel 1951 lo troviamo infatti al 13° posto della graduatoria provinciale (ma al 2° di quella valligiana, sopravanzato solo da Darfo), nel 1961 al 9° posto (secondo in valle dopo Pian Cogno); nel 1971 scende al 65° posto ( 11° in valle) e vi rimane nel 1981 (ma 12° in valle).

IL LAVORO ED IL FUNZIONAMENTO DELLA FUCINA

Sin dai tempi delle prime fucine, la fonte di energia principale era l'acqua che, trasportata attraverso canali, giungeva ,a l luogo di lavorazione e permetteva il funzionamento degli impianti.

La fucina nel suo complesso era generalmente costituita da un forno, una «tina de l'ora», un maglio, diversi fuochi, uno o d~e incudini, una cesoia ed una mola.

La materia prima della fucina era il ferro (es. binari, ruote

6 ELVA: Società Elettrica di Vallecamonica. Sorge nel 1907 dalla trasformazione della preesistente Cooperativa Elettrica sorta, a sua volta, nel 1888 in Breno. Ne sono promotori e azionisti F. Beccagutti, M. Gheza, G.A. Ronchi e F. Rusconi, pure membri del Consiglio di Amministrazione della Banca di Valle Camonica. Negli anni '30 la ELVA avvia sul torrente Lanico i lavori della centrale che poi fornirà energia alla SELVA, di proprietà di M. Gheza e altri soci della stessa ELVA. Per maggiori infor• mazioni sulla figura dell'Avv. M. Gheza vedi «Archivio» del G.I.S.A.V. disponibile presso la Biblioteca civica di Malegno.

-38-

dei treni) per lo più :trasportato con la ferrovia. Una volta giunto alla fucina, questo (già tagliato a pezzi) veniva messo nel forno e fatto ,s caldare per 15-30 rni:nuti.

Il forno era costituito da mattoni refrattar-i e diviso in due sezioni o settori sovrapposti: nella sezione inferiore (Fopa de 1'a legna) si metteva la legna od il carbone da bruciare; in quella superiore si mettevano i pezzi di ferro da scaldare i quali erano a diretto contatto della fiamma. Per mantenere viva la fiamma del forno veniva utilizzata l'aria prodotta nella tina de l'ora.

Quest'•a ria la si otteneva attraverso il naturale sfruttamento di una cascata d'acqua che andava a sbattere su di una grossa pietra, ammessa in tubi, lunghi anche diversi metri, quest'aria giungeva sino al cuore del forno.

I pezzi di ferro venivano passati dal forno al maglio, dove subivano una prima lavorazione e si otteneva la cosiddetta «cotela».

Il maglio, pur nella sua semplicità, era il frutto di un elaborato ed approfondito studio dello sfruttamento dell'acqua per l'utilizzo produttivo e lavorativo. Nonostante il rs uo macchinoso funzionamento, prima della scoperta ed introduzione dell'energia elettrica aveva avuto un grandissimo sviluppo nella lavorazione del ferro.

Per meglio capire il funzionamento del maglio, lo si potrebbe dividere in due sezioni: una prima composta dalla ruota e dell'albero; una seconda composta dal maglio vero e proprio.

La prima sezione svolgeva un movimento rotatorio: attraverso la forza dell'acqua che scendeva da tubi a forma di imbuto. si faceva girare la ruota e questa l'albero su cui erano fissate quattro assi di ferro («palmole») che erano il punto di contatto con la seconda sezione. Quest'ultima, invece, svolgeva un movimento vet.ticale cadenzato, impressogli proprio dalle «palmole» che nef girare prima alzavano e poi facevano ricadereil maglio sul pezzo· di ferro che era in lavorazione: quindi, più veloce girava l'albero più colpi il maglio portava.

La fucina era sempre dotata di diversi fuochi o bracieri, la cui funzione era di mantenere il semilavorato (cotela) alla temperatura ·necessaria per le successive lavorazioni.

Nella seconda fase di lavorazione, la cotela passava alle incudini dove avveniva un primo processo di rifinitura: il pezzo così ottenuto, se difettoso, tornava al forno e subiva nuovamente l'intera lavorazione, altrimenti passava ancora al maglio per

-39-

ottenere la forma desiderata; infine con la ¡cesoia gli si dava una forma, un lineamento perfetto e con la mola lo si puliva dalle scorie del maglio ottenendo cosÏ il prodotto finito che veniva poi venduto. Tutte le diverse fasi di lavorazione, erano eseguite attraverso una rudimentale catena di montaggio in cui ogni fuciniere svolgeva un determinato compito.

ANALISI COSTRUTTIVA Canal: costruzione in legno, posta a 4-5 metri, che trasportava

l'acqua per la fucina.

Tromba: costruzione in legno a forma di imbuto che collegava la canal con i vari impianti della fucina.

¡--- -

---------

Pianta della fucina

-40-

IL MAGLIO

Roda: ruota in legno che serviva per far girare l'albero del maglia.

Cop: componenti della roda che ricevevano la spinta dell'acqua fuoriuscita dalla tromba e la facevano girare.

Erbor: tronco in legno, lungo 6-7 metri, che fungeva da collegamento tra la ruota e le palmole.

Palmole: erano quattro prominenze in ferro fissate sull'erbor, quasi alla sua estremità, fungevano da contatto con il manec del maglio.

Manec: trave in legno su cui era posta la testa del maglio. Subiva un movimento verticale attraverso le palmole che ad ogni loro giro lo alzavano dandogli la forza di battere poi sul pezzo di ferro.

Testa del maglio: grosso blocco in ferro incastonato nel manec che eseguiva l'operazione di lavorazione del pezzo.

Mazzetta: blocco in ferro su cui veniva posto il pezzo da lavorare.

Sotto vi erano: la mazza ed il «balot de la mazza» (terrapieno in pietra) per evitare che sotto i colpi del maglio la mazzetta potesse sprofondare nel terreno.

Guei: due sporgenze in ferro dell'erbor a forma circolare, poste alle sue estremità, che poggiavano sui «runì».

«Tìna de l'ora»

-41"-

Runì: pali a forma concava fissati al terreno che sostenevano

l'erbor. Generalmente erano in bronzo perché non subivano l'ossidificazione (cioé non facevano ruggine) permettendo così un più facile e rapido scorrimento dell'erbor.

Basta: asse in ferro che poggiava sopra i guei la cui funzione era di evitare scossoni all'erbor, permettendo un miglior funzionamento del maglio.

TINA DE L'ORA

Balot de la tina: pietra posta al centro della tina su cui andava a cadere l'acqua proveniente dalla tromba.

Scarico: sotto il balot de la tina c'era un canale di scarico dove l'acqua fuoriusciva.

Tubo de l'ora: tubo dove veniva immessa l'aria prodotta dalla

tjna e che arrivava sino al forno.

FORNO Furen: veniva così chiamata la sezione superiore del forno .dove

si metteva il ferro da scaldare.

Fopa de la legna: era la sezione inferiore del forno in cui veni-

vano posti la legna od il carbone da bruciare.

Tubo de l'ora: tubo proveniente dalla tina de l'ora, lungo anche

diversi metri, che serviva per alimentare la fiamma del forno .

DALLA FUCINA ALLO STABILIMENTO

A questo punto de1la nostra ·ricerca abbiamo ritenuto opporI tuno cercare più dettagliate notizie rivolgendoci ad alcuni anziani. Raccogliere notizie sulle fucine di tipo artigianale più che difficile è stato quasi impossibile perché non siamo riusciti a rintracciare persone che avessero vissuto in prima persona quell'esperienza di lavoro. E' stato più facile reperire delle informazioni a riguardo della più grande fucina esistente nel nostro paese a quel tempo, ]a MAR ovvero la Metallurgica Antonio Rusconi. Tale fucina si trovava dove ora c'è la ex Metalcam, anche se più che di fucina potremmo parlare di un'industria

-

42

~

vera e propria in quanto la quanti.là di manufatti prodotti ed i macchinari usati per la lavorazione facevano della MAR una realtà produttiva capace di proporsi a livello nazionale al punto di vendere i propri manufatti allo Stato e di accentrare su di sè l'attività delle altre fucine esistenti non solo a Malegno ma anche nei dintorni (a Berzo e a Bienno). Le notizie reative alle varie fasi di lavorazione ed alle condizioni di lavoro cui erano soggetti i dipendenti sono state raccolte in un'intervista a tre nostri compaesani che in diversi periodi ed a varie età hanno lavorato alla MAR. Si tratta dei Signori: Scolari Virgilio di anni 72, Fedriga Rico di anni 66 e Simonetti Giovanni di anni 71. Tutti entrarono in fabbrica a 12 anni, età minima richiesta per essere assunti; siamo circa negli anni 1930-40 e già alla MAR vi lavoravano più di 150 persone.

Come premessa diciamo che la ricostruzione qui presentata risulterà forse un po' sommaria ed approssimativa poiché ricomporre una parte, sia pure così piccola, della nostra storia locale, tramite il racconto orale, è sempre e comunque un lavoro soggetto a fraintendimenti ed imprecisioni per le quali ci scusiamo anticipatamente, qualora ve ne fossero.

La materia prima indispensabile per la lavorazione dei vari manufatti veniva ricavata prevalentemente dal riciclo di binari del treno che lo Stato rimuoveva da linee ferroviarie in disuso. La MAR acquistava quindi questi rottami ·e li faceva trasportare qui a Malegno servendosi ,d ella ferrovia in funzione già nei primi anni del '900.

Esisteva pure, dove ora c'è il piazzale interno della SEII, uno scambio che consentiva al treno di deviare dalla linea che va verso Breno e di salire verso lo stabilimento percorrendo una brece ed apposita linea ferroviaria di cui oggi non rimane più traccia. Giunti a destinazione, i vagoni venivano scaricati dagli operai addetti alla manovalanza. Tale operazione avveniva prevalentemente con il solo ausilio di leve e tanta forza di braccia, i rottami venivano caricati su di un carro trainato da un asino e portati nel punto dove iniziava la lavorazione vera e propria.

Già questa operazione di spostamento era molto faticosa se si pensa che una rotaia era lunga circa 6 o 7 metri e pesava sui 7-8 quintali. Ogni pezzo richiedeva almeno quattro persone per essere spostato. La prima fase consisteva nel tagliare questi binari in maniera da accorciarli e nel separare i vari tipi di materiale a seconda della consistenza e della forma. Infatti se

-43-

noi consideriamo il profilo frontale di una rotaia possiamo dividerla in tre parti. La parte super-i ore, quella più grossa e massiccia, veniva chiamata in gergo «curdu»; la parte intermedia più sottile era chiamata «·s pladetta» e la parte inferiore con cui la rotaia veniva fissata al terreno, veniva chiamata «splada» ed aveva una forma più piatta.

Per eseguire questa operazione veniva usato un maglio ad acqua, l'unico presente alla MAR in quanto tutte le altre macchine funzionavano ad energia elettrica. Con questa operazione si selezionava il materiale da usare a seconda del tipo di manufatto da produrre. Infatti il «curdu» per la sua grossa consistenza consentiva di essere lavorato per ricavarne leve, asce e picconi. Con la «spladetta» si forgiavano pale e badili, con la «splada» venivano prevalentemente ricavate le pale da fuochista.

La. produzione non era però limitata a questi tipi di attrezzi; si forgiavano anche grovine (speciali picconi in dotazione all'esercito), secchi, forconi e vomeri per la lavorazione della terra.

Vale la pena riportare un aneddoto raccontato dal sig. Scolari il quale durante la campagna di Libia si trovò in dotazione nel suo equipaggiamento militare una grovina con impresso il marchio niente meno che della MAR: poteva averla forgiata lui stesso. Durante la prima guerra mondiale la MAR lavorava quasi esclusivamente per l'esercito per cui chi era alle dipendenze dell'azienda era esonerato dal servizio militare.

Ritorniamo alle fasi della lavorazione. Terminata la cernita del materiale, i pezzi venivano portati in magazzino e messi a disposizione del caporeparto. La gerarchia interna prevedeva infatti oltre al padrone due caporeparti che solitamente erano i due dipendenti più anziani.

Ognuno dei due aveva una specifica competenza, uno con• trollava il lavoro di stampaggio e l'altro il lavoro di forgiatura ai magli. Infatti il reparto di stampaggio era attrezzato con dei bilancieri, una trancia ed una pressa chiamata «berta».

Il reparto di forgiatura invece era composto da 8 grossi magli. Il caporeparto sceglieva -e pesava il materiale da mettere in lavorazione a seconda dell'ordine di fornitura cui doveva rispondere e lo mandava ai forni che a quel tempo funzionavano ancora a legna o •a carbone. La graduale lavorazione con il maglio o con il bilanciere dava al pezzo di ferro incandescente la forma desiderata. Terminata l'operazione di s.tampaggio la lavorazione a caldo continuava con la finitura. Un operaio tagliava le

-44-

sbave mediante una trancia ed un altro con incudine e martello raddrizzava il manufatto. Il pezzo veniva poi raffreddato. La fase di lavorazione a freddo consisteva nella molatura finale e nell'ungere il pezzo così da proteggerlo dalla corrosione della ruggine. Quest'ultima operazione veniva per lo più svolta da donne e ragazzi.

Questo, in sintesi, il processo di lavorazione che si svolgeva all'interno di questa importante realtà produttiva ed economica presente nel nostro paese. Una fonte di reddito ·a cui molte famiglie attingevano ma anche un lavoro sicuramente duro e non privo di rischi. Non mancarono infatti alcuni raccapriccianti infortuni. Lo stesso ambiente non era certo confortevole: fumo, polvere, rumore ed una continua sudorazione arrecavano alla lunga danni alla salute.

Il costo di un progresso che da sempre chiede sacrifici, quello is tesso progresso che di lì a pochi anni segnò anche la fine di questa realtà produttiva in quanto con l'avvento della plastica e di più moderne tecnologie questo impianto, un tempo all'avanguardia, venne a trovarsi in una situazione svantaggiata e quindi in una crisi irreversibile.

La MAR venne ceduta da Rusconi ad una cooperativa in seguito fu rilevata da Brichetti e Santi, il passaggio di proprietà continuò in successione con Brichetti e Bui cui seguì Gheza e per ultimo Tassara. Durante queste cessioni venne cambiato anche il tipo di produzione.

LE FUCINE: DOVE ERANO

1) M.A.R.: Metallurgica Antonio Rusconi. Inizia ad operare come fabbrica industriale nel primo decennio del Novecento. Ne] periodo di prqprietà della famiglia Rusconi la Metallurgica venne affittata dapprima a Brichetti & Santi, poi a Brichetti & Bui. In seguito vi fu il passaggio di proprietà da Rusconi a Gheza e quindi da Gheza alla famiglia Tassara. La M.A.R. aveva sede m via S. Antonio, ora via Gheza.

2) Fucine di via Lanico (Proprietà SIMVA/ Greza).

3) Fucine di via S. Antonio, ora via Gheza. (Proprietà fam.

Nobili).

4) Fucine di via S. Antonio. (Proprietario Vielmi Fabrizio.

Affittuario Guarinoni Carlo).

5) Fucine di via Ponte. (Lavoravano per la repubblica Veneta) .

-45-

CONDIZIONI DI LAVORO

Nelle fucine si iniziava a lavorare a dodici anni, ed in quelle a gestione familiare anche prima. Già a dodici anni si lavorava otto ore al giorno e più, però non era permesso far lavorare questi ragazzi di notte; si iniziava a lavorare di notte quando si avevano almeno ·sedici anni.

Le pause erano uguali per tutti. fanciulli e adulti: per chi lavorava «in giornata» la pausa-pranzo era di un'ora, ovviamente non compresa nelle otto lavorative; per i turnisti, invece, la pausa era ài 15/ 20 minuti compresi nelle otto ore. A questo proposito ricordiamo che già allora la legge stabiliva in mezz'ora il limite minimo per il riposo nel lavoro a turno.

Per quanto riguarda l'ambiente di lavoro, non si può che sottolineare quanto questo fosse deleterio per la salute di chi vi lavorava: le -fucine erano fornite di più finestre prive di vetri per permettere, d'estate, una certa aerazione; i vetri però mancavano anche d'inverno ed allora ci si scaldava semplicemente col calore dei forni. E' facile intuire che in tale ambiente, nel corso della giornata lavorativa, si passava continuamente dal caldo al freddo, dal sudore alle correnti d'aria, tanto che la polmonite poteva considerarsi una sorta di malattia professionale.

L'ambiente lavorativo era inoltre umido, polveroso, rumoroso e poco illuminato, con i servizi igienici o inesistenti o molto rudimentali, spesso posti fuori dal luogo di lavoro. Anche a questo proposito vogliamo ricordare ,c he già allora la legge stabHiva che «i locali di lavoro e le rispettive dipendenze... debbono avere una cubatura ed una ventilazione sufficiente ad impedire che l'aria -risulti dannosa, debbono essere mantenuti in buona manu~enzione, essere liberi di umidità ... ».

Con ciò abbiamo voluto sottolineare il contrasto esistente tra la notevole rilevanza produttiva delle fucine e la «rudimentalità» di un contratto di lavoro che troppo spesso lasc-iava inattuate le direttive dettate dalle leggi allora vigenti.

ORGANIZZAZIONE

Premesso che tutte le fucine di Malegno lavoravano per la Metallurgica e che di conseguenza quest'ultima può essere considerata di gran lunga la più importante, abbiamo inteso

-46-

riportare soltanto la sua struttura organizzativa la quale si presta maggiormente ad una organica schematizzazione.

La struttura organizzativa può essere rappresentata da una piramide al cui vertice si trova il padrone; sotto di lui troviamo due capi, uno nella sala magli e l'altro nel reparto stampaggio.

Troviamo poi un «maister» per ogni maglio (vi erano 7 /8 magli), accanto ad ogni maister vi erano due «boe.fa» detti «braschì».

Alfa base della piramide organizzativa troviamo i manovali addetti al trasporto del ferro all'interno della fucina.

Nella Metallurgica lavoravano circa cento persone.

TRATTAMENTO RETRIBUTIVO

Per quanto riguarda il ·trattamento retr-ibutivo, dalle interviste fatte abbiamo tratto dei dai che riproduciamo qui di seguio. Questi dati sono stati riferiti «a memor-ia», per questo non possiamo considerarli esattamente corrispondenti alla realtà, .tuttavia ci sono parsi utili ed indicativi dello status economico dei lavoratori interessati.

In via preliminare ricordiamo che lo stipendio veniva corrisposto ogni quindici giorni e che i dati sotto riportati si riferì~ scono alla seconda metà degli anni Trenta.

40 centesimi/ora per fanciulli fino a quindici anni.

60 centesimi/ora per adolescenti fino a diciotto anni.

1-1,20 lire/ora per operaio, età media, non specializzato.

1,50-1,60 lire/ora per operaio specializzato.

2 lire e più/ora per la funzione .di capo.

Per valutare le somme si :tenga conto che nello stesso periodo, con 4/5 lire si comperava un chilo di burro.

-47-

Tabella di comparazione Anno

Lire

1901 1911 1921 1931 1941 1951 1961 1971 1983

1 1

Uguaii a lire nel 1983

1 1

1 1 1 1 1

2.396,61 2.136,98 504.79 541,00 343,29 9,09 6,86 4,83 1,00

Alla ricerca hanno collaborato: Milani Gerardo, Fedriga Danilo, Milani Pierluigi, Genesini Marco.

Per la riproduzione delle piantine e della foto tratte dal volume «La Valle dei magli» si ringrazia l'autrice Franca Ghitti.

NOTIZIE DAL G.E.M. Stagione 1988 Siamo sulla linea di partenza di questo nuovo periodo estivo da passare in compagnia a contatto con la montagna e la natura.

Come già negli anni precedenti, la direzione del G.E.M. ha provveduto all'elaborazione di un calendario di escursioni che ci vedrà impegnati da domenica 29 maggio a domenica 18 settembre, per un totale quindi di circa una ventina di escursioni.

Ci sono alcune novità.

La prima, e forse la più importante, è l'impegno che il nostro gruppo si è assunto di collaborare più strettamente con la sezione e.A.I. di Cedegolo. A tal scopo proporremo la nostra escursione al Corno Marcio come gita sociale.

Inoltre, nella stesura del nostro calendario abbiamo fatto attenzione a non far coincidere le date delle nostre escursioni con quelle già programmate dalla sezione come gite sociali.

E' da notare che questa collaborazione ci procurerà inoltre

-48-

dei vantaggi. Infatti, secondo le promesse fatteci dal Presidente della sezione, il nostro calendario sarà pubblicato sull'«Isiga Notizie», spedito a tutti i tesserati e.A.I. della nostra sezione; quindi ci sarà una maggior diffusione e conoscenza della nostra attività.

Dopo questa prima novità, altre ne sono maturate negli incontri presso la nostra sede che, vi ricordo, è sempre presso la Biblioteca Comunale.

Si è pensato di introdurre un nuovo sistema, più semplice e completo, nella valutazione delle nostre escursioni. Tale sistema si basa praticamente su quattro possibilità: - E.E.F. = Escursionismo Estremamente Facile. Ciò significa che il percorso è compreso fra le 2-3 ore di cammino, il fondo del sentiero è in buone condizioni, prevalentemente strada mulattiera, non ci sono ripide salite nè altre difficoltà. Un'escursione di questo tipo può essere indicata anche ai gruppi familiari.

- E .F. = Escursionismo Facile. Come per il primo caso il percorso è compreso fra le 2-3 ore di cammino, il fondo del sentiero si può presentare, però, variato (un po' di mulattiera, una po' di sentiero nel bosco, un po' di ganda, ecc.), inoltre, ci si può trovare di fronte a qualche ripida salita. Un'escursione di questo tipo è aperta a tutti; è però di regola avere almeno un minimo di buon senso nell'affrontare le parti più impegnative del percorso e un mini.mo di attrezzaturc.t (scarponi) adeguata al tipo di terreno.

- E.D. = Escursionismo Difficile. In questo caso il percorso più che assumere importanza per la sua lunghezza, che potrebbe essere di 3-5 ore, ha importanza sapere che il sentiero ci porta a marciare a quote tra i 2000-3000 metri e facilmente si può incappare in at.traversamenti di nevai d'alta quota, per cui è importante che chi partedpa ad escursioni del genere ab~ia allenamento, attrezzatura e abbigliamento adeguati alla situazione.

In questo caso si possono raggiungere con condizioni climatiche avverse anche temperature molto rigide.

- E.E.D. = Escursionismo Estremamente Difficile. Riassume praticamente le stesse condizioni del caso precedente, con le varianti di ripide salite su ghiacciaio, condizioni climatiche più avverse e quota di marcia dai 3000-4000 metri. E' ovvio che i partecipanti ad escursioni di questo genere saranno pochi; è però vero che nel nostro calendario sarà presente in un solo caso.

Sarà interessante notare che, a volte, le sigle precedentemente descritte compariranno in coppia. Ciò significa che una parte del percorso presenta un tipo di difficoltà e un'altra parte presenta caratteristiche come descritte dalla sigla stessa.

Altra novità: sta prendendo il via, anche se ancora non ha nulla di definito una nuova attività, sempre legata alla montagna.

Il gruppo lo chiameremo G.S.M. (Gruppo Skiatori Malegno) oppure S.C.M. (Sci Club Malegno), o non si sa ... Contiamo però sull'adesione di tanti appassionati a questo sport affinché almeno per il prossimo inverno si possa meglio definire questa nuova realtà giovanile di Malegno.

Ancora alcune brevi note.

Fino alla fine del mese di marzo sono disponibili presso la Biblioteca Comunale i bollini per il rinnovo delle tessere; è molto importante mantenersi iscritti altrimenti, se entro tale periodo alla sezione non perviene il vostro rinnovo, la sezione stessa provvede rapidamente ad annullare la vostra tessera e pertanto non avrete più lo copertura assicurativa in caso di incidente in montagna.

Altra bella iniziativa del G.E.M. è quella di organizzare per la metà del mese di marzo una gita invernale, tra tutti gli appassionati della montagna, nella località di Moena in Val di Fiemme. Particolari più dettagliati li troverete presso la Biblioteca e i bar dove si raccoglieranno anche le sottoscrizioni alla gita stessa.

La Direzione del G.E.M.

Calendario escursioni 1988 Domenica 29 maggio

Colle Vareno

Domenica 05 giugno

Da Sale Marasino alla Punta Almana

Domenica 12 giugno

Pizzo Camino

Domenica 19 giugno

Corno Marcio

Domenica 26 giugno

Rifugio Prudenzini

Domenica 03 luglio

Vedi Calendario Sezione

Domenica 10 luglio

~

Rifugio Aviolo, Passo delle Plate, ( Rif. Aviolo

Domenica 17 luglio

Pizzo Badile Camuno

Sabato 23 luglio Domenica 24 luglio

(

Domenica 31 luglio

Vedi Calendario Sezione

Domenica 07 agosto

Vedi Calendario Sezione

Sabato 13 agosto Domenica 14 agosto Lunedì 15 agosto

~

Domenica 21 agosto

Rifugio Ghezza - Laghetto Mare

Sabato 27 agosto Domenica 28 agosto

) Vedi Calendario Sezione

Domenica 04 settembre

Pian della Regina

Sabato 10 settembre Domenica 11 settembre

(

Sabato 17 settembre Domenica 18 settembre

~

~

Vedi Calendario Sezione

Granparadiso - Aosta

Vedi Calendario Sezione

) Lobbia Alta - Cannone 198

N .B . - Le escursioni del calendario sono suscettibili di variazioni nei casi di necessità anche senza preavviso.

LA FANTASIA DEI BAMBINI LAKI ROSPO CANTANTE

C'era una volta un rospo presuntuoso che credeva di essere un bravissimo cantante. Ogni sera con cravatta e cilindro organizzava, su di una ninfea in mezzo allo stagno, lunghi concerti alla luna.

Ma una notte... come tutte le altre, il rospo venne sulla sua meravigliosa barchetta e trovò un grande uovo. · Il rospo disse: «Che cosa sarà?» Laki incuriosito lo aprì e disse: «Ma che scherzo è questo? Uno specchio?» Infatti era proprio uno specchio e la luna fece riflettere i suoi raggi e gli

-51-

disse: «Lo sai che sei uno strazio con i tuoi concerti? Mi ricordo ancora di quando pizzicavi la tua chitarra: era, era, era; p~r non parlare del concerto di ieri sera: la, la, la, la; vi ricordate ragazzz.·:,».

A questo punto saltarono fuori tutti gli altri rospi e si misero a ridere ·che era un finimondo.

Da quel giorno il rospo diventò meno presuntuoso e più bravo.

Storia inventata da un alunno di 3a B

LUDWING, IL CAVALLO FATATO E ALFA DEL CENTAURO C'era un bambino finlandese di nome Ludwig che voleva un cavallo fatato per andare sull'asteroide Alfa del Centauro, lontana dalla Terra quarantaduemila anni luce. Dal nulla appare il cavallo fatato e Ludwig gli chiede: «Mi porteresti . su Alfa del Centauro?, «Sì, salta in groppa». Si avviano, ma vengono catturati dagli alieni di re Nettunio e sono cacciati in una prigione laser con raggi al laurenzio. Arriva Nettunio il capo del pianeta ed esclama: «Morirete ah ah! ah! eh eh! ih! ih!». Ludwig dice al cavallo fatato: «Siamo fritti» e il cavallo dice: «Userò i poteri magici»; escono in un baleno: «Siamo salvi». E si dirigono verso Alfa del Centauro, ma vengono inseguiti dalle guardie del pianeta Kriptonxen.

Il cavallo inserisce il turbo tempo spark dopo dieci giorni arrivano su Alfa del Centauro ma c'era troppo caldo, perché c'erano sette soli. Il re Kriptonken diventa loro amico e distruggono il mostro di Ankaraka.. Ludwig ritorna sulla Terra e va a vedere l'Everest, incontra lo Yeti e scopre che è amico del cavallo fatato . Dopo trenta giorni ritorna a casa.

Ludwig racconta la sua avventura, ma nessuno gli crede e allora il cavallo scompare e al suo posto rimane un faglio con scritto: «Quello che vi dice Ludwig è la verità». Allora tutti credono alla sua storia e vorrebbero vivere una avventura come la sua.

Storia inventata da un alunno di 3• A

-52-

SOMMARIO: Presentazione .................................... .

pag. 3

Ricerca: il Mulino del Lanico ............... ... . .. .. .

pag. 4

Assemblea Annuale AVIS .................. ... ..... .

pag. 17

Luci e colori del Natale ........................... .

pag. 19

ANFAS .......................................... .

pag. 20

Don Giovanni Simonetti ....................... .. . . .

pag. 21

COAMA: un'associazione di paese per il paese ........ .

pag. 30

Chi di rifiuto colpisce ............................. .

pag. 31

Malegno e i suoi magli ............. . ..... ......... .

pag. 34

Notizie dal GEM ............. .... ....... .. ........ .

pag. 48

La fantasia dei bambini ........................... .

pag. 51

Stampato dalla TIPOLITOGRAFIA MATTIA QUETTI Via Concordia, 9 - Tel. 0364/55087 - ARTOGNE {Brescia) nel mese di Marzo 1988

~

Banca di Valle Camonica

S.p.A. Fondata nel 1872 CapHale e riserve L. 38.943.000.000 · lscr. al n. 1 Reg. Soc. Trib. di Brescia

Dlrtzlone e Sede Centrale: DRENO Tel. 22061 - 22062 - 22851 (5 linee r.a.)

Telex 300566 VCBANK

APRICA

UNA REALTÀ VIVA, UN PUNTO DI RIFERIMENTO SICURO PER L'ECONOMIA LOCALE