Weekly Enjoy #007

Page 1

IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO

Ogni fine settimana, al vostro indirizzo di posta elettronica, vi verrà recapitato il Weekly Enjoy, un magazine con notizie, servizi, approfondimenti e consigli più interessanti della settimana. Chi ha fame di notizie enogastronomiche può mettersi a tavola. Il servizio è gratuito

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
Pubblicazione settimanale gratuita #007 - 05 Agosto 2023
Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi Coordinamento Editoriale Digital: Carlo Carnevale Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola Direttore Commerciale: Michele Belingheri

VIP: VERY IMPORTANT POSTO

RISTORANTE MOI OMAKASE

La casa di Carlo Cracco a Milano, che insieme a Luca Sacchi propone cucina superba e ambiente senza paragoni. Metti un ristorante in piena Galleria Vittorio Emanuele di Milano. Arredalo con fine e delicata eleganza, con spazi ampi e vista sulle meraviglie e gli sfarzi di uno dei luoghi al chiuso più celebri d’Italia. Manca, a chiudere il cerchio, solo un grande cuoco. Che però qui c’è. E anzi sono due: Carlo Cracco e Luca Sacchi. Benché ormai volto noto televisivo, Cracco non rinuncia, assieme al suo fido braccio destro – ormai il confine tra l’uno e l’altro non è più chiaro neanche a loro – alla sua inarrestabile vena creativa e personale. Questa cucina è tra le più personali e connotate d’Italia, senza dubbio. Non un punto di riferimento, non un già visto, tutta farina del loro sacco. Il piatto che più impressiona è il Piccione ripieno in insalata, rafano, cipolla e amaretto. Una sorta di libera interpretazione e visione di una cima di testa genovese che, al di là della forma e di alcune parti della cottura, non ha quasi nulla dell’originale: ecco quindi un piccione non eseguito e presentato crudo ma addirittura una doppia cottura, che ricorda una sorta di galantina di piccione dal risultato fenomenale. E poi, fra gli altri piatti, il Coniglio in bianco, opera d’arte italianizzata di una royale di selvaggina, il Musetto di maiale al verde, pietanza in cui la grassezza e la nota tannica dei vegetali si rincorrono in continuazione. Il servizio, giovane e dinamico, tiene il passo della cucina. La carta dei vini è monumentale, e tutto sommato a prezzi accettabili, considerando l’ubicazione.

VIP: VERY IMPORTANT PIATTO

VI RICORDATE LE ZUCCHINE ALLA SCAPECE?

VILLA GREY CHEF: GIOVANNI CERRONI

Piatto della tradizione napoletana, le zucchine alla scapece sono una delle rivisitazioni più interessanti di Giovanni Cerroni, nuovo chef di Villa Grey, a Forte dei Marmi C’è un nuovo chef a Villa Grey, la bella struttura alberghiera affacciata sul litorale di Forte dei Marmi: Giovanni Cerroni, trentuno anni, romano, importanti esperienze dai migliori chef d’avanguardia internazionali (Aduriz) e italiani (Giacomello), da cui ha appreso le basi tecniche più importanti, usate però non per stupire, magari con il già visto, ma per valorizzare al massimo le materie prime e i piatti, che dietro tanto lavoro, sono di grande leggibilità e gusto. Il Mediterraneo è al centro della sua riflessione, con il vegetale ad assumere un ruolo importante, come nella sua versione delle zucchine alla scapece, piatto della tradizione napoletana, dove frittura, aceto e menta sono protagonisti. Qui l’ortaggio viene messo sotto sale e fritto, condito con un gel di scapece e menta, sopra una cialda croccante di amido e acqua di zucchine, che ritornano in cima al piatto crude e marinate sott’olio. E quando lo assaggiate, acido, fresco, croccante, i sapori della memoria esplodono in bocca.

LE DUE CENTRALI DI AGOSTO

Si avvicinano le celeberrime (o famigerate) “due settimane centrali di agosto”: il miraggio della pausa estiva per le attività delle città meno battute, e il periodo di maggior densità per le realtà balneari o turistiche. È quindi il momento per tenere d’occhio quello che questi quattordici giorni possono rappresentare. Per le insegne che rimarranno spente, una duplice occasione: godere di sano riposo dopo i primi sette mesi d’attività del 2023; e, ancor più importante, riflettere sui temi più caldi dell’ospitalità di oggi. Si vedano le condizioni di lavoro dei dipendenti, l’onestà intellettuale nell’impiego di materie prime e filiera corta, i pagamenti elettronici, la sostenibilità economica. Che la vacanza sia anche momento (rilassato) di analisi e progettazione per un futuro migliore.

Per le serrande che staranno su, l’augurio (in parte anche preghiera) è quello di non lasciarsi irretire dal guadagno facile, a scapito della qualità. Essere tra i pochissimi locali aperti in città semivuote, o nel cuore di mete con fiumane di potenziali ospiti, può garantire introiti importanti; che la prospettiva non faccia rinunciare a tenere altissima l’asticella del servizio e della proposta, e non offuschi il ruolo che ciascun locale ha, in un impianto da valorizzare e irrobustire senza sosta. Una sola esperienza negativa, un solo granello tra gli ingranaggi (per quanti oliati, in questo caso di crema solare), può concorrere a danneggiare il meccanismo.

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
di Alberto Cauzzi di Alfonso Isinelli Carlo Carnevale Carlo Carnevale Coordinatore editoriale digital de Le Guide de L’Espresso
VILLA GREY Viale Italica, 84 Forte Dei Marmi Tel: +39 393 919 4002 villagrey.com
NOME DELLO CHEF : Carlo Cracco e Luca Sacchi MENU DEGUSTAZIONE : 200 euro, alla carta ci si attesta sui 190. RISTORANTE CRACCO Corso Vittorio Emanuele II Milano (MI) ristorantecracco.it

LA LAVORAZIONE DEL CIOCCOLATO?

Quando le cabosse di cacao (frutti oblunghi di circa 20 centimetri, del peso di circa 500 gram mi, contenenti le fave) giungono a maturazione esse vengono raccolte e aperte in due metà; le fave in esse racchiuse sono estratte e poste a riposare per la fermentazione sotto foglie di bana no o sotto apposite tettoie. Al termine della fermentazione, della durata da 3 a 7 giorni, le fave si separano dalla loro mucillagine, sviluppano i primi aromi, assumendo un tipico colore bruno. Le fave sono, dunque, lasciate al sole (o in speciali forni se le condizioni climatiche non sono favorevoli) per altri 15 giorni circa per l’essiccazione, cosicché possa limitarsi l’acidità, evitarsi l’insorgere di muffe e aversi un ulteriore sviluppo di aromi.

A questo punto, le fave di cacao vengono poste in sacchi di juta e depositate in magazzini in attesa della spedizione verso le fabbriche di cioccolato. Arrivate a destinazione, le fave vengono tostate: si esaltano così ulteriormente gli aromi e si riduce o annulla la presenza di eventuali batteri. La tostatura viene effettuata a temperature tra 110° e 150° e dura da circa 20 minuti fino ad un’ora. Dalle fave tostate si ottiene il burro di cacao e la polvere di cacao mediante un particolare processo di estrazione.

Poi, le fave di cacao vengono decorticate (viene eliminata la cd. cascara, la buccia che avvolge la fava) e frantumate, così da aversi la cd. granella (nibs in inglese, grué in francese).

Successivamente, si ha la fase della macinatura: le fave sono ulteriormente frantumate a caldo in un mulino così da essere trasformate in una pasta fluida, che rapprendendosi forma la c.d. massa di cacao (o pasta di cacao o liquore di cacao).

In presenza di cacao amaro, dopo la macinatura, viene effettuata l’alcalinizzazione (trattamento chimico effettuato generalmente con carbonato di sodio o di potassio), per ridurre gli eccessi di acidità ed amarezza, con l’appiattimento, però, di qualsiasi aroma.

La massa di cacao, poi, viene posta in un mescolatore insieme allo zucchero e ad altri ingredienti opzionali (ad esempio, vaniglia), così dando vita al cioccolato. Naturalmente per ottenere il cioccolato al latte, si aggiunge il latte in polvere.

Infine, la massa di cacao addizionata dei vari ingredienti subisce il trattamento del concaggio: attraverso questo procedimento il cioccolato viene ulteriormente mescolato a caldo (da circa 60-70 gradi fino a circa 80 gradi) in una vasca dotata di particolari rotori per svariate ore (da un minimo di 8-10 ore fino a circa 70 ore), insieme agli eventuali ultimi componenti della ricetta. Mediante il concaggio, si ottiene una raffinazione ulteriore della granulometria dell’impasto, una riduzione dell’acidità e dell’umidità, vengono meglio amalgamati gli ingredienti e si sviluppano ulteriormente gli aromi.

Dopo il concaggio, il cioccolato viene temperato: il cioccolato passa così dalla temperatura di 50 gradi (la temperatura di fusione per il cioccolato fondente e al latte è di 50 gradi, mentre per il cioccolato bianco è di 45 gradi) alla temperatura di 28 gradi (27 gradi per il cioccolato al latte e 26 gradi per il cioccolato bianco) per poi essere portato alla temperatura di 31 gradi (30 gradi per il cioccolato al latte e 29 gradi per il cioccolato bianco). Mediante il temperaggio si ottiene una perfetta cristallizzazione del burro di cacao, che così si lega perfettamente alla massa di cacao, evitandosi che, dopo il raffreddamento, il cioccolato risulti farinoso e opaco per il distaccamento dei cristalli di burro di cacao dalla massa di cacao. Il temperaggio è oggi effettuato normalmente attraverso l’uso di una macchina detta temperatrice, ma alcuni artigiani lo realizzano ancora a mano. Dopo il temperaggio, il cioccolato viene colato negli stampi e viene raffreddato in un macchinario per poi essere confezionato.

CURIOSITÀ ARTIFICIALI

Abbiamo chiesto all’AI...

Quanto tè si beve al mondo?

Il consumo di tè nel mondo è molto elevato, dato che si tratta della seconda bevanda più diffusa dopo l’acqua. Secondo i dati di Euromonitor International, nel 2021 sono stati consumati circa 297 miliardi di litri di tè in tutto il mondo. Questo significa che ogni giorno si bevono circa 2,16 miliardi di tazze di tè, 25.000 al secondo.

PERSONAGGI

GENNARO ESPOSITO

“Nel mio mestiere dimenticare le proprie origini è un “peccato mortale”, un gesto di superbia che preclude anche la possibilità di scoperte future. Ricordiamocelo, ricordatevene”

Gennaro esposito nasce pasticciere, muovendo i suoi primi passi a fianco dello zio Gianni, ma ha anche respirando i profumi e i sapori atavici della cucina di casa della mamma e della nonna. Pare retorica, ma non è affatto così. La cucina di Gennaro è sempre stata connotata dai sapori e dai profumi e ricordi d’infanzia, assaggiando un suo piatto di alta cucina si riconosce sempre la madleine di proustiana memoria che ognuno di noi serba nel proprio cuore e nella propria anima. Eh si perché la cucina che esprime lo chef di Vico è tanto tecnica e precisa quanto golosa e persistente. Non a caso Alain Ducasse, uno dei cuochi francesi più famosi, lo ha definito enfant prodige della cucina italiana. Allo chef si deve la creazione di Festa a Vico (www.festavico.com ), una kermesse ormai giunta alla sua ventesima edizione, che unisce spirito goliardico a solidarietà, e che quest’anno ha raccolto ben 250.000 euro di donazioni. Pur essendo poco presenzialista è ormai molto conosciuto e amato per le sue innumerevoli trasmissioni televisive e, pochi lo sanno, ha un blog in cui racconta la sua passione per l’enogastronomia, Brodherinfood.com.

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

Sformato in trasparenza

Aspic o meat jelly

LE BUONE COSE… di ANDREA GRIGNAFFINI

L’esperto svela tutti i segreti per preparare e gustare al meglio gli ingradienti della settimana.

DOLCE & AMARO

Anice d’estate

Difficile trovare una bevanda dissetante come l’anice. Un fine pasto digestivo ma soprattutto, vista la stagione, uno splendido rinfrescante sotto la canicola. Basta scegliere quella che più piace (dolce come le anisette o strong come quelle di stampo transalpino) addizionarla ad acqua ghiacciata e il gioco è fatto.

Deve avere una lucentezza purissima, pertanto come tradizione insegnaèbuonacosa presentarel’aspic su un vassoio piano d’argento,dicristallo o in alternativa di acciaio che rifletta la luce...

La gestione dei tavoli all’aperto

In estate l’istinto è quello di cercare dehors, verande, giardini per una cena al chiaro di luna. Tutto bello, tutto poetico ma subito si rischia di essere assaliti da zanzare et similia e inoltre la cappa di calore diventa opprimente per il rilascio termico del suolo. Urgono rimedi ad hoc per tornare a godersi cielo e pietanze.

Stranamente in un epoca i cui l’immagine pare sia tutto e il risultato del piatto deve essere prima di qualsiasi cosa instagrammabile l’aspic è diventato demodé. Facciamo un po’ di ordine e di etimologia. Il termine sembra derivi dall’espressione francese “en aspic” che significa serpente (spic), ovvero uno stampo dalla forma di serpente dentro cui collocare assemblaggi (che siano di carne, di pesce, di uova, di verdure o frutta) avvolti nella gelatina da servire capovolto sul piatto da portata. Qualsiasi stampo, liscio o istoriato, oppure con il foro centrale, di latta, di rame è giusto per la causa. La presentazione rappresenta la centralità della preparazione proprio per quell’effetto traslucido e trasparente. Partiamo quindi da questo concetto estetico. La presentazione deve avere una lucentezza purissima, pertanto come tradizione insegna è buona cosa presentare l’aspic su un vassoio piano d’argento, di cristallo o in alternativa di acciaio che rifletta la luce. Passiamo alla preparazione della gelatina ottenuta da brodo ristretto chiarificato (di carne, verdura o pesce con l’aggiunta di fogli di colla di pesce, fatti rinvenire in acqua fredda e strizzati), risultando saporoso ma limpido, della consistenza densa di un consommé. Per la gelatina di frutta si procede diversamente in quanto occorre uno sciroppo a base di zucchero e succhi di frutta ricchi di pectina. Si rivestono il fondo e le pareti dello stampo con una parte di gelatina, si lascia solidificare in frigorifero, poi si adagiano alcuni elementi decorativi ritagliati in forme geometriche, si stende un altro strato di gelatina facendolo solidificare e si continua così fino al termine di tutti gli ingredienti. Dopo alcune ore di freddo, al momento di servire, si capovolge lo stampo sul piatto da portata, e si decorano i bordi con la famosa decorazione a triangoli detta a denti di lupo. Durante queste fasi è bene circondare lo stampo con uno spesso strato di ghiaccio, mentre al momento di capovolgerlo per un rilascio controllato è consigliabile immergere brevemente lo stampo in acqua calda. L’aspic così ottenuto può essere affettato e da ogni fetta si possono ritagliare piccole decorazione per guarnire tartine o canapé. A volte la gelatina può essere colorata con l’aggiunta ad esempio di vino rosso per esaltare alcune preparazioni o per celare la mancanza di trasparenza e lucentezza di una gelatina non troppo chiarificata. E proprio il vino rosso dolce è un abbinamento perfetto per questa preparazione: dal Brachetto d’Acqui, un vino dolce dal colore rosso che vira al rubino dai caldi sentori aromatici floreali alla Malvasia di Castelnuovo Don Bosco a quella di Casorzo dalla spiccate note fruttate e dal gusto morbido.

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
ASPIC

DE’ RICCI CANTINE STORICHE IN MONTEPULCIANO

Via Ricci, 11 Montepulciano (SI)

Tel 0578 757166

info@dericci.it

IL BUON VINO… di LUCA GARDINI

Conosciuto anche come The Wine Killer, grazie al successo del suo sito, redatto interamente in lingua inglese e dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo, GardiniNotes. com, Luca Gardini è oggi uno stimato wine-critic a livello internazionale.

METTI IL MOSTO IN CATTEDRALE

Monumento della viticoltura internazionale, Cantina De’ Ricci affonda le sue radici nei primordi della moderna produzione poliziana, ovverosia nel XVI secolo. La stessa urbe di Montepulciano, collocata sulla via Francigena, di grandissimo prestigio già in epoca romana, ha in Palazzo De’ Ricci, della cui struttura fanno parte le cantine - interamente scavate nel tufo, ad immagine e somiglianza di una cattedrale gotica, incorporando locali di epoca etrusca - un emblema di fama imperitura. È poi il 2012 quando Enrico Trabalzini raccoglie il pesante testimone della famiglia. Ai tempi, come da tradizione, si conferivano ancora le uve al locale consorzio, mentre Enrico imposta immediatamente il lavoro sulla qualità, perseguendo le convinzioni del padre Aldo, storico collaboratore della casata. Idee lineari, le sue, ma ambiziose, che compendiano la migliore tradizione territoriale e tecnologie moderne. 32 gli ettari coltivati, tra le zone di Ascianello, Fontago e Fontecornino, con intenti fin da subito impostati alla sostenibilità in vigna e alla vinificazione spontanea in cantina, comprese lunghe, e produttive, soste sulle bucce. L’affinamento viene effettuato sia presso il Palazzo che presso Tenuta Fontecornino, sede della nuova cantina, inaugurata nel 2017. L’intento è di realizzare etichette nitide, prive di forzature, consentendo quindi alle tipologie coltivate, ovverosia Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot, Syrah, Trebbiano Toscano, Malvasia bianca e Grechetto di esprimersi compiutamente, in letture accattivanti e mai banali, fedelissima rappresentazione di un territorio di grande vocazione. Enrico, e con lui la sua famiglia, ovvero Nicolò, enologo, Antonella e Francesco (che nonostante la giovanissima età è già parte del ciclo produttivo), credono al Nobile da Sangiovese - qui ribattezzato Prugnolo Gentile - in purezza, forse l’unica maniera di restituire alla storia una “nobile” tipologia da eletti.

VINO NOBILE DI MONTEPULCIANO

DOCG 2019

PUNTEGGIO 96/100

prezzo €

Il progetto di famiglia Trabalzini alla ricerca del vero spirito del Nobile di Montepulciano nella sua bottiglia-simbolo, ovviamente da Sangiovese in purezza. Lampone giallo, tocchi di erbe aromatiche, chiusura speziata e balsamica. Alla bocca verticale, con ritorni di piccoli frutti, spiccata vena acida, finale minerale-profondo. Per quanto riguarda l’abbinamento, impossibile non pensarli sposati, indissolubilmente, con un bel piatto di pici al ragù di cinghiale.

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
Il titolare, Enrico Trabalzini, con Nicolò, Antonella e Francesco.

COMPLETAMENTE GRATUITA

UN SISTEMA MULTIMEDIALE CHE PRESENTA LA FOTOGRAFIA CRITICA DELLA STRAORDINARIA OFFERTA

ENOGASTRONOMICA ITALIANA

Dal 13 settembre disponibile la sezione dedicata al mondo del cioccolato!

SCARICA L’APP!

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
DISPONIBILE SU SEGUICI SUI NOSTRI SOCIAL

THE ITALIAN TRAVELLER

SILENZIO E QUALITÀ AL RELAIS POGGIO AI SANTI

Radici, cuore e sangue toscano per un relais votato alla riscoperta del silenzio. Siamo andati a scoprire i tanti volti del relais Poggio ai Santi a San Vincenzo al mare.

«La vera eleganza è fatta di intelligenza e soprattutto di non ostentare l’etichetta». Le parole di Valentino Garavani si adattano alle collezioni di alta moda così come al gusto e alla sensibilità che si possono ritrovare al centro di un progetto di ospitalità. Laddove inevitabilmente il territorio ha così tanto da trasmettere e dall’altro lato trova un essere umano in grado di abbracciare questa sua forza, si creano situazioni quasi uniche, circostanziali, localizzate e cariche di personalità. Poggio ai Santi è in tutto e per tutto lo specchio dell’anima e dell’istinto di Francesca Vierucci, della sua determinazione e passione verso la natura i suoi frutti. Un relais, azienda agricola, rifugio di meditazione e relax, ristorante, bar agricolo costellati di persone radicate e concrete. Il parco botanico che ospita la struttura conta da solo tre ettari e si prolunga in un oliveto

e nel pieno della macchia mediterranea, ma l’intera area si espande su 35 ettari addossati alla collina. Qui si viene per cercare – e trovare! – il silenzio e il canto delle cicale. Il mare che si può raggiungere con una decina di minuti in macchina, a pochi chilometri, è quello di Baratti – Populonia, insediamenti etruschi e ancora oggi con una spiaggia quasi selvaggia e incontaminata. Il cuore del progetto è la fattoria, fulcro dell’azienda agricola e situata proprio sulla cima del Poggio. Infatti è qui che si posa la casa di campagna originaria, costruita nella seconda metà del XVIII secolo e fino al 2005 abitata dalla famiglia di Francesca. Ci sono voluti diversi anni per recuperare i materiali originali compresi travi, portoni, scale in pietra. Uno sforzo voluto per intervenire in un rinnovo strutturale il più possibile integrato e in bio architettura. Ad oggi possiamo toccare superfici in legno, sughero, fibra di Kenaf, ammirare soffitti classici toscani con travi in castagno, mezzane in cotto, ferro battuto, pavimenti originali, bagni in marco e ottone. Ogni suite ha una sua nota distintiva, tutte uniformemente arredate con colori chiari e caldi, che accolgono ad ogni ora del giorno. Le camere dislocate in più aree del parco, così da poter garantire riposo, privacy e discrezione. Più di recente invece, nella zona dove gli asini erano soliti dormire, sono nate le suite Natura. Continua a leggere sul sito

Per coloro che scelgono di soggiornare qui l’esperienza è davvero circolare in quanto i prodotti dell’azienda agricola, certificata biologica dal 1995, sono presenti dalla prima colazione fino a sera. Oltre ad aromi, essenze, verdure, olio di oliva, pollame e conigli sono allevati in situ. «La carne cambierà leggermente colore e la resa sarà più bassa, a fronte di un numero di giorni di crescita enormemente maggiore rispetto alla controparte industriale. La perseveranza in questo campo è un atto di fede: la convinzione che siamo sulla strada giusta, sinceri e che riusciremo, tutti insieme, a tornare a quel cibo sano di una volta.»

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
di Chiara Buzzi

(ALMENO) UNA VOLTA NELLA VITA

IL COCKTAIL BAR PIÙ PICCOLO DEL MONDO È A MILANO

Fondato del bartender e imprenditore

Flavio Angiolillo e soci, il Backdoor43 è il cocktail bar più piccolo del mondo, dove possono entrare al massimo quattro persone e godersi l’esperienza con un bartender dedicato per un’ora di tempo.

Camminando per il naviglio di Milano, la sua vetrina potrebbe sembrare il prolungamento di uno dei locali dove si accomodano gli assetati che passeggiano dal pomeriggio fino al dopo cena.

A uno sguardo più attento, invece, il Backdoor43 appare nella sua essenza: quella del cocktail bar più piccolo del mondo.

Un solo, minuscolo affaccio sulla strada che mostra bottiglie e oggetti vintage esposti su scaffali, una feritoia da cui si possono ritirare cocktail da asporto serviti in bicchieri di carta e una piccola porta in legno da cui accedere alla sua sala in miniatura, accolgono gli ospiti che si apprestano a entrare. A loro disposizione, dopo aver prenotato

uno slot della durata massima di un’ora, c’è uno spazio di soli 4 mq, accessibile a un massimo di quattro persone per volta.

L’effetto, una volta entrati, è tutt’altro che claustrofobico: il soffitto alto termina con una sorta di affresco contemporaneo con illustrazioni di cartine geografiche e permette lo sviluppo delle boiserie in legno a tutt’altezza, in cui ogni millimetro è progettato per accogliere la bottigliera del locale, ospitare foto d’epoca e piccoli mappamondi.

Il bancone è un gioiellino pensato per accogliere un solo bartender, illuminato da lampade a forma di cappello e organizzato con piccoli cassetti. Qui, gli ospiti si possono accomodare e vivere un’esperienza totalmente personalizzata, a cominciare dalla scelta della propria playlist preferita. Dopodiché, possono lasciarsi guidare dall’esperto mixologist totalmente a loro disposizione, capace di creare cocktail su misura, oppure preparare le miscele della drink list che, per restare in tema, è dedicata alle attrazioni e ai luoghi più piccoli del mondo. Come Monte Busca, drink ispirato a una fontana ardente di metano in Romagna, definita per molto tempo il vulcano più piccolo del globo (anche se non lo è), oppure Saint Barth, dedicato all’aeroporto Saint Jean Gustaf III dell’isola caraibica, la cui superficie è la più ridotta in assoluto a livello mondiale. Per non parlare di Namasté che richiama la moschea più piccola del mondo che si trova in India, oppure Chisai che trasporta immediatamente in Oriente, nelle case giapponesi in miniatura dette geki-sema share house. Continua a leggere sul sito

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
di Penelope Vaglini

COCKTAILS & DREAMS

MAI TAI, LA RISCOPERTA DI UN CLASSICO

A cavallo tra anni Trenta e Cinquanta, dalle nebbie della storia miscelata fa capolino un cocktail che come pochi altri ha saputo scolpire la propria ricetta (o meglio, le proprie ricette) nell’immaginario collettivo. Al 1933 si fa risalire infatti la creazione del primo Mai Tai, drink simbolo della cosiddetta cultura Tiki, che porta la firma di Ernest Raymond Beaumont Gantt: marinaio, avventuriero, commerciante, il nostro fu il primo visionario a intuire il potenziale economico della nostalgia degli Stati Uniti. Gantt, che passerà agli annali come Donn Beach (cambiò nome legalmente proprio nel 1933), ripropose ai suoi conterranei le atmosfere tropicali che i bevitori andavano cercando negli anni Venti, durante cioè l’esperimento del Proibizionismo, quanto ai Caraibi o a Cuba era possibile trovare alcool da acquistare e consumare. Don the Beachcomber fu il nome della sua catena di locali distribuiti ovunque negli Stati Uniti, caratterizzati da ambientazione giunglesca, suoni di spiaggia e ricette quanto più esotiche era possibile trovare: il Mai Tai fu una delle sue creazioni più apprezzate, con un blend di rum (uno ad alta gradazione), l’orzata, la menta e il leggendario falernum (liquore a base di zenzero). Fu protagonista di una accesissima diatriba con Victor Trader Vic Bergeron, suo eterno rivale d’impresa in ambito Tiki, che sostenne per tutta la vita d’essere il vero creatore del cocktail, portando a supporto delle sue pretese la testimonianza dei suoi due ospiti, che per primi commentarono dopo averlo assaggiato: mai tai, in lingua polinesiana, vuol significa appunto eccellente!

Continua a leggere sul sito

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

GASTROCKNOMIA

DAVID LEE ROTH

E IL FAST FOOD COME LUOGO D’AMORE

di Giovanni Aragona

David Lee Roth ha scritto nel 1988 Hot Dog and a Shake. Il brano fa parte del secondo album solista del frontman dei Van Halen.

“Diamond Dave” all’anagrafe David Lee Roth, ha legato la sua carriera musicale ai seminali e storici Van Halen. La sua carriera con la band è contraddistinta da ben 7 album, ma tanti conoscono bene la carriera da solista infarcita da sei album e tanti successi. In questo nuovo episodio di gastROCKnomia vi traportiamo al 1988 e al disco Skyscraper, secondo lavoro da solista dell’artista.

L’album si presenta musicalmente il più eclettico della sua carriera, un lavoro maturo e pieno di spunti sonori, ben sostenuto anche dal supporto musicale del fedele amico Steve Vai alle chitarre. Nel disco, spicca un brano intitolato Hot Dog and a Shake. Nel brano, il cantante, cerca di convincere una ragazza e il suo languorino che ciò di cui ella ha bisogno è un hot dog e uno shake, ad offrire ci pensa lui. Cosa c’è quindi di meglio nel consumare un veloce pasto come un hot dog nel mentre si cerca di corteggiare una persona reputata interessante? Quante storie si sono legate e fanno parte dell’immaginario di questo famoso panino. L’origine è da ricondursi alla Germania e all’immigrazione tedesca negli Stati Uniti. Nei primi anni della sua esportazione, infatti, un sottile würstel veniva chiamato Frankfurter. Secondo una leggenda, il termine “Hot dog” fu coniato da un vignettista del New York Journal, Tard Dorgan, che disegnò in un fumetto i venditori ambulanti che gridavano “Hot Dachshund!” per attirare la clientela. Oggi non è solo uno dei fast food più consumati al mondo ma è uno dei prodotti con più challenge nel mondo? Volete saperne una? Nel 2003, a Chicago, venne preparato un hot dog di 60 metri, e venne consumato da decine di presenti. C’è chi consuma il cibo per gusto c’è chi lo utilizza per amore. David Lee Roth ha scelto la seconda strada, la prima, è abbastanza ostica per i cuori deboli.

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

GUERIDON E DINTORNI

ANDREA COPPETTA CALZAVARA: UN

SERVIZIO AL BACIO

Andrea Coppetta Calzavara: I consigli e i ricordi del Restaurant Manager del ristorante Le Calandre.

Oggi ne parliamo con Andrea Coppetta Calzavara del ristorante Le Calandre, cuore pulsante della famiglia Alajmo. Nel corso dei suoi 16 anni all’interno dell’azienda ha contribuito e partecipato allo sviluppo del mondo Alajmo.

Caro Andrea, come hai iniziato questa professione e perché?

Mi sono avvicinato alla ristorazione all’età di 15 anni, grazie ai valori ricevuti dai miei genitori (essere educati anche a tavola e soprattutto grandi pranzi familiari domenicali con il buon senso del convivio), e alla passione che sentivo dentro al mio essere perché sin da piccolo amavo stare tra la gente e viaggiare esplorando nuovi mondi e culture.

Il tuo bilancio di questi 30 anni di carriera qual è?

Il mio bilancio in questi 30 anni di carriera è sicuramente positivo. Questa professione mi ha fatto crescere sia come uomo che come professionista, dandomi la possibilità di conoscere moltissime persone di diverse sfumature, Ad oggi posso dire che grazie ai miei clienti sono cresciuto molto anche sull’aspetto psicologico e culturale. Hai degli aneddoti, curiosità, episodi che ti piacerebbe condividere con noi?

La domanda che mi pongo è come sarà la ristorazione in futuro. Un episodio che mi sta nel cuore è avvenuto quando a cena, lui della coppia doveva consegnarle un anello come proposta di matrimonio e dopo circa mezz’ora lei ha iniziato a piangere e si stava alzando per andarsene. In quel momento dentro me è scattato l’istinto di intervenire e regalare un’emozione e gioia a quella serata. In pochissimi secondi (quelli avevo a disposizione) mi sono inventato il servizio – al bacio – forse azzardando un po’. Nel servire una portata mi sono permesso di dire: adesso facciamo un servizio speciale per dei clienti speciali per una cena speciale, loro mi guardano fisso negli occhi e con il cuore in gola, io e la mia collega abbiamo servito il piatto baciandoli sulla guancia in contemporanea e dicendogli questo

è il servizio al bacio. È stata un’emozione bellissima perché abbiamo salvato la serata. Oggi sono sposati con figli e soprattutto sono diventati nostri clienti affezionati.

Adesso ti chiediamo un ricordo… il ricordo di un grande uomo o una grande donna di sala che ti ha impressionato, nel tuo lungo girovagare per ristoranti, e perché ti ha impressionato.

Ho due ricordi che sono stati assolutamente importantissimi per la mia carriera. Il primo ricordo e pensiero va a Diego Masciaga, direttore del Ristorante Waterside Inn, 3 stelle Michelin situato fuori Londra sulle rive del Tamigi. Mi ha trasmesso l’umiltà, la sincerità e soprattutto essere sé stessi, indipendentemente dal cliente che si può trovare davanti.

Il secondo ricordo va a Raffaele Alajmo che mi ha fatto crescere nella parte gestionale e direzionale di una grande sala con tutte le sue sfumature; dalla gestione dei colleghi, a quelli dei clienti, cosa fondamentale per far funzionare al meglio un grande ristorante di altissimo livello creando un’ambiente familiare, giovanile e dinamico.

La domanda più curiosa, pertinente e intrigante che ti ha fatto un cliente? E cosa hai risposto?

La domanda più curiosa l’ho ricevuta da una cliente conosciuta nella mia prima esperienza lavorativa in un albergo in Germania. Mi chiese se volessi andare a fargli da maggiordomo nella sua proprietà privata.

Gli risposi con garbo che ero troppo giovane e dovevo imparare ancora moltissimo, anche se poi, dentro di me è scattato l’orgoglio e la consapevolezza delle mie potenzialità per poter affrontare, migliorare e superare tutte le dinamiche, difficoltà, gioie e rinunce di questo meraviglioso ambiente…. la Sala.

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
di Alberto Cauzzi

Wines of A ltit ude

Wines of A ltit ude

Wines of A ltit ude

In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di Albola, una delle più alte tenute del Chianti Classico. Qui trovano dimora le espressioni più elevate ed eleganti del Sangiovese di "alta collina", caratterizzate da forti pendenze, che godono di importanti escursioni termiche e di un microclima ideale per la produzione di vini unici, patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza.

In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di Albola, una delle più alte tenute del Chianti Classico. Qui trovano dimora le espressioni più elevate ed eleganti del Sangiovese di "alta collina", caratterizzate da forti pendenze, che godono di importanti escursioni termiche e di un microclima ideale per la produzione di vini unici, patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza.

In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di Albola, una delle più alte tenute del Chianti Classico. Qui trovano dimora le espressioni più elevate ed eleganti del Sangiovese di "alta collina", caratterizzate da forti pendenze, che godono di importanti escursioni termiche e di un microclima ideale per la produzione di vini unici, patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza.

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m. @CastelloDiAlbola albola.it Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m. Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m.

TERRITORI A TAVOLA

POTENZA

Da Melfi a Maratea i sapori di Potenza sono straordinariamente unici: pasta rigorosamente fatta a mano, carni (per lo più agnello, capretto, maiale e vitello), i profumati e colorati prodotti raccolti nelle immense distese di agrumeti e frutteti, costituiscono un binomio perfetto con la ricchezza dei sapori che regala il mare. Tipicità della cucina tradizionale lucana è, appunto, la pasta fatta in casa, in particolare gli strascinati mollicati con i peperoni “cruschi”. Un bizzarro nome che gli è attribuito per il metodo di lavorazione, la pasta viene infatti trascinata su un piano di lavoro di legno (tumbagn), con tre dita della mano. Durante il carnevale gli strascinati vengono proposti al sugo, preparato con salsiccia o pezzente (salsiccia

Grazie al sapiente connubio di pochi semplici elementi, si realizzano piatti ghiotti e gustosi, accompagnati da un ottimo pane preparato con il lievito madre. Questa specialità, cotta come nel passato in forni a legna, che gli conferisce un sapore e aroma inconfondibile, è particolare anche per la grandezza delle pagnotte, per lo più a forma tonda, spesso anche di tre o quattro chilogrammi, chiamato Panella.

Sono degne di nota le origini della salsiccia: risalgono almeno all’epoca romana quando nel III secolo a.C. il popolo lucano venne conquistato dai Romani. La pietanza fu particolarmente apprezzata da quelle realtà, oltre che per il sapore, anche per la facilità di trasporto e conservazione con il sale, non essendovi infatti frigoriferi o altre sostanze conservanti, si ricorreva al sale e alla lenta stagionatura, proprio come si fa ancora oggi. Nella cucina potentina un posto importante è riservato anche ai formaggi e gli altri derivati del latte; molto apprezzate sono le scamorze, le mozzarelle, i burrini, le burrate, il caciocavallo e la provola. Conosciuto in tutto il mondo, è il saporito caciocavallo impiccato, ossia legato ad un supporto, che richiama il patibolo, viene arrostito al calore della brace ardente, affettato mentre va squagliandosi e posto su fette di pane bruschettato sulla brace.

Una terra aspra ma ricca allo stesso tempo, baciata dall’oro del sole: l’antica Lucania si racconta attraverso il suo cibo.

Un’identità che è stata per lungo tempo terra di passaggio tra genti e contaminazioni culturali.

Anche per i dolci c’è l’imbarazzo della scelta: i biscotti con i semi d’anice, i dolci con la glassa, il vino cotto col miele, le chiacchiere, i dolcetti di mosto, la gassosa artigianale e la paparotta con mosto d’uva.

Per concludere non dimentichiamo i taralli di Avigliano, per chi non li conoscesse sono degli irresistibili dolcetti glassati, tipici della pasticceria lucana e originari nell’omonimo paese in provincia di Potenza. Chiamati in dialetto “lu mustazzuol cù r’ zuccr”, conosciuti anche come biscotti della sposa, hanno la classica forma ad anello e un tempo venivano preparati durante le festività o per le grandi occasioni, come cerimonie e matrimoni (si regalavano come bomboniera agli invitati).

Nella zona a nord della Basilicata si estende il massiccio del monte Vulture, vulcano non più attivo, ma che ad oggi racchiude un vero tesoro, è infatti considerato dal punto di vista vitivinicolo “il luogo delle meraviglie”, una delle poche aree del mondo dove è possibile coltivare ogni varietà di vite. Terra dei Re ospita uno dei vitigni più pregiati: l’Aglianico, presente in Basilicata da epoche remote, è stato il primo vino sostenibile certificato; oltre a questo, il territorio si distingue per la produzione di un’altra chicca la Malvasia bianca. Essere sostenibili significa preservare ciò che è stato tramandato e quanto la natura ci ha donato: una terra che ospita la prima realtà al mondo ad ottenere la certificazione Friend of The Earth nel comparto vino.

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
di Matteo Calzaretta

Cucina a colori

Bello da guardare, buono da mangiare? Spesso, non sempre. Ma l’integrità dei colori nel piatto, conservata con mille attenzione nelle cucine, è di certo il risultato di un lavoro scrupoloso e attento al dettaglio, in cui ogni energia è profusa per rendere seducente la piatanza già alla prima occhiata. Ecco alcuni piatti che sono vere e proprie feste di colori.

Kiwi, mela verde, sedano, lime, yogurt, zenzero.

Matteo Metullio e Davide De Pra

Harry’s Piccolo Trieste (TS)

Insalata

Russa.

Max Poggi

Cucina Massimiliano Poggi

Trebbo di Reno (BO)

Raviolo di guancia, gamberi rossi, salsa agli agrumi.

Mirko Giannoni e Aberto Sparacino Pepenero Prato (PO)

Tartare di controfiletto di cervo, crema al pan brioche, succo di amarene, estratto di spinaci e riduzione al foie gras.

Jacopo Malpeli

Osteria del Viandante

Rubiera (RE)

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
ASSAGGI DI LUCE di Stefano Caffarri

Feed ‘n’ Food

Non ha bisogno di presentazioni il “boss delle torte”. Buddy Valastro gestisce la pasticceria Carlo’s Bake Shop dal 1994 ed è un volto notissimo in TV.

FOLLOWER: 8,3 M

Sono così belli da vedere i suoi dolci che è un peccato mangiare le sue prelibatezze. Cedric Grolet ha un seguito enorme ed è Chef patissier francese del ristorante stellato Le Meurice di Alain Ducasse.

FOLLOWER: 8 M

FOLLOWER: 26,4 K

Elisabetta e Federica propongono tantissime ricette per chi è alla ricerca di leggerezza ed equilibrio in cucina. Tanta frutta e tanta verdura.

ISCRITTI: 187 K

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
Romana DOC, Vanessa Gizzi fa dei sapori regionali italiani i protagonisti delle sue ricette. Sempre con il sorriso.

I 1000 VINI D’ITALIA

Scopri la nuova Guida de L’Espresso: il nuovo sistema di comunicare la qualità italiana

La scheda completa di mille vini con storia, foto della cantina, della bottiglia e la valutazione fatta da Luca Gardini, il miglior palato del mondo. Etichette di eccellenza e abbinamenti consigliati ti aiuteranno a scegliere il vino perfetto per te.

In edicola e nelle migliori librerie.

Acquista subito la guida e scarica

l'app per avere tutto il mondo del vino a portata di mano!

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
guideespresso.it
NUOVA EDIZIONE!

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.