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Diversamente russi Laura Silvia Battaglia
from L'Espresso 47
by BFCMedia
DIVERSAMENTE RUSSI
DI LAURA SILVIA BATTAGLIA DA TBILISI FOTO DI GIORGI SHENGELIA
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ikita ha poco più di vent’anni e una nostal- sono andato via: prima in Armenia. Ora sono in Georgia N gia canaglia della pioggia a San Pietroburgo. Nemmeno i primi temporali a Tbilisi, dopo un’estate più secca e più lunga del solito, riescono a ridargli le sembianze del giovane che è e non del soldato russo che da due mesi». Nikita è solo uno dei 100 mila russi, stimati dall’ufficio immigrazione georgiano, entrati nel Paese in nove mesi di guerra. Qui li chiamano “generazione Eltsin”. Sono millennials cresciuti a pane e sogni di libertà, ma non solo. Adesso sono riparati in Georgia e, per farsi acsarebbe stato, se avesse davvero voluto. Sorride poco e cettare meglio, da ucraini e georgiani, partecipano alle sghembo, specie quando gli si chiede perché frequenta le manifestazioni, si dichiarano contro Putin, fanno gesti manifestazioni dei rifugiati ucraini in piazza Libertà, come quella di un lunedì sera di ottobre, dopo l’ennesimo bombardamento russo su Kiev in cui ha bruciato il suo passaporto. «Non ricordo esattamente come avessi trascorso le ore precedenti: di sicuro avevo ricevuto ancora altre notizie su ciò che sta accadendo in
Ucraina e ciò che la Federazione Russa sta facendo. Non ne ero sorpreso ma quel giorno l’attacco massiccio sulle città e con tutto questo costante retroscena di violenza mi è sem- eclatanti. Ma non tutti approvano: soprattutto chi si è brato ancora più mostruoso, insopportabile. E visto che conquistato la piazza con il sangue versato dalle proprie vivo adesso in un altro Paese e ho qui il privilegio di poter famiglie in Ucraina. Medea Tasguria, vent’anni, è georgiaesprimere le mie posizioni politiche in libertà e in sicu- na per via materna e ucraina per via paterna. Nella sua rezza, ho pensato che avrei dovuto fare qualcosa». storia e sul suo volto perfetto, tradito dalle mani nervose
Dopo questa azione eclatante, Nikita per ventiquattro ore che lo visitano meccanicamente, è concentrata tutta la è diventato il più famoso tra i residenti russi in Ucraina: il rabbia delle genti confinanti, dei destinati all’eterna consuo volto magro e austero campeggiava su tutti i notiziari quista dell’imperialismo russo. Sul cartele le prime pagine, ovunque sui social la sua azione era ri- lo che espone sempre in piazza c’è scritto: presa e replicata. Puntuali sono arrivate le critiche e i giu- «I miei genitori hanno pagato due volte». dizi. «Non mi interessa piacere a tutti. Qualcuno ha detto «Non credo a tutti questi attivisti russi che che non ho bruciato il mio vero passaporto, altri dicono invadono il nostro spazio di azione. Dicoche faccio gli interessi della Russia, facendo parlare di me no di essere oppositori? Di volere sostenedurante una manifestazione organizzata in favore delle re l’Ucraina? Se lo fossero davvero, per divittime ucraine. Pensino quel che vogliono: non sono un mostrarlo, allora dovrebbero mandare codardo dell’ultima ora. Non ero un fan di Putin già da un soldi all’esercito ucraino. Perché più soldi paio di anni e quando in Russia la misura è stata colma, si spendono in armi, meno soldi si
SONO CENTOMILA I GIOVANI RIPARATI IN GEORGIA. LI CHIAMANO “GENERAZIONE ELTSIN”. MILLENNIALS DICHIARATAMENTE ANTI-PUTIN IN PRIMA FILA AI SIT-IN PRO UCRAINA Laura Silvia Battaglia Giornalista

spendono per sostenere i rifugiati ucraini qui e più in fretta si butta giù Putin dal Cremlino. Ma nessuno di loro lo fa. Non credo affatto nelle loro buone intenzioni». La sua rabbia di attivista a Tbilisi è condivisa da molti georgiani, critici nei confronti dell’atteggiamento morbido del governo locale verso Mosca. Nina Nakashidze, sessantenne manager di Mtavari, la televisione meno filo-governativa del Paese, lo ribadisce non appena ne ha l’occasione, parlando con i media stranieri dello stato sempre più critico della libertà di stampa in Georgia dal 2018 in poi: «C ’è un elefante nella stanza da queste parti: è la pressione di Mosca sui Paesi confinanti che hanno scelto l’Europa, una pressione che si esprime nella penetrazione nei media e nelle istituzioni. Qui ne sappiamo qualcosa. Per questo, l’azione, anche la più meritevole, di questi giovani russi all’opposizione, non diminuisce la mentalità imperialista del Paese. Qui non dimentichiamo le aggressioni su Ossezia e Abkazia. Qui non ci fidiamo non solo di Putin, ma anche dei russi di buona volontà». Il solco di separazione tracciato nel passato lavora anche adesso, nonostante i georgiani non neghino l’accoglienza a nessuno. Così si creano catene migratorie virtuose e i russi che entrano in Georgia con l’unico visto possibile – il turistico, che ha validità massima di un anno – si orga-
FUGGONO DALL’ARRUOLAMENTO FORZATO E SCONTANO LA DIFFIDENZA DEI RESIDENTI MA ANCHE DEI CONNAZIONALI STABILITISI QUI DA MOLTO TEMPO. E TEMONO GLI INFILTRATI DI MOSCA nizzano come possono. Vladymir Dubovskij è il più noto dissidente russo a Tbilisi. Il suo piccolo appartamento in affitto – una casa storica nel centro – è il porto di mare della prima accoglienza: due piccole stanze e molti più letti e materassi. Sorride mentre scansa le luci per il make-up della sua ragazza, russa come lui, dissidente come lui. «Qui cerchiamo di fare del nostro meglio». Vladymir, in Russia, era il responsabile dell’organizzazione delle manifestazioni di Alexey Navalny : «Non sono uno importante ma sono conosciuto. Se non fossi andato via, sarei stato arrestato di certo. Ho avuto la fortuna di capire in tempo che il cerchio si stava stringendo anche intorno a me». Gli chiediamo se non ha timore di essere scovato dai servizi russi fuori patria. «Certamente. Peraltro c’è anche da chiedersi se la Georgia non sia immune da queste infiltrazioni, come invece ha denunciato di recente il Kazakistan. Non ho dubbi che da qui siano passa-

ti e passino ancora. Proprio per questo voglio sfidare il governo georgiano che ha rigettato la mia richiesta di asilo politico. Questa terra deve dare posto ai dissidenti russi, non ai sostenitori di Putin». Se Vladymir non ha timore di esporsi, molti altri si guardano bene dal mettere i manifesti. Tanti chiedono di non essere fotografati: hanno timore per i familiari o per le fidanzate, alla ricerca ancora di una via di fuga da Mosca. Sono soprattutto uomini, giovani e giovanissimi e vivono in rifugi fatiscenti e sotterranei nella città vecchia di Tbilisi, riadattati per sopravviverci dentro senza tanti comfort. Le distrazioni sono poche ma sufficienti: musica, letteratura, internet e birra, parecchia birra. Kostya Skobar e Alexei sono amici, entrambi musicisti. Hanno messo su uno spettacolo che replicano quasi ogni sera nel Centro per migranti del cuore della città vecchia di Tbilisi. Il tentativo è quello di farsi accettare per ciò che si è ma non è facile. «Sto cercando di imparare il georgiano – dice Koysta – vorrei fare capire che sì, sono orgoglioso della mia nazione e della mia cultura ma che mi sento anche come un figliastro. Vorrei fare capire che noi soffriamo e che, grazie anche alla rete e all’apertura verso l’Occidente del nostro Paese negli anni di Gorbaciov, molti di noi hanno sognato un Paese diverso, hanno sperato di essere come tutti gli altri giovani del mondo». La rete, il disgelo, la globalizzazione: sono questi gli anelli della catena intellettuale e storica che accomunano tutti i giovani della generazione Eltsin. Olga Samulik, che a San Pietroburgo faceva l’estetista e qui si barcamena come madre e moglie lo ripete fino allo sfinimento, mentre tiene tra le braccia la figlia di cinque anni. Con il marito, hanno trovato da un mese un appartamento più decente dello shelter in periferia. «Qui però non ci sono russi e certe volte mi trovo in imbarazzo – dice, dinoccolando le sue lunghe gambe – l’altro giorno dalla parrucchiera le vicine parlavano male delle donne russe. Io mi sono fatta piccola piccola. Avrei dovuto raccontare loro la mia storia. Ancora non ho il coraggio». Olga ha confezionato in casa una bandiera russa a due colori. Ha tolto il rosso. «Noi dissidenti la consideriamo simbolica del sangue che il nostro regime fa versare ai civili innocenti. Se vedete uno di noi con questa indosso, alle manifestazioni o su internet sapete esattamente chi siamo e come la pensiamo». Olga ha una collezione di selfie con questa bandiera in tutte le pose. «Ho deciso, mio marito è d’accordo – sorride, regalandogli uno sguardo complice – domani posto queste foto su Instagram».


German scappato perché non voleva fare il militare. Sopra, Olga Samulik, estetista a San Pietroburgo, con la famiglia a Tbilisi. Al centro, Vladymir Dubovskij con altri attivisti. Nell’altra pagina, Alexei, musicista, ha attraversato il confine vestito come se andasse a suonare all'Opera