Weekly Enjoy #003

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IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO

Ogni fine settimana, al vostro indirizzo di posta elettronica, vi verrà recapitato il Weekly Enjoy, un magazine con notizie, servizi, approfondimenti e consigli più interessanti della settimana. Chi ha fame di notizie enogastronomiche può mettersi a tavola. Il servizio è gratuito

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
Pubblicazione settimanale gratuita #003 - 08 Luglio 2023
Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi Coordinamento Editoriale: Carlo Carnevale Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola Direttore Commerciale: Michele Belingheri

VIP: VERY IMPORTANT POSTO

OSTERIA FRANCESCANA

«I’m not there» («Io non sono qui», citazione dal film-biografico dedicato a Bob Dylan) è il titolo dell’ultimo menù del vulcanico Chef Massimo Bottura che spinge la sfida oltre ogni confine. Ora sono i ‘piatti-icona’ di Bottura a essere riletti, alla luce dei quasi 30 anni di attività e delle suggestioni della brigata. ‘Svuotati’, ‘ripensati’ e ‘ricostruiti’ sono completamente altro rispetto alle ricette originarie. Sono pura e intensa trasposizione. Alto rischio, certo. Ad una prima vista superficiale tutto ciò potrebbe apparire autocelebrativo, invece non è nulla di tutto questo. È un percorso introspettivo, di forte messa in discussione e per cui ci vuole un gran coraggio, anche il coraggio di rischiare di non piacere e di demolire agli occhi dei commensali alcuni piatti simbolo, ormai universalmente conosciuti come grandi classici contemporanei. Tutto ciò è affrontato con un bagaglio immenso di idee e di tecnica. Così i tortellini ora sono dumpling in brodo di cappone, e diventano un piatto pazzesco, cangiante, universale, che contiene in sé il gusto di 4 piatti diversi, provenienti da almeno due continenti diversi. Le «Cinque stagionature del Parmigiano» sono cinque differenti interpretazioni di latte e fieno, e la «Patata che vuole diventare un tartufo» è una aerea pagnotta di farina di patate farcita con crema di patate, nocciole e tartufo… Attorno ruota un servizio di impressionante precisione e una cantina di valore assoluto, entrambi curati da Beppe Palmieri.

VIP: VERY IMPORTANT PIATTO

SPAGHETTI DI ORTICA, LUMACHINE DI MARE

RISTORANTE CASUAL-VILLA ELENA

CHEF: MARCO GALTAROSSA

Bergamo Alta? No, qui Bergamo altissima, nella nuova collocazione scelta da Enrico Bartolini per quella che si manifesta come una delle più eclatanti novità gastronomiche sul territorio nazionale. Bello e buono quando si accordano diventano un invito al viaggio, breve o lungo che sia. Villa Elena, di origini rinascimentali rinnovata a inizio Novecento con gusto eclettico che unisce ispirazioni barocche e in stile Liberty. Diverse le sale, elegantissime, dove difficile sfuggire dai dogmi della “Cucina di Palazzo” invece Marco Galtarossa va a incidere piacevolmente con idee di cucina fresca, appuntita, vegetale ma senza eccessi, fondendo gli elementi senza cadere nella moda attuale del green a tutti i costi. Il piatto. Innanzitutto, un abbraccio di conforto a chi in cucina si è prodigato nel compito di sgusciare centinaia di lumachine di mare in punta di spillo, che andranno gentilmente uniformate in cottura come fossero un gustoso intingolo. L’ortica è negli spaghetti, con quel gusto che non sai se è più vicino al sottobosco o al salmastro. Il legame trovato tramite uno zabaione salato ai ricci di mare chiude felicemente un piatto che potrebbe diventare “signature dish”.

RISTORANTE CASUAL-VILLA ELENA

Via San Vigilio, 56 Bergamo (BG)

Tel: +39 035 260944

enricobartolini.net

L’APPROSSIMAZIONE (IN)GIUSTIFICATA

DELLE NUOVE APERTURE

Sebbene i dati delle Camere di Commercio relativi al 2022 raccontino di una flessione storica nel numero di attività ristorative aperte (-1.4%, un locale su cento ha chiuso lo scorso anno), la bulimia di novità che ha caratterizzato il settore di recente pare essere solo rallentata.

Le città che storicamente trainanti (Milano, Roma), già rivedono nuove serrande alzarsi, per lo più nella fascia di prezzo medio-alta (per i ristoranti, in media 55€ a persona, vino escluso), quasi sempre anticipate da fragorosi squilli di trombe: un social media manager è fondamentale più di un lavapiatti, ahinoi. Eppure, la tendenza delle nuove aperture sembra essere quella dell’approssimazione (in) giustificata. Errori, disservizi, imprecisioni, ritardi, difficoltà: viene tutto motivato dagli operatori con “l’aver aperto da poco”, la necessità di un rodaggio e così via. Come se un dentista trapanasse una gengiva, scusandosi perché ha appena iniziato.

Il cortocircuito che si crea riguarda comunicazioni altisonanti che attraggano quanti più avventori possibile, seguite da esperienze ben inferiori a quanto promesso. Non sarebbe meglio insistere sulla formazione del personale, sull’organizzazione dei turni, sul rapporto con i fornitori e altre decine di dettagli “oscuri” alla clientela, invece di rincorrere un’apertura che rischia di rivelarsi solo fumo? Anche perché i prezzi, aperto da poco o meno, restano invariati.

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di Alberto Cauzzi di Roberto Mostini Carlo Carnevale Carlo Carnevale Coordinatore editoriale de Le Guide de L’Espresso
E ZABAIONE
NOME DELLO CHEF : Massimo Bottura MENU DEGUSTAZIONE : 325 euro, alla carta 300 euro
DI RICCI
OSTERIA FRANCESCANA Via Stella, 22 Modena (MO) osteriafrancescana.it

I TIPI DI CIOCCO LATO

Il cioccolato fondente, formato da massa di cacao e zucchero. Può essere aggiunto burro di cacao per conferire maggiore scioglievolezza.

Il cioccolato al latte si ottiene, invece, aggiungendo alla massa di cacao zucchero e latte in polvere o latte fresco vaporizzato ad alta temperatura. Il cioccolato al latte deve contenere una percentuale di cacao non inferiore al 25%.

Il cioccolato bianco si ottiene unendo burro di cacao, zucchero e latte e eventualmente vaniglia. I puristi ritengono che il cioccolato bianco non sia cioccolato non contenendo massa di cacao, ma è comunque così denominato dal Codex Alimentarius.

Il gianduia si ottiene unendo al cioccolato una componente di nocciole finemente macinate, in proporzione tale che 100 grammi di prodotto contengano non più di 40 e non meno di 20 grammi di nocciole.

Il cioccolatino (o pralina, in Belgio e in Italia, se si tratta di cioccolatino ripieno) è un prodotto della dimensione di un boccone, costituito da cioccolato ripieno, oppure da un unico cioccolato o da una miscela di cioccolato e altre sostanze. Il cioccolato deve qui rappresentare il 25% del peso totale del prodotto.

Il cioccolato “ruby” (o rosa), simile al cioccolato bianco, con uno spiccato aroma di frutti rossi e un finale acidulo.

Il cioccolato modicano prende il nome da Modica, la città in provincia di Ragusa, dove viene ancora oggi prodotto secondo le tradizioni dei primi cioccolatieri spagnoli.

Il cioccolato crudo o “raw”, che, in realtà, non è un tipo di cioccolato, bensì si tratta di un cioccolato realizzato mediante una lavorazione del cacao a basse temperature, con lo scopo di mantenere il più possibile intatte le proprietà nutritive del cacao.

CURIOSITÀ ARTIFICIALI

Abbiamo chiesto all’AI...

Qual

La pizza più grande mai cucinata è stata realizzata il 22 gennaio 2023 a Los Angeles, negli Stati Uniti, dalla catena di pizzerie Pizza Hut, in collaborazione con lo youtuber Airrack. Si tratta di una pizza al formaggio e salame piccante (pepperoni) che ha raggiunto la dimensione di quasi 1.300 metri quadrati, battendo il precedente record di 1.261,55 metri quadrati detenuto dalla pizza Ottavia, creata nel 2012 a Roma12.

Per preparare questa pizza gigantesca sono stati necessari 6.193 kg di impasto, 2.244 kg di salsa di pomodoro, 3.992 kg di formaggio e circa 630.496 fettine di salame12. La pizza è stata cotta a pezzi in un forno appositamente realizzato per l’occasione e poi assemblata in un hangar del Los Angeles Convention Center12. Un funzionario del Guinness World Records ha confermato che si tratta della pizza più

La pizza è stata tagliata in 68.000 fette, che sono state donate alle cucine che aiutano i bisognosi a Los Angeles12. L’iniziativa è stata organizzata per celebrare il ritorno sul mercato della Big New Yorker, una pizza enorme con formaggio e salame piccante tipica di Pizza Hut12.

PERSONAGGI

ANTONINO CANNAVACCIUOLO

Cucinare, per me, è sentire il richiamo dei luoghi in cui sono cresciuto. Accogliere le persone è far scoprire luoghi in cui non sono mai state.

Antonino cannavacciuolo è probabilmente lo chef più famoso e conosciuto d’Italia, addirittura è stato protagonista nel 2018 di una piccola miniserie su Topolino, la famosa rivista-fumetto. Ma non per questo tradisce e si dimentica della sua vera passione, che è la sua autentica professione, quella di cuoco. E proprio quest’anno, il suo ristorante di punta – Villa Crespi – è stato insignito del riconoscimento massimo da parte della guida transalpina Michelin, le tanto agognate 3 stelle. Un premio meritato, che ha costruito con tanto lavoro, impegno e fatica. Non smette mai di confrontarsi e crescere lo chef Partenopeo. La cucina di villa Crespi, a dispetto della fama e del sempre pieno tutte le sere, continua a regalare emozioni continue e sempre più intense. E’ vero che la prima volta che visiterete questo ristorante sarete tentati dal menù dei classici ma vi diamo un consiglio, provate il menù “mettici l’anima” che è il più creativo e contemporaneo, in continua evoluzione e cambiamento, e che vi porterà a degustare piatti profondi e intensi come l’Animella alla boscaiola o l’Anguilla, agrumi e zenzero. E lo potrete fare in una cornice, Villa Crespi, che è la fedele replica di una antica dimora moresca affacciata su uno dei laghi più romantici e incantevoli d’Italia, il Lago D’Orta. All’accoglienza due colonne portanti del grande Chef, Stefania Siani e Massimo Raugi, che sapranno deliziarvi e coccolarvi per una cena, la vostra, indimenticabile.

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è la pizza più grande mai cucinata?
CIOCCOLANDIA

IL CEVICHE

Un piatto a base di pesce o/e frutti di mare crudi e marinati nel limone, unita ad alcune spezie Ceviche, cebiche, sebiche, seviche

LE BUONE COSE… di ANDREA GRIGNAFFINI

L’esprerto svela tutti i segreti per preparare e gustare al meglio gli ingradienti della settimana.

Ogni ingrediente contribuisce all’equilibrio complessivo del piatto

DOLCE & AMARO

L’uomo dello spazio difende il fuoco e la tradizione. In questo caso quella della cottura della pizza nei forni a legna di New York colpevoli, per il dipartimento della protezione ambientale, di produrre ulteriore inquinamento. Non tante, sinceramente, le pizzerie coinvolte ma abbastanza perché il re dell’elettrico intervenisse. Bravo!

Il Ghiaccio (solo) nel cestello del vino

In considerazione dell’aumento delle temperature il cestello del ghiaccio al ristorante è sempre più imprescindibile. Però occorre approntarlo al meglio sennò le tempistiche di servizio si allungano. Quindi non solo tanti cubetti di ghiaccio ma acqua e un po’ di sale e tutto si accelera. Sana quanto basta.

Il Ceviche è un’audace celebrazione del mare che esplode in bocca con ricchezza di suggestioni e dove il piccante, il dolce e l’acido comunicano armonicamente dando vita a una pietanza più grande della somma dei suoi ingredienti. Legato in origine alla cultura Moche, questo iconico piatto di pesce peruviano, che nel 2004 è stato decretato patrimonio culturale del Paese, riflette non solo la biodiversità dell’Oceano Pacifico ma anche l’eredità culinaria dei popoli dell’America Latina, assurgendo, nondimeno, ad esempio del più alto livello della tecnica della marinatura del pesce; un metodo di cucina a cui si è ricorso sin da tempi immemori per sottrarre i cibi alla deperibilità senza affatto rinunciare all’appetibilità e che qui si è declinata “cuocendo” i prodotti ittici nel succo acido degli agrumi locali, creando un piatto sicuro da mangiare ed incredibilmente delizioso. Ogni ingrediente contribuisce all’equilibrio complessivo del piatto: il pesce bianco, che andrà ridotto a tocchetti, deve essere freschissimo e la consistenza delle carni, soda. In Perù primeggiano il lenguado (un’enorme sogliola), la corvina e l’orata per il loro sapore leggermente dolce. La marinatura si realizza con la cipolla rossa (affettata sottile e immersa in acqua e sale per eliminare il sapore forte ed esaltarne la dolcezza), il succo di lime e soprattutto il peperoncino, l’aji, nelle varianti amarillo (giallo) e rocoto, tondeggiante e carnoso. La salsa principe d’accompagnamento è il leche de tigre, ottenuta frullando la cipolla, lo zenzero, l’aji limo, la crema di rocoto, il coriandolo e il succo (filtrato) delle teste di pesce bollite con aglio e sedano: oltre che nella preparazione è ottima anche in finale, versione ultimo sorso, come rinfrescante aromatico. Si possono aggiungere verdure d’effetto cromatico come avocado e pomodoro a cubetti, oppure coriandolo fresco finemente tritato che dona un tocco d’aromaticità pungente al piatto, mentre altri ingredienti opzionali, come il mango o i crostacei, son tutte valide varianti della ricetta classica. Si serve a temperatura fresca, spesso con contorno di patate dolci e mais arrostito che stemperano piccantezza e acidità. E nel caso non ci si trovasse a Lima nei pressi di qualche Cevicheria, si può gustare dell’ottimo Ceviche anche in Italia. A Milano spicca “Pacifico”; i tre ristoranti dello Chef peruviano Jaime Pesaque, anima gastronomica del gruppo, sono anche a Roma e a Porto Cervo. Il piatto è servito altresì da “Inkanto”, dove classici del Perù e influenza nikkei si fondono in proposte interessanti e da “Canteen”, che propone piatti tipici messicani dallo spirito internazionale.

Elon Musk

AZIENDA AGRICOLA COS

S.P. 3 Acate-Chiaramonte, Km. 14,300

97019 Vittoria (RG)

TEL 0932 876145

info@cosvittoria.it

IL BUON VINO… di LUCA GARDINI

Conosciuto anche come The Wine Killer, grazie al successo del suo sito, redatto interamente in lingua inglese e dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo, GardiniNotes. com, Luca Gardini è oggi uno stimato wine-critic a livello internazionale.

Terre Siciliane IGP

Frappato 2022

PUNTEGGIO 95/100

prezzo € 19

Un Frappato in purezza dalla stilistica unica, fermentato ed affinato in cemento, dotato di ampio corredo varietale ed encomiabile pulizia di fattura. Olfazione che attacca su note di marasca sotto spirito, con tocchi di zest di clementina, pepe nero ed eucalipto. Alla beva è succoso-salmastro, con ritorno balsamico-agrumato e piacevolissima persistenza. Davvero perfetto con un classicone della cucina ragusana come i cavati al sugo.

Grandi paladini della viticoltura in conduzione biodinamica, COS nasce nel 1980 dai tre amici Giambattista Cilia, Cirino Strano e Giusto Occhipinti, i quali, giovanissimi, devono i loro esordi alla fiducia di Giuseppe, papà di Giambattista, che concede loro l’affitto di vigna e cantina di famiglia per imbottigliare la prima annata. Sono poco meno di 1500 bottiglie, ma è l’inizio di un’epopea di successo, che porta COS a valorizzare il territorio di Vittoria di Ragusa tramite un lavoro omogeneo tra campagna, dove la vigna è accompagnata alla ricerca di un equilibrio che è anche, propiziamente, sintomo di corretta interconnessione con l’ambiente, e la cantina, dove, tra le prime realtà italiane, la stilistica è guidata dall’utilizzo della tradizionale anfora in fase di vinificazione ed affinamento (successivamente affiancata da altri vasi vinari, in cemento vetrificato), recipiente capace di esprimere le caratteristiche più veraci di questo fazzoletto di terra. Frappato e Nero d’Avola, innanzitutto, oltre a Grecanico e Inzolia (ma anche Cabernet e Merlot, che entrano con il Frappato nel blend del Maldafrica), sono le varietà coltivate nei circa 40 ettari aziendali, declinati in poco meno di 200 mila bottiglie annue, con tipologia-regina il Cerasuolo di Vittoria, unica DOCG isolana, che negli anni, anche grazie ad attenzioni peculiari nell’assemblaggio, ha raggiunto punte qualitative di rilevanza assoluta. Altra punta di diamante è il Terre Siciliane IGP Pithos Bianco, Grecanico vinificato ed affinato in anfora, vino magnetico e di grande personalità, che evidenzia un’olfazione che si apre su note fruttate di susina gialla, poi timo, fiori di zagara e tocchi di noce moscata, alla bocca salmastro, con ritorno fruttato-floreale. COS è ora realtà-simbolo, punto di contatto tra l’artigianato della tradizione e la ricerca di una viticoltura sostenibile e di impeccabile rigore stilistico, decisamente proiettata verso il futuro.

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COS
A sinistra Cirino Strano e a destra Giambattista Cilia.
BLEND CRIOLLO 80% - PREMIO TAVOLETTA D’ORO 2023 PER LA CATEGORIA “CIOCCOLATO FONDENTE”.

IL GRANDE FREDDO

Buoni da gustare ma anche belli da vedere. Con i primi caldi scatta la voglia matta di ghiaccioli e gelati. Meglio se artigianali, con fermentazioni e infusioni che accontentano puristi e sperimentatori.

Comfort food per eccellenza, quest’estate il gelato artigianale guarda al passato senza nostalgia, bensì per riportare in auge i gusti della tradizione. Gli stecchi tornano a colorare le vetrine delle gelaterie con la loro forma classica, reinterpretati da abbinamenti di sapori sempre più ricercati. Come il Ribes Nero dei Peckarelli di Peck, realizzato nel laboratorio di via Spadari a Milano con la direzione creativa del pastry chef Galileo Reposo, oppure lo stecco al cioccolato fondente e polline disponibile nelle insegne milanesi di Gusto17. Secondo Massimiliano Scotti di Vero Latte assisteremo al revival di Stracciatella e Malaga, mentre si faranno largo gusti legati ai sapori di una volta come la sua ricetta dedicata al Riso e latte, creata con soli tre ingredienti a filiera corta, profondamente connessi con il territorio. Un gusto che parla di “terroir”, termine che l’alta gelateria prende in prestito dal mondo del vino per valorizzare eccellenze italiane come le amarene di Modena, utilizzate da Stefano Guizzetti di

Ciacco Gelato insieme con il riso nero varietà Otello, aroma di rosa e gelatina al Bonarda. Oppure il pistacchio di Gelateria Mille a Ve rolanuova (Brescia) proposto solo in purezza per esaltare il singolo ingrediente: realizzato con base acqua e un blend di pistacchi sici liani, alla ricetta viene aggiunto solamente del sale di Trapani presidio Slow Food. Oltre che tradizionale, quest’anno il gelato artigianale è healthy, senza rinunciare al sapore. Günther Rohregger di Gunther Gelato Italiano, nelle ri cette alla frutta elimina completamente i grassi animali per venire incontro ai palati vegeta riani, creando sorbetti leggeri e dalle intense sfumature sensoriali. Gusto17 impiega invece il miele di acacia di Giorgio Poeta in sostituzione agli zuccheri raffinati. Il risultato? Meno calorie e nessuna sovrastruttura ad alterare l’essenza delle materie prime. Infine, chi preferisce osare con fresche novità, potrà sperimentare ricette fermentate a base di kombucha o al tè Lapsang Souchong che Massimiliano Scotti abbina a un sorbetto al lampone. Per non parlare delle infusioni di Stefano Guizzetti, che estrae aromi della memoria da ingredienti non edibili (come la terra) stimolando intensi ricordi. Delle madeleine proustiane in versione contemporanea, da gustare in cono o coppetta.

Secondo Confartigianato, i gusti disponibili sul mercato sono circa 600.

Tra questi, i più richiesti sono cioccolato, nocciola, limone e fragola12. I gusti più originali e insoliti, sono il gelato all’anguilla in Giappone, il gelato al formaggio in Francia, il gelato al wasabi in Cina, il gelato al basilico in Italia, il gelato al curry in India e il gelato al bacon in America.

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PRODOTTI
QUANTI GUSTI DI GELATO ESISTONO AL MONDO?

COCKTAILS & DREAMS

UNA LETTERA CHE VALE DUE MONDI

Attraverso un minuscolo carattere passa l’enorme differenza tra whiskey e whisky.

Avrete senz’altro notato, scorrendo gli ingredienti dei cocktail inclusi in liste di buon rango, l’alternanza apparentemente rapsodica delle diciture whiskey e whisky. Ebbene, non si tratta di errori di stampa, e conoscere la gigantesca differenza che una sola lettera comporta, può aiutare a navigare le increspate acque che vi separano dalla scelta del vostro drink.

Con il termine whisky si fa riferimento al distillato che ha origine in Scozia: esso è prodotto esclusivamente da malto d’orzo, affronta una doppia distillazione, ed è occasionalmente caratterizzato dalla torba, il residuo salmastro delle coste scozzesi, che viene incendiato e il cui fumo viene poi diretto verso le botti piene, donando al contenuto i tipici sentori di fumo e sapidità. Ne deriva quindi una beva ruvida, di gran carattere e dalle meravigliose venature saline, intense, asciutte. Pur non appartenendo alla nazione, ma in quanto rispettosi del metodo, si denominano whisky anche i distillati canadesi e giapponesi. Quando i distillatori europei approdarono nel Nuovo Mondo, portarono con sé il sapere della tradizione. Vi trovarono il mais, già conosciuto e coltivato dai Nativi Americani, soprattutto nell’attuale stato del Kentucky, e lo sostituirono al malto. È questo allora il bourbon whiskey (almeno il 51% di mais) che dà in prestito la dicitura al cugino rye (a base segale), entrambi tipici degli Stati Uniti. Il termine whiskey si utilizza anche per la versione originale, quella irlandese, che prevede un blend di orzo maltato e non maltato, oltre a una tripla distillazione. Il sorso è ben più morbido, avvolgente, pieno. Entrambe le varianti trovano la propria egregia collocazione in miscelazione: lo scotch whisky vive in classici leggendari come il Rob Roy (con vermouth rosso e bitter d’Angostura, che diviene Bobby Burns se si aggiunge il liquore DOM Benedictine) o l’Affinity (in parti uguali con vermouth dolce e vermouth dry). Pur altrettanto versatile, il bourbon whiskey è invece sinonimo di uno dei cocktail più iconici della storia da bere: l’Old Fashioned.

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di Carlo Carnevale Un Old Fashioned, a base bourbon whiskey

GASTROCKNOMIA

GASTROCKNOMIA:

QUANDO IL CIBO SI ABBINA AL ROCK

Pensate all’ “Ice Cream Man “di Tom Waits capace di dipingere un gelato “So Good It’ll Blow Your Mind” così buono che ti farà impazzire, o all’immenso Prince compositore di due brani intitolati “Peach” e “Cream” agli Smashing Pumpkins e al loro omaggio alla maionese.

Se credete che possano non solo esistere ma anche coesistere due mondi come il cibo e il rock, questa diventerà la rubrica che fa per voi. Mossi dall’entusiasmo, dalla voglia di condividere sempre e comunque, i consumatori di musica e gli appassionati di gastronomia, in tempi digitalizzati e social, sono legati dalla voglia di documentare.

Provate a immaginare un concerto dei Pearl Jam, o di Miley Cyrus e pensate contestualmente alle loro hit non ascoltate ma fotografate. Per il mondo dei food influencer avviene praticamente lo stesso, e il canovaccio è similare: si scattano foto e si caricano immagini prima ancora di assaporare il piatto.

Questo proselitismo di “condivisione del gusto” e del piacere personale ci ha reso più aperti e allo stesso tempo smaniosi di far parte di un gruppo. Questa sorta di “appartenenza” ci ha inoltre restituito più esperti e tecnici. Capiamo tutti (o qua si) quando un piatto è autentico, e in genere più artigianale è meglio è. Questa smisurata attenzione per la “focaccia ben lievitata” e per i “buchi della lievitazione” è ormai para gonabile all’interesse per chi fa musica, per come la fa, per come ci viene recapitata e per come viene pubblicata sulle

piattaforme social. In tanti sostengono che il cibo nelle canzoni rock sia un continuo di doppi sensi sessuali, noi crediamo che i doppi sensi siano analisi precise e dirette. Quello che è certo è che nessun follower potrebbe perdonare a un influencer di mentire sul cibo. Questo per dirvi che, l’identità culturale si esprime anche attraverso le abitudini gastronomiche e i momenti conviviali trovano ampio spazio nell’arte e nello specifico nella musica rock. Buon cibo e sopraffina musica sono due arti da sempre in perfetta sintonia, l’una al servizio dell’arte quale fonte ispirativa, metafora o semplice supporto. Chiudendo gli occhi possiamo utilizzare il potente strumento dell’immaginazione e immergerci nei banchetti rinascimentali dove musica, cibo e vino accompagnano le pietanze dei commensali. Gioacchino Rossini ha coniugato prima di tutti cibo e musica. A distanza di secoli nulla è per fortuna cambiato. GastRocknomia vi farà sorridere, vi farà riflettere, vi racconterà curiosità e scoverà tanto rock che poggerà le sue fondamenta sul cibo.

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GUERIDON E DINTORNI

UNA BOLLICINA DA PODIO DI FORMULA 1

Si parla da tempo di emergenza di sala, del fatto che le nuove generazioni non siano così appassionate del lavoro di sala, che lo chef è la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono, mentre invece un fulcro importante della fortuna di un ristorante è anche e soprattutto il grande lavoro di accoglienza che si opera nella sala del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica non per parlare dei soliti argomenti ma per chiedere agli uomini e attori principali di questo straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità che stimolano e ravvivano questo mondo.

Oggi ne parliamo con Manuele Pirovano, sommelier e restaurant manager del Ristorante D’O di Davide Oldani dal 2004.

Caro Manuele come hai iniziato questa professione e perchè ?

Dei miei cugini hanno sempre avuto un ristorante e fin da quando sono ragazzo, per ogni ricorrenza, la mia famiglia si è abitualmente recata lì per festeggiare. Quindi ho sempre respirato un clima di “familiarità” con la sala di un ristorante. essendo un parente, avevo libero accesso a tutte le aree del locale e da subito fui stregato dal mondo della ristorazione. Il caposala in particolare attirava la mia attenzione, un personaggio in grado di tenere da solo tutto un locale sotto controllo, conosceva le ordinazioni di tutti i tavoli, cosa mangiava e cosa beveva la gente, perfino i nomi dei festeggiati del giorno e soprattutto sapeva come farli felici. La scuola alberghiera venne di conseguenza, con le prime stagioni lavorate proprio nel locale che mi aveva fatto prendere quella strada! Strada segnata poi, proprio a scuola, da un incontro che cambiò il mio futuro. Quello con Giuseppe Vaccarini che mi fece innamorare del mondo del vino. Il tuo bilancio di questi 21 anni di carriera qual’è ?

Il bilancio è molto positivo, ho fatto e sto facendo quello per cui ho studiato e che più mi dà soddisfazione nel quotidiano. Il lavoro che faccio mi fa vivere spesso grandi esperienze e mi lancia continuamente nuove sfide! Ho trovato in Davide Oldani una persona che mi ha dato fiducia e che mi ha fatto crescere professionalmente di pari passo con il D’O. Tutto il team del ristorante è sicuro che il meglio debba ancora venire; questo il pensiero che ci dà la carica giornaliera per cercare di migliorarci sempre. Hai degli aneddoti, curiosità, episodi che ti piacerebbe condividere con noi ?

Mi piacerebbe raccontarvi di quella volta in cui mi cadde una bottiglia di Franciacorta dalle mani appena aperta.. era un Rosè... me ne ricordo come se fosse ieri, anche se saranno passati più di 15 anni. Era presto, primo tavolo della sera seduto all’angolo della sala, ordina velocemente e sceglie anche una bottiglia di Franciacorta. Io arrivo sicuro al tavolo, presento la bottiglia e inizio ad aprirla mentre racconto un po’ di info sul prodotto.. 3..2..1.. succede il patatrac, mi distraggo per un secondo e la bottiglia stappata mi cade in mezzo ai piedi rimanendo in verticale. Parte un getto di Franciacorta potentissimo, che prima mi bagna la faccia e poi arriva fino al soffitto, ricadendo sul cliente! Lui cerca

di proteggere lei alzandosi la giacca e usandola come quando provi a coprirti dalla pioggia che ti coglie senza ombrello nei temporali estivi. Poi la magia di un momento che non mi dimenticherò mai.. Io sono nell’imbarazzo più completo, ma mi esce un “mi hanno detto che sul podio della Formula Uno si fa così..” loro scoppiano a ridere e tutti inzuppati di Franciacorta Rosè, si baciano. Ovviamente poi abbiamo fatto cambiare tavolo ai clienti, abbiamo offerto un’altra bottiglia e ci siamo presi carico dei costi di lavanderia degli abiti; ma loro sono stati davvero incredibili, non mi hanno colpevolizzato e mi hanno tolto dall’imbarazzo con la loro risata e il loro bacio. Da quel giorno però presto la massima attenzione quando apro qualsiasi sparkling wine, perchè imparare dai propri errori è il miglior modo per innalzarsi professionalmente.

Adesso ti chiediamo un ricordo … il ricordo di un grande uomo o una grande donna di sala che ti ha impressionato, nel tuo lungo girovagare per ristoranti, e perché ti ha impressionato Ci sono tanti grandissimi professionisti di sala, specialmente in Italia, ma se devo citarne uno, chiaramente dico Antonio Santini, lui incarna l’oste per eccellenza. Al Pescatore ha accolto e tutt’ora accoglie e fa sentire a casa tutti gli avventori con una quantità di aneddoti e racconti da stare ad ascoltarlo per un anno di fila.

La domanda più curiosa, pertinente e intrigante che ti ha fatto un cliente ? e cosa gli hai risposto ?

Spesso la gente mi chiede come si fa a rimanere aggiornati in un mondo così vasto come quello del cibo e delle bevande. La risposta è sempre la stessa: con la passione per quello che fai! Mi piace girare e vedere cosa succede nelle cantine, negli altri ristoranti e in tutti i luoghi dove si lavora con l’obiettivo della qualità, viaggiare e cambiare punto di vista apre la mente e non la fa sedere sull’abitudine. Ho imparato e imparo tantissimo dai clienti, che mi fanno spesso scoprire prodotti nuovi o poco conosciuti, mi mandano a casa con la voglia di mettermi a cercarli e di studiarli. Davide Oldani e gli altri membri “storici” del team del D’O sono come me o forse io sono come loro. Così ogni giorno c’è una novità, una nuova scoperta, qualcosa da provare insieme … così non ci annoiamo mai e dopo 20 anni non sappiamo cos’è la monotonia!

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di Alberto Cauzzi

TERRITORI A TAVOLA VICENZA di Matteo

Re dei piatti della tradizione è il baccalà, conosciuto appunto come “il baccalà alla vicentina”. Un secondo di pesce saporito e aromatico, molto amato anche fuori regione; a dispetto di quanto il nome possa lasciare intendere, viene preparato con lo stoccafisso, merluzzo essiccato al vento. Si tratta di un piatto con una ricetta leggermente lunga e laboriosa, quattro ore di cottura, ricoperto di latte, con cipolle stufate e alici. Per un piatto così ricco di sapori e non di facile accostamento, spazio per gli amanti dei calici al vitigno vespolaia (in particolare quello delle Breganze) di sapore fresco e un profumo intenso, fruttato, per esaltare le sensazioni gustative eccellenti e non sovrastare il sapore del pesce.

Spostandoci a nord si estende l’altopiano di Asiago, luogo ideale per una vacanza montana e simbolo dell’eccellenza agroalimentare italiana con il formaggio Asiago, quarta specialità casearia a latte vaccino d’Italia. Sull’Altopiano dei Sette Comuni, attorno al sedicesimo secolo, l’allevamento ovino lasciò il posto a quello bovino, ed è proprio da quell’antica lavorazione del latte vaccino che ebbe origine la speciale tecnica casearia che ancora oggi si conserva nelle numerose malghe presenti sull’Altopiano. L’Asiago DOP è appunto un formaggio a pasta semicotta prodotto in due diverse tipologie: l’Asiago d’Allevo con latte parzialmente scremato, dal sapore più deciso e l’Asiago Pressato, frutto della lavorazione del latte intero, che presenta invece un sapore dolce e delicato. La produzione di questa prelibatezza casearia testimonia la sua grande modernità: dall’aperitivo, alla cena gourmet, sono infinti i possibili abbinamenti con piatti adatti ad ogni occasione, da accompagnare con un ottimo vino spumante, come quello prodotto da uve Durella sui monti Lessini.

Tornando in città l’occhio cade sulla torta “putana”, dolce tipico di Vicenza il cui nome ha un’origine controversa. Secondo alcuni, l’epiteto bizzarro deriva infatti da ciò che al suo interno si era soliti mettere: un po’ di tutto, insomma, una sorta di dolce del riciclo, dove non devono mai mancare mele, uvetta e grappa. C’è però un secondo motivo, più folkloristico. Pare infatti che venne chiamata così da un ristoratore di Piazza delle Erbe a Vicenza, in seguito all’esclamazione di un suo cliente che si trovò improvvisamente nel piatto una fetta di questa torta in seguito ad un blackout.

Viaggio alla scoperta del Vicentino, un mix straordinario di arti, natura e gastronomia.

Dalla città del Palladio all’altopiano di Asiago, mete ricche di tesori d’arte, ma anche una destinazione gourmet: tanti i piatti tipici che raccontano la storia del territorio e rendono gustosa una vacanza fuori porta.

Il perfetto menu alla vicentina si conclude sempre con un cicchetto di grappa, tra le specialità artigianali di Vicenza e provincia la distillazione è di casa. Una lunga ricerca e studi nel settore hanno permesso di selezionare distillati particolarmente ricercati e dall’aspetto elegante, proponendo aromi delicati o intensi studiati nei minimi dettagli: grappe giovani o invecchiate, d’uva monovitigno o di frutta, da coltivazioni biologiche e sostenibili che rappresentano una gamma di proposte che rispecchia la ricchezza di questo territorio unico.

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Calzaretta Distilleria Capovilla Grappa di Amarone Mignon Fratelli Brunello Grappa Scura Riserva

Fresca pasta ripiena

Infinite le combinazioni, infinite le preparazioni, infiniti i condimenti. Lasciamo ai matematici l’incombenza di spiegarci quanto è più grande un infinito al cubo del semplice infinito: noi ci inoltriamo in un paesaggio cangiante, italianissimo, nel quale è dolce perdersi.

Ravioli con la finanziera

Valentina Chiaramonte

Consorzio Torino (TO)

Ravioli di agnello da latte, ed erbe selvatiche, il suo fondo e fricassea

Flavio Costa

21.9

Piobesi d’Alba (CN)

Bottoni di zucca, scorfano, ciupin

Jorg Giubbani

Orto

Moneglia (GE)

Ravioli d’erbe con Bruscandoli e Rigaglie

Giuseppe Gasperoni

Osteria del Povero Diavolo

Poggio Torriana (RN)

Ravioli Rossi con la lepre

Antonio Ziantoni

Zia

Roma (RM)

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IL MONDO IN UN PIATTO di Stefano
Cafarri

Feed ‘n’ Food

Se amate cioccolato e zuccheri la pagina Ho voglia di Dolce! diventerà la vostra fonte di ispirazione quotidiana. Valentina Boccia ha inoltre pubblicato un libro di ricette...rigorosamente dolciarie!

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Davide Oldani è uno chef italiano noto per la sua cucina creativa e innovativa. Ha lavorato in alcuni dei migliori ristoranti del mondo e ha guadagnato numerosi premi e riconoscimenti nel corso della sua carriera. Ingegneria e tecnica applicata in cucina!

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Nel giro di pochi anni Diletta Secco è diventata una vera star di Tik Tok. Viene definita la regina della croccantella, una focaccia crunchy senza lievitazione, capace, inoltre, di diventare un trend tutto italiano a livello mondiale. Una star insomma.

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Junkfully è il progetto partorito dai giovani Okiro e Doppiaddi, che, dopo aver lanciato nel 2016 il primo sito italiano dedicato al fast, allo street e al comfort food, sono sbarcati su Youtube e, tra sarcasmo, ironia e tantissime gag, vi accompagneranno in un gradevole viaggio tra fast food, recensioni e curiosità.

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