Weekly Enjoy #017

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Pubblicazione settimanale gratuita #017 - 14 Ottobre 2023

Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi Coordinamento Editoriale Digital: Carlo Carnevale Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola Direttore Commerciale: Michele Belingheri

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO Ogni fine settimana, al vostro indirizzo di posta elettronica, vi verrà recapitato il Weekly Enjoy, un magazine con notizie, servizi, approfondimenti e consigli più interessanti della settimana. Chi ha fame di notizie enogastronomiche può mettersi a tavola. Il servizio è gratuito.


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Carlo Carnevale Coordinatore editoriale digital de Le Guide de L’Espresso

CONTRADA BRICCONI Via Bricconi, 3, Oltressenda alta (BG) Tel. +39 3515489493 contradabricconi.it

VIP: VERY IMPORTANT POSTO di Alberto Cauzzi

CONTRADA BRICCONI La scommessa di Giacomo Perletti, che con l’aiuto del giovane talento Michele Lazzarini ha rilanciato Contrada Bricconi, un borgo cinquecentesco abbandonato. Siamo in Val Seriana, in un borgo cinquecentesco che era stato abbandonato, che è stato riportato in vita dalla volontà e caparbietà di Giacomo Perletti, a cui dovrebbero fare un monumento per aver intrapreso questa formidabile avventura. Ha creato un allevamento di mucche, un orto, ha ristrutturato l’intero borgo e ha creato un ristorante al suo interno che si prefigge l’obiettivo di essere sostenibile con quasi esclusivamente i soli prodotti del borgo stesso e del circondario. Una scommessa già vinta, a un anno dall’apertura, dopo aver chiamato al suo fianco il giovane talento Michele Lazzarini. Oltre al fascino di ripopolare un borgo disabitato, con tutto ciò che comporta questa scelta, la cucina espressa dallo chef è connotata dall’uso delle erbe e della verdura raccolta nei dintorni, sia coltivata che raccolta selvatica, e dai prodotti a km zero o poco più. Splendida la Ceviche di Salmerino e ottimi i Bottoni, Levistico e Ruta così come la buonissima Quaglia in salsa Jerk. Commistioni di tecniche, utilizzo di fermentati e estrazioni vegetali, un insieme davvero intenso e molto concentrato che rende questo luogo e questa cucina una meta imprescindibile già ora, a dispetto della sua giovane età. Continua a leggere sul sito NOME DELLO CHEF: Michele Lanzarini

MENU DEGUSTAZIONE: € 130

VIP: VERY IMPORTANT PIATTO

di Alfonso Isinelli

POLPETTA AL RAGÙ “Sua maestà” nella cucina napoletana, un piatto senza tempo che rivive nelle mani di Antonietta Imperatrice, all’Osteria della Mattonella di Napoli. “Una polpetta è una polpetta è una polpetta” si potrebbe scrivere parafrasando il famoso verso, riferito ad una rosa, di Gertrude Stein: il solo nome è evocativo delle emozioni e della memorie che si porta dietro, figuriamoci quando, soprattutto ad un napoletano, si aggiunge il sostantivo ragù. L’evocazione si trasforma prima in lacrima e poi in acquolina: un piatto della tradizione, di famiglia, popolare, che poi si tramanda in tante piccole, ma importanti derivazioni a partire dall’impasto. Ma se vi trovate a Napoli dove andare? Vi consigliamo l’Osteria della Mattonella, che si chiama così per le ceramiche settecentesche di Vietri che ne adornano le pareti: dal 1978 a due passi da Piazza del Plebiscito. Continua a leggere sul sito RISTORANTE Osteria della Mattonella

CHEF Antonietta Imperatrice

OSTERIA DELLA MATTONELLA Via Giovanni Nicotera, 13 Napoli Tel. +39 081416541 osteriadellamattonella.com

VERSARE I CONTRIBUTI Andare al ristorante o al bar sembra ormai una gimcana tra ego di varia natura. Da un lato quelli di chi dovrebbe dedicarsi al servizio e rimanere dietro le quinte: chef (“cuochi” e “cuoche” non se ne vedono più) e bartender si prendono i riflettori, e quando non sono fisicamente presenti in loco (cioè spessissimo) si glorificano attraverso piatti e cocktail cervellotici, che richiedono cinque minuti di spiegazione ma finiscono nei visi dubbiosi di chi assaggia. Peggio ancora fanno i membri dei media di settore, coinvolti in una gara di corsa alla tartina, per raccontare che “Una volta ho fatto inca**are Bottura”, sciorinare i più scintillanti viaggi stampa mai avuti offerti, molto spesso attorno a tavole gremite di colleghi uomini di mezza età. Dimostrare di avere l’idea più complessa (e non la migliore) o l’esperienza più impressionante (e non la più costruttiva), è il passatempo preferito dall’enogastronomia attuale, tanto da offuscare la realtà: operatori e comunicatori sono parte dello stesso meccanismo, cui basta un solo ingranaggio arrugginito per marcire completamente. Ciascuno degli elementi di questo orologio dovrebbe contribuire attivamente: sperimentando e condividendo una nuova ricetta o un nuovo format manageriale, divulgando e raccontando gli sforzi reali di chi campa con l’ospitalità, per permettere a sempre più persone di apprezzare quello che la ristorazione significa, invece di respingerle. Che senso ha farsi belli, se poi il pubblico abbandona la sala ancora prima dell’intervallo? Carlo Carnevale


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CIOCCOLANDIA

di Antonio Franchi

PRINCIPALI PRODOTTI TIPICI A BASE DI CIOCCOLATO IN UMBRIA

BACIO PERUGINA Cioccolatino dalla forma irregolare e tondeggiante, farcito con pasta di cacao e granella di nocciole e una nocciola al centro, ricoperto di cioccolato fondente; creato da Luisa Spagnoli a Perugia nel 1922 e, per la sua forma, originariamente denominato “cazzotto”. Negli anni ‘30 Giovanni Buitoni, allora amministratore delegato della Perugina, ideò il nome “bacio”, nella convinzione che quel nome fosse maggiormente attrattivo. CRESCIONDA Dolce di Carnevale tipico di Spoleto, di antiche origini. E’ una torta dalle diverse consistenze, a base di amaretti e cioccolato, aromatizzata con limone e cannella; durante la cottura l’impasto si divide da solo, creandosi tre strati con tre differenti consistenze: uno cremoso, uno simile al budino e uno più simile al pan di spagna.

SOCIAL

Capri: brunch domenicali in autunno da PAOLINO, all’insegna degli antichi sapori

Metti un brunch di domenica, in autunno, da Paolino. La limonaia più amata di Capri, il ristorante da Paolino “lemon trees”, lancia i brunch domenicali per un autunno all’insegna degli antichi sapori. Capri, sarà un autunno all’insegna degli antichi sapori che hanno caratterizzato la limonaia più famosa d’Italia, quello proposto da Paolino, il ristorante a Palazzo a Mare, ai margini degli antichi ruderi romani, dove i sapori di Capri, con fragranza di limone hanno creato la tradizione.

PERSONAGGI

GIANNI MURA “Non so cos’è un supervisor ma ritengo che un campione abbia bisogno di un tutor” Se è vero che le grandi casualità sono fautrici degli avvenimenti più interessanti, a 19 anni nella redazione della Gazzetta dello Sport, Gianni Mura doveva essere solo di passaggio, ma per caso, vi è rimasto. Amante del vino, degli anagrammi e dei film di Jack Lemmon, è stato un giornalista, scrittore, suiveur del Giro di Francia ma soprattutto, uomo di idee. Una penna eccellente insignita di molti premi giornalistici come l’Antoine Blondin, la cui vittoria era stata esclusivo appannaggio francofono fino a quel momento. Con la sua Olivetti 32 batteva a macchina durante le conferenze stampa senza preoccuparsi troppo di fare rumore ma al contrario, “Siete voi ad infastidirmi con il vostro grande silenzio”. Sagacemente dissacrante oltre ogni ragionevole dubbio e politicamente scorretto, per Mura i modi di dire erano comunque preferibili agli inglesismi, fuggiva dai social perché diceva “Non bisogna perder tempo a sentire le opinioni di Orchidea ’91”. Mura è stato un cronista italiano che ha raccontato dei grandi campioni del ciclismo ma soprattutto, non si è lasciato trascinare nel gorgo del perbenismo restando un professionista dalle opinioni forti. Ha sempre scelto con cura le parole da utilizzare, anche dove sembrava che fossero state lasciate al caso. Ed è stato un grande gourmet e un grande raccontatore di cibo, unico forse per stile e per intensità.


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MASSAGGI PIENI DI SAPORE LE BUONE COSE… di ANDREA GRIGNAFFINI L’esperto svela tutti i segreti per preparare e gustare al meglio gli ingradienti della settimana.

La carne è cosparsa di sale, spezie ed erbe di montagna, un mix che si presta ad infinite, spesso segrete, combinazioni

Storia di un’antica pratica di conservazione che nei secoli si è inverata in un pregiatissimo salume, simbolo di una ricca gastronomia regionale fortemente tradizionale, sua maestà la carne salada, specialità della cucina trentina. Una pietanza nata dall’esigenza di un tempo di preservare la carne a lungo e poterne disporre durante gli impervi inverni; realizzata all’origine con tagli ovini o cacciagione e di cui si hanno riferimenti sin dal 1400, consacrata tra le ricette iconiche del Trentino ne “La nostra cucina. Piatti vecchi e nuovi alla trentina fra la polenta e sguazet e il tonco de pontesel” di Anna Lucia e Carlo Alberto Bauer. La carne salmistrata dall’eccelso sapore, straordinariamente tenera e gustosa, viene preparata in osservanza di procedure puntuali. In primis, la materia prima, oggi ricercata: fesa o magatello di bovino adulto rigorosamente vissuto al pascolo. Una meticolosa pulizia netta il taglio di nervi e grasso, poi si procede con la salagione a secco. La carne è cosparsa di sale, spezie ed erbe di montagna, un mix che si presta ad infinite, spesso segrete, combinazioni:

pepe, aglio e rosmarino, ma c’è chi aggiunge salvia, bacche di ginepro, chiodi di garofano, alloro. Essenziale la “massaggiatura” manuale, affinché ogni aroma penetri a fondo nella carne; segue la stagionatura che dura più o meno un mese (alcuni suggeriscono di aggiungere del vino, bianco o rosso) durante la quale la carne continua ad esser massaggiata; una volta pronta, sarà incredibilmente prelibata sia cotta che cruda. Ben si sa alla trattoria Acetaia del Balsamico Trentino a Cologna, frazione di Tenno, dove la famiglia Bombardelli serve da 50 anni la carne salada di Cologna, fiore all’occhiello del menù, realizzata con la miglior materia prima in base alla ricetta originale tramandata dagli avi della famiglia materna. Imperdibile, viene proposta cruda in versione carpaccio, per l’antipasto, accompagnata dalla giardiniera fatta in casa di verdure in sott’aceto oppure come piatto principale alla piastra insieme ai fasòi “en broa” o grigliata, servita con la salsa tartara.


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ALBERELLI DI GIODO 95031 Adrano (CT) +0962 35801 info@giodo.it

IL BUON VINO… di LUCA GARDINI Conosciuto anche come The Wine Killer, grazie al successo del suo sito, redatto interamente in lingua inglese e dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo, GardiniNotes.com, Luca Gardini è oggi uno stimato wine-critic a livello internazionale.

ETNA ROSSO DOC ALBERELLI DI GIODO 2017 PUNTEGGIO 97+ /1 00

prezzo € € € La sfida del Nerello Mascalese coltivato a 950 metri su vitigni pre-fillossera, la possibilità di imprimere la propria firma su un vitigno mitologico: ecco l’esperienza di Alberelli di Giodo in Sicilia. Naso di more di rovo con richiami di cappero, tocchi di mirto e macchia mediterranea. Palato teso, denso e compatto, finale con ritorno della traccia sapida. Perfetto con un classicone della cucina di strada siciliana come il “pani câ meusa”.

SCOMMESSA SICILIANA Uno dei punti di riferimento dell’enologia nazionale e internazionale, Carlo Ferrini, da qualche anno associa alle fondamentali competenze maturate in Toscana, sia come consulente che come produttore in proprio - con la solida esperienza ilcinese di Podere Giodo, ora condivisa con la figlia Bianca - l’amore per quell’ammaliante Sicilia che nei secoli ha stregato legioni di scrittori ed avventurieri. Se la prima, viscerale passione si chiama Sangiovese, infatti, inteso in tutte le sue declinazioni, la seconda si incarna nelle fattezze del Nerello Mascalese, altra tipologia carismatica e verace, dotata di qualità indiscutibili e che, proprio sulle pendici dell’Etna, riesce a raggiungere le sue punte espressive. Poco meno di due ettari, quelli del progetto isolano, spezzettati in piccole parcelle, tutte collocate a circa 950 metri, ma soprattutto un patrimonio varietale incommensurabile, fatto di piante vecchie, coltivate ad alberello, per la maggior parte pre-fillosseriche, tra gli 80 e i 100 anni di età. Affinamenti di grande precisione in cantina, dove viene privilegiato il legno di piccola dimensione, completano il percorso grazie al quale un vino elegante ed intenso, poetico e sensuale, prende forma. A completare la linea un altrettanto intenso progetto, riguardante l’altro “cavallo di razza” etneo, ovverosia il Carricante, di cui, grazie agli appezzamenti dislocati tra Contrade Rampante e Pietrarizzo, da un paio di annate si dà un’interpretazione in bottiglia altrettanto ragguardevole. Il resto lo fa la magia del vulcano, ormai punto di attrazione fondamentale per tutta la viticoltura di qualità dell’area del Mediterraneo.


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THE ITALIAN TRAVELLER

COCOON B&B MILANO: GIARDINI NASCOSTI E OSPITALITÀ CASALINGA di Chiara Buzzi

Una sintesi di living, contemporanea ma romantica, trasformata in B&B a conduzione femminile in una delle arterie più silenziose di Porta Genova. Scoprite Cocoon B&B Milano. Prendete l’atmosfera dei cortili signorili della vecchia Milano, mettetela all’interno di un parallelepipedo minimalista e addolcite il tutto con quel tocco homy and cozy tipico dei tessuti a righe, delle pareti color mattone e del parquet che scricchiola. Se siete tra coloro che vorrebbero vivere la metropoli con un’agenda ricca di appuntamenti e orari serrati ma senza precludersi la possibilità di varcare la soglia di casa e lasciarsi tutto all’esterno, prendete nota dell’indirizzo del Cocoon B&B Milano perché potrebbe essere una piccola chicca da sfoderare con i vostri migliori ospiti. Cocoon B&B Milano è la sintesi di questa forma di living, contemporanea ma tremendamente romantica, trasformata in un B&B a conduzione femminile in una delle arterie più silenziose di Porta Genova. Siete in via Voghera, a due passi dalla stazione e dietro via Tortona, conosciuta per i suoi spazi espositivi ed aree evento come Superstudio Più e BASE, a pochi minuti dal Silos di Armani e altrettanto rispetto al Mudec e al tristellato di Enrico Bartolini. La zona è dinamica in ogni ora del giorno perché residenziale di ottimo livello, ricca di case di moda, showroom, studi di design quindi anche in pausa pranzo piacevole grazie a tanti esercizi su strada agili e con formule smart. La sera siete pronti per un aperitivo in zona Navigli – l’accesso più comodo sarà il Naviglio Grande in questo caso – che oltre a pullulare di posti all’aperto in cui sostare, durante i weekend offre sempre mercatini dell’antiquariato, dei fiori o delle pulci a seconda del periodo dell’anno. Cocoon B&B Milano è molto riservato, conta tre stanze matrimoniali arredate con colori diversi ma tutte egualmente accoglienti come una casa di campagna. La bianca, di charme e accogliente, giocata sui toni sabbia e moka con tocchi di fucsia e il bagno en suite (come per tutte le camere). La stanza grigia smorza la presenza dei due letti singoli con una serie di dettagli romantici e di charme che la rendono una soluzione non meno valida rispetto alle altre e altrettanto spaziosa. Infine, la camera rossa è quella che più ricorda una suite, per dimensioni e affaccio sul giardino interno. Al Cocoon B&B Milano l’ambiente della colazione è intimo e con affaccio sul patio interno, ricoperto di un prato verde tutto l’anno e con una buona porzione di cielo con cui consolarsi nelle giornate più grigie dell’inverno lombardo. Nonostante tutti gli ospiti vi abbiano accesso sempre, un po’ come stanza di svago e relax anche perché fornita di comode poltrone, quest’area è a disposizione tutto il giorno per caffè e acqua, una chiacchiera o un momento lettura. Continua a leggere sul sito


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(ALMENO) UNA VOLTA NELLA VITA

THE AUBREY, UN CONTEMPORANEO IZAKAYA GIAPPONESE di Penelope Vaglini

L’esperienza di degustazione nel locale all’interno del Mandarin Oriental Hyde Park di Londra richiama la tradizione delle osterie giapponesi, elevandosi grazie a un ambiente raffinato. Al The Aubrey si può provare anche l’unica Omakase Cocktail Experience della città Di fronte alle vetrine di Harvey Nichols, mecca londinese dello shopping di lusso nel quartiere di Knightsbridge, si trova l’ingresso di The Aubrey. Il locale all’interno del Mandarin Oriental Hyde Park comunica con le aree comuni dell’hotel, ma ha una sua anima ben distinta che inizia dal foyer separato dove, dopo una tappa al guardaroba, si passa attraverso le classiche tendine giapponesi, per ritrovarsi di fronte a un lunghissimo bancone. Il ristorante e cocktail bar, nato dalla collaborazione tra la catena di hotel di lusso e Maximal Concepts, è dedicato alla figura carismatica di Aubrey Beardsley, illustratore e scrittore inglese vissuto ai tempi di Oscar Wilde. Conosciuto grazie alla sua passione per la terra del Sol Levante, è stato uno degli esponenti più prolifici del “Giapponismo”, i cui lavori sono stati pubblicati nella rivista Yellow Book, influenzando il movimento Liberty. Lo spazio di The Aubrey riflette quindi l’amore per il Giappone dell’artista, attraverso scelte di interior design lussuose ma rilassate, sobrie e allo stesso tempo raffinate. Quattro sale attendono gli ospiti, pensate come gli ambienti di una casa borghese: The Library, The Curio, The Salon e la Dining Room privata, decorate con oltre 250 oggetti e pezzi d’arte originali. I toni del verde, rosa, prugna e oro si declinano nei grandi divani semi circolari che abbracciano tavoli rotondi tovagliati (o di marmo lasciati a nudo), tappeti e lampadari di cristallo, e applique di stoffa con lunghe frange. Nascosta dietro a un passaggio si trova l’area dedicata alla Omakase Cocktail Experience. Una stanza che ospita un bancone circondato da sgabelli, dove prendono vita degustazioni personalizzate di cocktail, condotte dal bar manager Pietro Rizzo. Il talentuoso mixologist italiano guida la filosofia di miscelazione di The Aubrey, mettendo al centro distillati e fermentati giapponesi, serviti con uno stile minimalista. La cocktail list, chiamata The Yellow Book in onore di Aubrey Beardsley, comprende signature drink ispirati alla vita e alle opere dell’artista, suddivisi in tre sezioni. Nella parte dedicata all’Art Nouveau, per esempio, si trova The Black Cat, un twist nipponico sull’Old Fashioned a base di rum, umeshu (liquore alle prugne) e scotch, dedicato a un’illustrazione commissionata per un racconto di Edgar Allan Poe. Come un contemporaneo Izakaya, locale giapponese dove, seduti a tavola, si possono degustare bevande e piatti tipici, The Aubrey propone una selezione di sushi, carni e pesci cotti sulla Robata (griglia giapponese). La convivialità guida le degustazioni, con i piatti che vengono posti al centro del tavolo per essere condivisi e permettere di assaggiare più specialità dal menu. Continua a leggere sul sito


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NEWS: CONSORZI

ROMA DOC COMUNICA IL VINO IN LATINO di Gianfranco Ferroni

Un calendario in latino per anticipare il prossimo anno della città eterna: protagonisti i vini del Consorzio di Tutela Roma Doc. E non a caso la presentazione è avvenuta sulla terrazza di Ozio Restaurant, a pochi passi di distanza dal Vaticano e con vista sulla cupola di San Pietro. Realizzato con il contributo di Arsial, il calendario presenta in 12 scatti inediti i vini del consorzio inseriti negli scorci più identitari della Capitale. Dal Pantheon e Piazza Navona, dall’Isola Tiberina a Castel Sant’Angelo fino a Trastevere, il progetto racconta la storia della denominazione attraverso lo sguardo di 6 creator che spaziano dal settore enogastronomico, alla moda, al mondo dei viaggi. Si tratta di “una scelta tutt’altro che casuale, alla quale pensavamo già da tempo, e che è in linea con il nostro percorso sempre in bilico tra passato, presente e futuro”, afferma Tullio Galassini, presidente del consorzio, “il latino è alla base di moltissime delle lingue moderne, così come Roma è la culla della civiltà occidentale; diciamo che questa operazione in qualche modo evidenzia tutti questi elementi e lo fa con un prodotto di uso quotidiano che abbiamo affidato al talento di sei tra i volti più noti del web, che hanno immortalato in 12 foto, una per ogni mese dell’anno, questo binomio indissolubile di cui il Consorzio Roma Doc si sente in qualche modo custode”. Il progetto, a conclusione dell’anno 2023, porta avanti il percorso di comunicazione intrapreso dal Consorzio che mira alla promozione dei vini e, nello stesso tempo, a raccontare la tradizione enologica, e il legame con il territorio. Per Rossella Macchia, vicepresidente del consorzio, “è proprio il legame tra il vino e Roma il fulcro della denominazione, da qui il nostro impegno per consolidare la liaison tra le aziende produttrici e il trade romano. Nei mesi scorsi abbiamo lavorato in questo senso, ribadendo quanto la Capitale rappresenti il naturale punto di riferimento dei vini Roma Doc. Contiamo quindi su un’azione sinergica tra aziende, istituzioni e associazioni di settore, per far sì che il nuovo calendario entri nei ristoranti, enoteche, alberghi della nostra città, ponendosi come importante biglietto da visita tanto per i romani quanto per i turisti”.

GASTROCKNOMIA

I LED ZEPPELIN E LA PERFETTA “CUSTARD PIE” di Giovanni Aragona

“Custard Pie“ è uno storico brano dei Led Zeppelin racchiuso nel sesto album della band inglese intitolato “Physical Graffiti” Ci sono ricette elaborate in maniera molto articolata, ce ne sono alcune da svuota frigo e altre da medio bassa difficoltà. L’episodio di oggi del nostro consueto e settimanale appuntamento con GastROCKnomia affonda nel pieno degli anni ’70 e più precisamente al 1975. All’epoca, muoveva i primi passi sul grande schermo ‘Fantozzi’ diretto da Luciano Salce e magistralmente interpretato da Paolo Villaggio, la Ferrari tornava a dominare le scene con Niki Lauda e i Queen realizzavano uno dei brani più importanti e caratterizzanti dell’intera storia del rock, Bohemian Rhapsody. La musica vive un grande periodo e il punk non ha ancora mosso i suoi primi passi. I Led Zeppelin a febbraio di quell’anno danno alla luce Physical Graffiti, sesto disco del gruppo guidato da Robert Plant. Continua a leggere sul sito


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COCKTAILS & DREAMS

BOLLE DA MISCELARE di Carlo Carnevale

Non solo distillati e liquori: Champagne e altri vini spumanti possono recitare una parte da protagonisti in miscelazione, e cocktail storici ne sono la dimostrazione Non si cada nella tela di abitudine che troppo spesso avvolge le nostre scelte al bar. Legati a tradizioni che separano vino e cocktail ai due estremi del tavolo, finiamo per perderci la bellezza di una bevuta mai banale e sempre soddisfacente, come quella delle bollicine in miscelazione. La mixology è un terreno fertile per esprimere l’identità e il carattere di un prodotto usato nei drink già a metà Ottocento: lo Champagne Cocktail, che prevede una zolletta di zucchero imbibita di Angostura e poi ricoperta di Champagne appunto, era uno dei must durante la transizione da saloon a bar vero e proprio. Capisaldi del ber mondiale contemporaneo riportano il Prosecco tra i propri ingredienti: l’onnipresente Spritz, che lo miscela con bitter (Aperol il più celebre, ma anche Campari, Cynar e lo storico Select hanno i loro più che validi argomenti) e soda, oppure il Negroni Sbagliato, nato e consacratosi nella Milano rampante della moda e dell’aperitivo. A metà degli anni ’70, Mirko Stocchetto, patron del leggendario Bar Basso, preso dalla frenesia del solito affollatissimo servizio, scambiò il gin con le bollicine: ne risultò l’errore più famoso e apprezzato della storia del bere moderno, che oggi continua a vivere nelle abitudini italiane e non solo. Londra ha invece dato i natali al Pornstar Martini: nome velatamente censurabile e successo fragoroso, nel 2002 fu un’idea del compianto Douglas Ankrah, agli albori di quella oggi considerata come la rinascita della miscelazione di qualità. Cocktail che spinge su note acidule e profumate, preparato shakerando una rilevante dose di vodka con liquore al frutto della passione succo di lime e sciroppo vanigliato. Continua a leggere sul sito


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https://guideespresso.it/wp-content/uploads/2023/09/SITO1-3.jpg GUERIDON E DINTORNI

I GIOVANI SONO PRESENTE E FUTURO di Alberto Cauzzi

I ricordi e i consigli di Lukas Gerges, Restaurant Manager e Head Sommelier dell’Atelier Moessmer. Si parla da tempo di emergenza di sala, del fatto che le nuove generazioni non siano così appassionate del lavoro di sala, che lo chef è la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono, mentre invece un fulcro importante della fortuna di un ristorante è anche e soprattutto il grande lavoro di accoglienza che si opera nella sala del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica non per parlare dei soliti argomenti ma per chiedere agli uomini e attori principali di questo straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità che stimolano e ravvivano questo mondo. Oggi ne parliamo con Lukas Gerges, Restaurant Manager e Head Sommelier dell’Atelier Moessmer.

Caro Lukas Gerges come hai iniziato questa professione e perché? Non avevo tanta scelta, essendo nato in un piccolo albergo con 10 camere e annesso panificio che ancora oggi la mia famiglia porta avanti. Mia mamma si occupa della sala ristorante e di tutto quello che riguarda la sistemazione delle camere ed aiuta in cucina, mia zia che è lo chef senza brigata si occupa delle prenotazioni dell’albergo, mentre mio zio che è il proprietario si occupa di tutta la produzione del panificio ed è sempre presente durante il servizio del pranzo, del pomeriggio e della cena. Questo è proprio il valore del lavoro con passione e dedizione senza contare le ore che si fanno, senza lamentarsi, avendo sempre un sorriso sincero stampato sul volto ed essere felici realmente di ogni ospite che entra in casa. Questa è una cosa che ormai sembra estinta nelle nuove generazioni e nel nuovo modo di fare ristorazione. Non voglio dire che questa era o è la via giusta, assolutamente, ma vedere e vivere in parte questo, a me personalmente ha dato tanto. I tempi sono cambiati e ad oggi c’è un approccio diverso nel sistema lavorativo Il tuo bilancio di questi 16 anni di carriera qual è? È difficile tenere il conto, come raccontavo prima ho sempre aiutato nell’albergo di famiglia. Ma fuori casa ho iniziato più o meno verso i 14 anni a lavorare durante il fine settimana in un bar-pizzeria e poi ho proseguito, finita la scuola, a tempo pieno. Guardando a ritroso il mio percorso, non posso che essere soddisfatto e fiero di essere qui dove sono oggi, forse c’è stata di mezzo un po´di fortuna, ma anche tanto impegno, studio e tanti sacrifici, non è stato sempre un itinerario semplice e

felice. Quello di cui sono certo è che sono felicissimo di essere un Cameriere. Hai degli aneddoti, curiosità, episodi che ti piacerebbe condividere con noi? Mi porto nel cuore un racconto di due ospiti, clienti ormai da circa trenta anni, che ricordano con piacere di quando il primo anno che sono venuti si sono ritrovati vicino al tavolo un bambino di 3/4 anni (io). Ero scappato via dalla cameretta dove avrei dovuto dormire, mentre la mia famiglia lavorava, per arrivare in sala dove chiesi loro dei canederli da mangiare: vi lascio immaginare appena mia mamma mi vide! Questo aneddoto mi ha sicuramente insegnato che il lato umano e il sentirsi a casa viene riconosciuto e ricordato più di qualsiasi altra cosa, in quanto questi clienti tornano ancora nel nostro albergo e raccontano ogni volta questa storia. Invece uno dei complimenti più belli che abbiamo ricevuto è giunto da una coppia molto giovane. Io e tutto il team li abbiamo accolti e una volta messi a tavola hanno mostrato molto interesse verso tutto, sia piatti che servizio, abbiamo avuto molta premura verso di loro e li abbiamo riempiti di attenzioni. Notando il loro continuo interesse gli abbiamo chiesto se volessero mangiare il secondo in cucina, con occhi luminosi ed un grandissimo sorriso hanno accettato con entusiasmo. A fine cena, parlando, scopriamo che erano due ragazzi del settore, che nonostante la giovane età avevano già mangiato in diversi ristoranti tra i migliori al mondo; ed hanno tenuto a comunicarci e complimentarsi dicendo che il nostro era stato il miglior servizio di sala che avessero mai avuto. Continua a leggere sul sito


Wines of

Altitude Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m.

albola.it

@CastelloDiAlbola

In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di Albola, una delle più alte tenute del Chianti Classico. Qui trovano dimora le espressioni più elevate ed eleganti del Sangiovese di "alta collina", caratterizzate da forti pendenze, che godono di importanti escursioni termiche e di un microclima ideale per la produzione di vini unici, patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza.


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TERRITORI A TAVOLA

di Matteo Calzaretta

PROVINCIA DI MANTOVA Viaggio nell’Italia dei sapori: cosa mangiare a Mantova e dintorni per scoprire un territorio nel cuore del Belpaese, ricco di storia e di enorme valore enogastronomico Dalle Langhe piemontesi, splendide colline ricoperte di vigneti pregiati e che racchiudono nella terra il prezioso tartufo, facciamo un balzo di oltre 200 chilometri nel territorio mantovano, che deve il suo fascino all’eredità di arte e di cultura dell’epoca medievale, ma anche alla lunga età dei Gonzaga. Questa nobile casata fece della città capoluogo e dei centri maggiori altrettante corti rinascimentali, resi inimitabili dall’attività di maestri come Andrea Mantegna, Leon Battista Alberti, Giulio Romano, Benvenuto Cellini. La provincia di Mantova incornicia i capolavori di architettura e di arte in un paesaggio che ancora mantiene la sua bellezza, in particolare nell’area dell’anfiteatro collinare morenico che chiude a sud il bacino del Garda, lungo l’asta del fiume Mincio e del fiume Po e nella vastità della pianura coltivata della Bassa. Una tradizione intrigante, da sempre legata alla cultura popolare contadina ma al tempo stesso unica per il gusto delle spezie e l’agrodolce, eredità della raffinata corte rinascimentale della famiglia Gonzaga. I prodotti mantovani sono veri tesori d’arte enogastronomica che hanno ottenuto numerose certificazioni di tipicità. Mangiare a Mantova e dintorni: Le colture mantovane toccano punte di alta eccellenza: il riso, la zucca, il melone, la cipolla, il tartufo, la pera mantovana I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta). Qui dal maiale, allevato sin dai tempi degli Etruschi, si ottengono salami, salamelle, pesto per il risotto e cotechini davvero speciali. Trionfa su tutti i formaggi il Parmigiano Reggiano D.O.P. (Denominazione d’Origine Protetta), che si contende lo scettro con il famoso Grana Padano D.O.P. Mangiare a Mantova e dintorni è incredibile perché il menù mantovano è un trionfo di sapori: le gustose “cicciole”, ottenute dalla cottura del maiale con aromi, il gras pistà e la polenta fritta servita con salame e pancetta, la schiacciatina secca ed il tiròt di Felonica (una focaccia che si gustava al termine della raccolta, a base di cipolla paglierina di Felonica). Lasciatevi deliziare dai primi piatti: il risotto alla pilota è un piatto tipico della cucina mantovana; il nome “pilota” deriva dal nome dell’addetto alla “pila”, una sorta di mortaio per la pulitura del riso. Del piatto esiste anche la variante, detta col puntèl, per la presenza sopra il riso di una braciola di maiale (o di una costina) che viene servita assieme. Le zone tipiche del risotto alla pilota sono i territori di Castel d’Ario e di Villimpenta. Altro piatto sono i tortelli di zucca mantovani, ripieni con zucca, amaretti, mostarda di mela e conditi con burro e parmigiano.

Non manca la tradizione dolciaria: il dolce tipico, la torta sbrisolona da esaltare con lo zabaione caldo; il nome deriva dal sostantivo brìsa, che in mantovano vuol dire briciola e pare che la ricetta risalga a prima del ‘600 quando arrivò anche alla corte dei Gonzaga. È una torta secca che si conserva molto a lungo.

Mantova vanta, inoltre, una propria produzione vinicola di alta qualità, da scoprire percorrendo i trecento chilometri della “Strada dei vini e dei sapori mantovani”: Merlot, Pinot, Cabernet Sauvignon, spumante, passito, che hanno raggiunto alti gradi di riconoscimento con l’attribuzione della denominazione DOC. Il Lambrusco mantovano D.O.C. (Denominazione di Origine Controllata) è il vino mantovano per eccellenza: eclettico, giovane e moderno, uno dei rari vini rossi frizzanti. Ha un sapore particolare fatto di equilibri tra la gradevole acidità ed i tannini, piacevolmente frizzante. Continuando con cosa mangiare a Mantova, i secondi piatti della tradizione sono i bolliti di manzo o di maiale, accompagnati dalla giardiniera e dalla mostarda, prediletta dai Gonzaga e perfetta ancora oggi con le carni ed il Parmigiano Reggiano. Lo stracotto mantovano appartiene alla grande famiglia degli stufati. In origine veniva utilizzata la carne d’asino, ma attualmente, vista anche la difficile reperibilità della materia prima “antica”, si utilizza carne di manzo. Come indica il nome, la cottura è particolarmente lunga. Ricetta molto antica popolare è quella del luccio in salsa. Il luccio, tipico pesce dei corsi d’acqua mantovani, viene bollito e insaporito da una salsa a base di capperi, vino e verdure.


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ASSAGGI DI LUCE di Stefano Caffarri

Tutti i colori del bianco Tocca innescare il Bianco e Nero per raccontare con il minimo sindacale di fedeltà Bianco su Bianco, l’album di frammenti olografici che Alberto Gipponi ha architettato per Dina. Una cucina priva di indulgenza, furiosa di interrogativi e graniticamente rigorosa. Alla fine ci si chiede “Cos’è il buono?” e ci si può rispondere che a Gussago la bontà si è liberata dalla schiavitù della piacevolezza.

Mozzarella maturata

Trofie al pesto

Pappardelle al limone

Boreto

Faraona in bianco


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Feed ‘n’ Food

Nasce come blog diventando subito dopo materiale social partorito dalla mente di Grazia Giulia Guardo. Dentro ci troverete di tutto, dalla cucina alle passioni della sua creatrice.

Si chiamano Alessandra e Leo e ti accompagnano alla scoperta dei migliori ristoranti di Milano con il loro motto: “chi ha fame ci segua”

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Bar e ristoranti, negozi e botteghe, mostre ed eventi, ma anche itinerari in città e gite fuori porta. A condurre c’è Caterina Zanzi.

Alzi la mano chi non ha mai guardato un video di Joshua Weissman: conosciuto in tutto il mondo, stile rock e tanto tanto umorismo.

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