Weekly Enjoy #010

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IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO

Ogni fine settimana, al vostro indirizzo di posta elettronica, vi verrà recapitato il Weekly Enjoy, un magazine con notizie, servizi, approfondimenti e consigli più interessanti della settimana. Chi ha fame di notizie enogastronomiche può mettersi a tavola. Il servizio è gratuito

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
Pubblicazione settimanale gratuita #010 - 26 Agosto 2023
Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi Coordinamento Editoriale Digital: Carlo Carnevale Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola Direttore Commerciale: Michele Belingheri

TRATTORIA SINCERA

Via Nicola Antonio Porpora, 154 Milano (MI) Tel. +39.3898741577 trattoriasincera.it

VIP: VERY IMPORTANT POSTO

TRATTORIA SINCERA

Trattoria sincera: Bentornata trattoria. L’opera di recupero di Federico Bono nel cuore di Lambrate, a Milano Est. Siamo in via Porpora, vicinissimi alla stazione di Milano Lambrate. Qui Federico Bono, l’oste e cuoco, ha recuperato terreno sostituendo la sua trattoria ad un bar di proprietari orientali. Un progetto, lo dice il nome, che vuole indagare e sviscerare i sapori autentici, sinceri e schietti di una volta. Ma per fortuna con l’ausilio e il supporto di una buona tecnica contemporanea, ben celata, che consente allo staff di accogliervi in un luogo che sembra la vostra casa, caldo, accogliente e con un servizio davvero famigliare e, non ultimo, una cucina leggera ma persistente e gustosa. I piatti cambiano a ritmo costante, seguendo le stagioni e ciò che il mercato offre, ma mai assente il risotto, in tante forme e ovviamente anche giallo Milano, la cotoletta, gli splendidi salumi – di cui molti autoprodotti dal cuoco, appassionato norcino e affinatore – e le carni frollate di un macellaio selezionato. Quindi un pizzico di cucina cucinata, un tocco di griglia, il necessario per uno spuntino, insomma… ben tornata trattoria! Trattoria sincera!

NOME DELLO CHEF : Federico Bono MENU DEGUSTAZIONE : prezzo medio di 50 euro alla carta.

VIP: VERY IMPORTANT PIATTO

BOTTONI DI SELVAGGINA IN BRODO DI BOSCO

E ROSMARINO

RISTORANTE MATERIA CHEF: DAVIDE CARANCHINI

Davide Caranchini, chef del ristorante Materia a Cernobbio (CO), esprime in questo piatto la sua filosofia al confine tra avanguardia e classicismo. Nei pressi del confine tra Italia e Svizzera. Nei pressi del confine tra avanguardia e classicismo, fondendo le due intenzioni in un’unica grande cucina d’autore, personale, convinta, studiata a fondo e messa in pratica in maniera tale che il gusto personale da soggettivo diventi oggettivo.

Nulla di sbagliato, prendendosi un rischio calcolato che con gli anni è diventato sempre più calibrato, scegliendo ingredienti poco consueti, ma non tanto per stupire, semplicemente perché necessari, perfettamente integrati in ogni ricetta, utili al completa mento di un piatto, mai banale, ma nel contempo senza cadere nell’azzardo. Nulla di sparpagliato per il piatto, tutti gli elementi convergono con sicurezza verso il centro, il centro del gusto com plessivo, equilibrato, colpito di fioretto, tra le note acide e amare appena accennate e con le sapidità sotto controllo. Continua a leggere sul sito

SCONTRINO, SPECCHIO DELLA SOCIETÀ

RISTORANTE MATERIA Via Cinque Giornate, 32 22012 Cernobbio (CO) Tel: +39 031 2075548 ristorantemateria.it

Oltre ai classicissimi racchettoni, alle biglie e al beach volley, lo sport preferito dagli italiani in questa estate è stato finora il lancio dello scontrino. Inteso come la pubblicazione delle ricevute dai consumatori ritenute esorbitanti, buone solo per rimanere “indignati” (addirittura anche le maggiori testate ormai abusano di questo termine, ahinoi). Anche i ristoratori hanno preso a rispondere a tono agli avventori con il dito puntato, insistendo su quanto questi consumino poco, male, esigano, siano presuntuosi e ignoranti delle necessità di un locale per sopravvivere. E a fare da megafono a questa trincea di dubbio (anzi certo, e pessimo) gusto sono gli stessi organi di informazione, che arrivano addirittura a rastrellare la rete in cerca di recensioni e segnalazione utili a fomentare un polverone che alla fine non si risolve in alcun modo. Le schermaglie sulla ristorazione, estive o meno che siano, sono purtroppo uno specchio piuttosto fedele del momento storico della nostra società: dove chiunque si sente in dovere di giudicare, nessuno propone soluzioni e qualcuno, su questa diatriba, ci marcia anche. Cambierà, forse, quando prima di insegnare da che angolo fotografare i piatti (e gli scontrini) si riprenderà a insegnare come rapportarsi con il prossimo e gestire la fortuna di poterci andare, al ristorante. Ma appunto, quando?

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di Alberto Cauzzi di Alfonso Isinelli Carlo Carnevale Carlo Carnevale Coordinatore editoriale digital de Le Guide de L’Espresso

CIOCCOLANDIA

PRINCIPALI PRODOTTI TIPICI A BASE DI CIOCCOLATO IN PIEMONTE (PARTE 1)

GIANDUIOTTO

Cioccolatino a forma di barca rovesciata composto di gianduia, impasto ottenuto dall’unione di cacao, nocciole e zucchero, inventato ad inizio ‘800, viste le difficoltà di approvvigionamento del cacao in Italia a causa del blocco napoleonico che vietava i contatti commerciali con le isole britanniche. La ricetta (che originariamente prevedeva un terzo di pasta di nocciole, un terzo di pasta di cacao e un terzo di zucchero) fu inventata a Torino nel 1865 ad opera di Isidore Caffarel e Michele Prochet.

CREMINO (A TRE STRATI)

Cioccolatino di forma quadrangolare a tre strati, composto da due strati di pasta gianduia uniti da uno strato di pasta di cioccolato alla nocciola; inventato nel 1858 a Torino da Ferdinando Baratti, allora titolare con il socio Edoardo Milano, della confetteria Baratti & Milano.

CUNEESE

Cioccolatino formato da due cialde di meringa che racchiudono un ripieno di crema pasticcera al cioccolato e rum, il tutto ricoperto di cioccolato fondente. Inventato a Cuneo nel 1923 da Andrea Arione, titolare dell’omonima pasticceria. Oggi il cioccolatino è prodotto in diverse varianti in tutta la provincia di Cuneo.

BICERIN

Bevanda calda e analcolica tipica di Torino, composta da una miscela di caffè, cioccolato e crema di latte, servita in grandi bicchieri tondeggianti; le origini si fanno risalire al Caffè Al Bicerin, fondato nel 1763 nel centro di Torino.

TARTUFO

Cioccolatino dalla forma irregolare a base di cioccolato e pasta di nocciole, con una spolverata di cacao in polvere [diversamente dal tartufo francese o inglese, che prevede l’utilizzo della panna al posto della pasta di nocciole], inventato nella versione italiana da Oscar Sabaste all’inizio dello scorso secolo a Grinzane Cavour, in provincia di Cuneo.

BOERO

Cioccolatino fondente ripieno di ciliegie intere e di liquore di Visciola o di maraschino. Le origini sembrano risalire ai primi del ‘900 per opera del pasticciere svizzero Emil Gerbeaud, trasferitosi a Budapest; tanto che all’estero il boero è anche denominato Gerbeaud bonbon. Non è noto come questo cioccolatino sia divenuto una specialità del Nord-Italia, né per quale ragione abbia assunto il nome di boero.

Abbiamo chiesto all’AI...

Le catene di negozi food più diffuse al mondo sono quelle che hanno il maggior numero di punti vendita in diversi paesi e continenti. Tra queste, possiamo citare:

Subway, McDonald’s, Starbucks, KFC, Pizza Huti, Burger King, Domino’s, Dunkin’, Baskin-Robbins, Taco Bell.

PERSONAGGI

FRANCESCA MORETTI

Naturalmente designata dal padre a presidente del settore vitivinicolo del gruppo dopo una lunga esperienza da enologa, Francesca Moretti svela il suo rapporto privilegiato con le diverse zone di produzione. Dalla Franciacorta del Bellavista alla Sardegna dei grandi bianchi È passato un anno dall’investitura di Francesca Moretti a presidente di Terra Moretti Vino, un anno da quando Vittorio Moretti ha deciso di affidare alla sua secondogenita le redini del comparto vitivinicolo del gruppo. Confucio diceva: «Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita», e per Francesca è veramente così. La sua esperienza professionale si colloca sulla Franciacorta delle bollicine di Bellavista e Contadi Castaldi; la Toscana di Petra (Suvereto, Teruzzi), San Gimignano e Acquagiusta (Tenuta la Badiola a Castiglione della Pescaia); e Sella&Mosca ad Alghero. In Toscana Francesca è spesso a Petra, la cantina di Mario Botta, incastonata sulla Collina San Lorenzo a Suvereto. “Qui abbiamo una casa che mio padre ha progettato e costruito per me. Mi sono trasferita dopo la laurea e riservo per questo posto l’amore degli inizi di ogni relazione. Abbiamo una foresteria per gli ospiti e stiamo pensando di implementare il numero di stanze per creare un wine resort. Mi piace che le persone possano risvegliarsi nella bellezza di un paesaggio incontaminato. Dalle nostre finestre si vedono l’Isola d’Elba e del Giglio, si sente la brezza marina che lambisce le vigne, è come stare dentro un quadro ed esserne protagonisti”. Continua a leggere sul sito

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ARTIFICIALI
CURIOSITÀ
Quali sono le catene di negozi food più diffusioni al mondo?

IL GAZPACHO

LE BUONE COSE… di ANDREA GRIGNAFFINI

L’esperto svela tutti i segreti per preparare e gustare al meglio gli ingradienti della settimana.

Puòaprireilpasto gustandosicome balsamicaentrée, o costituire un leggeroprimo piatto oppure si può sorseggiare come rigenerante aperitivodaservire nel tumbler.

Gazpacho brillante

Trucco: prima di porli nel mixer insieme agli altri ingredienti, è consigliabile aver ben refrigerato i vegetali in frigo: non solo il freddo manterrà vivace la cromia degli ortaggi frullati a dispetto del calore generato dalle lame, ma si otterrà già un gazpacho già in perfetta temperatura.

Gazpacho scomposto

Consiglio: non procedere ad un’ultima emulsione prima di servire il gazpacho, specialmente se il composto ha riposato a lungo in frigo: visto che la parte acquosa tende a dividersi dalla polpa, è importante accertarsi che tutto sia ben amalgamato e gustarlo in breve, prima che l’ossidazione incida sulla brillantezza del colore.

Energizzante color scarlatto, tra i piatti più apprezzati della cucina iberica, il gazpacho è il principe delle zuppe fredde, eccellente antidoto alla calura estiva grazie al perfetto connubio tra temperatura di servizio e proprietà benefiche dei suoi ingredienti salutari, ricchi di vitamine e sali minerali. Originario dell’Andalusia, in principio era un piatto umile, facile da assemblare dai braccianti in prossimità di una fonte d’acqua fredda alla quale essi univano pochi e semplici ingredienti, come una manciata di pane secco, un po’ d’aglio, olio, aceto e sale. Dopo l’introduzione in Spagna delle coltivazioni di pomodoro, arrivato dal Nuovo Mondo intorno al 1540 sulle navi del celebre esploratore Cortés, il protagonista della ricetta divenne il piccolo frutto rosso, al quale man mano furono aggiunti il peperone, la cipolla e il cetriolo, andando a delineare la ricetta del gazpacho moderno: ai vegetali crudi, si unisce anche il pane raffermo strizzato in aceto di ottima qualità, l’olio EVO, il sale e l’aglio, un pizzico di peperoncino, se piace: si compone così l’inconfondibile equilibrio di sapori del salubre brodo che i puristi della ricetta non rinunceranno ad ottenere riducendo in purea gli ingredienti con mortaio e pestello - ma anche un frullatore a immersione servirà egregiamente allo scopo. Dopo aver emulsionato il composto, il gazpacho andrà filtrato con un colino per eliminare i semi del pomodoro fastidiosi al palato. E va servito freddo, rigorosamente freddo. Può aprire il pasto gustandosi come balsamica entrée, o costituire un leggero primo piatto – da irrobustire, volendo restar fedeli alla tradizione spagnola, con crostini di pane, cubetti di prosciutto e uova sode – oppure si può sorseggiare come rigenerante aperitivo da servire nel tumbler, meglio se ulteriormente raffreddato con qualche cubetto di ghiaccio. Gazpacho universale. E se nella galassia delle zuppe fredde le varianti alla ricetta tradizionale sono innumerevoli (restando in Spagna, per citarne un paio, si pensi al Salmorejo di Cordova, che in cromia tende più all’arancione e ha una consistenza più densa e cremosa data dalla maggiore quantità di pane raffermo e olio, oppure all’antico Ajoblanco delle parti di Malaga e Granada, con mandorle e aglio), basterà seguire la regola aurea di usare ingredienti freschi e crudi da emulsionare fino a ottenere la tipica consistenza, per poter tranquillamente osare tante reinterpretazioni del gazpacho classico quante gusto personale ed estro possono suggerire, usando, per esempio, frutta di stagione come anguria, melone e pesche al posto del pomodoro o adoperando diversi vegetali ed erbe aromatiche (come lattuga o basilico).

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DOLCE & AMARO

MARCO DE BARTOLI SOCIETÀ AGRICOLA Contrada Fornara Samperi, 292

91025 Marsala (TP)

Tel. 0923 962093

info@marcodebartoli.com

IL BUON VINO… di LUCA GARDINI

Conosciuto anche come The Wine Killer, grazie al successo del suo sito, redatto interamente in lingua inglese e dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo, GardiniNotes.com, Luca Gardini è oggi uno stimato wine-critic a livello internazionale.

MARCO

DE BARTOLI

Una storia che inizia nel 1978, quando Marco, fresco di una laurea in agronomia, subentra alla madre Josephine nella conduzione del baglio Samperi, proprietà della famiglia da oltre due secoli. Lì nasce il mito moderno di Marco de Bartoli, personalità prorompente, capace di rivitalizzare una tradizione, quella del Marsala, mai così slegata da ingombranti relitti. Un vino che negli anni ’70 era sacrificato a logiche di commercializzazione di massa, che invece Marco, testardamente, riprende per mano grazie alla reintroduzione del metodo Solera (o Soleras), il perpetuo, l’unico a suo avviso capace di raccontare correttamente una tradizione territoriale, parlando il linguaggio evolutivo del tempo. All’inizio, in un panorama di vini ‘conciati’ e fortificati, viene criticato ed osteggiato, fino ad essere accusato di sofisticazione. Uscito dalla crisi prosciolto e rinvigorito, ha la soddisfazione di vedere le sue intuizioni affermarsi rapidamente. Lo scenario, inutile sottolinearlo, è quello di Marsala, terra di uomini e donne dalle usanze antiche, inscindibili dalla campagna. Una tradizione che Marco ha sempre incarnato, e che dopo la scomparsa continua a vivere nel lavoro impeccabile dei figli Josephine (che porta il nome della nonna), Renato e Sebastiano, attraverso la produzione di tanti vini iconici, che hanno al centro, in varie interpretazioni, Grillo e Zibibbo, varietà da sempre fondamentali, con il più recente Catarratto. (Riuscitissime) versioni passite, secche, spumantizzate, con la recente introduzione dell’anfora in vinificazione - per il progetto dello Zibibbo di Pantelleria, che si affianca al Moscato del Bukkuram - capaci di rendere la cantina, che conta circa 19 ettari vitati, una delle più sorprendenti realtà del fascinoso viaggio vitivinicolo peninsulare, ideale punto di contatto tra sapienza artigianale e controllo, tutto moderno, del processo. Sopra tutto, il rispetto supremo per quella magica bevanda che chiamiamo vino.

VINO BIANCO VECCHIO SAMPERI

PUNTEGGIO 98 /1 00

prezzo € 47

Grillo 100%, un Marsala senza aggiunta di solfiti, additivi, fortificazioni, ma solo rabboccato, ogni vendemmia, con il 5% di vino nuovo, secondo il metodo perpetuo, per 20 lunghi anni. Un vino iconico, una delle esperienze-cardine della viticoltura moderna, non solo italiana. Naso di nespola, timo, tiglio e fiori di zagara. Bocca sapida, con ritorno fruttato-officinale e impressionante persistenza. Perfetto a tutto pasto, ma incredibile in abbinamento con un classicone della cucina isolana come la pasta con i tenerumi, versione asciutta.

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THE ITALIAN TRAVELLER

LUPAIA, IL RESORT

INTIMO E AMMALIANTE

NEL CUORE DELLA TOSCANA

Mai più di trenta ospiti, cucina di alto profilo e fortissimo legame con il territorio: Lupaia, nei pressi di Montepulciano, è il tempio della gentilezza in Toscana.

C’è stato un tempo, circa dieci anni fa, in cui gli americani e gli inglesi lasciavano un pezzo di cuore visitando una regione quale la Toscana. Tanto che si è arrivati a parlare di Chiantishire per la semi-colonizzazione che questa porzione di territorio ha vissuto (o subito a seconda dei punti di vista) vedendo vendute moltissime proprietà a famiglie anglosassoni che in parte si sono trasferite, in parte hanno dato il via a nuovi business, oltre a ricavarsi splendide case di villeggiatura.

In contemporanea è stato il momento della Val D’Or-

cia, e poi di Bolgheri, di Firenze e dei suoi d’intorni, la Maremma è ancora forse considerata un po’ di nicchia, ma di fatto a poco a poco ogni parte della regione è diventata papabile di interesse, perché sempre più ricca di infrastrutture, iniziative, eventi, manifestazioni. Al confine con la Val d’Orcia, quindi a pochi chilometri da Pienza, Montalcino, San Quirico d’Orcia, si trova la Valdichiana o Val di Chiana, meglio conosciuta per la sua produzione vitivinicola, oggi esportata in tutto il mondo. Le grandi DOCG di Montalcino e Montepulciano si trovano proprio qui e oltre ad un’incredibile ricchezza di borghi storici, i produttori da andare a conoscere non mancano e non solo a livello enologico Vi sono tanti uliveti, molti artigiani del legno, diversi casari, allevatori di carne di primissima scelta e quindi salumi e insaccati, con un focus di preferenza sulla razza del territorio, la Cinta Senese. Se l’ospitalità di queste zone si è sempre molto sviluppata intorno a queste attività e quindi in agriturismi – che oggi qualcuno definirebbe «sinceri» ma che a noi piace definire semplicemente rustici -, oggi non si tiene più il passo dei resort, hotel, aziende agricole, eco-retreats che aprono in Toscana. Borghi interi rimessi a nuovo e trasformati in alberghi diffusi e riadibiti a nuovi usi (Il Borro di proprietà della famiglia Ferragamo, Borgo San Felice o Borgo di Pietrafitta per citarne alcuni), catene internazionali che hanno recuperato castelli e dimore storiche (Rosewood Castiglion del Bosco o Belmond Castello di Casole), case rurali rimesse a nuovo preservando materiali di un’epoca precedente (Reschio), progetti spesso con grandi(ssime) ambizioni da parte delle proprietà e budget al di sopra delle aspettative (Villa Petriolo, Pieve Aldina). Continua a leggere sul sito

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di Chiara Buzzi

(ALMENO) UNA VOLTA NELLA VITA

MANGIARE IN UN RISTORANTE NOMADE, LA NUOVA FRONTIERA DI VENTRUS

Sostenibile, territoriale e con vista: Ventrus è un ristorante nomade pensato per essere facilmente “smontato” e trasportato nei più bei luoghi del pianeta.

A un primo sguardo, l’architettura di Ventrus ricorda quella delle case sugli alberi: opere di ingegneria lignea che si integrano perfettamente nel contesto naturale che le ospita. L’unica differenza è che, questo ristorante dalla struttura completamente smontabile e rimontabile nel giro di una settimana, non si trova sospeso a strane altezze o nascosto dai rami rigogliosi di un arbusto secolare, bensì sulla riva del Canal de l’Ourcq di Parigi, all’interno del Parc de la Villette.

Ideato da Guillaume Chupeau, imprenditore attivo per più di vent’anni nel settore pubblicitario in Francia e in giro per l’Europa, Ventrus è compo-

sto da una struttura modulare in legno e vetro, disegnata dall’architetto François Muracciole. Il format punta tutto sulla sostenibilità e sul rendere l’esperienza di degustazione nomade. Basta quindi ristoranti fissi, all’interno di rigide strutture in cemento e largo invece a un nuovo tipo di ristorazione, che lega la degustazione all’appagamento di tutti i sensi, primo tra tutti la vista. Infatti, a guidare la scelta delle location in cui il locale può spostarsi, ci sono proprio i panorami, scelti per essere contemplati dalle grandi vetrate che incorniciano la sala. Dopo qualche mese dalla sua inaugurazione, per la scorsa stagione estiva, Ventrus è stato infatti spostato in Camargue, a Château d’Avignon, per fare poi ritorno a Parigi in attesa della sua prossima tappa itinerante. Ogni suo movimento, e l’attività quotidiana di somministrazione di cibo e bevande, sono pensate per avere il minore impatto possibile sul luogo che ospita il ristorante.

Dal riciclo dei rifiuti, al razionamento dell’acqua, fino all’autoproduzione energetica, il concept di Ventrus è etico e realmente sostenibile. Il locale è in grado di risparmiare l’80% del consumo di acqua rispetto a un ristorante tradizionale, ripulendo quella già utilizzata e impiegandola per l’irrigazione di piante aromatiche che vengono poi utilizzate in cucina. Le acque grigie trattate ai carboni attivi sono invece impiegate per utilizzi non alimentari, come la pulizia dei locali e l’irrigazione. Gli ingredienti provengono dai territori limitrofi e sono rigorosamente stagionali, raccolti e allevati da produttori che lavorano con un approccio responsabile. Supervisiona i menu l’executive chef Emmanuel Perrodin, che all’ora di pranzo cambiano quotidianamente e vengono esposti su una lavagna, mentre a cena restano in forza per almeno un mese. A realizzarli sono dei resident chef sempre diversi, mentre con il format “Supper Club” Ventrus organizza cene tematiche con ospiti provenienti da diversi luoghi della Francia. Con la sua terrazza panoramica e i piatti che racchiudono tutti i sapori del territorio, una visita a Ventrus a Parigi è da fare almeno una volta nella vita. O almeno prima che cambi di nuovo location.

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di Penelope Vaglini

COCKTAILS & DREAMS

COCKTAIL

LOW ALCOHOL: BERE MENO E MEGLIO

L’alternativa alle miscele analcoliche, che conserva la spinta dei classici ma la rende più approcciabile e meno impegnativa. La miscelazione analcolica è senza dubbio una delle categorie del settore che più sta registrando un’ascesa importante, negli ultimi anni. I cosiddetti mocktails (dall’inglese to mock, scimmiottare, fare il verso, quindi imitare i cocktail veri e propri) stanno conquistando sempre più spazio anche nei menu più ricercati, complice la doppia spinta di consumatori sempre più attenti e di bartender sempre più assetati di competenza.

Parallelamente, la ricerca dei professionisti del bancone sta virando anche su quei drink che mantengono ingredienti alcolici, ma grazie alla natura di questi elementi o alla loro struttura garantiscono una bevuta meno impegnativa e più approcciabile rispetto ai cugini più classici e conosciuti. Le chiavi per una ricetta low alcohol possono essere molteplici. Prima di tutto, i componenti stessi: tutti i prodotti “vinosi”, che generalmente rimangono sotto o intorno ai 20° sono perfetti per essere miscelati in creazioni dal profilo elegante e aromatico, che al consueto kick dell’alcol affiancano un corpo amabile e non invadente. È il caso di cocktail come l’Adonis (sherry e vermouth dolce), il Bamboo (sherry e vermouth dry), l’Old Hickory (combinazione dei due vermouth con alcune gocce di Angostura e Peychaud Bitter).

Poi, la struttura del cocktail: i cosiddetti highball, che a un prodotto alcolico aggiungono un sodato (Gin&Tonic, Whiskey&Soda, Vermouth&Soda) o i Collins, che prevedono anche l’utilizzo di zucchero e agrume, smorzano la carica del distillato o liquore prescelto con l’uso di un elemento “lungo” e soprattutto analcolico, abbassando la gradazione del drink finale.

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di Carlo Carnevale

UNA STORIA D’AMORE FINITA A “SPAGHETTI, POLLO E INSALATINA”

“Spaghetti a Detroit” è un brano musicale cantato nel 1967 da Fred Bongusto, musicato e scritto dal cantante e Franco Migliacci.

Le storie d’amore, quelle dei romanzi e dei film, hanno quasi un lieto fine. Le storie d’amore, invece, quelle reali e quotidia ne possono talvolta prendere differenti strade e sfociare nelle rotture. In questo episodio di GastROCKnomia, il conduttore di questa navicella - che vi porta in lungo e largo in epoche e generi diversi - vi conduce nel lontano 1967. Protagonisti di questa puntata il cibo preferito degli italiani: gli spaghetti e il secondo più consumato nella dieta mediterranea, il pollo. A supporto di questo pranzo, l’immancabile insalata. Il brano in questione è “Spaghetti a Detroit”, scritto da Fred Bongusto musicato e scritto dal cantante e Franco Migliacci. La storia del brano narra di una storia d’amore conclusa con Lola, cantante statunitense. Il mal d’amore, si sa, fa chiudere lo stomaco e il cuore, e la delusione per una persona amata lontana ha come effetto la difficoltà nel mangiare.

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GASTROCKNOMIA

GUERIDON E DINTORNI

MAI FERMARSI ALLE APPARENZE

Gli aneddoti e i ricordi di Marco Amato, Restaurant Manager del ristorante Imago presso l’Hotel Hassler di Roma.

Si parla da tempo di emergenza di sala, del fatto che le nuove generazioni non siano così appassionate del lavoro di sala, che lo chef è la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono, mentre invece un fulcro importante della fortuna di un ristorante è anche e soprattutto il grande lavoro di accoglienza che si opera nella sala del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica non per parlare dei soliti argomenti ma per chiedere agli uomini e attori principali di questo straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità che stimolano e ravvivano questo mondo.

Oggi ne parliamo con Marco Amato, Restaurant Manager del ristorante Imago presso l’Hotel Hassler di Roma.

Caro Marco, come hai iniziato questa professione e perché?

Iniziai all’età di 14 anni con mio fratello maggiore. Lui aveva già lavorato stagionalmente in nord Italia, e quell’anno mi portò con sé a lavorare nel ristorante di un albergo 4 stelle a Roma, tutt’ora esistente. In quei primi anni ’90 il cameriere lavorava tutto al gueridon ed aveva una grande interazione con i clienti. Da subito, mi resi conto della grande opportunità e mi entusiasmava il fatto di poter parlare e confrontarmi con gli ospiti che provenivano da ogni parte del mondo. Era bellissimo a 14 anni scoprire nuove culture senza viaggiare. Credo sia stato proprio questo il motivo della mia scelta. Lavorare nell’accoglienza mi ha dato la possibilità, appena finiti gli studi, di viaggiare per l’Europa, e lavorando la sera e studiando le lingue la mattina, mi sono costruito un grande bagaglio di esperienze che porto ancora con me.

Il tuo bilancio di questi 33 anni di carriera qual è?

Anni di lavoro ricoprendo tutte le posizioni: cameriere, barman, sommelier, maître e, soprattutto, formatore di staff. Vedere crescere i miei ragazzi è la cosa che mi rende più orgoglioso. Il bilancio in questi anni è grandioso. Chi avrebbe mai immaginato che un giorno potessi parlare della bellezza di questo mestiere.

Hai degli aneddoti, curiosità, episodi che ti piacerebbe condividere con noi?

Ne avrei migliaia da poter raccontare, ma la mia professione e professionalità non mi permettono di farlo. La privacy dei clienti è un patto silente che non va mai dimenticato, da rispettare sempre. Però, ho un episodio, al quale sono molto legato e che racconto ancora oggi ai

nuovi ragazzi.

Lavoravo come barman in un elegantissimo cocktail bar ed entrò un cliente molto accaldato. Vistosamente in disordine, capelli lunghi non raccolti, zainetto sulle spalle, pantaloncini corti e scarpe da ginnastica. Si sedette al banco del bar ed ordinò una birra in bottiglia fredda. Aveva un atteggiamento molto amichevole ed era piacevole parlare con lui. Apprezzò molto la birra che gli avevo proposto e mi chiese se fosse possibile acquistare diversi cartoni per portarli a casa negli States. “Nessun problema” risposi e aggiunsi “ci deve dare il tempo per organizzare una spedizione perché potrebbe avere dei problemi nell’imbarcare un tale quantitativo su un aereo di linea”. Il cliente, con estrema tranquillità disse: “Marco, la ringrazio e le assicuro che non avrò nessun problema, viaggio con il mio aereo privato”. Racconto sempre questo episodio e lo porto come esempio, perché non bisogna mai fermarsi alle apparenze. Mai.

Adesso ti chiediamo un ricordo… il ricordo di un grande uomo o una grande donna di sala che ti ha impressionato, nel tuo lungo girovagare per ristoranti, e perché ti ha impressionato.

Grazie per questa domanda. Ho diverse figure che sono state fonte di ispirazione per me e sono tutte legate all’Hotel Hassler. In particolare, Luigi Frare, il capo barman dell’Hotel Hassler e Luigi Berardi, il suo secondo. Entrai come commis di bar molto giovane. Capii subito che era una grande opportunità per me e fonte di crescita lavorare con tali maestri di accoglienza. Mi incantavo nel vederli all’opera: uomini di estrema eleganza e cultura, capaci di rendere felici reali, star di Hollywood e potenti di tutto il mondo. Continua a leggere sul sito

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di Alberto Cauzzi

Wines of Altitude

Wines of Altitude

Wines of Altitude

In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di Albola, una delle più alte tenute del Chianti Classico. Qui trovano dimora le espressioni più elevate ed eleganti del Sangiovese di "alta collina", caratterizzate da forti pendenze, che godono di importanti escursioni termiche e di un microclima ideale per la produzione di vini unici, patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza.

In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di Albola, una delle più alte tenute del Chianti Classico. Qui trovano dimora le espressioni più elevate ed eleganti del Sangiovese di "alta collina", caratterizzate da forti pendenze, che godono di importanti escursioni termiche e di un microclima ideale per la produzione di vini unici, patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza.

In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di Albola, una delle più alte tenute del Chianti Classico. Qui trovano dimora le espressioni più elevate ed eleganti del Sangiovese di "alta collina", caratterizzate da forti pendenze, che godono di importanti escursioni termiche e di un microclima ideale per la produzione di vini unici, patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza.

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Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m. @CastelloDiAlbola albola.it Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m. Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m.

TERRITORI A TAVOLA di Matteo Calzaretta

A soddisfare palati e gusti di ogni genere, troviamo un grande assortimento di piatti e ricette sia di mare sia di terra, tramandate da vecchi pescatori e contadini, che con pochi e semplici ingredienti portano in tavola delle vere prelibatezze. Ad Olbia, si svolge a metà maggio la sagra delle cozze e il palio di San Simplicio. Per quasi una settimana questa festa, sentita in tutta l’isola, convoglia turisti in Gallura, per un grande evento all’insegna del folklore e del buon cibo. Un team di cuochi prepara in una gigantesca pentola le cozze con aglio, olio e prezzemolo, accompagnate da un ottimo

In un perfetto menù della tradizione gallurese, non può mancare il capretto al mirto; è una pianta aromatica locale che produce bacche nere, molto utilizzate nella cucina sarda in svariati modi, dalle carni ai dolci.

In tavola non manca mai la famosa zuppa gallure: un piatto povero ma ricco di sapori per il suo brodo di carne ovina. Il brodo ricopre strati alterni di pane casereccio, fette di formaggio vaccino e aromi. Questa zuppa è considerata il vero piatto simbolo della tradizione gallurese, una volta veniva servita nelle festività o nei matrimoni come

Ma passiamo ad un’altra tipicità davvero particolare: molto energetica e calorica, la ” (pancia fritta) è un impasto di soli tre ingredienti: farina di grano, miele e panna di pecora, che amalgamati con acqua e sale vengono fritti a fiamma viva, acquisendo una consistenza morbida che, ai più fantasiosi, può ricordare la forma di una pancia. Nel menù della tradizione non possono mancare “li chiusoni” una tipologia di gnocchi galluresi lunghi 3- 4 cm con una forma irregolare e con qualche sporgenza, ottenuti con una specifica grattugia. Questi gnocchi vengono conditi con ragù di salsiccia o di carne di cinghiale, poi ricoperto da abbondante pecorino grattugiato. Il mare della Sardegna offre innumerevoli primizie legate alla storia che unisce le popolazioni dell’entroterra con il mare, dalle cozze servite crude ai ricci, fino alla bottarga di pesce come condimento per la pasta ed altre pietanze. Ma il più particolare è senza dubbio la “Orziadas”, nient’altro che anemoni di mare, raccolti con delicatezza dai fondali della costa sarda, poi accuratamente fritti. Un sapore sapido e spiccatamente marino, forse non adatto a tutti i palati.

Arrivando alla carta dei dessert, sicuramente bisogna assaggiare il Pan’esaba, che si prepara utilizzando la saba, ovvero la sapa (mosto d’uva cotto e concentrato) unita a uova, farina, zucchero, noci, mandorle, uvetta e lievito madre. L’impasto si lascia lievitare per almeno un giorno prima di cuocerlo in forno. Si ottiene così un panetto scuro, che si può affettare gradualmente. Ad accompagnare i dolci si serve il moscato, vitigno di origini antichissime presente in Sardegna già ai tempi dei romani, una vite che si è perfettamente adatta ai substrati granitici della Gallura. Il vino dolce che viene prodotto ha un colore che ricorda l’oro e l’ambra, i profumi richiamano sensazioni di miele, fichi e mosto cotto.

Il nostro viaggio tra le specialità dello Stivale ci porta oggi nella terra dei quattro Mori, ci troviamo nella parte più settentrionale della Sardegna, nel territorio di Olbia Tempio in Gallura, culla della civiltà nuragica.Una popolazione che incarna uno dei momenti più misteriosi ed enigmatici nella storia degli isolani.

Tra le varietà di uva più coltivate sull’isola, il Vermentino ha trovato qui il suo habitat ideale, grazie alle escursioni termiche tra il giorno e la notte e la presenza del maestrale, che limita l’insorgere delle muffe. Il Vermentino vino originario della Spagna è giunto nella Sardegna settentrionale intorno alla metà dell’800 passando attraverso Francia, Liguria ed infine Corsica.

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Scatto!

È quello della fotocamera, lo “scatto” dei Costardi Bros a Torino: accanto al monumentale archivio fotografico Publifoto, ecco una prova d’autore. Diramata verso i tre punti cardinali della Tradizione, dell’Esperienza e del Vegetale la cucina di Scatto si colora, si dipana, si aggancia e si divincola, superando confini e conteggiando memorie.

La trota con velo di carpione con salse di carota, sedano e cipolla e le sue uova.

Spaghetto in bianco: burro miso e vodka.

Il plin, con il sugo d’arrosto e il fazzoletto come un gyoza.

Lingua e anguilla in crosta.

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ASSAGGI DI LUCE di Stefano Caffarri

Feed ‘n’ Food

Leggerezza e semplicità alla portata di tutti. Flavia Imperatore è Misya, una food blogger 100% napoletana, dall’altissima tempra ironica.

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Gabriele Stillitani non è un influencer qualsiasi, è l’influencer dei mixologist italiani. Tante le collaborazioni di spessore, moltissimi i giovani al seguito.

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Andrea Capodanno sussurra le sue ricette vegan con un’attitude zen quasi disarmante. Pacato, rilassante e ben preciso: lo zen della cucina.

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Diventato nel giro di poco tempo uomo di tendenza, Chef Hiro è Ambasciatore Ufficiale della cucina Giapponese e aiuta gli italiani ad apprenderne ricette e tecniche nipponiche.

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