Weekly Enjoy #011

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IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO

Ogni fine settimana, al vostro indirizzo di posta elettronica, vi verrà recapitato il Weekly Enjoy, un magazine con notizie, servizi, approfondimenti e consigli più interessanti della settimana. Chi ha fame di notizie enogastronomiche può mettersi a tavola. Il servizio è gratuito

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
Pubblicazione settimanale gratuita #011 - 02 Settembre 2023
Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi Coordinamento Editoriale Digital: Carlo Carnevale Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola Direttore Commerciale: Michele Belingheri

SALA SVIZZERA

VIP: VERY IMPORTANT POSTO

LE CALANDRE

Giochi gustativi e alternanze di temperature: il nuovo menu di Massimiliano Alajmo a Le Calandre, con incredibili colpi di scena. A Rubano, questa istituzione dell’alta cucina continua ad innovarsi senza smettere di stupire, riproponendo nei menu nuovi ed incredibili colpi di scena. Gli Alajmo brothers, ormai al timone da tre decadi, sono cresciuti insieme all’insegna di famiglia e lo chef Massimiliano non si adagia sugli allori delle glorie passate. Ecco che ogni anno una cinquantina di piatti nuovi vedono la luce, tutti con un’impeccabile precisione gustativa. Quest’anno il percorso del menu lavora intorno allo studio di consistenze e temperature stratificate. Magistrale rappresentazione di questa fortunata ricerca culinaria è il dessert denominato “Cristallo gelato al profumo di panettone con sorbetti di frutta fresca” in cui la sfoglia, un pan de cristal dolce, coniuga i pregi della sfoglia di stile francese con quella di stile italiano, un croccante etereo ma privo di grassi, seppur goloso, che si innesta con l’aromatica del panettone e la componente rinfrescante dei sorbetti di frutta. Un’esperienza culinaria altrettanto totalizzante è il Cipollotto alla brace con aceto di vino, olio al caffè, fagioli freschi e gelato di acciughe e ventresca. In sala niente orpelli ma una mise en place pulita e un servizio giovanile per coccolare in cliente e metterlo subito a proprio agio.

VIP: VERY IMPORTANT PIATTO

I “TRUSOT” DELLE ALPI MARITTIME

RISTORANTE HOTEL NAZIONALE CHEF: FABIO INGALLINERA

La cucina di montagna di Fabio Ingallinera, dell’Hotel Ristorante Nazionale di Vernante (CN), sfoggia prodotti locali di nicchia e fantasia. La cucina di montagna trova un ottimo interprete in Fabio Ingallinera, a cavallo tra Piemonte e Liguria, a Vernante, dalle parti del Colle di Tenda, facilmente raggiungibile in ogni maniera da Cuneo, mentre meno facile dal mare; dalla costa meglio in treno, da Ventimiglia, con buona pazienza, perché il viaggio non sarà rapidissimo, ma l’attesa sarà ben ricompensata, perché, accoglienza, ambiente, cucina, cantina originalissima per scelte di vini solo naturali e qualità del servizio, nell’insieme, non potranno lasciare indifferenti. Il Nazionale vale il viaggio. Il lungimirante patron Christian Macario ha qui creato – nel paese con gli affreschi di Pinocchio – una sorta di villaggio gourmet, dove convivono il ristorante gastronomico, il bistrot, l’hotel con spa, e un laboratorio di panificazione/pasticceria con servizio bar di alta qualità. Intanto in cucina lo chef si destreggia tra prodotti locali di estrema nicchia e stagionalità come questi “trusot”. Continua a leggere sul sito

RISTORANTE HOTEL

NAZIONALE Via Cavour, 60 Vernante (CN) Tel: +39 0171920181 ilnazionale.com

Il domenicale svizzero “NZZ am Sonntag” ha raccontato di una catena di ristoranti di Zurigo che per combattere la penuria di personale ha pensato di incentivare lo staff integrandone gli stipendi con una percentuale (tra 7% e 8%) sull’incasso. Risultato: un cameriere avrebbe chiuso il mese di luglio con in tasca un assegno equivalente a diciassettemila euro, mance escluse.

Michel Plècard, titolare della catena di ristorazione in oggetto e quindi inventore di questo sistema di retribuzione, sostiene che così i dipendenti lavorino “come se il ristorante appartenesse a loro”, spronati quindi a far bene.

Il sindacato svizzero UNIA si chiede invece se in questo modo “i dipendenti non diventino semplicemente venditori invece che camerieri”.

Premesso che già solo l’idea di una migliore retribuzione per il personale di sala è da considerarsi un trionfo, sarebbe interessante capire perché si fatica ancora a considerare la figura del cameriere come mercenaria di passaggio (interessata al bene del ristorante solo per denaro, secondo Plècard) o servile (un cameriere non può contribuire alla vendita del prodotto offerto dal ristorante, secondo UNIA?), e non una potenziale carriera di livello. Corretta retribuzione, piani di formazione e futuribilità: è così strano pensare che siano queste le basi, perché il personale di sala possa tornare a innamorarsi del proprio lavoro?

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di Alberto Cauzzi di Roberto Mostini Carlo Carnevale Carlo Carnevale Coordinatore editoriale digital de Le Guide de L’Espresso
NOME DELLO CHEF : Massimiliano Alajmo MENU DEGUSTAZIONE : 235€, alla carta dai 150€
LE CALANDRE Via Liguria, 1 Rubano (PD) Tel. +39.049630303 alajmo.it

CIOCCOLANDIA

PRINCIPALI PRODOTTI TIPICI A BASE DI CIOCCOLATO IN PIEMONTE (PARTE 2)

BACIO DI CHERASCO

Cioccolatino dalla forma irregolare formato da cioccolato fondente, unito a nocciole tostate e grossolanamente triturate e burro di cacao. Fu inventato nel 1881 dal pasticcere Marco Barbero di Cherasco.

CRI-CRI

Cioccolatino pralinato di forma tonda, costituito da una nocciola ricoper ta di cioccolato, a sua volta ricoperto di codette di zucchero bianco, av volto in carta colorata con frange ricciute. Nato a Torino a fine ‘800, ad opera del confettiere di Torre Pellice Giuseppe Morè, questo cioccolatino fu così denominato in omaggio alla storia d’amore tra Paolo e Cristina, la ragazza destinataria di quei cioccolatini, acquistati in una pasticceria torinese. Infatti, la commessa chiedeva se i cioccolatini fossero per Cristina, dicendo “Cri?” e il fidanzato rispondeva “Cri!”. Così il proprietario della pasticceria, assistendo sovente a quella scena, adottò per quei cioccolatini il nome Cri-Cri.

DRAGÉE O BASSINATO

Piccola pralina formata da un chicco di caffè o uva passita o mandorle o nocciole interamente ricoperti di cioccolato fondente, o al latte o bianco. I dragée vengono realizzati mediante l’utilizzo di una bassina, un macchinario simile ad una betoniera, all’interno del quale vengono posti i cuori dei dragée che vengono fatti ruotare continuamente per una disposizione uniforme del cioccolato di copertura.

TORTA ASSABESE

Torta ideata a Torino dal Pasticciere Gustavo Pfatish, preparata con pan di Spagna al cacao aromatizzato alla vaniglia e farcito di crema al cioccolato e da una guarnizione di codette al cioccolato al latte. Il nome è ispirato ai Dancali, abitanti della baia di Assab, nel Corno d’Africa, presentati all’Esposizione Generale Italiana di Torino nel 1884, in segno di celebrazione dell’acquisizione della colonia di Assab da parte dell’Italia.

TORTA ZURIGO

Torta ideata da Giuseppe Castino a Pinerolo per “far fare bella figura” al Re Vittorio Emanuele III da certi amici svizzeri a Zurigo; secondo altri, invece, il dolce sarebbe stato ideato dallo stesso Castino durante gli anni trenta del secolo scorso su richiesta della principessa Iolanda di Savoia. La torta è formata da una cialda di frolla al cacao, con farcitura di crema chantilly con all’interno torrone e scaglie di cioccolato fondente, ricoperta da foglie di cioccolato e ciliegine sotto spirito con glassa bianca.

TARTUFATA

Torta di Pan di Spagna imbevuto e crema Chantilly coperta da un “elegante panneggio in foglia di cioccolato. Un gusto unico e un’esperienza indimenticabile”; così definita dalla pasticceria Follis di Vercelli. La torta è stata ideata a Vercelli agli inizi del ‘900, benché una versione simile – la torta denominata Festivo, perché concepita come dolce della Domenicafosse stata realizzata a Torino dalla pasticceria Pfatish.

PERSONAGGI

CARLO CRACCO

Carlo Cracco è un grande cuoco, forse tra i più innovativi che abbiamo in Italia, anche perché è molto più conosciuto per le sue apparizioni televisive - da Masterchef, Hell’s Kitchen Italia sino all’ultima serie Dinner Club - che per le sue grandi capacità e talenti. Negli ultimi anni unisce a queste indiscutibili doti anche quella di essere maestro di insegnamento, crescendo al suo fianco due giovani prodigi come Luca Sacchi, il suo sous chef di Cracco in Galleria – a Milano - e mattia Pecis, giovane Enfant Prodige che dirige le cucine del Pitosforo by Cracco a Portofino, un luogo magico in una delle baie più incantevoli del mondo, dove solitamente non si riesce a mangiare bene. Invece qui al Pitosforo sarete accolti da un luogo raffinato, elegante e con una vista mozzafiato sulla baia di Portofino, oltre che poter degustare una delle cucine più interessanti della Liguria. Ma Carlo Cracco non è solo cucina e televisione : adora il tennis, che però pratica sol quando è lontano dai fornelli e dal lavoro ed è molto appassionato di corse d’auto, in pista. Di questa sua passione dice “Quando sono al volante mi si libera la testa e mi scarico, un vero momento di defaticamento da stress”. Ma a parte gli hobby, il suo tempo libero lo dedica alla mia famiglia, alle persone che ama.

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GNOCCO FRITTO PER LONGOBARDI

LE BUONE COSE… di ANDREA GRIGNAFFINI

L’esperto svela tutti i segreti per preparare e gustare al meglio gli ingradienti della settimana.

Lognoccofritto rappresentavail cibo tradizionale da consumare perstrada, protagonistadelle festepopolarie vocereginadei menu delle osterie.

Gnocco d’Oro

Va dato il merito al collega modenese Luca Bonacini della nascita della “Confraternita del Gnocco d’Oro”, associazione con relativo tomo e premio annuale, che ha scopo precipuo di tutelare in modo rigoroso e attento il simbolo di una tradizione secolare. Ciò che nacque povero con opere come questa diventa ricco. Di cultura.

Il gnocco con i salumi raffinati

La prassi migliore per assaggiare il gnocco è accompagnarlo con salumi rustici: gola, pancetta, salame. In questo caso non appoggiarlo ma mangiarlo boccone via boccone. Se il prosciutto è dolce e grasso si può mettere sopra la fetta calda ma è un’eccezione: i salumi nobili è meglio gustarli col pane.

Dello gnocco, quello fritto, non ha nulla, anzi al massimo è il suo contral tare. Così come la torta fritta non condivide niente con il mondo delle torte. Si tratta semplicemente di paste fritte che sono diventate tra i cibi più sfiziosi emiliani. Lo gnocco fritto, di estrazione modenese (e reggiana) affonda le sue radici probabilmente ai tempi dall’invasione dei Longobardi in Emilia visto che questo popolo aveva l’abitudine di utilizzare spesso nelle preparazioni culinarie la frittura con lo strutto. Lo gnocco, anzi il gnocco. In barba a quello che abbiamo studiato fin dalla elementari l’articolo determinativo “il” usato in luogo di “lo”, come vorrebbe la prassi della lingua italiana, non è un refuso, ma designa piuttosto una licenza dialettale ormai ammessa anche in italiano. La sua natura, comunque, si è poi affermata nella storia della cucina emiliana come momento ludico: quello legato alla convivialità, ai salumi e al Lambrusco, utile a sgrassare la bocca. Ma già dopo la metà del Novecento lo gnocco fritto rappresentava il cibo tradizionale da consumare per strada, protagonista delle feste popolari e voce regina dei menu delle osterie. Per la sua preparazione ascoltiamo la voce perentoria di un maestro di cerimonie modenesi nonché sommo esperto di Champagne, Vincenzo Tardini. «Il gnocco impastato con acqua, farina, sale e, in base alla tensione umida dell’aria, strutto q.b., tagliato a losanghe alte 5 cm e lunghe 8, deve essere calato in una pentola, meglio se di ferro, con bordi alti almeno 13 cm perché lo strutto liquefatto al suo interno abbia un’altezza di almeno sugli 8 cm. Questa impostazione permette al gnocco di immergersi completamente nello strutto e di risalire immediatamente in superficie gonfiando solo una delle due facce, che assume forma semisferica, aspetto turgido, colore bruno scuro, mentre l’altra faccia assume una forma leggermente concava, aspetto quasi raggrinzito, colore dorato. Al termine della sua risalita il pezzo di gnocco sorge dal “liquido struttuoso”, quasi ne esce, e si ribalta immediatamente appoggiandosi sul lato emisferico, girando su se stesso, terminando la sua cottura grazie alle sapienti mani della rezdora di turno che aiuta il suo roteare sul suo asse centrale. L’esame visivo basato su queste considerazioni, spesso rende superflui quello olfattivo e gustativo, dacché è foriero di tutte le informazioni utili. La presenza delle minute bollicine, quasi fistole, spesso presenti su entrambi i lati, per la mia formazione di “talebangnoccologo”, è indicazione forte al sospetto di olio di friggitura ma è anche certezza di frittura in padella bassa, senza immersione totale, con necessità di intervento manuale per dorare entrambi i lati».

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DOLCE & AMARO

DAMILANO

Via Alba Barolo, 122

12060 Barolo (CN)

Tel. 0173 56105

info@damilanog.com

BAROLO AFFARE DI FAMIGLIA

Conosciuto anche come The Wine Killer, grazie al successo del suo sito, redatto interamente in lingua inglese e dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo, GardiniNotes.com, Luca Gardini è oggi uno stimato wine-critic a livello internazionale.

Cantina dalle tradizioni ultracentenarie, Damilano rappresenta uno dei brand storici di Barolo. L’inizio dell’attività di famiglia risale infatti al 1890, quando Giuseppe Borgogno, bisnonno degli attuali proprietari, inizia a coltivare e vinificare le uve di proprietà proprio nel comune di Barolo. È però con la generazione successiva, ovverosia con Giacomo Damilano, genero del fondatore, che la Cantina assume il nome attuale e inizia il percorso verso la ricerca della qualità senza compromessi. È lui infatti a dare impulso al raggiungimento di standard di grande accuratezza in vigna, oltre ad apportare costanti miglioramenti nella qualità della vinificazione, fino a renderla una cantina centrale nella produzione delle Langhe. Fin dal 1997 è guidata, nella sua incarnazione moderna, dalla quarta generazione, ovverosia Paolo, Guido e Mario Damilano, capaci di affermare il marchio a livelli di eccellenza assoluta, grazie alla realizzazione di alcuni classici della tipologia. Uno dei segreti di casa è potersi avvalere di parcelle collocate nei cru più rinomati, come Brunate, Cerequio e Liste, oltre ad alcuni appezzamenti nei comuni di Barolo, Grinzane Cavour, Novello e Monforte - per un totale vitato di poco superiore ai 50 ettari - andando a comporre un produttivo mosaico di suoli ed esposizioni, decisivo nella bontà degli “assemblaggi” finali. Se si uniscono a questa dotazione idee di cantina dalla chiara impronta tradizionalista e improntate alla pulizia di fattura, si capisce come i prodotti di casa abbiano potuto fare breccia e consolidarsi sia nel mercato interno sia in quello nordamericano, dove storicamente le etichette di Damilano sono tra le più ricercate. Completano la gamma dei prodotti gustose escursioni a base di Barbera, ma anche Arneis e Chardonnay, ulteriore dimostrazione, nel caso ce ne fosse bisogno, della duttile vocazione di un’area decisamente favorita agli dèi enoici.

BAROLO DOCG

LECINQUEVIGNE

2019

PUNTEGGIO 98 /1 00

prezzo € € €

Un grande classico di casa Damilano, che rispolvera la vecchia usanza di produrre Barolo da diverse parcelle della denominazione, in questo caso cinque. Naso sfaccettato, note di mirtillo rosso, poi gardenia e sferzate di salvia selvatica. La bocca ha tannini salmastro-salati, ritorno delle sfumature di piccoli frutti rossi e floreali, con bella persistenza. Da provare anche con un altrettanto territoriale risotto alla piemontese.

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IL BUON VINO… di LUCA GARDINI

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ENOGASTRONOMICA ITALIANA

Dal 13 settembre disponibile la sezione dedicata al mondo del cioccolato!

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RESORT E TRAMONTI, FUGA AL THERASIA

SEA&SPA DI VULCANO

Nel pieno delle Isole Eolie, il Therasia Sea&SPA è oggi un luogo da non perdere per un’esperienza di accoglienza a tutto tondo. Le Isole Eolie sono un mondo da scoprire: come spesso succede in un arcipelago gli spostamenti non sono facili, i prezzi sono tendenzialmente ricaricati verso l’alto, il personale scarseggia o è occasionale, le consegne ritardano, le spiagge ci sono ma perlopiù sono scogli o magari spiagge nere come succede ad esempio a Vulcano e Salina. Se guardiamo l’altro lato della medaglia però, le isole te le vai a cercare, te le conquisti, le interiorizzi e gli scenari che ti mostrano li hanno soltanto loro. Certi colori, certe sfumature del cielo, il loro essere terra e mare fa sì che le ombre al tramonto si allunghino come i watussi e la notte il cielo sia tempestato di stelle. C’è una malinconia di fondo, una sorta di romanticismo languido che domina queste isole,

capace di arrivare dritto all’anima. Se Stromboli resta la più selvaggia, Alicudi e Filicudi le più belle in assoluto, Salina la più godibile, Lipari la sorella maggiore, Panarea quella del bunga bunga, Vulcano è un po’ come una terra di mezzo. Il vulcano c’è anche nella realtà e non solo nel nome e appena poserete il piede sulla terra ferma sarete inondati da uno sgradevole odore di acque sulfuree tipiche dell’isola e curative in certe SPA e strutture termali. L’escursione sulla cima merita, specialmente se riuscirete a svegliarvi in tempo per vedere l’alba sul cammino ed essere sul cratere alle primissime ore del mattino, quando il sole ancora è tenue. Nella parte nord dell’isola, Vulcanello, proprio sulle sperone della roccia e a picco sul mare in una posizione unica, si sviluppa il Therasia Resort Sea and SPA. Come spesso succede da Roma in giù, la gestione è familiare e gli inizi risalgono agli anni Sessanta, quando Maria trasformò quella che un tempo era una villetta semplice in una casa per vacanze dove ospitare turisti di passaggio. I suoi figli, Giacomo e Maria, prestavano il loro aiuto in estate occupandosi tra le altre cose dell’orto, per fornire verdura, frutta e vino ai propri ospiti. Nei primi anni Ottanta, Casa Maria divenne un piccolo albergo, il Parco Maria, circondato da un bel giardino. Negli anni Novanta però, Luigi da una sferzata di novità fondando il tour operator Imperatore Travel World, oggi leader sul mercato italiano. Questo consentì alla famiglia di acquistare nel 2003 il Therasia Resort Sea and SPA, a picco sul mare, e nel 2011 il Botania Relais and SPA di Ischia. Entrambe le strutture sono gestite oggi dalla moglie di Luigi, Rita, e della prima figlia Francesca. Continua a leggere sul sito

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THE ITALIAN TRAVELLER
di Chiara Buzzi

(ALMENO) UNA VOLTA NELLA VITA

CAVIALE ALMAS, IL PIÙ RARO

DEL MONDO

Il caviale Almas albino è considerato tra i più pregiati al mondo grazie alla sua scarsa reperibilità. Chi vuole assaggiarlo dovrà prepararsi a sborsare cifre a quattro zeri.

Le perle nere più preziose non si trovano al collo di eredi di famiglie reali o celebrity, ma sono racchiuse all’interno di scatolette di latta. Si tratta infatti delle uova di storione, conosciute con il nome di caviale, immancabili nei banchetti di lusso. Da mangiare rigorosamente con un cucchiaio in madreperla per non alterarne il gusto, ne esistono diverse varietà, più o meno dispendiose a seconda della provenienza e dei metodi di produzione dove anche l’Italia si ritaglia un ruolo di primo piano.

A sancire la rarità del caviale, ci ha pensato anche il Guinness World Records che tra le sue pagine segnala le uova del prezioso storione albino come le più costose del mondo. La varietà si chiama caviale Almas e si ottiene dal Beluga Iraniano

completamente bianco, le cui uova sono vendute mediamente a un prezzo di 31300€ al chilo. A produrle sono rari pesci Huso Huso albini al 100% dell’età compresa tra 60 e 100 anni, presenti nel sud del Mar Caspio, dove le acque sembrano essere più pulite. L’età è sicuramente uno dei fattori che fa lievitare il prezzo. Infatti, i caviali normalmente in commercio vengono estratti da femmine di storione di età comprese tra 10 e 25 anni, mentre per il Caviale Almas l’attesa è significativamente più lunga. Inoltre, entra in gioco anche il fattore storico: sembra infatti che questa varietà fosse già conosciuta ai tempi dei persiani, anche se è merito di Pietro il Grande, imperatore Russo del ‘700, se il consumo delle pregiate uova si è diffuso in tutta Europa. Si dice anche che sia stato lui a dare il nome al rarissimo caviale albino apostrofandolo con la parola “almas” (caviale Almas) che significa diamante. Negli anni, la richiesta massiccia delle perle di storione dorate, ha prodotto un sovrasfruttamento della zona del Caspio, riducendo sempre di più il numero di esemplari di Beluga albine femmine e rendendo questa varietà ancora più preziosa. Una volta aperta una lattina di caviale Almas, il colore particolare cattura subito lo sguardo. Non si tratta infatti di un bianco puro, ma di una sfumatura chiara e cremosa, che si svela con una forma sferica leggermente più grande rispetto a quella dei caviali tradizionali. Il sapore è ricco e complesso, con note di nocciola intense e un finale lungo e persistente, mentre la texture è setosa e delicata al palato. Trovarne qualche lattina da gustare non è semplice e spesso è necessario iscriversi a lunghissime liste d’attesa. Un’alternativa altrettanto gustosa è quella ottenuta dallo storione Sterleto di varietà albina. Un caviale denominato 24k e allevato nel Parco Lombardo della Valle del Ticino da Ars Italica, dal costo medio di 8000€ al chilo. Dal colore dorato, ha uova di piccole dimensioni (non superiori ai 2 millimetri) dal sapore minerale con un finale dolce e leggermente fruttato. Da provare almeno una volta nella vita, in attesa di reperire il preziosissimo Caviale Almas.

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di Penelope Vaglini

COCKTAILS & DREAMS

IL VALORE DI UN CLASSICO

Il rinnovato successo della miscelazione deve moltissimo ai cosiddetti cocktail classici: ma cosa sono, e perché sono così importanti?

La riscoperta de , che a partire dagli anni Dieci del Duemila ha riportato ai piani altissimi la tradizione della miscelazione, si fonda su due pilastri imprescindibili. Il primo è rappresentato dall’utilizzo di prodotti freschi e di qualità: le nebbie dei temibili pre-mix artificiali e di dubbia realizzazione, che ha avvolto buona parte delle decadi ’80-’90, è stata diradata dagli agrumi spremuti al momento e soprattutto dalla ricerca di etichette andate impolverate. Referenze come vermouth, rye whisey e sherry erano andate quasi dimenticate, nei meandri del bere poco accorto di venti o trenta anni fa, mentre oggi sono reperibili pressoché ovunque. Parallelamente, grazie all’infaticabile lavoro di bartender illuminati sparsi per il mondo (in Italia è indubbio l’apporto fondamentale dato da Leonardo Leuci, Antonio Parlapiano, Alessandro Procoli e Roberto Artusio al Jerry Thomas Speakeasy di Roma), sono tornati in auge i cosiddetti cocktail classici: ricette già preparate e bevute a inizio Novecento, quando non ancora prima, che una volta riscoperte e riadattate ai palati contemporanei si sono confermate come imprescindibili per i professionisti del bancone di oggi. E non è certo soltanto una questione di gusti, anzi, non lo è per nulla: i distillati e i liquori disponibili cento anni fa non sono paragonabili a quelli che si trovano oggi sul mercato, per ovvi motivi storici e tecnologici, cui si aggiunge anche il cambiamento climatico (si vedano gli invecchiamenti) e ulteriori dinamiche. Miscele come il Negroni (1919), l’Old Fashioned (precedente al 1806), il Daiquiri (1900) e decine di altre sono in realtà manifesti sia tecnici che culturali...

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di Carlo Carnevale

GASTROCKNOMIA

C’È CHI PER I FAGIOLI HA PERSO OGNI DECORO: GLI SKIANTOS E L’INDIMENTICABILE FREAK ANTONI

La canzone Fagioli verrà inclusa come bonus track per la riedizione su CD del 2003 dell’album Kinotto.

Il 1977 è l’anno in cui la musica rock vive una delle sue rivoluzioni più importanti: in Inghilterra infatti, ribellione e anticonformismo si fondano per dar via a un movimento culturale prima, e sonoro poi, di straordinaria importanza per le generazioni future. I più attenti però, sottolineano che, le prime documentabili tracce di punk rock si trovano invece in quella tendenza musicale detta “Garage Rock” che si è sviluppata a metà anni ’60 negli Stati Uniti e in Canada. Tornando al nostro anno, nel 1977, in mezzo a band seminali come Ramones, Sex Pistols, Wire e Television, in Italia òa diffusione del punk rock segue un’evoluzione diversa da quella vista negli altri paesi. Tra i gruppi fondamentali, a Bologna, muovono i primi passi gli Skiantos, mescolando sonorità grezze e spiccatamente punk, alla musica demenziale, per destrutturare e superare la poetica dominante, con canzoni molto surreali, danno vita al primo indimenticabile album intitolato Inascolta bile: album registrato in una notte del settembre del 1977 in ventando la musica sul momento. Freak Antoni, frontman della band, e soci ne hanno scritto di canzoni surreali, ma, per questo nostro viaggio settimanale, non possiamo non prendere

in considerazione l’iconica Fagioli: nelle originali intenzioni della band, il brano, avrebbe dovuto concorrere al Festival Sanremo del 1980 ma nella selezione finale, la canzone risulta essere una delle 10 non ammesse alla gara fra le 40 candidate. Il brano non elogia i fagioli, e questa rubrica non omaggia il cibo, ma cerca le connessioni. La canzone verrà inclusa in Pesissimo, disco del 1980. Nel brano Freak Antoni è così ossessionato dai fagioli che, testualmente cita: “I fagioli son la mia anfetamina I fagioli saran la mia rovina Per i fagioli ho perso ogni decoro Per i fagioli ho lasciato anche il lavoro Fagioli, fagioli, fagioli, fagioli”. Cosa c’è di meglio allora di un ingrediente così nutriente, economico e facilie da cucinare?

Alla prossima puntata.

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di Giovanni Aragona

GUERIDON E DINTORNI

AL SERVIZIO DI HARRY E MEGAN

I consigli e i ricordi di Davide Franco, Restaurant Manager del Ristorante Piazza Duomo di Alba, tre stelle Michelin. Si parla da tempo di emergenza di sala, del fatto che le nuove generazioni non siano così appassionate del lavoro di sala, che lo chef è la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono, mentre invece un fulcro importante della fortuna di un ristorante è anche e soprattutto il grande lavoro di accoglienza che si opera nella sala del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica non per parlare dei soliti argomenti ma per chiedere agli uomini e attori principali di questo straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità che stimolano e ravvivano questo mondo. Oggi ne parliamo con Davide Franco, Restaurant Manager del Ristorante Piazza Duomo di Alba.

Caro Davide, come hai iniziato questa professione e perchè?

Davide Franco: Tutto è partito per pura casualità, visto che la mia famiglia si occupa di tutt’altro, ma con una naturalezza che tutt’oggi mi lascia stupito. Ho iniziato a lavorare in sala a 14 anni, nel mio paese natale Trani, durante i weekend e nelle stagioni estive, mentre continuavo gli studi all’Istituto Alberghiero di Molfetta. L’accoglienza e l’attenzione per l’ospite è presente nel DNA di ogni pugliese o italiano che sia, lo si percepisce già dallo stare in famiglia quando si hanno ospiti a casa. Questo in aggiunta alla cosiddetta “gavetta” mi hanno dato la grande opportunità di far parte di alcune delle brigate di sala migliori al mondo. Credo non ci sia cosa migliore di far sentire a casa un ospite e trovare energia dalla sua gioia.

Il tuo bilancio di questi 18 anni di carriera qual è?

Davide Franco: Sono molto soddisfatto del mio percorso, ovviamente essendo super critico con me stesso l’unico rammarico è una esperienza in America che è svanita per poco causa COVID-19. Vedendo il bicchiere mezzo pieno però, questo mi ha dato l’opportunità di rientrare in Italia dopo 8 anni a Londra e di approdare nel 2022 alle redini del team di sala di Piazza Duomo. È bello guardarsi indietro e capire come ogni scelta sia stata fatta in funzione di una crescita professionale e personale, questo mi ha permesso di passare lavorare in posti unici come Villa Feltrinelli, Trussardi alla Scala con lo Chef Berton, Diner by Heston Blumenthal, Marcus Wareing, Helene Darroze al Connaught, Core by Clare Smyth e rientrando a Milano con il gruppo di Enrico Bartolini. Hai degli aneddoti, curiosità, epi-

sodi che ti piacerebbe condividere con noi?

Davide Franco: Senza ombra di dubbio una delle esperienze più belle della mia carriera è stato essere il direttore di sala alla cena privata del matrimonio reale di Harry&Meghan presso le residenze private della famiglia reale nel castello di Windsor. Mi rimarrà sempre impresso non solo per la parte culinaria ma soprattutto per la storicità dell’evento, le occasioni che ti capitano solo una volta nella vita. Mi sono occupato personalmente del tavolo degli sposi e questo, con la location, ha reso l’esperienza faticosissima ma allo stesso tempo indimenticabile. Come tutti gli uomini di sala ci sarebbero infiniti aneddoti o episodi, non basterebbe un libro. Adesso ti chiediamo un ricordo… il ricordo di un grande uomo o una grande donna di sala che ti ha impressionato, nel tuo lungo girovagare per ristoranti, e perché ti ha impressionato.

Davide Franco: Tutti i colleghi che ho avuto il piacere di incontrare e magari con cui ho lavorato mi hanno lasciato dei ricordi indelebili, ognuno per motivi diversi. Vorrei sicuramente citare il Sig. Vito Carella, proprietario di un piccolo ristorante a Trani (oggi in meritata pensione), che ad inizio carriera mi ha trasmesso con energia ed entusiasmo le basi ed il senso di ospitalità che tutt’oggi mi porto dietro. Il team di Villa Feltrinelli che mi ha dato l’opportunità di confrontarmi per la prima volta con il fine dining e con un’ambiente internazionale, nonostante avessi pochissima esperienza hanno creduto in me. Infine il trio Tasinato/Cinacchi/Rondinelli che ai tempi del Trussardi, guidato da Berton, mi hanno indirizzato a far sempre meglio, è stata la mia “Leva Militare” lavorativa. Continua a leggere sul sito

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di Alberto Cauzzi

Wines

In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di Albola, una delle più alte tenute del Chianti Classico. Qui trovano dimora le espressioni più elevate ed eleganti del Sangiovese di "alta collina", caratterizzate da forti pendenze, che godono di importanti escursioni termiche e di un microclima ideale per la produzione di vini unici, patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza.

In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di Albola, una delle più alte tenute del Chianti Classico. Qui trovano dimora le espressioni più elevate ed eleganti del Sangiovese di "alta collina", caratterizzate da forti pendenze, che godono di importanti escursioni termiche e di un microclima ideale per la produzione di vini unici, patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza.

In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di Albola, una delle più alte tenute del Chianti Classico. Qui trovano dimora le espressioni più elevate ed eleganti del Sangiovese di "alta collina", caratterizzate da forti pendenze, che godono di importanti escursioni termiche e di un microclima ideale per la produzione di vini unici, patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza. @CastelloDiAlbola

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Tra i dolci che il menù di questo ricco territorio offre, troviamo la torta “bonissima” di Modena, sicuramente già il nome mette in risalto le caratteristiche di questo dolce, ma da dove deriva questo termine? Secondo alcuni, una leggenda racconta che una nobile dama in un periodo di carestia sacrificò tutti i suoi averi per aiutare la popolazione, meritandosi così l’appellativo di buonissima, (molto generosa). Gli ingredienti principali di questa torta, dopo aver preparato la pasta frolla, sono: noci, miele, rum e una copertura di cioccolato sciolto a bagnomaria.

Il bensone, è uno dei dolci più famosi della tradizione modenese, perfetto per concludere un pranzo in compagnia. Si prepara con cura in tutte le famiglie e lo si trova in ogni carta di ristorante tipico: è croccante, friabile e profumato. La ricetta prevede l’utilizzo di farina, uova, burro, latte e miele. Con la caratteristica forma arrotolata, viene servito a fette, da inzuppare in un bicchiere di lambrusco. L’origine del nome non è ben chiara, alcuni pensano che derivi dalla parola francese pain de son, ovvero pane di crusca, altri da Pain de bendson ovvero il pane della benedizione perché veniva utilizzato come pane benedetto nei giorni santi.

Dagli

al

il territo-

modenese è l’emblema del buon cibo italiano. Una terra di mezzo tra due fiumi: il Panaro e il Secchia, con una lunga storia da sempre fondata sull’agricoltura. Qui i prodotti tipici non sono solo risorse economiche, ma segni del forte legame che intercorre tra la gente e la sua terra.

Re dei condimenti modenesi è senza ombra di dubbio l’aceto balsamico tradizionale, che non a caso prende il nome di “oro nero della città”. Si tratta di un prodotto di assoluta eccellenza, speciale per il sapore e per il decennale lavoro che richiede per produrlo. Le prime fonti che lo riguardano risalgono almeno al 1046, in occasione del passaggio da Modena dell’imperatore Enrico III. Negli ultimi anni, l’aceto balsamico ha conquistato con la sua delicatezza agrodolce il mondo intero guadagnandosi il riconoscimento IGP; il balsamico è affinato minimo due mesi e dopo tre anni in botti è possibile denominarlo invecchiato. Di colore bruno scuro, manifesta la propria densità in una consistenza sciropposa; ha un profumo caratteristico e complesso, quasi penetrante.

L’unica chance possibile per riuscire a degustare tutte le prelibatezze citate, è pasteggiare con un vino leggero, fresco e frizzante: in una parola lo spumeggiante Lambrusco doc, prodotto con uve diffuse nella fertile mesopotamia modenese, tra il Secchia e il Panaro, nelle varietà Sorbara, Salamino di Santa Croce e Grasparossa.

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Appennini Po, rio

Briganti o Bricconi?

Un ultimo chilometro che par lungo tre, e poi il panorama che ti schizza via il fiato dal petto: le case in pietra, lo sprofondo della valle là sotto, e gli ambienti avvolgenti, di quando lo spazio va gestito con la micragna: è la Contrada dei Bricconi, che sono briganti per quanto ti rendono prigionieri di questa montagna che è molto più quotidiana che eroica, tanto che quella di Michele Lazzarini è la cucina – folgorante – di quello che c’è, qui e ora.

Gnocchetti di acqua e farina con l’aglio ursino

Lumachine con siero di latte e sarde di lago

I bottoni di sfoglia verde ripieni di formaggio stagionato, kefir, levistico, ruta e cicoria arrosto

Rognone di coniglio, salsa di funghi fermentati

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ASSAGGI DI LUCE di Stefano Caffarri

Feed ‘n’ Food

Non possiamo non suggerirvi Ernst Knam, diventato volto famoso grazie alla televisione. Maestro del cioccolato e di simpatia.

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Se amate la pasticceria seguite Dina rakasko Unisce cucina e tecnologia e si definisce “Architectural Pastry Chef”.

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Nato nel 1998, romano doc, Matteo Di Cola vi accompagna ogni giorno alla scoperta di cibi e luoghi. Se amate lo street Food è il canale ideale per voi.

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Come si fa a parlare di cibo senza conoscere il canale YouTube ufficiale di Masterchef ITA? Tutto il meglio delle stagioni e il dietro le quinte a portata di click.

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