Weekly Enjoy #021

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Pubblicazione settimanale gratuita #021 - 11 Novembre 2023

Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi Coordinamento Editoriale Digital: Carlo Carnevale Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola Direttore Commerciale: Michele Belingheri

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO Ogni fine settimana, al vostro indirizzo di posta elettronica, vi verrà recapitato il Weekly Enjoy, un magazine con notizie, servizi, approfondimenti e consigli più interessanti della settimana. Chi ha fame di notizie enogastronomiche può mettersi a tavola. Il servizio è gratuito.


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Carlo Carnevale Coordinatore editoriale digital de Le Guide de L’Espresso

VILLA MAIELLA Via Sette Dolori, 30 Guardiagrele (CH) Tel. +39 0871809319 villamaiella.it

VIP: VERY IMPORTANT POSTO di Alberto Cauzzi

VILLA MAIELLA Una questione di famiglia: Villa Maiella offre 14 stanze e un ristorante che richiama tradizione pastorale e avanguardia morigerata, grazie agli sforzi di due generazioni di osti Se cercate Guardiagrele, Abruzzo su Google Maps, il navigatore si blocca nel verde ed è interrotto solo da qualche statale segnalata in giallo. Una località a 600 metri sul livello del mare che non è montagna ma risolleva lo spirito come farebbe l’aria frizzante d’alta quota. Villa Maiella ha 14 stanze tutte deliziosamente arredate, un affaccio sull’omonima cima e un ristorante di legno e vetro che le guide hanno investito con tutti gli onori. Ma soprattutto Villa Maiella è una questione di famiglia. Tinari padre e la moglie Angela sono i capostipiti di una tradizione agropastorale sempre più veicolata dai due figli Arcangelo, in cucina, e Pascal, in sala. Le nuove leve non disdegnano un certo avanguardismo che ha permesso anche la costruzione di una cantina francofila, dall’insolita predilezione per le etichette da dessert e distillati. La chef racchiude nelle sue preparazioni l’avvincente dicotomia del territorio abruzzese fatta di mare e montagna, città conosciute e paesini chiusi nella loro bolla di silenzio per una regione con la tradizione culinaria riluttante al compromesso e dai sapori netti e decisi. Continua a leggere sul sito CHEF: Angela Tinari, Arcangelo Tinari

MENU DEGUSTAZIONE: € 40- 60

VIP: VERY IMPORTANT PIATTO di Fiorello Bianchi

SILURO, MISO DI PANE E SPEZIE RISTORANTE IL COLMETTO CHEF RICCARDO SCALVINONI

Riccardo Scalvinoni e la sua cucina de Il Colmetto, rock and roll, in una nuova dimensione dell’agriturismo Siamo in Franciacorta, nell’azienda agricola Il Colmetto, produttrice di carne, latte, formaggi di capra, frutta, verdura e vino, grazie a diverse tenute con vigneti, boschi, pascoli, serre e frutteti. Un agriturismo di nuova generazione, con un interior design decisamente curato e moderno, che ha scelto di lavorare con uno chef, Riccardo Scalvinoni, che, come un bambino, si diverte con un parco gioco di materie prime di grandissima qualità e freschezza. La sua è una cucina concreta, materica, ancestrale, rock and roll nell’attitudine e nello stile, diretta, potente, senza fronzoli, in una formula innovativa di agriturismo “fine dining”. Il VIP di oggi è con una materia prima non auto prodotta, ma che è assolutamente in linea con l’attenzione dello chef verso l’ambiente e la sostenibilità. Parliamo del pesce siluro, che nel lago di Garda è molto presente, raggiunge anche i due metri di lunghezza ed è catalogato come specie alloctona invasiva. Continua a leggere sul sito

IL COLMETTO Via Finilnuovo, 9/11, Rodengo Saiano (BS) Tel. +39 0306811292

FATTO IN ITALIA L’italianità, soprattutto nel settore dell’enogastronomia, è un patrimonio esportato in ogni curva del mondo. Che si tratti di imitazioni oggettivamente rivedibili, o fulgidi esempi di qualità nostrana, il marchio d’origine dello stivale produce attrattiva, fa quasi rima con qualità, è garanzia quantomeno di curiosità da parte del consumatore. Ovunque, appunto, tranne che in Italia: sarà per noia o per moda, ma bar e ristoranti del nostro paese tendono a proporre e peggio ancora comunicare con inglesismi vuoti, messi a sproposito, che troppo spesso non corrispondono a una vera padronanza linguistica. E l’ospitalità, che dovrebbe rimanere l’unico vero credo a prescindere dall’offerta e dalla filosofia di prodotto, finisce con il soffrirne: a cosa serve parlare di texture o vision, se all’ospite non si riesce davvero a raccontare ricette o idee? È davvero cool realizzare piatti con crunch o miscele con più flavor, se l’ospite (a maggior ragione non italiano) andrà via con un’esperienza parziale, magari buona, ma non completa di tutte quelle attenzioni che vanno descritte, divulgate, fatte percepire? La contaminazione è una ricchezza inestimabile, lasciarsi ispirare da ciò che altro è linfa per una dimensione così creativa come quella del mangiarbere: ma altrettanto lo è conservare un’identità e arricchirla. Carlo Carnevale


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CIOCCOLANDIA

di Antonio Franchi

PRINCIPALI PRODOTTI TIPICI A BASE DI CIOCCOLATO IN BASILICATA CHINULIDD Fagottini di pasta di farina di grano duro ripieni di crema di castagne e cioccolato fondente, con miele, cannella, chiodi di garofano e mosto cotto, fritti e spolverizzati di zucchero a velo; tipici della Lucania. MOSTACCIOLI Dolci di forma romboidale formati da una pasta al miele, con noci, mandorle, fichi secchi e uva passa, in diverse varianti, coperta da una glassa di cioccolato fondente. SANGUINACCI Insaccato di sangue di maiale arricchito con zucchero, cioccolato fondente, cacao, cedro candito e spezie; oggi, per motivi sanitari, il sangue è sostituito dalla farina. PIZZICANNELLI Biscotti tipici di Venosa (in provincia di Potenza) a forma di rombo, a base di farina, zucchero, cacao, mandorle, cannella e vaniglia, ricoperti di glassa al cioccolato fondente. SCORZETTE Dolci tipici di Bernalda (in provincia di Matera), dalla forma tondeggiante concava, preparati con albume, zucchero e nocciole, ricoperti di cioccolato fondente; in una variante le nocciole e il cioccolato fondente sono sostituite con mandorle e cioccolato bianco. STRAZZATE MATERANE Biscotti tipici di Matera, a forma di pallina, preparati durante le festività natalizie, a base di farina, zucchero, uova, mandorle e cioccolato fondente.

NEWS

Lamarea: il nuovo ristorantebakery che celebra il territorio

Da Valbruna Limena a Lamarea: una piccola rivoluzione gastronomica Valbruna Limena, un nome noto a tutti gli amanti della cucina locale, è stato trasformato in un nuovo punto di riferimento culinario a pochi passi da Padova, all’uscita della tangenziale e dell’autostrada. Questa rinascita culinaria, che sarà presentata al pubblico il 9 novembre, ha preso il nome di Lamarea, un concetto innovativo che celebra il territorio, mettendo in primo piano la cucina di mare e la panificazione di alta qualità. Aperto ogni giorno alle 7 del mattino, Lamarea offre una vasta selezione di prodotti da forno realizzati con lievito madre, che non ha nulla da invidiare alle migliori pasticcerie della città. Un viaggio sensoriale lungo l’arco della giornata. Il cuore pulsante di Lamarea è la sua bakery con cucina, dove l’arte della panificazione incontra la creatività culinaria. Durante la giornata, il locale offre una continua serie di prelibatezze, dai lievitati salati a cicchetti perfetti per l’aperitivo.

PERSONAGGI

FOSCO SCARSELLI Nel 1919 a Firenze, il Conte Camillo Negroni si fermò al Giacosa, il fu’ Caffè Casoni. Affezionatissimo cliente del bar, domandò da bere e siccome il solito Americano gli era ormai venuta a noia, chiese al barman Fosco Scarselli di irrobustirlo con del Gin. Sebbene la storia abbia relegato Fosco Scarselli tra gli inventori del cocktail più famoso di tutti i tempi, egli fu nave scuola ed ispirazione per le future generazioni della mixology. In quel bar che era anche, bottega e aromateria, Scarselli centrò perfettamente la differenza tra distribuire bicchieri dietro il bancone ed essere bartender. Comprese che non si trattava di una figura statica bensì che doveva mutare in base al cliente, esserne lo psicologo, capirne il carattere. Fondamentale era indovinarne i gusti concependo delle creazioni in grado di fungere da panacea per l’anima. Scarselli costituisce l’archetipo del barman moderno: affezionato al proprio pubblico, devoto ai liquori, fedele al bancone. Rimase in Via Tornabuoni per la maggior parte della carriera fin quando Ugolino della Gherardesca gli propose nel ’33 di lavorare al bar del suo golf club. Il Giacosa è sopravvissuto alle mode per oltre due secoli finché, nel 2017 ne è stata decretata la chiusura. Si susseguiranno le botteghe, i negozi ma immutabile verrà ricordato come uno dei luoghi dove Scarselli è stato protagonista di una pagina della modernità.


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LE BUONE COSE… di ANDREA GRIGNAFFINI

TUTTA COLPA DELL’OCA

L’esperto svela tutti i segreti per preparare e gustare al meglio gli ingradienti della settimana.

L’oca con il suo gusto particolare si presta a ghiotte creazioni; cucinata per lo più in forno, spesso accompagnata da patate arrosto e composta di mele, è ottima anche per il ragù e in versione salame o prosciutto.

Un futuro santo talmente umile da rifuggire le “promozioni” e una manciata di palmipedi che lo stanarono. Ecco i protagonisti della popolarissima leggenda cristiana legata all’11 Novembre, quella di San Martino e delle oche, che narra di come Martino, monaco umile e dimesso, non appena acclamato vescovo “a furor di popolo”, si nascose in un pollaio poiché non voleva assolutamente abbandonare il saio. Fu un branco di oche che cominciando a starnazzare a più non posso a farlo scovare dai compaesani, e a lui toccò rivestire l’importante carica ecclesiastica. Come finisce la storia? Diventato vescovo della città di Tours, Martino fu in seguito santificato per la sua proverbiale generosità e benevolenza; alle oche spettò un destino un po’ diverso, poiché nel giorno di festa dedicato al Santo divennero il piatto forte di lauti banchetti. Già da secoli, antiche tradizioni del mondo rurale non solo correlavano la data a un momento di passaggio, segnando la fine del lavoro nei campi e l’inizio del periodo del rinnovo dei contratti

agricoli, ma anche alla celebrazione di una sorta Capodanno contadino (l’11 Novembre è la vigilia del primo giorno di digiuno prenatalizio e anche la data della ricorrente “estate di San Martino”), ricollegando da sempre la giornata al rito di consumare oca; le cui carni abbondavano sulle tavole festanti, fornendo le riserve di grasso e quelle proteine che difficilmente avrebbero impinguato la dieta dei braccianti durante l’imminente inverno. Questa usanza diffusa un po’ ovunque nel Belpaese era particolarmente sentita, e lo è tutt’ora in alcune regioni del Nord. L’oca con il suo gusto particolare si presta a ghiotte creazioni; cucinata per lo più in forno, spesso accompagnata da patate arrosto e composta di mele, è ottima anche per il ragù e in versione salame o prosciutto. In onore di San Martino, i lombardi la stufano assieme alle verze - al posto del maiale - nella classica cassoeula. Quale che sia la ricetta preferita, l’importante è onorare la tradizione, perché si sa: «Chi no magna oca a San Martin no’l fa el beco de un quatrin».


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Podere Forte - Agricola Forte S.S. Loc. Petrucci, 13 Castiglione d’Orcia (SI) tel. 0577 8885100 podereforte@podereforte.it

IL BUON VINO… di LUCA GARDINI Conosciuto anche come The Wine Killer, grazie al successo del suo sito, redatto interamente in lingua inglese e dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo, GardiniNotes.com, Luca Gardini è oggi uno stimato wine-critic a livello internazionale.

ROCCA D’ORCIA DOC VILLAGGIO 2021 PUNTEGGIO 95 /100

prezzo € Sangiovese in purezza, lavorato esclusivamente in legno di rovere francese, che racconta impagabilmente, in tutte le sue sfumature, il territorio da cui proviene. Al naso offre sentori di gardenia e visciole, con richiami salmastri e una chiusura mentolata. In bocca è teso ed elegante, con tannini sottili e piacevoli. Impeccabile l’equilibrio tra freschezza e sapidità, ottima la bevibilità. Ideale l’abbinamento con un classicone della Val d’Orcia come i pici al ragù di chianina.

ANFITEATRO STEINERIANO Un eccellente progetto di sostenibilità è alla base della cantina-simbolo guidata da Pasquale Forte, calabrese di origine, imprenditore di successo in Lombardia (ha fondato Eldor Spa, leader nel settore delle soluzioni innovative e a basso impatto ambientale per l’Automotive), dalla fine degli anni ’90 cuore e mente di Podere Forte, paradiso biodinamico collocato a Castiglione, nel centro della Val d’Orcia, responsabile di alcune tra le esperienze enoiche più emozionanti degli ultimi anni. Vini eccezionali, quelli pensati e realizzati da Pasquale, non semplicemente certificati bio, ma esiti di un ecosistema rarissimo, ispirato a principi steineriani di autosufficienza energetica e a ciclo chiuso, con assenza di uso di chimica, produzione interna del compost e dei fertilizzanti grazie al riciclo degli scarti delle lavorazioni e flora di grande varietà, in cui numerose specie convivono produttivamente. Un mondo in cui, ispirandosi all’idea del podere romano, artigianato e sapienza antica vanno di pari passo con l’uso di tecnologie di vinificazione avanguardistiche in cantina, di suo un piccolo gioiello di efficienza. L’esito è all’altezza di una così raffinata progettazione, prodotti tridimensionali, insieme equilibrati e di personalità, figli di uno scenario incontaminato. Su tutti l’Orcia DOC Petrucci Anfiteatro, prodotto di un vigneto spettacolare disposto ad anfiteatro greco, con il suo naso di pepe nero e duroni, con tocchi di chinotto e sanguinella, teso al gusto, con tannini salmastro-salini e un ritorno fruttato-agrumato sul finale.


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THE ITALIAN TRAVELLER

L’OKURA HOTEL DI TOKYO:

BANDIERA NAZIONALE DI OSPITALITÀ E LUSSO di Chiara Buzzi

Un tuffo nell’ospitalità giapponese, che coniuga design e attenzione al dettaglio: l’Okura Hotel di Tokyo Visitando il Giappone una delle prime differenze che salta all’occhio è la diversa concezione dell’architettura degli interni, del design ad essa connessa e quindi degli oggetti che animano e arredano un ambiente. L’Okura Hotel di Tokyo è in qualche modo una tappa imprescindibile se lavorate in questo settore e se vi interessa capire meglio, e con uno sguardo retroattivo, come si relazione l’architettura di oggi tenendo presente heritage ed esigenze contemporanee. In un momento in cui i rapporti con gli altri paesi del mondo stavano aumentando, la visibilità del paese era in ascesa così come la sua progressiva internazionalizzazione, Kishichiro Okura (18821963), già presidente all’epoca di diverse compagnie alberghiere, decise di lavorare ad un hotel giapponese nella sua anima più vera. L’Okura Hotel è radicato nell’identità e nella storia del suo paese ma capace in qualche modo di trasmettere i valori della tradizione giapponese al mondo. L’hotel venne inaugurato nel 1962 sotto il progetto dell’allora già famoso Yoshiro Taniguchi il quale progettò la hall principale concependola come “un posto tranquillo dove rilassarsi”. Invece di un’atmosfera vistosa e stravagante, la sensibilità del periodo Heian del design degli interni pensò piuttosto a un’eleganza sobria e pacata. Questo tipo di sensibilità permea tangibilmente ogni angolo dell’hotel, dalla hall dell’edificio principale, ai singoli piani e alle stanze facendone un capolavoro di architettura, arte e abitabilità.L’Okura Hotel venne pensato per essere l’emblema dell’ospitalità giapponese, in grado di poter raccontare tradizioni e cultura ma senza legarsi a canoni troppo antichi e poco funzionali. L’eleganza e il comfort dovevano essere uguali se non maggiori a quelli dei migliori hotel di lusso nel mondo e anche dopo il completo re-styling del 2019 questa incredibile atmosfera sembra non essersi persa. Chi ha avuto la fortuna di vedere questo hotel prima della sua ri-edizione in realtà guarda alle vesti originali con una discreta melanconia ma chi come noi lo ha visitato ora per la prima volta ne è rimasto ugualmente affascinato. Un hotel autenticamente giapponese, capace di conquistare gli ospiti di tutto il mondo con la sua regolarità, il suo razionalismo e il calore dei colori che lo caratterizzano. Kishichiro Okura è stato un pioniere nel trasformare quella che era stata una sua semplice visione in realtà. Suo padre, Kihachiro Okura, fu uno dei maggiori industriali della prima età moderna del Giappone, ed è grazie a lui se il figlio venne fin da subito coinvolto in una serie di iniziative imprenditoriali e manageriali, sviluppando ben presto una lungimiranza di visione e saggezza non indifferenti. Continua a leggere sul sito


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(ALMENO) UNA VOLTA NELLA VITA

CÉDRIC GROLET,

LANCIA UN PASTICCINO AL CAVIALE IN EDIZIONE LIMITATA di Penelope Vaglini

Disponibile nella pasticceria parigina Cédric Grolet Opéra, il primo mignon salato del pastry chef più famoso del mondo è a base di caviale, per celebrare l’ingrediente principale dei prodotti di lusso La Prairie Quando non è impegnato a registrare video reel per i suoi milioni di follower, in fila fuori dalle vetrine dei suoi negozi per accaparrarsi un assaggio dolce, il pasticcere francese (e ormai acclamato food influencer) Cédric Grolet progetta nuove opere d’arte nel suo laboratorio parigino. Celebre per aver affiancato Alain Ducasse come capo pasticcere a Le Meurice e aver vinto numerosi riconoscimenti internazionali come il titolo di Best Pastry Chef ai World’s 50 Best Restaurants 2018, oggi può contare ben quattro boutique che portano il suo nome. Due a Parigi, Le Meurice Cédric Grolet e Cédric Grolet

Opéra, una a Londra chiamata Cédric Grolet at The Berkeley e una a Singapore, all’interno dell’hotel di lusso COMO Orchard. Autore di libri sull’arte della pasticceria, da anni conquista i palati di tutto il mondo con i suoi famosi “trompe l’oeil”, monoporzioni dalla forma di frutti che celano al loro interno ganache, frutta caramellata, cioccolato e una moltitudine di ingredienti differenti. Grazie a una collaborazione con La Prairie, brand svizzero per la skincare di lusso, Grolet si è cimentato per la prima volta con un pasticcino salato. Disponibile in limited edition fino all’8 novembre nel punto vendita Cédric Grolet Opéra al 35 de l’Avenue de l’Opéra, la creazione celebra la nuova Skin Caviar Luxe Cream di La Prairie attraverso l’utilizzo del caviale, ingrediente principe del brand svizzero. Il risultato è un trompe l’oeil a forma di uovo dall’involucro salato che nasconde un tuorlo morbido e una mousse di formaggio Comté, sorreggendo sulla sua sommità le preziose uova di storione. Combinazione di lusso e raffinatezza, ogni morso è una sinfonia di sapori e consistenze che, grazie alla sua estetica elegante, celebra l’unione tra l’alta pasticceria e il mondo della bellezza. Il tutto, racchiuso in una scatola blu cobalto realizzata su misura, colore emblematico della collezione Skin Caviar che, nell’ultimo periodo, è stata oggetto di diverse collaborazioni d’autore. Come The Cobalt House, installazione immersiva dedicata proprio a questa nuance, progettata dall’acclamata designer Sabine Marcelis. Chi è curioso di assaggiare almeno una volta nella vita l’uovo al caviale di Cédric Grolet dovrà affrettarsi: ha ancora pochi giorni per mettersi in fila di fronte alla boutique e acquistare, al prezzo di 17€, la prima prelibatezza salata dello chef.


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COCKTAILS & DREAMS

ATENE MISCELATA di Carlo Carnevale

La capitale greca è da almeno un decennio al top tra le destinazioni per apprezzare cocktail di qualità. Merito anche dell’Athens Bar Show, che ha da poco concluso la tredicesima edizione Culla di civiltà per eccellenza, Atene si è negli ultimi decenni affermata come una delle capitali del bere miscelato nel mondo, forte di una solidissima comunità di bartender e del sostegno dell’Athens Bar Show, che ha concluso la propria tredicesima edizione questa settimana. Grazie a un programma di seminari e masterclass di altissimo livello, Athens Bar Show è uno degli appuntamenti più attesi nel calendario del bar internazionale, e attira ogni anno schiere di professionisti e amatori (nel 2022 furono 12.000 presenze in due giorni). Più forti della terribile crisi che ha logorato la Grecia da inizio anni 2000, i bartender ateniesi hanno saputo costruire una rete di locali di profilo globale, quasi tutti raccolti nel caotico e meraviglioso quartiere di Monasteraki. Di seguito alcune idee, per la prossima volta in cui vorrete perdervi nella imparagonabile energia notturna di Atene. The Clumsies è il capositipite: fondato nel 2014, questo bar multidimensionale ha segnato la strada per la città e la nazione tutta, portando finalmente l’ospitalità della notte ai livelli più alti e slegandola dall’idea di semplice ristorante tipico. Tre piani (con tanto di locale sotterraneo cui si accede tramite una botola posta sul marciapiede, in piena strada) che propongono tre anime diverse, con la sala principale che si trasforma in vibrante club a ridosso delle prime ore della notte. Imperdibile l’Aegean Negroni, dalle tinte blu, in carta praticamente da sempre e simbolo della rinascita della cultura cocktail ateniese. Girati un paio d’angoli, si trova Baba Au Rum: quindici anni appena compiuti per un locale che più unico non si può. Continua a leggere sul sito


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GASTROCKNOMIA

LE CRESPELLE UNDERGROUND DI CASA WOLFANGO di Giovanni Aragona

“Crespelle” è un brano dei Wolfango inserito nel primo EP della band intitolato È sempre meglio che sia un albero di mele del 2008 Ci sono ricette nate quasi per caso e ce ne sono alcune che vivono di processi lunghi e articolati, quasi chimici. La crespella o crêpes è una ricetta antica che deriva dal latino “crispus” (arricciato) utilizzato per indicare frittate di uova molto sottili e leggere che, grazie alla veloce cottura, tendono a raggrinzire in fretta. Secondo molti studiosi la ricetta risale addirittura al V secolo quando alcuni fedeli, in viaggio, arrivarono a Roma dalla Francia dopo un lungo ed estenuante viaggio a piedi in occasione della candelora. All’epoca, il pontefice Gelasio, ordinò ai cuochi di creare subito dei piatti caldi per nutrire i fedeli e, vista la carenza di ingredienti, con delle sole uova, vennero realizzate delle frittate rigorosamente farcite con zucchero. Solo a metà del XIX sec. la ricetta venne stravolta e dallo zucchero si passò al sale: nascono quindi le crêpes alla Suzette. L’episodio odierno di GastROCKnomia è andato a scovare un brano molto “underground” figlio della cultura indie musicale italia di metà 2000. La band dei Wolfango vede la luce nel 1993 quando la band milanese venne scoperta da Giovanni Lindo Ferretti dei CCCP. Il gruppo è composto da Sofia Maglione alla voce, dal bassista Marco Menardi e dal batterista Bruno Dorella. Il gruppo dei Wolfango destò attenzione per l’originale proposta naif in un periodo un po’ troppo serioso dell’underground musicale italiano

proponendo un rock alternativo infarcito di noise e indie rock. La ricetta dei Wolfango piace al pubblico e, nel giro di dieci anni la band confeziona tre album in studio (il disco omonimo del 1997, Stagnola del 1999 e Alza su Yeah del 2017) e due iconici EP (È sempre meglio che sia un albero di mele del 2008 e l’omonimo del 2009). Scovando proprio all’interno delle sei canzoni che infarciscono il primo EP dei Wolfango, abbiamo rintracciato una pietra miliare. La canzone in questione omaggia, come già anticipato, delle crespelle: quarta canzone dell’EP della band meneghina. L’EP è stato registrato in casa con un semplice Tascam 4 piste su cassetta e riversata poi su CD masterizzato, e vede un notevole cambio di stile: vengono abbandonati i ritmi incalzanti e martellanti dei precedenti lavori a favore di un rock cantautoriale pulito, dove il basso diventa lo strumento chiave del sound del gruppo. Continua a leggere sul sito


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https://guideespresso.it/wp-content/uploads/2023/09/SITO1-3.jpg GUERIDON E DINTORNI

UNA FERRARI NEL POSTO SBAGLIATO di Alberto Cauzzi

Si parla da tempo di emergenza di sala, del fatto che le nuove generazioni non siano così appassionate del lavoro di sala, che lo chef è la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono, mentre invece un fulcro importante della fortuna di un ristorante è anche e soprattutto il grande lavoro di accoglienza che si opera nella sala del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica non per parlare dei soliti argomenti ma per chiedere agli uomini e attori principali di questo straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità che stimolano e ravvivano questo mondo. Oggi ne parliamo con Luca Vissani, Restaurant Manager e direttore di sala del Ristorante Casa Vissani di Baschi.

Caro Luca come hai iniziato questa professione e perché? Raccontare i miei percorsi è sempre emozionante, soprattutto se questi sono stati vissuti con grande passione, umiltà e quel pizzico di malizia, che non guasta mai. Sono nato a Roma il 27 agosto 1977 e subito trasferito nella bellissima Umbria, a Civitella del Lago, nel comune di Baschi, dove nel 1963 prendeva avvio l’azienda di famiglia. Sin da piccolo, all’età di 12 anni, inizio a vivere l’azienda avvicinandomi subito alla sala e i miei genitori sono stati l’unico punto di riferimento, illustrandomi al meglio tutte le eccellenze, peculiarità ed eventuali problematiche che avrei potuto incontrare lungo il mio cammino. La mia gavetta inizia nel ristorante “Il Padrino” di mio nonno Mario, dove il servizio era curato ma allo stesso tempo immediato e informale, e dove le persone da servire erano molte. Con il crescere della mia formazione, mio padre mi diede la possibilità di avanzare e quindi esprimere la mia passione all’interno della famosissima saletta rossa “Vissani” che fino ad allora mi era solo permesso sbirciare dalle vetrate. Naturalmente al “Vissani” era un’altra musica, il servizio era ed è tutt’ora basato sulla massima attenzione al cliente, cortesia, disponibilità ma soprattutto tanta, tanta conoscenza, discrezione ed umiltà. A un certo punto della mia crescita professionale decido di migliorare le mie conoscenze e quindi entro in cucina e inizio a girare le partite e a capire cosa è realmente la ristorazione, cosa significa selezionare la materia prima, allestire le preparazioni, cucinare. Cosa significa organizzare un menu e comunicarlo con la nostra passione. Per circa due anni rimango in cucina al fianco di mio padre e grazie a lui inizio a girare il mondo, arricchendo il mio

bagaglio culturale di grandi esperienze internazionali fatte di professionisti ed eccellenti realtà. Trascorso questo intenso periodo, ritorno al mio grande amore, la sala. Il tuo bilancio di questi 30 anni di carriera qual è? Il bilancio è estremamente positivo, ci mancherebbe, per uno che ha visto la nascita di Vissani nel 1974 quando nella ristorazione c’era il buio assoluto e si mangiava solo per sfamarsi, arrivare a tutto quello che abbiamo oggi, non può essere che positivo. Sicuramente, come in tutte le cose, quando si è abituati alla continua ricerca della perfezione a volte si fa più fatica di altri, ma possiamo solo migliorare, il percorso è bello che disegnato, anche se all’orizzonte tante cose mi fanno riflettere. Come sempre le affronteremo e cercheremo di crescere ancora superandole. Hai degli aneddoti, curiosità, episodi che ti piacerebbe condividere con noi? Con mio padre come mentore, ho praticamente una vita di aneddoti e provocazioni accadute qui a Casa Vissani come potete immaginare, una però mi ha veramente fulminato. Arriva un cliente con un Ferrari e nonostante il nostro importante parcheggio particolarmente vuoto, il cliente si piazza sul mattonato antico a ridosso dell’uscita del ristorante. Chiude la macchina e inizia a percorrere la discesa per entrare al locale, quando tutto ad un tratto un tuono squarcia il cielo sereno: era mio padre che con il garbo e tatto che da sempre lo hanno contraddistinto negli anni, inizia ad urlare al cliente che a noi dei suoi soldi non interessava nulla e che se voleva mangiare, doveva prima di tutto spostare la macchina, altrimenti poteva anche andarsene. Continua a leggere sul sito


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Wines Wines of Wines of Altitude of Altitude Altitude Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m. Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m. Alt. del vigneto di Santa Caterina: 550 m s.l.m.

albola.it

@CastelloDiAlbola

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In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di Albola, una delle più alte tenute del Chianti Classico. Qui trovano dimora le espressioni più elevate ed eleganti del Sangiovese di "alta collina", In cima alle colline, nel comune di Radda in Chianti, si trova Castello di caratterizzate da forti pendenze, che godono di importanti escursioni Albola, delle piùnel altecomune tenute del ChiantiinClassico. Qui trovano dimora In cima una alle colline, di Radda si trova di termiche e di un microclima ideale per laChianti, produzione di Castello vini unici, le espressioni piùpiù elevate ed eleganti del Sangiovese ditrovano "alta collina", Albola, una delle alte tenute del Chianti Classico. Qui dimora patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza. caratterizzate pendenze, che del godono di importanti le espressioni da più forti elevate ed eleganti Sangiovese di "altaescursioni collina", termiche e di da un forti microclima ideale la produzione di vini unici, caratterizzate pendenze, che per godono di importanti escursioni patrimonio locale ed espressioni eccellenza. termiche e della di uncultura microclima ideale per la autentiche produzionedi di vini unici, patrimonio della cultura locale ed espressioni autentiche di eccellenza.


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TERRITORI A TAVOLA

di Matteo Calzaretta

PROVINCIA DI BOLZANO Viaggio nell’Italia dei sapori: cosa mangiare a Bolzano, per scoprire un territorio nel cuore del Belpaese, ricco di storia e di enorme valore enogastronomico Risalendo la Penisola dalla provincia di Ravenna e dal Mar Adriatico, giungiamo fino all’estremità nord dove si ergono maestose le Dolomiti. Il nostro viaggio alla scoperta della buona Italia ci porta in Alto Adige ed in particolare a Bolzano. È il capoluogo di provincia più a nord d’Italia, quasi al confine con l’Austria. La sua cucina ha, quindi, risentito delle influenze tirolesi o austriache, ma naturalmente il tutto è articolato in uno splendido connubio con la cucina italiana. Nella cucina altoatesina molti sono i punti di forza, dalle molteplici varietà di pane, alle zuppe di tantissimi tipi, ai prodotti ottenuti dalla lavorazione delle carni, ai formaggi, tutti hanno un elemento comune: la materia prima assolutamente genuina e proveniente dalla stessa regione. Partiamo dal pane, primo tra tutti lo Schüttelbrot ossia “pane scosso”. Questo pane è particolarmente croccante, viene definito così per la lavorazione che segue ancora le regole della produzione originale; la pasta fatta di farina di segale, acqua, lievito, sale ed alcune spezie, viene scossa e sbattuta con le mani, fino ad ottenere la classica forma rotonda e piatta, poi cotta in forno. La caratteristica principale di quasi tutti i pani è l’utilizzo di farine non raffinate di diversi tipi di granaglie come la segale, il miglio, il mais ed il frumento. Le zuppe sono un altro elemento fondamentale che dobbiamo mangiare a Bolzano, servite prima del primo piatto, quasi a voler preparare lo stomaco ad accogliere il resto delle portate. Le zuppe vengono preparate con ortaggi di vario genere come il crescione, i finferli, la cipolla, ma anche l’ortica, i formaggi e patate e pancetta affumicata. Parlando di cosa mangiare a Bolzano, non si può dimenticare uno degli alimenti più rappresentativi della regione, ossia lo speck, prodotto nello stesso modo da generazioni: la carne del maiale viene tagliata in mezzene, che vengono private delle ossa. Le mezzene vengono poi cosparse con una mistura costituita da sale, pepe, miscugli di aromi, aglio, bacche di ginepro, paprica e alloro. Ogni contadino può utilizzare una mescolanza personalizzata. Oltre alle mezzene si possono anche utilizzare le sole cosce. La carne viene posta in una vasca e lasciata in salatura per circa14 giorni. I pezzi di carne vengono cosparsi quotidianamente con il trasudato. Dopo questo periodo si procede alla affumicatura, che inizia anche dopo un mese con fumo ottenuto da ginepro e trucioli di legna. Contemporaneamente si garantisce una costante circolazione d’aria. Dopo la fase di affumicatura si procede ad una fase di stagionatura con un minimo di 4 mesi. Sicuramente tipici di questa zona e conosciuti in tutto il mondo sono i Canederli la cui origine è antichissima, almeno del XVI secolo e probabilmente furono i Boemi i primi a consolidare la ricetta che ancora si usa in tutta la zona dolomitica (in Alto Adige sono chiamati Knödel, cioé gnocchi), usando come ingrediente base il lardo o la pancetta grassa di maiale. Si tratta di grossi gnocchi di pane raffermo che possono essere serviti nella variante dolce o salata. La versione classica presenta un condimento allo speck, con brodo di carne e erba cipollina. Ma molto diffusi sono pure quelli con spinaci o rape rosse, con burro e formaggio fuso, accompagnati da un contorno di insalata cappuccio. Altro piatto tipico altoatesino sono gli spaetzle, ottima alternativa ai canederli. Anch’essi sono gnocchi, ma molto più piccoli, preparati con farina di grano, uova, acqua e spinaci lessati. In Germania questo piatto viene servito come contorno di carne, invece, in Italia è un primo piatto della tradizione. Una versione molto utilizzata nel nostro paese è quella con spinaci, panna e speck.

Parlando di dolci oltre allo strudel di mele, forse il più conosciuto, molto apprezzato è lo Heisse Liebe (Gelato con lamponi caldi). In italiano letteralmente “cuore caldo”, l’heisse liebe è un dolce della tradizione sudtirolese mangiato soprattutto in estate, ma così buono che non vi farete condizionare dalla stagione. Questo dessert ha come base una coppa di gelato alla vaniglia con salsa di lamponi caldi. La caratteristica vincente del piatto è il connubio caldo-freddo che viene a crearsi.

Bolzano è molto legata al suo vino: 510 ettari della superficie urbana sono dedicati alla viticoltura, ben un decimo della superficie vitata dell’intera provincia. I vigneti si estendono dalle colline circostanti fino in città. Due i vini per eccellenza: lo squisito Santa Maddalena, che prende il suo nome dalle dolci colline a est della città, e il vellutato Lagrein. Il pregiato vino viene conservato in botti di legno nelle cantine di Bolzano, che vantano una lunga tradizione, dal nuovo edificio della Cantina di Bolzano alle vecchie cantine del Monastero Muri-Gries. Se parliamo di secondi piatti non si può tralasciare lo stinco affumicato con patate e crauti, pietanza molto sostanziosa, preparata soprattutto d’inverno. Per il vero stinco sudtirolese la carne deve essere cotta a lungo e ben aromatizzata, in modo tale che al palato risulti morbida e speziata. La carne viene servita su un letto di patate arrosto, mentre i crauti vengono lessati con un filo d’acqua e poi viene aggiunto un soffritto per insaporirli per bene.


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ASSAGGI DI LUCE di Stefano Caffarri

Ad astra

Antico strumento di navigazione, Sestante è anche un localino appartato in un “sotoportego” della fascinosa Riva degli Schiavoni, pur afflitta dall’alluvione delle bancarelle di paccottiglia. Cucina di mare e di laguna dunque, con una rotta chiara e luminosa: il sestante funziona, e tocca con garbo e delicatezza sfumature consuete e inedite. Spettacolare proposta di vini del territorio, scelti con rara sagacia.

Seppia scottata e broccoli

Capesante, champignon, pane croccante, zucca, aglio nero

Risotto con panna acida, ragù nero di seppia e melone invernale

Tortello di gamberi

Anguilla, salicornia, borragine, finocchio


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Feed ‘n’ Food

Non solo social ma anche un sito ben curato e alimentato da una mini redazione capitanata da Alessandra. Ricette semplici della porta accanto da seguire e riproporre.

Alessandro ed Alice, ovvero propongono una cucina slow e un modo di vivere ispirato all’universo nordico.

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Sono amici e cucinano insieme dalla prima elementare. Andrea, Lello e Niccolò sono diventati virali nel giro di poco tempo a colpi di simpatia e ottime ricette.

Una pagina ben costruita partorita dalla mente di Ebbin Jose. Un canale incentrato sulla vera esperienza di vita reale. Un reality food delizioso e sempre aggiornato.

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