Weekly Enjoy #024

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Pubblicazione settimanale gratuita #024 - 02 Dicembre 2023

Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi Coordinamento Editoriale Digital: Carlo Carnevale Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola Direttore Commerciale: Michele Belingheri

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO Ogni fine settimana, al vostro indirizzo di posta elettronica, vi verrà recapitato il Weekly Enjoy, un magazine con notizie, servizi, approfondimenti e consigli più interessanti della settimana. Chi ha fame di notizie enogastronomiche può mettersi a tavola. Il servizio è gratuito.


WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

Carlo Carnevale Coordinatore editoriale digital de Le Guide de L’Espresso

DAGORINI Via Giuseppe Verdi, 5 San Piero In Bagno (FC) Tel. +39 05431908056 dagorini.it

VIP: VERY IMPORTANT POSTO di Alberto Cauzzi

DAGORINI

guideespresso.it

Chef Gianluca Gorini firma una cucina materica, millimetrica e riconoscibile per lo stretto legame con il territorio: quell’Emilia Romagna garanzia di gusto ed esperienze meravigliose Probabilmente l’Emilia Romagna è quella mesopotamica culla di civiltà gastronomica dove malgrado le fazioni tra romagnoli ed emiliani, si esce in entrambi i casi vincitori e a pancia piena. Ed è con questa accezione storica che daGorini vige l’usanza antica di segnare la propria bottega con il nome di famiglia, consentendo all’ identità di prosperare. E lo chef ne ha da vendere, di identità. daGorini, anno domini 2017, sorge in un angolino di Romagna (bella e in fiore), a San Piero in Bagno. Qui si fanno largo i concetti di tempo e spazio che scandiscono il ritmo delle preparazioni incredibilmente prolifiche. In questo ristorante – che ha tutto il tepore emozionale di una casa amorevolmente vissuta – storia e genio culinario si uniscono in una liaison gustativa su cui Gianluca Gorini erige una cucina materica, millimetrica e riconoscibile per lo stretto legame con il territorio e la magistrale lavorazione delle carni. Perciò, amanti della ciccia, qui ben vengano ovini e bovini cotti al punto giusto partendo da quel celeberrimo agnello in tre servizi fino alle creazioni di acqua e farina con Il tortello ripieno di cacciagione brasata al vino rosso e completato da mela cotogna disidratata e mini-cubetti di gelatina all’estratto di salvia. Continua a leggere sul sito CHEF GIANLUCA GORINI

MENU DEGUSTAZIONE € 60 - 68 - 88 - 110

VIP: VERY IMPORTANT PIATTO di Giampiero Prozzo

CALAMARO, VITELLO E LAMPONI Giochi di consistenze e acidità nella cucina sostenibile dello chef Marco Rispo: il calamaro, vitello e lamponi Se ancora si nutre qualche dubbio sull’enorme potenziale dell’area geografica a sud di Salerno, di quella prepotenza di colline e spiagge che arrivano a sconfinare in Basilicata, basterà deviare di qualche chilometro lungo la ss18 tirrena inferiore per ritrovarsi a varcare l’ingresso di un lembo di paradiso, dove tutto sembra conciliarsi nell’armonia della natura. Qui, infatti, nella tenuta Le Trabe di Capodifiume, sin da tempi non sospetti la sostenibilità ambientale è l’essenza stessa della struttura, una sorta di isola, costruita tra canali di acqua ad alimentare una centrale idroelettrica. Il ristorante con la sua cucina di prossimità è una naturale estensione sotto altre forme di questa natura, che lo chef Marco Rispo riesce a condensare nei piatti che animano i suoi menù. Continua a leggere sul sito RISTORANTE LE TRABE

CHEF MARCO RISPO

LE TRABE Via Capodifiume 4 84046 Capaccio (SA) Tel. +39 0828724165 letrabe.it

J NGLE BELLS Scocca dicembre, come da prassi mese di imparagonabile intensità per il settore della ristorazione, alla luce delle celebrazioni in arrivo e del conseguente aumento dei volumi di lavoro. È anche momento di bilanci e programmazione, in alcuni casi già avviati in precedenza: cuoche e cuochi accorsi alla rivelazione della Guida ai Ristoranti de L’Espresso (oltre 1.200 i presenti) hanno confermato un momento di vibrante entusiasmo per la categoria, arricchito da un evidente spirito di collaborazione e desiderio di rinforzare il sistema enogastronomico nel suo complesso. È l’ultimo giro di giostra di un 2023 che ha sì evidenziato difficoltà strutturali della ristorazione (ricerca e formazione del personale, lacune gestionali, assenza di dialogo con le istituzioni), ma ha anche ulteriormente allontanato i grigiori del periodo immediatamente successivo alle chiusure forzate. E il bicchiere (il piatto, in questo caso), va visto mezzo pieno. Carlo Carnevale


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CIOCCOLANDIA

di Antonio Franchi

LA FABBRICA DEL CIOCCOLATO DI AMEDEI Fabbrica del Cioccolato è la nuova collezione realizzata da Amedei per celebrare la storia del sito produttivo di Pontedera (in provincia di Pisa), dove da oltre 30 anni artigiani cioccolatieri creano un cioccolato eccellente. “Composta da tre diverse confezioni – Fabbrica, Icona e Viaggio – la collezione vuole raccontare la filosofia di Amedei e i prodotti che la hanno resa una delle aziende più premiate del settore”. All’interno delle confezioni non mancano prodotti iconici, come il Toscano Black 70 (la prima creazione fondente di casa Amedei), il Porcelana (realizzato con cacao Criollo, la varietà genetica più aromatica; così denominato per il colore bianco brillante del seme di questo pregiato cacao) e il Toscano Latte (premiato recentemente con il Premio del ventennale dalla Compagnia del Cioccolato). Oltre alle confezioni citate, un’altra novità firma l’eccellenza di questo marchio pluripremiato a livello internazionale: la creazione del “Toscano Black 100%”. Un cioccolato realizzato da un blend di cacao (tra questi, il forastero, dal sapore tendenzialmente amaro, qui ingentilito con maestria dal Maitre Chocolatier), con un sapiente bilanciamento degli aromi, una speciale rotondità e un finale di lunga persistenza, ad ulteriore conferma della elevata qualità dei metodi di lavorazione impiegati. Non manca, poi, l’attenzione per i temi ambientali e, in particolare per la cd. “economia circolare”, realizzata attraverso l’utilizzo di un incarto per le tavolette da 50 grammi e per la nuova collezione Fabbrica del Cioccolato ottenuto dagli scarti derivanti dalla lavorazione delle fave di cacao.

NEWS

Oltre 1.200 persone presenti a Milano per la presentazione della nuova

Guida Ristoranti d’Italia 2024

Durante la serata della presentazione della Guida Ristoranti sono stati assegnati 24 premi speciali, 5 cappelli d’oro e 1 cappello di Platino. La Lombardia la più premiata con ben 178 ristoranti seguita da Piemonte con 93 e Toscana con 91, quindi Emilia-Romagna e Lazio. Bene Campania e Sicilia Milano, 22 novembre 2023 – Più di 1.200 persone sono accorse ieri sera al Milano al Teatro Nazionale CheBanca! per la presentazione della nuova Guida Ristoranti de L’Espresso: I 1000 Ristoranti d’Italia 2024. La guida ristoranti è stata curata da Andrea Grignaffini che coadiuvato dal vicecuratore Alberto Cauzzi e da un fidato gruppo di ispettori hanno recensito, valutato e selezionato i migliori 1.000 ristoranti d’Italia. Continua a leggere sul sito

PERSONAGGI

MARIO SOLDATI “Per mangiare bene, bisogna abbandonare l’asfalto.” La storia ha bisogno dei suoi precursori per definirsi tale. Mario Soldati nasce nei primi del ‘900 e viene accudito da quella dama elegante e silenziosa ma di fine intelletto che è la città di Torino. Sin da subito avverte il bisogno di scrollarsi di dosso l’educazione Gesuita per adempiere al suo destino di narratore. Prima scrittore, poi regista, presto, ricalibra tutti quei dogmi cinematografici fautori di storie circoscritte a archetipiche per dedicarsi alla genesi di una nuova epopea dell’intrattenimento. Viaggio nella Valle del Po è un’Eneide culinaria e Soldati, ne è l’eroe errante. Le sue avventure fanno da guardia alla ritrovata libertà di un popolo appena uscito dagli anni bui del secondo conflitto mondiale. Per riuscirci si serve della televisione: nuova, vibrante e onnipresente invenzione degli anni ’60. Questo è il primo documentario privo di assemblaggio di personaggi. Unico protagonista il cibo, a cui viene donata un’accezione quasi antropomorfa. La salama da sugo è al centro delle scene così come il culatello di zimbello scovato nella fantasmagorica bottega Cantarelli che aveva acceso sulla periferia le luci della ribalta. Soldati seppe inventare la storia di un viaggio, soccorsa da uno stile narrativo di un’intimità altissima tra narratore e spettatore. L’eredità culturale che ha donato alla posterità è raccontare territorio, vini e prodotti in medias res. Non senza una pragmatica progettazione, ovvio. l libri scritti, insieme a quella monumentale produzione televisiva, costituiscono l’intreccio perfetto tra il viaggio di un Eternauta contemporaneo e il bisogno di dare voce all’ inconscio collettivo attraverso il patrimonio culinario spingendosi oltre le Colonne d’Ercole del mondo gastronomico allora conosciuto.



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LE BUONE COSE… di ANDREA GRIGNAFFINI

AL FEGATINO SI ADDICE IL PATÉ

L’esperto svela tutti i segreti per preparare e gustare al meglio gli ingradienti della settimana.

Interiora di pollo, odori, vinsanto. E ricette che risalgono al tempo dei romani. I segreti dell’eterno atout della cucina toscana

Il benvenuto della casa toscana: sapido, spartano, appetitoso. Un’usanza già diffusa all’epoca dei romani e che mai si è persa, in Toscana, quella di delibare invitanti crostini accompagnati da preparazioni molto semplici e frugali, eppure gustosissime. Il condimento, ieri come oggi, si basa su fegatini o altre parti povere di animali da cortile, cotti, tritati a ricoprire fette di pane abbrustolite, bagnate con vino (al meglio con vinsanto toscano, per dare quel dolcino che ben si accompagna alla punta amarotica) oppure con buon brodo. Il crostino tipico toscano non ha un’unica ricetta codificata ma varia da città a città e da famiglia a famiglia; il pane classico è il pane bianco tipo baguette, ma sono apprezzate anche altre tipologie benché raffermo, tanto dopo averlo abbrustolito verrà bagnato, oppure fritto. Variegata è la preparazione dei fegatini di pollo ai quali, dopo averli insaporiti in un soffritto di olio (pochi utilizzano il burro) e cipolla (alcuni aggiungono carota, sedano e prezzemolo, e un quid di salsa di pomodoro), si uniscono capperi

dissalati, acciughe e appunto il succitato vinsanto. Il tutto verrà poi spalmato sul pane caldo. Questi sono i più famosi crostini neri, la versione “in bianco” si prepara spalmando fette di pane abbrustolito con burro, filetti di acciughe e un cappero avvolto in un’acciuga posato a guarnizione sul crostino. A Firenze, non serve dirlo, se ne gustano di ogni tipo e variante. Come l’imperdibile terrina al paté di fegatini di pollo del winebar Il Santino, da spalmare sul pane sciapo; anche Coquinarius propone un paté di fegatini in versione terrina, con pane nero, composta di fichi e granella di nocciole. Rinomati i crostini con i fegatini di pollo dell’Osteria Cipolla Rossa realizzati in base a una ricetta di famiglia (irrinunciabile il goccio di vinsanto) con materia prima freschissima. Spostandoci ad Arezzo all’Osteria il Grottino, troveremo il paté di fegatini servito in una ciotolina, da spalmarsi ancora ben caldo sui crostini. Qui la variazione alla ricetta tradizionale sta nell’uso del Marsala al posto del vinsanto.


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CANTINE LUNAE

Via Palvotristia, 2 Castelnuovo Magra (SP) Tel. 0187 693483 info@calunae.it

VERMENTINO VESTITO DI NERO Una varietà che rischiava l’estinzione. Rilanciata dalla famiglia Bosoni grazie al microclima unico della Lunigiana

IL BUON VINO… di LUCA GARDINI Conosciuto anche come The Wine Killer, grazie al successo del suo sito, redatto interamente in lingua inglese e dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo, GardiniNotes.com, Luca Gardini è oggi uno stimato wine-critic a livello internazionale.

COLLI DI LUNI DOC VERMENTINO ETICHETTA NERA 2022 PUNTEGGIO 93+ /100

prezzo € Un inamovibile della tipologia, che ha contribuito, incontestabilmente, al suo consolidamento. Vinificato ed affinato in contenitori di acciaio, mostra un’olfazione di grande freschezza, mela renetta, ricordi di maggiorana e salvia e sensazioni di biancospino. Al gusto iodato, con richiami delle note fruttate, ritorno floreale e bella croccantezza gustativa. Chiude su note officinali. Perfetto con un succulento piatto di testaroli al pesto di Pontremoli.

Lunigiana, terra di confine amata da poeti, musicisti e scrittori. Nella fattispecie i Colli di Luni, dove il Golfo di La Spezia abbraccia le Alpi Apuane. Un porto antico, alle foci del Magra, di origine etrusco-greca, poi colonia romana sotto il nome di Portus Lunae. Una famiglia, i Bosoni, capaci di inserirsi su una tradizione vitivinicola già decantata da Plinio il Vecchio, incarnando il genius loci. 65 ettari di proprietà (più 15 affidati a un centinaio di microproduttori locali, per un totale di 80) e una cantina recentissima, prodotto delle visioni che Diego, figlio del capostipite Paolo, ha sviluppato con Andrea De Sere, designer fiorentino, per un risultato mozzafiato. Soprattutto, una inesausta volontà di preservare il patrimonio territoriale, ovverosia un microclima unico - rinvigorito da brezze sia marine che collinari - attraverso il culto dei territoriali, su tutti il Vermentino, realizzato in letture che hanno fatto la storia moderna della tipologia, ma anche Albarola, Pollena Nera e Massaretta, per non parlare del rarissimo Vermentino Nero, per lungo tempo a rischio sparizione. Ma è in campagna che è deposta gran parte della lungimiranza del progetto: approccio sostenibile, suddivisione in piccole parcelle, dove il magistrale artigianato delle lavorazioni si può esprimere al massimo. E bottiglie equilibrate, dove l’obiettivo finale è la piacevolezza di beva insieme alla durata nel tempo. L’Arte del vino al suo apice.


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NEWS

di Fabiola Fiorentino

LE ORIGINI DEL MITO CON PROSCIUTTO DI SAN DANIELE Gli italiani spendono circa 4,5 miliardi l’anno per l’aperitivo, secondo quanto annunciato dall’analisi di mercato di TradeLab. Un trend, ma soprattutto un’abitudine di vita che ha tradizionalmente marcato alcuni dei tratti distintivi della cultura del Bel Paese. Il Prosciutto di San Daniele celebra così l’importanza di vivere appieno il gusto dell’aperitivo Se persino Ippocrate ne fece un rimedio per incentivare l’appetito, dopo secoli di storia possiamo ritenerci sollevati dall’ennesimo invito di questa settimana. Le origini del consumo di una bevanda alcolica o analcolica dal gusto deciso e speziato prima del pasto ha accompagnato per molto tempo la storia della gastronomia italiana. L’analisi del gusto rilevava, infatti, un maggior piacere di consumo dopo aver sorseggiato una bevanda particolarmente amara o dalle note erbacee. Ed è proprio sotto il regno Sabaudo che si iniziò ad affiancare a una delle bevande più in voga in quei tempi, il Vermouth, salumi e formaggi locali per predisporre il palato al pasto successivo. Il prosciutto, in particolare, con le sue note aromatiche delicate, tostate e talvolta affumicate entrò facilmente a far parte di quel rito che con il passare degli anni avrebbe scandito un attimo di quotidiana convivialità. E non possiamo non fare un altro salto temporale nel territorio friulano del Medioevo per comprendere quanto il consumo di questo prodotto sia così fortemente legato a questo popolo. La conservazione della carne suina sotto-sale fu, infatti, uno dei metodi più apprezzati per prolungare la freschezza del prodotto e intensificarne il gusto. Così, il Prosciutto di San Daniele risulta essere un’eccellenza del made in Italy che oggi più che mai si fa portavoce di un movimento di ristoro contro le intemperie delle giornate lavorative, o semplicemente di un insieme di tecniche per conquistare il palato dei propri ospiti. Il San Daniele DOP ha, inoltre, seguito attentamente tutte le fasi di rinnovamento dell’aperitivo: dall’happy hour in voga soprattutto negli anni ’90 fino al concept di apericena diffuso negli ultimi anni con l’obiettivo di unificare il momento dell’aperitivo con la cena e di prolungare così la degustazione di bevande e prodotti tipici o finger food. Oggi, il San Daniele grazie alle sue proprietà organolettiche e nutrizionali si presta per accompagnare bibite analcoliche, cocktail e vini pregiati: dai rossi del Piemonte e della Toscana fino a bianchi friulani come il Friulano e il Ribolla Gialla. E può, infine, essere gustato sulla pizza o abbinato a molteplici ingredienti, possibilmente di stagione, che possano esaltarne gusto e profumo come: zucchine grigliate, carciofi, burrata, piselli e fave fresche. E se anche Baudelaire disse che chi beve solo acqua probabilmente ha un segreto da nascondere, conviene metterci in fila per il prossimo aperitivo.


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THE ITALIAN TRAVELLER

di Chiara Buzzi

HANURSATOVA

UN MODERNO MONOLOCALE ALLE ISOLE FÆR ØER Seconda tappa nelle remote e affascinanti isole del Nord Europa. Lontane dal turismo di massa, le Fær Øer rivelano soluzioni per alloggiare a strettissimo contatto con la cultura locale Le Fær Øer Islands sono uno degli arcipelaghi più remoti del Nord Europa. Anche se arrivarci non è poi così difficile – fino a pochi anni fa Atlantic Airways provvedeva ancora a voli diretti su Milano, poi sospesi post Covid – restano una destinazione ancora preservata dal turismo di massa e in linea generale targettizzata su specifiche passioni. Per chi ama la natura, il mare, il vento forte, passeggiate lunghe e talvolta difficili, sentieri di trekking libero o guidato, navigazioni, animali in libertà, le Fær Øer sono indubbiamente una meta d’elezione. Il turismo classico culturale è meno diffuso in favore di una curiosità più legata alle dinamiche socio-culturali che hanno progressivamente preso piede, alle tradizioni enogastronomiche e alle procedure tramandate negli anni per istinto di sopravvivenza. Questo spiega come mai le strutture di accoglienza sulle isole si contino sulle dita di una mano e, di contro, vengano spesso proposte soluzioni più informali e diffuse. Proprio perché in questi ambienti la socialità ha dinamiche e caratteristiche diverse dal solito, accade spesso che famiglie o coppie di abitanti del posto mettano a disposizione le loro case per ospitare gli stranieri. Si potrebbe erroneamente pensare a delle soluzioni in stile bed and breakfast, ma per quanto a livello logistico possano esserci delle somiglianze, lo spirito e la filosofia sono differenti. Heimablídni è il termine usato dai faroesi per indicare l’ospitalità nelle case, momenti di condivisione legati alla tavola, alle cene in famiglia, alle tradizioni legati ai singoli villagi e alle persone che vi abitano. Mangiando, chiacchierando e bevendo acquavite, le persone entrano in sintonia, si conoscono in un ambiente privo di barriere ma carico di personalità e di calore. Harriet e John sono una giovane coppia nella vita e nel lavoro, che ha deciso di mettere le proprie passioni al servizio di quel poco turismo d’elezione. Hanusarstova è il nome della loro casa, originaria del 1898 e poi ampliata nel corso degli anni

fino alla completa rimessa a nuovo nel 2015, dove oltre ad essersi insediati con figli e animali domestici, i due ragazzi hanno realizzato una nuovissima dependance per due persone. La casa si trova a circa un’ora di macchina dalla capitale, a duecento metri dal mare, proprio affacciata sulla scogliera del piccolo villaggio di Æðuvík. Herriet arriva da una famiglia di pastori e solo negli ultimi anni si è dedicata all’agricoltura, sfidando le difficoltà del clima di queste latitudini, provando a coltivare patate, cavoli, zucche, carote. Nemmeno a dirlo per scherzo, ogni coltura viene provata in biologico, senza alcun tipo di aggiunte chimiche e proprio per questo soggetta a tentativi più o meno riusciti. La dependance è particolarmente moderna e accogliente. Su due livelli, con una scala ripida in legno che conduce a un piccolo soppalco dove un comodo materasso matrimoniale è pronto ad ospitare sonni profondi sotto il piumone. La maggior parte degli ospiti acquista l’esperienza della cena tradizionale, che invece si svolge nel corpo della casa padronale, dove Herriet cucina alcuni semplici piatti tipici faroesi (pancake dolci e salati, gateau di patate cremose, salse dense e profumate per condire la carne e insalate con vinaigrette gustose) mentre John si preoccupa della portata principale. L’agnello al forno, così come quello essiccato e fermentato al vento (Skerpikjøt), sono due piatti imprescindibili per la tradizione gastronomica faroese con sfumature di gusto sempre distinte tra loro. Continua a leggere sul sito


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(ALMENO) UNA VOLTA NELLA VITA di Penelope Vaglini

I VINTAGE COCKTAIL DELLA SALA GASPARE AL

CAMPARINO

Appena inaugurata con un nuovo design firmato dallo studio Vudafieri – Saverino Partners, la Sala Gaspare è un ambiente privato del Camparino in Galleria a Milano. Disponibile solo su prenotazione, consente di bere cocktail vintage realizzati con distillati d’epoca e fuori produzione La casa dell’aperitivo italiano più celebre di sempre continua a rinnovarsi nonostante abbia appena compiuto 108 anni. Durante i festeggiamenti dell’anniversario, infatti, Camparino in Galleria ha svelato in anteprima il look della Sala Gaspare, ambiente completamente rinnovato e aperto solo su prenotazione per gruppi ristretti di ospiti. Ne sono successe di cose da quando, nel 1915, Davide Campari aprì il Camparino in Galleria Vittorio Emanuele II, proprio di fronte alle vetrine del Caffè Campari fondato dal padre Gaspare (già inventore della formula del celebre bitter di Milano). Il locale conquistò fin da subito il cuore dei milanesi, con i suoi arredi in stile liberty e un grande mosaico realizzato dal pittore Angelo d’Andrea, ancora oggi protagonista del Bar di Passo al piano terra del locale. Qui si riunivano artisti e celebrità per discutere di arte e politica, mentre i cultori dell’aperitivo ricercavano il Campari e soda, sempre perfettamente refrigerato grazie a un sistema all’avanguardia per l’epoca, capace di trasportare il mixer direttamente dalle cantine del locale con un flusso continuo.

Dopo un lungo periodo sotto la proprietà della famiglia Miani, che ha visto l’ampliamento degli spazi interni, Camparino in Galleria è tornato a far parte di Campari Group nel 2019 che lo ha rimesso a nuovo, inaugurando dapprima la Sala Spiritello al primo piano, luogo dove gastronomia e mixology contemporanea si incontrano, e poi la Sala Gaspare, situata al piano interrato e accessibile solo a pochi ospiti per volta. L’esperienza in questa area privata è unica e vi si può accedere solamente su prenotazione. A curarla, nella selezione di cocktail e nell’impostazione del servizio è Stefano Agostino, bar supervisor del Camparino che vanta numerose esperienze internazionali. Come quella al Savoy di Londra, dove ha conosciuto il suo mentore Erik Lorincz, seguendolo nell’apertura del premiato cocktail bar Kwant, per poi rientrare in Italia a febbraio dello scorso anno, diventando parte del team del locale milanese. Per la Sala Gaspare Agostino si è occupato di strutturare un’esperienza di degustazione preziosa, grazie alla quale vengono serviti cocktail dimenticati e grandi classici realizzati con spirits vintage e fuori produzione. Gli ospiti possono infatti vivere la storia del Camparino e della mixology italiana grazie a un percorso degustazione che parte dalle ricette dei libri d’epoca custoditi tra gli scaffali della sala, passando attraverso gli aromi e gli ingredienti che Gaspare Campari impiegava per creare i suoi “elisir”. Oltre a studiare a fondo l’antico ricettario dell’inventore del bitter, il bar supervisor si occupa di ricercare le più rare bottiglie di distillati risalenti al secolo scorso e di miscelarle per dare vita a preziosi vintage cocktail. La bottigliera attinge anche alle riserve di Campari, che contano su bevande oggi fuori produzione come il Cordial Campari, cordiale ai lamponi prodotto fino agli ’90, con cui il bartender realizza il long drink da aperitivo “Rabarbaro” unendo soda al rabarbaro e vetiver. Il Negroni vintage è servito in un elegante bicchiere di finissimo vetro giapponese e realizzato con bottiglie di bitter, vermouth e gin d’epoca, svelando un sorso rotondo e ben equilibrato, con una ricchezza di aromi incredibile. I più fortunati potranno anche avere un assaggio dei cocktail invecchiati nei laboratori del Camparino come il Brooklyn, grande classico della mixology a base di rye whiskey, maraschino, vermouth e amaro Picon, che riposa in botti ex bourbon. Le luci soffuse permettono di rilassarsi e godersi l’atmosfera da tipico salotto milanese, accomodati su divani Chesterfield, circondati da stampe d’epoca e libri antichi. Un’esperienza da provare almeno una volta nella vita, per bere un cocktail alla maniera di cento anni fa. Continua a leggere sul sito


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COCKTAILS & DREAMS di Carlo Carnevale

DESSERT DA BERE La categoria dei cosiddetti dessert cocktails è notevolmente sottovalutata: cremosi e generalmente dolci, sono una goduriosa alternativa al fine pasto tradizionale, che varrebbe la pena provare almeno una volta Quel meraviglioso universo che è la miscelazione, ha storicamente separato i cocktail in categorie, basandole sull’orario adatto per il loro consumo: all day, pre-dinner, after dinner. Per quanto queste distinzioni siano ormai in disuso (il Negroni sarebbe nato come aperitivo, ma con la giusta pienezza del vermouth si trasforma in superlativo cocktail della buonanotte), rimane una nicchia di drink perfetti per il dopocena, quando magari si avrebbe voglia di un dolce ma lo spazio è poco: sono i dessert cocktails. Di questi cocktail, la caratteristica principale è l’utilizzo della panna; le varietà reperibili oggi permettono anche esperienze “leggere”, ma stando ai ricettari tradizionali sarebbe da preferire la single cream, quindi panna intera, o la cosiddetta half&half, parti uguali di panna e latte, piuttosto comuni sul mercato anglosassone. Le proprietà schiumogene della panna permettono al cocktail finito di “gonfiarsi”, senza però creare la fascia di soffici e minuscole bollicine generate invece dall’albume o dall’acquafaba. L’accostamento naturale è con ingredienti tendenzialmente dolci e non eccessivamente complessi, ma non mancano ricette sorprendenti che si discostano dal paradigma. Di seguito tre dessert cocktail da provare almeno una volta. Alexander Apprezzatissimo durante gli anni della Disco (ci si creda o meno, nei club anni Settanta i dessert cocktail andavano alla grande), l’Alexander è forse l’epitome dei drink che impiegano panna al loro interno. Ancora in dubbio l’origine del nome (dedicato forse a un giocatore di baseball, a un bartender o un attore), appare già nei ricettari di inizio Novecento, stabilendone quindi il consumo antecedente. Continua a leggere sul sito


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GASTROCKNOMIA

di Giovanni Aragona

L RISO CONQUISTERÀ IL MONDO, PAROLA DI ALBERTO FORTIS Il focus del giorno è concentrato sull’album La grande grotta, terzo disco dell’artista pubblicato nel 1981 in cui è racchiusa la memorabile Riso Il riso è da secoli il protagonista delle nostre tavole, non solo in Italia ma anche in tutto il mondo. Questo cereale non è solo gusto e sapore ma contiene in sé aspetti preponderanti della civiltà inglobando aspetti religiosi, filosofici, culturali, di tradizioni e culture. La culla delle civiltà del riso è da sempre l’Asia. Tra le immense distese d’acqua che nell’estremo Oriente videro l’origine e la crescita del riso, ogni aspetto religioso, di ricorrenza familiare, ogni fenomeno sociale, militare e politico è permeato dal riso. Dall’Estremo Oriente il riso intraprende solo dopo millenni la sua diffusione verso Occidente, approdando in Mesopotamia, dove è coltivato nel IV secolo a.C., per giungere in Europa come prodotto alimentare con Alessandro il Grande. Quale potrebbe essere il giusto nesso tra il riso e la musica? siamo riusciti a incrociare le due cose e il risultato è aver rispolverato uno degli artisti più rivoluzionari della musica italiana: Alberto Fortis. Musicista eclettico, completo, nasce a Domodossola nel 1955 e raggiunge l’apice del successo negli anni ‘80, Nell’ultimo trentennio decide di continuare a sperimentare nuovi generi proponendo nuove sonorità nei successivi album. Il focus del giorno è concentrato sull’album La grande grotta, terzo disco dell’artista pubblicato nel 1981 in cui è racchiusa la memorabile Riso. La traccia è performance completa piena di assoli schizoidi di piano al sapor di swing nevrotico e dissonante, con un ricorso insistito di assoli e maestria sonora. Il testo, non è solo un inno al riso ma è un messaggio (sottile) all’invasione del Sol Levante nel cuore dell’Occidente. Un brano che anticipa, e di tanto, cambiamenti culturali e culinari di un musicista completo. Cantante, musicista, poeta, scrittore, regista. Di formazione culturale classica, Alberto Fortis è stato anche filosofo capace di elaborare il suo pensiero produttivo attraverso le sue creazioni artistiche: questo brano, a 42 anni dalla sua pubblicazione, è una tangibile prova.

TESTO Riso bianco, riso giallo Viene il sole e canta il gallo Riso bianco, riso rosso Io non mangio, io non posso Riso bianco, riso nero Oggi sono più sincero Riso bianco, riso azzurro Lo condisco con il burro

Oh, riso, riso, per sempre riso ci sarà Riso, riso, e il Sol Levante regnerà Riso, riso, può darsi che ti piacerà Riso, riso, del Sol Levante

Da domani tutto il mondo riso mangerà E la bicicletta sulla strada regnerà Con le bandierine giocheranno i figli tuoi E un po’ d’aria pura farà bene anche per noi Io pedalerò insieme a te, tu pedalerai amore mio Io pedalerò insieme a te, per sempre

Riso bianco, riso giallo Viene il sole e canta il gallo Riso bianco, riso rosso Tu ne mangi, io non posso Riso bianco, riso nero Oggi sono più sincero Riso bianco, riso azzurro Lo condisco con il burro

Oh, riso, riso, per sempre riso ci sarà Riso, riso, e il Sol Levante regnerà Riso, riso, può darsi che ti piacerà Riso, riso, del Sol Levante

Da domani tutto il mondo riso mangerà E la bicicletta sulla strada regnerà Con le bandierine giocheranno i figli tuoi E un po’ d’aria pura farà bene anche per noi Io pedalerò insieme a te, tu pedalerai amore mio Io pedalerò insieme a te, per sempre


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https://guideespresso.it/wp-content/uploads/2023/09/SITO1-3.jpg GUERIDON E DINTORNI di Alberto Cauzzi

IL LINGUAGGIO DI BOB NOTO Si parla da tempo di emergenza di sala, del fatto che le nuove generazioni non siano così appassionate del lavoro di sala, che lo chef è la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono, mentre invece un fulcro importante della fortuna di un ristorante è anche e soprattutto il grande lavoro di accoglienza che si opera nella sala del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica non per parlare dei soliti argomenti ma per chiedere agli uomini e attori principali di questo straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità che stimolano e ravvivano questo mondo. Oggi ne parliamo con Thomas Piras, il fondatore e proprietario del Ristorante Contraste di Milano un tempo responsabile di sala.

Caro Thomas come hai iniziato questa professione e perché? Ho iniziato questa professione a 18 anni. A differenza di tanti colleghi non ho fatto l’istituto alberghiero, ma il liceo scientifico e mi ci sono avvicinato per pura passione. Questo è un tasto che tocco spesso; a volte un ragazzino a 14 anni fa fatica a capire quale percorso didattico si addica di più alle sue inclinazioni quindi penso che la fase di orientamento debba essere presa molto più seriamente. Io ho optato per una istruzione più generica che mi avrebbe dato l’opportunità di scegliere tra più percorsi, ma grazie ad amici dei miei genitori (ristoratori) mi sono innamorato “del ristorante”… che era diventato il mio luogo. Luogo in cui vedevo queste figure affascinanti che preparavano i dettagli per gli ospiti, profumi, chiacchiere; c’era un’atmosfera fantastica e questo mi faceva sentire parte di qualcosa nonostante fossi solo un piccolo rompiscatole di quartiere che ciondolava in sala durante la preparazione. I miei “amici” in quel luogo erano camerieri cinquantenni, che pian piano mi spiegavano il senso di tantissime cose che fino ad allora non avevo minimamente notato (avevo circa 14 anni). Provengo da una famiglia estremamente modesta, ma un paio di volte al mese si andava al ristorante: ricordo questi momenti con estrema tenerezza, la sensazione era quella del grande avvenimento, io sbirciavo tutti i dettagli dei camerieri e soprattutto tutte le reazioni dei commensali intorno a me. Finito il liceo incomincio il mio percorso di spe-

cializzazione sul vino, faccio una piccola esperienza in Inghilterra che mi aiuta a prendere consapevolezza di questo mestiere. Torno in Italia “buttandomi” in esperienze lavorative importanti e all’età di 20 anni parto per Australia, Stati Uniti e poi Norvegia. Prendo sempre più sicurezza in me stesso, ero spinto da una curiosità immane e ho avuto la fortuna di vivere questo lavoro in tanti paesi diversi, sotto punti di vista diversi, con diverse mansioni e con diversi standard di servizio. Nel 2012 conosco Matias e Simon al Pont de Ferr, nasce un amore reciproco e nel 2015 decidiamo di fare questo passo mastodontico. Aprire un ristorante tutto nostro. Il tuo bilancio di questi 20 anni di carriera qual è? Sicuramente positivo; sono cambiate tante cose ma soprattutto sono cambiato io. Ho sempre visto il “servizio” come la strada per farsi degli amici, conoscere, accogliere e condividere le nostre idee con tutta la spontaneità’ e la leggerezza del caso. Questo lavoro mi ha aiutato tanto anche nella vita, a mio parere il vero servizio è anticipare le esigenze…dare attenzioni delle quali non sapevi di aver bisogno; queste attenzioni molto spesso sono solo una parola in più, una gentilezza, un sorriso. Questa cura, nel cercare di capire come aiutare, come rendersi utile, ti stimola a fare attenzione a tanti dettagli e tante sfaccettature delle persone… penso che questa professione mi abbia aiutato a capire molto velocemente chi avevo di fronte. Continua a leggere sul sito


WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

TERRITORI A TAVOLA

di Matteo Calzaretta

PROVINCIA DI LA SPEZIA Viaggio nell’Italia dei sapori: cosa mangiare in provincia di La Spezia, per scoprire un territorio chiave del Belpaese, ricco di storia e di enorme valore enogastronomico Dalla verde Irpinia, cuore della Penisola Italiana, risaliamo di nuovo lungo la costa fino a raggiungere il Mar Ligure e La Spezia. Arte, monumenti, storia si incrociano con paesaggi mozzafiato: marittimi, collinari e montani, proponendo allo stesso tempo esperienze enogastronomiche tipiche e irripetibili. La cucina ligure è figlia di una tradizione povera, ben rappresentata dal cibo di strada, perfetto per essere consumato nelle strette vie dei paesini arroccati sul mare: farinata di ceci (fainà nel dialetto locale), frittelle di baccalà, panissa, castagnaccio, focaccia di Recco, fino alla focaccia ligure intinta nel cappuccino per una colazione rinforzata. Del resto con oltre 250 prodotti agroalimentari tradizionali (l’olio d’oliva della Riviera in primis) la Liguria è tra le regioni italiane più ricche per offerta gastronomica. Tra le ricette spezzine rinomate, la più popolare è senza dubbio la Mesc-ciùa: una zuppa a base di ceci, fagioli cannellini, lenticchie e grano farro, condita con olio d’oliva e pepe nero. La storia di questa tipicità racconta che le donne spezzine erano solite raccogliere le granaglie che fuoriuscivano dai sacchi durante le operazioni di carico e scarico sulle banchine del porto. Per questo motivo gli ingredienti potevano di volta in volta variare, sia per quantità che per qualità. Altro pezzo forte del territorio, da provare assolutamente a La Spezia, è la Caponadda, che non ha nulla a che vedere con la Capponata siciliana, ma come primo ingrediente utilizza le gallette del marinaio, quel sottile e rotondo pane biscotto che si conserva croccante per almeno un anno intero. Le gallette vengono ammorbidite in acqua e aceto, a queste si aggiungono acciughe sotto sale e mosciame, cioè filetti di tonno lavorati ed essiccati naturalmente sotto sale e da servire tagliati a fette sottili (nelle versioni attuali spesso sostituito dal tonno sott’olio). Questi due ingredienti vengono conditi con i profumi locali: basilico, olive, capperi e olio d’oliva. Tipici della Val di Magra sono invece i Testaroli, un tipo particolare di “focaccia” non lievitata, cotta nei caratteristici “testi” una volta in argilla, nei quali viene effettuata la prima fase della loro cottura, conditi con il pesto o il sugo. Mangiare a La Spezia significa sperimentare il mare, che si ritrova anche in molti prodotti d’eccellenza come i Muscoli, conosciuti nel resto d’Italia come cozze o mitili. I “muscoli” sono allevati nel Golfo della Spezia, prodotti da 86 soci, che si tramandano un’attività ormai secolare di padre in figlio con metodi antichi che permettono di mantenere una produzione autoctona. Tra le ricette più diffuse ci sono i muscoli alla marinara, muscoli ripieni, spaghetti al sugo di muscoli.

I dolci tradizionali sono pochi, ma meritano un assaggio: il budino fatto con uova, latte, zucchero e cotto a bagnomaria, il castagnaccio fatto con farina di castagne e ricoperto di pinoli e uvetta ed infine la famosa Spongata sarzanese, una deliziosa torta senza lievito. Questo dolce ha una storia antichissima: pare che già ai tempi dei romani fosse uso donare questa torta ripiena, dolce e profumatissima. La spongata consiste in un involucro di sfoglia croccante dal curioso aspetto spugnoso ed irregolare, ripieno con composta di mele o fichi, spezie, noci, cannella, canditi e altri ingredienti segreti. A fine pasto si può sorseggiare il Ba-Sa-Notto, un liquore fresco e aromatico, il cui nome deriva dai tre ingredienti principali, protagonisti della regione Liguria: basilico, salvia e chinotto.

I vini che accompagnano i piatti tipici spezzini sono quasi esclusivamente bianchi: il più famoso in assoluto è lo Sciacchetrà, passito DOC ottenuto dalla fermentazione di uve Vermentino, Bosco e Albarola, maturate sui terreni terrazzati delle Cinque Terre e fatte appassire su speciali graticci fino alla fine dell’autunno. Si consiglia di sorseggiare questo vino a fine pasto accompagnato da qualche biscotto casereccio. Altri vini meno noti, ma non meno squisiti, sono il bianco secco DOC delle Cinque Terre, il Levanto prodotto nella vallata di Levanto e la Vernaccia di Corniglia. Nella Val di Magra si producono numerosi tipi di vino: ottimi i bianchi e i rossi di Arcola, dei Colli di Luni (DOC).


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ASSAGGI DI LUCE di Stefano Caffarri

Quel ramo del Lago di Como Crocevia di vite, storie, etnie e culture, Bellagio guarda le Alpi negli occhi e – perla del Lago di Como – custodisce a sua volta una perla dentro una perla. Il centenario Grand Hotel Villa Serbelloni, scrigno di classicità senza tempo, e il suo ristorante Mistral, da oltre vent’anni nelle mani del condottiero Ettore Bocchia. Chef del tutto sui generis, studiò e la codificò la “cucina molecolare italiana”, oggi sta alla base di un menu votato alla qualità senza compromessi delle materie impiegate, caso quasi unico di tecnica sopraffina al servizio del prodotto al suo meglio.

L’Orto di jacopo

Spaghetti di seppia

Plin con Tartufo Bianco Pregiato

Cappelletti di Pavone

Rane e Lumache


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Feed ‘n’ Food

Nessuno conosce la vera identità di Chef Ruffi ma dal 2017 è diventato virale imitando i grandi chef con piatti basici e con un senso dell’umorismo spiccato e autentico,

Cristina Saglietti ti insegna a stare in cucina con leggerezza con piatti moderni e semplici. Sorrisi e tanti consigli per stare in forma senza perdere la gioia del buon cibo.

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Seguire Vincenzo è qualcosa di più di un semplice viaggio gastronomico, si tratta di tradizioni, ingredienti ricchi e di risate.

All’età di 21 anni, Lexie Limitless ha infranto il record mondiale per la persona più giovane a viaggiare in ogni paese del mondo. Non solo cibo, ma anche tanta cultura.

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