IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO
Ogni fine settimana, al vostro indirizzo di posta elettronica, vi verrà recapitato il Weekly Enjoy, un magazine con notizie, servizi, approfondimenti e consigli più interessanti della settimana. Chi ha fame di notizie enogastronomiche può mettersi a tavola. Il servizio è gratuito
WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
Pubblicazione settimanale gratuita #004 - 15 Luglio 2023
Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi
Coordinamento Editoriale Digital: Carlo Carnevale
Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola Direttore Commerciale: Michele Belingheri
OLTRE PIATTI E CALICI
VIP: VERY IMPORTANT POSTO
RISTORANTE DUOMO
Ciccio Sultano e il Duomo di Ragusa Ibla vivono un momento di scintillante prosperosità. La perla barocca incastonata tra i monti iblei ospita la più pura e nitida tradizione e cultura siciliana proiettata negli anni 2000 con tocchi di avanguardia e visione unici. Il cuoco interpreta il suo barocco donando si opulenza e ricchezza gustativa, e di ingredienti, ai suoi piatti ma mai senza un senso più che compiuto. Piatti come Sgombro, croccante marino, dashi di bottarga di tonno rosso o la coreografica Triglia con caponatina di verdure e miso siciliano sono l’esempio di come la tradizione viene traslata nel futuro contemporaneo, interpretando ricette locali con qualche innesto che proviene dal resto del mondo. Splendida la Lasagna di s-foglie, un piatto che ricorda in tutto e per tutto la grassa opulenza di una lasagna di carne, ma in cui della carne non v’è ombra. Il ristorante, posto in una antica casa nobile-barocca a due passi dal duomo di Ibla, è finemente arredata ed accogliente. La cantina, pluripremiata e di fama internazionale, conta molte referenze, non solo dell’isola ma che spazia in tutto il mondo intero. La giovane e brava Michaela Vitale, sommelier, è una delle punte di diamante di un servizio giovane, spigliato e attento magistralmente diretto e orchestrato da quel grande talento di Riccardo Andreoli. Completa il quadro il sous chef Alessandro Fornaro.
NOME DELLO CHEF : Ciccio Sultano
MENU DEGUSTAZIONE : 178 e 198 euro, alla carta sui 170 euro
VIP: VERY IMPORTANT PIATTO
CHI HA PAURA DEL KEBAB
SENZA CARNE?
RISTORANTE VENISSA
CHEF: CHIARA PAVAN e FRANCESCO BRUTTO
Il lavoro e le intuizioni di Chiara Pavan e Francesco Brutto, circondati dalla bellezza nella Laguna di Venezia.
Sbarcare a Mazzorbo e ammirare il magnifico lavoro fatto da Chiara
Pavan e Francesco Brutto, tutto intorno a Venissa è una gioia per gli occhi: verdure, ortaggi, alberi da frutto che rendono autosufficiente il ristorante, dove si consumano solo vegetali e, da quest’anno, i pesci considerati invasivi, in un’ottica ambientale intesa non come scelta ideologica, ma come rispetto ed uso di quello che produce il dintorno, senza mortificare il gusto, anzi. Qui sta anche la scelta, già di qualche anno, di non utilizzare la carne. Ma proporre un kebab di seitan e carote fermen tate, rinfrescato da erbe, con un tocco di ricotta di capra fermentata, da chiudere in un taco fatto con grani evolu tivi. Scettici? Non abbiate paura, è di goduria unica e ne mangereste uno dietro l’altro, senza rimpianto alcuno.
RISTORANTE VENISSA
Fondamenta
Santa Caterina, 3 Isola di Mazzorbo
Venezia (VE)
Tel: +39 041 5272281 venissa.it
In questo primo mese di vita, il nuovo sito delle Guide de L’Espresso, insieme a questa costola settimanale che ci privilegiate di ricevere per e-mail, si sta impegnando per definire sempre più chiaramente quello che vuole essere, e i modi per riuscirci. Da subito ci è parsa evidente la necessità di allargare l’orizzonte di argomenti che sono solitamente trattati in ambito enogastronomico (e ci mancherebbe, lo dice la parola stessa), quali cibo e vino: per questo abbiamo marcato un’apertura verso i vari universi che gravitano attorno alla tavola, dimostrata dalle numerose e variegate rubriche che stiamo strutturando. Il messaggio fondamentale che abbiamo compreso e che tentiamo di tradurre qui riguarda il bisogno comune di esperienze d’accoglienza, che parlino quindi non soltanto di sapori e aromi, ma anche di storie condivise, comfort ricercato, opportunità fuori dal comune. La comunicazione del fuori casa non può più contenersi (soltanto) in un calice o in un piatto, ma deve a nostro avviso raggiungere ambiti fino a oggi poco battuti, e di conseguenza poco valorizzati. È con questo spirito che abbiamo quindi instaurato degli appuntamenti con uscite che trattino anche di miscelazione, musica, alberghi e perché no, di quelle occasioni da concedersi anche solo una volta nella vita. Abbiamo deciso di raccontare, per dirla in una sola parola, di ospitalità.
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di Alberto Cauzzi
di Alfonso Isinelli
Carlo Carnevale
Carlo Carnevale
Coordinatore editoriale digital de Le Guide de L’Espresso
Erratacorrige:l’articolosulristorantela francescana dello scorso numero è firmato da Alberto Cauzzi e Gianluca Montinaro
RISTORANTE DUOMO Via Capitano Boccheri, 31 Ragusa Ibla (RG) cicciosultano.it
di Antonio Franchi CIOCCOLANDIA
LE VARIETÀ DI CACAO
Le fave di cacao nascono racchiuse all’interno di cabossidi, frutti oblunghi di circa 20 centimetri, del peso di circa 500 grammi, di vari colori e sfumature (da giallo-verde a arancione-rosa-rosso), che crescono sulla pianta omonima. Esistono tre principali varietà di cacao (il Criollo, il Forastero e il Trinitario) con innumerevoli sottotipi, caratterizzati da specifiche caratteristiche, dovute al territorio di origine, al terreno di coltivazione, alle piante ivi coltivate e al clima.
Proprio per la notevole diversità che caratterizza i sottotipi esistenti, nel 2008 è stato pubblicato dal genetista venezuelano Juan C. Motamayor lo studio “Geographic and genetic population differentiation of the Amazonian chocolate tree”, nel quale sono state mappate le famiglie genetiche del cacao in base alla biodiversità ed è stata proposta una nuova classificazione in 10 varietà principali (destinate ad aumentare negli anni): marañon, curaray, criollo, iquitos, nanay, contamana, amelonado, purús, nacional, guiana.
Vi è, poi, una diversa classificazione, basata sulla forma delle cabosse: angoleta (di forma allungata, con superficie ruvida e solchi profondi), cundeamor (dalla forma ovale, a punta, con superficie grinzosa), amelonado (dalla forma ovale e tondeggiante e dalla superficie liscia), calabacillo (più larga delle altre e dalla forma tondeggiante).
CURIOSITÀ
Abbiamo
Le 10 bevande più consumate al mondo ?
Il tè: è la bevanda aromatica che si ottiene versando acqua bollente sulle foglie di diverse piante, tra cui la Camellia sinensis. Ha diverse varietà, come il tè nero, il tè verde, il tè bianco, il tè oolong, il tè giallo e il tè aromatizzato. È molto diffuso in Asia, in Europa e in Africa. Il caffè: è la bevanda stimolante che si ottiene dalla tostatura e dalla macinazione dei chicchi di caffè, i semi della pianta del caffè. Ha diversi modi di preparazione, come il caffè espresso, il caffè americano, il caffè latte, il cappuccino, il caffè macchiato, ecc. È molto diffuso in Italia, in Francia, in America e in Medio Oriente. La birra: è la bevanda alcolica che si ottiene dalla fermentazione di cereali maltati, come l’orzo o il frumento, con l’aggiunta di luppolo e lievito. Ha diverse tipologie, come la birra chiara, la birra scura, la birra rossa, la birra doppio malto, la birra artigianale, ecc. È molto diffusa in Germania, in Belgio, in Irlanda e in America. Gli energy drink: sono le bevande energetiche che contengono caffeina e altre sostanze stimolanti, come taurina, guaranà, ginseng o vitamine. Hanno lo scopo di aumentare le prestazioni fisiche e mentali. Hanno diversi gusti e marche, come Red Bull, Monster, Burn, ecc. Sono molto consumate dai giovani e dagli sportivi.
La vodka: è la bevanda alcolica che si ottiene dalla distillazione di cereali o patate fermentati. Ha un sapore neutro e una gradazione elevata. Si può bere liscia o miscelata con altre bevande o succhi di frutta. È molto diffusa in Russia, in Polonia e nei paesi nordici. Il vino: è la bevanda alcolica che si ottiene dalla fermentazione del succo d’uva. Ha diverse varietà, come il vino rosso, il vino bianco, il vino rosato, il vino frizzante, il vino dolce, ecc. Si può bere da solo o accompagnato con i pasti. È molto diffuso in Italia, in Francia e in Spagna. La Coca Cola: è la bevanda gassata più famosa al mondo.
PERSONAGGI
HEINZ BECK
Cuoco tedesco, nato a Friedrichshafen, sulla sponda destra del lago di Costanza, ha una duplice anima italo-germanica.
Coniuga la precisione e il senso del dovere teutonico con lo spirito e la creatività italiana, per la precisione Palermitana. Il merito? Anche della moglie Teresa Maltese, originaria di Palermo e al suo fianco nella vita così come nel lavoro. Questo connubio si percepisce in tutta l’opera del cuoco Tedesco, che sforna manicaretti prelibati dal ristorante La Pergola del Waldorf Astoria Resort “Cavalieri” di Roma, dove è approdato nel 1994 e dove, dopo una escalation continua, ha conquistato le Tre Stelle della guida Michelin nel 2005, detenute ininterrottamente da allora. Oltre a ciò ha aperto tanti ristoranti in giro per l’Italia e nel mondo intero e ha scritto innumerevoli libri, non solo di ricette ma anche dedicati alla sua filosofia culinaria, basata sull’attenzione alla salubrità dei piatti e delle preparazioni ma coniugando il gusto. In una intervista di qualche tempo fa ha confessato che in casa maa lasciar cucinare suocera e moglie e che i suoi piatti preferiti sono la pasta con i Tenerumi e le Sarde a Beccafico, ovviamente due piatti Siciliani.
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ARTIFICIALI
chiesto all’AI...
LE BUONE COSE… di ANDREA GRIGNAFFINI
L’esperto svela tutti i segreti per preparare e gustare al meglio gli ingradienti della settimana.
LIMONATA DEI DUE MONDI
La limonata è una bevanda anal colica a base di acqua, succo di limone e zucchero.
/limo’nata/
Dissetante, fresca e tonificante, è la bevanda emblematica della bella stagione
Scoperti negli anni Trenta, nel Sud della California, come mutazione naturale che cresce su alberi di limoni “eureka”, gli agrumi noti come “pink lemon” hanno la buccia striata verticalmente di verde e di bianco e la polpa rosa cipria. Se li si spreme uscirà un succo chiaro ma dal sapore più delicato e aromatico.
Il limone dal gusto “tappato”
Per motivi sconosciuti, può capitare che la buccia del limone abbia un gusto di muffa simile al vino inficiato dal TCA (il famoso “tappo”). Un fatto in grado di rendere sgradevoli bevande e piatti. Attenzione al momento dell’utilizzo: annusare bene! Poi non gettare: può sempre essere utile per altro.
Si scrive limonata e si legge estate: dissetante, fresca e tonificante, è la bevanda emblematica della bella stagione. La sua tradizione unisce ogni angolo del mondo; i primi riferimenti appaiono nel XII secolo in un trattato del medico arabo Ibn Jumay’: innumerevoli i benefici della bevanda a base di succo di limone. Quando la ricetta di questa panacea dagli effetti antinfiammatori, antisettici e digestivi giunse nel Vecchio Continente addolcita dallo zucchero, il drink fu inizialmente inaccessibile a tutti coloro che non fossero aristocratici o gravemente ammalati a causa dell’elevato costo di alcuni suoi ingredienti. Ma dal 1600 divenne molto popolare: nella Ville Lumière i limonadiers, venditori ambulanti che erogavano la bevanda da curiosi serbatoi portati in spalla, erano così numerosi da costituirsi addirittura in una corporazione. Nel Nuovo Mondo, la prima ricetta registrata della limonata è del 1824, contenuta nel The Virginia House-wife, il manuale della casalinga di Mary Randolph; prevedendo anche l’albume dell’uovo e il congelamento, il prodotto era più simile ad un buon sorbetto. Anni dopo, la bevanda entra addirittura in politica: squisitamente alcool-free, diventa l’icona del Movimento per la temperanza, corrente sociale contro il consumo eccessivo di alcool, patrocinato da “Lemonade Lucy” ossia Lucy Webb Hayes, First Lady dal 1877 al 1881, che si rifiutava categoricamente di servire alcolici alla Casa Bianca. Intanto, le prime versioni del drink in bottiglia faticano ad eguagliare il gusto del tipo appena spremuto: l’ossidazione svilisce il sapore delicato del succo, spesso lasciando sgradevoli note amare. Si amplifica così il successo dei celebri lemonade stand: semplici da replicare, divertenti e istruttivi, i banchetti di limonate cominciano a moltiplicarsi - e con loro i piccoli commercianti in erba - entrando dal XX secolo tra i simboli dell’intraprendenza imprenditoriale americana. E man mano che la limonata si diffonde nel mondo spuntano le varianti della ricetta tradizionale. In Turchia si grattugia la scorza di limone nello zucchero e si mescola fino a ottenere una polvere sabbiosa che va aggiunta al succo e all’acqua. L’approccio parigino invece è fai-da-te, composto da tre piccole brocche separate di sciroppo semplice, acqua e succo di limone: chi beve può combinarli a proprio piacimento. L’uso dello sciroppo di sommacco, spezia mediorientale dalle note acidule, al posto dello zucchero crea una bevanda rosata dal sapore unico. In Portogallo e Nord Africa, il mazagran è una versione irrobustita che include il caffè. L’originale? Si spreme il succo di tre limoni in 500 ml di acqua con 3-4 cucchiai di zucchero. Aggiungere sempre il ghiaccio e le fettine di limone.
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Pink Lemon
DOLCE & AMARO
BRAIDA DI GIACOMO BOLOGNA
Loc. Ciappellette, S.P. 27, 9
14030 Rocchetta Tanaro (AT)
TEL 0141 644113 info@braida.it
IL BUON VINO… di LUCA GARDINI
Conosciuto anche come The Wine Killer, grazie al successo del suo sito, redatto interamente in lingua inglese e dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo, GardiniNotes. com, Luca Gardini è oggi uno stimato wine-critic a livello internazionale.
MONELLA IN CARRIERA
Forte del successo di una Barbera leggendaria, l’azienda Braida ha puntato su vini e liquori al passo coi tempi. E con il clima che cambia ifficile raccontare la storia di Braida senza farsi cogliere dalla nostalgia per quel personaggio dal carisma incredibile, animatore di un mondo del vino che (forse) non esiste più che era Giacomo Bologna. Tuttavia, non soltanto la sua leggenda sopravvive nella cantina che porta il soprannome del padre - di professione carrettiere ma portentoso nella nobile arte del “pallone elastico”, o pallapugno - grazie all’accurato lavoro dei figli Raffaella e Giuseppe, ma anche una certa idea di anticonvenzionalità: la stessa, essenziale, del suo fondatore. La nuova sfida, da affiancare alle solite, inimitabili Barbera, che in loro racchiudono aneliti all’immortalità, si chiama Grignolino, vitigno storico e storicamente ostico, cui sta paradossalmente giovando il cambiamento climatico. A Rocchetta Tanaro, nel Monferrato astigiano, ormai si è arrivati ai 70 ettari totali, cui si è aggiunto, recentemente, un altro cru di Barbera, per una cantina ancora, fortemente, sulla breccia. La storica Monella, prodotta per la prima volta nel lontanissimo 1961, è una Barbera irriverente, un nettare passato negli annali della storia enologica, con il suo naso di mousse di ciliegie sotto spirito, foglia di pepe e sottobosco, il palato con tannini salmastro-succosi. È poi dall’inizio degli anni ’80 che Giacomo inizia a rivoluzionare la tipologia tramite l’utilizzo della barrique, insufflando uno spirito internazionale in un vino tradizionalmente “da tavola”. È un successo immediato, che ha il rarissimo merito di riscrivere integralmente la storia del varietale, trasformata rapidamente in una bevanda da iniziati. La ricchissima linea è completata poi dai bianchi, che si iniziano a produrre a metà degli anni ’90, ed ancora gli splendidi blend, poi ancora le grappe, per non dimenticare il Brachetto d’Acqui DOCG, magnetico vitigno della tradizione piemontese reso in una versione insieme impeccabile e sbarazzina. Hai detto Braida, insomma, e hai detto vino.
BARBERA D’ASTI DOCG
BRICCO DELLA BIGOTTA 2019
PUNTEGGIO 97/100
prezzo € € €
Una delle facce della Barbera come la intendeva Giacomo, uscita per la prima volta nel 1985, nell’annata 1982, con identica “formula aurea”, 15 mesi in barrique più altri 12 in bottiglia: naso con note di susina selvatica, pepe in grani e liquirizia, poi noce moscata. Al gusto è salmastro-sapido, con tannini perfettamente integrati e chiusa con ritorno fruttato-speziato. Per quanto riguarda l’abbinamento, qui è obbligatorio un accostamento “emotivo” con il piatto del cuore di Giacomo, ovverosia ceci e costine alla piemontese.
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I proprietari Giuseppe e Raffaella Bologna, figli del fondatore Giacomo.
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CHAPTER HOTEL ROMA
Parallelamente alla ricerca estetica e concettuale del nuovo ipotetico ristorante del momento, sta progressivamente facendosi strada un altro fenomeno in qualche modo connesso ma indipendente. Sono gli hotel questa volta i protagonisti, perché non è più la loro funzione di luogo di permanenza notturna, riposo fisico e mentale a fare da biglietto da visita, quanto un’articolata e molto più complessa struttura. Se un tempo si parlava più di pensioni, garnì e alberghi – e usare la parola italiana sembra quasi rétro – oggi in qualche modo si sta recuperando il medioevale concetto di locanda ma attualizzato e ridisegnato, impreziosito nei dettagli e completato nell’offerta. Non vale più la pena progettare hotel senza un comparto food and beverage così come non ha più senso non puntare ad un decoro e un arredo caratterizzati da uno stile preciso, un gusto, un colore, la firma di un noto architetto. È vero che l’obiettivo pragmatico resta sempre quella di avere un luogo dove trascorrere la notte in città diverse dalla nostra, ma questo spostarsi – che sia per piacere o per lavoro – prevede che ogni destinazione costituisca sempre più un’esperienza. C’è chi ci riesce meglio e chi resta indietro, chi ha messo a terra progetti ambiziosi ma non è riuscito a trasmetterli e chi invece è un campione in comunicazione e public relations. È l’esempio del Chapter Hotel Roma, un insolito ritrovo per stranieri in capitale alle porte del Ghetto, nel rione Regola, ap-
pena dopo a Largo di Torre Argentina e con il Tevere a pochi metri. Camminando si nota a malapena, dai toni scuri, gli infissi massicci, il velluto a terra così come negli arredi e una palazzina un po’schiacciata tra gli edifici un tempo sedi di laboratori, magazzini, botteghe. Ancora oggi questa zona è un reticolato di insegne storiche e piccoli negozi (Roscioli si trova letteralmente a tre minuti a piedi, Campo dei Fiori a cinque così come l’osteria Al Pompiere dall’altro lato), più o meno battuti dai turisti ma ancora capaci di trasudare italianità. L’atmosfera è quella di un boutique hotel urban-chic, con una predilezione per gli spazi comuni, social, potenzialmente vissuti tutta la giornata dal cittadino così come dall’ospite. Ad aver pensato e realizzato questo concept è Marco Cilia, professionista con esperienza pluriennale nel mondo dell’ospitalità tra Stati Uniti e Inghilterra, rientrato in Italia proprio per lanciare questo suo nuovo brand. Un approccio poco conservativo rispetto alle tradizionali soluzioni romane e che punta piuttosto all’underground e all’arte contemporanea, coinvolgendo artisti, DJ, designers da tutto il mondo che infatti hanno disegnato parte degli oggetti e degli arredi comprese le palette cromatiche. L’approccio e l’impianto della comunicazione di questo boutique hotel consentono a chi segue da lontano di entrare a fondo nell’atmosfera Chapter, che strizza l’occhio al made in Italy con un tocco in più di glam e fascino.
IL MIGLIOR HOTEL DEL MONDO?
Nel 2022 il miglior hotel al Mondo, secondo i lettori del magazine statunitense Travel+Leisure, è il Rosewood Castiglion del Bosco nella zona del Montalcino in Toscana. Sono 8 gli Hotel italiani che rientrano in questa classifica: oltre al Rosewood Castiglion del Bosco ci sono il Santa Caterina ad Amalfi, il San Pietro a Positano, il Grand Hotel Tremezzo del Lago di Como, l’hotel Borgo Engazia a Savelletri di Fasano, il Grand Hotel Villa Serbelloni a Bellagio, l’Hotel Cesare Augusto a Capri e l’hotel Le Sirenuse a Positano.
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THE ITALIAN TRAVELLER
di Chiara Buzzi
COCKTAILS & DREAMS
BENTORNATO APERITIVO
Il rituale italiano è tornato ad alti livelli di qualità: amaro e semplice, le parole chiave
Per quanto l’aperitivo abbia trovato nuova linfa nell’ultimo decennio circa, è in realtà un fenomeno dalle radici piuttosto datate. Un suo prototipo si aveva infatti già nella Roma Imperiale, quando i patrizi si riunivano prima di cena per degustare bocconi di carne e verdure bevendo il vinum hippocraticum, un fermentato invigorito da erbe e spezie. Il termine stesso rivela lo scopo ultimo di quello che è oggi parte integrante del tessuto sociale italiano (i francesi apprezzano altrettanto): l’etimo è il latino aperire, quindi apertura, del pasto e dello stomaco. Le prime bevande aperitive erano infatti spesso somministrate come rimedi farmaceutici, allo stesso modo degli amari, per mettere in circolo i succhi gastrici e aiutare ingestione e digestione. Dopo i fasti di inizio Novecento, a inizio anni Duemila l’aperitivo ha vissuto una flessione nella sua storia gloriosa: cocktail dolcissimi e sbilanciati, ad accompagnare giganteschi buffet ricolmi di qualsiasi finger food tutt’altro che eccellente. Materie prime ed esperienza vedevano la propria qualità cadere in picchiata, scontrandosi con la possibilità di rimpinzarsi a poco prezzo. Era lo spauracchio dell’apericena, che finalmente può dirsi messo in soffitta.
La nuova attenzione per la miscelazione di alto livello ha infatti permesso al rito dell’aperitivo di riprendersi il pregio e il posto che gli spettano: via vassoi traboccanti, bentornate eleganti ciotoline di snack. Addio miscele raffazzonate e ben trovati drink di qualità: le note amaricanti sono tornate a dominare la scena, grazie alla cura nella preparazione dei grandi classici, e sempre di più si dà valore al momento conviviale e non solo all’esperienza gustativa.
Indecisi su quale cocktail assaggiare per l’aperitivo? Americano, Negroni, Martini (tutti contenenti almeno una parte di vermouth, stimolante per eccellenza) sono tra le ricette più indicate, ma la parola d’ordine non può che essere semplicità. Bastano un Campari Shakerato o un Gin Tonic (meno alcolico di un calice di vino), per poter godere di un fenomeno che per fortuna è tornato ai livelli che merita.
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di Carlo Carnevale
GASTROCKNOMIA
TOM WAITS, IL GELATO
NUTRIMENTO DELL’ANIMA
di Giovanni Aragona
E IL
Immaginate di indossare i panni di Marty McFly e di guidare una DeLorean capace di viaggiare nel tempo. GastROCKnomia, ogni settimana, vi consentirà di viaggiare nel tempo a ritmo di cibo e rock. Come in un wormhole temporale, il nostro
in modo critico, indossando sempre i panni degli emarginati. Come non poteva quindi, un cantastorie del genere omaggiare un alimento così “popolare” a “basso costo” e affascinante, come il gelato? Esattamente cinquant’anni fa, Waits, da alla luce il suo album d’esordio intitolato Closing Time. Il disco viene pubblicato nel marzo del 1973 per la casa discografica Asylum Records. Il disco è un concentrato potentissimo di jazz, blues e folk e risulterà, in definitiva, un mix unico ed eclettico di suoni. Nel disco, spicca un brano intitolato Ice Cream Man, una canzone rivoluzionaria, e anche decontestualizzata rispetto al disco, una traccia che mette da parte la malinconia dell’intera opera e tira fuori il ritmo e il tempo: è l’omaggio anche al gelato. In un disco così oscuro e intimo, una luce: Il gelato diventa elemento rilassante, un esercizio non solo di palato ma anche mentale capace di consolarti nei momenti di stanchezza, di saziarti quando hai fame e di dissetarti quando hai sete. Ice Cream Man, nei suoi ultimi secondi, sfuma con le sottili note di un pianoforte, il gelato è
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GUERIDON E DINTORNI
BASSO PROFILO E ALTE PRESTAZIONI
Si parla da tempo di emergenza di sala, del fatto che le nuove generazioni non siano così appassionate del lavoro di sala, che lo chef è la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono, mentre invece un fulcro importante della fortuna di un ristorante è anche e soprattutto il grande lavoro di accoglienza che si opera nella sala del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica non per parlare dei soliti argomenti ma per chiedere agli uomini e attori principali di questo straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità che stimolano e ravvivano questo mondo. Oggi ne parliamo con Beppe Palmieri , Sala e Cantina all’Osteria Francescana.
Caro Beppe come hai iniziato questa professione e perchè ?
Tutto è cominciato per passione, curiosità verso l’universo “Tavola”, che da sempre adoro. un percorso che richiede impegno e voglia di riscatto. maggio 1995, nella mia mente resta impressa l’immagine del paesaggio che scorreva ai miei occhi mentre, seduto in treno, viaggiavo verso la mia prima stagione da Cameriere, a Cattolica, un’esperienza significativa, dura, positiva e indimenticabile. Camerieri non si nasce, Camerieri si diventa: servire è un esercizio difficile, che non vuole fare quasi nessuno, ne ho fatto una ragione di vita, brucio di passione per questo mestiere straordinario, con la speranza di elevare al livello più alto col duro lavoro una professione nobile e appagante.
Il tuo bilancio di questi 28 anni di carriera qual’è ?
Non è ancora arrivato il momento di fare bilanci, sono molto concentrato sul mio lavoro e sulla mia crescita dal punto di vista umano e professionale, condivido tutto su due fronti: da un lato mia moglie, che è la mia migliore amica e dall’altro tutti i miei colleghi dell’Osteria Francescana.
lavorerò fino all’ultimo giorno, faccio tutti i giorni quello che mi piace e mi appassiona.
Hai degli aneddoti, curiosità, episodi che ti piacerebbe condividere con noi ?
Un esempio recente, all’apparenza di poco conto, che spero porti a riflessioni utili, che possa essere un valido contributo in tempi in cui servono stimoli e segnali forti per chi fa il nostro lavoro. Un Ospite all’atto dell’ordinazione mi dice:
“oggi vorrei mangiare solo due piatti, vorrei le tagliatelle al ragù, sono vegetariano e intollerante al lattosio. dopodiché’ sceglierò un dolce.”
risposta: “certamente.”
mi sono confrontato con i colleghi di Cucina, che in 20 minuti hanno preparato un piatto di tagliatelle straordinarie fatte con salse vegetali e verdure, senza lattosio, senza carne. a fine cena…
“soddisfatto Signore?”
“piatti deliziosi, grazie a voi, che bella serata, non vediamo l’ora di tornare in Francescana”.
Chiaramente e per ovvie ragioni di sintesi evito il racconto dettagliato e prolisso ma come al gioco del Monopoli, al centro di quel quadrato, che rappresenta la quotidianità, ci sono carte da
girare e decisioni da prendere, imprevisti e probabilità, all’apparenza scontate, che fanno la differenza tra un’esperienza banale e deludente o diventano un episodio significativo e per certi versi indimenticabile. Se si agisce con giudizio e professionalità e se si fa parte di un collettivo di grande valore è possibile trasformare i vincoli in opportunità. Oggi più che mai probabilmente ci sono serie difficoltà nell’affrontare episodi all’apparenza, ripeto, di poco conto, che sono determinanti per il vero successo di un’impresa; prodotti, progetti e servizi non bastano più: l’ingrediente del futuro è il capitale umano, le PERSONE al centro di tutto.
Adesso ti chiediamo un ricordo … il ricordo di un grande uomo o una grande donna di sala che ti ha impressionato, nel tuo lungo girovagare per ristoranti, e perché ti ha impressionato Antonio Santini è il più grande Uomo di Sala italiano di sempre, un esempio e un modello, Dal Pescatore di Canneto sull’Oglio è una leggenda della Ristorazione per chiunque voglia fare il nostro mestiere, un “luogo” senza tempo, al fianco di Nadia Santini da sempre.
Gianluigi Morini è un visionario che negli anni ‘70, ‘80 e ‘90 ha segnato un percorso straordinario, che metteva sullo stesso piano l’eccellenza come principio assoluto e pari importanza tra Sala, Cucina e Cantina, il San Domenico di Imola è un’istituzione.
Guido Alciati è un’icona di accoglienza e piacere della Tavola, stile e basso profilo, il passato che ritorna tutti i giorni come un modello da cui imparare e che fa riflettere. Agli esordi sfogliavo le riviste del settore e leggevo i racconti di un Ristorante da sogno a Costigliole d’Asti. Lidia e Guido Alciati sempre insieme, uno di fianco all’altra.
è fondamentale conoscere la storia per fare futuro. Tutti e tre hanno in comune un tratto unico: una Cucina di valore sarà annichilita da una Sala mediocre; una Sala di alto livello è l’unica via per celebrare una Cucina di spessore. Sala, Cucina e Cantina sullo stesso piano. La domanda più curiosa, pertinente e intrigante che ti ha fatto un cliente ? e cosa gli hai risposto ?
Qualche anno fa un Cliente storico, che stimo molto e a cui sono particolarmente affezionato, mi ha chiesto:
“Beppe qual è il tuo sogno?”
gli ho risposto:
“da grande voglio fare il cuoco”.
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di Alberto Cauzzi
TERRITORI A TAVOLA IMPERIA di Matteo Calzaretta
Da Ventimiglia a Diano Marina passando per Sanremo, la cucina locale, semplice ma genuina, nasce dall’incontro tra mare e montagna, presenta infatti una gastronomia varia, capace di utilizzare ogni elemento che la natura offre. Il mare è senza dubbio l’ingrediente di maggior abbondanza in una cucina sostanzialmente priva di carne, ma che trae dai pendii rocciosi del litorale erbe aromatiche domestiche e selvatiche come: rosmarino, maggiorana, timo, salvia e borragine, molto usate per la quasi totalità dei piatti che questa terra offre. Uno spazio tutto suo, se lo guadagna il re basilico: dal sapore eccezionale è sicuramente il più amato, dalle foglie ampie e profumate è l’ingrediente base della famosa salsa verde che tutto il mondo conosce: il pesto Spazio anche alla carta dei vini, ad oltre 300 metri dal mare, sulle colline, si coltiva il Pigato: vitigno molto simile al Vermentino che si differenzia per le note e profumi di erbe aromatiche, che assume durante la maturazione su terrazzi a picco sul mare. Un ottimo Pigato lo si può accompagnare a piatti saporiti a base di pesto. Tornando alle pietanze della tradizione, primeggia la “sardenaria”, focaccia tipica del sanremese, la cui preparazione deve rispettare i requisiti sanciti da un apposito disciplinare che ne garantisce l’autenticità. L’unica vera “sardenaira”, è rigorosamente condita con polpa di pomodoro, acciughe, olive, capperi, origano e spicchi d’aglio in camicia, nient’altro che una focaccia alta, soffice e molto saporita.
Spingendoci nell’entroterra si percorre la Via dell’Olio: piccola ma generosa, l’oliva taggiasca è capace di donare un prezioso olio che per secoli ha costituito il punto di forza nell’economia regionale, non solo, anche la pasta d’olive (ottima spalmata sul pane) e le olive taggiasche stesse in salamoia, capaci di dare un certo carattere ai piatti sia di terra che di mare, sono una prelibatezza per i palati più raffinati. Come sempre, a conclusione di un tipico menù di questa terra, non può mancare un dolce caratterizzato dall’essenza dell’olio extra vergine: la “ Stroscia di Pietrabruna ”. Come per la sbrisolona mantovana, la stroscia non va tagliata ma spezzata con le mani, infatti strosciare in ligure significa spezzare, rompere.
Delle province liguri è senza dubbio la più occidentale, un territorio che profuma già di Francia vista la poca distanza dal confine, Imperia, o meglio, Oneglia e Porto Maurizio sono i due nuclei che danno vita a questa terra, ancora perfettamente distinti e separati dal torrente Impero.
Disseminata di borghi, l’intera provincia di Imperia è ricca di veri gioielli di bellezza immersi nella natura, nell’architettura e nella storia. Partendo dai redenti borghi di Apricale e Dolceacqua nell’entroterra di Camporosso, al borgo di Cervo, poco distante dalla cittadina di Diano Marina. Ed è proprio nel piccolo paese di Dolceacqua che si produce l’omonimo DOC, ottenuto dal vitigno Rossese anche nella tipologia Superiore, se viene sottoposto a un invecchiamento di almeno un anno. Di colore rosso, ha un profumo lieve e fragrante, un sapore gustoso con il caratteristico retrogusto amarognolo. Tanti gli abbinamenti gastronomici con il Dolceacqua DOC che spesso lo ritroviamo accompagnato al pesce azzurro e salumi rossi (di media stagionatura), ma anche con carni bianche e verdure ripiene.
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Rossese di Dolceacqua Superiore DOC Luvaira
Rossese di Dolceacqua Terrabianca DOC
Senza via di Scampo
Classico personaggio della cucina classica, trova interpreti nelle sceneggiature più disparate e si presta – come un Robert De Niro qualsiasi – ad ogni genere, dall’ancestrale al manierista, dal naturalista al cicisbeo. E restituisce spesso un ottimo risultato, sopra tutto se viene rispettato nella sua essenza. Si indispettisce solo quando viene maltrattato da fiamme troppo vivaci, o tempi troppo lunghi. Insomma, è intollerante al troppo
Scampo “gratinato”, bietola all’agro, tamarindo.
Angelo Sabatelli Putignano (BA)
Scampo e tartare di Wagyu.
Federico Zanasi
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Torino (TO)
Scampo, cipolla bruciata, emulsione di maialino, salicornia.
Luca Marchini
L’Erba del Re Modena (MO)
Scampo nella zucchina, pomodori dell’orto e limone.
Filippo Scapecchi
Terramira
Capolona (AR)
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ASSAGGI DI LUCE di Stefano Cafarri
Feed ‘n’ Food
L’avventura come food blogger inizia da dieci anni, quando viene quasi obbligata dalle amiche. Da allora, chiarapassion è cresciuta tantissimo presentando ricette semplicissime ma per niente banali.
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Sonia Peronaci è diventata il punto di riferimento non solo di appassionati di cucina ma anche di famiglie e bambini. Dopo aver abbandonato GialloZafferano, è diventata la “mamma sorriso della cucina”.
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Valecucinaefantasia fa della romanità il suo punto di forza sia nel linguaggio che nella simpatia. La sua proposta spazia dalle ricette tradizionali a idee moderne e creative.
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Bella e simpatica, LauraintheKitchen è l’italo-americana della porta accanto. Laura porta avanti la cucina italiana proponendo ricette facili e gustose. I giovani adorano questo format.
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