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I nostri salari bassi mangiati dall’inflazione Gloria Riva

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Cacciari

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vante riguarda la diminuzione dello sconto sui carburanti, che per il mese di dicembre (poi si vedrà) viene ridimensionato da 30,5 a 18,3 centesimi.

Com’era prevedibile, il governo ha invece fatto marcia indietro sul reddito di cittadinanza. La misura di sostegno alla povertà introdotta dall’esecutivo gialloverde nel gennaio di tre anni fa non è stata abolita come promesso dalla coalizione di centrodestra in campagna elettorale. Se ne riparla nel 2024, intanto, per l’anno prossimo, il governo ha annunciato che il taglio riguarderà solo i cosiddetti occupabili, cioè gli assistiti in grado di lavorare, che riceveranno il sussidio solo per otto mesi. Anche in questo caso la correzione di rotta è stata dettata dal timore che la cancellazione totale di un provvedimento a favore dei cittadini avrebbe potuto innescare pericolose derive anche a livello di ordine pubblico.

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Resta aperta la questione di fondo, però. Basteranno le risorse aggiuntive previste nella manovra a proteggere i più vulnerabili da nuovi possibili aumenti del costo della vita? Il futuro prossimo è appeso all’andamento dei prezzi dell’energia. Questa, a detta di tutti gli analisti, è l’incognita più importante sospesa sul sentiero della crescita economica. Come detto, le quotazioni del gas, e quindi anche dell’energia elettrica, sono diminuite di molto dopo i massimi toccati nel pieno dell’estate scorsa. Il deficit della bolletta energetica resta però pesante. Basti pensare che nei primi nove mesi del 2022 il deficit commerciale prodotto dalle importazioni di combustibili ha toccato gli 85 miliardi e ha causato un buco di 31 miliardi nel saldo complessivo export-import del Paese.

Per capire le dimensioni del problema è sufficiente fare un confronto con il 2021. A settembre dell’anno scorso, quando peraltro già si registravano i primi rialzi nei prezzi internazionali del metano, l’Italia poteva ancora vantare una bilancia commerciale in attivo per 41 miliardi di euro e il deficit sul fronte dell’energia non raggiungeva i 3 miliardi di euro (2,7 miliardi) nell’arco dei primi trimestri.

Per i prossimi mesi si naviga a vista. Gli stoccaggi, al momento pieni al 96 per cento circa della loro capacità, assicurano un certo margine di tranquillità, anche nel

SI SGONFIA LA CRESCITA

Tasso di crescita del Pil in percentuale - dati storici e dal 2022 previsioni del governo

6 4 2 0 -2 -4 -6 -8 -10 0,5

-9 6,7

3,7

0,6 1,9 1,3

2019 2020 2021 2022 2023 2024 2025

IL PESO DEL DEBITO

Debito pubblico in rapporto al Pil, previsioni del governo per gli anni dopo il 2021

155

150

145

140 155,3

150,8

147 145,2

143,4 141,4

2019 2020 2021 2022 2023 2024

I N O S T R I S A L A R I B A S S I M A N G I AT I D A L L’ I N F L A Z I O N E

DI GLORIA RIVA

Gloria Riva Giornalista «È iniziato tutto con qualche ora di cassa integrazione covid. L’abbiamo fatta tutti, a rotazione, per evitare che pesasse sul salario di qualche lavoratore in particolare. Poi sono arrivati i rincari delle materie prime e la crisi energetica. Le bollette sono schizzate in alto, così come il carrello della spesa. Non ce la facciamo più», a parlare è Michele Musano, fa l'operaio alla brianzola Capsulit, cento dipendenti, produce tappi per l'industria farmaceutica. È un rappresentante sindacale e raccoglie lo sfogo dei colleghi, tanti signor Cipputi che davvero non ce la fanno più: «la spesa la facciamo al discount, i vestiti possiamo permetterci di comprarli solo online. Per risparmiare qualcosa anche l'assicurazione auto viene accuratamente scelta confrontando le offerte sul web. C’è chi ha tagliato Netflix e Amazon Prime. Via l'abbonamento in palestra, addio viaggi nei weekend e al ristorante si va una volta

MALESSERE SOCIALE

La protesta dei sindacati di base davanti alla sede della Cassa Depositi e Prestiti, il 3 ottobre scorso a Roma, contro l’aumento del costo della vita, del gas e dell’elettricità. Ma anche contro le aziende che traggono profitti dalla crisi caso in cui i flussi di gas provenienti dalla Russia dovessero continuare a diminuire come è successo finora. Molto dipenderà però dalle condizioni climatiche del prossimo inverno. Se tra dicembre e febbraio le temperature non saranno troppo rigide, la domanda di gas per i consumi domestici potrà essere soddisfatta senza pesare troppo sugli stoccaggi. Se invece ad aprile le riserve fossero vicine allo zero, per effetto dei consumi destinati a fronteggiare un freddo particolarmente intenso, la creazione di nuove scorte in mancanza di

RIMANE IL DUBBIO SE LE MISURE PREVISTE NELLA MANOVRA SIANO SUFFICIENTI A PROTEGGERE I PIÙ VULNERABILI DALLA CONTINUA CRESCITA DEL COSTO DELLA VITA

al mese, quando va bene». Ma i sacrifici non bastano mai: «Si lavora otto ore o più al giorno per non riuscire ad arrivare a fine mese. La tensione è palpabile e una pressione così alta sulle rivendicazioni salariali non l'avevo mai percepita», racconta Musano. La sua è un'azienda solida, con buone relazioni industriali, figuriamoci come se la passano i dipendenti di imprese piccole e padronali, dove il singolo deve contrattare l'aumento direttamente con il proprietario. Il Forum Disuguaglianze e Diversità ha pubblicato il Rapporto Bassi Salari, che l'Espresso ha letto in anteprima, e racconta come oltre il 32 per cento dei dipendenti guadagna meno di mille euro al mese. Non stiamo parlando di precari, ma di persone con una busta paga mensile e un contratto regolare, che tuttavia non guadagnano abbastanza per stare al passo con il costo della vita. È povero il 38 per cento degli operai e il 18 per cento degli impiegati. La metà lavora in micro o piccole aziende. Nonostante l'evidente perdita di potere d'acquisto degli stipendi, il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nei giorni scorsi è tornato a ripetere che «l'aumento dei prezzi non si elimina con salari più alti». Affermazioni difficili da comprendere se si legge l'ultimo report dell'Ocse sulla variazione dei salari medi tra il 1990 e il 2020: l’Italia è ultima ed è l'unico paese con un valore negativo, meno 2,9 per cento. Francia e Germania registrano più 31 e 33 per cento e l’Ungheria di Orban, nuova stella polare del governo in carica, segna aumenti del 72 per cento. Da noi finché l’inflazione è rimasta prossima allo zero, il ceto medio ha tenuto botta, ma oggi, con le bollette più che raddoppiate e l’inflazione al 12 per cento, gli stipendi non tengono più il passo dei rincari, portando gli italiani dritti dritti verso austerità e recessione. «Visco, come molti economisti italiani, teme che un aumento dei salari provochi un deficit nella bilancia commerciale, ovvero un aumento delle importazioni e una contrazione dell’export», spiega Leonello Tronti, docente di Economia Politica del Lavoro all’Università Roma Tre, che continua: «È una teoria superata, che si rifà agli anni Ottanta, perché il grosso delle importazioni non è più di beni di consumo, bensì di prodotti per l’industria, beni intermedi e di investimento. Alcune proiezioni dimostrano che, al contrario, al crescere dei salari si ridurrebbero le importazioni, perché le nostre imprese tornerebbero ad avere un mercato interno in crescita, cosa che è assente da almeno trent’anni, ovvero da quando i salari hanno cominciato a restare fermi, se non ad arretrare. Riaccendere la domanda interna incentiverebbe le imprese a reinvestire i profitti in Italia, anziché cercare di farli espatriare per metterli al sicuro da un paese a crescita zero». Non solo i salari non crescono più, ma arretrano rispetto all’inflazione. Questo accade perché gli aumenti garantiti dalla contrattazione collettiva nazionale si basano sull’Ipca, un indice dei prezzi al consumo depurato dal prezzo dei beni energetici importati. Detto altrimenti: i sindacati non possono andare in trattativa e battere i pugni sul tavolo

forniture russe farebbe di nuovo lievitare i prezzi con conseguenze immediate per le bollette di famiglie e imprese.

Intanto, il mese di novembre sta per concludersi con un bilancio migliore del previsto. L’anomalo tepore delle scorse settimane conferma la tendenza al riscaldamento globale in corso ormai da molti anni. D’altra parte, le temperature miti, in ottobre mai così elevate negli ultimi 56 anni nella Penisola, hanno avuto come effetto immediato un forte calo del consumo di gas per riscaldare uffici, negozi e abitazioni. Risultato: in base alle statistiche più aggiornate il sistema Italia ha risparmiato ben 3 miliardi di metri cubi di gas, pari al 5 per cento circa del fabbisogno annuale del Paese. È un buon inizio, anche se nell’ultima decade di novembre il termometro si è riportato su valori più vicini alle medie stagionali.

Le prospettive restano quindi quantomeno incerte con la minaccia incombente di ulteriori rincari dell’energia nei prossimi mesi, che avrebbero l’effetto di provocare nuovi rialzi dell’inflazione. A questo punto, proprio con l’obiettivo dichiarato di riportare sotto controllo la crescita dei prezzi, è ormai certo che la Banca centrale europea decida di intervenire ancora sul livello dei tassi d’interesse dopo i tre rialzi varati tra settembre e la fine di ottobre. I vertici dell’istituzione di Francoforte hanno già annunciato una nuova stretta per dicembre, «ma non sarà l’ultima», ha detto il capo economista della Bce, Philip Lane in una recente

TUTTO DIPENDE DA COSA ACCADRÀ SUL FRONTE ENERGETICO. FINORA IL CLIMA MITE HA TENUTO BASSI I CONSUMI. MA NON SI ESCLUDONO NUOVE IMPENNATE DEI COSTI E QUINDI DELLE BOLETTE

perché la bolletta del gas è decuplicata, questo perché nel 2009 Confindustria, Cisl e Uil hanno deciso di comune accordo di lasciare fuori dalla porta del negoziato i rincari energetici. Ora succede che, ad esempio, i lavoratori del settore elettrico, che da qualche settimana hanno un nuovo contratto - che è fra i più generosi per le tute blu -, fra tre anni avranno una paga più alta del nove per cento: «Vuol dire che neppure loro hanno portato a casa un contratto al passo con l'inflazione corrente», dice Salvo Leonardi, esperto di relazioni industriali della Fondazione Di Vittorio. In generale è il modello della contrattazione che non funziona più, se si considera che ci vogliono 33 mesi per rinnovare i contratti scaduti e che in questo momento ci sono 6,3 milioni di lavoratori in attesa di un rinnovo. Fra questi i dipendenti del Commercio, che sono 2,5 milioni, e del Turismo, altri 800mila lavoratori, due categorie che già soffrono di paghe troppo basse rispetto alla media, e da oltre quattro anni stanno aspettando aumenti in busta paga. Anche dove i rinnovi contrattuali ci sono stati, le cifre concesse ai dipendenti sono troppo basse: «Il contratto di primo livello serve a preservare il potere d'acquisto delle retribuzioni a livelli minimi. Mentre, così come indicato nel protocollo Ciampi del 1993, che ha istituito le regole della contrattazione, si è deciso di affidare alla contrattazione di secondo livello, ovvero quella aziendale o territoriale, il compito di accrescere il potere d'acquisto dei salari. Il problema è che questo doppio sistema non ha funzionato», spiega il professor Tronti di UniRomaTre. Per questi motivi nei prossimi mesi il livello di tensione delle relazioni sindacali potrebbe surriscaldarsi al punto da provocare scioperi a raffica e manifestazioni di protesta proprio nelle regioni più produttive e ricche. Racconta Simone Vecchi della Fiom Cgil di Reggio Emilia, un territorio dove tre operai su quattro hanno la contrattazione di secondo livello (mentre la media nazionale si ferma al 20 per cento), che: «Negli ultimi cinque anni i profitti delle imprese reggiane sono cresciuti cinque volte di più del costo del lavoro. L'esplosione dell’inflazione sta creando una forbice gigantesca fra la miseria degli stipendi e la ricchezza delle aziende, una situazione così non si è mai vista nella storia del paese». La maggior parte delle imprese ha provveduto a scaricare sui clienti gli extra costi provocati dall'inflazione, aumentando i loro listini prezzi: più 15 per cento per la meccanica agricola, più 12 per cento nella componentistica meccanica, più 18 per i motori. E i clienti hanno accettato. «Così le imprese hanno riconosciuto aumenti ai fornitori, che altrimenti bloccano le consegne, e alle multiutility dell’energia, che altrimenti staccano la corrente. Mentre hanno problemi a remunerare il giusto la forza lavoro. A un certo punto, però, se gli operai e gli impiegati non vedono gli aumenti, si fermano», dice Vecchi, che esce da un rinnovo contrattuale alla Nexion di Correggio, una media azienda del settore automotive, costato cento ore di sciopero ai dipendenti. Le risorse degli operai

intervista. L’inverno, quello della finanza, sembra quindi destinato a diventare ancora più rigido. Con effetti pesanti sui conti pubblici e sull’intera economia. Il Tesoro, infatti, sarebbe costretto ad adeguare ancora al rialzo i rendimenti dei Btp offerti agli investitori, facendo lievitare ancora la spesa per interessi e anche un deficit pubblico già rivisto al rialzo per finanziare la manovra appena varata. D’altra parte, diventerebbero più costosi anche mutui e prestiti bancari. A subirne le conseguenze sarebbero le aziende in cerca di nuovi finanziamenti e le famiglie. Queste ultime, tra l’altro, vedrebbero calare ancora la propria capacità di spesa a causa dell’inflazione che erode il valore reale di salari e stipendi. In questa spirale perversa, prevede Bankitalia, i consumi finirebbero per subire una netta contrazione nella prima metà dell’anno prossimo. E a quel punto sarebbe davvero difficile evitare una nuova recessione.

La catena di assemblaggio delle automobili nello stabilimento Fca di Melfi

hanno raggiunto il limite e si preannuncia una stagione di conflitto che il governo non potrà certo tamponare con la detassazione di tremila euro sui fringe benefit. Tradizionalmente i fringe benefit sono sgravi per l’auto o il telefono aziendale, ad appannaggio dell’11 per cento dei lavoratori, per lo più quadri e dirigenti, come stima Sergio Scicchitano, economista di Inapp, che continua: «Solo il 3,5 per cento dei dipendenti ha ricevuto un sostegno per le spese correnti dalle imprese». E allora perché il governo favorisce la detassazione dei fringe benefit? «Chi lavora sui territori e nelle industrie sa bene in cosa si traduce quello sconto», risponde Simone Vecchi della Fiom, che spiega: «In un paese dove la stragrande maggioranza delle imprese è piccola o piccolissima e dove il lavoro nero è diffuso, significa nei fatti legalizzare la retribuzione in nero fino a tremila euro. È un condono, lontanissimo dalla proposta del governo tedesco di accollarsi il costo di contributi e tasse se i contratti collettivi nazionali e aziendali riconosceranno a tutti aumenti fino a tremila euro. Con le premesse di questo governo e le scelte conflittuali della Confindustria, sarà un inverno lungo e duro». Tanto più lo sarà perché la prima manovra finanziaria targata Giorgia Meloni è all'insegna del rigore. Nessuna misura di politica economica, nessuna iniziativa a favore della crescita dei consumi interni è stata prevista, se non la scelta di detassare i fringe benefit: «Che è grave perché crea ulteriore disuguaglianza, non solo perché solo alcune imprese lo offriranno ai propri dipendenti, ma soprattutto perché è una misura riservata al dieci per cento dei lavoratori e sarà pagata dalla collettività con le tasse di tutti», chiarisce Elena Granaglia, professoressa di Scienza delle Finanze all'Università di Roma Tre e membro del Forum Disuguaglianze e Diversità, che rilancia: «Le regole del mercato del lavoro vanno ripensate: l’abuso di contratti a tempo determinato e del part time involontario, l’eccessivo ricorso alle esternalizzazioni, i mancati rinnovi contrattuali e le difficoltà dei sindacati a contrattare aumenti a livello locale e aziendale tutto ci conferma che il modello è iniquo e non in grado di rispondere all'inflazione».

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