Weekly Enjoy #020

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Pubblicazione settimanale gratuita #020 - 04 Novembre 2023

Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi Coordinamento Editoriale Digital: Carlo Carnevale Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola Direttore Commerciale: Michele Belingheri

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO Ogni fine settimana, al vostro indirizzo di posta elettronica, vi verrà recapitato il Weekly Enjoy, un magazine con notizie, servizi, approfondimenti e consigli più interessanti della settimana. Chi ha fame di notizie enogastronomiche può mettersi a tavola. Il servizio è gratuito.


WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

Carlo Carnevale Coordinatore editoriale digital de Le Guide de L’Espresso

TERRAZZA BARTOLINI Via Arrigo Boito Cervia (RA) Tel. +39 0544954235 terrazzabartolini.com

VIP: VERY IMPORTANT POSTO

di Alberto Cauzzi

TERRAZZA BARTOLINI Tre generazioni a portare avanti più progetti di eccellenza: Terrazza Bartolini è qualità senza fronzoli nella Riviera Romagnola I Bartolini sono un triunvirato iniziato dal nonno Marcello, pescatore per passione, il figlio Stefano, oste per vocazione e il giovane Andrea, terza generazione e papabile erede dell’impero. Terrazza Bartolini, classe 2020, è uno dei reami marittimi annessi al fiorente Impero bartoliniano. Tra i gioielli della Corona il ristorante stellato La Buca, l’Osteria Bartolini a Bologna e le Osterie di Cervia e Cesenatico. Terrazza Bartolini è un luogo di confine tra Cervia e Milano Marittima. Elegante sospensione fra cielo e terra che regala una vista sconfinata del molo e della spiaggia. La formula utilizzata è inaspettatamente lineare eppur efficace. Niente rielaborazioni rococò ma pura e semplice materia prima di qualità. Qui i peccati di gola non sono peccati, ma doverose prese di posizione nei riguardi della cucina di mare. I crudi, freschissimi, sono corredati da piatti del giorno proclamati a voce e in base a quello che offre il mercato del pesce. Il tutto innaffiato da bottiglie di vino di una certa ricercatezza. Un locale che certamente aspira a scalare le gerarchie e a piazzarsi tra i più gettonati della Riviera Romagnola. Continua a leggere sul sito MENU DEGUSTAZIONE: da € 50 e € 60

VIP: VERY IMPORTANT PIATTO di Fiorello Bianchi

LA RIVISITAZIONE GENIALE DEI MALFATTI RISTORANTE OSTERIA ALLA BRUGHIERA CHEF STEFANO GELMI

All’Osteria della Brughiera, lo chef Stefano Gelmi fa rivivere i malfatti, un classico della tradizione bresciana con tecnica sopraffina e visione d’insieme L’Osteria della Brughiera è un ristorante che da anni è fra i punti di riferimento dell’alta ristorazione bergamasca. Una dimora di indubbio charme, con sale arredate con gusto ed eleganza, soffitti con travi a vista e illuminazione soffusa, per un ambiente che trasmette molto calore. Stefano Arrigoni è il proprietario, che ha costruito, sapientemente, nel tempo, un locale super apprezzato. Ha fatto crescere, dall’interno, lo chef Stefano Gelmi, che ha dimostrato di avere estro, originalità, curiosità, voglia di provare e uscire dagli schemi con profondità di gusto e di pensiero culinario. La sua cucina parte dal territorio ma sia allarga su vari orizzonti, con varie contaminazioni; nel VIP di oggi, una rivisitazione geniale di un piatto tradizionale come i Malfatti bresciani, c’è sia Brescia, sia Bergamo, sia la Francia. I Malfatti sono realizzati con la base della pate à choux, ma senza l’aggiunta di uova, con l’aggiunta una maglia glutinica, che permette la lavorazione della pasta. Continua a leggere sul sito

OSTERIA ALLA BRUGHIERA Via Brughiera, 49 Villa d’Almè BG Tel. +39 035 1996 6811

VIETATO AI MAGGIORI In un ristorante dello stato americano della Georgia, in settimana, un ristoratore ha addebitato cinquanta dollari extra sul conto di una coppia di genitori, rei di non aver tenuto a bada il figlioletto irrequieto. Sfiorati i picchi di isteria raggiunti da un toast diviso a metà in piena estate (Italia meravigliosa), la questione evoca un tema eterno che in queste righe si cerca spesso di sottolineare: il fuori casa richiede cultura, educazione, e troppe volte il tema dei pargoli (vietarne l’ingresso in luoghi di pubblico esercizio è illegale) offusca entrambe. Prenotazioni che non segnalano la presenza di bambini (magari in ristoranti con menu degustazione, facendo saltare la mise en place), seggioloni e passeggini piazzati senza curarsi di problematiche logistiche per il personale di sala, richieste fuori menu per accontentare i piccoli. E questo soltanto attraverso le lenti di chi è oste: gli altri ospiti sono costretti a sopportare schiamazzi e comportamenti assurdi (cambi di pannolino in sala, non si dica che non è vero) giustificati con l’intramontabile “so’ ragazzi”. È vero che chi non è genitore, come il sottoscritto, di certo non può pontificare su cosa dovrebbe o non dovrebbe fare chi lo è; è vero che non si fa di tutto l’erba un fascio (“Mio figlio è buonissimo e mangia tutto”, lo sappiamo), né si sostiene che se si hanno figli bisogna blindarsi in casa. Ma altrettanto indubbia è la necessità di comprendere spazi e tempi della convivialità, cosa che richiede sensibilità e una buona dose di cultura (prenotare e di conseguenza andare via presto, rispettare la pace altrui, e così via). Insomma, si sa: la colpa non è dei bambini… Carlo Carnevale


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CIOCCOLANDIA

di Antonio Franchi

PRINCIPALI PRODOTTI TIPICI A BASE DI CIOCCOLATO IN CALABRIA FICHI RICOPERTI DI CIOCCOLATO FONDENTE Fichi secchi imbottiti con mandorle tostate e scorza di arancia candita e ricoperti di cioccolato fondente.

TORRONCINI RICOPERTI DI CIOCCOLATO Piccoli torroncini di mandorle, miele e zucchero, ricoperti di cioccolato fondente, al latte o bianco o gianduia.

PERSONAGGI SANGUINACCI Insaccato di sangue di maiale arricchito con zucchero, cioccolato fondente, cacao, cedro candito e spezie; oggi, per motivi sanitari, il sangue è sostituito dalla farina.

SUSUMELLE Dolcetti tipici del periodo natalizio, di forma ovale, realizzati con farina, miele, zucchero, frutta candita, mandorle, cacao e cannella, cotti in forno e poi ricoperti di cioccolato fondente o bianco.

PITTE DI SAN MARTINO Sono realizzati come le susumelle, sostituendo la frutta candita con l’uvetta.

NEPITELLE Dolcetti tipici del periodo pasquale, in particolare nelle province di Crotone e Catanzaro, dalla forma simile al panzerotto, cotti in forno e ripieni di marmellata di amarene o vino cotto, mandorle, noci, uvetta e fichi secchi tritati, chiodi di garofano, cannella, cacao e cioccolato fondente, aromatizzate con liquore e scorza d’arancia.

TARTUFO Gelato alla nocciola che viene modellato nel palmo della mano, a forma di semisfera con un cuore di cioccolato fondente fuso e ricoperto di cacao in polvere. Inventato a Pizzo negli anni ’50 del secolo scorso dal pasticcere Giuseppe De Maria “Don Pippo”, quasi certamente per ispirazione all’omonimo cioccolatino piemontese.

LUIGI VERONELLI “Ne cammini le vigne e sei colto, come per magia, dalle note di chi ci visse” Luigi Veronelli, classe 1926, è stato uno, centomila ma mai nessuno. Antesignano dei diritti contadini, decano dei palati fini, noumeno del mosto, giornalista e scrittore. Inizia la sua formazione a Milano studiando filosofia che sebbene faccia girare il mondo tale e quale, ha contribuito a forgiare il pensiero veronelliano che è poi diventato atti, parole, patrimonio della scrittura. A lui va la paternità di neologismi e arcaismi ripescati nel mare magnum dei costrutti grammaticali italiani e piazzati di diritto nell’uso comune del giornalismo enogastronomico. Di un’incrollabile fede ateista, il suo credo giornalistico gli ha permesso di perseverare in una delle più ambiziose missioni in campo enologico. A Veronelli si devono le opere che hanno catalogato i vini italiani, gli oli, acquaviti, Spumanti e Champagne. Un tacito patto tra lui scrittore e il popolo italiano lettore siglato anche con la fondazione della rivista Il Gastronomo nel 1956 e di una propria casa editrice nel 1989. Maestro di tanti, anche del nostro direttore Andrea Grignaffini. Sovversivo gastronomico e soldato di Chagall subì il fascino di una dirompente anarchia che lo spinse a combattere per far prevalere la natura morale su quella materiale. La sua ideologia conclamava un profondo sdegno verso gli americaneggianti imbottigliamenti in serie che lo spinsero a schierarsi al fianco dei piccoli produttori locali, marciando nelle vigne francesi in nome del vino che è, come ricordano scrittori e predicatori, la parte filosofica di un pasto.


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LE BUONE COSE… di ANDREA GRIGNAFFINI

ODISSEA DEL PESCE GATTO

L’esperto svela tutti i segreti per preparare e gustare al meglio gli ingradienti della settimana.

Bruttino e un po’ becero di fama, è però buono di fatto, le sue ottime carni bianche e sode, con poche lische, sono apprezzatissime dagli emiliani, dai veneti e dai lombardi

Originario dei grandi laghi americani, il baffuto pesce gatto arrivò in Italia a inizio Novecento. I primi esemplari si diffusero nei corsi d’acqua della Val Padana, prosperando rapidamente in virtù di una grande resistenza fisica (anche in acque scarsamente ossigenate) combinata a un’eccezionale voracità placata con quella dieta variegata che è valsa loro l’eloquente soprannome di “pesci spazzini” (per nulla schizzinosi, si nutrono di scarti e qualsiasi cosa si trovi sul fondale, inclusi larve, uova, e invertebrati). Lunghi barbigli laterali, il corpo tozzo e viscido sormontato da una testa enorme su cui spicca la larga bocca con labbra carnose, non è tra gli esemplari più aggraziati del mondo ittico, il pesce gatto, ma si ricordi che neanche il più celebre tra questi, Namazu, è tale per beltade (si parla del gigantesco ameiurus melas della mitologia giapponese, reo degli tsunami e dei terremoti che affliggono il paese). Bruttino e un po’ becero di fama, è però buono di fatto, le sue ottime carni bianche e sode, con poche lische, sono apprez-

zatissime dagli emiliani, dai veneti e dai lombardi che tradizionalmente lo preparano in tante versioni; rarissimo protagonista di piatti gourmet, a Como, complici la presenza di un allevamento sul ramo del lago di Lecco e la massiccia quantità della specie nel lago di Piano, Stefano Mattara, chef del Ristorante Sottovoce, ha invece audacemente deciso di inserire questo pesce in menù. Per valorizzarlo al meglio, segue un preciso procedimento: una volta sfilettato (facendo attenzione agli aculei velenosi presenti sul dorso) lo lascia in un bagnetto d’acqua gassata e aceto (circa 10 minuti) per nettare il pesce da impurità e dal tipico sapore un po’ “fangoso”; compatta poi la carne con un sale bilanciato e una volta risciacquato, lo cuoce in olio cottura a bassa temperatura. Ultimo passaggio breve in forno e poi lo serve accompagnato da un brodo di missoltino affumicato che con la sua salinità esalta la delicatezza del pesce gatto. A completare, un olio al rosmarino e delle biete di stagione sia confit che cotte in aceto ed essiccate.


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NALS MAGREID

Via Heiligenberg, 2 Nalles (BZ) Tel. 0471 678626

IL BUON VINO… di LUCA GARDINI Conosciuto anche come The Wine Killer, grazie al successo del suo sito, redatto interamente in lingua inglese e dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo, GardiniNotes.com, Luca Gardini è oggi uno stimato wine-critic a livello internazionale.

ALTO ADIGE DOC PINOT BIANCO SIRMIAN 2021 PUNTEGGIO 97 /1 00

prezzo € € Una delle espressioni altoatesine più illuminate in ambito di Pinot Bianco, condite dalla proverbiale precisione di fattura di casa a Nalles. Vigneti collocati ai piedi della cantina, 7 mesi in botte e acciaio, naso di susina gialla, scorza di cedro, biancospino e caramella d’orzo. Alla bocca molto teso, vibrante, sapido e di ottima persistenza, con ritorno delle componenti agrumate e floreali. Etichetta che un risotto con trota salmonata, lime e pepe rosa saprà esaltare.

CHARDONNAY DAL MARMO L’Alto Adige è terra dalla vocazione vitivinicola vigorosa, che affonda le radici nella storia. La fama delle morbide colline e dei ripidi pendii che circondano Nalles, infatti, le stesse che ora suggellano l’accesso alla Strada del Vino, risale ai tempi dei romani. Ora, negli stessi territori celebrati da artisti e poeti, coesistono vigne e roseti, che regalano al panorama quella bellezza impossibile da rendere a parole. Terre incantate che rinnovano il patto millenario tra vigna e uomo nel modo più emblematico possibile. Cantina cooperativa Nals Margreid è parte essenziale di questa narrazione, data la sua fondazione nel lontano 1932. Oggi siamo arrivati a cifre rilevanti, ben 160 ettari, declinati in 14 vigneti e 138 soci, capaci di fornire materia prima di proverbiale eccellenza, che arriva da appezzamenti distribuiti per l’appunto tra Nalles, Bolzano e Merano, fino a Magré, da cui il nome della firm, collocati tra i 200 e i 900 metri, con suolo composto in prevalenza della triade porfido, marmo e calcare tipica delle Dolomiti. Tutto questo consente a Nals Margreid di realizzare una compiuta linea di etichette, tra cui svettano gli iconici: ovviamente il Pinot Bianco, lo Chardonnay, il Sauvignon e il Pinot Grigio. Un lavoro certosino completato nella rinnovata cantina, inaugurata nel 2011, che garantisce, al milione circa di bottiglie prodotte, livelli di fattura impeccabile ed ambizioni commisurate alla vision, culminante nel progetto della cuvée Nama, ormai sogno proibito degli eno-appassionati.


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THE ITALIAN TRAVELLER

IL PALAZZO EXPERIMENTAL: SENTIRSI COOL A VENEZIA IN STILE WES ANDERSON di Chiara Buzzi

Dalla visione di tre amici francesi, fino a un gruppo solido e di successo: Palazzo Experimental è miscelazione di qualità, design e coccole veneziane Sempre più spesso si parla di hotel e gestioni alberghiere che investono nel comparto food and beverage. C’è anche chi però nel tempo ha invertito l’ordine dei fattori, partendo dalla passione per il mondo della miscelazione per poi arrivare alla costruzione di un concetto di ospitalità che oggi sta effettivamente diventando prevalente. L’Experimental Group è stato fondato una quindicina di anni fa da tre amici d’infanzia, tutti accomunati da una grande passione per l’innovazione e il divertimento. Olivier Bon, Pierre-Charles Cros e Romée De Goriainoff aprono il loro primo cocktail bar nel 2017 a Parigi, fiduciosi che la capitale francese potesse finalmente recuperare allure e interesse verso il mondo dei drink, prendendo ispirazione dal grande successo degli american bar. Fu un’intuizione corretta, che diede avvio a un veloce ritorno di attenzioni verso l’artigianalità del drink e verso il mestiere stesso del bartender. A loro si aggiunse quindi nel 2010 Xavier Padovani, a cui si deve l’apporto fondamentale di apertura e di visione delle attività del gruppo. A partire da questo momento, The Experimental Group sviluppa un concetto di ospitalità contemporanea fondato sull’estetica del bello, del design trendy e rotondo, del divertimento e della qualità, di spazi a disposizione della clientela votati a uno stile di vita informale e internazionale. All’interno di Palazzo Molin, dimora rinascimentale nel quartiere di Dorsoduro, con affaccio sul Canale della Giudecca e sul molo privato del Rio degli Ognissanti, questo palazzo apparteneva un tempo alla famiglia Stucky che per molti secoli lo usò con sede storica della Compagnia Navale Adriatica. Il progetto di riconversione è riuscito a preservare molti elementi architettonici originali, dalle finestre gotiche, alle porte in legno, alle travi a vista così che entrassero in dialogo o in contrasto (pacifico) con il design firmato da Dorothée Meilichzon. Ci sono molti marmi, superfici rigate, colori scuri quali nero e mattone e grandi pareti cerulee. Le atmosfere degli spazi comuni del Palazzo Experimental ricordano per certi versi la fotografia di Wes Anderson, si affidano a un gusto leggermente vintage con diversi elementi di design che richiamano gli anni Quaranta e Cinquanta ma realizzati con materiali più freddi e talvolta specchianti. Le camere del Palazzo Experimental ricalcano lo stile parigino, quindi non saranno mai troppo grandi ma assolutamente confortevoli. Vista la premessa iniziale non poteva mancare un ristorante, Adriatica, che utilizza solo ingredienti di stagione, di provenienza locale e che si completa con la presenza di un’enoteca di prodotti regionali. Continua a leggere sul sito


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(ALMENO) UNA VOLTA NELLA VITA

BRACI, UN OMAKASE ITALIANO A SINGAPORE di Penelope Vaglini

L’alta cucina italiana trova una casa accogliente nel Sud-Est asiatico. Da Braci, ristorante a Boat Quay affacciato sul fiume di Singapore, lo chef Matteo Ponti offre un’esperienza di omakase legata ai sapori del Nord Italia Nella vivace Boat Quay di Singapore, banchina costruita come parte del vecchio porto della città, oggi si trovano schiere di locali e ristoranti che, con i loro dehors e terrazze, offrono agli ospiti una vista impagabile sul fiume che porta il nome della città, su Marina Bay con i suoi grattacieli e le celebri tre torri dell’hotel Marina Bay Sands. Tra le costruzioni a schiera trova dimora Braci, ristorante di alta cucina italiana guidato dallo chef piemontese Matteo Ponti e di proprietà del gruppo Il Lido, del ristoratore Beppe De Vito. Cresciuto a Trecate in provincia di Novara, da una famiglia originaria della Brianza, chef Ponti vive a Singapore da dieci anni e propone una cucina legata alle sue radici familiari e gastronomiche. Da Braci, infatti, va in scena l’omakase all’italiana di Singapore, realizzato nell’intima sala del ristorante dove non ci sono barriere tra la cucina e i tavoli, a cui si accomodano 30 commensali per volta. Il dialogo con lo chef e i movimenti della brigata permettono di calarsi appieno in un’atmosfera accogliente, dove la dimensione conviviale è naturalmente parte della degustazione. Al piano superiore, una terrazza panoramica circondata da imponenti grattacieli illuminati consente di mangiare all’aperto con una romantica vista sul fiume e la marina. Il menu è costruito sulle tradizioni gastronomiche delle campagne del Nord Italia e riprende le memorie gustative dello chef, fatte di pranzi in famiglia e ricette tipiche, che si mescolano a influenze asiatiche con l’impiego di tecniche e ingredienti locali. Unica eccezione al concept “nordico” è il pane di Altamura, in arrivo due volte a settimana dalla Puglia con una cottura al 70%, terminato sulle piastre della cucina, da accompagnare a un olio di Bitonto pungente e leggermente piccante. Da Braci non esiste una vera e propria carta con l’elenco dei piatti, ma gli ospiti hanno a disposizione un QR code per leggere gli ingredienti che andranno a degustare nel corso della serata, tutti rigorosamente stagionali. Il tasting varia ogni tre mesi, ma alcune ricette ruotano più velocemente poiché incorporano ingredienti micro-stagionali, disponibili al mercato solo per un breve lasso di tempo. Il preludio è affidato a tre snack che portano sulle Alpi, dall’ovest all’est, partendo con una versione salata del Mont Blanc composta da una meringa di dashi racchiusa da un paté di castagne del Lago d’Orta, del foie gras e una gelatina di Ratafià (liquore alle ciliegie di Bra). Si passa poi dalla Valtellina, terra dei parenti dello chef, con un omaggio orientale ai pizzoccheri sotto forma di tartelletta al grano saraceno, con aioli di aglio nero, kimchi al cavolo verza e una mousse di Casera. Infine, la tappa è in Friuli con una trota del Tagliamento affumicata a freddo, completata con crema di burro alpino, uova di trota affumicate e scalogno sott’aceto. Continua a leggere sul sito


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COCKTAILS & DREAMS

NEW ORLEANS: LA MECCA DEL BERE CHE NON TI ASPETTI di Carlo Carnevale

New York, Londra e le altre grandissime hanno storia e cocktail da raccontare: ma pochissime città al mondo hanno una tradizione di miscelazione forte e ricca come quella di New Orleans, la Big Easy Appoggiata sul fiume Mississippi, nella Louisiana che più a Sud degli Stati Uniti non si può, New Orleans è una delle mete da visitare almeno una volta nella vita. Tormentata e ribollente di energia, avvolta a qualsiasi ora e in qualsiasi momento dell’anno da un’aura inquieta e travolgente, mescola straripante bellezza e patemi di città storica: dimenticherete che New Orleans è tra le città più pericolose degli USA a detta degli stessi abitanti, una volta passeggiato per i portici delle case in stile art deco del quartiere francese (Bourbon Street, l’arteria principale, deve il nome al ramo transalpino della famiglia dei Borbone, cugini degli spagnoli che dominarono il sud Italia). Forte, peraltro, di una profondissima cultura dell’aldilà e delle anime (nella settimana del 2 novembre, cade a pennello) pur non essendo un pensiero immediato, data la presenza di New York e Londra su tutte come capitali del bere mondiale, New Orleans è in realtà culla di alcuni tra i cocktail più celebri e amati al mondo, grazie al miscuglio di culture e approdi che storicamente l’ha attraversata. The Big Easy, come viene soprannominata per lo stile di vita adagio ed epicureo che la contraddistingue, val bene una notte a tappe tra i bar e i drink che hanno segnato la storia della miscelazione. Continua a leggere sul sito


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GASTROCKNOMIA

LA SEMPLICITÀ PRIMA DI TUTTO: LA PASTA AL BURRO DI BUGO di Giovanni Aragona

Pasta al Burro è un brano estratto dall’album “Dal lofai al cisei”, terzo disco di Bugo In cucina non servono tanti ingredienti, i grandi chef, ma anche le nostre mamme, insegnano che, per poter cucinare dei gustosi piatti, serve ingegno e passione. Uno dei piatti più semplici e che, allo stesso tempo, almeno una volta nella vita ognuno di noi ha consumato, la pasta al burro è il cult della cucina italiana. La cucina è luogo in cui si racchiudono secoli di storia e tradizioni di natura antropologica, che ogni giorno ci apprestiamo a portare in tavola. Raccontare la storia di un popolo avviene anche attraverso un caldo piatto, da nord a sud, senza limitazioni di tempo e di difficoltà. Uno dei piatti più semplici della cucina italiana, quello definito “da ultimo minuto”, è il piatto più semplice e povero di ingredienti che possa esistere nel novero dei “primi”. La pasta, lo sappiamo, per noi italiani rappresenta non solo un piatto ma anche un must culturale. Un piatto di pasta è simbolo della nostra cultura Italiana e al contempo è orgoglio. Per questo da Trento a Mazara del Vallo tutti ci tengono affinché venga preparato sempre a modo. Non è solo un semplice alimento ma è parte integrante della vita e di una intera cultura popolare Un piatto semplicissimo, quello che potremo definire “dell’ultimo minuto”, povero di ingredienti anche se molto gustoso, un piatto che prevede due soli ingredienti. La leggenda vuole che, questo

piatto sia nato da una donna infedele, che dopo essersi divertita a letto con un altro uomo correva a preparare la pasta al burro per il marito in tutta in fretta. La puntata odierna del nostro consueto GastROCKnomia vi racconta di un brano pensato, scritto e cantato da Bugo pseudonimo di Cristian Bugatti. Nel 2002 l’artista milanese realizza il suo terzo disco in carriera intitolato Dal lofai al cisei che annovera, al suo interno, la “Pasta al burro” dell’artista, brano indie-rock rumoroso e molto d’effetto dal vivo. La canzone, e il disco in particolare, diedero la possibilità all’artista di uscire dal guscio indie per sconfinare nell’anticamera del mainstream. Il burro è alimento le cui origini si perdono nella storia dell’uomo. Diverse leggende confermano la sua genesi remota e la collocazione geografica incerta. Di una cosa siamo certi: la pasta al burro è patrimonio nazionale e Bugo lo ha ben descritto. Alla prossima puntata.


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https://guideespresso.it/wp-content/uploads/2023/09/SITO1-3.jpg GUERIDON E DINTORNI

UNA BELLISSIMA STORIA D’AMORE di Alberto Cauzzi

Si parla da tempo di emergenza di sala, del fatto che le nuove generazioni non siano così appassionate del lavoro di sala, che lo chef è la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono, mentre invece un fulcro importante della fortuna di un ristorante è anche e soprattutto il grande lavoro di accoglienza che si opera nella sala del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica non per parlare dei soliti argomenti ma per chiedere agli uomini e attori principali di questo straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità che stimolano e ravvivano questo mondo. Oggi ne parliamo con Catia Uliassi, Restaurant Manager del Ristorante Uliassi di Senigallia.

Cara Catia, come hai iniziato questa professione e perché? L’idea viene quasi da sé dato che tutta la mia famiglia si è sempre occupata di ristorazione. I miei genitori prima con una trattoria, poi con un bar di cui ora si occupano mio fratello Walter e il figlio Tommaso sono sempre stato in questo mondo. Mauro mi ha reso partecipe da subito, e quasi per gioco, portandomi via agli studi, quando decise di intraprendere questa straordinaria avventura. Ho capito subito che mi piaceva stare in sala, accogliere i clienti, farli star bene. Nel corso degli anni è cresciuta la consapevolezza dell’importanza che riveste la sala nell’esperienza complessiva. E l’occuparmi della sala mi permette anche di assecondare la mia grande passione per l’interior design e l’arte, dato che curo ogni minimo particolare degli arredi dei vari ambienti del ristorante. Il tuo bilancio di questi 33 anni di carriera qual è? Un bilancio senz’altro molto positivo. Grandi soddisfazioni a fronte anche di grandi sacrifici. Le attestazioni di stima e gradimento che ci arrivano quotidianamente dai clienti e dai critici gastronomici sono motivo di grande orgoglio ma ci servono anche da stimolo a non adagiarci, a guardare avanti cercando sempre di migliorarci. Ad affrontare ogni servizio con la stessa concentrazione di quello precedente. Hai degli aneddoti, curiosità, episodi che ti piacerebbe condividere con noi? Sì, una bellissima storia d’amore. Lui, bell’uomo, avvocato di succes-

so e nostro habituè sempre accompagnato da donne interessanti, una sera di qualche anno fa si presenta con lei, bellissima, sensuale e allegra: mi piace da subito, stavolta si è innamorato. Ogni week end di quella estate lo trascorrono a cena da noi; decidiamo quindi di dargli un tavolo speciale, unico, sulla sabbia con solo la luce della luna, un angolo tutto per loro, rimanevano con noi fino a chiusura del ristorante. Complice l’estate, l’atmosfera, il cibo di Mauro, lo champagne e la loro passione, da lì a qualche mese la notizia di lei in dolce attesa. Felicissima per loro, mi dicono da subito che tutte le nostre coccole avevano contribuito alla splendida novità. Diventiamo molto amici, questo posto diventa per loro casa. Morale della favola, sono diventata la madrina del mio piccolo Leo. Adesso ti chiediamo un ricordo… il ricordo di un grande uomo o una grande donna di sala che ti ha impressionato, nel tuo lungo girovagare per ristoranti, e perché ti ha impressionato. Ricordo la prima volta che sono entrata nel santuario della cucina italiana, Dal Pescatore a Runate Canneto. Ad accogliermi Antonio Santini, la cui presenza discreta mi ha accompagnato nel corso di tutta la cena. Un ricordo preciso, la netta sensazione di essere nelle mani di un maestro di sala in grado di mettere l’ospite a proprio agio, mettendolo nelle condizioni di godersi appieno l’esperienza. Da quel momento ho capito veramente cosa significa la “sala” nella sua più completa accezione. Continua a leggere sul sito


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Wines Wines of Wines of Altitude of Altitude Altitude Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m. Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m. Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m.

albola.it

@CastelloDiAlbola

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In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di Albola, una delle più alte tenute del Chianti Classico. Qui trovano dimora le espressioni più elevate ed eleganti del Sangiovese di "alta collina", In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di caratterizzate da forti pendenze, che godono di importanti escursioni Albola, delle piùnel altecomune tenute del ChiantiinClassico. Qui trovano dimora In cima una alle colline, di Radda si trova di termiche e di un microclima ideale per laChianti, produzione di Castello vini unici, le espressioni piùpiù elevate ed eleganti del Sangiovese ditrovano "alta collina", Albola, una delle alte tenute del Chianti Classico. Qui dimora patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza. caratterizzate pendenze, che del godono di importanti le espressioni da più forti elevate ed eleganti Sangiovese di "altaescursioni collina", termiche e di da un forti microclima ideale la produzione di vini unici, caratterizzate pendenze, che per godono di importanti escursioni patrimonio locale ed espressioni eccellenza. termiche e della di uncultura microclima ideale per la autentiche produzionedi di vini unici, patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza.


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TERRITORI A TAVOLA

di Matteo Calzaretta

PROVINCIA DI RAVENNA Viaggio nell’Italia dei sapori: cosa mangiare a Ravenna e provincia, per scoprire un territorio nel cuore del Belpaese, ricco di storia e di enorme valore enogastronomico Dalle terre del Trapanese, costellate del bianco delle saline, percorriamo lo stivale fino a raggiungere Ravenna. Adagiata a pochi chilometri dal Mar Adriatico e sospesa nel cuore della Romagna: questa terra è un vero scrigno d’arte, di storia e cultura con alle spalle un antico e glorioso passato. Ravenna contribuisce alla rinomanza mondiale della cucina italiana ed emiliano-romagnola nello specifico, proponendo una tradizione fatta di pasta e pietanze arricchite dal pesce dell’Adriatico e vini “salati” delle colline. Per le vie del centro storico di Ravenna, strette e tortuose come i canali che furono, è ancora possibile vedere all’opera la manifattura del piatto forse più tipico della tradizione gastronomica locale che è obbligatorio mangiare a Ravenna: i celebri caplèt: in brodo, magari nelle giornate più fredde, o con il ragù, i cappelletti sono un must della tradizione gastronomica di questa parte di Regione. Pasta all’uovo tagliata a quadretti, farcita con del formaggio (parmigiano, ma anche ricotta o raviggiolo) poi chiusi dando la forma, per l’appunto, di un cappello. Con le estremità non intrecciate, come nel caso dei tortellini, ma chiuse a triangolo. Altro primo piatto, meno famoso, sono i passatelli: uova, formaggio, pangrattato e un pizzico di noce moscata danno vita a un impasto morbido che, passato in un comune schiacciapatate con fori grossi, dà vita a una delle più tradizionali “minestre” romagnole, che va consumata in brodo (di carne o di pesce). Passando ai secondi che possiamo mangiare a Ravenna, un perfetto menù locale propone una buona brasula ‘d castrè, ovvero una braciola di castrato: proviene dal maschio ovino che dà una braciola scura e saporita. La carne tenera e dall’odore leggermente acre viene marinata con sale, aglio e rosmarino, cotta in graticola sulle braci e infine servita con olio d’oliva e limone o al naturale. Doverosa citazione merita la piadina. Una preparazione semplice negli ingredienti, di umili origini, diventata la regina dello street food romagnolo e soggetta, ormai, a innumerevoli tentativi di imitazione. Squacquerone e prosciutto, ma anche erbe di campo e salumi vari: non c’è una regola per la farcitura, a totale discrezione dei gusti di ognuno. A Ravenna la “piada” è tra le più alte della regione. Spessa e porosa, tradizionalmente ricca di strutto ma oggi quasi ovunque anche in versione vegetariana o vegana, si adatta ad ogni accostamento. Affettati, verdure, creme dolci e salate, chiusa a “crescione” o piccola in versione dessert, è il cibo che non manca mai.

Per finire i dolci che possiamo mangiare a Ravenna: la Ciambella di Ravenna o Brazadela Romagnola è una ciambella tipica della Romagna ogni città ha la sua ricetta, ma una cosa è comune: la tradizione vuole che questa ciambella venisse servita a fine pasto con un bicchiere di buon vino bianco amabile, nel quale la fetta di brazadela veniva intinta. Un dolce semplice, ma di grande gusto, ottima anche a colazione con il latte.

Ma non si può mangiare a Ravenna senza bere i vini romagnoli. Innanzitutto, l’Albana di Romagna, il primo vino bianco d’Italia ad ottenere il riconoscimento della DOCG, e che secondo un’antica leggenda alla corte di Galla Placidia si beveva solo in coppe d’oro. Le origini dell’Albana di Romagna sono talmente antiche che non è facile distinguere la storia dalla leggenda. Il nome “Albana” compare ufficialmente per la prima volta intorno al 1200. Altri cinque sono i vini a denominazione d’origine controllata in regione. Il più importante è senza dubbio il Sangiovese di Romagna, ottenuto dall’omonimo vitigno ad acino piccolo, a differenza di quello ad acino grosso più diffuso a livello nazionale. Ed infine la Cagnina di Romagna, un vino rosso dolce, di corpo, ottenuto dal vitigno Refosco Terrano, che già da novembre è presente a tavola nelle feste e sagre paesane, ma di vita abbastanza breve. Da buona località a due passi dal mare non potevano mancare piatti a base di pesce e altri prodotti d’acqua salata. A Ravenna, più precisamente a Marina di Ravenna, annualmente si tiene un festival dedicato alla cozza selvaggia locale. Come in molte altre zone costiere sia romagnole sia marchigiane, inoltre, è ricca la proposta dei tipici brodetti a base di varie specie di pesce.


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ASSAGGI DI LUCE di Stefano Caffarri

Transumanza Lunga è la strada che conduce a Isola di Montemonaco, luogo fascinoso e misterioso disperso nella tundra dei Monti Sibillini. Qui è dove Enrico Mazzaroni, uno degli interpreti più fuori dagli schemi della cucina di territorio, racconta storie di transumanza attraverso i suoi piatti privi di genuflessioni alle mode ma ricchi di empatia. Storie di pecore, di vegetali, di montagne arcigne.

La trota nel bosco

Perla di fegato grasso, burro nocciola e limone

Tagliolini nell’orzo con orecchie di maiale

Zucca e salsiccia d’anatra

Spaghetti al vino rosso, sgombro, finocchietto


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Feed ‘n’ Food

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Alfonso López, è sul web da 15 anni e ha pubblicato più di 1.000 video di ricette. Tante idee e nuovi stimoli per il pubblico italiano.

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