Weekly Enjoy #018

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Pubblicazione settimanale gratuita #018 - 21 Ottobre 2023

Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi Coordinamento Editoriale Digital: Carlo Carnevale Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola Direttore Commerciale: Michele Belingheri

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO Ogni fine settimana, al vostro indirizzo di posta elettronica, vi verrà recapitato il Weekly Enjoy, un magazine con notizie, servizi, approfondimenti e consigli più interessanti della settimana. Chi ha fame di notizie enogastronomiche può mettersi a tavola. Il servizio è gratuito.


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Carlo Carnevale Coordinatore editoriale digital de Le Guide de L’Espresso

ENTUSIASMO MACELLERIA MOTTA Str. Padana Superiore, 90 Bellinzago Lombardo (MI) Tel. +39 0295784123 ristorantemacelleriamotta.it

VIP: VERY IMPORTANT POSTO di Alberto Cauzzi

MACELLERIA MOTTA Il tempio della carne che ha spostato l’obiettivo sulla periferia di Milano: Macelleria Motta C’è un che di poetico e al contempo solenne nella camera di frollatura all’entrata del ristorante. Una scatola di rosso e cristallo, un messaggio di buon auspicio per gli adepti di Maillard che qui troveranno dalle tartare alle bistecche, dal quinto quarto ai salumi home made. Lo showrunner, artista e maestro è Sergio Motta, divenuto popolare anche grazie a quella risolutezza di chi è ben deciso a trasformare un’ambizione in progetto concreto. Ma ci arriveremo dopo. Andiamo con ordine. Questa è una storia che inizia prima dell’innesto di sommelier e cantina, prima dell’introduzione dei primi in carta e ancora prima della decisione di cucinare la carne e non solo venderla. La macelleria Motta nasce dal principio, con papà Giovanni che frequenta le fiere di bestiame e si specializza nella lavorazione della carne finché nel 1963 a Bellinzago Lombardo, apre la macelleria. Oggi in questo tempio della ciccia, il figlio Sergio ha elevato il progetto iniziato dal padre mantenendo ancora lo standard di eccellenza. Segue ogni processo della filiera, dalla scelta dei bovini, alla macellazione, al controllo delle cotture. Il locale è pressoché monotematico: alcuni primi piatti e occhio di bue puntato su carne piemontese e tutte le sue parti. Continua a leggere sul sito NOME DELLO CHEF: Sergio Motta

VIP: VERY IMPORTANT PIATTO

MENU DEGUSTAZIONE: € 60

di Alfonso Isinelli

SALTIMBOCCA ALLA TOMEI Saltimbocca alla tomei: La tradizione amplificata dallo chef Cristiano Tomei, paladino contro il gastronanismo, a L’imbuto di Lucca. Cristiano Tomei è un grande cuoco, ha una idea forte di cucina, non legata ad alcuni dettami contemporanei: lui è per fuoco e braci, niente buste, niente sottovuoto, niente roner et similia. E non gli piacciono neppure alcuni termini importati, ad esempio foraging, messi lì a dare un tono alla raccolta di erbe, radici e frutti che si fa da sempre. E dunque per un lungo periodo, uno a parte nel mondo della ristorazione, non identificato con scuole, gruppi e tendenze. La televisione, che gli ha dato fama, non lo ha guastato anzi lo ha definito meglio nel suo essere controcorrente: il suo motto è inciso nella sala dell’Imbuto a Lucca, No al gastronanismo. I suoi piatti seguono la fiamma della tradizione, per trovare la loro definizione in un tocco, un istinto, un’idea. Continua a leggere sul sito RISTORANTE L’Imbuto

CHEF Cristiano Tomei

L’IMBUTO Piazza del Collegio, 7 Lucca Tel. +39 3319308931 limbuto.it

Dopo una chiacchierata avvenuta con la sempre brillante Anna Prandoni, circondati da una pittoresca fotografia del giornalismo di settore odierno, ci si è resi conto ancora una volta di uno dei principali ostacoli alla buona ristorazione contemporanea: manca entusiasmo. E manca evidentemente da entrambi i lati del bancone o della sala, come in un circolo che non vede via di sfogo: proposte che si rassomigliano tutte, dal menu alle pagine Instagram passando addirittura per il linguaggio (l’articolo di Andrea Cuomo della scorsa settimana su altra testata, che discuteva della noia, è un trattato mirabile sulla problematica). I piatti e i cocktail sono prodotti che mirano all’approvazione fine a se stessa, non all’emozione o al racconto, persi nelle autocelebrazioni e in parole che ormai sono onnipresenti, senza fantasia. E di fronte, ospiti che vanno smarrendo il piacere genuino di poter trascorrere qualche ora fuori casa assaggiando cibi e bevande fuori dall’ordinario, disamorati della socialità e più innamorati dei social, spesso vittime della bulimia di novità e squilli di trombe gastronomiche che ha reso l’esperienza al ristorante o al bar qualcosa di scontato, di ovvio, allontanandola pericolosamente dall’idea di privilegio che dovrebbe sempre accompagnarla. Ospitalità più diretta e soddisfacente, consumatori più presenti e meno viziati; cosa servirebbe per invertire davvero la rotta, e tornare a entusiasmarci? Carlo Carnevale


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CIOCCOLANDIA

di Antonio Franchi

PRINCIPALI PRODOTTI TIPICI A BASE DI CIOCCOLATO NELLE MARCHE

LONZINO DI FICO RICOPERTO DI CIOCCOLATO Dolce a forma di insaccato, realizzato maci-nando insieme fichi [principalmente Dottati o Brogiotti] essiccati, mandorle, noci, semi di anice stellato e talvolta pezzi di cedro; nell’impasto viene spesso aggiunto il Mistrà, liquore ottenuto dalla macerazione di frutti di anice nell’alcol, oppure la Sapa [o Saba], sciroppo concentrato d’uva che si ottiene dal mosto appena pronto. Il preparato viene gustato al naturale oppure nella variante con copertura di cioccolato fondente. TORRONE CAMERINESE Torrone alle mandorle, realizzato da fine ‘800 secondo l’antica tradizione di Camerino con mandorle tostate, miele, albume d’uovo e copertura di cioccolato fondente; declinato anche nelle varianti con copertura al caffè, all’anice, al rum, allo zenzero, al limone e all’arancio, oppure nella versione con le noci.

NEWS: SALUMI

Citterio, fatturato a 570 mln di euro

Crescita importante per Citterio, nonostante le difficoltà geopolitiche. Con investimenti nell’innovazione pari al 6% del giro d’affari. Il fatturato è di 570 milioni di euro per Citterio, storica azienda di salumi con sede a Rho. Il dato di bilancio permette di scoprire che per due terzi il business proviene dall’estero, con un incremento dell’11% rispetto all’anno precedente. Per la family company che da sei generazioni domina il settore si tratta di un importante traguardo, con una crescita a doppia cifra, ottenuto nonostante le difficoltà riscontrate a causa degli aumenti dei prezzi delle materie prime e del costo dell’energia. Presente in oltre una cinquantina di nazioni, Citterio si è confermata anche nel 2022 una tra le aziende leader di mercato negli affettati confezionati a peso fisso: sono 1.200 dipendenti presenti all’interno dei nove stabilimenti dislocati in cinque regioni d’Italia, oltre ad altri due presenti negli Stati Uniti, a Freeland in Pennsylvania. Continua a leggere sul sito

PERSONAGGI

FRANCESCO MARTUCCI Francesco Martucci è il miglior pizzaiolo del mondo. Non lo diciamo noi ma la prestigiosa classifica 50 top pizza (www.50toppizza.it) che lo ha incoronato per l’ennesima edizione in testa a tutti. Ma pochi sanno che Francesco Martucci è così talentuoso da aver rivoluzionato, e continua a rivoluzionare, il concetto di pizza e la sua stratificata evoluzione. E lo fa perché non si accontenta mai ed il motore della sua crescita così vertiginosa, a poco più di 40 anni, è tutto nelle sue parole : “La mia non è una famiglia benestante, mio padre Paolo faceva il camionista e mia madre Maria cresceva me, mia sorella Sabina e mio fratello Sasà. A dieci anni non avevo altra scelta che andare a lavorare perché dopo la crisi a casa nostra a volte mancava anche la corrente elettrica. Da quella età in poi ho fatto di tutto cominciando da mio zio Franco Pagliaro, il fratello di mia madre, che aveva creato una delle prime pizzerie di Caserta, il Solito Posto, dove si curava la qualità e si prestava più attenzione alle lievitazioni”. E di passo in passo con tanta determinazione, volontà, voglia di lavorare e un indiscutibile talento è arrivato in cima al mondo, ma senza accontentarsi mai. Il re della pizza alberga a Caserta, correte a provarlo!


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PAESE CHE VAI CRÊPE CHE TROVI LE BUONE COSE… di ANDREA GRIGNAFFINI L’esperto svela tutti i segreti per preparare e gustare al meglio gli ingradienti della settimana.

In virtù dell’estrema versatilità della preparazione, la crêpe si è declinata in numerose varianti assorbendo suggestioni e ingredienti tipici delle cucine di mezzo mondo

Farina, uova, burro e latte: ecco la ricetta base delle leggiadre frittatine dai mille e un nome, le crêpes. Sembra abbiano un’origine antichissima, risalente addirittura al V secolo, quando il pontefice Gelasio a Roma ordinò ai cuochi papali di preparare un cibo rinvigorente per sfamare i pellegrini francesi stremati dopo il lungo viaggio intrapreso per partecipare alla festa della Candelora. A loro piacquero così tanto che la ricetta venne riportata e diffusa in Francia, Paese a cui si deve il successo del prodotto. In virtù dell’estrema versatilità della preparazione, la crêpe si è declinata in numerose varianti assorbendo suggestioni e ingredienti tipici delle cucine di mezzo mondo. “Divine étoile” tra i dessert, la francese “crêpe Suzette”, ha controversi natali. Nota è l’attribuzione allo chef Auguste Escoffier che nel 1896, pare, preparò al Principe del Galles Edoardo VII le famose frittelle arricchite con la salsa a base di zucchero e burro caramellati, succo di agrumi e Grand Marnier, il tutto flambé. Il principe apprezzò così tanto il dessert che suggerì allo chef

di omaggiarlo alla sua commensale, l’attrice Suzanne “Suzette” Reichenberg. Successivamente, lo chef Henri Charpentier, all’epoca allievo di Escoffier, rivendicò la paternità del piatto. Golosità austriaca è la “frittata dell’imperatore” (s’intende Francesco Giuseppe d’Austria, che ne andava ghiotto) composta di crêpes più spesse servite a pezzettoni con la confettura di mirtilli e cosparse di zucchero a velo; la palacsinta ungherese è uno spuntino dolce o salato in cui l’uso dell’olio nell’impasto invece del burro dona alla crespella l’elasticità ideale per essere arrotolata su sé stessa e farcita. In Russia si gustano i blinis, piccole cialde lievitate e farcite con panna acida, pesce affumicato e caviale. Oltreoceano, i pancakes, morbide frittelle proverbialmente abbinate allo sciroppo d’acero, costituiscono un classico dell’american breakfast. Infine le messicane enchiladas sono tortillas di mais che la ricetta tradizionale prevede ripiene di pollo, salsa al pomodoro, formaggi, peperoncino e panna acida.


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REVÌ

Via G. Pascoli, 10 Aldeno (TN) Tel. 0461843155 info@revispumanti.com

IL BUON VINO… di LUCA GARDINI Conosciuto anche come The Wine Killer, grazie al successo del suo sito, redatto interamente in lingua inglese e dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo, GardiniNotes.com, Luca Gardini è oggi uno stimato wine-critic a livello internazionale.

TRENTODOC EXTRA BRUT RISERVA 100 MESI RE DI REVÌ 2013 PUNTEGGIO 94+ /1 00

prezzo € € € Cento mesi sui lieviti, una prova di bravura per la cantina guidata dalla famiglia Malfer. Chardonnay e Pinot Nero dotati di eccellente equilibrio, con evidenza di note di mela renetta, salvia limonata e tocchi di menta selvatica al naso, mentre alla beva si rivela succoso-salmastro, con ritorno fruttato-mentolato e bella persistenza. Perfetto con un grande classico locale come il risotto allo zafferano e salmerino.

MICROCLIMA SPUMEGGIANTE Aldeno è, da qualsiasi parte la si guardi, un unicum nello sfaccettato panorama vitivinicolo trentino. “Terra di mezzo” all’intersezione tra la punta estrema della Val d’Adige e l’inizio della Vallagarina, collocata alle pendici del Monte Bondone, dotata di microclima rarissimo, completato dalla vocazione del suolo, a prevalenza di conoide alluvionale, modellato negli anni dai sedimenti depositati dal torrente Arione, è stato centro vinicolo di prim’ordine fin dalla metà dell’800. Del resto era stato proprio Gino Veronelli a ribattezzare questo fazzoletto di terra - leggenda vuole dopo una maestosa abbuffata delle rinomate bollicine locali - la “Champagne d’Italia”. Una tradizione vitivinicola raccolta orgogliosamente da una cantina, quella di famiglia Malfer, che rievoca nel nome il segno dell’elezione (dal toponimo popolare, “Re dei vin”), ovverosia Revì. Si deve agli sforzi di Paolo, talento e ostinazione precocissimi, che dopo anni di prove e micro-vinificazioni sugli spumantizzati la crea, proprio ad Aldeno, nel 1982. Esordi orgogliosamente “garage winery”, seguiti da una crescita esponenziale - e paralleli encomi, di pubblico e critica - fino all’importante traguardo delle 200.000 bottiglie prodotte. Ora gestita da Paolo insieme ai figli Giacomo e Stefano, Revì prosegue la sua sfida con coerenza e senza nascondere ambizioni, come confermano le ultime uscite, una su tutti la Riserva Re, ma anche prodotti come il Dosaggio Zero Blasé e il Cavaliere Nero Rosè, in una linea di etichette chiara espressione del più raffinato artigianato vitivinicolo.


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THE ITALIAN TRAVELLER

HOTEL DAS AMOREIRAS, L’INDIRIZZO DA CUI RESTARE STREGATI A LISBONA di Chiara Buzzi

Fuori dai percorsi più battuti, Hotel das Amoreiras è il progetto intimo e personale di una coppia locale, dove perdersi nelle atmosfere più autentiche della capitale portoghese. Come per tante grandi città, dove sempre più famiglie e attività imprenditoriali provano a uscire dal centro per costituirne di nuovi e più periferici, anche quando si viaggia si può optare per soluzioni meno schiacciate dalla congestione urbana. A Lisbona, che non è così estesa da un punto di vista metropolitano, ma si sviluppa in una molteplicità di quartieri diversi, è facile trovare aree defilate e (quasi) senza turisti. Qui si viene per cercare un po’ di quotidianità, per schivare i gruppi vacanza con la bandierina e provare a ritrovare il gusto di un caffè nel vecchio baretto di zona, del giornale alla panchina, della passeggiata con il cane. A Nord di Principe Real, appena sotto il Parque Eduardo VII e prendendo il riferimento di Rato come stazione della metropolitana, vi ritrovate a pochi passi dalle arterie principali ma circondati da un’architettura diversa. Inizia una zona più residenziale di palazzi silenziosi ben preservati e linee complessivamente più eleganti e signorili. Tra questi c’è lo stabile che accoglie il nuovissimo Hotel das Amoreiras, nell’omonima Praça das Amoreiras, vicino alla chiesa di Monserrat, il Águas Livres Aqueduct e la Fondazione Arpad Szenes – Vieira da Silva. Uno Small Luxury Hotels, gestito da una coppia di appassionati del bello e dell’ospitalità quali Pedro Oliveira e Alicia Valero, entrambi impegnati in carriere professionali diverse da questa ma finalmente arrivati a poter portare avanti il proprio sogno. I soffitti bassi, gli infissi di un tempo e gli spazi vagamente risicati dei vecchi stabili signorili sono le prime caratteristiche che si apprezzano di questo gioiello di diciassette camere dislocate su due soli piani. L’area reception dell’hotel das Amoreiras è particolarmente spaziosa e direttamente connessa al bar e al giardino interno, dove la mattina viene servita una colazione alla carta e per tutto il giorno, compreso il servizio aperitivo, è possibile sfruttare il menu del bar per un drink o un caffè. Pedro è l’artefice delle scelte stilistiche, dei tessuti e dei colori, delle metriche visive e degli oggetti che vanno ad arricchire questo luogo che sa di casa ma è molto più ricercato ed elegante di una normale abitazione. C’è tanto design d’autore ma soprattutto c’è tanta cura personale da parte dei due fondatori dell’hotel das Amoreiras che hanno in parte persino disegnato mobili e lampade facendo, diventare questo luogo una cassa di risonanza delle proprie ispirazioni e desideri La selezione di dipinti e opere d’arte presenti all’interno dell’hotel das Amoreiras provengono in parte dalla collezione privata della coppia e costituiscono un ulteriore livello di personalizzazione del luogo. Continua a leggere sul sito


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GASTROCKNOMIA

TRADIZIONE IN POESIA: LA RICETTA DI DAVIDE VAN DE SFROOS di Giovanni Aragona

Davide Van De Sfroos, pseudonimo di Davide Enrico Bernasconi, ha realizzato la storica Pulenta e galena fregia nel 1999. Non lasciatevi ingannare dal nome, Davide Van de Sfroos non è un cantante olandese ma è nativo di Monza. Lo pseudonimo Van De Sfroos restituisce foneticamente un’espressione che in lingua lombarda significa (essi) vanno di contrabbando. Davide Enrico Bernasconi, all’anagrafe, è uno dei più sottili autori contemporanei della musica made in Italy: dieci album in Carriera, diverse pubblicazioni da scrittore, e una costante ricerca antropologica delle origini. Musica ma anche tanto studio delle parole e una conoscenza metalinguistica sopraffina che consiste nella capacità di percepire e riconoscere per via uditiva i fonemi che compongono le parole del linguaggio parlato, fanno dell’artista in questione uno degli artisti più “impegnati” del panorama musicale odierno italiano. L’episodio di oggi vi racconta di un brano scritto nel 1999 e che appare nell’album d’esordio del cantautore intitolato Brèva e Tivàn. La canzone è Pulenta e galena fregia brano più ”dolcemente malinconico” del cantante, che racconta del giorno dopo il Natale in famiglia tra polenta e gallina fredda. Il tutto rigorosamente consumato in un malinconico giorno di Santo Stefano dove si mangiavano i resti del pranzo di Natale. L’artista - attraverso il cibo - narra il senso di solitudine ma nello stesso tempo la pace, la serenità e la tranquillità in un giorno di festa e spiritualità. Santo Stefano non è solo una pausa dagli eccessi gastronomici della viglia di natale e dal natale stesso ma è momento in cui ognuno fa i conti con se stesso, con il proprio passato e i propri “fantasmi”. Linguaggio, capacità di incastrare le parole, il dialetto, la ricerca socio-antropologica, messe in musica in una danzante e a tratti disillusa poetica che rende al meglio nella lingua originale (il dialetto “laghee”, lingua delle zone del lago di Como). Un brano, musicalmente parlando, che affonda le sue radici nel folk irlandese. Artista spesso sottovaluto e mai parte del “mainstream” con questo brano non solo utilizza il cibo come metafora esistenziale, ma riuscirà, in quell’anno a diventare il caso della musica italiana. Il disco, già citato, consentì all’artista di vincere il Premio Tenco e l’onorificenza di miglior artista emergente nell’edizione di Sanremo 1999. L’idea che la scrittura “creativa” possa essere oggetto di insegnamento, continua a incontrare molte resistenze nel nostro paese, Davide Van de Sfroos ha sdoganato tutto questo, con pregevoli risultati. Questo brano è la base per tutti i musicisti in carriera, ascoltatelo e ne capirete i segreti. Successivamente, riascoltatevi mentre consumate un piatto di Pulenta e Galena Fregia, il risultato sarà meraviglioso.

Pulènta e galèna frègia E un fantasma in söe la veranda Barbèra cume’ petròli E anca la löena me paar che sbanda Cadrèga che fa frecàss E buca vèrta che diis nagòtt Dumà la radio sgraffigna l’aria E i pensee fànn un gran casòtt

büceer del vènn E la candela la sta mai ferma La se möev cumè la memoria E anca el ràgn söe la balaüstra Ricàma el quadru de la sua storia La ragnatela di mè pensèe La ciàpa tütt quèll che rüva scià Ma tanti voolt la g’ha troppi böcc E l’è tüta de rammendà

L’è mea vèra che nel silenzio Dorma dumà la malincunìa L’è mea vèra che un tuscanèll L’è mea bòn de fa una puesìa In questa stanza senza urelògg Bàla la fata, bàla la stria E in questu siit senza la lüüs Che diis tücoos l’è duma’ l’umbrìa

La finestra la sbàtt i all Ma la sà che po’ mea na’ via E i stèll g’hann la facia lüstra Cumè i öcc de la nustalgìa In questa stanza senza nissöen Vàrdi luntàn e se vedi in facia In questa stanza de un òltru tempo I mè fantasmi i làssen la traccia

Scùlta el veent che pìca la pòrta In cràpa una nìgula e in bràsc una sporta El diis che g’ha deent un bel regàal Me sa che l’è el sòlito tempuraal Scùlta i spiriti e scùlta i fulètt Ranpèghen in söel müür e sòlten föe dei cassètt G’hann söe i vestii de quand sèri penènn Ne vànn e ne vègnen cun’t el

Sculta el vent che ‘l pica ‘la porta In crapa una nigula in brasc una sporta El dis che ga dent un bel regal Me sa che l’é ‘l solito tempural Sculta i spiriti, sculta i fulet ranpeghen in soel mur E solten foe de cassett g’han soe i vesti De quand s’eri penen ne van i ne vegnen cunt el bucer del venn


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COCKTAILS & DREAMS

BLOODY MARY, IL COCKTAIL DELLA DISCORDIA di Carlo Carnevale

Si hanno dubbi sull’inventore, sulle tecniche di miscelazione, sull’orario adatto per consumarlo: eppure il Bloody Mary rimane uno dei classici preferiti in tutto il mondo Se c’è un cocktail al tempo stesso controverso e celebre ovunque nel mondo, per storia, composizione, tecnica, significato nell’immaginazione di massa, quello è il Bloody Mary. Il drink del giorno dopo per eccellenza (non a caso il 1 gennaio è considerato il World Bloody Mary Day), con la sua combinazione di acidità, spezie e leggerissimo tenore alcolico, è uno dei protagonisti assoluti della miscelazione globale, per quanto al centro di non poche diatribe che ne aumentano il fascino maledetto. In primis, le origini: spessissimo se ne attribuisce la nascita a Fernand Petiot, leggendario bartender dell’altrettanto leggendario Harry’s New York Bar di Parigi, che nel 1921 sarebbe stato il primo a miscelare vodka e succo di pomodoro (gli unici due ingredienti della versione primitiva). Altre fonti indicano invece il musicista e attore statunitense George Jessel, stella del cinema muto e non solo, come l’inventore del cocktail nel 1927, o quanto meno il responsabile del nome: nella sua (decisamente colorita) biografia The World I Lived In (1975), Jessel racconta di una notte di bagordi ininterrotti che sfociò in una mattina di simile guisa. Insieme ad un paio di colleghi di baldoria, Jessel mescolò succo di pomodoro, succo di limone, salsa Worcestershire e quello che definisce vodkee, un prodotto “arrivato dalla Russia”. Fu allora che la socialite Mary Brown Warburton, a sua volta di ritorno da una festa, lo raggiunse e accettò di assaggiare questa nuova miscela: finì con il rovesciarsi l’intruglio sul vestito bianco, e commentò: “Now you can call me Bloody Mary!“. Continua a leggere sul sito


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https://guideespresso.it/wp-content/uploads/2023/09/SITO1-3.jpg GUERIDON E DINTORNI

DALLA CONDIVISIONE EMERGE IL VERO di Alberto Cauzzi

Si parla da tempo di emergenza di sala, del fatto che le nuove generazioni non siano così appassionate del lavoro di sala, che lo chef è la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono, mentre invece un fulcro importante della fortuna di un ristorante è anche e soprattutto il grande lavoro di accoglienza che si opera nella sala del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica non per parlare dei soliti argomenti ma per chiedere agli uomini e attori principali di questo straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità che stimolano e ravvivano questo mondo. Oggi ne parliamo con Manuele Menghini, Maître e Sommelier di Senso Lake Garda all’interno di EALA MY LAKESIDE DREAM a Limone sul Garda.

Caro Manuele come hai iniziato questa professione e perché? Da piccolo la domenica si andava spesso a mangiare dai nonni con la mia famiglia, io ad ogni portata sbarazzavo a tutti piatti e posate, lo trovavo divertente. Dopo la scuola alberghiera nella provincia di Mantova la mia professoressa mi consegnò la guida di Relais & Chateaux e mi disse, “Scegli un posto dove andare questa estate”… un’illuminazione! Poi con il passare del tempo ho scoperto le guide, i ristoranti stellati, il primo calice di Amarone… Il mondo del vino mi ha assorbito e ho iniziato subito dopo la scuola i corsi di sommelier. Il tuo bilancio di questi 20 anni di carriera qual è? Porto con me esperienze in ristoranti bellissimi, blasonati e attuali, accanto a famiglie accoglienti che mi hanno trasmesso l’amore per l’ospitalità. Il mio suggerimento ai ragazzi di oggi è di lasciare spazio al tempo, al metodo e alla perseveranza. Hai degli aneddoti, curiosità, episodi che ti piacerebbe condividere con noi? Una delle cose più belle del nostro lavoro sono i rapporti umani che si creano con l’ospite, che a volte diventa amico, si parte da un abbinamento cibo-vino, da un’attenzione al dettaglio e nasce sinergia. A Gennaio 2021 sono entrato ad Eala ancora in costruzione, l’apertura era prevista per la primavera e ho visto questa bellissima cantina tutta libera. La Famiglia Risatti mi ha consegnato le chiavi e mi ha detto: “Ora hai il compito di scrivere la carta vini e riempire questi scaffali”. Sicuramente è l’episodio che

più mi ha colpito ad oggi come soddisfazione a livello professionale. Adesso ti chiediamo un ricordo… il ricordo di un grande uomo o una grande donna di sala che ti ha impressionato, nel tuo lungo girovagare per ristoranti, e perché ti ha impressionato. Ricordo con emozione i cinque anni passati Dal Pescatore con il Signor Antonio Santini in Sala, dal 2007 al 2012. Ogni giorno si curava un dettaglio diverso, si spostava un quadro o un tappeto, si raccontava un aneddoto nuovo. Poi ricordo il mercoledì, rientrati dal riposo, quando il Signor Antonio riuniva un momento la squadra per raccontare dei suoi viaggi e dei ristoranti che aveva visitato nei giorni precedenti, era un collegamento con il mondo esterno incredibile. Emozionante. Una grande donna di sala invece è Barbara Manoni, instancabile con la sua determinazione, lealtà e simpatia. La domanda più curiosa, pertinente e intrigante che ti ha fatto un cliente? E cosa hai risposto? La cosa che a volte ancora mi colpisce è il fatto che alcuni ospiti si sentano in soggezione per l’abbigliamento a tavola: “Devo mettere la giacca?”. Penso che la nostra predisposizione sia sempre più rivolta verso la libertà e l’umanità in sala, verso l’ospite, senza imporre nulla per fargli passare un momento sereno. Serve sano umorismo, sorridere e far sorridere è il nostro obiettivo. La territorialità è il fulcro del lavoro di Alfio Ghezzi e Akio Fujita e la ricerca di prodotti locali dalle origini antiche è alla base del nostro percorso tra il Garda e le Montagne. Continua a leggere sul sito


Wines of

Altitude Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m.

albola.it

@CastelloDiAlbola

In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di Albola, una delle più alte tenute del Chianti Classico. Qui trovano dimora le espressioni più elevate ed eleganti del Sangiovese di "alta collina", caratterizzate da forti pendenze, che godono di importanti escursioni termiche e di un microclima ideale per la produzione di vini unici, patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza.


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TERRITORI A TAVOLA

di Matteo Calzaretta

PROVINCIA DI LUCCA Viaggio nell’Italia dei sapori: cosa mangiare in Versilia e non solo per scoprire un territorio nel cuore del Belpaese, ricco di storia e di enorme valore enogastronomico. Lasciamo la provincia di Mantova, terra dei Gonzaga, per passare al ricco territorio di Lucca. Dal litorale alle alte vette montane, una marea di colori e profumi travolge chi transita da o sosta in questa terra, una varietà di ambienti ed ecosistemi diversi che caratterizza la pro provincia della Versilia. Non si può passare da Lucca o soggiornarvi senza godere della sua cucina e dei suoi vini. È possibile infatti organiz organizzare dei veri e propri tour enogastronomici, per andare alla scoperta di gusti e sapori della tradizione locale. Da una terra ricca di prelibatezze, la generosa Toscana, le massaie e le nonne di un tempo hanno attinto a piene mani, tra prodotti dell’orto, legumi, i cereali antichi, l’olio e il vino più genuino. Non stupisce, dunque, che alcune delle ricette più amate a Lucca siano proprio zuppe o preparazioni a base di verdure e cereali. Una tipicità da non perdere è sicuramente la farinata: un sostanzioso piatto con fagioli borlotti, cavolo nero, lardo, pomodoro e farina di mais. Una vera coccola, soprattutto nelle giornate più fredde o quando si ha voglia di sapori intensi. Tra i primi piatti sicuramente i tordelli (con la d), pasta fresca più grossa dei classici tortelli e ripiena di carne di manmanzo, maiale e pane ammorbidito in brodo. I tordelli al ragù di carne sono una specialità della cucina camaiorese. Tra i secondi, inveinve ce, le rovelline lucchesi riportano indietro nel tempo, quando niente si buttava se poteva soddisfare gli appetiti di una lunga giornata di lavoro. Si narra che queste fettine di manzo, fritte e tuffate in un sugo di pomodoro e spezie, nascessero come piatto di recupero, ma oggi sono tra le specialità più apprezzate a Lucca e dintorni. Chi ama i prodotti tipici legati al territorio, non dovrebbe perdersi “Il Desco”, evento enogastronomico che si tiene ogni anno tra novembre e dicembre nel centro storico di Lucca, durante il quale i protagonisti assoluti sono i gusti e le tradizioni locali. Durante la manifestazione, oltre a piacevoli degustazioni, hanno luogo seminari, show cooking e anche laboratori per bambini.

Originariamente il buccellato aveva la forma di una ciambella, mentre oggi ha spesso una forma dritta, che ricorda quella di un filoncino di pane. È preparato con semi di anice e uvetta e consumato soprattutto a colazione. Un famoso detto locale recita: “Chi viene a Lucca e non mangia il buccellato, è come se a Lucca non ci fosse stato”. Per concludere un buon pasto, molto apprezzato è l’amaro: la Biadina, nato alla fine del 1800 dalla macerazione lenta delle erbe, che le conferisce il suo gusto molto aromatico e amarognolo.

Per quanto riguarda il vino in provincia di Lucca vi sono due denominazioni DOC: la Colline Lucchesi DOC DOC, che comprende vini bianchi e rossi da uvaggi e da vitigni coltivati in zona, e la Montecarlo DOC DOC, famosa per i suoi vini fin dall’antichità, che produce vini bianchi anche a partire da vitigni di origine francese, presenti in queste zone fin dal 1800. Tra i dolci tipici si ricordano le torte coi becchi, dolci di pasta frolla di forma rotonda, farcite con verdure, ma anche con cioccolato o amaretti, e il buccellato, che ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui la recensione della famosa gastronoma e critica del New York Times Mimi Sheraton, che lo ha inserito nel suo libro “I 1000 cibi da mangiare prima di morire”.


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ASSAGGI DI LUCE di Stefano Caffarri

Dolce, non dolce, poco dolce. Periglioso finale di ogni pranzo, il dessert è spesso la cosa che si ricorda: giuoco di equilibrismo, azzardo o provocazione, a seconda dell’inclinazione dello chef e della sua brigata. Per vocazione o per necessità sempre più ai margini la pasticceria accademica, sempre più in voga l’indagine alternativa del vegetale. All’arguto lettore lasciamo il compito di indovinare se si tratta di un dolce, non dolce, o poco dolce.

Condividere Torino

L’Argine Vencò

Octavin Arezzo

Orto Moneglia

Sud Quarto


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Feed ‘n’ Food

Brad Lau,pubblica foto di piatti tradizionali di Singapore mescolati a stili culinari da tutto il mondo, in un caleidoscopio di colori e forme.

Francesca, classe ’90, milanese di nascita e per scelta. Volete scoprire Milano in tutti i suoi scorci gastronomici? seguitela, non ve ne pentirete.

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Keith Lee è un esperto di recensioni di cibo che utilizza TikTok con onestà intellettuale e umorismo su tutto ciò che riguarda il mondo del food.

Lorenzo Prattico è diventato virale nel giro di pochi anni? Il segreto del successo? mai prendersi sul serio. Fatevi accompagnare nei posti dove si mangia, anche in quelli dove si mangia male!

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