Weekly Enjoy #023

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Pubblicazione settimanale gratuita #023 - 25 Novembre 2023

Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi Coordinamento Editoriale Digital: Carlo Carnevale Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola Direttore Commerciale: Michele Belingheri

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO Ogni fine settimana, al vostro indirizzo di posta elettronica, vi verrà recapitato il Weekly Enjoy, un magazine con notizie, servizi, approfondimenti e consigli più interessanti della settimana. Chi ha fame di notizie enogastronomiche può mettersi a tavola. Il servizio è gratuito.


WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

Carlo Carnevale Coordinatore editoriale digital de Le Guide de L’Espresso

ESPRESSO A MILLE RISTORANTE LIDO 84 Corso Giuseppe Zanardelli, 196 Gardone Riviera, BS Tel. +39 036520019 ristorantelido84.com

VIP: VERY IMPORTANT POSTO di Alberto Cauzzi

LIDO 84

guideespresso.it

Uno dei templi della gastronomia mondiale: Lido 84 è il regno dello chef Riccardo Camanini, teorico, esploratore e filosofo dell’Alta Cucina Una figura mitologica quella di Lido 84. Una creazione metà ristorante, metà stabilimento balneare. L’84esimo, a scanso di equivoci, impilato lungo Gardone Riviera, sulla sponda occidentale del lago di Garda. Oggi si è naturalmente evoluto in santuario gourmet e presenza fissa nelle classifiche mondiali quando si tratta di citare i the best of. A tenere le fila del sempre precario equilibrio tra avanguardia e valorizzazione della materia prima, c’è lo chef Riccardo Camanini, teorico, esploratore e filosofo dell’Alta Cucina. I suoi menu sono il piano cartesiano di correnti culinarie basche e francesi, intersezione di linguaggi gastronomici diversi ma che trovano un punto di incontro divenendo gusto e bellezza, eredità dell’indottrinamento marchesiano. La scintilla scocca dall’ancestrale cacio e pepe in vescica, dal risotto all’aglio nero fermentato e dallo spaghettone burro e lievito. Insieme, costituiscono la rivoluzione Copernicana del carboidrato da cui sono sgorgati i menu successivi: una raccolta filologica di eccezionali intuizioni culinarie. Tra le più recenti figura la marinatura della sbernia – pecora – lasciata nel vino per almeno una notte. Continua a leggere sul sito CHEF RICCARDO CAMANINI

MENU DEGUSTAZIONE € 90 - 100 - 130

VIP: VERY IMPORTANT PIATTO di Alfonso Isinelli

QUELL’AGNELLO CHE PROFUMA DI ASPROMONTE L’inno alla Calabria dello chef Nino Rossi, tra i portabandiera della rinascita gastronomica della sua terra Salire da Palmi verso Santa Cristina d’Aspromonte, vi fa capire in circa trenta minuti cosa offre la Calabria: dal mare comincerete ad attraversare olivi, boschi e vi immergerete una natura ancora incontaminata. La Calabria è anche diventata una meta gastronomica importante, grazie ad un gruppo di giovani che, in meno di un decennio, ha rivolto l’immaginario gustativo regionale. Tra questi in prima fila Nino Rossi, un padre grande appassionato, una madre con una bella mano in cucina, ma lui il colpo di fulmine per i fornelli l’ha avuto non da giovanissimo: si è formato da autodidatta, ha rimesso a posto la tenuta di famiglia e a Santa Cristina d’Aspromonte è nato Quafiz, che anno dopo anno, passo dopo passo (piscina, camere, il bel cocktail bar Aspro) è diventato un gioiello anche dell’accoglienza. Continua a leggere sul sito RISTORANTE QAFIZ

CHEF NINO ROSSI

QAFIZ Località Calabretto Santa Cristina d’Aspromonte Tel. +39 0966878800 qafiz.it

La nuov(issim)a Guida Ristoranti de L’Espresso ha finalmente volti e nomi tra cui scorrere. È stato un viaggio senza interruzioni che ha collegato ancora una volta l’Italia intera, come negli ultimi quarant’anni, e ha anche segnato alcune svolte. A partire dal nuovo direttore, Andrea Grignaffini, che si è prodigato per “recuperare dal passato le peculiarità storiche ed estetiche della Guida, forte di oltre otto lustri di tradizione, rendendola più esclusiva grazie al numero chiuso”. Attorno a lui, un gruppo di una trentina di ispettori, tutti di pari rango, con la missione di selezionare i migliori 1.000 ristoranti del Paese e l’obbligo di dover visitare almeno il 50% delle insegne fuori dalla propria regione di residenza. I primi 500 indirizzi, valutati con i tradizionali cappelli, hanno affrontato una scala di valutazione più severa rispetto al passato, che sottolinea la definitiva sterzata verso una ricerca di qualità assoluta e solida. A questi si affiancano gli ulteriori 500 ristoranti, senza punteggio, che raccolgono l’eccellenza nostrana sotto i punti di vista più vari, dalla storicità all’interpretazione delle singole materie prime: “Siamo orgogliosamente una guida Gourmet e continueremo ad esserlo”, racconta il vice-direttore Alberto Cauzzi, e il messaggio si conferma più genuino che mai, anche nel lavoro di divulgazione che le Guide de L’Espresso propongono sul sito internet dedicato. Mille ristoranti per una sola ragione: celebrare il meglio dell’ospitalità italiana, come sempre, ma al tempo stesso come mai prima d’ora. Buona Guida a tutti. Carlo Carnevale


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CIOCCOLANDIA

di Antonio Franchi

PRINCIPALI PRODOTTI TIPICI A BASE DI CIOCCOLATO IN SICILIA CIOCCOLATO DI MODICA Cioccolato tipico di Modica (Libero consorzio comunale di Ragusa): si ottiene da una lavorazione della massa di cacao e dello zucchero (semolato o di canna) ad una temperatura non superiore a 50 gradi: i cristalli di zucchero rimangono integri all’interno della pasta. Nel 2018 l’Unione Europea ha riconosciuto al cioccolato di Modica l’Indicazione Geografica Protetta – IGP e nello stesso anno la produzione è stata regolata attraverso l’emanazione del “Disciplinare di produzione della indicazione geografica protetta Cioccolato di Modica”. M’PANATIGGHI Biscotti ripieni a forma di mezza luna, simili a piccoli panzerotti, ripieni di un composto di mandorle, noci, cioccolato fondente, zucchero, cannella, chiodi di garofano e carne di manzo; tipici di Modica. PIGNOLATA MESSINESE Dolce tipico di Messina, formato da una montagnetta di gnocchetti di pasta morbida fritti e ricoperti per metà di glassa al limone e per metà di glassa al cioccolato fondente. TORRONCINI RICOPERTI DI CIOCCOLATO Piccoli torroncini di mandorle, miele e zucchero, ricoperti di cioccolato fondente, al latte o bianco o gianduia. FICHI RICOPERTI DI CIOCCOLATO FONDENTE Fichi secchi imbottiti con mandorle tostate e scorza di arancia candita e ricoperti di cioccolato fondente. TORTA SAVOIA Torta composta da sottili strati di pan di spagna leggermente bagnati al rum, alternati da strati di crema compatta al cioccolato e alle nocciole, coperta di glassa al cioccolato fondente. Fu inventata in onore di Vittorio Amedeo II di Savoia, incoronato Re di Sicilia nel 1713 seppure per pochi anni; è incerto se l’origine sia a Palermo o a Catania. AFRICANO Cannoncino di pan di Spagna ripieno di crema al cioccolato aromatizzata al rum, ricoperto di cioccolato fondente e decorato con granella di pistacchio alle estremità; tipico di Palermo.

NEWS

Il biometano dal cibo: creare il biometano grazie agli scarti alimentari

Grazie al recupero degli alimenti avanzati si sta sperimentando la produzione di biometano dal cibo Carne ed economia circolare: con un investimento di 28 milioni di euro la NewCo Biorg, nata dalla partnership tra Herambiente del gruppo Hera e Inalca del gruppo Cremonini, ha riconvertito un vecchio biodigestore trasformandolo in un impianto d’avanguardia. I rifiuti organici e reflui agroalimentari diventano metano 100% rinnovabile e compost. Con 3,7 milioni di metri cubi di biometano e 18 mila tonnellate di compost prodotti all’anno, fornisce un importante contributo alla transizione green. È stato così inaugurato a Spilamberto, in provincia di Modena, l’impianto che segna un nuovo modello di transizione energetica e di economia circolare e che consente di creare biometano dal cibo. Continua a leggere sul sito

PERSONAGGI

ARRIGO CIPRIANI “Sono l’unico uomo al mondo che si chiama come un bar, non viceversa”. Arrigo Cipriani è l’ Harry’s bar e l’Harry’s bar è Arrigo Cipriani. Cipriani Senior aprì il locale nel 1931 in Calle Vallaresso appena una anno prima la nascita del figlio legandoli a doppio filo indissolubilmente. Oggi il cognome Cipriani fa tendenza e non soltanto per il prestigio di cui gode il gruppo con la diaspora di 26 locali nel mondo, ma perché Arrigo è un uomo atipico, sagace e avverso al 2.0. Maestro di Karate e cintura nera terzo dan, le sue opinioni sono colpi decisi che non risparmiano nessuno. Ateo incontrovertibile immagina l’aldilà un luogo pieno di “menu degustazione al buio creati da chef che non sanno cucinare”, di telecuochi, di “guide dei copertoni”. Eppure, stretto nei monopetto di assoluta finezza sartoriale, Cipriani è un uomo di vigore e di passioni, un testimone oculare del mondo che cambiava. Nella sua stanza, come ama definire il locale, si sono avvicendate le grandi personalità del ‘900. Qui è dove Ernest Hemingway ha ultimato il romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi e dove sono nati il Bellini e il carpaccio. L’Harry’s Bar custodisce quasi cento anni di storia assistendo all’umanità passarsi il testimone durante un secolo che mai come prima ha galoppato verso il progresso di macchine e di idee.


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LE BUONE COSE… di ANDREA GRIGNAFFINI

NODO D’AMORE

L’esperto svela tutti i segreti per preparare e gustare al meglio gli ingradienti della settimana.

Una romantica storia d’amore alla base di uno dei rituali più sentiti della tradizione gastronomica italiana. Il Tortellino di Valeggio e il suo profondo significato simbolico

Una prelibatezza che si fa leggenda, lo squisito Tortellino di Valeggio, una specialità che dagli anni ‘90 ha decuplicato la sua fama grazie alla celebre leggenda del “Nodo d’Amore”, racconto di una struggente vicenda romantica creato dal maestro Alberto Zucchetta. Si narra che alla fine del Trecento Malco, valoroso capitano delle truppe viscontee accampate sulle sponde del Mincio, s’innamorò perdutamente di Silvia, dolce e bellissima ninfa del fiume. L’idillio tra i due scattò immediato e inesorabile tanto che, braccati dai soldati a cui venne ordinato di catturarli, i due amanti si rifugiarono nelle profondità del fiume rinunciando, Malco, alla sua vita terrena per restare insieme alla sua adorata. Abbandonato sulla riva, gli inseguitori ritrovarono uno scintillante fazzoletto di seta dorata, teneramente annodato dai due innamorati a testimonianza del loro eterno amore. Fu così che da allora, nei giorni di festa, le ragazze della zona rievocano la fiaba preparando i tradizionali “nodi d’amore”. Un impasto morbido e liscio realizzato con farina e uova dal quale si

ottiene la sfoglia che va rigorosamente tirata a mano sottilissima, impalpabile come seta, tagliata poi in piccoli quadrati. Il ripieno è delicato, composto da polpa di manzo, pollo e maiale a cui si uniscono aromi, sedano, carote, cipolle e pan grattato. Qualcuno aggiunge una goccia di vino Bardolino, caratteristico del veronese. Gli ingredienti cuociono per 5/6 ore e poi si tritano tutti insieme fino ad ottenere un composto omogeneo. La sfoglia custodisce il ghiotto ripieno annodata intorno ad esso come il fazzoletto simbolo d’infinita devozione. Dunque, attesissima, è la Festa del Nodo d’Amore che si celebra a giugno lungo il Ponte Visconteo di Borghetto (con Valeggio, i cinefili già sanno, tra le ambientazioni scelte da Luchino Visconti per girare uno dei suoi capolavori, Senso): su due tavolate di 600 metri che accolgono circa 3.300 commensali provenienti da tutta Europa, si degustano i leggendari tortellini serviti in brodo di carne oppure asciutti con burro e salvia e una generosa spolverata di grana.


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LES CRÊTES

SR20, 50 11010 Aymavilles (AO) Tel. 0165 902274 info@lescretes.it

IL BUON VINO… di LUCA GARDINI Conosciuto anche come The Wine Killer, grazie al successo del suo sito, redatto interamente in lingua inglese e dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo, GardiniNotes.com, Luca Gardini è oggi uno stimato wine-critic a livello internazionale.

VALLE D’AOSTA DOP BIANCO NEIGE D’OR 2018 PUNTEGGIO 95+ /100

prezzo € 55 Una delle punte qualitative dell’intero movimento vitivinicolo valdostano, un dosatissimo blend di Petite Arvine e Pinot Grigio, parzialmente vinificato ed affinato in legno, una finestra aperta su un futuro percorribile per la viticoltura valdostana. Gelsomino e litchi, limone e menta selvatica al naso, iodato- salmastro al gusto, con ritorno agrumato-floreale. Semplicemente irresistibile con una tipicissima seupa à la vapelenentse, piatto che da solo vale il viaggio.

LES CRÊTES Un ex professore di educazione fisica che tramanda la tipicità vinicola della Valle d’Aosta: Costantino Charrère e il suo Les Crêtesi Terra di confine, dalla vocazione vitivinicola robusta, responsabile di uno dei movimenti più convincenti, anche alla luce dei poco più di 500 ettari vitati, la Valle d’Aosta è una delle Regioni-cardine dell’universo del vino italiano. Certo molto del successo attuale lo si deve a rarissime figure di vignaioli-imprenditori, come l’ineffabile Costantino Charrère, che grazie a Les Crêtes ha fatto conoscere le tipicità delle uve che crescono a queste latitudini prima in Italia, poi nel resto del mondo. Del resto l’arte di lavorare la terra ed esaltarne i frutti si tramanda nella sua famiglia da centinaia di anni, per l’esattezza dal trisnonno Bernardin, arrivato dall’Alta Savoia alla metà del settecento, poi del figlio Antoine. Con investimenti mirati, se si pensa che l’immobile di Aymavilles, tuttora sede dell’azienda, è quello originario, da lui costruito. È qui che Costantino, ex professore di educazione fisica, prosegue con altrettanta convinzione la tradizione dei suoi avi, puntando a realizzare prodotti di alta qualità. I suoi vini, sapidi, freschi ed eleganti, sono la perfetta espressione del terroir in tutti i 35 ettari vitati, coltivati seguendo criteri di basso impatto ambientale, con rari territoriali come la Premetta, ma anche Prié Rouge, Fumin e Cornalin, associati a varietà internazionali, qui dotate di caratteristiche peculiari. Alta qualità della materia prima che, associata a vinificazioni semplici e pulite, permette a quella che è, dati alla mano, la più grande azienda vitivinicola privata in Valle, di realizzare bottiglie di personalità, veri alfieri di una produzione ragguardevole, assolutamente da approfondire.


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NEWS

di Fabiola Fiorentino

VERSO IL FUTURO DELLA VITICOLTURA La cantina vitivinicola Casale dello Sparviero, nel cuore del Chianti punta sull’innovazione con Abaco4Grapes, la piattaforma di smart farming di Abaco Group dedicata al settore vitivinicolo Anche il settore vitivinicolo si trova oggi a dover fare i conti con gli effetti del cambiamento climatico: dall’alternanza tra lunghi periodi di siccità e improvvise alluvioni alle violente grandinate che possono compromettere il raccolto di mesi. Così il futuro della produzione del vino passa inevitabilmente per l’avanzamento tecnologico e l’implementazione di soluzioni avanzate finalizzate all’aumento della resa produttiva e al miglioramento della qualità riducendo, allo stesso tempo, l’impatto sull’ambiente. La cantina vitivinicola Casale dello Sparviero, nata nel 1970 da Olindo Andrighetti, nel cuore del Chianti, in Toscana, ne è un chiaro esempio. Una tenuta che comprende località ricche di storia in grado di farsi vanto di una tradizione vinicola di più di ottocento anni e che oggi è consapevole più che mai di quanto sia fondamentale creare una sinergia tra i valori tradizionali e l’innovazione tecnologica. Con una superficie vitata di 90 ettari dal quale la cantina ottiene il Chianti Classico Gran Selezione Paronza, l’azienda decide nel 2022 di scommettere sul futuro del settore digitalizzando le proprie attività con Abaco4Grapes. Un’innovativa piattaforma di smart farming dedicata al settore vitivinicolo di Abaco Group, player di riferimento europeo nel settore dell’agtech. Grazie all’utilizzo della piattaforma di viticoltura di precisione, Casale dello Sparviero ha digitalizzato le attività di campo e usa i dati che ne derivano per il monitoraggio e il controllo della produzione. L’azienda del Chianti sta così ottimizzando l’utilizzo

di prodotti fitosanitari e di risorse idriche raggiungendo risultati importanti in termini di sostenibilità, oltre ad ottenere un aumento del potenziale qualitativo del vigneto grazie alla consultazione di algoritmi per la prevenzione dalle malattie della vite o l’analisi della fertilità dei suoli. Così i vini migliori stanno diventando sempre più tech; la tradizione si evolve verso un modello che supporta agronomi e tecnici di campo nel loro lavoro quotidiano grazie a strumenti che oggi consentono di monitorare e migliorare sempre di più qualità e resa del raccolto. Sostenibilità e innovazione diventano elementi imprescindibili nel percorso di trasformazione di uno dei settori più strategici dell’economia nazionale. E oggi dietro l’altissima qualità di una bottiglia di vino non c’è solo la storia e la tradizione, ma anche la capacità di innovare con uno sguardo sempre rivolto al futuro.


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THE ITALIAN TRAVELLER

di Chiara Buzzi

STORIA E TRADIZIONE

L’OSPITALITÀ GIAPPONESE DELL’HOTEL GAJOEN Il concetto dell’omotenashi espresso fin nei dettagli: Hotel Gajoen è una base strategica per visitare le meraviglie di Tokyo Ci sono più situazioni in cui l’hotel giapponese si propone come luogo di ospitalità verso gli stranieri, cercando di riportare nei suoi ambienti una riproduzione fedele e autentica di quelli che sono i canoni guida dell’architettura di questo paese. La dimensione delle stanze è generalmente più ampia rispetto a quelle Europee e con una complessiva organizzazione degli spazi che esula da una normale stanza. L’ospite soggiorna spesso in mini appartamenti, dove le aree – per quanto limitate – hanno una funzionalità precisa, una disposizione studiata, una pulizia delle forme e delle linee che si ripete costante. Un esempio calzante da questo punto di vista è l’hotel Gajoen di Tokyo, fondato nel 1928 e per molti ancora noto come il palazzo del dragone dorato. Originariamente fu un luogo di ritrovo per i benestanti della città, con eventi mondani e matrimoni, mentre oggi è stato completamente restaurato. Gajoen fa parte del circuito Small Luxury Hotel – al suo interno, negli ultimi due piani, sono ospitate sessanta suites – ed è a tutti gli effetti un boutique hotel che riflette il concetto dell’omotenashi, quindi dell’ospitalità giapponese, accogliendo turisti e viaggiatori da tutto il mondo. Al suo interno è visibile l’ammodernamento di certi spazi comuni, specialmente le aree meeting e gli outlet di ristorazione mentre le stanze preservano un gusto più tradizionale e ovattano totalmente l’ospite in un grande senso di pace e tranquillità. Ogni stanza, in quanto suite, prevede un comodo salottino che potrebbe fungere da ufficio, anche per ricevere ospiti esterni. Un’ampia scrivania con comodissime sedie si apre verso grandi vetrate affacciate sul quartiere di Meguro – strategico per visitare Tokyo – e le classiche pareti scorrevoli in legno dividono la zona giorno dalla notte. Sono più numerose le stanze twins, quindi con letto matrimoniale, rispetto alle semplici doppie e forse anche per questo l’area servizi è sempre così spaziosa. In questo caso oltre alla vasca e alla doccia – inserite in un bagno rivestito interamente di marmo – la porta verso la stanza si può chiedere quasi ermeticamente per accendere sauna e bango turco.

Ogni stanza definita Japanese ha quindi a tutti gli effetti una sauna privata a disposizione giorno e notte, e una metratura totale degli spazi che si aggira tra i 60 e gli 80 metri quadri. La tipologia di stanze tradizionali si alterna con quelle definite Japanese modern, che mescola il gusto occidentale con quello giapponese. In questi casi, oltre alla vista sul verde, l’area ricevimento o di ingresso è attrezzata con un ryukyu tatami fedele al contesto. La zona colazione si trova al pian terreno, accanto ad una tea room e a un all day bar che accoglie appuntamenti e riunioni di clientela esterna, aziende, liberi professionisti e famigliole. Questo non toglie che l’autenticità del primo pasto della giornata venga riproposta anche nel buffet. La cura verso ogni singolo dettaglio è ammirevole e soprattutto la varietà di referenze tra la proposta continentale e quella locale è molto ampia. Dai ramen alle zuppe, fino alla pancetta stufata, alle uova, le frittatine, il pesce sfilettato a sashimi, marinato o grigliato e glassato. Il riso anche qui non può mancare, proprio perché la colazione è spesso più salata che dolce e con referenze analoghe a quelle che compongo un classico bento. L’hotel è in una posizione strategica per visitare la capitale, perché non troppo centrale ma estremamente ben collegata, residenziale, piena di verde e caratterizzata da un bellissimo canale lungo cui si sviluppano locali, ristoranti, botteghe di artigiani. Verso la fine di aprile tutti i ciliegi che si riflettono nell’acqua passano a fioritura e lo spettacolo è impressionante. Un modo perfetto per entrare lentamente nel vivo di un paese magico ed entusiasmante come solo il Giappone sa essere.


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(ALMENO) UNA VOLTA NELLA VITA di Penelope Vaglini

ROYAL SUITE AWEN, LUSSO E BENESSERE SUL LAGO DI GARDA All’interno di Eala, hotel cinque stelle lusso a Limone sul Garda, gli ospiti possono immergersi nella natura grazie alla Royal Suite Awen con i suoi 185 mq di giardino, piscina privata e sauna panoramica I colori del Garda sono difficili da descrivere se non si osservano in prima persona. Le sfumature che vanno dal blu al verde cambiano durante la giornata grazie alla posizione del sole, che fa capolino dalle montagne e illumina le increspature della superficie del lago, sferzata tutto l’anno dai venti che hanno reso Limone sul Garda e la vicina Torbole le mete ideali per gli appassionati di windsurf. Ma il suo paesaggio è incantevole anche nelle mattinate nebbiose, quando le nuvole coprono il cielo e lo specchio d’acqua si fa scuro e profondo, mentre i profili delle rocce a picco sul lago appaiono più severi. Questo paesaggio così affascinante è il primo elemento che conquista gli ospiti di Eala, hotel cinque stelle lusso e adults only a Limone sul Garda, inaugurato a primavera 2021 dalla famiglia Risatti dopo la ristrutturazione dell’Hotel Panorama, vecchio albergo di famiglia. Il progetto firmato dallo studio Gesia, ha integrato perfettamente la struttura con l’ambiente circostante, riempiendo le terrazze delle camere di verde e scegliendo materiali locali, capaci di rappresentare al meglio il territorio. Dal lago, infatti, l’edificio appare come un costone roccioso che degrada verso

l’acqua, culminando con un rigoglioso giardino e una spiaggia balneabile, rarissima da queste parti e vanto dell’hotel. Tra gli otto piani della struttura, al livello più basso, adiacente alla zona wellness, si trova il meglio delle camere di Eala, con la magnifica Royal Suite Awen. Il nome arriva dal celtico e significa “massima ispirazione poetica”, scelto per la tranquillità e il benessere che ogni ospite vive quando sceglie di soggiornarvi. Lo spazio interno si sviluppa su una superficie di 107 mq, costituito da un’ampia zona giorno con una parete attrezzata dalla finitura in legno, un tavolo da pranzo con top in marmo che può ospitare fino a sei commensali e un’area living con divano e poltroncine che affacciano sul verde del giardino. Qui si può scegliere di consumare i pasti in totale privacy, assistiti dal servizio attento e sempre cortese del personale di Eala. Nella zona notte della Royal Suite Awen il letto è situato al centro e di fronte, integrata nella camera e con vista sul lago, si trova un’ampia vasca da bagno. Alle spalle del super king size ci sono una cabina doccia con bagno turco integrato di Starpool e l’area bagno separata. Sulla terrazza esterna di 58 mq sono posizionate una sauna panoramica con vista spettacolare sul lago e una vasca idromassaggio rotonda con sistema Airpool, attivata con getti d’aria che fuoriescono dagli ugelli interni per il massimo relax. Infine, lo spazio outdoor comprende 185 mq di giardino, con una piscina privata per rilassarsi nelle giornate più belle e un prato rigoglioso dove camminare a piedi nudi godendosi il contatto diretto con la natura. Tutti gli arredi realizzati su misura e le amenities della Royal Suite Awen sono rigorosamente made in Italy, dall’illuminazione di Flos fino ai prodotti di caffetteria Illy, gli infusi de La Via del Tè e le grappe realizzate in collaborazione con Marzadro. Appena fuori dalla camera si può accedere all’ampia piscina esterna riscaldata dell’albergo, fruibile anche nella stagione fredda e ai 1500 mq di aree benessere della spa. Da provare lo scrub e il massaggio territoriali dedicati a Limone del Garda e realizzati con caffè della Torrefazione Omkafe1947, olio vegetale di puro cocco, peperoncino e fava tonka. Gli ospiti della Royal Suite Awen possono usufruire di una serie di servizi di lusso, a partire da transfer privati in auto o in elicottero, gite in barca, visite guidate su misura e tour gastronomici tra i produttori della zona, come nella cantina di Gabriele Furletti, giovanissimo enologo che, in collaborazione con il sommelier di Eala Manuele Menghini, ha sviluppato Violor, assemblaggio di Merlot e Cabernet Franc. Da accompagnare alla selezione dei piatti a cura dello chef Alfio Ghezzi, realizzati dalla brigata capitanata dal resident chef giapponese Akio Fujita. Per un soggiorno di puro benessere, da provare almeno una volta nella vita, immergendosi nelle affascinanti atmosfere del Lago di Garda.


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COCKTAILS & DREAMS

di Carlo Carnevale

BOURBON WHISKEY,

IL SOGNO AMERICANO L’alternativa allo scotch whisky che i coloni iniziarono a produrre quando sbarcarono negli Stati Uniti. Oggi, Giorno del Ringraziamento, si celebra un classico a stelle e strisce Quando i coloni europei sbarcarono nel Nuovo Mondo, raggiungendo con discreto peregrinare le praterie e le distese del sud degli Stati Uniti, portarono nelle loro valigie anche tradizioni e strumenti. Irlandesi e scozzesi catapultati nei campi d’oltreoceano, iniziarono a fare quello che facevano già da secoli: distillare. Ma non come erano soliti: lo scotch whisky che spesso facevano invecchiare in botti investite dal fumo della torba incendiata era (ed è tutt’ora) a base di orzo maltato, cereale che in America non era presente a sufficienza. Ripiegarono allora sulla segale, di cui c’era impressionante abbondanza, fino al 1776: fu l’anno in cui il Governatorato della Virginia incentivò la piantagione di mais, ad oggi l’ingrediente che il disciplinare impone al 51% per la produzione del bourbon whiskey. La denominazione geografica del bourbon prevede sia prodotto esclusivamente in Kentucky, dove i distillatori sconfinarono quando i politici della Virginia iniziarono a tassare pesantemente la produzione (la cosiddetta Whiskey Rebellion del 1794). Manco a dirlo, qui scorre la preziosissima acqua del Kentucky River, che contribuisce alla fermentazione grazie a una filtrazione naturale attraverso le rocce del luogo, che ne rendono unico il pH: per di più, i terreni impervi permettevano ai distillatori illegali (moonshiners, che lavoravano cioè alla luce della luna) di non essere scovati. Il timbro finale è dato dall’utilizzo di botti di rovere (anche quella disponibile in larga misura negli USA del sud) che viene carbonizzata, arricchendo il bourbon dei suoi tipici sentori morbidi, quasi caramellati. Il bourbon, insieme al suo vicinissimo cugino rye (51% di segale) si è da subito radicato nei costumi statunitensi, tanto da assurgere ad accompagnamento tradizionale per il leggendario Thanksgiving Day: il giorno del Ringraziamento (23 novembre) e il rispettivo weekend vedono infatti scorrere fiumi di distillato di mais al fianco dell’iconico tacchino ripieno, con il televisore sintonizzato, come da tradizione, sul pomeriggio dedicato alla NFL, il campionato nazionale di football americano. E per chi preferisce cimentarsi in miscelazione, il bourbon è il protagonista del cocktail per definizione: l’Old Fashioned, la cui mitica storia si può ritrovare qui.


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GASTROCKNOMIA

di Giovanni Aragona

L’EGG CREAM DI LOU REED, QUEL PRIMORDIALE RICORDO MAI SVANITO Egg Cream è un brano di Lou Reed racchiuso nell’album Set the Twilight Reeling pubblicato nel 1996 C’è un filo conduttore che lega uno dei più grandi musicisti della storia del rock a uno dei dolci più famosi degli Stati Uniti: da una parte abbiamo Lou Reed, dall’altra l’Egg Cream. In questo nuovo episodio di GastROCKnomia non vi chiederemo di schierarvi verso una fazione, ma vi daremo (si spera) la possibilità di riassaporare, attraverso un viaggio temporale, la Brooklyn del 1880 e la New York rock degli anni ’90. Poche città al mondo hanno cambiato rapidamente volto senza mai subire le distruzioni della guerra; una di queste è senz’altro la Grande Mela. Come principale porta d’ingresso e di uscita delle merci tra il continente americano e quello europeo, New York ha beneficiato di grandi ricchezze, opportunità commerciali e massiccia creatività. Siamo nella fumosa Brooklyn di fine ‘800 e il signor Louis Auster, pasticcere, durante uno dei suoi meticolosi esperimenti, riuscirà nell’impresa di mescolare latte, soda e uno speciale sciroppo al cioccolato, ottenendo un frappè senza gelato, spumoso come l’albume di un uovo. Lou Reed, parecchi anni dopo, inviterà gli ascoltatori ad assaporare il miglior Egg Cream di New York. Il brano è parte di uno dei dischi più sottovalutati di una carriera: Set the Twilight Reeling viene pubblicato nel 1996 dalla Warner Bros e vede la produzione dello stesso artista deceduto nel 2013. Lou Reed è noto per aver scritto canzoni su droghe, ambiguità sessuale, alienazione, malattia, il fallimento dei sistemi politici e altri aspetti del lato oscuro dell’umanità e della cultura. Questo brano ha invece il sapore di una fuga verso la poesia fragile e delicata del chiaroscuro, e il suo cuore non solo pulserà di semplicità, ma si concentrerà sugli effimeri piaceri della vita.

Riportando in auge il suo personale stile di cantautore psichedelico, baserà le fondamenta su un idioma melodico colmo di pathos dove atmosfere strumentali raffinate incrociano il sopraffino poeta metropolitano. Sono lontani i tempi degli incubi elettro-rumoristici di Metal Machine Music (1975), il Lou Reed di Egg Cream torna ad essere un cantautore dalla sensibilità profondissima, amante delle sue origini, degli scorci notturni, dei suoni policromi perfettamente amalgamati tra essi e della nostalgia dei tempi andati. Egg Cream non è una semplice canzone ma è il collegamento simbolicamente perfetto alla sua vera identità di newyorkese doc. Ogni ricetta del passato e ogni sapore del passato può avere un retrogusto di competizione, perché ha la capacità di portare con sé un carico di vissuto e di cambiamento. Non è sforzandosi di cancellare un’esperienza dalla propria memoria che si ritrova la serenità, ma è solo trasformando l’effetto che quella determinata esperienza ha sulla propria emotività. Il ricordo avrà sempre un’importanza basilare per la nostra crescita, dal momento che permette di ritornare con la mente alle esperienze del passato - non per cercare di modificare ciò che ormai è accaduto, ma per poter intervenire in modo positivo su ciò che ancora deve accadere. Andate a New York e gustate un Egg Cream chiudendo gli occhi; fatelo in un caffè d’epoca di Manhattan Bridge o di Brooklyn Bridge ascoltando Egg Cream di Lou Reed, vi sentirete appagati e vogliosi di vita.


WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

https://guideespresso.it/wp-content/uploads/2023/09/SITO1-3.jpg GUERIDON E DINTORNI di Alberto Cauzzi

REGINE E CAPI DI STATO EMOZIONANO, MA I NOSTRI CLIENTI ANCORA DI PIÙ Si parla da tempo di emergenza di sala, del fatto che le nuove generazioni non siano così appassionate del lavoro di sala, che lo chef è la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono, mentre invece un fulcro importante della fortuna di un ristorante è anche e soprattutto il grande lavoro di accoglienza che si opera nella sala del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica non per parlare dei soliti argomenti ma per chiedere agli uomini e attori principali di questo straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità che stimolano e ravvivano questo mondo. Oggi ne parliamo con Francesco Cerea, General Manager Ristorante Da Vittorio.

Caro Francesco come hai iniziato questa professione e perché? Si dice “figlio d’arte”, ma posso assicurare che niente mi è stato regalato, anzi. La mia avventura in questo campo è iniziata con una combinazione di passione e dedizione. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia dove il ristorante era la nostra vita. Mio padre, un vero maestro nel suo lavoro, ha lasciato un’impronta indelebile su di me. Purtroppo, nel 2005 è venuto a mancare, lasciando un vuoto che sembrava incolmabile. Con un atto di straordinaria audacia, coraggio e forza, mia madre Bruna ha preso in mano le redini dell’attività. Il suo approccio è stato forse ancora più intenso, con poche parole ma azioni incisive. Sia mio padre che mia madre sono stati i pilastri su cui ho costruito la mia carriera. Nonostante la mia propensione a esplorare diverse sfaccettature di questo mestiere e accettare qualsiasi sfida, il loro costante sostegno è stato il mio faro. Li ringrazio per avermi fatto innamorare di questa straordinaria professione. Il tuo bilancio di questi 43 anni di carriera qual è? Quando rifletto sui miei anni di carriera, posso tranquillamente affermare che il bilancio è estremamente positivo. Dal punto di vista professionale, ho raggiunto numerose soddisfazioni, sempre conscio del fatto che la costanza è la chiave del successo, e che c’è sempre spazio per migliorarsi ulteriormente. Da molti anni mi dedico all’organizzazione di eventi e a tutto ciò che riguarda la sfera esterna. Ho persino avuto

l’opportunità di scrivere un libro che racconta le nostre avventure in giro per il mondo, “Fuori dal ristorante”, condividendo il nostro know-how in ambito culinario, ospitalità e gestione. Hai degli aneddoti, curiosità, episodi che ti piacerebbe condividere con noi? Quando si tratta di aneddoti, curiosità ed episodi interessanti, ne ho una vasta raccolta, ma alcune delle più memorabili riguardano incontri con celebrità di fama internazionale. Uno dei momenti più significativi fu la visita della Regina Elisabetta II al Palazzo del Governo a Milano. Ciò che all’inizio sembrava un’occasione incredibile per noi, provenienti da Bergamo, fu accompagnato da un leggero senso di perplessità. Tuttavia, servire una figura così importante è stata un’esperienza straordinaria che ci ha reso consapevoli della fiducia che gli altri ripongono in noi. In un altro episodio indimenticabile, abbiamo avuto l’onore di ospitare Barack Obama a Palazzo Clerici, sempre a Milano. Questi incontri con celebrità di fama mondiale ci hanno insegnato quanto sia fondamentale mantenere la nostra eccellenza professionale. Oltre a queste icone, nel nostro ristorante Da Vittorio di Brusaporto, riceviamo regolarmente ospiti famosi, ognuno con le proprie abitudini. Tuttavia, le persone che ci regalano le emozioni più genuine sono coloro i cui occhi rispecchiano la gioia dei piatti che serviamo e che condividono il loro viaggio culinario con noi. Chi ama veramente questo mestiere sa esattamente di cosa sto parlando! Continua a leggere sul sito



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TERRITORI A TAVOLA

di Matteo Calzaretta

PROVINCIA DI AVELLINO Castagne eccellenti, vitigni identitari, salumi unici: la provincia di Avellino nasconde un patrimonio enogastronomico da non perdere Dalla Sardegna, baluardo nel Mediterraneo, ci spostiamo nel cuore della Penisola Italiana, ad Avellino, nella verde Irpinia. Visitare questa zona vuol dire viaggiare attraverso una provincia fra le più belle d’Italia e che dell’Italia conserva le migliori caratteristiche: i monumenti, le chiese, la tradizione enogastronomica e i parchi naturali. Avellino rende pieno onore alla rinomata fama della cucina campana, considerata una delle migliori: la cucina avellinese è infatti sostanziosa, ricca e gustosa, ma al contempo caratterizzata dalla semplicità dei suoi ingredienti. Tra i prodotti locali dobbiamo ricordare la castagna di Montella, che può fregiarsi del riconoscimento Igp, insieme alla castagna di Serino DOP, che comprende due cultivar locali: la “Montemarano” e la “Verdole”. La prima, detta anche “Santimango” (o Marrone di Avellino), è considerata dagli esperti tra le migliori varietà italiane soprattutto per le caratteristiche di pregio dei suoi frutti. Nell’area di produzione della castagna di Montella si può gustare anche un ottimo liquore. L’Irpinia è anche terra di olivo, come testimoniano le ampie distese di alberi secolari presenti in tutta la provincia ed in particolar modo sulle colline dell’Ufita, dove viene prodotto una varietà di grande pregio, la Ravece. Si tratta di una varietà rustica molto apprezzata per la sua costante produttività e per l’elevata qualità dell’olio che produce, sebbene la resa sia piuttosto bassa e non superi il 16%. Questo olio ha ricevuto il riconoscimento europeo e si caratterizza per i suoi colori intensi e per il sapore fruttato con note di pomodoro. Sull’altopiano Laceno, nel Parco Regionale dei Monti Picentini, si alleva una razza ovina autoctona, la Bagnolese, da cui prende il nome il pecorino. Un tempo molto diffusa anche fuori dall’Irpinia, la Bagnolese è ridotta oggi a un migliaio di capi, tenuti allo stato brado o semibrado. Di taglia piuttosto grossa, questa pecora ha manto bianco chiazzato di scuro lungo il dorso: dal suo latte, a cui si unisce il caglio di agnello prodotto localmente, si ricava il pecorino dal sapore ricco e pieno, che diventa più piccante con il progredire dell’affinamento: se molto maturo, il pecorino bagnolese diventa un ottimo formaggio da grattugia. Fra i piatti tipici ci sono le paste fatte a mano, come i Fusilli Avellinesi, che vengono preparati con un impasto a base di farina di semola e acqua calda. Hanno una forma stretta e allungata, le cui dimensioni variano in base alle ricette tramandate di famiglia in famiglia. La forma viene realizzata dividendo l’impasto in lunghi cilindri, a loro volta generalmente suddivisi in rotolini di circa 5 centimetri. Ciascun rotolino viene avvolto ad un fuso di ferro (chiamato “ferretto”), che talvolta viene sostituito da un ferro per la lavorazione delle calze di lana (oppure da uno spiedino di legno). Il movimento delle mani dal basso verso l’alto fa attorcigliare ed allungare la pasta attorno al fuso. Una volta sfilati, i fusilli avellinesi fatti in casa, sono lasciati asciugare.

Particolarmente saporiti e ricercati sono anche gli insaccati prodotti in provincia di Avellino: dalla soppressata, ottenuta seguendo ancora le antiche ricette contadine, al salame di Mugnano del Cardinale. La lavorazione di questo insaccato è ancora effettuata da diversi opifici presenti nel territorio del paese e nei comuni limitrofi. La caratteristica principale del prodotto risiede nel tipo di asciugatura, che si basa sia sull’utilizzo di bracieri che producono fumo, sia, in un secondo momento, sulla presenza nel territorio di un forte vento che contribuisce alla fase conclusiva del processo.

La Provincia di Avellino è un’eccellenza nella produzione di tre vini DOCG, il Fiano di Avellino, il Taurasi e il Greco di Tufo: si tratta di due bianchi e un rosso prodotto con uve Aglianico, molto rinomati in tutta Italia, ognuno dotato di specifiche caratteristiche che li rendono assolutamente inconfondibili. Infine, in una terra così ricca di tradizioni, non potevano mancare ottimi dolci, anch’essi realizzati con metodi artigianali e, per questo, con un valore aggiunto che li rende richiestissimi dal mercato. Su tutti spicca il torrone prodotto con maestria nella zona di Ospedaletto d’Alpinolo ed in quella di Dentecane, un impasto di nocciole e miele conosciuto da queste parti sin dai tempi dei Romani.


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ASSAGGI DI LUCE di Stefano Caffarri

Nella Tana del Bianconiglio “È tardi! È tardi!” Esclama trafelato il signor Bianco Coniglio – leggi W. Rabbit nel testo originale di L. Carroll – quando incontra la stralunata Alice dolorosamente atterrata nel Paese delle Meraviglie. Non è affatto tardi invece per ritrovare questo umilissimo ingrediente, presente da sempre sulle tavole di campagna: capace di grande generosità ma anche di bocconi cartonati quando maltrattato. Qui cinque versioni che rendono onore al Bianconiglio (anche quando è Grigio, magari di Carmagnola).

Coniglio nella rete di maiale, cavoletti arrosto, caponata Gioele Merli Ad Maiora Modena

Rognoni di coniglio alla brace Valentina Chiaramonte Consorzio Torino

Tartare di coniglio nell’uovo, con zabaione salato Michele Lazzarini Contrada Bricconi Oltressenda Alta (BG)

Coniglio con “liquirizia” di pigne e melanzana Cristiano Tomei L’Imbuto Lucca

Coniglio Grigio e il suo Jus, carciofi, crostino Jorg Giubbani Orto Moneglia (GE)


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Feed ‘n’ Food

Raccontare Napoli è una missione di orgoglio! È questo il motto di Amedeo Palumbo, migliore guida gastronomica della città. Non solo cibo ma tanti aneddoti e antropologia.

Si chiama Ramona è irpina e ha una laurea in ingegneria. Tantissimo lievito, molta farina e un pieno di idee condensate in un profilo ben curato.

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Basato sul format statunitense che vede protagonista Gordon Ramsay, il programma italiano porta lo chef Cannavacciuolo nelle peggiori cucine d’Italia nel tentativo di riorganizzarle e farle rifiorire.

Si chiama Noemi ed è già scrittrice e curatrice di un blog. Tutta la cucina asiatica a portata di web. Per veri appassionati.

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