L'Espresso 02 - 12/01/2024

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SETTIMANALE DI POLITICA CULTURA ECONOMIA

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numero 2 - anno 70 12 gennaio 2024

Indagati e pasticcioni. I gerarchi di Meloni tra spari e sparate Una classe dirigente tanto obbediente quanto inadeguata, sempre nostalgica Irrilevante in Europa, inconcludente in Italia: il cerchio tragico della premier

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EDITORIALE

Alessandro Mauro Rossi

Giorgia Meloni piace vincere facile. È stato il primo, più diffuso, commento alla notizia che la premier era disposta a misurarsi in un duello televisivo con la segretaria del Pd, Elly Schlein. In effetti se si mettono su una bilancia il pragmatismo becero di Meloni e gli elzeviri dialettici di Schlein, l’idea che la seconda possa uscire vincitrice da un confronto, per di più televisivo, appare un’impresa davvero difficile. Staremo a vedere. Meloni racconta un sacco di bugie, ma sa parlare alla pancia del Paese, riesce a tenere la barra dritta della sua barca anche se è contornata da una corte di incapaci talmente pasticcioni da far credere che li abbia messi lì

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Meloni-Schlein confronto a distanza col terzo incomodo apposta, per far brillare ancora di più la sua figura di leader. Schlein invece dice anche cose giuste, ma non ha il coraggio di dirne altre o di dirle fino in fondo, perché ha un partito litigioso e pronto a farle le scarpe alla prima occasione che si presenterà in una delle tante tornate elettorali del 2024. È praticamente Indiana Jones circondato dai serpenti nel Tempio Maledetto. La sua squadra è debole: è stata eletta contro la struttura del partito e si è messa intorno un gruppo dirigente che ha troppo poca esperienza per poter guidare il Pd con fermezza. Ma sia Giorgia sia Elly devono difendersi dagli amici-alleati. Meloni da Matteo Salvini, Schlein da Giuseppe Conte. E allora l’idea del confronto/scontro tra le due leader potrebbe essere l’occasione per legittimarsi a vicenda: Meloni per darsi ancora più solidità, Schlein per proporsi in quel ruolo di federatore che

Gli scenari dietro l’annunciato duello tv tra la premier e la segretaria del Pd

la sinistra dice di stare cercando. Però deve dimostrarlo. E la legittimazione la danno soltanto i voti. Meloni ce li ha (e infatti è la leader del centrodestra), Schlein li sta cercando. Se alle prossime Europee si fermerà al 20 per cento, come dicono molti sondaggi, bisognerà vedere dove arriverà il Movimento 5 Stelle: se Conte non sarà troppo lontano, il dualismo a sinistra non si placherà, anzi. Il problema, per Schlein, ma anche per Meloni, si chiama proprio Giuseppe Conte: la segretaria del Pd lo sta rincorrendo sui temi del lavoro e del sociale e sta lavorando a un’alleanza che però i 5 Stelle accettano soprattutto se i candidati sono i loro e comunque sempre con un concetto di concorrenza. Per Meloni, invece, Conte rappresenta la vera opposizione sociale, con la sponda del segretario Cgil Maurizio Landini e di quello della Uil Pierpaolo Bombardieri, con le sue buone relazioni in alcuni apparati dello Stato e Oltretevere assieme ad altri pezzi di società civile. Non a caso per un confronto pubblico si è scelta la prevedibile avversaria Schlein piuttosto che l’imprevedibile Conte in grado di darle maggiore fastidio se non altro sul piano mediatico. Insomma, il dualismo Meloni-Schlein odora di alleanza anti-Conte. Confermarsi leader ognuno a casa propria è funzionale a sventare o a limitare la minaccia degli alleati-concorrenti. Il 25 febbraio ci saranno le elezioni regionali in Sardegna. Il centrosinistra è rappresentato da una coalizione molto vasta (11 liste) capeggiata da Alessandra Todde, ex sottosegretaria del Conte II e viceministro nel governo Draghi. Ha un compito difficile, ma se anche la grande alleanza sarda dovesse funzionare e portare all’elezione del primo governatore italiano a 5 Stelle, la vittoria non basterà a placare le acque. Qualche mese dopo si voterà per le Europee con il proporzionale e il dualismo a sinistra sarà inevitabilmente in ripresa. Allora si conteranno i voti per davvero e si capirà chi ha più fiato. E soprattutto più futuro.

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CHI SALE E CHI SCENDE

Sebastiano Messina

GABRIEL ATTAL Eletto deputato solo sette anni fa, è stato scelto da Macron prima come portavoce, poi come ministro e ora come capo del governo. A 34 anni è dunque il più giovane premier (e anche il primo omosessuale dichiarato) della Quinta Repubblica. Il presidente francese si affida a lui – che come ministro dell’Istruzione ha vietato la tunica musulmana nelle scuole e ha ripristinato la bocciatura agli esami – per far dimenticare la durissima opposizione popolare al governo di Elisabeth Borne.

ENRICO MENTANA Il Tg1 ha perso 336 mila telespettatori, ma tutti i telegiornali – dal Tg2 al Tg5 – hanno visto calare le loro percentuali di share. Tutti tranne uno, il Tg La7 dell’inossidabile Mentana – il recordman delle maratone televisive – che ha raggiunto al 5,8 per cento il tg della seconda rete Rai. Non ha i potenti mezzi dei concorrenti, però oggi è l’unico anchorman della tv italiana, uno dei pochi a non dare un sapore partigiano alle notizie di giornata. E se sbaglia, lo fa di testa sua.

Foto: Agf (4), Getty Images (2)

PAOLO BENANTI Un religioso alla presidenza di una commissione governativa non si vedeva da un pezzo, ma grazie alle polemiche dimissioni di Giuliano Amato il dossier italiano sull’Intelligenza artificiale sarà preparato sotto la guida di questo teologo francescano esperto di neuroetica, postumano, algoretica e algocrazia che tra utopia e distopia ha scoperto il paraferno, ha scritto un libro sulla «carne sintetica» e crede nel complotto gender. Anche l’Intelligenza artificiale sarà di destra?

Un altro autogol di Briatore. Zaia rischia di cadere tra due poltrone. La performance di Mentana

RENATO SCHIFANI Chi pensava che con un governo amico l’ex presidente del Senato avrebbe trovato le porte aperte a Roma s’è dovuto ricredere. Il presidente della Regione Siciliana proprio non riesce a farsi ascoltare: il governo gli ha tolto un miliardo e 300 milioni di euro per destinarli al Ponte di Messina e il suo predecessore Nello Musumeci, ora ministro, gli ha negato lo stato di emergenza (e i conseguenti rimborsi) per gli incendi dell’estate scorsa. Uno sgarbo che ha il sapore della rivalsa.

LUCA ZAIA Sei mesi fa il governatore leghista del Veneto si godeva il primo posto nella classifica Swg dei presidenti di Regione più graditi dai loro elettori (69 per cento di consensi), oggi rischia di cadere in mezzo a due poltrone. Non vuole prendere il posto di Matteo Salvini alla guida del partito, ma rischia di perdere anche quello a Venezia, visto che Giorgia Meloni è contraria al terzo mandato dei governatori (e ha già un nome per la successione: Luigi De Carlo, uno dei suoi fedelissimi).

FLAVIO BRIATORE È difficile capire cosa abbia spinto un furbo comunicatore come Briatore a lanciarsi in una gara di insulti con il verde Angelo Bonelli («Sei uno scappato di casa», «E tu un cafone»). Perché nel botta e risposta poi viene fuori che oltre ad avere la residenza fiscale a Monte Carlo lui paga solo 23.984 euro di concessione demaniale per il Twiga, appena lo 0,29 per cento di un fatturato annuo di 8,2 milioni. Un clamoroso autogol, nel pieno della battaglia sulle concessioni balneari.

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COSE PREZIOSE

Loredana Lipperini

el 1969 sul grande schermo appare una pistola rossa a pallini bianchi: è la protagonista di un film di Marco Ferreri, Dillinger è morto, dove il designer Glauco, interpretato da Michel Piccoli, annoiandosi molto nella solitudine della casa, trova in dispensa una Bodeo modello 1889, impacchettata in un quotidiano che riporta la notizia della morte di un gangster, John Dillinger. Sempre annoiandosi molto, Glauco, dopo aver dipinto la pistola, uccide la moglie addormentata. Il film, peraltro bellissimo, ci porta con notevole anticipo sui tempi a un’altra pistola, la North American Arms LR22, così cara al

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Culto delle armi Il parere informato di Stephen King deputato di Fratelli d’Italia Emanuele Pozzolo da portarsela dietro ai festeggiamenti di Capodanno, dove, a quanto si racconta, la pistola era così contenta di essere presente da mettersi a sparare da sola. È un guaio innamorarsi delle armi. Per gli altri e soprattutto per le altre. Molti anni dopo, il 6 settembre 1951, lo scrittore William Burroughs, a sua volta appassionatissimo di pistole, impugna l’inseparabile Star 380 automatica e, nel bel mezzo di una festa molto alcolica, chiede alla moglie di giocare a Guglielmo Tell. Lei, altrettanto ubriaca, si mette un bicchiere di cognac in testa, Burroughs spara, Joan muore. Nel pamphlet Guns-contro le armi (pubblicato in Italia da Marotta e Cafiero), Stephen King ricorda che grazie all’amore per le pistole muore una donna ogni sedici ore, che il rischio di suicidio aumenta del 300% e che quotidianamente otto bambini vengo-

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Quando le armi sono difficili da ottenere, le cose migliorano, ma non vedo miglioramenti in futuro

no colpiti, feriti, e a volte uccisi. «Quando le armi sono difficili da ottenere, le cose migliorano, ma non vedo miglioramenti del genere in futuro», ha scritto il 31 ottobre sul New York Times. Neanche noi. Soprattutto per quanto riguarda i femminicidi. Un anno fa l’Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa) ha ricordato che molto spesso chi uccide usa un’arma da fuoco legalmente detenuta. Nel 2020, avviene in un femminicidio su quattro, e il dato fa paura, se rapportato al numero di chi possiede una licenza per armi, ovvero circa il 10% degli italiani. In altre parole, chi ha una pistola in casa subisce la tentazione di usarla. Nel 2023 sono state 113 le donne ammazzate dai propri ex compagni, e nel 26% dei casi è stata usata un’arma da fuoco: cominciando dalla prima vittima, Giulia Donato, 23 anni, uccisa il 4 gennaio nel sonno (come la moglie di Glauco) dall’ex fidanzato, guardia giurata, con la pistola di servizio. Nove giorni dopo, a Roma, Martina Scialdone, 35 anni, muore con un proiettile nel cuore davanti a un ristorante: il suo assassino aveva un porto d’armi per uso sportivo. Il giorno dopo Oriana Brunelli, 70 anni, viene ammazzata, sempre con una pistola, da un ex vigile. Siamo solo a metà gennaio di un anno fa. Chiaro, esiste un problema sulla concessione delle licenze e ne esiste uno culturale, che viene spesso tralasciato in quanto considerato irrilevante: ma non lo è. E il culto delle armi andrebbe sradicato, cominciando da chi ne fa uso pur rappresentando gli elettori. Dunque, la cosa preziosa di oggi non è un libro ma un’azione letteraria comune: perché questo articolo è parte di una campagna a cui hanno aderito scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla. Tante, decine e decine, e ne leggerete le parole da qui al prossimo marzo. Per cominciare, almeno.


PANE AL PANE

La situazione reale è diversa dalle previsioni del governo. E se il lavoro cresce, la produttività è in calo

Carlo Cottarelli

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inizio anno è utile fare il punto sulla situazione macro economica del nostro Paese. Cominciamo da quanto viene prodotto in Italia, ossia dal Prodotto Interno Lordo (Pil). Dopo il crollo nel 2020 causato dal Covid-19, la ripresa è stata più rapida del previsto, per noi e per tutto il mondo. A metà 2021 avevamo già recuperato il livello di produzione pre Covid-19. Sull’onda di politiche monetarie e di bilancio ancora espansive, la crescita è stata rapida fino al secondo trimestre del 2022. Poi, col cambiamento di orientamento delle politiche monetarie causato dall’inflazio-

Debito e crescita L’ottimismo è ingiustificato ne, c’è stata la frenata: dal secondo trimestre del 2022 al terzo del 2023, la crescita media trimestrale del Pil reale è stata solo dello 0,1%. In media annua nel 2023 il Pil dovrebbe essere cresciuto dello 0,7%. Il governo prevede una crescita dell’1,2% nel 2024. Per arrivarci sarebbe necessario un aumento del tasso di crescita trimestrale dallo 0,1% allo 0,3%. Difficile che questo avvenga in presenza di politiche di bilancio e monetarie certo non espansive (vedi sotto). Più probabile che il Pil cresca dello 0,6-0,7%, come nel 2023. Occupazione: negli ultimi trimestri è aumentato rapidamente sia il numero degli occupati sia quello delle ore lavorate, forse anche per effetto di un ritorno al mercato del lavoro (o una riemersione statistica) di persone che percepivano il reddito di cittadinanza o forme di sussidio sorte nel periodo Covid-19. Fatto

sta che un’occupazione in crescita (1,8% in termini di ore lavorate nell’anno concluso col terzo trimestre del 2023) e una produzione quasi ferma (0,1% nello stesso periodo) comportano che la produttività del lavoro (il prodotto per ora lavorata) sia scesa dell’1,7%: si stanno creando posti di lavoro a bassa produttività, il che non è una buona notizia. Guardando in avanti, è probabile che l’aumento dell’occupazione sia più modesto che nel passato recente, a meno di sorprese in termini di crescita del Pil. Inflazione: buone notizie su questo fronte. La stretta monetaria operata dalle principali banche centrali del mondo (inclusa la Bce) ha frenato la crescita dei prezzi, a partire da quelli delle materie prime. Anche se nell’area dell’euro il tasso d’inflazione nei dodici mesi conclusi nel dicembre scorso è ancora superiore all’obiettivo della Bce (2,9% contro il 2%) da settembre in poi l’aumento dei prezzi (al netto della stagionalità) è stato quasi zero. L’inflazione è sconfitta e la Bce farebbe bene a ridurre i tassi di interesse già a gennaio-febbraio. Ma temo che sarà più cauta, frenando troppo la crescita economica. Conti pubblici: il deficit è previsto calare dal 5,3% al 4,3% del Pil, ma questa discesa è dovuta interamente al fatto che i bonus edilizi (superbonus e altro) sono contabilizzati quasi per intero solo fino al 2023. Al netto di questo effetto, non c’è nessuna riduzione del deficit e la politica di bilancio è più o meno neutrale. Questo in termini di obiettivi. Con una crescita economica più bassa, le entrate dello Stato saranno inferiori al previsto, deficit e debito pubblico saranno più alti e, a meno di uno sforzo intenso per tenere la spesa sotto alle previsioni, il rapporto tra debito e Pil, previsto stabile al 140% circa, potrebbe aumentare un po’. A fine anno dovremmo trovarci a circa 3 trilioni di debito, un bel primato.

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Cosa nasconde il lusso di ALESSANDRA BOOK / ISTITUTO EUROPEO DI DESIGN, ROMA


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a cura di Tiziana Faraoni

L’Espresso iconografico

CAMMINANDO UNA NOTTE TRA LUCI E OMBRE DEI PARIOLI RACCONTO OLTRE GLI STEREOTIPI DI UN QUARTIERE BENE “Parioli Pockets” è un progetto che mira a raccontare il rapporto tra la fotografa Alessandra Book e il quartiere romano dei Parioli. Lei è cresciuta qui. Attraverso questo viaggio, si avvicina allo spazio dal quale si è da sempre allontanata: la sua casa. Festini, zoo e cortili diventano teatri d’incontri in cui è possibile abbandonarsi ai piaceri mondani e nascondersi nelle proprie insicurezze. Una danza tra pregiudizio e incontro con la colonna sonora delle vibrazioni della strada. «Sono nata e cresciuta qui, senza riuscire a nasconderne il disagio. Nell’aria c’è qualcosa di vecchio e spettrale, un incantesimo di comodità a cui è meglio resistere. Busso a tante porte, cerco faticosamente di farmi aprire. Cerco un contatto, un momento di complicità. Sento che questo spazio non mi appartiene: tappeti rossi, specchi luccicanti, fumi artificiali, insegne ammiccanti. Le luci romantiche ovattano l’atmosfera. Usufruisco dei benefici della mia missione segreta, mi scuoto e mi avvicino al bancone dei cocktail. La fila è infinita. Ecco gli invitati affamati, in una sfilata di

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smoking si muovono tra recipienti argentati. È tardi, voglio tornare a casa. Cammino, è buio. Vado sul marciapiede illuminato dalle vetrine dei negozi. Mi sento osservata da macchine lussuose. L’atmosfera è sospesa. Sono coperta, ma ho freddo. Il garage dell’albergo è sporco e pieno di frantumi. Mi avvicino». Le parole della fotografa accompagnano la narrazione di un flusso di emozioni, attimi, luoghi, dettagli: una visione sospesa, personale di ciò che sta intorno. Oltre gli stereotipi.

L’AUTRICE Alessandra Book nasce a Roma nel 2001. Dopo un’infanzia e un’adolescenza trascorse tra pennelli e tele, inizia ad avvicinarsi alla fotografia. Si iscrive all’Istituto Europeo di Design, al corso di Fotografia e Arti visive, dove si diploma nel 2023 con una tesi finale in cui affronta tematiche che riguardano il territorio e il rapporto intimo che lo lega alle persone. Un filo tra sé stessa e il suo quartiere: i Parioli.


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PRIMA PAGINA All’armi siam tafazzisti Sergio Rizzo

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La nostalgia nera non finisce mai Simone Alliva

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Lollo & Co. I ministri rimpastabili Susanna Turco

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POLITICA La cricca dei poveri inguaia Salvini Gianfrancesco Turano

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Foibe in mostra, paga Ferrovie La responsabilità è un dovere degli adulti Paola Balducci Indiscreto

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Ilva, storia di una fuga annunciata Gloria Riva

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Comunicatori: i guru dei leader a tutto social Giorgio Chigi

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ESTERI Armi tedesche über alles Uski Audino Dal mondo

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Voterai come vuole l’algoritmo Alessandro Longo

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L’ondata che terrorizza San Francisco Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni

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Nell’inferno di Guayaquil Elena Basso

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Il pistolero di Capodanno. Le braccia tese. Indagati, condannati, pasticcioni. Ma Meloni non vede problemi nella sua cerchia

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L’inchiesta Anas-Verdini viene messa sul conto di Salvini. La premier ne approfitterà per escluderlo dalle nomine nelle Ferrovie

La Germania torna a investire nell’industria militare. Per l’Ucraina. E per trovarsi in posizione di forza nella futura difesa europea

ECONOMIA Dal letame (interrato) nasce aria migliore Angiola Codacci-Pisanelli

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Contro-lobby virtuosa sul Green Deal colloquio con Monica Frassoni di Rossella Muroni e Silvia 68 Vaccaro

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Bar economy

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numero 2 - anno 70 - 12 gennaio 2024 MELONI-SCHLEIN, CONFRONTO A DISTANZA COL TERZO INCOMODO Alessandro Mauro Rossi

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Opinioni In copertina: elaborazione grafica di Davide Luccini su illustrazione di Antonio Rubino (Bridgeman Images)

80 Ecco in arrivo le scorie nucleari Marco Gemelli

Helen Mirren

Diletta Bellotti racconta come nel mondo arabo sia nato un movimento di opinione che punta all’embargo energetico per fermare Israele nella guerra contro Gaza

CHI SALE E CHI SCENDE Sebastiano Messina COSE PREZIOSE Loredana Lipperini PANE AL PANE Carlo Cottarelli L’OPINIONE Massimiliano Panarari FUORILUOGO Franco Corleone BELLE STORIE Francesca Barra RESISTENTI Diletta Bellotti BANCOMAT Alberto Bruschini BENGALA Ray Banhoff

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Rubriche 72

Levata di scudi nel Belice: “Rischio sismico cancellato” 74 Claudia Benassai Sostenibile è sociale

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Tech e non solo. Come sarà il 2024 in Borsa Massimiliano Carrà

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Se il nonno è medico Lucia Loffredo

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Il rispetto del lascito testamentario e l’utilizzo dei beni 79 Massimiliano Atelli

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FOTO DI CLASSE - a cura di Tiziana Faraoni 8 LIBRI - Sabina Minardi 97 TELEVISIONE - Beatrice Dondi 101 CINEMA - Fabio Ferzetti 102 MUSICA - Gino Castaldo 102 TEATRO - Francesca De Sanctis 103 MOTORI - Gianfranco Ferroni 104 ANIMALI - Viola Carignani 104 COSA C’È DI NUOVO - Emanuela Cavallo 105 VINO - Luca Gardini 106 ARTE - Nicolas Ballario 106 CUCINA - Andrea Grignaffini 107 POSTA - Stefania Rossini 108

I DIALOGHI DE L’ESPRESSO La mia saggezza, una somma di errori colloquio con Helen Mirren di Claudia Catalli

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CULTURA Prometeo sfida ancora gli dei Marco De Vidi

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La tragedia? Non saper più ascoltare colloquio con Massimo Cacciari

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Quei giorni di ordinaria felicità Beatrice Dondi Visioni

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Onorevole Ginzburg Roberto Barzanti

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Rothko, la ricerca della luce Giuseppe Fantasia

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Piano, Cacciari, Vedova, Abbado: 40 anni fa, Prometeo di Luigi Nono fu un evento che riunì grandi nomi. E oggi torna a Venezia

Per approfondire o commentare gli articoli o inviare segnalazioni scrivete a dilloallespresso@lespresso.it


PRIMA PAGINA IL CERCHIO TRAGICO

All’armi siam tafazzisti Il pistolero di Capodanno. Le braccia tese. Chi inneggia a Mussolini e chi a Hitler. Chi ferma i treni. E poi condannati, indagati, pasticcioni. Ma Giorgia Meloni finge che non siano un problema

STORIA Il Balilla nell’illustrazione di Antonio Rubino

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PRIMA PAGINA ILILCERCHIO CERCHIOTRAGICO TRAGICO

SERGIO RIZZO

on fosse stato per il pistolero di Fratelli d’Italia Emanuele Pozzolo, Rosazza non sarebbe mai entrato nel Guinness dei primati. Trovatelo, se siete capaci, un altro posto così. Un posto dove la notte di Capodanno entra alla proloco del Comune un deputato con in tasca una calibro 22 che ferisce il genero di un agente della scorta di un sottosegretario fratello della sindaca. Tutti dello stesso partito. E senza che si sappia, prima di una settimana dal fattaccio, chi ha premuto il grilletto. Rosazza è un paese di un pugno di anime in provincia di Biella. Prende il nome dal senatore mazziniano e massone Federico Rosazza, suo feudatario ottocentesco. Ma se oggi decidessero di dargli un altro nome non potrebbe che essere Delmastro. I padroni di Rosazza, adesso, sono loro. Il 3 ottobre 2021 Francesca Delmastro Delle Vedove è riconfermata sindaca con il 100 per cento. Vanno alle urne in 57 e su 56 schede c’è la croce col suo nome. Una è bianca. L’avversario Mirko Marangon rimane a secco. Non prende, evidentemenPer approfondire o te, neppure il suo voto. La sindaca di Rosazza è una Sorella d’I- commentare questo talia e fa l’avvocato. Separazioni, inciden- articolo o inviare ti stradali, successioni, un po’ di tutto. Se- segnalazioni scrivete gue la medesima strada di papà Sandro, a dilloallespresso@ avvocato e parlamentare di Alleanza na- lespresso.it zionale per dieci anni, dal 1996 al 2006. Anche il fratello di Francesca Andrea Delmastro è un deputato della è figlio d’arte, avvocato e poli- Repubblica con un incarico di governo. tico. Fratello d’Italia. Andrea Sottosegretario alla Giustizia, per giunDelmastro Delle Vedove è così ta. Con tanto di scorta, che la notte della legato alla sorella da metter- bravata di Pozzolo è alla proloco di Rosazsi in affari con lei. Il 19 genna- za con lui e la sorella socia. Intendiamoci: io 2023 va dal notaio assieme nessuna legge vieta a un politico avvocaa Francesca, e con un’avvoca- to di costituire una srl nel proprio campo ta di Biella, Erica Vasta, costi- d’azione istituzionale, anche se (e mentre) tuisce una società di assistenza è al governo. Ma che sia il massimo dell’elegale. Denominazione: «Del- stetica, proprio no. Eppure nessuno stormastro-Vasta srl società fra av- ce il naso. vocati». Andrea Delmastro ha Il fatto è che Andrea Delmastro è molil 33 per cento, sua sorella sin- to più potente di quanto dica il suo incaridaca di Rosazza il 17 per cento co. Al ministero ha il compito di marcare e l’avvocata Vasta l’altra metà del capitale. stretto il ministro Carlo Nordio, che avrà Le società fra professionisti sono ormai pure messo lì la premier Giorgia Meloni, un classico. Tanti avvocati le fanno, sono ma con il partito non c’entra un fico secuno strumento comodo e semplificano la co. Sta nell’associazione Luca Coscioni, vita. Qui c’è però un dettaglio non insi- quella del suicidio assistito che fa drizzagnificante. E cioè che il 19 gennaio 2023 re i capelli in testa a tutto il centrodestra,

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Quasi metà dell’esecutivo di FdI occupa una poltrona nel governo. Hanno responsabilità istituzionali enormi ma non sempre sembrano rendersene conto

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Foto pagine 18_19: Bridgeman images. Foto pagine 20-21: A. Masiello / Getty Images

e ha tifato pure per Marco Pannella. Meglio tenergli le briglie corte, e chi meglio dell’avvocato Andrea Delmastro? Nel cerchio magico di Giorgia è fra quelli più vicini al centro di gravità. Le rispettive date di nascita distano 85 giorni. A 15 anni militano nel Fronte della Gioventù, l’organizzazione dei balilla missini senza più i calzoni corti. E dopo la svolta di Fiuggi scalano Azione Giovani. Finché il 28 marzo 2004, nel palazzetto dello sport di Viterbo, arriva il momento della verità. La partita, che con la presidenza dei giovani di Alleanza nazionale vale una investitura per il futuro, oppone due tesi: «Figli d’Italia» di Giorgia Meloni, a «Una scelta d’amore» di Carlo Fidanza da San Benedetto del Tronto, classe 1976. Vince Giorgia Meloni. E vince anche perché ha il sostegno di Delmastro, che nell’organizzazione giovanile (si fa per dire, visto che

i vertici hanno già passato i 27 anni) di An non è uno qualsiasi. Fidanza si deve rassegnare al ruolo di vice. Ma non porta rancore. Fidanza gravita ormai in Lombardia, consigliere comunale a Milano. Nel 2016 però eccolo comparire a Rosazza, il feudo di Francesca Delmastro. Pure lui. Per cinque anni fa il consigliere comunale. La ragione per cui Fidanza da Milano si ritrovi a Rosazza è indecifrabile. La mozione degli affetti, o chissà che altro. Di sicuro, al suo coetaneo Delmastro (sono nati a un mese di distanza nell’autunno 1976) è molto legato anche per via della vecchia militanza comune. Il suo bacino di pesca resta però Milano. Lì è stato eletto al Parlamento europeo, dove in un baleno diventa capo delegazione di Fratelli d’Italia. Nonché membro dell’ufficio di presidenza del

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MILITANTI Emanuele Pozzolo. Sopra: miltanti di Fratelli d’Italia alla festa di Atreju

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PRIMA PAGINA IL CERCHIO TRAGICO

gruppo dei conservatori e riformisti europei. È il partito europeo casa comune delle formazioni euroscettiche e sovraniste. Presidente: Giorgia Meloni. Ed è lì, a Milano, che finisce nella trappola di Fanpage. Nel settembre del 2021, con un bravo cronista che si spaccia da manager di una grossa società disposta a contribuire alla campagna elettorale di Fratelli d’Italia per il Comune, il giornale online napoletano porta a casa un video sensazionale. Parlando con lui Fidanza fa balenare l’ipotesi di aiutini al partito, in nero. E salta fuori un sodalizio di ferro fra il capo della delegazione di FdI a Strasburgo e un certo Roberto Jonghi Lavarini, condannato a due anni per apologia di fascismo. Nickname: «Barone nero». Ignaro del fatto che c’è una telecamera nascosta a riprenderlo, il «Barone nero» dice che lui, cioè Fidanza, «è il nostro riferimento in Fratelli d’Italia». Dove «nostro» sareb-

Fascismo eterno

La nostalgia nera non finisce mai orda di fascisti per la commemorazione delle vittime di Acca Larentia, alla presenza compiaciuta dei vertici capitolini di Fratelli d’Italia sono il meno. Uno specchio per le allodole, motivo di indignazione corale della categoria politico-mediatica così che tutti parlino di croci celtiche e braccia tese da qui al prossimo sette gennaio. Intanto quello che conta accade dove non si vede. C’è un retroterra nero al governo. Tralasciando il collezionista di memorabilia del duce, Ignazio La Russa, presidente del Senato, fascista da sempre, da prima che Giorgia Meloni nascesse. Bisognerebbe concentrarsi sull’amarcord che coglie nello scorrere le traiettorie di vita di chi sta al potere. Uno sguardo ai vertici. Pochi giorni fa, alla Camera, Tommaso Foti capogruppo di Fratelli d’Italia nel suo intervento per la legge di bilancio ha pensato bene di cita-

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Simone Alliva re il Manifesto dei Fasci Futuristi (“Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!”). In chiusura le parole dell’inno di Azione Giovani, traduzione di una canzone del film “Cabaret” ambientato nella Repubblica di Weimar e cantata da un giovane nazista (“Il domani appartiene a noi”). Poco più in là, tra sorrisi e applausi, Paola Frassinetti, sottosegretaria all’Istruzione, una delle persone più vicine alla leader di FdI, con un passato nel fronte della Gioventù. Nota per aver partecipato alla parata nera del 25 aprile del 2017 al Campo 10 del cimitero Maggiore di Milano che ha omaggiato i caduti della Repubblica Sociale Italiana e i volontari italiani delle Ss. Un’Acca Larentia in tono minore. Assieme alla capogruppo in commissione Difesa, la meloniana Paola Maria Chiesa, ha aperto le porte di Montecitorio alle presentazioni dei libri che celebrano il ventennio come “Patria. I simboli d’Italia”, edito da Ferrogallico, casa editrice legata a Forza Nuova, guidata da Marco Giuseppe Carucci, condannato in secondo grado per avere fatto il saluto romano durante una commemorazione di Sergio


SALUTI ROMANI Le braccia tese durante la manifestazione per commemorare i morti della sezione romana del Msi di via Acca Larenzia. A sinistra: Arianna Meloni

be di un non meglio precisato giro di inquietanti personaggi che vanno da amici del Kgb fino agli ammiratori di Adolf Hitler. Il tutto condito da un tripudio di saluti romani, appellativi camerateschi e allusioni alla birreria di Monaco da cui parte la criminale avventura nazista. Fidanza si autosospende dalla carica di capo delegazione mentre partono le inchieste. Che presto finiscono in una bolla di sapone. Non ci sono prove. Solo chiacchiere. Nel frattempo capita un altro guaio. Ma stavolta, stando sempre ai magistrati, non sono chiacchiere. Nel giugno 2021 un consigliere comunale di Brescia eletto con Fratelli d’Italia si dimette.

Foto: A. Masiello / Getty Images

Il sottosegretario alla Giustizia Delmastro è amico di Pozzolo. Ha anche ottimi rapporti con Fidanza, vicino a gruppi neonazisti. Ed è al centro del caso Donzelli

Ramelli. Evento molto apprezzato dal presidente della commissione Cultura ed Editoria, Federico Mollicone, che sogna la censura degli episodi di Peppa Pig con due mamme e pensa a un ministero della Verità per «certificare la veridicità delle notizie», può vantare un passato in An, un futuro solido in FdI (è tra i fondatori), è stato firmatario della mozione del centrodestra sulla quale non compare alcun riferimento esplicito alla matrice neofascista della strage di Bologna. Sui propri social lo sguardo è rivolto alla fiamma: “Con la rabbia e con l’amore di sempre andiamo a vincere”, scrive e posta una foto del monumento fascista che esalta le gesta di Amedeo di Savoia, il duca che autorizzò l’uso di gas contro la resistenza etiope e le popolazioni civili e diede inizio alla costruzione di un lager in Etiopia dove deportare 1.400 famiglie di ebrei italiani. Omaggi al passato che ritorna anche per Fabio Rampelli, il romanissimo vicepresidente della Camera, dominus laziale della destra postmissina che sul proprio profilo Facebook ha recentemente ricordato Gianfranco Maria Chiti, il presbitero e generale nazifascista che aderì

alla Repubblica Sociale Italiana operando in numerose missioni di contrasto alle formazioni partigiane dirette da Enrico Martini. «Spezzeremo le reni alle correnti del Csm», avverte invece il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro facendo il verso al duce durante un evento organizzato da Fratelli d’Italia in Valle d’Aosta, non ha mai nascosto una passione per lo scrittore filonazista e antisemita Robert Brasillach e celebra sui social la Marcia su Roma: «M. il Mondo lo ha conosciuto e per esso ha conosciuto l’Italia», scrive in un post. Questa è la matrice e la radice, i colonnelli di Meloni sono lì a ricordarlo anche se la leader spesso la “ignora” come aveva commentato il giorno dell’assalto alla Cgil. E non vuol dir niente essere “nati dopo” è una tradizione che si tramanda: quest’anno il tesseramento di Gioventù Nazionale, l’organizzazione giovanile di FdI, reca la citazione al gruppo di ispirazione neofascista Aurora (“Riavremo dentro di noi le stelle”). Nella tessera anche il motto “Memento audere semper” utilizzato per la sigla dei collaborazionisti della X^ Mas, e tuttora utilizzato dall’estrema destra.

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Al suo posto va Giangiaco- COSPITO La faccenda finisce in Procumo Calovini, il primo dei non Giovanni Donzelli. A ra, con Fidanza che rigetta tutte eletti. Fa l’assistente parlamen- destra: Andrea Delle accuse. Ma per evitare scoctare del senatore Giampie- mastro Delle Vedociature peggiori, lo scorso giutro Maffoni, entrato al sena- ve. Sono i protagonisti gno sia lui sia l’onorevole Caloto nel 2018 dopo essere stato della fuga di notizie vini patteggiano una condanna trombato alle elezioni due vol- sul caso Cospito a un anno e quattro mesi. Conte consecutive, grazie al forfait fermata dal Tribunale di Miladella sciatrice Lara Magoni che al seggio no il 27 ottobre 2023. Perché alla fine Calodi Palazzo Madama preferisce l’incarico di vini, dopo tutte quelle trombature, ce l’ha assessore al Turismo in Lombardia. fatta a entrare alla Camera: candidato da A dispetto della funzione apparente- indagato. E pazienza per la successiva conmente modesta (li chiamano «portabor- danna penale patteggiata. Cosa volete che se») Calovini è uno che pesa nel partito sia? Forse Augusta Montaruli non è nella perché è della cordata di Fidanza. Però è stessa situazione e continua a stare al suo perseguitato dalla sfortuna. Alle Politi- posto alla Camera? E Fidanza, chi lo smuoche del 2018, come Maffoni, anche lui vie- ve dall’Europarlamento? ne trombato. Poi trombato pure alle regioL’avvocato sottosegretario alla Giustizia nali della Lombardia. E infine trombato Delmastro, invece, è ancora sotto procesalle comunali di Brescia. Bisogna rime- so. Rinviato a giudizio con l’accusa di rivediare alla sfiga. In che modo? Il consiglie- lazione di segreto d’ufficio per aver passare che ha vinto le elezioni lascia il posto to delle carte a un suo collega di partito che in Comune a Calovini. E in compenso Fi- ha usato quelle informazioni per attaccare danza assume nel proprio staff il figlio (di- politicamente il Pd sulla vicenda dell’anarciassettenne) del dimissionario: contrat- chico Alfredo Cospito al 41 bis. Il pubblico to part-time da 795 euro lordi, specifica il ministero chiede l’archiviazione ma il gup Corriere della Calabria. è contrario, causando lo «stupore» di Gior-

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Foto: A. Masiello / Getty Images, A. Serranò / Agf

Ai vertici del partito, tranne La Russa, siedono tutti appartenenti alla generazione della premier. Militanti negli stessi anni del Fronte della Gioventù

gia Meloni. Nome del collega: Giovanni Donzelli da Firenze, classe 1975, deputato e coordinatore di FdI, titolo di studio maturità scientifica per via di una giovinezza tutta dedicata alla politica. Proprio come Giorgia Meloni (1977), terzo premier dell’Italia unita senza laurea, dopo Benito Mussolini e Massimo D’Alema. Donzelli è un altro ex balilla del Movimento Sociale della leva di Giorgia Meloni e di sua sorella Arianna (1975). Ariete della destra sui social e nei talk show, non prova imbarazzo a difendere il generale Roberto Vannacci, autore del libro “Il mondo al contrario” dai contenuti apertamente omofobi e razzisti. Proclamando tuttavia: «Non abbiamo nulla a che fare con il fascismo».

Donzelli è un esponente di spicco di quella generazione alla soglia dei cinquanta che ha preso in mano le redini del più grande partito italiano chiudendo definitivamente l’era delle suggestioni moderate ed europeiste di Gianfranco Fini (1952) per riabilitare con «orgoglio» le radici profonde. Così profonde che «non gelano mai», per dirla con una frase dello scrittore J. R. R. Tolkien stampata su un manifesto di Forza Nuova e sulle magliette prodotte dalla società incaricata da Fratelli d’Italia di vendere i propri gadget. Si chiama Italica solution e fa capo a Martin Avaro, ex dirigente, guarda un po’, di Forza Nuova. Dei 24 membri dell’esecutivo del partito, ben 19 provengono dal Fronte della Gioventù. E otto di loro, i più influenti se si eccettua il presidente del Senato Ignazio La Russa, classe 1947, che custodisce orgogliosamente cimeli del fascismo e sostiene che «nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo», sono tutti nati dopo il 1970. Ovvero, durante i cosiddetti anni di piombo. Ci sono Giorgia Meloni, Diego Petrucci, Andrea Delmastro, Giovanni Donzelli, Mauro Rotelli e il tesoriere Roberto Carlo Mele. Ma anche il sottosegretario alla Presidenza Giovanbattista Fazzolari, la persona più potente a Palazzo Chigi dopo la premier, e Francesco Lollobrigida: ministro della Sovranità alimentare e compagno di Arianna Meloni. Che si è detta pubblicamente «fiera» del gesto del cognato della premier, capace di far fermare a Ciampino un Frecciarossa diretto a Napoli perché in ritardo a un impegno istituzionale. Quasi metà dei membri dell’esecutivo FdI occupa una poltrona del governo: la presidente del Consiglio, quattro ministri, un viceministro e cinque sottosegretari, due dei quali alla presidenza. Nemmeno fossimo al tempo della “Balena bianca”. Hanno responsabilità istituzionali enormi ma non sempre sembrano rendersene conto. I pasticci, tipo il caso Delmastro-Donzelli, sono all’ordine del giorno.

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questi sono gli amici… Fini dice che i soggetti così, fra i 181 parlamentari di Fratelli d’Italia, «saranno cinque o sei». Ma se pure fosse, basta e avanza. Anche perché a quanto pare le contromisure scattano con estrema difficoltà. Un episodio? A inizio 2023 la premier manda alla presidenza di 3-i, società candidata a gestire tutta l’informatica pubblica, un certo Claudio Anastasio. La nomina spetta per legge al presidente del Consiglio, e questo signore, un protetto di Rachele Mussolini, nipote di Benito ed esponente di Fratelli d’Italia, è stato gestore del sito nostalgico Mussolini.net. Potrebbe evitare di farlo ricordare. Invece nel discorso d’insediamento ripete per filo e per segno le parole pronunciate nel 1924 dal duce alla Camera per rivendicare politicamente l’assassinio di Giacomo Matteotti. E ovviamente salta. Ci vuole tanto a capire che in quel partito c’è un problema da risolvere e che, sebbene Giorgia Meloni continui a negarlo, riguarda proprio la sua classe dirigente?

CULTORI Il presidente del Senato Ignazio La Russa. A sinistra: Carlo Fidanza. Entrambi adepti del culto di Mussolini

Alla guida di 3-i, società candidata a gestire tutta l’informatica pubblica, Palazzo Chigi sceglie Claudio Anastasio, che rivendica l’assassinio di Matteotti

Foto: A. Moustafa / Getty Images, Agf

Ma poi bastassero quelli: è una generazione che non s’imbarazza ad accogliere nel partito e candidare al Parlamento personaggi come Pozzolo, 38 anni da Vercelli, stesso bacino elettorale e politico dei Delmastro, da papà Sandro ai figli Andrea e Francesca. Così lo ricorda Fini in una intervista al Foglio: «Quando ero presidente di An lo allontanammo, senza nemmeno espellerlo, dalla federazione di Vercelli perché era un violento estremista verbale. Capimmo che era un balengo, come si dice in Piemonte, e lo accompagnammo alla porta: via, andare». Un «violento estremista verbale» no vax che non esita a definire Benito Mussolini «uno dei migliori statisti che abbia avuto l’Europa» aggiungendo, come ha documentato Dagospia, di non offendersi sentendosi definire «intollerante, reazionario e fascista». E gira con la pistola «per difesa personale». Nonostante tutto questo viene invitato da Andrea Delmastro, uno dei dirigenti più importanti del partito cui la premier affida un ruolo cruciale nel suo governo, al veglione di Capodanno nella proloco di Rosazza del quale sua sorella è sindaca. Dove gli parte un colpo dal revolver in mezzo ai bambini. Se


L’OPINIONE

Massimiliano Panarari

A

ben guardare, anche il Capodanno «a mano armata» del veglione nel Biellese è la spia di una metamorfosi. E l’«affaire Pozzolo» rappresenta solo l’episodio (in questo caso di cronaca nera) più recente di un processo in corso da quando Fratelli d’Italia, dopo essere divenuta la forza politica maggioritaria nel Paese, si è saldamente insediata a Palazzo Chigi. La si potrebbe definire una conversione sulla strada di Mar-a-Lago, per citare la famosa località trumpiana in Florida. Perché il trumpismo e, più in generale, quell’alt-right antisistema e complottista di cui Steve

Il “melomuskismo” della destra-destra di Fratelli d’Italia Bannon, ammiratore ricambiato di Giorgia Meloni, è il teorico più conosciuto, costituisce da qualche tempo un riferimento sempre più decisivo per la cultura politica di FdI in transizione verso una destra-destra parzialmente differente da quella a cui ci avevano abituato gli eredi del Msi. Una destra che – come ha sottolineato di recente Giuliano Amato – ben poco (per non dire nulla) ha a che spartire con il neoconservatorismo degli anni di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, e molto di più, invece, con una subcultura politica edificata sul rancore e il risentimento. E lo conferma pure la sua inclinazione per il corporativismo – come nel caso dei balneari e degli ambulanti – che si rivela giustappunto agli antipodi delle liberalizzazioni e della deregulation del neoliberismo anglosassone anni Ottanta. Il posizionamento di FdI (in concorren-

Non il neoconservatorismo di Reagan e Thatcher ma risentimento e rancore

za, anche qui, con la Lega) quale partito del «più armi per tutti» – dalla proposta (sebbene stoppata) di abbassamento a 16 anni per praticare la caccia all’allargamento delle maglie della legittima difesa – è in linea con la sua ideologia tradizionalmente sicuritaria (la triade «Dio, patria, e pistola»). Ma questo «fai-dai-te delle armi» identifica anche lo spostamento sempre più marcato dei meloniani verso un’ultradestra «all’americana»; non per nulla, infatti, all’ultimo appuntamento di Atreju sono state tributate delle vere ovazioni a Elon Musk, che è un fan delle armi e incarna però, altresì, la declinazione anarcolibertaria e superomistica dell’«ideologia californiana», imbevuta di «spirito della frontiera», rifiuto di ogni vincolo o limitazione, e fastidio per lo Stato e i poteri pubblici. E considerando anche la propensione del tycoon per la fecondazione in vitro (e le droghe) non si tratta precisamente di un “modello” in linea con la storia della destra italiana postmissina. D’altronde, la confusione ideologica risulta grande sotto il cielo di tutta la politica nazionale: così, prima di allinearsi all’amministrazione Biden, la camaleonte Meloni – «CamaMelon(t)i» – era notoriamente una supporter di Donald Trump, e si può immaginare che coltivi fortemente la speranza di un suo ritorno. Il nodo di fondo è che nello sforzo di non mettere in discussione il suo “nocciolo duro” identitario e di non fare davvero i conti con l’eredità del Msi, FdI sta ora compiendo una serie di fughe in avanti. Vale a dire un’operazione di “shopping” e di scelta à la carte di quello che si muove nelle destre Usa sempre più radicalizzate (risalendo pure a certe tematiche dei Tea party), a cominciare proprio dalla predilezione per le armi. Per dirla con Gramsci: da americanismo e fordismo ad americanismo e melonismo (o, magari, «melomuskismo»).

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Lollo & Co I ministri rimpastabili SUSANNA TURCO urante la conferenza stampa d’inizio anno Giorgia Meloni l’ha detto un’altra volta: niente rimpasti nel suo governo. Per una questione di principio, cioè di immagine. Vorrebbe fare ancora meglio di Silvio Berlusconi: governare cinque anni senza nemmeno un bis. E anche per una questione diciamo pratica: si trova tanto bene coi suoi ministri, ha spiegato la premier nel tipico crescendo iperbolico, da non voler modificare la squadra nemmeno di un puntolino. Il ritratto della sincerità: sembrava la ministra delle Riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati quando giura che il suo premierato non finisce per alterare anche il potere del presidente della Repubblica. Le premesse di Meloni infatti, come l’elastico di una fionda, si prestano perfettamente a significare il contrario di quel Ergo, le elezioni europee saranno un’occache dicono: la premier presie- sione come nessun’altra mai per cambiare, de in realtà un governo com- se non tutto almeno qualcosa, anche se poi posto interamente di rimpasta- tragicamente non si tratterà del ventre molbili, dall’ologramma Gilberto le, come sempre il più difficile a spostarsi. Pichetto Fratin all’ineffabile Non ci sarà bisogno di chiamarlo rimpasto: Paolo Zangrillo, dalla carnea- quello è quasi sempre un segno di morbide Alessandra Locatelli al mi- dezza verso gli alleati, qui invece Meloni si tologico Giuseppe Valditara. appresta alla prova di forza. Sarà lei a dePer non parlare del Guardasi- cidere, persino semmai con interim, come gilli Carlo Nordio, il cui ruo- fece a suo tempo Berlusconi. Sarà comunlo alla prova dei fatti e dell’uni- que giugno il momento dell’ora o mai più: co ddl a sua firma giunto solo la corsa europea come premessa per giustiadesso all’esame del Parlamento ficare la sostituzione, il liberarsi di qualche si potrebbe dire esaurito con lo ministro-zavorra. E certe manovre in quesventolamento del nome, il giorno del giu- sto senso sono cominciate da un pezzo. ramento. Insomma se il suo fosse un preSu tutte, magnifica è quella che riguarda mierato forte, Meloni li avrebbe già revocati il ministro dell’Agricoltura Francesco Loltutti questi ministri, ma il premierato debo- lobrigida. L’immortale autore di alcuni tra le e i chiari di luna della sua classe dirigen- i momenti più vibranti di questi quattordite non lo consentono, deve tenerli per forza. ci mesi di governo dei Fratelli d’Italia e dei

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Foto: F. Fotia / Agf

Meloni punta a battere il record di durata del suo governo. Per farlo deve scaricare i membri-zavorra. Approfittando della corsa alle poltrone europee dopo il voto di giugno


loro affini, secondo forse solo al sottosegretario Andrea Delmastro, il ministro-cognato ha iniziato il 2023 facendo risuonare la necessità dell’italica procreazione contro il pericolo della «sostituzione etnica», ha proseguito vantando il «mangiar sano» dei poveri (un argomento realmente in voga nell’anno 1940, pieno regime mussoliniano, come possono testimoniare fra gli altri i collezionisti della “Domenica del Corriere”) e, giusto per andare per sommi capi, ha concluso l’anno con la fermata straordinaria del Frecciarossa in ritardo alla stazione di Ciampino (obiettivo: andare e tornare da Caivano in tempo per l’ospitata ad “Avanti Popolo”). Ecco perché il ministro della Sovranità alimentare è adesso tra i primi della lista per una bella candidatura alle Europee. Corsa alla quale Lollobrigida appare però riluttante. Quando a novembre aprì un ca-

nale Telegram di aggiornamento delle propria attività, come ha raccontato a suo tempo il “Fatto”, qualcuno gli chiese: «Lo fai perché ti vuoi candidare?». «No», rispose lui. Un diniego rotondo, e inutile. Da allora infatti la questione non è cambiata, perché Meloni pensa ancora alla possibilità di candidarlo, così da allontanarlo dalle cose romane, di politica ma non solo. Lo pensava in estate quando, come dice lei stessa, «ho preferito mettere Arianna nel mio partito», cioè far salire sua sorella, compagna di Lollobrigida, all’interno di FdI nominandola capa della segreteria politica e responsabile del tesseramento (il ruolo chiave che in An era ricoperto da Donato Lamorte). Ha continuato a pensarlo, a sprezzo di ogni Ciampino o forse proprio per quello, in tempo di Finanziaria. Laddove, nonostante il generale contenimento dei costi richiesto, Lollobrigida ha fra l’altro

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L’ESECUTIVO Il giuramento del governo Meloni, il 22 ottobre del 2022

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STRASBURGO Il ministro Francesco Lollobrigida, probabile candidato alle Europee, come il collega Giancarlo Giorgetti, foto a destra

ottenuto 2 milioni di euro in più per gli «uffici di diretta collaborazione», vale a dire il suo Gabinetto al ministero, l’ufficio legislativo, la segreteria, l’ufficio stampa, il suo staff. Un sacco di soldi: a luglio, per fare un esempio, il ministro Guido Crosetto aveva ottenuto di incrementare i suoi uffici alla Difesa di 20 persone, con un aumento di spesa previsto di 533 mila euro all’anno. Un quarto dei soldi destinati adesso a Lollobrigida, il quale quindi in proporzione potrebbe assumere 60-80 persone. A cosa serviranno tutti questi individui? Ad esempio a gestire i soldi in più che sono stati dirottati sull’Agricoltura dal Pnrr riformato: tre miliardi di euro di fondi che secondo le intenzioni dovrebbero andare assegnati senza nuove gare, scorrendo le graduatorie di procedure già aperte, in modo da fare in fretta. Per il Pnrr e per il passaggio a nuova epoca. In un ministero che sta vivendo una cre-

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scita complessiva di risorse e di centralità. Una ascesa che apparirà coerente nel momento in cui – e qui sta l’altro tassello del progetto meloniano – si aprirà la trattativa sulla prossima commissione. E l’Italia, visto il ruolo imprescindibile ma non di particolare spicco che ci si attende, specie ad esempio nel caso di una nuova presidenza von der Leyen, potrebbe aspirare a una poltrona di seconda fascia ma identitaria per FdI, come appunto l’agricoltura. Posto perfetto dove spedire Lollo, riluttante ma sempre allineato alle richieste, a maggior ragione dopo la defenestrazione di Andrea Giambruno, spartiacque di tante cose. C’è che alla premier, come racconta più di un ex compagno di partito, piace avere persone con cui parlare prima di decidere, ma non piace il contraddittorio e figurarsi le critiche, tanto meno se fatte davanti a un pubblico. Questo elemento, acuito dacché


Foto: A. Serranò / Agf (2)

A luglio Crosetto ha ottenuto 500 mila euro per assumere 20 persone alla Difesa. In Finanziaria il cognato della premier ha avuto due milioni in più per il suo staff

siede a Palazzo Chigi, può da solo spiegare la divaricazione nella fortuna presso la premier tra taluni che pure non si sono certo distinti per scelte felici, ma restano comunque in palmo di mano (come Giovanbattista Fazzolari, colui che ha fornito il tragicamente sbagliato “fax” di Luigi Di Maio sul Mes da sventolare in Aula) e altri che si trovano condannati non tanto da scelte parimenti infelici, quanto dalla loro tendenza a fare di testa propria, criticare, rilasciare interviste pavoneggianti. È il caso di Adolfo Urso, anche lui non per niente in lizza per una corsa in Europa: dal caso dei tabelloni con il prezzo della benzina al carrello tricolore già ormai cancellato dalla memoria (e di certo dai provvedimenti del governo), dalla geniale trovata del contenimento dei rialzi dei biglietti aerei in estate fino al prossimo prevedibile esito del piano incentivi per l’acquisto di nuove au-

tovetture appena varato, il ministro delle Imprese e del Made in Italy ha accumulato una tale quantità di successi a ripetizione che Giorgia Meloni non sa più come complimentarsene. Quasi risulta trascurabile l’essere stato Urso, a suo tempo, un finiano: difetto incancellabile agli occhi della sorella d’Italia, ma ormai sepolto dalla valanga delle azioni successive. Tanto da premiarlo, assieme a Lollo, con una candidatura al Nord, stile Giorgia e i tre moschettieri. E chi sarebbe il terzo? Quatto quatto come sempre, con l’aria di uno che passa di lì per caso, al Sud potrebbe esserci Raffaele Fitto. Che a differenza degli altri due l’Europa la considera un desiderio. Portata a casa la revisione del Pnrr fino a veleggiare verso la quarta rata, il ministro per gli Affari europei si ritrova più o meno nella stessa posizione in cui si trovava Mario Draghi al termine del primo anno di governo, quando si definì un «nonno al servizio delle istituzioni» e chiarì di aver «creato le condizioni» per utilizzare efficacemente i finanziamenti del Pnrr: Super Mario era disponibile all’ascesa al Quirinale, Fitto è disponibile al ritorno in Europa, dove ha già lavorato proficuamente per quasi dieci anni. Magari per il posto da commissario italiano. Un incarico che nel 2019 sfiorò un altro ministro di questo governo, Giancarlo Giorgetti, pronto a fare le valigie in direzione Bruxelles salvo poi vedersi azzoppare l’ambizione dal Papeete salviniano con seguito di mojito nell’agosto che mise fine all’esperienza di governo giallo-verde. Ma quell’orizzonte è vivido come non mai negli occhi del ministro dell’Economia, sempre più stretto dal sovranismo del suo governo – in imbarazzo per posizioni come il no al Mes, come si è visto – e da un partito il cui leader è quello che è. Anche per lui, come per Fitto, l’Europa sarebbe un miraggio. Forse inagguantabile anche stavolta, però.

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La cricca dei poveri inguaia Salvini L’inchiesta Anas-Verdini viene messa sul conto politico del leader leghista. E la presidente del Consiglio ne approfitterà per escluderlo dalle prossime nomine nelle Ferrovie dello Stato

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INTERROTTA Un tratto incompiuto dell’autostrada Asti-Cuneo

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GIANFRANCESCO TURANO

uando Giulio Andreotti distinse i pazzi fra chi si crede Napoleone e chi vuole risanare le Ferrovie dello Stato, escludeva un malato così grave da immaginare un’Anas senza imbrogli. Nemmeno il divo Giulio nella sua veggenza poteva prevedere che dal Natale 2017 Anas sarebbe stata incorporata dalle Fs ma questo cambia poco sotto il profilo dell’inchiesta romana sull’ultima cricca dei lavori pubblici manovrata dalla famiglia Verdini. A meno che non cambi tutto. Nell’improvviso revival a mezzo stampa di verbali di interrogatorio in stile Tangentopoli 1992 – ma non era il governo del bavaglio? – una voce si fa strada per i corridoi di via Monzambano, sede dell’azienda delle strade. E poiché il cronista non porta pena, questa voce parla di giustizia a orologeria. Stanno arrivando a scadenza i vertici della controllante Fs e della stessa Anas, guidata da Aldo Isi, un tecnico di prove- INCOMPIUTA nienza Italferr, la società di ingegneria del Un viadotto della sugruppo Ferrovie. Sono dirigenti messi lì perstrada Orte- Cidall’ex premier Mario Draghi che si stan- vitavecchia, che però no giocando una riconferma problemati- finisce nel Viterbeca. Le nuove nomine arriveranno a marzo, se senza raggiungeaprile al massimo. Il fondatore della Inver re il porto Tommaso Verdini, numero uno e non per ordine alfabetico nell’ordinanza che dispone gli arresti per lui e altri sette, è il vicefirst cognato del vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Il padre Denis, condannato in giu- Mauceri, capo dipartimento opere pubdicato e di nuovo indagato, è bliche del Mit, per il ministero di Salvini e un suocero che ne ha fatte più del suo vice, il leghista genovese Edoardo di Bertoldo. Il ministro, ben- Rixi, tira una brutta aria. Inoltre la sostanché lontano dal mondo Anas za dell’inchiesta, coordinata dalla Guardia e tutto preso a evitare l’enne- di Finanza si svolge durante l’esecutivo sima, forse fatale sconfitta alle Draghi, quando Giorgia Meloni era all’opprossime regionali ed europee, posizione ma Salvini no. era la carta vincente dei lobbiDall’intervallo dei fatti (luglio 2021-nosti. Un asso pigliatutto a sua vembre 2022) fino agli arresti del 28 diinsaputa ma politicamente re- cembre 2023 è cambiato parecchio sia in sponsabile, dunque meritevo- Anas sia in Ferrovie. Alcuni dirigenti coinle di essere tagliato fuori dal- volti si sono spostati nella Stretto di Mesle nomine che riguardano il sina (Sdm) rigenerata da Salvini e affidasuo ministero. Insomma, sem- ta al lettiano di ferro Piero Ciucci che ha bra un’ottima occasione per presentargli comandato in Anas per nove anni. Massiil conto di quindici mesi trascorsi più da mo Simonini, ex ad, forse è indagato, foroppositore che da governante e fargli ca- se lo sarà. Lo stesso vale per il direttore pire chi comanda a Palazzo Chigi. Anche degli affari societari in Fs Massimo Bruse dall’interno dell’Anas segnalano la pos- no, proconsole dell’ad Luigi Ferraris all’Asibile designazione al vertice di Calogero nas, e per Diego Giacchetti, direttore del

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Molti dei manager coinvolti nell’indagine hanno trovato riparo nella società del Ponte di Messina. Dove, tra l’altro, non vale il limite di 240 mila euro per gli stipendi pubblici

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Foto: Getty Images; pag. 32-33: N. Campo / Getty Images

personale arrivato da Italferr nel gennaio 2022 su chiamata diretta di Isi. Idem per Omar Mandosi, manager passato dal pantano di sprechi milionari chiamato Anas International Enterprise (Aie) alla Sdm dopo avere tentato di piazzarsi alla Quadrilatero Umbria-Marche, società del circuito Anas dove si poteva giocare di rimessa per sistemare gli amici di Verdini e del socio Fabio Pileri. La Quadrilatero era ed è una meta ambitissima per il suo budget di 3 miliardi di lavori che comprendono la Pedemontana delle Marche, la nuova tangenziale di Foligno, lo svincolo della Val Menotre e il completamento della Perugia-Ancona affidato a Webuild. Un secondo fronte lucroso vedeva impegnato l’eterno Vito Bonsignore, 80 anni, sempre pronto a bussare a denari per la sua Ragusa-Catania e per la Orte-Mestre, il sogno della sua vita che anni fa era stima-

to oltre 10 miliardi di investimento, più o meno quanto il ponte fra Sicilia e Calabria. Infine c’era la Cav (Concessioni Autostradali Venete), l’azienda mista con la Regione Veneto. Il punto di equilibrio dell’indagine romana è in una domanda. Le riunioni da Pastation, il ristorante di Verdini jr in via Barberini a Roma, sono la versione romana del Satriale’s Pork Store, la salumeria dei mafiosi del New Jersey immortalata da una storica serie tv, con i Verdinis al posto dei Sopranos, o era millanteria? Tertium datur: non c’è lobbying senza un pizzico, anche robusto, di millantato credito. Lo insegna il maggiore lobbista italiano del dopoguerra, Licio Gelli. Del resto, Inver praticava prezzi tutto sommato modici per le sue intermediazioni. Dall’ad della vicentina Gemmo, l’indagato Giuseppe Tomarchio, sono ar-

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POLITICA LOBBY&APPALTI La società di Verdini jr praticava prezzi tutto sommato modici per le sue intermediazioni. I pagamenti individuati dalla Guardia di Finanza vanno da 50 a 100 mila euro

rivati pagamenti di 51 mila euro totali dall’agosto 2021 al maggio 2022 per un accordo quadro su 16 milioni di euro di gallerie in Umbria, vinto grazie alle anticipazioni sui capitolati fornite a Inver dentro l’Anas a mezzo di una chiavetta Usb denominata Porsche. Dal luglio 2021 all’aprile 2023 altri 112 mila euro più Iva sono stati versati dalla Phos dell’imprenditore indagato Antonio Veneziano e 93 mila euro dal consorzio Aurora. Il moto perpetuo di manager nel mondo delle partecipate Anas, dove Pileri si vantava di avere capacità di indirizzo anche grazie ai rapporti con il sottosegretario leghista del Mef Federico Freni, è interessante quanto i bonifici da consulenze perché gli appalti si ottengono con gli uomini giusti al posto giusto. Secondo la Finanza, le quinte colonne in Anas di Pileri e di Verdini, «ragazzo in gambissima» a detta del cognato, erano Simonini, il direttore appalti Paolo Veneri, il responsabile di ponti, viadotti e gallerie Luca Cedrone e Domenico Petruz-

VERTICI L’amministratore delegato di Fs Luigi Ferraris. A destra: Massimo Simonini, già amministratore delegato di Anas

Il caso

Foibe in mostra paga Ferrovie

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impiego dei binari a maggior gloria del governo Meloni sta diventando più puntuale di un Frecciarossa. Dopo il Roma-Pompei inaugurato nel caldo torrido dello scorso luglio dalla premier e dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, il prossimo 10 febbraio nel giorno del ricordo dell’esodo degli italiani da Istria e Dalmazia sarà inaugurata una mostra itinerante sulle foibe. Il gruppo Ferrovie dello Stato, guidato da Luigi Ferraris, metterà a disposizione un treno speciale che per due settimane accompagnerà la mostra lungo la penisola. Il convoglio partirà da Trie-

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ste, la città simbolo della cortina di ferro postbellica ma anche la piazza dalla quale Benito Mussolini annunciò le leggi razziali il 18 settembre 1938. Il punto di arrivo sarà Taranto dopo una quindicina di tappe. La mostra sarà curata dall’attore e drammaturgo Leonardo Petrillo, che tre anni fa ha collaborato con Fs per il treno della memoria dedicato al trasporto della salma del Milite Ignoto nel 1921. Secondo fonti interne alla struttura tecnica di missione di Palazzo Chigi, la presidenza del Consiglio metterà a disposizione dell’iniziativa un contributo intorno ai 200 mila euro, insufficiente a coprire le spese. Il resto andrà a carico delle Fs i cui vertici sono in scadenza nei prossimi mesi. Nonostante lo stato comatoso delle opposizioni, è possibile che si risvegli qualche forma di polemica sul dilemma se valga di più la


Foto: Agf, Fotogramma

zelli della direzione operation che gestiva 180 milioni di euro per tre lotti di tunnel. I quattro sono stati ricollocati in modo lodevolmente garantista. Simonini rimane un dipendente Anas. Asceso alla poltrona del capo dai secondi ranghi dell’azienda, oggi lavora per il Mit che lo ha nominato commissario straordinario alla statale 106 Reggio-Taranto, appena funestata da un’altra strage automobilistica. Veneri non è più direttore e ha subito il dramma della perdita del parcheggio riservato ai manager di prima linea. In compenso, dal giugno 2022 si è ricollocato alla Quadrilatero come cfo al posto di Goffredo Antonucci, mandato in pensione dopo avere aiutato il liquidatore di Sdm Vincenzo Fortunato a sbaraccare la società del ponte finché Salvini non ha optato per la resurrezione. Al posto di Veneri, dal novembre 2022 si occupa di acquisti e appalti in Anas Nicola Rubino, ex capo del legale dove è arrivata Eleonora Mariani, già in Todini e in Sdm. Petruzzelli è stato spostato dalla manutenzione programmata alla meno at-

memoria o il ricordo. L’etimologia si limita a segnalare il fattore mnemonico contro l’aspetto emotivo che riguarda il cuore. La differenza politica la fanno i governi, anche a costo di forzature storiche. Sabato 27 gennaio 2024, anniversario dell’entrata in Auschwitz dell’Armata rossa, è designato come giornata della memoria delle vittime dell’Olocausto nazifascista in base a una legge varata dal governo Amato II (Ulivo) a luglio del 2000 e trasformata dall’Onu in ricorrenza internazionale nel novembre 2005. Nel marzo 2004, il governo Berlusconi II varò il giorno del ricordo in nome delle vittime italiane delle foibe, le stragi perpetrate dai partigiani jugoslavi. Che sui morti si possa fare della buona propaganda lo dimostra l’acceso dibattito seguito ai tentativi più o meno espliciti di mettere su un livello di parità due

eventi tragici ma molto diversi nei moventi e con proporzioni numeriche nell’ordine di uno a mille, a dare per buoni i calcoli di chi stima in 5-6 mila gli infoibati. La tendenza non sembra essere in diminuzione con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, nonostante le lezioni di lotta all’antisemitismo date nella conferenza stampa del 4 gennaio dal capo di un governo che schiera ex portatori di bracciali con svastica. Sempre in ambito di aziende pubbliche quest’anno la Rai prevede la messa in onda de “La rosa dell’Istria”, incentrata sul dramma degli esuli istriano-dalmati. Per evitare un nuovo caso “Il cuore nel pozzo”, la serie che nel 2005 aprì una crisi diplomatica con la Slovenia, i dirigenti Rai hanno garantito che “La rosa dell’Istria” non ha rilevanza politica e che la produzione è stata avviata prima della vittoria meloniana alle Politiche. G.T.

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redità scomoda. Al momento, la società creata da Ciucci nel 2012 per espandere il fatturato Anas a colpi di appalti esteri ha sprecato decine di milioni. Oggi Aie è una bad company che contiene l’autostrada russa Rostov-Krasnodar, non lontana dal teatro di guerra del Donbass. I pedaggi avrebbero dovuto garantire ritorni finanziari strepitosi. Invece non si vede un rublo. La vendita degli asset russi, deliberata in cda ad aprile 2022, due mesi dopo l’invasione putiniana, non è stata realizzata. La good company, cioè l’area estero dell’Anas affidata a Renzo Iorio, è quasi messa peggio. Iorio deve gestire l’autostrada libica Ras Ejdyer-Emssad promessa da Silvio Berlusconi a Muhammar Gheddafi. L’appalto libico è fermo.

Foto: A. Dadi / Agf, A. Casasoli / FotoA3

traente sicurezza sui cantieri dal luglio 2022 dopo avere guidato Autostrade del Lazio, la società della Roma-Latina messa in liquidazione a gennaio del 2022 e commissariata. Il tentativo di Petruzzelli di farsi appoggiare da Verdini per diventare ad della Cav, la società del Passante di Mestre, ha incontrato l’opposizione di Luca Zaia che, al netto della rivalità con il Capitano, non ama interferenze nel suo feudo. Mandosi entra nell’indagine per i suoi rapporti con Pileri. Il socio minoritario di Verdini il 31 maggio 2022 gli regala al telefono una perla di saggezza: «Le gare non le vinci con i Simonini, gli Isi, Giacchetti. Le vinci con il marescialletto». Tre mesi prima, il 22 febbraio 2022, c’era stato l’incontro al Pastation fra Verdini, Freni, Giacchetti e Pileri che il giorno dopo ragguagliava Mandosi sull’andamento delle raccomandazioni nella nuova gestione Isi, in carica dal Natale 2021. In un’altra conversazione, con Veneri, Pileri citava la lista di Gianni Vittorio Armani, l’ex ad Anas prima di Simonini che stava suggerendo a Isi il suo elenco di buoni e cattivi. Dal maggio del 2023 Mandosi ha partecipato all’esodo di molti ex Anas verso Sdm. Il suo ruolo è responsabile delle risorse umane. Può sembrare una deminutio rispetto alla posizione precedente in Aie, dove Mandosi era stato piazzato come dirigente preposto proprio da Armani. Ma va considerato che Sdm, a differenza dell’Anas, paga come un’azienda privata cioè senza il tetto dei 240 mila euro. Aie è stata messa in liquidazione il mese dopo, a giugno, e affidata a Gianluca Piredda, 61 anni. Il commercialista è un nome di grande peso negli ambienti romani, al di qua e al di là del Tevere dove è stato consultore della Prefettura per gli Affari economici della Santa Sede. Ancora trentenne ha lavorato da consulente dell’Anas, al tempo ente pubblico divorato dai tangentisti della Prima Repubblica, ed è intervenuto nella fusione Salini e Impregilo. Con Aie Piredda deve affrontare un’e-

Aie, la società delle strade che doveva garantire espansione internazionale, ha generato sprechi milionari. È in liquidazione e i dirigenti sono sotto processo


Un’altra gallina dalle uova di PROTAGONISTI La magistratura contabile avepiombo è la società creata in Denis Verdini con il fi- va quantificato il rimborso in Qatar per sfruttare gli appalti glio Tommaso. A sini- 26 milioni di euro complessivi dei Mondiali di calcio 2022. La stra: Pietro Ciucci, ad per otto manager di via Monjoint venture è stata liquida- della società Stretto zambano. Accroglianò ha patta dalle autorità di Doha. L’u- di Messina teggiato la condanna ma nesnico lavoro in corso è in Algesun altro risulta avere pagato ria con l’autostrada Est-Ovest (1.216 km) il conto. È andata nello stesso modo per e il raccordo Costantina-Batna (62 km). i 178 milioni di euro buttati sulla variante Il lotto est vinto dall’Anas vale a bilancio autostradale Valdastico Nord, mai realiz140 milioni di euro. Ma gli algerini non zata, e per la statale 106 della Jonica. Per stanno pagando e, con la crisi del gas rus- tagliare la testa al toro, il meloniano Tomso che ha portato l’Italia a chiedere forni- maso Foti ha proposto un intervento goture nel Paese nordafricano, non è il caso vernativo per bloccare il danno erariale e di insistere. depotenziare la Corte dei Conti. I due ex manager di Aie, Stefano GraUn altro segnale di disagio per l’inchienati e Bernardo Magrì, sono sotto inchie- sta romana è la legge sulle lobby, attesa da sta penale e hanno subito un sequestro di quasi mezzo secolo. La maggioranza l’ha 7,6 milioni di euro. Nel frattempo, si sono promessa entro aprile. Per quel tempo i ricollocati nel privato. Magrì è alla Sa- giochi delle nomine saranno fatti. Solo altap di Beniamino Gavio e Granati, ex cfo lora si potranno affrontare questioni non con Ciucci, è nel cda della Franchetti spa. proprio secondarie come la privatizzazione Ciucci stesso era stato sanzionato dalla della stessa Anas o di una quota del capitaCorte dei Conti per danno erariale sul ter- le di Fs per rimpinguare le casse. Ma trovazo macrolotto della Salerno-Reggio Cala- re qualcuno disposto a investire soldi dove bria nel quadro dell’inchiesta sulla Dama comanda da sempre la politica sarà, come Nera dell’Anas, Antonella Accroglianò. minimo, una sfida ardita.

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POLITICA IL COMMENTO

La responsabilità è un dovere degli adulti PAOLA BALDUCCI* l Capodanno appena passato ha rappresentato lo specchio della situazione armi in Italia, in quanto il loro uso disinvolto, illecito o maldestro ha portato a conseguenze non di poco conto. Il «rito dello sparo» si è difatti ripetuto in varie parti del nostro Paese, coinvolgendo la sicurezza e la salute di chi, sfortunatamente, si trovasse nelle vicinanze. In provincia di Napoli, una donna ha perso la vita. In provincia di Biella, un proiettile partito da un mini-revolver, regolarmente detenuto da un parlamentare, ha ferito una persona. Il fascino che le armi, da sempre simbolo di forza e potere, sembrano suscitare non appare diminuito negli ultimi anni. Al contrario, l’equazione sociale armi-prestigio sembrerebbe quasi essersi rafforzata, tanto che il dibattito pubblico sulla normativa che permette ai privati di detenere e portare armi da fuoco con sé è vivo e acceso da anni. Ha fatto discutere un disegno di legge poi ritirato per modificare la legge 157/1992, che disciplina l’esercizio della caccia in Italia, abbassando da 16 a 18 anni l’età minima per richiedere il porto d’armi venatorio. Anche tra i minorenni, il possesso di armi da fuoco sembra presentarsi come un fenomeno da non sottovalutare: se, come riportato da numerosi esperti,

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LA DERIVA Preoccupa il dilagare di armi tra gli adolescenti, una deriva mutuata anche da modelli americani le cui dimensioni non sono misurabili

risulta difficile quantificare esattamente il numero di persone in possesso di una licenza o di un permesso per detenere armi, è ancora più difficile stimare esattamente l’entità del fenomeno del possesso illegale di armi da fuoco tra i giovani. In anni recenti si è assistito a una vera e propria deriva violenta anche di numerosi adolescenti, sempre più interessati a ostentare un illusorio status da «malvivente». A giugno sono state scoperte numerose chat su Telegram tra infraquattordicenni in cui venivano scambiate informazioni su come usare e fabbricare armi ed esplosivi e veniva documentato il possesso di armi, come Glock, anche in ambiente scolastico, per emulare i film americani. Di certo, l’esempio degli adulti dovrebbe ritenersi fondamentale per i giovani: detenere un’arma, anche legalmente, non dovrebbe significare portarla con sé e sfoderarla, seppur senza intenzione di utilizzarla, alla stregua di un moderno far west. Al contrario, laddove si possegga un oggetto in potenza così pericoloso e letale, occorrerebbe estrema cura nel maneggiarlo e custodirlo. La cultura della legalità risulta essere l’arma più forte per contrastare le forme che generano violenza. Ed è una cultura che non riguarda solo i giovani, ma anche e soprattutto gli adulti che dovrebbero porsi come baluardo di una cultura della responsabilità. Occorre recuperare un forte senso di responsabilità collettiva, che parta dai nuclei familiari, al fine di non trasmettere ai propri figli gli insegnamenti sbagliati, modelli educativi scorretti, non incentrati sul bene comune e sul rispetto del prossimo, ma sulla prevaricazione e sulla giustizia personale, con conseguenze molto spesso non volute, ma disastrose. *Avvocata, componente della Commissione per la riforma del processo penale

Foto: Getty Images

Il disinvolto uso delle armi, la proposta di estendere il permesso venatorio ai sedicenni e la deriva violenta impongono un ripensamento dei nostri modelli culturali. Non basta affidarsi alla scuola


INDISCRETO

Voci di nuovo (inedito) incarico per Super Mario. Progetto controverso per Castel Gandolfo

a cura di Gianfranco Ferroni

EUROPA / POSTO PER DRAGHI

Foto: Agf, Getty Images (2)

Tanti vogliono vedere Mario Draghi in Europa. L’ex presidente della Bce per alcuni sarebbe perfetto come presidente del Consiglio europeo, ruolo ora ricoperto da Charles Michel. Ma il politico belga ha deciso di candidarsi alle prossime elezioni continentali, così il suo mandato terminerà in anticipo rispetto al 30 novembre. Lo stesso Michel ha affermato: «La decisione sulla nomina del mio successore avverrà alla fine di giugno o all’inizio di luglio. Esiste quindi la possibilità per il Consiglio di anticipare la designazio-

ne del mio successore, prima che presti giuramento». Una questione che rischia d’ingarbugliarsi. E Draghi? Come accade in tante partite europee, a Washington sono sicuri che «Super Mario» avrà un ruolo speciale, che oggi non esiste: quello di commissario straordinario europeo per la ricostruzione dell’Ucraina. L’ex premier italiano, si sa, vanta ottimi rapporti con il potere politico e finanziario a stelle e strisce. Oltre che con i leader europei: c’era lui su quel treno organizzato per andare a incontrare Volodymyr Zelensky con Emmanuel Macron e Olaf Scholz.

VATICANO / COME DISNEYLAND Papa Benedetto XVI adorava le ville pontificie di Castel Gandolfo: un complesso servizio di scorta delle forze dell’ordine italiane permetteva a Ratzinger di raggiungere velocemente, in auto, la meta. Papa Francesco, invece, preferisce restare a Roma: da quando c’è lui, la residenza situata a pochi chilometri dalla Capitale non viene utilizzata. Così, nelle stanze vaticane circola un progetto che prevede una rivoluzione per quei 55 ettari ai Castelli romani: l’idea è di trasformare l’area, compresa la tenuta agricola dove si producono ortaggi e frutta, in un parco divertimenti. Quella che viene definita la «fattoria del Papa» occupa 25 ettari e fu voluta da Pio XI, con stalle, pollai, agrumeti, oliveto, vigna e arnie per la produzione di miele. «Ma del personale che si dedica alla terra che si fa?», domanda un alto prelato. Molti in Vaticano guardano con sospetto la prospettiva di trasformare Castel Gandolfo in «una specie di Disneyland».

SANZIONI / SOLDI RUSSI Possono fare comodo 2 miliardi di euro al bilancio dello Stato? È il valore complessivo delle sanzioni che hanno colpito i beni presen-

ti in Italia degli oligarchi vicini al Cremlino, per effetto delle decisioni europee contro la Russia. Il primo febbraio si riunirà il Comitato di sicurezza finanziaria istituito presso il ministero dell’Economia, guidato da Giancarlo Giorgetti: al centro dell’attenzione ci sono i rischi del riciclaggio collegato al finanziamento del terrorismo. Parteciperanno Abi, Ania, Apsp, Assosim, Assifact e Assofin. Ma il comitato è chiamato anche a occuparsi della situazione israeliana, alzando di più le antenne sul Medio Oriente. Intanto occorre prendere una decisione su cosa fare dei soldi russi.

TIVOLI / UNITI PER L’OSPEDALE È di Reggio Emilia, ma vive a Tivoli. Monsignor Mauro Parmeggiani, dopo essere stato per anni il segretario particolare di Camillo Ruini, ora è vescovo e guida la diocesi di Tivoli e Palestrina. Nel Comune tiburtino è andato a fuoco l’ospedale e lui spinge per riaprirlo, ovviamente «nel rispetto dei tempi che la magistratura deve prendersi per le indagini», lanciando un appello «a tutte le istanze governative, regionali e dei Comuni i cui cittadini fanno riferimento all’ospedale stesso».

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POLITICA VORAGINI DI STATO

Ilva, storia di una fuga annunciata GLORIA RIVA a una parte c’è il colosso dell’acciaio, ArcelorMittal. Dall’altra lo Stato italiano che fra un paio di mesi ospiterà il G7 e non intende sfigurare: il primo grande appuntamento dei 7 maggiori Stati economicamente avanzati del pianeta si terrà il 14 marzo a Verona e lì l’Italia intende dimostrare che è possibile tenere insieme sviluppo industriale, sostenibilità ambientale e giustizia sociale. Nel mezzo c’è Ilva, la più grande acciaieria d’Europa che, finché è stata diretta da Emilio Riva, è stata una macchina da soldi e di acciaio, con una produzione di oltre 12 milioni di tonnellate l’anno. Ungendo certi ingranaggi, era stato facile portare tutti dalla sua parte, ma Riva aveva dimenticato la salute dei tarantini, avvelenata dai fumi degli altiforni della gigantesca acciaieria, sorta e cresciuta troppo Stato, a favore di una società che, nel frata ridosso della bella città di Ta- tempo, è tornata per lo più privata. Come ranto. La magistratura nel 2012 Alitalia, Ilva è un’altra storia di infinita masequestra gli impianti e fa scat- lagestione industriale ai danni del contritare le manette per Riva, accu- buente. sato di disastro ambientale. Ci È il 2016 e il Tesoro mette all’asta l’acciaprova lo Stato a mettere un po’ ieria. Si fa avanti ArcelorMittal, il secondo d’ordine, studiando un piano più grande produttore di acciaio globale (88 di ambientalizzazione per con- milioni di tonnellate l’anno) e firma il consentire sia la continuità produt- tratto d’affitto con obbligo di acquisto (entiva sia la salubrità ambientale. tro il 2024) dei complessi aziendali Ilva per Il compromesso accettabile è 1,8 miliardi di euro. L’operazione viene saluportare la produzione a 8 milio- tata con scarso entusiasmo: fin da subito si ni di tonnellate, sapendo che il intuisce che l’obiettivo di Mittal non è far ribreak even (cioè il punto di pa- partire la siderurgia, bensì presidiare il merreggio di bilancio) è a 6 milioni di tonnel- cato italiano e fare proprio il prezioso listilate, cifra mai raggiunta: per questo l’Ilva no clienti di Ilva. Ma fino al 2018 la presenza è uno stabilimento perennemente in per- dei franco-indiani è forte, con un totale predita, che drena parecchie risorse pubbli- sidio gestionale degli impianti, che offre alche, fra ammortizzatori sociali e molteplici meno una salda garanzia di continuità alle iniezioni di liquidità, insufflate in Ilva dallo maestranze e di visibilità per il consistente

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Foto: I. Romano / Getty Images

La rottura tra Mittal e governo viene da lontano. Da anni di errori e accordi capestro che hanno di fatto azzerato l’acciaio italiano. Con miliardi pubblici bruciati come in Alitalia


indotto, locale e nazionale. Come racconta a L’Espresso il sindacalista della Uilm Rocco Palombella, che è stato anche un dipendente Ilva e quindi l’azienda la conosce bene, la situazione precipita nel 2019 per due motivi: «A luglio una tromba d’aria fa cadere una gru da 80 metri sul quarto sporgente del porto. Un operaio perde la vita e viene distrutto un impianto preziosissimo, che garantiva il trasporto di più del 60 per cento di minerale dal pontile ai parchi primari. Nessuno, neppure l’Ilva in amministrazione straordinaria, ha mai dichiarato di voler ricostruire quell’elemento costoso ma indispensabile. Poco dopo il governo Conte II abolisce lo scudo penale», il che rende anche Arcelor corresponsabile di quanto accaduto in Ilva in passato. «Da lì i Mittal capiscono che la soluzione migliore è abbandonare e chiedere il risarcimento danni. E in effetti così fecero», ricostruisce il sindacalista. A novem-

bre 2019 chiedono di fermare gli impianti e arriva un nuovo ad, Lucia Morselli, poco propensa all’intesa, molto votata all’erigere muri, e presenta un piano di spegnimento dell’impianto, respinto però dal Tribunale di Milano che impone a Mittal la continuità industriale. Torna in scena lo Stato, che pur di salvare l’industria con i suoi 15 mila dipendenti e un indotto gigantesco, firma un accordo capestro al buio, perché Mittal non consente una due diligence completa. L’accordo contiene dei patti parasociali secretati, che scadranno nella primavera del ’24. Intanto Mittal ritira i propri tecnici, crea una nuova società totalmente italiana per staccare ogni collegamento con il gruppo ArcelorMittal, impone Morselli come amministratrice delegata e, sostanzialmente, smette di investire. Da allora l’attività dell’acciaieria più grande d’Europa si limita all’acquisto di minerale ed energia per produrre bram-

FUMI Una veduta di Taranto con le emissioni degli stabilimenti delle acciaierie Ilva

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PROTAGONISTI Il sindacalista della Uil Rocco Palombella e (a destra) il ministro per il Pnrr e il Sud Raffaele Fitto

me, poi cedute a Mittal. Le bramme, che sono l’acciaio grezzo, hanno poco valore: in siderurgia la profittabilità viene dalla laminazione dei coils, dalla rifinitura, alla zincatura e così via. Lo stabilimento di Taranto e quelli ancillari di Genova e Novi Ligure sono dotati di impianti all’avanguardia che, partendo dal minerale, consentono di arrivare all’acciaio pronto da spedire ai produttori di auto, elettrodomestici, macchine utensili senza uscire dal perimetro aziendale: il valore aggiunto sta nella verticalizzazione, che consente di generare cassa e utili. A Taranto si è invece preferito congelare l’area a freddo e rallentare i motori, fino ad arrivare a un minimo di tre milioni di tonnellate l’anno, continuare a bruciare cassa, accumulare debiti commerciali (soprattutto con società del gruppo Mittal) per oltre 2,5 miliardi di euro e andare a battere cassa al socio di minoranza, lo Stato. Arriviamo all’autunno del ’23: i patti presi nel 2016 imporrebbero a Mittal di acquistare Ilva entro fine anno e Raffaele Fitto firma un contestatissimo Memorandum of Understanding, cioè un pre-accordo, fortemente sbilanciato a favore del socio franco-indiano. Il Memorandum sembra offrire ai Mittal anche l’immunità

Ora si pensa all’ingresso di nuovi imprenditori privati, italiani e stranieri. Fra i nomi che circolano quelli di Arvedi, degli ucraini di Metinvest e degli indiani di Vulcan Green

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legale e la possibilità di acquistare l’intera azienda pur sotto confisca, offre l’assegnazione diretta dei fondi pubblici del Repower Eu e addirittura un impegno economico da parte di Invitalia per cedere il 100 per cento delle quote a Mittal. Insomma, un’offerta che non si può rifiutare. Invece il re nudo rifiuta e avvia la strategia “muoia Sansone con tutti i Filistei” che si palesa lunedì 8 gennaio quando, dopo un lungo tira e molla, il «governo prende atto dell’indisponibilità di ArcelorMittal ad assumere impegni finanziari e di investimento, anche come socio di minoranza», recita la nota di Palazzo Chigi a seguito dell’incontro fra i vertici di Mittal e il governo, che si prepara a una battaglia legale. Anche se il giorno seguente Arcelor, con una nota, ha affermato di essere disposta a restare in minoranza, ma solo mantenendo almeno il 50 per cento della governance. Ora la via più credibile è quella dell’amministrazione straordinaria. Da tempo i due uomini di fiducia di Giorgia Meloni, i sottosegretari di Stato alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano, studiano il dossier Ilva con i ministri Giancarlo Giorgetti (Economia), Raffaele Fitto (Pnrr e Sud) e Adolfo Urso (Imprese). Stanno predisponendo un piano alternativo: ecco perché la rottura di Mittal è stata accolta freddamente da Palazzo Chigi, che già pensa a un commissario dal profilo fortemente tecnico. L’obiettivo del governo è concretizzare il suo piano B per arrivare al G7 di Verona con un progetto di transizione ecologica in grado di salvaguardare l’occupazione (10.700 dipendenti, di cui 8.200 a Taranto). Si passerà attraverso una temporanea nazionalizzazione, agevolando il graduale ingresso di uno o più partner privati. Sul nome dei futuri azionisti c’è massimo riserbo. Circola il nome del cavaliere Giovanni Arvedi e si è parlato anche dell’ucraina Metinvest, che ha azzerato la produzione nel Paese di origine per via dell’invasione russa, e dell’indiana Vulcan Green Steel, ramo del gruppo Jindal che si occupa della produzione di acciaio da fonti rinnovabili.

Foto: S. Granati - Corbis / Corbis via Getty Images, A. Serrano' / AGF

POLITICA VORAGINI DI STATO


FUORILUOGO

L’avvocatura dello Stato contro la stessa Corte Costituzionale sulle responsabilità dei crimini

Franco Corleone

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gghiacciante. Solo così si può definire quello che sta accadendo nei tribunali civili italiani, da Firenze a Udine, da Pordenone a Trieste, nelle cause di risarcimento per le stragi nazifasciste accadute tra il 1943 e il 1945. Gli avvocati dello Stato stanno adottando tecniche dilatorie insulse, dalla messa in discussione di fatti storici acclarati all’evocazione della prescrizione, dall’offerta di una elemosina alle vittime alla messa in discussione della titolarità nel processo dei parenti delle vittime. La cosa davvero inaudita è rappresentata dal fatto che alcuni avvocati hanno avuto

Stragi naziste e stragi del diritto Lo Stato complice l’ardire di prendere le parti della Germania, dimenticando di dover rappresentare le ragioni dello Stato italiano, di dover rispettare la legge e di tutelare i diritti dei cittadini che attendono giustizia da troppo tempo. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale che il 4 luglio decise sulla legittimità del Fondo – istituito dal governo Draghi – per il ristoro dei crimini di guerra e contro l’umanità compiuti dalle forze del Terzo Reich, le cause impantanate avrebbero dovuto assumere un iter rapido avendo trovato una soluzione per conciliare questioni contrastanti, da una parte il principio della tutela assoluta dei diritti umani e dall’altra la controversia con la Germania fondata sulla norma consuetudinaria di diritto internazionale sull’immunità di uno Stato dalla giurisdizione di un altro Stato. La Consulta ha sottolineato che la legge

79 del 29 giugno 2022 ha individuato una «disposizione speciale e radicale» con una norma «virtuosa anche se onerosa» capace di chiudere un contenzioso infinito attraverso l’istituzione di un Fondo indicato come il soggetto che si assume la copertura dei crediti risarcitori. Finalmente il tribunale di Firenze emanava due importanti sentenze il 9 novembre 2023, riguardanti l’uccisione di Egidio Gimignani e di Giuliano Lotti avvenute nel giugno e luglio 1944 a Tavarnelle Val di Pesa con l’esplicita condanna della Repubblica federale tedesca e la definizione di un risarcimento a carico del Fondo. Le motivazioni erano fondate sulle previsioni della legge e della sentenza della Corte Costituzionale. Inopinatamente l’avvocato dello Stato Piercarlo Pirollo ha interposto appello affastellando argomentazioni che fanno a pugni con i riferimenti normativi e giurisprudenziali, chiedendo di escludere la Germania come parte. In particolare, viene trascurata la decisione della Consulta che ha confermato l’eccezione umanitaria in presenza di crimini di guerra e contro l’umanità e anche la giurisdizione nazionale, per cui nelle cause civili la Germania può essere condannata per i fatti accertati e il rimedio congruo deve essere assolto dal Fondo gestito dal ministero dell’Economia. La contraddizione è patente con l’affermazione dell’avvocatura dello Stato espressa nel giudizio davanti alla Corte Costituzionale che si riferì alle vittime come «carne viva, non di creditori». Che fare? I sindaci di Sant’Anna di Stazzema e di Marzabotto hanno scritto al presidente Mattarella esprimendo un profondo sdegno. Tocca alla presidenza del Consiglio e in particolare al sottosegretario Alfredo Mantovano, mettere ordine per evitare interpretazioni confuse e distorte. Lo Stato non può coprire le stragi e offendere le vittime, privandole di giustizia.

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POLITICA IL CONSENSO

Comunicatori I guru dei leader a tutto social GIORGIO CHIGI e chiamavamo nuove frontiere. Dispensavamo critiche e giudizi sull’opportunità di declinare le istituzioni sui media digitali. Oggi non è solo la norma, bensì una necessità politica. Lo spazio phygital del resto è un dato di fatto. Il pubblico è ovunque, specie in Rete. E i social network rappresentano indubbiamente un contenitore di consensi. L’ultima dimostrazione è stato lo scivolone di Chiara Ferragni sul caso Balocco. In questa cornice, il panorama italiano degli esperti in materia si è arricchito con grande evidenza, restituendoci nell’arena politica nuove figure ibride e di successo. Metà leader, metà influencer. Chiamatelo segno dei tempi. Ma chi c’è dietro i leader politici di oggi? Chi sono i social media manager più influenti nei palazzi? Qual è la top 5 dei professionisti che contano davvero nel mondo della politica digitale? Più in vista al momento troviamo naturalmente Tommaso Longobardi, dal 2018 responsabile della comunicazione digital di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio e leader di Fratelli d’Italia. Classe 1991 e scuola Casaleggio, segue la premier da quando il suo partito era al 3%. L’ha accompagnata alla vittoria elettorale e oggi dispensa consigli e strategie come consi-

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LA PIAZZA Giorgia Meloni: selfie con la piazza di Milano dopo un evento

gliere a Palazzo Chigi. Percorso analogo per Dario Adamo, social media manager dell’ex premier e leader del M5S Giuseppe Conte. Adamo è ritenuto dai più un vero e proprio innovatore della comunicazione politica sui social. Vengono infatti attribuiti a lui molti dei nuovi format introdotti dal Movimento a partire dal 2013 e poi ripresi da altri partiti politici. Anche lui scuola Casaleggio, oggi è tra i pochi in Italia ad aver maturato un importante know how istituzionale (quando guidava l’ufficio social di Palazzo Chigi) e rilevanti competenze nel marketing politico-elettorale. Il suo è un profilo sobrio, in linea con quello espresso da Martino Merigo, dal 2015 al fianco del portavoce Giovanni Grasso per la comunicazione digitale del presidente Mattarella. Al Colle, Merigo ha portato innovazione e dinamismo. Prima di collaborare con il presidente, aveva prestato servizio presso la Comunità di Sant’Egidio, ha poi seguito Andrea Riccardi quando diventò ministro nel governo Monti. Sul fronte Lega troviamo invece Leonardo Foa, figlio di Marcello Foa, ex presidente della Rai. Oggi è esperto responsabile della pianificazione e della promozione delle attività del vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini. Era ritenuto il vice di Luca Morisi, l’animatore dei social del Carroccio e ideatore della Bestia. Infine, Elly Schlein, seguita invece da un’agenzia di comunicazione, la Lievito Consulting di Francesco Nicodemo, già consigliere alla comunicazione a Palazzo Chigi ed ex responsabile nazionale della comunicazione del Pd. Il compito è assai arduo, considerando la scarsa propensione della segretaria a proporsi sui canali social. Tutti, comune, nuovi alfieri di una politica sempre più orientata ai post e lontana dai comunicati stampa.

Foto: N. Marfisi / Agf

Niente note stampa, la disintermediazione porta i segretari dei partiti a rivolgersi direttamente agli elettori con parole, poche, e video, tanti. Chi sono i ghostwriter della Rete


BELLE STORIE

Come dimostra il caso di Saman Abbas, avere documenti italiani è la via per libertà e indipendenza

Francesca Barra

aman Abbas, di origini pakistane, è stata uccisa in Italia perché si era opposta a un matrimonio combinato. Per la sua morte sono stati condannati all’ergastolo i genitori e a quattordici anni lo zio. Ma quante sono le giovani in pericolo come Saman e come si possono aiutare? Amani El Nasif, di origini siriane, ma cresciuta a Bassano del Grappa, a sedici anni è stata ingannata dalla sua famiglia. Con la scusa di dover rifare i documenti, infatti, le hanno fatto raggiungere il villaggio paterno in Siria, dove ha scoperto che avrebbe definitivamente dovuto cambiare vita: abiti diversi, cellulare sotto sequestro per inter-

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La cittadinanza potrebbe salvare molte ragazze rompere i contatti con l’Italia, obblighi, limitazioni delle sue libertà. Ha provato a togliersi la vita quando le hanno imposto di sposarsi con un cugino ed è riuscita a salvarsi solo trecentonovantanove giorni dopo grazie a uno zio professore universitario di Aleppo. Anni dopo, finalmente al sicuro, ha scritto un libro sulla sua storia: “Siria mon amour” con Cristina Obber. «Ho scoperto che non ero più una figlia, ma una merce di scambio. Con il tempo ho capito che anche mia madre era una vittima in quel contesto perché, in quanto donna, non poteva imporsi e aiutarmi. Ero stata cresciuta in modo libero, ragionavo da ragazza italiana, mi vestivo come desideravo, ma tutto era cambiato. Sono ritornata in Italia due mesi prima di compiere diciotto anni e fino a quel giorno ho finto che andasse tutto bene. Poi sono uscita senza

cambi, senza valigie, solo con il documento e ho interrotto i rapporti per due anni con la mia famiglia. Per salvare altre ragazze io consiglio di parlarne fuori casa: fatelo con gli insegnanti e, se lavorate, fatelo al lavoro. Non dobbiamo essere invisibili, se ne manca una dal contesto sociale, si deve intervenire. Il mio fidanzatino di quegli anni era andato dagli assistenti sociali quando ero sparita, ma non potevano fare niente perché, anche se se vivevo in Italia da quando avevo tre anni, ero andata a scuola e lavoravo, non avevo la cittadinanza italiana e il mio Paese non poteva difendermi. Avere la cittadinanza vuole dire avere dei diritti ed essere libere, non averla vuole dire la fine. Per me non è solo un documento. Anche Saman era tornata a casa per riprendere i suoi documenti: anche per lei rappresentavano la libertà e l’indipendenza». Mi spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: «Queste ragazze sono invisibili, manca un reale progetto di integrazione. Conosciamo gli uomini delle comunità perché lavorano, ma loro improvvisamente spariscono. Sembra che ciò che accade in queste comunità non sia di nostro interesse. Però poi succede che Saman viene uccisa. In Pakistan, nel 2022, ci sono stati 384 delitti d’onore. È evidente che c’è un problema». «Queste ragazze sono fortissime, malgrado siano disintegrate dalla fine del rapporto con la famiglia», dice Simona Lanzoni, vicepresidente di Pangea. «Spesso subiscono violenze e si salvano per l’intervento di un contatto in Italia. Una ragazza è partita minorenne e siamo riusciti a farla rientrare grazie all’allarme del fidanzato, ma è stato complicatissimo. Ora è in una casa rifugio e farà un percorso che la porterà all’autonomia. Il dipartimento per le Pari Opportunità dovrebbe attivare un piano di azione con i vari ministeri grazie al quale costruire un programma di coordinamento e di prevenzione».

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RESISTENTI

Nel mondo arabo un movimento di opinione punta all’embargo energetico per fermare Israele

Diletta Bellotti

uasi nessuno sa come funziona uno scaldabagno ma tutti l’anno scorso sembravano avere un’opinione sulla dipendenza energetica dalla Russia e sul conseguente coinvolgimento europeo nella guerra in Ucraina. È indubbio che negli ultimi due anni il dibattito intorno all’energia abbia appassionato e mosso tantissimo l’opinione pubblica, ha anche agevolato l’ingiustificato caro-prezzi delle società energetiche. Da ottobre 2023, è nata “Disrupt Power”: una coalizione decentralizzata e anonima di ricercatori e ricercatrici che si sta organizzando per interrompere e sanzionare il

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I big dell’energia dietro al conflitto nella Striscia settore mondiale dell’energia con lo scopo di ottenere un cessate il fuoco a Gaza. Mentre girava un documentario sull’industria del gas nel Mediterraneo, ho incontrato Olive, un’attivista climatica che mi ha raccontato della loro battaglia: «Un genocidio non avviene e basta, qualcuno lo finanzia, ne estrae le risorse e le moltiplica». La coalizione è nata da una forte spinta del mondo arabo: è composta da professionisti indipendenti del settore energetico, tra cui economisti, artisti, architetti, ricercatori e attivisti, ha sede in diverse città metropolitane del mondo arabo e non solo. Nelle loro parole «sono anonimi ma presenti ovunque». L’obiettivo è un embargo energetico. Storicamente, è già avvenuto: nel ’73 e ’74 c’è stato un embargo petrolifero dal Medio Oriente nei confronti degli Stati Uniti, dei Paesi Bassi, del Portogallo, della Rho-

desia e del Sudafrica, come rappresaglia per il sostegno a Israele durante la guerra del Kippur. Il candidato più plausibile, mi racconta Olive, è l’Algeria viste le relazioni europee con il gas algerino e la storica solidarietà del Paese africano alla causa palestinese. L’embargo energetico non è solo uno strumento del mondo arabo per esprimere solidarietà alla liberazione palestinese ma significa creare una barriera fisica al supplemento di energia per carri armati e jet da guerra. Nel frattempo, negli ultimi tre mesi, sono sono state uccise 22 mila persone, tra cui 109 giornalisti. Uccidere i giornalisti, così come bombardare gli ospedali, i campi profughi, le case dei civili, le scuole, i luoghi di culto e le vie di fuga dai bombardamenti sono crimini di guerra e contro l’umanità, oltre che azioni con un esplicito intento genocida. All’inizio del 2024, il Sudafrica si è appellato alla Corte internazionale di giustizia affinché Israele venga processata per genocidio. La prima udienza a L’Aia si tiene in questi giorni. Come possiamo aspettarci che l’Unione europea porti Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia se ha firmato con Gerusalemme un accordo sul gas? Ugualmente, come potrebbe l’Inghilterra chiedere un cessate il fuoco se le sue compagnie petrolifere si sono aggiudicate le licenze nelle acque al largo di Gaza? Se le compagnie petrolifere e del gas statunitensi forniscono carburante ai jet da combattimento israeliani e ne traggono profitto, muovendo così l’economia nazionale, quale motivazione avrebbero per fermare l’occupazione militare? Ci sono storie fantasiose e complottiste di uomini in torri d’avorio che decidono il destino dell’umanità, ci sono poi conferenze e summit molto realistici dove si decide di essere complici alla luce del sole. Non c’è goccia che possa far traboccare il vaso, non c’è goccia che possa ripopolare questo deserto.

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ESTERI SVOLTE STORICHE

Armi tedesche über alles Dopo decenni la Germania torna a investire massicciamente nell’industria militare. Non solo per l’Ucraina. Ma anche per trovarsi in posizione di forza nella futura difesa europea

MISSIONE Soldati tedeschi rientrano in patria dopo una missione in Mali

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ESTERI SVOLTE STORICHE

USKI AUDINO

e la “svolta epocale” del governo di Olaf Scholz sulla politica di difesa, la “Zeitenwende” annunciata a pochi giorni dall’aggressione russa in Ucraina, ha faticato a diventare realtà, l’industria della difesa invece i motori li ha accesi subito. E i risultati, a quasi due anni dallo scoppio del conflitto, iniziano a vedersi. Quest’anno l’export tedesco in materia di difesa ha registrato un record mai realizzato prima, con un più 40% delle autorizzazioni all’esportazione e un’impennata degli ordinativi, ha fatto sapere il ministero dell’Economia. La parte del leone la fanno, come è immaginabile, le armi destinate all’Ucraina. Un terzo delle autorizzazioni riguarda sistemi d’arma e munizione indirizzate all’ex repubblica sovietica. Del resto la Germania, dopo gli Usa, è il secondo Stato al mondo per fornitura di armi a Kiev, con 5,97 miliardi di attrezzature già licenziate, oltre 5 miliardi entro il 2028. Ma il meccanismo dell’elargizione inizia a mostrare i suoi limiti. Un sistema NORD d’arma che non possa contare su una manu- Una nave militare tetenzione rapida e su pezzi di ricambio suf- desca nel porto di ficienti e facilmente accessibili è utile fino Wilhelmshaven, sul a un certo punto, sta scoprendo a sue spe- mare del Nord se l’esercito ucraino. Anche i famosi e tanto attesi Leopard 2 tedeschi, su cui giusto un anno fa si è riversata la pressione diplomatica di mezza Europa, sono in buona parte in riparazione. Ma non in officine ucraine, bensì in Lituania. Una logistica efficiente? La domanda è retorica. Eppure la visione strategica del ministro della Di- deve tornare a essere un principio guida delfesa tedesco, Boris Pistorius, è la politica estera e di difesa tedesca. Passacristallina. Il suo ragionamento, re dalle parole ai fatti, come sempre, è più espresso pochi giorni prima di difficile. Natale, è che «dobbiamo tornaIntanto gli affari vanno a gonfie vele e re ad abituarci all’idea che il pe- non solo per la Germania. L’industria euroricolo di una guerra può tornare pea dei sistemi di sicurezza e difesa, cioè dela minacciare l’Europa. Per que- le armi, vive un momento d’oro. «Una consto dobbiamo essere idonei alla seguenza diretta delle sfide di sicurezza del guerra e poterci difendere». L’o- nostro tempo», la definisce il sottosegretarizzonte temporale è vicino per- rio all’Economia Sven Giegold dei Verdi. Nel ché «tutti gli esperti militari di- 2023 l’export tedesco è triplicato rispetto al cono che tra 5-8 anni la Russia 2018 attestandosi a fine dicembre a 12,2 mipotrebbe essere di nuovo in gra- liardi di euro, di cui 6,4 miliardi in autorizdo di attaccare un Paese Nato», zazioni di armi e 5,8 in attrezzature per la diha continuato il ministro, e la possibile rie- fesa. lezione di Donald Trump, o di un repubbliIn Ucraina è finito quest’anno un terzo cano altrettanto poco interessato alla difesa delle licenze complessive per prodotti milidell’Europa, potrebbe lasciare il continente tari, equivalente a 4,4 miliardi di euro. Kiev sguarnito, scrivono gli esperti. La deterren- ha ricevuto finora dalle munizioni ai sisteza, sostiene il titolare della Difesa di Berlino, mi d’arma per la difesa aerea, come Patriot

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Per approfondire o commentare questo articolo o inviare segnalazioni scrivete a dilloallespresso@ lespresso.it

Le forniture a Kiev hanno avuto parecchi problemi. I carri armati si guastano presto e la manutenzione deve avvenire in Lituania, a centinaia di chilometri dal fronte

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Foto pagine 50-51: R.Hartmann/Afp / Getty Images. Foto pagine 52-53: H.-C. Dittrich/picture alliance /Getty Images

e Iris-T, un sistema antimissile con rilevamento a infrarossi. Ma anche 30 Leopard 1 A5, 18 Leopard 2 A6, 80 cingolati Marder A3, 14 obici semoventi Pzh 2000 e 5 lancia missili Mars II, oltre ai carri armati forniti dai Paesi vicini, secondo l’accordo previsto dal governo tedesco del cosiddetto scambio circolare, come informa con dovizia di dettagli il sito della Difesa. Il problema emerso di recente, dopo una lettera finita sui giornali del deputato verde ed esperto militare Sebastian Schaefer e indirizzata a Rheinmetall e a Kmw, riguarda le riparazioni dei mezzi inviati dalla Germania. «Purtroppo bisogna constatare che solo un piccolo numero di panzer forniti possono essere impiegati dagli ucraini», ha scritto Schaefer. I cingoli, per esempio, si usurano e dopo 6.000 chilometri vanno cambiati, così come i cuscinetti dei cingoli, che dopo qualche centinaio di chilometri su asfalto vanno sostituiti. I pro-

blemi sono di due ordini: l’officina di riparazione più vicina si trova in Lituania, cioè a centinaia di chilometri di distanza, e le riparazioni richiedono tempi molto lunghi perché mancano i pezzi di ricambio adatti. Entrambi problemi di non poco conto. L’industria nel frattempo passa all’incasso. I principali destinatari delle grandi commesse sono i grandi gruppi storici come Rheimetall, che produce munizioni, cannoni e sistemi di puntamento e di artiglieria, per esempio degli obici semoventi Pzh 2000 ma anche i cannoni dei Leopard 2, la Krauss-Maffei Wegmann (Kmw), ormai Knds dopo la fusione nel 2015 con la francese Nexter Defence System, cui partecipa in “alleanza strategica” anche Leonardo, e poi Thyssenkrupp Marine System. Il vento è cambiato anche nella percezione della società rispetto ai colossi delle armi. Una volta davanti alla fabbrica di Rheinmetall di Unterluess, in Bassa Sassonia, c’erano le manifestazioni contro la guerra dove si scandivano slogan come: “Le armi tedesche, i soldi tedeschi uccidono in tutto il mondo” (“deutsche Waffen, deutschen Geld morden mit in aller Welt”). Ora, dopo l’aggressione russa in Ucraina, chi entra nel cancello di Rheinmetall Defense non è più accompagnato dai fischi, ma guardato con comprensione, se non con gratitudine. L’azienda nei primi tre trimestri del 2023 ha registrato una crescita dei ricavi del 13%

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GOVERNANTI Il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius. A destra, il cancelliere tedesco Olaf Scholz

mentre il portafoglio ordini è aumentato del 42%. Il gruppo, per cui lavorano 27.900 persone, è un colosso che ha società controllate non solo in Germania ma anche in Spagna, Austria e Ungheria. Di recente ha avuto commesse dalla Romania per 328 milioni di euro per la modernizzazione dei sistemi di artiglieria antiaerea, ma anche da parte dell’Ucraina per una partita di munizioni da 142 milioni di euro. L’esercito tedesco e quello olandese hanno commissionato a Rheinmetall, in collaborazione con Mercedes-Benz, 3059 unità di un veicolo terra-aria del tipo Caracal per 1,9 miliardi di euro. La domanda di sistemi di difesa nel complesso non solo è in crescita, ma è superiore all’offerta, dicono gli analisti ascoltati da Handelsblatt. E la questione sul tavolo, ancora irrisolta, è come potenziare in fretta la capacità produttiva. Ora lo Stato tedesco sta pensando di entrare con delle quote di partecipazione azionaria in un settore strategico come l’industria della difesa. È il caso per esempio di Hensoldt, che fornisce componenti di difesa tra cui parti destinate all’Eurofighter, e sistemi di protezione per i panzer Leopard e Puma. La società di Taufkirchen – che nei primi nove mesi dell’anno ha registrato un aumento del

Lo Stato entra direttamente nelle imprese degli armamenti, come la Hensoldt o la Thyssenkrupp Marine Systems. Leonardo è nel consorzio per i panzer europei

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margine di utile del 20%, con un portafoglio ordini da 1,3 miliardi e ricavi per oltre 1,1 miliardi – ha deciso a dicembre di acquisire l’azienda che produce integratori di sistemi per la sicurezza Esg con un aumento di capitale. Leonardo, il secondo maggiore azionista di Hensoldt con il 25% delle quote, si è tirato indietro dalla partita ed è probabile che le sue quote scenderanno al 23%, mentre il governo di Berlino, con il suo 25,1%, è in trattativa per partecipare all’aumento di capitale con circa 60 milioni di euro, riporta Handelsblatt. Ma il caso Hensoldt-Esg non è unico. Il governo guidato da Olaf Scholz sta valutando la possibilità di entrare nella principale azienda navale tedesca, la Thyssenkrupp Marine System, con una partecipazione del 20%. «Che lo si voglia è fuori questione», ha detto il ministro Pistorius. L’azienda, nota per produrre i sottomarini, ma anche fregate e corvette, è naturalmente più che interessata: «Abbiamo bisogno dello Stato come investitore di riferimento e come cliente forte», ha detto il capo dell’IG Metall Küste, Daniel Friedrich. L’industria della difesa è, o negli auspici di molti dovrebbe essere, sempre più integrata. Il caso di scuola è la holding franco-tedesca Knds, che nasce nel 2015 dalla fusione tra la Krauss-Maffei Wegmann, storica industria bellica tedesca produttrice dei Leopard, e la francese Nexter Defense system, in seguito alla privatizzazione dell’allora ministro dell’Economia Emmanuel Macron. Lo scorso dicembre Leonardo ha ufficializzato il suo interesse per una cooperazione con Knds, che non solo sta registrando incassi da capogiro (con ordini cresciuti del 21% e un portafoglio ordini salito a 11 miliardi), ma che ha in sviluppo dal 2017 il panzer Mgcs (Main Cround Combat System). Un carro armato che dovrebbe sostituire il Leclerc francese e il Leopard 2A8 tedesco. Nel frattempo però l’esercito italiano si doterà del Leopard di seconda generazione, come già da indiscrezioni. Un segno di sfiducia nel futuro europeo?

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ESTERI SVOLTE STORICHE


DAL MONDO

La risposta alle frustate del regime di Teheran. Cambio ai vertici in Europa. Giornalisti nel mirino

Foto: L. Marin / Afp / Getty Images, Ukrainian Presidency / Handout/Anadolu / Getty Images

a cura di Chiara Sgreccia

UCRAINA / GRANDE SCAMBIO

BANGLADESH / QUINTO MANDATO

«Il più grande della guerra». Così i funzionari ucraini hanno descritto lo scambio di prigionieri avvenuto lo scorso 3 gennaio. Il primo da agosto, il 49° dall’inizio del conflitto. Sono 230 i militari ucraini tornati in libertà: «Difensori della città di Mariupol, dell’isola dei Serpenti, alcuni che erano ad Azovstal. Soldati delle Forze armate, della Guardia di frontiera, della Guardia nazionale e della Difesa territoriale», ha scritto il commissario per i diritti umani del Parlamento ucraino Dmytro Lubinets. Rilasciati in cambio di 248 russi.

La prima ministra del Bangladesh, Sheikh Hasina, ha vinto di nuovo le elezioni che si sono svolte il 7 gennaio. Si prepara, così, al quinto mandato. Il suo partito, la Awami League, ha conquistato più del 50 per cento dei seggi nel Parlamento unicamerale. Ma le opposizioni hanno definito le elezioni una «farsa» e le hanno boicottate. Secondo gli avversari e alcune organizzazioni internazionali, durante i suoi quindici anni di governo Hasina si sarebbe lentamente trasformata da leader della lotta per la democrazia in una delle sue principali minacce.

UE / L’ANNUNCIO DI MICHEL «Mi candido come eurodeputato»: Charles Michel ha annunciato la sua intenzione di candidarsi alle elezioni europee del 6-9 giugno 2024. Così, se eletto, si dimetterà dal ruolo di presidente del Consiglio europeo con alcuni mesi di anticipo. Lasciando ai leader dei 27 Stati Ue il problema di trovare un sostituto. Altrimenti sarà il primo ministro ungherese Viktor Orbán a dirigere i lavori del Consiglio, visto che dal primo luglio iniziano per l’Ungheria i sei mesi di turno di presidenza del Consiglio dell’Unione europea.

IRAN / POESIA RESISTENTE «Non ho contato i colpi: cantavo in nome della donna, in nome della vita», ha scritto Roya Heshmati, 33 anni, dalla sua pagina Facebook. Per raccontare al mondo che cosa accade nella Repubblica islamica dell’Iran: 74 frustate le sono state inflitte lo scorso 3 gennaio per avere violato la legge che impone alle iraniane di indossare l’hijab in pubblico. Oltre alla condanna a un anno di reclusione con la sospensione della pena e al divieto di lasciare il Paese. Heshmati non ha pianto, non ha gridato: «Quando sono iniziate le frustate, ho recitato in silenzio una poesia sulla liberazione e la resistenza».

GHANA / INTIMIDAZIONI BOLIVIA / TRAFFICO DI COCAINA Quasi 8,8 tonnellate di cocaina sono state sequestrate dalla Felcn boliviana, la Forza speciale di lotta contro il narcotraffico, nella zona di Oruro, circa 200 chilometri a Sud della città di La Paz. «Il carico più grande mai registrato nel Paese sudamericano», ha scritto sui social il presidente boliviano Luis Arce. Che ha spiegato che il carico di droga era probabilmente destinato ai Paesi Bassi, dove il suo valore sarebbe duplicato: da 224 milioni di dollari a 526.

Per il Ghana la libertà di espressione è stata per molto tempo una solida base della sua democrazia. Ma negli ultimi anni si è registrato un aumento degli attacchi contro i giornalisti da parte di politici e degli organi di sicurezza, ora anche in vista delle elezioni del 2024. Dalle aggressioni fisiche alle intimidazioni, fino alle minacce informatiche: «È molto pericoloso fare questo lavoro qui», ha detto ad Al Jazeera un giovane giornalista investigativo, costretto a vivere nascosto per salvarsi la vita.

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ESTERI TECNOLOGIA E DEMOCRAZIA

Voterai come vuole l’algoritmo ALESSANDRO LONGO el 2024 due miliardi di persone voteranno in cinquanta Paesi. Per il Parlamento europeo, il presidente degli Stati Uniti, a Taiwan per presidente e Parlamento, tra l’altro. Saranno le prime dove l’Intelligenza artificiale giocherà un ruolo, di propaganda ma anche di manipolazione dell’elettorato, secondo molti esperti. «Quella del 2024 sarà un’elezione basata sull’Intelligenza artificiale, proprio come quelle del 2016 e del 2020 sono state basate sui social media», riassume Ethan Bueno de Mesquita, preside ad interim della Harris School of Public Policy dell’Università di Chicago. Si riferisce alle elezioni americane, ma quello che già sta succedendo lì è la cartina di tornasole delle ultime tendenze in fatto di disinformazione. L’Europa invece è banco di prova per la capacità di rego- te Donald Trump e il repubblicano Ron Dele e autorità di essere antidoto: Santis hanno creato con l’Ia cloni della voce a febbraio 2024 entra in vigore del rivale, per metterlo in cattiva luce. Senza appieno la prima legge europea nemmeno avvisare il pubblico della finzione. sui servizi digitali (Digital ServiLa crescita del populismo e delle polaces Act). La prima piattaforma rizzazioni sociali in Occidente si sommache rischia sanzioni miliarda- no alle attuali grandi tensioni geopolitiche rie, per avere agevolato la disin- in un mix deleterio. Cina e Russia stanno formazione, è X (già Twitter) di sfruttando questi elementi, infatti, per difElon Musk. fondere con più forza propaganda e fake «L’impressione è che l’In- news in Occidente (come testimoniano, tra telligenza artificiale – quella gli altri, i puntuali report di Newsguard, sodi tipo generativo in maniera cietà di New York di monitoraggio su meparticolare – stia facendo veni- dia e informazione globali). re al pettine nodi formatisi e Alcuni Stati americani hanno cominmai sciolti negli anni del boom di Internet. ciato a fare leggi per imporre, nei messagQuelli della costituzione degli oligopoli dei gi politici, di rivelare al pubblico se è stata dati personali e dei servizi digitali», riassu- usata l’Ia. Il presidente Joe Biden ha attime Guido Scorza, giurista e membro del vato una task force per monitorare il fenocollegio del Garante Privacy. meno. L’Europa imporrà trasparenza e reL’Ia amplifica il problema e ne è diventa- gole sull’Ia, anche per contrastare il rischio to al tempo stesso la punta, più clamorosa, disinformazione, con un regolamento (Ai dell’iceberg. Si vedano appunto le primarie Act) che però «non arriverà in tempo per americane, ora in corso. Dove l’ex presiden- governare gli algoritmi in campagna elet-

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Le elezioni del 2024, dagli Usa all’Europa, sono a forte rischio manipolazione da parte dell’Intelligenza artificiale. Arrivano nuove regole, ma probabilmente non basteranno

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Foto: B. Smialowski - AFP via Getty Images

torale; la Commissione europea sembra tuttavia determinata a utilizzare sino in fondo il Digital Services Act (Dsa) e c’è da augurarsi che sia sufficiente», dice Scorza. Da febbraio tutte le piattaforme digitali dovranno rispettarne le regole o rischiano sanzioni miliardarie e persino la sospensione del servizio in Europa. Ci sono anche grossi siti porno (come Pornhub) tra quelli soggetti al Dsa: dovranno essere veloci a rimuovere contenuti illegali – ad esempio è sempre più diffuso il porno non consensuale creato con l’Ia – e riuscire a impedire l’accesso ai minorenni. Il Dsa, tra l’altro, impone alle piattaforme sistemi adeguati di controllo per evitare si diffondano contenuti pericolosi sui social. X è stato il primo soggetto su cui la Commissione europea ha aperto un’indagine ai sensi del Dsa, a dicembre, perché Musk è andato in direzione opposta. Ha ridotto molto il personale addetto alla moderazione contenuti, per risparmiare; persino – in nome della libertà di parola – ha riattivato

gli account di cospirazionisti, razzisti e misogini. Da ultimo, a dicembre, Alex Jones. Questo supercospirazionista era arrivato a dire che la sparatoria alla scuola elementare Sandy Hook (Connecticut) del 2012 era una messinscena, imbastita per convincere gli americani a limitare il diritto al possesso di armi. Sono morte 26 persone, tra cui 20 bambini, ma per Jones erano attori pagati per recitare. Musk ha riattivato l’account proprio nell’anniversario della sparatoria. Le elezioni sono banco di prova nella lotta alla disinformazione anche su altre piattaforme, però, come quelle di Meta o TikTok, usato soprattutto dai teenager. TikTok è di un’azienda cinese ed è da anni accusato dagli Usa di essere strumento nelle mani del governo di Pechino. Le regole che l’Europa in primis – e più timidamente gli Usa – stanno facendo, sul digitale, segnano «la fine del principio giuridico di non responsabilità degli intermediari, che era stato sancito nell’Ue ancor prima negli Stati Uniti», spiega l’avvocato ORDINANZA Massimo Borgobello, autore di un recenIl presidente Usa Joe te libro giuridico sul tema (“Manuale di diBiden e la vicepresiritto della protezione dei dati personali, dei dente Kamala Harservizi e dei mercati digitali”, Key Editore). ris durante la firOpinione comune, tra gli esperti, è però ma dell’ordinanza che le regole non bastino a contrastare che chiede di vigilaquesta deriva. E al tempo stesso vanno mare sull’Intelligenza ar- neggiate con cautela, «perché oltre a intertificiale venire sui disinformatori e sulle Big Tech bisogna anche tutelare la libertà di espressione, fondamentale in una società democratica», dice Alessandro Chiaramonte, noto politologo, ordinario all’università di Firenze. Sarà necessario «un investimento culturale sulla reputazione delle fonti di informazione. Bisogna sostenere quelle che sposano i valori di una informazione lenta, verificata, accurata», conclude. Sono temi che si dispiegheranno negli anni a venire. Ma un primissimo momento di confronto saranno proprio le elezioni europee, dove «chi è intenzionato a investire sulla disinformazione ha l’occasione per incoraggiare direttamente le performance di singoli partiti o personaggi; la vera scommessa di queste elezioni sarà quella di osservare lo schieramento ideologico che la disinformazione incoraggerà», riassume Mario Morcellini, professore emerito di Sociologia alla Sapienza di Roma.

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ESTERI STATI UNITI

L’ondata che terrorizza San Francisco MANUELA CAVALIERI e DONATELLA MULVONI da San Francisco a Jaguar bianca sfila sicura sulle collinette cittadine. La guida è impeccabile, nonostante al volante non ci sia anima viva. Divertono e inquietano i robotaxi Waymo che da qualche mese scarrozzano locali e turisti per le strade di San Francisco. Decine di sensori e telecamere a corredo permettono visuali perfette, in grado di arginare ogni imprevisto. Incluso il passo claudicante di un homeless che attraversa all’improvviso, senza badare ai semafori. È in quella frenata prudente che si annida la contraddizione di questa città magnifica e dolente. L’ammiraglia americana dell’innovazione è anche asilo della più problematica comunità senzatetto della costa ovest. Ottomila anime, per la maggior parte tossicodipen- quarta ondata, la chiamano in studi separadenti e afflitti da malattie mentali. ti i ricercatori Daniel Ciccarone (University San Francisco – seconda per inciden- of California) e Joseph Friedman (Universiza di overdose dopo Filadelfia – è il volto di ty of California Los Angeles). La prima fu neun’epidemia che lacera l’intera nazione or- gli anni 2000, con gli oppioidi delle grandi mai da anni. Il primo presidente a dichia- case farmaceutiche, quando i medici hanrarla emergenza nazionale fu Donald Tru- no iniziato a prescriverli per alleviare i domp nel 2017. Nel 2023 i decessi per droga lori causati da operazioni chirurgiche o inhanno superato le 112 mila unità negli Usa, fortuni, nascondendo il rischio dipendenza. solo nella Bay Area sono stati La seconda intorno al 2010, quando miliopiù di settecentocinquanta. Per ni di persone sono passate all’eroina; la teroltre l’80% delle vittime il killer za nel 2013, con l’aggressivo avvento appunsi chiama fentanyl, un oppiaceo to del fentanyl. sintetico confezionato in labo«È da cinquanta a cento volte più potente ratori messicani grazie a precur- di quello che vendevano ai miei tempi», racsori realizzati in Cina. È ormai conta Tom Wolf che gli effetti di questa crisi il padrone delle piazze di spac- sociale li porta sulle braccia, segnate da larcio. L’anno appena iniziato po- ghe cicatrici. I capelli sale e pepe, che oggi trebbe essere ancora più terribi- fissa con un filo di brillantina, sei anni fa le a causa di un tendenza che sta sembravano esplodergli in capo nella foto diventando comune: il fentanyl segnaletica diventata virale in tutto il monassunto in combinazione con do, quando con un tweet rispose che era in metanfetamine e cocaina. La riabilitazione a un datore di lavoro che non

Nella seconda città Usa per incidenza di overdose vivono ottomila senzatetto. Spesso vittime del fentanyl e afflitti da malattie mentali. In assenza di leggi efficaci contro l’emarginazione 58

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Foto: J. Sullivan / Getty Images

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voleva assumerlo a causa del suo passato. Ex dipendente pubblico, ex tossicodipendente, ex homeless, oggi è diventato un attivista che collabora a stretto contatto con le istituzioni. Quella di Tom è una storia simile a infinite altre. Tutto inizia nel 2018 con una cura di antidolorifici prescritta dopo un intervento al piede. Lui è un impiegato comunale, marito e padre devoto di due bambini, dalla vita che più regolare non si può. In convalescenza l’ossicodone gli provoca una potente dipendenza. «Presi tre pillole insieme perché una sola non mi calmava il dolore. Fu euforia pura». L’anticamera dell’inferno. In principio riesce a lavorare e a prendersi cura della famiglia. «Durò poco; finite le prescrizioni, ero per strada a comprare pillole al mercato nero, prima, ed eroina poi. Ora tutto è stato completamente sostituito dal fentanyl», dice mentre mostra l’angolo di Golden Gate Ave, dove ha dormito per sei mesi dopo essere stato allontanato dalla famiglia.

Ci si trova nel quartiere di Tenderloin, ribattezzato «the tent city» per la concentrazione di accampamenti dei senzatetto. L’umanità più misera di San Francisco si addensa in questa cinquantina di isolati, a Sud-Ovest di Union Square, la zona dello shopping. Anche se dopo il Covid la popolazione homeless è sciamata in altri quartieri come South Market, Mission, Hayes Valley e Haight-Ashbury. I numeri sono lievemente in calo, ma la situazione resta critica. Ogni tanto si sentono gli strilli di chi litiga o contratta, ma gli abitanti di queste tendopoli malconce non fanno troppo baccano. L’odore, pungente, colpisce più forte. Molti sono distesi tra veglia e sonno, adagiati tra rifiuti ed escrementi. A terra ci sono giocattoli rotti, bottiglie, siringhe e fogli di alluminio, rimasugli di cibo e paccottiglia. E carrelli della spesa diventati trolley. Come tanti oggi, anche Wolf in queste strade viveva grazie a piccoli furti, mentre le dosi gliele passavano gli spacciatori, in cambio della sua disponibilità a fare da palo mentre loro erano in azione. È finito in manette sei volte. A cambiargli la vita, gli ultimi tre mesi di prigione seguiti da sei di disintossicazione grazie all’Esercito della Salvezza. Adesso nel Tenderloin torna come un uomo nuovo. Per aiutare chi come lui è finito in questo burrone. I numeri delle

EMARGINAZIONE L’ingresso dell’American Conservatory Theatre di San Francisco offre riparo ai senzatetto

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morti da overdose in città hanno iniziato a lievitare in tempo di pandemia, quando le vittime delle droghe superarono quelle del Covid. A dicembre 2021 la sindaca London Breed – dal 2018 prima afroamericana a ricoprire la carica – dichiarò 90 giorni di emergenza. Scattarono le manette per tanti spacciatori, le strade furono in parte ripulite, a qualche centinaio di tossicodipendenti venne offerta una casa. I pochi risultati, però, evaporarono presto: la crisi è ancora acuta, nonostante la mastodontica quantità di investimenti a disposizione (690 milioni di dollari solo nell’anno fiscale in corso). Inutili, come l’ultimo tentativo di ripulire la città per i lavori della Cooperazione economica Asia-Pacifico a novembre e l’incontro tra il presidente Joe Biden e l’omologo cinese Xi Jinping. Wolf è molto critico con le politiche adottate da San Francisco. «Siamo liberal, anche io sono democratico. Ma i progressisti più estremi sostengono che, se qualcuno decide consapevolmente di uccidersi per strada, non bisogna intervenire. Abbiamo adottato questa politica per paura dello stigma e di usare la risposta unilaterale degli anni ’90 con la guerra contro le droghe. Ora però il pendolo si è spostato completamente verso la depenalizzazione. E la città è diventata una calamita regionale. Qui la droga per strada costa cinque dollari; la polizia non ti dà fastidio e puoi avere un sussidio in contanti di 600 dollari al mese». Secondo l’attivista non aiutano neanche le leggi statali. Già dal 2014, infatti, la California aveva declassato alcuni reati minori legati a furto e possesso di droga. Lo scorso aprile un giudice federale ha stabilito che,

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rispettando le direttive cittadine, non è possibile rimuovere i senzatetto se non si è in grado di fornire un alloggio. Al momento, inoltre, non è possibile forzare le persone con problemi mentali a farsi curare. «Questo è sbagliato – prosegue Wolf – perché esse costituiscono un pericolo per la popolazione. Non stiamo parlando dei bohémien di una volta. Ci sono molti tipi di VITA IN STRADA senzatetto. A sinistra si dice che è una queUn senzatetto davanti stione abitativa (San Francisco resta una a un murale del Goldelle città con gli affitti più alti d’America), den Gate Bridge, nel a destra che è un problema di droga e macentro di San Franlattia mentale. Le persone nel mezzo, come cisco me, diranno che sono entrambe le cose. Dare solo una casa a un tossicodipendente non risolve la dipendenza, per arginare il fentanyl è necessario un trattamento». E di posti disponibili in strutture riabilitative ce ne sono poche centinaia. «Un altro punto è la riduzione drastica dell’offerta. Lo scorso anno la polizia ha sequestrato circa 76 chilogrammi di fentanyl in questo quartiere, ovvero il 10%. Si poteva fare di più, ma i fondi alla polizia sono stati tagliati. Mancano almeno altri 700 agenti». «La politica parla di inclusione – continua Wolf – eppure questo quartiere è principalmente una comunità di colore. Qui devi far scortare i tuoi figli a scuola». Sono realtà vissute anche in altre città degli Stati Uniti, ma a San Francisco, la capitale mondiale dell’intelligenza artificiale, è impossibile da accettare. A pochi passi prosperano gli innovatori della Silicon Valley e dieci delle aziende più importanti al mondo, tra cui Apple, Alphabet e Meta. È la terza area più ricca del pianeta, il tasso di disoccupazione è inferiore al 3%. E questo rimane vero, nonostante gli strascichi dei danni economici della pandemia – più che mai evidenti nella desolazione degli uffici vuoti in centro a causa del lavoro da remoto – e la fuga di qualche investitore. Chi ama questa città fa appello alla sua storica resilienza, quella che le ha permesso di essere un baluardo di libertà negli anni di fermento della contro-cultura e dell’affermazione Lgbt. E poi quella di quando ha saputo risorgere dopo il terribile sisma del 1906. «Ma c’è bisogno di cambiamento – conclude Wolf – parlare di equità a San Francisco è davvero ipocrita, visto che viviamo una delle situazioni più ingiuste di tutti gli Stati Uniti».

Foto: L. Elliott / AFP via Getty Images

ESTERI STATI UNITI



ESTERI AMERICA LATINA

Nell’inferno di Guayaquil ELENA BASSO uayaquil è un’enorme distesa di case. Parte dal mare, con il grande porto e i grattacieli per arrivare alle colline, dove si trovano centinaia di casette colorate. Con i suoi oltre 3 milioni di abitanti è la città più grande e popolosa dell’Ecuador, ma da alcuni anni è anche la più pericolosa. Ormai da tempo il Paese latinoamericano è stato sconvolto da un’ondata di criminalità senza precedenti e, in pochi anni, è passato dall’essere uno degli Stati più sicuri dell’intero continente latinoamericano a uno dei più pericolosi al grammi politici – sostiene Emy Díaz Erazo, ricercatrimondo. I cartelli dei narcotrafficanti infat- ce della Red de Politólogas – a mio avviso è impossibile ti, soprattutto dopo gli accordi di pace rag- occuparsi della criminalità, sempre più diffusa nel Pagiunti in Colombia, si sono spostati dai Pa- ese, se non si pensa anche alla crisi economica che l’Eesi limitrofi e hanno scelto l’Ecuador come cuador sta attraversando. È la povertà che porta i cittanuova base per i loro traffici. L’evasione del dini a cercare altre forme di sopravvivenza e che, molte superboss Adolfo Macias ha scatenato una volte, li fa cadere nelle mani delle gang». Secondo le tempesta di nuove violenze omicide che ha stime della Banca Centrale l’economia ecuadoriana nel portato il presidente Daniel Noboa a di- 2024 crescerà solamente dello 0,8%, mentre la magchiarare il 9 gennaio lo stato di emergenza. gior parte dei cittadini, specie i più poveri, non sono E Guayaquil, la città portuale più impor- ancora riusciti a ristabilizzarsi dopo la forte crisi ecotante del Paese, è diventata il corridoio nomica causata dall’epidemia da Covid-19. principale da cui far partire la droga diretMa se il mercato legale è in difficoltà, quello illegale ta in Europa. Oggi i sequestri, gli omicidi e invece prolifera ed è più stabile che mai. L’Ecuador, con le sparatorie fra le strade della città avven- i suoi 18 milioni di abitanti, per molto tempo è stato un gono quotidianamente. I bambini, già a 10 Paese considerato sicuro, ma recentemente per i suoi anni, sono reclutati dai narcos e le prigioni stessi cittadini è diventato irriconoscibile. Dall’inizio sono in mano alle bande di narcotraffican- dell’anno si sono registrati 5.320 crimini violenti e nel ti. Guayaquil oggi sembra un luogo impos- 2022 è stata riportata la cifra più alta nella storia ecuasibile da governare e dove gli stessi cittadi- doriana (4.600), il doppio rispetto al 2021. E se si soni dell’Ecuador evitano di andare, a meno sterranno questi ritmi, quest’anno si dovrebbe arrivache non sia strettamente necessario. re a un tasso di criminalità di 40 omicidi ogni 100.000 Quello della sicurezza è il principale pro- abitanti, che classificherebbe l’Ecuador come uno dei blema per Noboa, il giovane e ricco impren- Paesi più violenti al mondo. ditore eletto come nuovo presidente del PaNegli ultimi anni la situazione per gli abitanti di ese lo scorso 15 ottobre con il 52% di voti. Guayaquil è diventata estremamente pericolosa. In «La sicurezza è stata sicuramente il tema tutte le zone della città i commercianti devono pagache durante la campagna elettorale ha do- re il pizzo alle bande di narcotrafficanti e i cittadini minato i dibattiti fra i candidati e i loro pro- evitano di avviare qualsiasi tipo di attività commer-

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Stato di emergenza in Ecuador, diventato la sede dei cartelli dei narcos. E la sua città più popolosa, un tempo tranquilla, ora è uno dei luoghi più violenti al mondo

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Foto: Afp / Getty Images

ciale perché sanno che sarebbero esposti SPARATORIA li internazionali che operano in Ecuador: alle estorsioni delle gang criminali. I bam- Il corpo di un uomo Sinaloa e Jalisco Nueva Generación, i due bini, dai 10 anni in su, vengono obbliga- ucciso in strada a cartelli più potenti del Messico, e un grupti da altri coetanei o adolescenti a entra- Guayaquil in una po europeo chiamato dalla polizia “la mare a far parte delle bande e se non lo fanno sparatoria fia albanese”. Come ha dichiarato lo scorso vengono sequestrati o uccisi a scuola o anno l’ex presidente del Paese, Guillermo nelle proprie case. Mentre ogni anno sono migliaia Lasso: «Non ci stiamo più scontrando con la delini cittadini che subiscono furti a mano armata o se- quenza comune, ma con i più grandi cartelli della droquestri. Ma la situazione più preoccupante è quella ga di tutto il mondo». che riguarda le carceri, sovraffollate e ormai in mano In soli 3 anni l’Ecuador è diventato il principaalle gang del narcotraffico. Negli ultimi anni centina- le esportatore di cocaina in Europa: lo scorso agosto ia di detenuti hanno perso la vita durante le guerre nel porto di Algeciras, nel Sud della Spagna, è stato fra bande che si sviluppano nelle prigioni e i familiari effettuato il più grande sequestro di cocaina del Paedi chi viene condannato devono pagare mensilmente se europeo e il carico (di 9,5 tonnellate), nascosto in centinaia di dollari alle gang per permettere al dete- un container di banane, proveniva proprio dall’Ecuanuto di avere accesso al cibo e a un letto. dor. A far proliferare così velocemente il narcotraffico «A Guayaquil c’è stata un’escalation di violenza dav- sono stati diversi fattori: un’economia in cui la movero impressionante quest’anno – assicura Javier Gu- neta è il dollaro, il che rende più facile il lavaggio di tiérrez, direttore generale della Ong ecuadoriana Mi- denaro, la corruzione dei governi e l’assoluta impresión Alianza de Noruega – soprattutto gli omicidi di parazione della polizia e dei militari. «Finora purtropcittadini non legati al narcotraffico. Fino a pochi anni po non sono state prese misure efficaci da parte del fa gli scontri fra bande si concentravano in certe zone governo – continua Javier Gutiérrez – non sono stati e si colpivano solo i membri delle gang. Oggi, se un ca- portati avanti programmi assieme alla società civile e pobanda si trova a un ristorante, i suoi nemici aprono quello che ha fatto la polizia non è stato sufficiente». il fuoco senza curarsi degli altri avventori e uccidono Oggi a Guayaquil quando tramonta il sole, le strade indiscriminatamente decine di persone. Adesso tut- diventano deserte. Gli abitanti della città escono da ti noi cittadini possiamo essere vittime di azioni vio- casa quasi esclusivamente per andare al lavoro. Anlente, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo della che solo prendere un taxi o andare a scuola può essecittà». Oggi sono almeno tre i grandi gruppi crimina- re molto pericoloso.

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ECONOMIA AMBIENTE A RISCHIO

Dal letame (interrato) nasce aria migliore


Gli allevamenti intensivi sono tra le principali cause dell’inquinamento atmosferico. Ma queste emissioni si possono ridurre facilmente. Il caso della Lombardia insegna ANGIOLA CODACCI-PISANELLI ominciamo dalle buone notizie. Che sono due. La prima è che la qualità dell’aria in Lombardia nell’ultimo anno è migliorata. La seconda è che sarebbe facile farla migliorare ancora: basterebbe affrontare con maggiore decisione una fonte di inquinamento atmosferico finora trascurata, cioè gli allevamenti intensivi. Le buone notizie purtroppo finiscono qui. Intanto, il miglioramento è parziale: i dati positivi rilevati dalle centraline dell’Arpa sono solo quelli legati alle polveri sottili. Quella contro gli allevamenti intensivi, inoltre, è una battaglia che non è facile affrontare, anche perché le associazioni ambientaliste non ricevono appoggio né da parte del governo italiano né da parte dell’Unione europea. Pochi mesi fa l’Ue ha rinunciato a imporre limiti alla quantità di animali: per la Lombardia si parla – secondo la Banca dati nazionale dell’anagrafe zootecnica – del record nazionale di un milione e mezzo di bovini e quattro milioni di maiali. Per i polli il primato è del Veneto, con 39 milioni di animali, ma la Lombardia segue a ruota. Il miglioramento dell’aria comunque c’è. «In Lombardia», ha commentato Legambiente, «il 2023 appena trascorso si chiude come l’anno con l’aria migliore da quando la sua qualità viene misurata attraverso il sistema delle centraline di monitoraggio installate dall’Arpa locale»: cioè da poco più di dieci anni, visto che le centraline sono regolate da una legge del 2010. Ma anche se si parla di una sola regione, è una buona notizia che potrebbe riguardare l’intera zona settentrionale. Con il risultato di migliorare la posizione dell’Italia nel-

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SOVRAPPOPOLAZIONE L’affollamento di animali in un allevamento intensivo di polli

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ECONOMIA AMBIENTE A RISCHIO

le diverse classifiche dell’inquinamento che sono sempre più importanti per la costruzione dell’immagine mondiale di un Paese e che ci vedono generalmente nelle vicinanze di Azerbaigian e Iran, ben lontani dalla virtuosa Scandinavia, ma pure da altri membri del G8. È anche importante che il miglioramento riguardi le microparticelle (Pm10 e Pm25) «a cui», nota Legambiente, «le statistiche sanitarie imputano la gran parte delle patologie collegate allo smog». Il risultato ha colto di sorpresa i tecnici, che lo spiegano, «più che con le politiche introdotte», con «un anno meteorologicamente anomalo, soprattutto per quanto riguarda la frequenza e la durata dei fenomeni di inversione termica che favoriscono l’accumulo degli inquinanti negli strati bassi dell’atmosfera, quelli in cui noi tutti viviamo e respiriamo». All’origine del miglioramento non ci sarebbe quindi una diminuzione delle emissioni nei due settori più inquinanti – il traffico automobilistico e l’industria – ma, paradossalmente, proprio l’anomalia meteorologica provocata dal cambiamento climatico. I dati migliori riguardano il Nord della regione, da Varese a Bergamo passando per Como e Lecco, dove «il numero delle giornate con aria irrespirabile è rimasto ben al di sotto del parametro indicato dalla normativa comunitaria di 35 giornate/anno con livelli di Pm10 superiori ai 50 microgrammi per metro cubo». Il miglioramento però non è sufficiente per dormire sugli allori. Infatti, il valore registrato (una media di Pm10 annuale intorno ai 20 microgrammi per metro cubo) è comunque più alto del valore soglia considerato accettabile dall’Oms (15 microgrammi a metro cubo): non a caso i paramenti della Ue sono in fase di revisione e saranno presto resi più rigidi. Il merito della riduzione delle micro-

I liquami, utilizzati come fertilizzanti, vengono sparsi sui campi della Pianura Padana. Creando picchi di gas nocivi. Basterebbe iniettarli all’interno del suolo, in attesa di limitare i capi di bestiame

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particelle andrebbe alla diminuzione delle emissioni legate al riscaldamento delle abitazioni, visto che il dato è stato registrato soprattutto in zone in cui la fonte prevalente di emissioni di particolato è costituita dalla combustione di legna. Lo conferma il fatto che le grandi città sono ancora in crisi: Milano ha sforato per 49 giorni (ma è comunque un miglioramento rispetto all’anno precedente), mentre il record negativo va a Cremona e a Mantova. Sono le città più vicine alla zona centrale degli allevamenti intensivi: oltre a produrre la metà delle microparticelle, questi emettono gas che, a contatto con il «particolato primario», generano composti chimici ancora più nocivi. E qui si tocca uno dei nodi della questione: gli allevamenti intensivi ci sono in tutta Italia, ma nella Pianura Padana sono particolarmente numerosi perché producono parmigiano e prosciutto, due pilastri del made in Italy. «Puntare più sulla qualità che sulla quantità permetterebbe sicuramente


Foto pagine 64-65:Ipa / Fotogramma. Foto pagine 66-67: A. Serranò / Agf

una riduzione del numero degli animali e quindi dell’inquinamento», commenta Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. «Ma non è mai successo che i produttori decidessero da soli di ridurre la quantità per puntare sulla qualità. È solo quando il mercato dà uno scossone che si arriva a decisioni di questo genere. L’esempio più recente è lo scandalo del metanolo che spinse l’intera industria vitivinicola a produrre meno e meglio, con vantaggi duraturi anche per i bilanci delle aziende». In quel caso, però, i danni alla salute furono evidenti, impossibili da minimizzare: a metà degli anni Ottanta, al vino adulterato furono ricondotti venti decessi e centinaia di gravi intossicazioni. Nel caso dell’inquinamento atmosferico, invece, nella stragrande maggioranza dei casi non è possibile correlare un singolo decesso all’inquinamento. Per questo, anche se fonti europee dichiarano «circa trecentomila morti premature dovuti all’inquinamento atmosferico» (più di

PER IL CLIMA Manifestazione ambientalista contro gli allevamenti intensivi davanti alla sede romana del ministero dell’Agricoltura

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50 mila solo in Italia), l’impatto sull’opinione pubblica è quasi nullo. Eppure, in attesa di normative che riducano il numero dei capi di bestiame ammessi per ogni azienda, ci vorrebbe poco per abbattere l’inquinamento atmosferico. «Basterebbe impedire per tutto l’anno lo sversamento dei liquami prodotti dagli allevamenti», spiega Di Simine. Il liquido prodotto dalla pulizia delle stalle viene usato come fertilizzante, per mezzo di speciali autobotti che lo spargono sulla superficie dei campi. È una pratica vietata nei mesi invernali e limitata nel tempo (il terreno deve essere lavorato entro 72 ore per interrare il fertilizzante). «In quelle ore, però, a parte il disagio dato dal cattivo odore, si scatenano picchi di inquinamento da azoto. Senza contare che il divieto a dicembre e a gennaio provoca aumenti notevoli a novembre e a febbraio». L’alternativa c’è: «Bisogna usare trattori che iniettano lo spray sotto la superficie. Ovviamente modificare l’attrezzatura comporta costi che dovrebbero essere coperti dai finanziamenti della Politica agricola comune europea». Finora a convincere i governi a spendere per migliorare la gestione degli allevamenti e la qualità dell’aria non sono servite le manifestazioni sul tema. Che sono particolarmente frequenti perché vedono uniti due fronti dell’attivismo: in ballo, infatti, non c’è solo l’inquinamento ma anche la qualità della vita degli animali. Immagini e denunce mostrano continuamente le condizioni di vita agghiaccianti negli allevamenti di polli, dalla sovrappopolazione all’uccisione dei pulcini maschi neonati, recentemente vietata anche nel nostro Paese. Forse una svolta verrà dal fatto che l’inquinamento sta diventando un problema per le grandi aziende che usano prodotti di origine animale. Come la multinazionale del gelato Ben & Jerry’s che nel suo sito pubblicizza non solo la qualità del latte impiegato ma anche «i metodi usati per utilizzare il letame bovino in modo da ridurre la nostra impronta ecologica».

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ECONOMIA LE SCELTE DI BRUXELLES

Contro-lobby virtuosa sul Green Deal colloquio con MONICA FRASSONI di ROSSELLA MURONI* e SILVIA VACCARO** erve un nuovo modello, frutto di un dialogo costante tra istituzioni europee e imprese, per spingere la transizione energetica. Charles Sabel, professore di Diritto e scienze sociali alla Columbia Law School, su invito del Forum Disuguaglianze Diversità, ne ha parlato con Fabrizio Barca e Rossella Muroni su L’Espresso (numero 44 del 3 novembre). Monica Frassoni, già europarlamentare e presidente dei Verdi europei, guida un network del quale fanno parte imprese attive nel settore dell’efficienza energetica. In Italia, la parola lobby è un tabù, ma è invece di questo che dovremmo parlare? «La distinzione tra innovatori e conservatori attraversa ormai tutti i settori produttivi e sociali. Sui temi della transizione ecologica, sempre Un percorso non privo di intoppi, però? di più organizzazioni non gover- «Questa collaborazione trasversale tra indunative ambientaliste, ma anche stria e società civile è partita in modo esplisindacati e altre associazioni cito nel 2007-2008, dal primo pacchetdella società civile lavorano as- to legislativo su riduzione delle emissioni, sieme a settori industriali inno- rinnovabili ed efficienza (il cosiddetto pacvativi e “a prova di clima”». chetto 20/20/20) e si è diffusa nel corso del È quello che fa lei? tempo. Ha avuto un impatto crescente nel «La mia organizzazione, Euro- dialogo con le istituzioni europee negli anni pean alliance to save energy (Eu- prima e durante la realizzazione del Grease), è nata sulla base di questo en Deal. Tuttavia, allo scoppio della pandeapproccio nel 2010, dopo il fal- mia e poi con il conflitto in Ucraina, le loblimento della Cop di Copena- by “fossili” si sono rimesse in pista, hanno ghen. È composta da organizza- abilmente alimentato la preoccupazione rizioni internazionali a metà fra spetto ai costi del Green Deal e hanno incothink tank e Ong militanti, come Europe- raggiato la spregiudicata scelta di parte dei an climate foundation, E3G o il Kyoto Club conservatori e liberali di cavalcare questa e multinazionali come Siemens, Schneider, preoccupazione». Signify (ex Philips), Knauf Insulation, Dan- Così anche in Europa il vento è cambiato? foss, che operano o operavano in settori in- «Oggi ogni voto al Parlamento europeo, andustriali con un grosso impatto ambientale che nella commissione ambiente, va cone che hanno deciso che abbracciare la tran- quistato. È un cambio che è iniziato più o sizione ecologica non è solo una scelta ine- meno un anno e mezzo fa, intorno alla privitabile, ma anche conveniente». ma grande polemica che ha diviso il fronte

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Un’alleanza tra imprese e Ong a difesa degli obiettivi Ue sulla transizione. Serve un blocco contro le resistenze dei conservatori, dice l’ex leader dei Verdi europei, oggi a capo di Euase

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Foto: Getty Images, Agf

del Green Deal, quella sull’uscita dalle auto a motore a combustione entro il 2035. I giochi erano fatti e la norma è passata, come peraltro (per fortuna) la maggior parte delle norme in materia energetica, ma più o meno da quel momento, il Ppe e il suo leader Manfred Weber, anche per ragioni di rivalità con Ursula von der Leyen, hanno iniziato ad avvicinarsi sistematicamente alle posizioni eco-scettiche e di destra dell’Assemblea. Norme che passavano di solito con larghe maggioranze sono diventate estremamente controverse». Torniamo al tema iniziale: si dovrebbe mettere in piedi una contro-lobby di innovatori verdi? «È quello che dice Sabel ed è quello che proviamo a fare da anni, ma bisogna avere grandi disponibilità economiche e organizzative. Fino a non molto tempo fa attori economici delle rinnovabili consideravano quelli dell’efficienza energetica quasi come rivali e viceversa. Una “Confindustria verde” va creata in modo coordinato».

NETWORK Monica Frassoni, ex parlamentare europea, leader dei Verdi, guida il network Euase

E l’Italia come ha giocato sullo scacchiere europeo? «Gli europarlamentari italiani – essendoci il sistema di preferenze su grandi circoscrizioni – cambiano molto più che quelli di altri Paesi. Quando arrivano, spesso non hanno un’esperienza o un interesse preciso per le questioni europee, a volte non parlano altre lingue, e comunque hanno bisogno di tempo per riuscire ad avere un impatto». E il governo? «Non aveva giocato in generale un ruolo né particolarmente positivo né negativo, anche perché la nostra Rappresentanza Permanente soffre di mancanza cronica di personale. Ma da un anno a questa parte l’atteggiamento del governo italiano sul Green Deal è cambiato radicalmente. In che modo? «Su case verdi, imballaggi, ripristino della natura, pesticidi sono riusciti a lavorare per tempo, costruendo alleanze e riuscendo a usare il fatto che l’Italia ha molti voti e può contare su vari altri governi eco-scettici per ridurre la portata di normative importanti per il Green Deal. Non è un mistero che il nostro governo conti su un cambio radicale di maggioranza nelle elezioni europee anche al fine di smantellare il Green Deal, pur se per fortuna la maggior parte delle norme sarà ormai adottata». Serve ricreare un consenso ampio? «Dobbiamo ritrovare la dinamica che ha portato l’Ue (e quindi l’Italia) a impegnarsi a diventare il primo continente a “emissioni zero” entro il 2050, ovvero la combinazione tra la forza della scienza, un’enorme mobilitazione di giovani e meno giovani, l’attenzione dei media, la consapevolezza di potere ottenere consensi elettorali sposando la causa verde. E dobbiamo essere in grado di convincere anche chi è politicamente lontano da noi e scettico. Perché altrimenti le conseguenze saranno molto gravi per tutte e tutti». * Presidente Nuove Ri-Generazioni e Forum Disuguaglianze e Diversità **Forum Disuguaglianze e Diversità

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BAR ECONOMY

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L’Espresso amaro

ONIVERSE ALLARGA I SUOI ORIZZONTI

CALA IL SIPARIO SUGLI STIPENDI

Il Gruppo Calzedonia, fondato da Sandro Veronesi nel 1986, cambia nome e diventa Oniverse: personalizzazione della parola inglese universe, ma anche anagramma del cognome di famiglia. Svariati marchi in portafoglio, da Intimissimi a Falconeri, da Antonio Marras a Signorvino, da Tezenis ad Atelier Emé, e un fatturato nel 2022 di oltre 3 miliardi di euro (+21,6 per cento rispetto al 2021) di cui il 58,5 per cento realizzato all’estero; il gruppo è oggi presente in 56 Paesi con 5.328 punti vendita diretti o in franchising e oltre 44 mila dipendenti, per il 90 per cento donne con meno di 30 anni. «Siamo riusciti a crescere costantemente e siamo una realtà in continua evoluzione, con brand caratterizzati da una propria identità. Il nuovo nome rappresenta l’essenza di tutti», dice Veronesi. Il gruppo veneto, leader nel settore dell’intimo, della calzetteria e dei costumi da bagno, aderisce al “Fashion Pact”, accordo che raggruppa realtà del settore tessile e della moda all’insegna della sostenibilità. (Antonia Matarrese)

Dura la vita dei lavoratori italiani dello spettacolo. Altro che i cachet delle star del cinema, della tv e della musica. Basandosi sui dati Inps, la Cgil fotografa lo stato dell’arte nella Regione Marche. Il quadro che affiora è sconfortante: nel 2022, la retribuzione annuale media lorda dei 6.441 occupati nel settore è stata di 6.291 euro, a fronte di una media di 79 giornate stipendiate. Con 6.696 euro per i 5.181 addetti dipendenti e 4.628 euro per i 1.260 autonomi. Alle donne, che sono il 48,5 per cento del totale, 2.693 euro in meno degli uomini. Gli under 30 non arrivano a duemila euro lordi l’anno; il gruppo più consistente, i 1.131 concertisti e orchestrali, si accontentano di 2.320 euro. Per gli attori 6.299 euro, sempre su base annuale. Sono precari e working poor, insomma, i protagonisti dei nostri show dal vivo. Incide anche il lavoro nero e non siamo in Francia, dove esiste la protezione offerta dal regime dell’intermittenza. (Maurizio Di Fazio)

PIÙ TUTELE PER IL FICODINDIA

ADDIO A PASTA JULIA

Fra i 37 prodotti agroalimentari a marchio Dop e Igp della Sicilia, il Ficodindia dell’Etna Dop ha adesso un Consorzio di Tutela, presieduto da Sarah Bua e diretto da Rita Serafini. Nel 2022, il comparto del cibo Dop e Igp ha registrato un incremento del 12,5 per cento sul valore economico, toccando i 94 milioni di euro e impiegando circa settemila operatori.

Stabilimento definitivamente chiuso con i 26 dipendenti superstiti tutti a casa. E già venivano dalla cassa integrazione. Titoli di coda e una crudele vigilia di Natale per la storia quasi trentennale della ex Pasta Julia di Spello (Perugia), acquisita due anni fa dal gruppo In Food. Il 23 dicembre scorso, l’azienda agroalimentare ha annunciato ai sindacati la dismissione dell’attività.

CRESCE IL TURISMO NEL BELPAESE

INFRANTO IL SOGNO DELLA CERAMICA

Il 2023 è stato un anno d’oro per le presenze turistiche in Italia con 445 milioni di persone nelle strutture ricettive (+8 per cento rispetto al 2022). A dirlo è il Centro Studi turistici di Firenze per Assoturismo Confesercenti, secondo cui gli stranieri, che trainano ancora la domanda, hanno segnato un +13,7 per cento sul 2022, mentre è più debole il rafforzamento del mercato interno (+2,8 per cento).

Altra brutta notizia in provincia di Perugia. Addio al sogno della grande ceramica locale che esportava rivestimenti in tutto il pianeta. La Saxa Gres (fu Tagina) di Gualdo Tadino è in standby da oltre un anno e il centinaio di dipendenti trema. La cassa integrazione è scaduta a fine 2023: si parla dell’ingresso di un socio americano. Il 17 gennaio, tavolo al ministero delle Imprese.

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Foto: Agf

L’Espresso dolce


BANCOMAT

Alberto Bruschini

enticinque anni fa nasceva l’euro dopo la costituzione della Bce (1998). Il merito principale della moneta unica è costituito dalla convergenza nei tassi di interesse, con l’azzeramento dello spread, che ha ridotto notevolmente la spesa per interessi degli Stati membri dell’eurozona. Tale effetto ha retto anche nel periodo di alta inflazione del 2022-2023. Con l’introduzione dell’euro i Paesi dell’eurozona non potevano conseguire un risultato migliore. Per ottenere uno sviluppo economico che attutisca gli squilibri dell’area dell’euro, che covano sotto la cenere, purtroppo ci vuole ben altro. Il nuovo patto di stabilità, indipendentemen-

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La transizione non è tecnica ma pura politica te dalla modalità con cui saranno osservati i parametri fondamentali, si fonda sul mantenimento del rapporto deficit Pil entro la percentuale del 3% e su quello del 60% tra il debito e il prodotto interno lordo. I vincoli allo sviluppo economico dell’area continuano a permanere. Ogni Paese, infatti, in un lasso temporale più o meno ampio, dovrà coniugare lo sviluppo dell’economia con il rispetto dei parametri ribaditi dal nuovo patto di stabilità. La crescita del prodotto interno lordo potrà essere conseguita solo incrementando la produttività complessiva dei fattori di sviluppo attraverso investimenti pubblici e privati agevolati. Questi investimenti generano i loro effetti soltanto nel medio periodo. La forza e la capacità con cui possono incidere sulla situazione di un Paese è data dalla modalità del loro finanziamento, che non è uguale per tutti, in dipendenza delle condizioni della finanza pubblica.

Oltre agli enunciati, l’Europa dovrà affrontare il tema degli strumenti finanziari per realizzarla

I Paesi che hanno disponibilità di cassa, quindi un rapporto deficit Pil contenuto, saranno in grado di finanziare gli investimenti pubblici e agevolare quelli privati senza ricorrere all’indebitamento. Un tale sistema produce di per sé un moltiplicatore nella crescita delle entrate pubbliche, per l’incremento della fiscalità generale in connessione all’aumento della produttività dei fattori e alla sua ricaduta sulle retribuzioni del lavoro. Quei Paesi, invece, che non hanno disponibilità di cassa adeguate dovranno ricorrere all’indebitamento finanziario con un drenaggio di risorse nel bilancio dello Stato, per il costo degli interessi passivi e per il rimborso del capitale. Questi Stati, molto probabilmente, non avranno la possibilità di realizzare un aumento efficace della produttività complessiva dei fattori produttivi e di conseguenza sia delle retribuzioni del lavoro che delle entrate della fiscalità generale. L’Ue, con il Pnnr ha cercato di attutire tale problematica con l’introduzione delle sovvenzioni, pari circa a un terzo delle somme richieste da ogni Stato. Considerata la mole di investimenti pubblici e di quelli privati con aiuti dello Stato (migliaia di miliardi) necessaria per risanare l’ambiente dall’uso delle energie fossili si pone il problema di fondo degli strumenti finanziari con cui i Paesi dovranno affrontare la questione degli investimenti pubblici diretti o indiretti. Dato che i programmi di risanamento dell’ambiente per avere un’efficacia generale non potranno adeguarsi alla nave più lenta del convoglio, l’Europa dovrà affrontare, pena l’inconcludenza delle proposizioni di principio, il tema degli strumenti finanziari con cui questi obiettivi potranno essere realizzati. La ricerca di strumenti finanziari dedicati per governare la transizione ecologica non si risolve con il ricorso a tecnicismi, più o meno illuminati. È una questione politica che riguarda il balzo in avanti che l’Europa vorrà fare per dotarsi di una politica economica e fiscale univoca.

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ECONOMIA BATTAGLIE ECOLOGICHE

Ecco in arrivo le scorie nucleari MARCO GEMELLI a Novi Ligure a Tarquinia, da Altamura a Trapani, da Alessandria a Calatafimi. Sono cinquantuno siti sparsi in sei regioni – Piemonte, Lazio, Sardegna, Basilicata, Puglia e Sicilia – a giocarsi la “lotteria” che nel giro di un annetto consentirà a uno di questi territori di ospitare il primo deposito italiano delle scorie nucleari, un complesso di quasi centomila metri cubi di materiale radioattivo. La settimana scorsa il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha pubblicato sul proprio sito l’elenco delle aree idonee per il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, contenuto nella Carta nazionale delle Aree idonee (Cnai), sfoltendo fino a quota 51 una prima lista di 67 siti. Anche se il nostro Paese non ospita più (o non ancora) alcuna centra- entrambi stoccati come matrioske. I prile nucleare, un deposito è ne- mi verranno infatti inglobati in una macessario perché l’Unione eu- trice di cemento e sistemati all’interno ropea ha vietato ai singoli di un contenitore, che a sua volta verrà Paesi la possibilità di esporta- inserito nel calcestruzzo armato e in un re le proprie scorie all’estero, ulteriore sarcofago dello stesso materiae l’Italia continua a produrne le, detto “cella”, per garantire la massima diversi tipi. Ci sono i materiali impermeabilità della struttura. Le noconnessi alla dismissione del- vanta celle previste saranno poi ricoperle ex centrali nucleari italiane te di terra, creando una collina artificiale (circa il 60% del totale, fino- che servirà anche a migliorare l’impatto ra stoccati in Francia, Belgio e visivo, e i rifiuti resteranno lì per almeno Regno Unito) oltre ai prodotti 300 anni, il tempo necessario a far dimidi scarto derivanti dalla ricer- nuire il livello di radioattività fino a farca scientifica, dall’industria e la pressoché scomparire. Discorso simile dalla medicina, che anche in futuro con- per i 17 mila metri cubi di rifiuti più ratinueranno a essere generati. Comples- dioattivi, che – in attesa di uno stoccagsivamente nel nuovo deposito verranno gio geologico per lo smaltimento in via ospitati 78 mila metri cubi di materiale definitiva – verranno temporaneamencon un livello di radioattività medio-bas- te inseriti in taniche cilindriche di masso, più altri 17 mila di livello medio-alto, sima sicurezza alte 3 metri (in grado di

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Foto: L. Narici / AGF

Finora stoccati all’estero, i residui radioattivi italiani dovranno essere ospitati sul territorio nazionale. I Comuni indicati dal governo sono molti, ma uno solo si è detto disponibile


resistere a esplosioni, incendi, terremoti e inondazioni) gestite dalla Sogin, la società pubblica per lo smantellamento degli impianti nucleari. Quella della sede non sarà una scelta casuale, naturalmente: i criteri con cui l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare ha selezionato i territori candidati a ospitare il deposito sono ben 28 e comprendono lontananza da zone vulcaniche, sismiche, di faglia e a rischio dissesto, e da insediamenti civili, industriali e militari. Sono inoltre escluse le aree naturali protette, quelle oltre i 700 metri sul livello del mare, a meno di 5 km dalla costa, con presenza di miniere e pozzi di petrolio o gas, di interesse agricolo, archeologico e storico. Ai candidati è richiesta infine la disponibilità di infrastrutture di trasporto. Ed è proprio quest’ultimo aspetto, a far sì che in al-

cuni casi saranno proprio gli enti territoriali o le strutture militari, a presentare le candidature per ospitare il deposito. È il caso di Trino Vercellese, in Piemonte, dove già sorgeva una delle centrali nucleari italiane: il Comune si è fatto avanti per cercare di ottenere gli incentivi statali correlati, ma anche perché la nascita del deposito dovrebbe portare con sé migliaia di posti di lavoro negli anni successivi. Nella sede designata, infine, assieme alla struttura di stoccaggio verrà realizzato un centro di ricerca chiamato a svolgere attività nel campo della dismissione delle centrali nucleari e dello sviluppo sostenibile. Ma al di là delle rassicurazioni sulle modalità di stoccaggio e dei criteri di individuazione, è facile prevedere che le comunità locali non vedranno di buon occhio la possibilità che sul proprio

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DISMESSA La ex centrale nucleare di Latina

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ECONOMIA BATTAGLIE ECOLOGICHE

Le proteste

REATTORE Operai specializzati della Sogin al lavoro nella sala del reattore di Latina

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Pensare di trasformare la provincia di Trapani in una discarica di rifiuti nucleari è una follia». Il grido, in Sicilia, è quasi unanime. Le due aree idonee per lo stoccaggio delle scorie nucleari, individuate dal governo, ricadono nelle campagne trapanesi, nel borghetto di appena mille abitanti di Fulgatore-Dattilo e nel territorio di Calatafimi Segesta, tra i vigneti della Valle del Belice e le Terme Segestane, a meno di quattro chilometri dal Tempio di Segesta e a meno di due chilometri dal centro abitato di Calatafimi Segesta. «Sui siti trapanesi – spiega Tommaso Castronovo, presidente di Legambiente Sicilia – individuati come “idonei”, permangono criticità. Ci aspettiamo comunque che questa levata di scudi sul deposito persista anche di fronte alla paventata idea di riprendere la realizzazione di centrali nucleari in Italia». Malumori fondati perché il luogo scelto è lo stesso per il quale lo stesso cervello ministeriale, tramite il proprio braccio operativo, l’Ispra non ha mai redatto la carta geologica. Come, del resto, non è ancora stata fatto per lo Stretto di Messina. Ma senza conoscere la natura dei terreni, come si può pensare che si possano stoccare i rifiuti nucleari? E in un territorio, la Valle del Belice, nella quale il terremoto del 1968 lasciò morti e sfollati che ricostruirono brandelli di normalità tra le lamiere, indigenza e malapolitica. Nel 2006, però, lo Stato, nel silenzio di tutte le altre istituzioni, declassificò la pericolosità sismica del Belice: «La classificazione manteneva livelli di alta pericolosità sismica nei comuni della Valle del Belice – afferma Leonardo Santoro, ex dirigente del servizio sismico della Regione – Con le successive mappe però i territori del Belice hanno visto ridotto il livello di rischio sismico a zone con media o addirittura bassa pericolosità sismica. Il tutto, in assenza di studi di microzonazione sismica». Gli unici che servono per comprendere se i terreni dei sottosuoli amplificano le onde sismiche e in vicinanza di corsi d’acqua e corpi idrici sotterranei subiscono addirittura liquefazioni. Come le sabbie mobili. Realtà non peregrina, vista, nel sito prescelto di Calatafimi-Segesta, la presenza di numerose acque termali. Che ricordano che da qualche parte i suoli sono fratturati e il calore risale dalle viscere della terra. Altro motivo che dovrebbe fa riflettere sull’opportunità di custodire allegramente scorie nucleari nella terra baciata dal sole e dai grattacapi. Panacea per qualcuno, però. «A fronte di una manciata di posti di lavoro creati dai cantieri e di un grosso affare per chi costruirà il deposito – sottolinea il presidente di Federconsumatori Sicilia Alfio La Rosa – si creerebbe una sorta di Area 51 al centro di una delle zone economicamente più depresse d’Europa. Dopo anni di polemiche, in gran parte strumentali, contro le pale eoliche nel Trapanese, il governo, adesso, vuole creare dal nulla una collina imbottita di materiale radioattivo?».

Foto: L. Narici / AGF

Levata di scudi nel Belice “Rischio sismico cancellato”

terreno venga costruito un deposito di rifiuti radioattivi. A essere interessate sono la provincia di Alessandria (nei Comuni di Bosco Marengo, Novi Ligure, Alessandria, Oviglio, Quargnento, Castelnuovo Bormida, Sezzadio, Fubine Monferrato), il Viterbese (nei Comuni di Montalto di Castro, Canino, Cellere, Ischia di Castro, Soriano nel Cimino, Vasanello, Vignanello, Corchiano, Gallese, Tarquinia, Tuscania, Arlena di Castro, Piansano, Tessennano), le province di Oristano e quella di Sud Sardegna (Albagiara, Assolo, Usellus, Mandas, Siurgius Donigala, Segariu, Villamar, Setzu, Tuili, Turri, Ussaramanna, Nurri, Ortacesus, Guasila), la provincia di Matera (Montalbano Jonico, Matera, Bernalda, Montescaglioso, Irsina) e i Comuni di Altamura, Laterza e Gravina, con una appendice nel Potentino, a Genzano di Lucania. Infine il Trapanese, con due aree idonee a Calatafimi, Segesta e Trapani. Non a caso, nessuno di essi ha finora risposto in maniera positiva dando la propria disponibilità. La sindrome “Nimby” (Not In My BackYard), insomma, potrebbe portare a un duro braccio di ferro tra amministratori e comitati locali.

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Claudia Benassai


BVA DOXA

Sostenibile è sociale el contesto globale in continua evoluzione, l’Unione europea si pone come una delle principali protagoniste nella ricerca e nell’attuazione di politiche sostenibili. La consapevolezza dell’impatto delle nostre azioni sull’ambiente e sulle future generazioni richiede che siano delineate strategie mirate a garantire un equilibrio tra sviluppo economico, tutela dell’ambiente e benessere sociale. La sostenibilità, lungi dall’essere solo un manifesto politico, è divenuta un ideale condiviso e sentito profondamente tra le diverse fasce della popolazione europea. Questo è quanto emerge dallo studio condotto nel novembre scorso da BVA Doxa per conto di Cassa Depositi e Prestiti. Lo studio ha coinvolto un campione di cittadini di cinque Paesi che rappresentano il 67% della popolazione e il 66% del Pil dell’Unione europea: Italia, Francia, Germania, Spagna e Polonia. La necessità di adottare stili di vita sostenibili non è più solo un tema discusso nelle stanze dei governi o nei vertici delle istituzioni, ma si sta radicando nelle menti delle persone comuni. Certo, c’è ancora chiarezza da fare su molti aspetti, ma già oltre 7 cittadini europei su 10 hanno sentito parlare di temi di sostenibilità e già oggi nel loro quotidiano danno importanza negli acquisti al fatto che i beni siano prodotti con metodi e processi sostenibili. Quasi un cittadino europeo su due (46%) è disponibile a spendere un po’ di più per avere la certezza che i beni acquistati siano sostenibili. Il cambiamento climatico e le problematiche a esso collegate restano le maggiori preoccupazioni e priorità di azione per i cittadini, ma sostenibilità non è più solo sinonimo di ambiente: inizia a emerge-

Uno studio BVA Doxa rivela una consapevolezza sempre più diffusa: occorre equilibrio tra sviluppo economico, tutela dell’ambiente e benessere

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IL CAMPIONE Studio BVA Doxa per Cdp. Sono state realizzate 7.500 interviste tra il 26 ottobre e il 7 novembre a cittadini di 18-74 anni italiani, francesi, tedeschi, spagnoli e polacchi

re anche l’importanza della dimensione “sociale” a beneficio di tutti. L’adozione di processi di produzione e alimentazione energetica e di comportamenti sostenibili a livello strutturale è, infatti, vista come un’importante occasione anche in termini di sviluppo del mercato del lavoro: il 51% dei cittadini dei cinque Paesi coinvolti ritiene che l’investire in progetti sostenibili porterà a una crescita occupazionale. Questo dato cresce al 59% fra i giovani sotto i 35 anni. Ancora più interessante è il fatto che quanti temono che l’adozione di comportamenti sostenibili ridurrà i posti di lavoro rappresentano solo un 18%. Per la gran parte dei cittadini del continente l’importanza della sostenibilità sembra non essere più solo un imperativo ambientale, ma rappresenta un’opportunità per un futuro più efficiente, resiliente ed equo.

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ECONOMIA PIAZZA AFFARI

Tech e non solo Come sarà il 2024 in Borsa MASSIMILIANO CARRÀ opo un 2023 dettato principalmente dal rialzo dell’inflazione, dei tassi di interesse, dall’exploit dell’intelligenza artificiale e dai conflitti geopolitici, acuiti anche dall’esplosione della guerra tra Israele e Hamas, il 2024, secondo le idee di diversi analisti, si prefigura come «l’anno della svolta». Sia guardando alle future decisioni macroeconomiche delle principali banche mondiali, su tutte la Bce e la Fed, che già dalla fine del 2023 hanno deciso di invertire la rotta in materia di costo del denaro – anche in virtù del deciso rallentamento dell’inflazione –, sia guardando ai prossimi e importanti eventi che caratterizzeranno i mesi a venire. Su tutti, gli sviluppi degli attuali conflitti e gli esiti di alcune delle più delicate elezioni: quelle presidenziali di Taiwan il 13 gennaio e quelle america- to meglio, chiudendo in rialzo del 44%, osne (a novembre). Elezioni che sia il suo maggior guadagno annuale dal «potrebbero comportare un 2003. Dimostrazione evidente, in questo aumento delle tensioni strut- caso, di come il settore tech, spinto sopratturali tra Stati Uniti e Cina», tutto dall’ascesa dell’intelligenza artificiacome evidenzia Thomas Mu- le, sia una certezza. cha, geopolitical strategist di «Le attuali previsioni sugli utili per il Wellington Management. 2024 indicano un’ulteriore crescita nel Quindi, anche se incertezza mercato dell’intelligenza artificiale. Si pree cautela si confermano i due vede per lo più che le aziende rappresensentiment principali degli in- tative registrino una crescita su base anvestitori, tuttavia sono diverse nua considerevole dei ricavi e dell’ebitda, le opportunità offerte dai mer- il che potrebbe gettare le basi per una secati. Soprattutto in un conte- conda ondata di ottimismo verso l’intellisto in cui, nonostante le varie genza artificiale. Che, inizialmente, è stata insidie, l’azionario ha messo a segno delle associata a un’ondata di speculazioni, ma performance brillanti. Basti pensare che il come mostrano i dati del 2023 e le stime nostro Ftse Mib, principale indice di Piaz- per il 2024, il settore sta in realtà mostranza Affari, ha chiuso il 2023 sopra i 30 mila do segni di crescita organica considerevopunti (soglia che non superava dal 2008, le», dice Walid Koudmani, chief market anno della crisi dei mutui subprime), met- analysts di Xtb. tendo quindi a segno una crescita del 28%, Oltre all’intelligenza artificiale, sono la migliore a livello europeo e la seconda diversi i settori da tenere d’occhio per il a livello mondiale. Solo il Nasdaq ha fat- 2024. Allianz Global Investors, per esem-

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Secondo alcuni analisti, è “l’anno della svolta”. E se gli investitori si muovono con cautela, ci sono segnali che lasciano prevedere delle opportunità. Eccone qualcuna

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Foto: Getty Images

pio, segnala anche la sicurezza informatica e la tecnologia sanitaria. Thomas Mucha, aggiunge anche tutto ciò che riguarda i semiconduttori, le comunicazioni di nuova generazione, i minerali critici e una serie di altre risorse energetiche rinnovabili, le biotecnologie, le tecnologie spaziali, la robotica e l’automazione e l’informatica quantistica. I TITOLI ITALIANI DA TENERE D’OCCHIO Secondo Koudmani, sono soprattutto cinque i titoli italiani da tenere sotto osservazione per questo 2024. A2A. Essendo sensibile alle fluttuazioni dei prezzi dell’energia, potrebbe subire oscillazioni a seguito degli aggiornamenti dei prezzi del gas naturale o delle decisioni degli organismi di regolamentazione dell’Ue. Juventus Football Club. Una squadra di calcio, è molto soggetta all’esito di alcuni eventi chiave, come accordi di trasferimento, risultati dei match e possibile qualifica-

GLI INDICI Il nostro Ftse Mib, principale indice di Piazza Affari, ha chiuso il 2023 sopra i 30 mila punti, soglia che non superava dal 2008, con una crescita del 28%

zione alle coppe europee per la prossima stagione. Quindi bisogna rimanere cauti, in special modo se emergono problemi normativi per la compagnia come abbiamo visto in passato. Telecom Italia. In un momento particolare per la sua storia con l’acquisizione del fondo americano Kkr, si potrebbero cercare le opportunità che si presentano con le voci di consolidamento o annunci positivi del governo riguardo agli investimenti nelle infrastrutture, ma bisogna anche prestare attenzione ai rischi derivanti da minacce competitive o ostacoli normativi che potrebbero impattare sui piani di investimento. Salvatore Ferragamo. La casa di moda di lusso è sensibile alle tendenze economiche globali e alla spesa dei consumatori in Cina, mentre aumenti a breve termine possono derivare da collaborazioni di alto profilo o sfilate di successo. Tuttavia, bisogna anche considerare le opportunità legate ai dati economici che suggeriscono una ripresa della spesa di lusso, assieme a una situazione macroeconomica in miglioramento. Saipem. Si potrebbero cercare le opportunità a seguito di importanti contratti acquisiti o grazie a un aumento dei prezzi del petrolio, tenendo presente i rischi associati a un crollo dei prezzi del petrolio o a ritardi nei progetti, particolarmente in un periodo di tensioni geopolitiche così importante. I PIÙ ALLETTANTI Infine, guardando ai titoli italiani che offrono i dividend yield più alti per percentuale (si tratta del rapporto tra l’ultimo dividendo annuo per azione e il prezzo dell’azione stessa), i dati della piattaforma Xtb piazzano al primo posto Bff Bank (8,47%), seguita da Mediobanca (7,89%) e Mediaset (+7,44%). Più indietro, ma comunque più che positive le percentuali offerte da Unicredit, Unipol, Poste Italiane, Banca Mediolanum, Enel e Stellantis.

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BUGIE NELLA RETE

Lucia Loffredo Sui social network spopola chi spinge a curare l’influenza con metodi non scientifici. Un invito che, però, può rivelarsi pericoloso

Se il nonno è medico econdo il bollettino del 29 dicembre 2023 della sorveglianza RespiVirNet (cioè la Sorveglianza integrata dei virus respiratori dell’Istituto superiore di Sanità), in Italia aumentano i casi di sindromi simil-influenzali (Ili). L’incidenza è pari a 17,2 casi per mille assistiti (15,6 nella settimana precedente). È il livello più elevato rispetto a tutte le precedenti stagioni. Ma sulla Rete circolano altri virus. Ci siamo imbattuti in un post molto condiviso sui social che riguarda proprio queste malattie stagionali. Nel post c’è una foto in bianco e nero di un uomo, presumibilmente un medico (indossa un camice). Ci viene presentato come il dott. Herbert Sheldon. Presumibilmente sua è la frase che viene citata, datata 1944: «L’influenza è un naturale processo di disintossicazione del corpo, la risposta a un’eccessiva tossicità nelle cellule, non c’è mai stata una cura per l’influenza perché l’influenza è la cura». Interessanti sono anche i commenti che accompagnano le migliaia di condivisioni. Ne citiamo uno per tutti: «Morirete tutti di tachipirina e antibiotici (parole accompagnate dal delizioso emoticon di un cuoricino rosso, ndr), le nonne erano i nostri migliori dottori». Noi naturalmente abbiamo il massimo rispetto verso le nonne e i nonni di tutti. Un po’ meno però ci convincono i rimedi fai da te e soprattutto ci auguriamo di non morire tutti a breve. Ma analizziamo per bene questo post. Qualche dubbio lo dobbiamo sollevare. Per prima cosa, il dottore nella foto è effettivamente William Herbert Sheldon, psicologo e medico americano morto nel 1977. È noto per le sue ricerche sulla possibile correlazione tra costituzione fisica e temperamento. Punto secondo: le parole della frase citata sono, invece, di un quasi omonimo, Herbert Macgolfin Shelton. Anche lui americano e morto a pochi anni di distanza, nel 1985. Era, però, un naturopata, uno scrittore di medicina alternativa. Negli anni venne arrestato

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A LETTO In Italia si registra un picco di influenza e sindromi simili, circostanza che scatena le bufale in Rete e sui social

ben tre volte per essersi spacciato per medico. Fondatore, con altri tre studiosi, della corrente naturopatica chiamata igienismo. Sosteneva che un corpo sano ha la capacità di ristabilirsi dalla malattia senza l’ausilio dell’intervento medico. Alla luce di queste scoperte abbiamo pensato di parlarne con un virologo, il professor Fabrizio Pregliasco. È responsabile dell’Osservatorio Influenza, esperto di virologia e vaccinazione antinfluenzale. Gli abbiamo chiesto cosa pensasse del post e se al di là dello scambio di foto potesse avere qualche valenza scientifica. Ha detto che «l’influenza non è un processo di disintossicazione». Ha aggiunto che «il processo infiammatorio (quando ci viene la febbre) scatenato da una infezione è la naturale risposta del nostro sistema immunitario, che però non sempre vince» e anche che «confidare solo nella natura ci espone a numerosi rischi». E ha concluso: «Un soggetto giovane e sano può affrontare l’influenza con i farmaci da banco (antinfiammatori e decongestionanti). Mentre un soggetto fragile dovrà fare molta più attenzione, possono esserci effetti pesanti, e deve necessariamente rivolgersi al medico». Noi di una cosa siamo certi: nonne o nonni, quando sono laureati in medicina, evitano di consultare Internet per l’influenza.


ECONOMIA L’INTERVENTO La vicenda dell’ospedale San Giacomo di Roma del quale la giunta aveva decretato la chiusura propone la questione dei vincoli di destinazione d’uso delle donazioni

Il rispetto del lascito testamentario e l’utilizzo dei beni

zione, magari dopo centinaia di anni, non solo il tema della sorte di gesti di generosità compiuti (più spesso, per ovvie ragioni di ordine storico, dall’aristocrazia) a vantaggio della comunità civica, ma anche, se non soprattutto, quello della loro immanenza nel tempo. Che ne comporta o ne può comportare, a seconda dei casi, l’impossibilità di mutare la destinazione d’uso del bene, così come l’inalienabilità MASSIMILIANO ATELLI perpetua. Solo per restare a Roma, si pensi alla Fontana delle Api, a forma di conchilla Storia (con la S maiuscola) glia, sita all’angolo fra via Veneto e piazva riconosciuta la capacità non za Barberini, di cui – a distanza di pochi solo di legarsi al presente, ma mesi dalla realizzazione della fontana del talvolta di riportare indietro le Tritone – nell’aprile del 1644 papa Urbalancette dell’orologio, riappropriandosi no VIII Barberini commissionò a Gian Lodi sé stessa. Accade e può accadere, ancorenzo Bernini la costruzione, a uso pubra oggi. Talora, a mezzo di congegni legali blico, con la destinazione alla funzione di – ad esempio, disposizioni testamentarie – «beveratore delli cavalli». O, ancora, l’uin grado di eternare, per così dire, il punto tenza idrica che, dall’aprile 1572, attraverdi saldatura fra certe ultime volontà e date so una diramazione del condotto princicomunità civiche. pale dell’Acquedotto Vergine, realizzato L’ultimo caso della serie è clamoroso: L’AUTORE nel 19 d.C. e al tempo ancora in funziopoco meno di un anno fa, all’esito di una Massimiliano Atelne, raggiunse, per volere del Papa, prolunga e coraggiosa battaglia legale, la Cas- li è magistrato della prio l’Ospedale di San Giacomo (ho fatto sazione (dopo una precedente decisione Corte dei Conti e capo in tempo, tanti anni fa, a vedervi scorrere nel medesimo senso del Consiglio di Sta- di Gabinetto del mil’acqua, in una nicchia monumentale con to, nel 2021) ha riconosciuto la illegittimi- nistro dello Sport. In targa che ancor oggi si affaccia su via del tà della chiusura dell’Ospedale San Giaco- alto, l’Ospedale San Corso, prima che venisse trasformata in mo di Roma, decisa 15 anni fa dalla giunta Giacomo di Roma vetrina di negozio). regionale del Lazio, dopo 670 anni di funAltra vicenda significativa, che negli zionamento della struttura che il cardinale anni si è riproposta periodicamente, semSalviati aveva donato alla città con il vincopre a Roma, è quella degli alberi centenari lo perpetuo di destinazione all’ospedalinel parco di Villa Strohl Fern, all’estremità. È stata accolta, dunque, la tesi dell’eretà di Villa Borghese, dove ha sede il liceo de del cardinale, la duchessa Oliva Salviati, Chateaubriand. Con il proprio testamento, il barone alsaziano che, facendo leva sull’importanza storica e da cui essa prende ancora oggi il nome lasciò la villa alla Franmorale della donazione e della destinazio- cia, specificando però: «Dono la mia villa con le costruzioni… con ne nei secoli dell’immobile, escludeva la l’obbligo di rispettarne l’aspetto paesaggistico e i vecchi alberi». possibilità di libere scelte dell’amministra- La Villa è dunque della Francia, ma il permesso di intervenire sui vecchi alberi lo possono concedere (se richiesto, come la stampa zione di farne altro. La vicenda del San Giacomo, a ben ve- riferì essere accaduto negli anni scorsi) solo le autorità italiane. Si dere, non è l’unica che propone all’atten- pone, al riguardo, il tema degli effetti.

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I DIALOGHI DE L’ESPRESSO

La mia saggezza una somma di errori colloquio con HELEN MIRREN di CLAUDIA CATALLI n’attrice deve parlare, usare la propria voce, sostenere le cause che ritiene importanti per gli altri». Anche se non lo dicesse sarebbe chiaro a tutti che Helen Mirren, a 78 anni, non si è ancora arresa dal proposito di voler cambiare il mondo, o quanto meno contribuire a migliorarlo. Trasforma ogni sua uscita pubblica in un evento, ogni sua presentazione in un appello all’urgenza del «fare». A chi la chiama “The Queen”, anche per omaggiare il ruolo iconico della monarca britannica che le valse l’Oscar nel 2007, risponde secca con il sorriso: «Non sono la regina di niente e di nessuno, sono solo una contadina salentina (lo dice in italiano, ndr), e pure vecchia. Lo scriva, v-e-c-c-h-i-a». Ogni volta che la si incontra, o intervista, sfoggia una gentilezza fuori dal comune, si presta a rispondere a ogni curiosità senza dare mai di R. J. Palacio e in questi giorni al cinesegnali di impazienza. Si concede alle foto, ma, proprio tra i suoi vicini di masseria di ai selfie, agli autografi dei passanti, chiac- Tiggiano e Tricase. Racconta l’importanza chiera con le signore del posto e in ogni dell’empatia e dell’altruismo interpretando evento ci tiene a presentarsi nel modo più la saggia nonna Sara, che intende redimenaturale e semplice possibile: senza orpelli, re il nipote bullo raccontandogli la sua intinte ai capelli e trucco, ai piedi solo scarpe fanzia travagliata di bambina ebrea. «È un basse, ciabatte, o anche piedi scalzi. Sfog- film che parla dell’importanza della gentigia abiti semplici, comodi, come le sue pa- lezza e dei rapporti con la famiglia, qualità role, scelte più per farsi capire dalla gente che ho da subito riscontrato in Salento. Riche per farsi bella. cordo ancora la prima volta che misi piede Insomma Mirren è tutto tranne che una qui, i vicini mi offrirono un piatto di fave e diva, guardie del corpo e stuoli di aiutan- cicoria che non ho più smesso di mangiare ti non fanno per lei, preferisce presentar- da allora. Intendo fare tutto quello che possi mano per mano con suo marito, il regi- so per ripagare la loro generosità». sta Taylor Hackford, con cui fa coppia dal Il suo impegno per la comunità salen1986 e con cui ha scelto di vivere in Salen- tina non si limita al cinema. Ora fa un apto da oltre dieci anni. «Facciamo una vita pello per firmare la petizione per restauratranquilla: io mi occupo del giardino, del- re Torre Palane (c’è un video su YouTube in le mie letture, lui della pasta: è bravissimo a cui ne parla, con tanto di ciabatte e fascia cucinarla, come sono brava io a gustarme- in testa), ora manifesta per salvare gli ulila». Pochi giorni fa ha scelto di organizza- vi, falciati dalla diffusione della xylella: «Gli re la premiere del suo ultimo film “Wonder alberi secolari sono un patrimonio da sal– White Bird”, tratto dalla graphic novel vare, proprio come i capolavori architet-

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Salentina d’adozione, la star britannica è impegnata in difesa degli ulivi secolari. Dal set alla vita reale senza filtri. “Tanti i progressi, ma la regressione è dietro l’angolo”

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I DIALOGHI DE L’ESPRESSO

tonici italiani. Un olivo pluricentenario non è meno importante del Colosseo. Eppure ne abbiamo persi milioni su milioni, è una tragedia e un disastro di proporzioni enormi di cui non si parla abbastanza. Sono testimone della morte di questi alberi, si sono ammalati anche quelli della nostra masseria, ci stiamo impegnando con l’associazione “Save the olives” a ripiantarne di nuovi, ma nel frattempo è importante che diventi un problema urgente per tutti. Perché è come se il Colosseo crollasse, tutti correremmo a urlare “salviamolo!”. Bene, allora pensiamo a salvare al più presto questi alberi, che hanno vissuto la storia dell’Italia. Non sprechiamo il patrimonio naturale che avete e che abbiamo in questo Paese». Parlare alla gente sembra essere diventata la sua missione personale, Mirren la persegue con determinazione evidente e senza il minimo timore di mettersi in gioco in vesti anche autoironiche, come ha dimostrato collaborando con Checco Zalone nel video della canzone “La Vacinada”, divenuto virale nel giro di poche ore. «Ho accettato con entusiasmo la proposta del mio amico e ammirato collega Checco Zalone di comparire assieme a lui nel video per promuovere l’assunzione del vaccino. Lavorare con un uomo di tale eleganza e genialità è stato un onore e sono molto felice che ci sia stata una risposta così forte al nostro lavoro insieme». Per nulla sfiorata dall’“age-gap” (discri-

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minazione dovuta all’età) di Hollywood, la sua carriera cinquantennale prosegue a vele spiegate, specie dopo essere stata scelta come voce narrante del film-fenomeno dell’anno, il campione di incassi “Barbie” di Greta Gerwig. Senza contare che Mirren è riuscita a uscire indenne persino dal polverone di polemiche che hanno avvolto la sua performance nei panni della premier d’Israele Golda Meir nel film “Golda”, presentato l’anno scorso alla Berlinale – quindi in tempi non sospetti e non bellici – e da subito ricoperto di accuse di appropriazione culturale. «Golda è stata una persona incredibile da interpretare, ho provato un forte senso di ammirazione per lei e per il suo coraggio fuori dal comune», ha dichiarato l’attrice a Berlino. «Anziché il piglio dittatoriale aveva uno spirito materno e mi ha colpito molto la sua dedizione totale verso Israele. Questo senso del dovere assoluto verso il suo Paese mi ricordava in qualche modo la regina Elisabetta che avevo interpretato, se non fosse che Golda era più pragmatica, più emotiva e appassionata, ed era poi un’avida fumatrice, sempre con la sigaretta in mano». Per portarla sullo schermo in maniera convincente ha dovuto sottoporsi a quattro ore di trucco ogni giorno: «Il trucco e i costumi sono

“È tempo di raccontare personaggi femminili forti ignorati a beneficio delle storie degli uomini. Sento di essere stata fortunata nella vita, anche se sono partita da zero”


Foto: pagine 80 . 81 W. Eubanks / NBC Universal via Getty Images, pagine 82-83 D. Venturelli / Getty Images for Paramount+, M. Evans / AGF, C. Saunders/Paramount+ / AGF

la parte fondamentale per la creazione non solo del personaggio ma di tutta la storia. A fine riprese rivedere il mio viso nello specchio così com’era è stato sorprendente, tanto mi ero abituata a vederci riflessa per oltre un mese un’altra donna, Golda». Per prepararsi ammette di aver riguardato le performance di colleghe come Ingrid Bergman alle prese con lo stesso ruolo: «Bergman fece un lavoro meraviglioso sul personaggio in “Una donna di nome Golda”, io dopo aver letto tanti libri e guardato altrettanti film ho voluto farne qualcosa di diverso e solo mio, lontano dal biografico, anche perché il film ha il merito di non raccontare la sua intera vita, ma solo una parte, la più complessa e sfidante. Mi è piaciuto restituire anche il lato più domestico di Golda e il suo amore per gli utensili da cucina, che condivido appieno. Sono sempre lì a comprare il nuovo mixer del momento!». Nelle polemiche non entra neanche, limitandosi a dire: «Avevo detto al regista israeliano Guy Nattiv di non essere ebrea e anche che mi sarei fatta da parte se fosse stato un problema, mi ha risposto ribadendo la sua convinzione ad avermi nei panni di Golda, e così è andata». Portare sullo schermo donne combattive la entusiasma: «È tempo di raccontare personaggi femminili forti, penso alla serie “1923” su Paramount+ che ho interpretato dopo aver letto biografie di donne assolutamente straordinarie, che hanno

ALBUM Helen Mirren all’Allora Fest in Puglia. A destra, con Harrison Ford, suo partner in 1923. A sinistra, Taylor Hackford (primo da sinistra) e Helen Mirren sul set de Il sole a mezzanotte nel 1985

compiuto imprese incredibili e nessuno le ha mai raccontate. Non è che non ci fossero o non fossero esistite, è che sono state deliberatamente ignorate a beneficio delle storie degli uomini». Sottolinea di essere una privilegiata anche lei: «Sento di essere stata ragionevolmente fortunata nella vita, anche se sono partita da zero, per ogni problema professionale che ho affrontato so che sarebbe stato mille volte peggio per un’attrice di colore. Per fortuna i tempi stanno cambiando, ed è interessante vederli cambiare. La cosa più importante è poter avere un’opportunità, deve essere un diritto di tutte e tutti quanti, qualunque provenienza si abbia». Il futuro è ancora tutto da scrivere: «C’è ancora parecchio lavoro da fare, insieme, donne e uomini, congiunti: le battaglie degli ultimi vent’anni hanno profondamente modificato la nostra cultura, ma non bisogna mai dare niente per scontato, il pericolo della regressione è sempre dietro l’angolo e si può combattere solo stando insieme». Guai a definirla saggia, in un attimo Mirren rintraccia l’origine della sua saggezza nei suoi fallimenti, dimostrando come si possa diventare un’icona senza cedere alla sindrome del perfezionismo: «Ho molti rimorsi e rimpianti, devo conviverci. La cosa positiva è che gli sbagli sono portatori sani di consapevolezza: tornassi indietro li rifarei, sono più saggia grazie agli errori che ho commesso».

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Prometeo sfida ancora

gli dei

L’arca era progettata da Renzo Piano. I testi firmati da Massimo Cacciari. Gli allestimenti di Emilio Vedova. La direzione di Claudio Abbado. Quarant’anni fa l’opera di Luigi Nono fu uno straordinario evento. Che torna oggi, a Venezia, per celebrare il grande compositore

MUSICA CON LA COMPLICITÀ DELLO SPAZIO Un momento del “Prometeo” messo in scena nel 1984


CULTURA UNIVERSI SONORI

MARCO DE VIDI

S

uono mobile nella voce e negli strumenti, e suono mobile per mutazione e trasformazione del primo con gli strumenti tecnologici. E suoni mobili sintetici, programmati, e controllati sul computer, non necessariamente da fissare su nastro, ma da produrre in tempo reale...». così scriveva Luigi Nono, nei suoi appunti per il “Prometeo”, l’opera presentata nel 1984 che rappresenta una delle massime espressioni della sua idea di suono in movimento, cuore dell’ultima fase della sua ricerca artistica, con cui voleva restituire complessità alla dimensione dell’ascolto. E per questo immaginava di usare lo spazio stesso come uno strumento, scomponendo gli strumenti musicali, il live electronics, le voci narranti, il cantato, facendo muovere, avvicinare e allontanare, modulandone il volume e il timbro. Stimolando un ascolto vivo, poiché, come continua nei suoi appunti, «è l’inudibile o l’inudito che lentamente, o no, non riempie lo spazio, ma lo scopre, lo svela. E provoca improvviso inavvertito esser Per approfondire o nel suono, e non iniziarlo a percepire, sen- commentare questo tirsi parte dello spazio, suonare». articolo o inviare E per questa «tragedia composta di segnalazioni scrivete suoni, con la complicità di uno spazio» a dilloallespresso@ il compositore veneziano scelse la chie- lespresso.it sa di San Lorenzo, nel sestiere di Castello, sconsacrata nel 1868 e poi utilizzata come ni di Benjamin, Esiodo, Eschilo, Sofocle, magazzino e laboratorio di restauro, resti- Hölderlin, Goethe, Nietzsche, con testi in tuita al pubblico proprio negli anni '80, italiano, greco e tedesco: un pensiero plucon alcuni eventi organizzati dalla Bien- rale e frammentato, a esprimere complesnale Musica. Un edificio ampio, spoglio, sità, in un’opera dedicata alla figura midalla facciata a mattoni grezzi, lasciata tologica che rappresenta uno dei punti incompiuta: il luogo perfetto per allesti- cruciali della storia dell’umanità. re l’opera, dove prese forma l’imponente Ora, dopo quarant’anni, il “Promearca in legno progettata da Renzo Piano, teo” ritorna a Venezia, nella stessa chiealta 15 metri e posta al centro della navata sa di San Lorenzo. Per commemorare il centrale e alla base della quale sedevano i centenario della nascita di Luigi Nono 400 spettatori, mentre gli strumentisti, il (scomparso nel 1990), dal 26 al 29 gennacoro e i narratori erano divisi su tre livelli io l’opera tornerà in scena, con un nuovo diversi, liberi di muoversi durante lo spettacolo, a creare delle isole sonore in comunicazione. Per l’allestimento era stato coinvolto anche il pittore Emilio Vedova, con i suoi «Interventi/Luce», volutamente non figurativi, ma materici, astratti, in comunicazione con la struttura disegnata da Piano. Il libretto, scritto dal filosofo Massimo Cacciari, metteva insieme bra-

A giugno verrà eseguita alla Fenice l’opera “La fabbrica illuminata”, dedicata agli operai della Italsider di Genova. L’intenzione è di replicarla al Petrolchimico di Marghera

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Foto pagine 84-85 G. Arici / Rosebud2. Foto pagine 87-87: Lorenzo Capellini / Courtesy Archivio Storico della Biennale di Venezia (ASAC) (3)

allestimento ideato da Antonello Pocetti e Antonino Viola, che sarà diretto da Marco Angius con l’Orchestra di Padova e del Veneto e a cui parteciperanno alcuni tra i musicisti presenti alla prima edizione del 1984, il flautista Roberto Fabbriciani, Giancarlo Schiaffini alla tuba e il musicista Alvise Vidolin alla parte elettronica, con quattro repliche e una tavola rotonda finale. La curiosità, in città, è grande, e i biglietti per le quattro serate sono andati esauriti in pochissimo tempo, con moltissime prenotazioni anche dall’estero. Lo spettacolo è organizzato dalla Biennale Musica insieme alla Fondazione Nono, diretta dalla moglie di Nono Nuria Schoenberg (figlia del compositore austriaco), uno degli eventi centrali delle celebrazioni dedicate alla nascita di Nono e al trentennale della Fondazione. Non ci sarà l’arca costruita da Renzo Piano, che dopo la prima esecuzione del

settembre 1984 a Venezia, diretta da Claudio Abbado, e la seconda l’anno successivo a Milano, non fu più utilizzata nelle successive versioni del Prometeo, che dal 1987 al 2008 è stato riproposto in diverse città, dalla Germania alla Francia, dal Portogallo al Giappone, rimanendo per più di vent'anni nei magazzini del Teatro La Scala. La struttura lignea venne infatti smontata e poi rimontata all’interno di un capannone della fabbrica Ansaldo, stabilimento che a poca distanza dall'evento del 1985 verrà chiuso, per poi trasformarsi in un centro culturale, prima con i laboratori di produzione della Scala, poi con gli appuntamenti del Fuori Salone. Mentre a Venezia, la chiesa di San Lorenzo a seguito del restauro realizzato dalla fondazione Thyssen-Bornemisza, è diventata ora la sede di Ocean Space, centro di ricerca sugli oceani che si occupa di scienza e arte.

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DAGLI ARCHIVI “Prometeo”, organizzato dalla Biennale Musica con la Fondazione Nono, sarà in scena dal 26 al 29 gennaio. Nelle immagini, Luigi Nono e gli allestimenti nella Chiesa di San Lorenzo a Venezia

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Ieri e oggi

“Nella nostra idea Prometeo è ispirato alle tesi di Walter Benjamin, al suo angelo che ripercorre la storia, cercando di salvarne gli sconfitti, le rovine” 88

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La tragedia? Non saper più ascoltare n progetto concepito a lungo, in un arco di quasi un decennio. Un’opera ambiziosa, nata con l’intento di superare le forme della rappresentazione tradizionale, legate alla narrazione e alla visione. E per la cui realizzazione, il compositore Luigi Nono (con il supporto della Biennale di Venezia) coinvolse alcuni tra i più importanti artisti del tempo: il direttore d’orchestra Claudio Abbado, l’architetto Renzo Piano, il pittore Emilio Vedova. E il filosofo Massimo Cacciari, all’epoca quarantenne professore associato di filosofia allo Iuav di Venezia e, dopo gli anni in Potere Operaio, nome di punta del Pci, appena conclusa l’esperienza da parlamentare. È dal dialogo tra i due che prende forma l’idea di un’opera radicale: per questo così capace di parlare ancora oggi. E proprio sull’attualità del “Prometeo” Massimo Cacciari rifletterà il 29 gennaio a Venezia, in una tavola rotonda insieme al direttore Marco Angius e a Lucia Ronchetti, direttrice della Biennale Musica. Come anticipa a L’Espresso. Come nacque la collaborazione con Luigi Nono? «La nostra è stata una lunga amicizia, con frequentazioni pressoché giornaliere, letture in comune ed esperienze condivise, culturali e politiche. Dopo “Al gran sole carico d’amore”, che andò in scena nel 1975, Nono si mise a lavorare all’idea di una nuova opera. Nel frattempo aveva composto vari pezzi per i quali io avevo elaborato dei testi, che potevano risultare funzionali alla partitura, come “Das Atmende Klarsein”, “Io, frammento dal Prometeo”, “Diario polacco”, “Guai ai gelidi mostri”. I miei testi servivano essenzialmente a Nono come tracce ispiratrici, poi le parole erano totalmente risolte nel fatto musicale, come nel Prometeo». Cosa rappresenta la figura di Prometeo nell’opera? «Io ho messo insieme un collage di testi che esprimono un’idea propria del “Prometeo”, mia e di Nono. L’abbiamo chiamato Prometeo ma non ha nulla a che fare con nessuna delle figure tipiche del Prometeo, nessuna delle varianti che si sono succedute nel tempo. Questo mito che corre lungo tutta la nostra civiltà viene svolto in una chiave completamente diversa: non si tratta del ribelle di Goethe, né del contestatore, né tantomeno del Prometeo della civiltà tecnico-meccanica. Nella nostra idea Prometeo è una figura ispirata ad alcuni passi delle Tesi di filosofia della storia di Benjamin, quella di un angelo della storia, che ripercorre la storia

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Foto: Lorenzo Capellini / Courtesy Archivio Storico della Biennale di Venezia (ASAC)

Le celebrazioni per il centenario della nascita di Luigi Nono prevedono anche, a giugno, l’esecuzione de “La fabbrica illuminata” alla Fenice. La composizione per voce e nastro magnetico (su cui vennero registrati i suoni di macchinari industriali), scritta insieme a Cesare Pavese e Giuliano Scabia e «dedicata agli operai della Italsider di Genova», fu inizialmente commissionata dalla Rai che poi la censurò per i testi troppo politicizzati, e poi presentata alla Biennale Musica nel 1964. L’opera rende quanto mai esplicito l'impegno politico di Luigi Nono, iscritto al Pci e sperimentatore in grado di mettere al centro delle sue composizioni le tematiche più rilevanti del suo tempo, dalla Resistenza alle condizioni di lavoro nelle fabbriche, dal razzismo verso i migranti alla guerra del Vietnam. Con l’idea, ricercata sempre di più nella sua carriera, di portare la sua musica colta fuori dai teatri e dalle sale da concerto, intenzione che potrebbe prendere forma con l’ipotesi di replicare La fabbrica illuminata anche all’interno del capannone del Petrolchimico di Marghera. E sarà proprio questa spinta a emancipare l’ascoltatore dalle forme e dalle strutture tradizionali, a portarlo a concepire quell'idea di «suono mobile» che metterà al centro del Prometeo. Rivoluzionando il rapporto tra suono e spazio, scomponendo la narrazione, liberando l'ascolto. «Si vuole la sicurezza, la ripetitività», scriveva, auspicando invece «un’altra percezione possibile, dall’interno. Questi legni, queste pietre-spazi di San Lorenzo, infiniti respiri».

colloquio con Massimo Cacciari


cercando di salvarne gli sconfitti, di salvarne le rovine. E la vicenda si svolge attraverso varie isole nelle quali emerge questa figura anti-prometeica del Prometeo. Un Prometeo che sta nella dimensione dell'ascolto, o al limite del silenzio». L’intento dell'opera è proprio quello di ricondurci all'ascolto, dimensione che la nostra civiltà ha perso. «Il tema dell’ascolto è un problema ovviamente anche di carattere filosofico. Ma per Nono si trattava di un aspetto che viveva drammaticamente nella sua esperienza compositiva, e cioè l’idea che nel contemporaneo proprio questa dimensione così essenziale per la musica fosse entrata in una crisi radicale. E questo perché l’avvento di una certa civiltà dell'immagine, malamente intesa, ha comportato il venir meno del primato e della fondamentalità dell’ascolto. Nel Deuteronomio, nell’Antico Testamento, Dio non si vede ma si ascolta, e lo si ascolta anche in un fruscìo, lo si trova anche in un silenzio. E quest’idea è al centro di almeno tutti gli ultimi quindici anni di composizioni di Nono. E per questo il Prometeo volle intitolarlo Tragedia dell'ascolto, perché quello che Prometeo chiede è di essere ascoltato. Ma non in forma gridata, enfatica, retorica: è facile ascoltare uno che ti grida nelle orecchie, sei costretto. No, l'ascolto è tale se si giunge ad ascoltare lo stesso silenzio». Qual era il senso di un’opera come il Prometeo quarant’anni fa? «Quest’opera è stata varie volte eseguita, ascoltata, ap-

prezzata. E questo malgrado tutte le enormi difficoltà anche tecniche che comporta una partitura del genere e la sua esecuzione, fino agli spazi e agli ambienti che sarebbero necessari per il suo corretto ascolto. Se si dedica la cura e l'attenzione necessarie, queste sono opere che durano e che non sono relegabili a momenti storici determinati. Al di là di questo, è chiaro che il “Prometeo” nasce da un mondo che è completamente lontano dal nostro. Un mondo in cui in cui vi era una cooperazione, un lavoro comune, che durava anni. Basti pensare alla collaborazione tra Nono e i suoi musicisti, come Abbado, come Pollini. Al lavoro di Nono con il laboratorio di Friburgo, dove LE PAROLE E LE NOTE si sperimentava con la musica Massimo Cacciari e elettronica. O alla stessa collaLuigi Nono nel 1984 borazione con me. Che coinvolgeva anche tutta una dimensione politica: “Prometeo” nasce anche dall’esperienza maturata da Luigi Nono nel laboratorio di musica viva, quando Pollini eseguiva Schoenberg per gli operai di Reggio Emilia. Il lavoro allora era amicizia, assoluta dedizione all’opera, oltre ogni interesse. Pensi a Renzo Piano, che realizzò gratis tutta la grande costruzione per la prima del “Prometeo”. Quello era il clima di quegli anni. Ma è un mondo del tutto scomparso. Fa addirittura ridere pensare che possa ritornare qualcosa di simile al giorno d’oggi». Ma quest’opera riesce ancora a dire qualcosa al nostro tempo? «Certo, il “Prometeo” comunica se ti metti in ascolto, con pazienza, con voglia di studiarlo, perché come tutte le grandi opere si tratta di lavori difficili, che richiedono un ascolto intelligente. Allora sì, può ancora comunicare. Ma oggi ognuno fa quello che vuole, per conto suo, al di là di ogni contesto politico, sociale, organizzativo, sorpassando ogni dimensione comunitaria. È quella dimensione disinteressata, culturale, politica, dentro cui Nono ha sempre vissuto, anche nei suoi momenti di massimo silenzio, che è completamente scomparsa». M.D.V.

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Quei giorni di ordinaria

felicità BEATRICE DONDI

Cinquant’anni fa sbarcava sugli schermi la sit-com “Happy Days”. E il sogno americano entrava nelle case di tutto il mondo. Puntando sulla forza degli stereotipi. E su desideri a portata di mano 90

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Foto: ABC Photo Archives/Disney General Entertainment Content / Getty Images (4)

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a una parte la guerra, dall’altra l’inflazione alle stelle. Nel mezzo, I PROTAGONISTI un’aria generale di contestazione che agita le nuove generazioni Joanie “Sottiletta” sempre più difficili da raccontare. L’unica strada possibile da per- Cunningham (intercorrere per la fabbrica dell’intrattenimento televisivo, dunque, non pretata da Erin Mopuò che essere uno scacciapensieri capace di trasmettere solidi valori, ine- ran), Richie Cunninquivocabili certezze e un’ironia all’acqua di rose. Sembra uno specchio pun- gham (Ron Howard), tuale del palinsesto di oggi, invece era ieri, mezzo secolo esatto per la preci- Ralph Malph (Don sione, quando iniziò la messa in onda della sit-com dei record. “Happy Days” Most) e Fonzie (Henry andò in onda per la prima volta sul canale Abc alle 20 della sera del 15 gen- Winkler) naio 1974. La guerra in Vietnam sarebbe continuata per un altro anno e mezzo, Richard Nixon puntava a raggiungere “la pace con onore” e dello scandalo Watergate si sentiva ancora l’odore del fumo della pistola. Quale momento migliore, dunque, per mettere in piedi la ricerca dell’innocenza perduta, un prodotto ta di re Mida formato tv. Trenta milioni di telespetcapace di voltare la testa all’indietro, sen- tatori il martedì, decine di colossi che si contendono za nostalgia ma anzi al contrario, trasfor- lo spot iniziale, una distribuzione mondiale, una simando il quotidiano degli anni ’50 e ’60 in gla che diventa una macchina da soldi e ancora oggi un recupero vivo di un Paese sull’orlo dello si canticchia con gusto, cartoni animati, cinque spinsmarrimento. off (tra cui due di grande successo, “Laverne & Shirley” L’intuizione geniale nasce dalla testa e “Mork e Mindy”) e persino un film porno. Come si di Garry Marshall e diventa in dieci anni, dice, un successo. undici stagioni e 255 episodi, una sorIn Italia invece arriva tre anni dopo. La televisione di Stato, il cui direttore generale è il democristiano Pierantonio Berté, decide di mandare in onda “Happy Days” su Rai Uno, poco prima del telegiornale delle 20, scommettendo sul fatto che la visione si sarebbe potuta condividere con l’intera famiglia. E la puntata ovviamente è vincente. Nel Paese spezzato dal terrorismo, la sit-com diventa così la cerniera perfetta tra la tv dei ragazzi e l’ “Almanacco del giorno dopo”, capace di raccogliere davanti alla televisione cifre monstre di milioni di telespettatori bisognosi di tradurre il sogno americano in sapori di casa nostra. Era l’Italia che non aveva ancora mai assaggiato gli hamburger dei fast



LA PRIMA VOLTA Il personaggio di Mork, interpretato da uno sconosciuto Robin Williams, esordisce in un episodio della quinta stagione intitolato “Fantascienza anche per Fonzie” (My Favorite Orkan)

food e che guardava con sospetto gli arredamenti vintage eppure quella mezz’ora a Milwaukee, in compagnia di Richie, Ralph, Potsie e Joanie seduti da Arnold’s entrarono come un trapano nella fronte e per Fonzie armato di chiave inglese si entusiasmarono persino i metalmeccanici della Fiom. La sit-com dalla vita quasi eterna come dimostra peraltro l’uscita del libro di Giuseppe Ganelli ed Emilio Targia “La nostra storia - Tutto il mondo di Happy Days (Minerva), viene poi riproposto nel 2008 al mattino, su Italia 1 portandosi a casa un incredibile 6 per cento di ascolti, e nel 2013 torna sul canale di Sky Fox Retrò. Un’onda lunga, che rinforzava l’idea per la quale il suo punto di forza principale si nascondesse in un’ordinaria straordinarietà, ovvero nel riuscire a trasformare la struttura bidimensionale in un senso di appartenenza comune in cui riconoscersi con facilità. Nessuna rivoluzione, bando alle provocazioni, niente temi scottanti, possibili gravidanze come in “Grease” e anzi al contrario, una messa in scena fondata sul calore di una famiglia tradizionale senza sesso né droga, solo tracce di rock ‘n roll. Eppure, in quella sorta di cartone animato votato alla castità, nato per come ri-

Nel Paese spezzato dal terrorismo, la serie raccoglie davanti alla tv milioni di telespettatori, ignari dei fast food e diffidenti degli arredi vintage

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fugio per trovare nel passato una forma di rassicurante stabilità dove le donne cadevano come mosche al solo schiocco delle dita, si insinuavano a spanne virgole di realismo che rendevano possibile seguire con passione un mondo doppiamente lontano. La famiglia Cunningham è il nucleo in forma di focolare che mantiene l’equilibrio tra la potenza e l’atto. Nella tranquilla casa borghese della provincia americana, il padre porta i soldi a casa vendendo chiodi e altre diavolerie da ferramenta. La mamma dipendente dai bigodini che sforna arrosti e amorevoli cure, tre figli, tutti bravi ragazzi votati allo studio, alla divisa, alle solide amicizie, un po’ di musica, il drive in e una trama fondata sulla forza inossidabile degli stereotipi. Ma per riuscire a diventare un fenomeno globale dai numeri imbarazzanti non poteva fermarsi alla figurina. Serviva un tocco di realismo seppur lontano dal vero, insomma quantomeno plausibile. Come il faccione di Tom Bosley che rende Howard Cunningham un padre di famiglia normale, con le sue debolezze e le sue vanità, Loggia del Leopardo compreso. In questo assetto formato monade serviva un punto di rottura, che richiamasse le epiche bande giovanili degli anni Cinquanta ma senza spettinare nessuno. Ed è così che nasce Arthur Fonzarelli, il bullo dal cuore d’oro nascosto dentro un giubbotto di pelle, un personaggio secondario che un attimo dopo la sua prima apparizione diventa il protagonista indimenticabile a cui si dedicano statue in bronzo al centro della città. Episodio dopo episodio, Henry Winkler alza i pollici e si prende il suo spazio, bilanciando i pesi e le misure e rendendo fenomeno pop quel ragazzo cresciuto, votato a essere un fratello maggiore, emarginato di nascita e accolto nella famiglia dalle braccia grandi, teppista ma non troppo, irresistibile ma non bello, e soprattutto dotato di un ferreo rispetto dei codici morali della società americana. In sintesi, Dio Patria e famiglia, ancora una volta, ieri come oggi.

Foto: ABC Photo Archives/Disney General Entertainment Content / Getty Images

CULTURA FENOMENI POP


VISIONI

a cura della redazione Cultura

MILANO / TEATRO Il 2024 del Filodrammatici si apre con uno spettacolo che, fino al 14 gennaio, porta in scena la riduzione del romanzo “Il racconto dell’ancella” un racconto distopico scritto nel 1985 dall’autrice canadese Margaret Atwood, tornato alle cronache per il grande successo della serie televisiva “The Handmaid’s Tale”. In un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, gli Stati Uniti sono divenuti uno Stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile. L’ancella interroga lo spettatore sulla libertà delle donne e la sua testimonianza diventa un simbolo, ma anche l’incubo di un futuro prossimo possibile e un monito da tener presente.

alterneranno nuovi ospiti, come Bungaro e i VOŁOSI, vecchi e nuovi format, da Uno ad Uno di Enrico Deregibus con Andrea Satta al nuovo live podcast di Martina Martorano e Leonardo Parata, che accoglie Serena Brancale, Naip, Valerio Desirò e tanti altri ospiti, fino all’intrigante Robinson Pop-up.

Dalle Officine Pasolini a Roma al concerto di Four Tet a Parigi, appuntamenti da non perdere

GERMANIA / FRIEDRICH La Germania celebra con oltre 160 eventi e grandi mostre in diverse città il pittore più famoso del Romanticismo tedesco, Caspar David Friedrich, per i 250 anni dalla sua nascita. L’anno dedicato a Friedrich sarà ufficialmente inaugurato il 20 gennaio nella cattedrale di San Nicola a Greifswald, dove venne battezzato, e le iniziative continueranno per tutto il 2024. Tra le più importanti, la mostra Caspar David Friedrich – Art for a New Age del Museo Kunsthalle di Amburgo, una retrospettiva tematica incentrata sul rapporto tra l’uomo e la natura.

PISTOIA / GHETTO E MEMORIA

Foto: Art Images via Getty Images

ROMA / OFFICINE PASOLINI Sei eventi, dal 17 al 31 gennaio, che spaziano dalla musica etnica a quella cantautorale, dal teatro al talk. Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini, il Laboratorio di Alta Formazione artistica e Hub culturale della Regione Lazio diretto da Tosca, avvia il 2024 con un programma particolarmente ricco. Sul palco dello storico teatro Eduardo De Filippo si

Torna a Pistoia, al Funaro, al Piccolo Teatro Bolognini, a Palazzo de’ Rossi, alla Biblioteca San Giorgio e nelle scuole della città “Le parole di Hurbinek”, dal 20 al 28 gennaio. Per trasformare la Giornata della memoria, il 27 gennaio, in sette giornate di ricerca e riflessione attraverso la scuola, il teatro e le lezioni civili e quasi tre mesi di laboratori scolastici. La parola chiave del 2024, quella che idealmente la rassegna fa pronunciare a Hurbinek, bambino simbolo della Shoah, nato e morto a circa tre anni ad Auschwitz, che voce non ha mai avuto, è “Ghetto”: una parola quasi tabù, che queste giornate intendono analizzare in tutte le pieghe e conseguenze cui porta, anche e soprattutto nella contemporaneità.

PARIGI / FOUR TET Four Tet sarà alla Villette il 27 gennaio alle 18. Il lavoro solista di Kieran Hebden si caratterizza per campioni di hip-hop, elettronica, techno, jazz, mescolati con la sua chitarra. Condivide alcune somiglianze stilistiche con altri musicisti, come Prefuse 73, che utilizzano tecniche di editing al computer che conferiscono alla musica un'atmosfera staccata e tagliata. Suoni ricchi e organici e melodie armoniose, un approccio astratto al pop da non perdere.

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CULTURA LETTERATURA E IMPEGNO

Onorevole Ginzburg ROBERTO BARZANTI

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enso che occorrerebbe abbandonare il linguaggio deviante dei politici, dei giornali, e cercarne un altro, più immediato e più chiaro. Se c’è una cosa in cui gli scrittori possono un po’ rendersi utili, forse è proprio questa: cercare un altro linguaggio per la politica»: in un’intervista rilasciata nel luglio 1983, all’inizio del suo primo mandato di parlamentare, Natalia Ginzburg (1916-1991) sintetizzò con semplicità il fine della sua scelta. Ce n’era voluta d’insistenza per convincerla ad accettare. Una volta eletta, assolse l’impegno di deputata della Sinistra indipendente con un’assiduità che non conobbe pause. Quasi tutte le mattine telefonava di buon ora a Vittorio Foa, il consigliere più ascoltato, e pro- nei dibattiti più spinosi, sono leggibili in un grammava la giornata. Eletta di nuovo nel piccolo libro che ha la preziosità di un vade1987 nella X legislatura, proseguì fino alla mecum, curato da Michela Monferrini per fine un lavoro per cui confessava di non es- le Edizioni di Storia e Letteratura: “Una cosa sere affatto tagliata. Non per falsa umiltà ri- finalmente lieta – Scritti civili e discorsi popeteva di considerarsi una della tante per- litici” (pp. 148, € 12). sone che di politica non capivano nulla. Tra Basterà estrarne qualche esemplificativo intellettuali e scrittori sussisteva, secondo passaggio per verificarne la coerenza con i lei, una distinzione netta: «Gli intellettua- propositi enunciati. Mai deduzioni ideololi – scandì severa in un’inappellabile massi- giche o enfasi propagandistica. Lo stile ha ma – si muovono nella zona del pensiero, gli un timbro asciutto e necessario, costruito scrittori, i romanzieri o i poeti si muovono com’è esponendo sentimenti senza patetinella zona dell’immaginazione». Non è det- smi, attingendo parole dal lessico quotidiato che i romanzi dovessero ambire a essere no. Il discorso più esteso lo tenne il 7 apriutili alla vita pubblica, dovevano dispiegarsi le 1984 ed ebbe a tema cruciale la richiesta ubbidendo ad una “libera inutilità”. In tutto che restasse invariato il prezzo del pane. Per Natalia pronunciò nell’aula di Montecitorio ragioni di tempistica tattica era imperaticinque discorsi, più qualche brevissimo in- vo che durasse addirittura quarantacinque tervento. Ora, insieme a coevi articoli pub- minuti. Così la neodeputata ebbe modo di blicati su L’Unità e a una ristretta selezione dipingere un nostalgico affresco di un’Itadi interviste legate alle questioni emergenti lia povera e casta. Tratteggiò la sobrietà di

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Foto: V. Rastelli/Corbis / Getty Images

Lontana da ideologia e propaganda, la grande scrittrice fu eletta in Parlamento negli anni Ottanta. Un libro riunisce i suoi discorsi in Aula e gli scritti civili


IL SAGGIO La cover del libro “Una cosa finalmente lieta” (pp. 148, € 12) di Natalia Ginzburg, per le Edizioni di Storia e Letteratura. A sinistra: la scrittrice

un’economia domestica e il silenzio di borghi intatti e marginalizzati da un mitizzato progresso. Prese le mosse da una frase attribuita a Gianni Agnelli, che si era detto preoccupato della lentezza di un’irrinunciabile modernizzazione: «In Italia, ciò che deve morire, muore molto lentamente». Lei era di parere opposto: nulla avrebbe dovuto estinguersi. Il nuovo avrebbe dovuto fiorire dalle radici più antiche di un Paese che era stato «quieto e mite» e stava diventando «teatro di atroci violenze», pur serbando «le sue qualità essenziali di equilibrio, di sensatezza e di coscienza civile», insofferente di distruzioni imposte dall’alto e nemico di devastazioni ambientali. Il socialismo di ieri era purtroppo tra le cose morte in fretta: non c’era stato nemmeno il tempo di piangerlo. La visione che discendeva dal rattristato rimpianto mischiava i lineamenti idealizzati di un passato in realtà doloroso e durissimo con l’amara percezione di un angosciante decadimento etico. Parecchi colleghi, pure Foa, dissentirono. La periodizzazione non funzionava . In questo senso la qualifica di corsara che Sandra Petrignani affibbiò alla Ginzburg nel titolo della sua ricca biografia (2018), per le affinità che le parve rinvenire con certe uscite del Pier Paolo Pasolini appunto corsaro, non sono completamente fuori fuoco. Natalia però rifiutava il grido di una scandalizzata rabbia. Propendeva per una rilevazione pacata, voleva portare in primo piano cose e situazioni. «Non ama, e ritiene ipocrita

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LA PIAZZA Manifestazione contro i missili a Comiso, 1984; i funerali di Enrico Berlinguer a Roma, stesso anno

il lessico del politicamente corretto, che usa parole che le persone non parlano realmente e dunque lascia quelle stesse persone indietro, isolate, inascoltate», osserva Monferrini. Era allergica alla astratte generalizzazioni. Non impiegava la parola «masse» perché in essa sparivano le fisionomie dei singoli che la componevano, i deleteri loro vizi e le «piccole virtù». Di Enrico Berlinguer abbozzò un ritratto tutto incentrato sulle qualità personali: «timido», «schivo», segnato da «una tristezza forse nativa, ma cresciuta e maturata nella conoscenza del vero». Non trapela un’affettuosa comprensione autobiografica? Di Gorbaciov dichiarò che le sarebbe piaciuto conoscerlo di persona: il fatto che lui esistesse di per sé la rallegrava. Attualizzare sbrigativamente una lezione come quella impartita da Natalia Ginzburg deformerebbe certe scomode quanto sincere riflessioni. Il suo pacifismo assoluto non ignorava che la condizione atomica aveva assunto una dimensione «nuova e sterminata». Come cacciare questi rischi di impotente frustrazione, come cacciarli con le ragioni della politica? Quando si trattiene sui movimenti in voga avanza correzioni di un’inoppugnabile franchezza: «Io non sono femminista, o meglio non condivido del femminismo l’idea che le donne siano sempre e comun-

“Non condivido del femminismo l’idea che le donne siano sempre e comunque superiori agli uomini. È un’idea razzista, la rifiuto con tutte le forze”

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que superiori agli uomini. Non mi sento di condividere questa idea razzista, con tutte le mie forze la rifiuto» (1987). Ancora una volta si ritraeva dal generalizzare: «Perché in verità le donne dentro di sé sono anche un po’ uomini e i giovani sono anche un po’ vecchi, e soprattutto invecchiano con una rapidità straordinaria» (1983). Si poteva esprimere in termini più elementari il nucleo delle teorie del gender, tirate in ballo oggi con sofisticati argomenti? Ad alimentare questo materno e battagliero buonsenso s’intravedono gli anni del confino, sofferti con stupefacente energia accanto a Leone. La memoria incorporava valori che non cessava di trasmettere. Quando esplose una polemica originata da un’insegnante che voleva, in nome di un asettico laicismo, si togliessero i crocifissi da ogni aula scolastica, Natalia intervenne con un articolo corsaro: «Il crocifisso fa parte della storia del mondo. I modi di guardarlo e non guardarlo sono […] molti. Oltre ai credenti e non credenti, ai cattolici falsi e veri, esistono anche quelli che credono qualche volta sì e qualche volta no. Essi sanno bene una cosa sola, che il credere, e il non credere vanno e vengono come le onde del mare» (L’Unità, 22 marzo 1988). Il senso delle cose allontanava le dispute della teologia. Un poeta, Elio Pecora, che le fu amico, ha di lei tramandato una di quelle uniche frasi che non tollerano chiose: «Una sera che si parlava del morire lei si disse sicura che sarebbe rinata. E che sarebbe rinata identica».

Foto: E. Fornaciari/Getty Images (2)

CULTURA LETTERATURA E IMPEGNO


BOOKMARKS

Sabina Minardi

Destinazione impossibile

“I pochi e i molti”, romanzo di un’epoca di Hans Sahl. Szymborska privata. La passione secondo Fitzgerald. Marzano in audiobook

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La ventennale relazione tra la Nobel Wislawa Szymborska e lo scrittore polacco Kornel Filipowicz in un carteggio che va dal 1966 al 1985, in mezzo a eventi storici fondamentali. E a episodi privati, foto e biglietti autografi, piccoli momenti familiari popolati di figure come il gatto di lui, l’amato Striato. Maschere e ruoli, personaggi fittizi e reali, scenate di gelosia ed espressioni di complicità, nella traduzione di Giulia Olga Fasoli.

esilio, la fuga dal nazismo, l’approdo in una città nuova che è tanti luoghi insieme - New York - lo sradicamento come condizione di un’intera generazione. Gente che si riconosce a colpo d’occhio, ha siglato un patto con l’estraneità. E tuttavia tace, ignora, stenta ad ammetterlo. Per non pensare a chi ha lasciato indietro. “I pochi e i molti. Romanzo di un’epoca”, l’unico romanzo scritto dal poeta e drammaturgo tedesco Hans Sahl, riemerso dall’oblio grazie alla casa editrice Sellerio e al curatore e traduttore Enrico Arosio, per anni giornalista culturale de L’Espresso, è una delle testimonianze più importanti della letteratura mitteleuropea del Novecento. E un affresco sorprendente di quanti, opponendosi al nazifascismo, lasciarono la Germania prima della Seconda guerra mondiale. In una fuga per la salvezza - prima Praga, Zurigo, Parigi, infine il porto di Marsiglia da dove salpare verso l’America - in cerca di un altrove sicuro: “di un frammento di Heimat, come un insetto cristallizzato nell’ambra, un frammento di Cracovia, di Napoli, di Lione, di Madrid…”. Destino comune di agiati, colti, laici, raffinati ebrei in fuga dalle persecuzioni, “pochi” e soli contro “i molti” intellettuali che inveI POCHI E I MOLTI ce rimasero, scegliendo la comHans Sahl plicità. “Mi rifiuto di scrivere Sellerio, pp. 464, € 16 un necrologio dell’uomo”, aveva scandito il poeta, nell’antologia di versi pubblicata qualche anno fa dall’editore Del Vecchio, vibrante prova di resistenza, con ripetuti appelli a “il cuore non legare a quel che è già perduto”. Qui Sahl va oltre e tratteggia una comunità di uomini e donne che ama, lotta, cerca un senso nella vita. Sapendo che la vera esistenza è altrove, là dove un pazzo venuto dal Paese confinante, “uno spiantato che voleva vendicarsi sull’umanità per la sua vita squallida”, ha ridotto l’Europa in fiamme. Che futuro può esserci per chi ha senza preavviso abbandonato case e affetti? Si può bere ancora una birra senza sussultare al pensiero del pauroso segreto? Sahl ci porta esattamente lì, in quel confine tra il non più e il non ancora, con la lucida visionarietà dei poeti. E un’idea precisa a consolare: che il senso stesso della vita sia l’attesa: di un sì, di una lettera, del Messia. Del ritorno a casa.

MEGLIO DI TUTTI AL MONDO STA IL TUO GATTO W.Szymborska-K. Filipowicz Elliot, pp. 437, € 25

L’alcolismo, la malattia mentale, la straordinaria passione. Tutto rivive di quel furioso legame in queste lettere scelte, a cura di Sara Antonelli, che ripercorrono gli ultimi dieci anni del matrimonio. E tutto sfolgora di più proprio per questo: perché sono il declino e la vita vera a farsi largo oltre il glamour della loro relazione e degli anni Venti e Trenta. È quella fede, quell’abilità nella parola che li ha resi grandi. LA PARTE INVENTATA DELLA VITA Francis Scott Fitzgerald -Zelda Sayre Feltrinelli, pp. 320, € 22

Arriva in audiobook l’ultimo libro della filosofa (Rizzoli), che si interroga su parole come consenso, violenza, vittima, tracciando un bilancio su ciò che davvero resta della tempesta del #MeToo: nel cuore, nel corpo, nella razionalità delle donne e della società. Con la consueta capacità di scendere in profondità, di mischiare personale e pubblico e dare a questioni apparentemente solo intime un senso politico. Legge Cinzia Poli. STO ANCORA ASPETTANDO CHE QUALCUNO MI CHIEDA SCUSA Michela Marzano su Audible

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CULTURA ARTE CONTEMPORANEA

Rothko la ricerca della luce Q

uando ci si sofferma a guardare un quadro di Mark Rothko (Daugavpils, 1903 - New York, 1970) e si pensa che quella sua pittura astratta possa ricordare un’altra sua opera si fa un errore, perché in realtà basta metterle tutte in una stessa sala per notare quanto siano differenti». Bernard Arnault, presidente e CEO del gruppo LVMH, è un grande appassionato del pittore statunitense di origine lettone. E alla Fondation Louis Vuitton di Parigi da lui presieduta ha deciso di far allestire, fino al 2 aprile, una mostra dal titoGIUSEPPE FANTASIA lo “Mark Rothko: 1903-1970”, la più ricca mai realizzata, per raccontare attraverso 115 opere uno dei maggiori pittori del Novecento, «rispondendo mava ancora Markus Rothkoxicz, nome a un desiderio che avevo da tempo, perché è uno dei miei arti- che cambierà per timore del crescente ansti preferiti», come scrive nella prefazione al catalogo pubblica- tisemitismo in quegli anni. In quel dipinto da Citadelles & Mazenod: «Rothko è ancora troppo poco co- to indossa gli occhiali tondi e scuri, una nosciuto in Francia e nel resto dell’Europa. Il nostro è un modo giacca marrone e una cravatta rossa che per riparare a un’ingiustizia e colmare una lacuna». spicca sulla camicia bianca. Assomiglia Se si pensa all’artista e alla sua opera, in effetti, vengono in a un moderno Caronte pronto a traghetmente le sue grandi tele colorate, i suoi oli su tela dove i colori tarci in quelli che sono stati i suoi iniziali più disparati, primari e non, catturano nel loro insieme l’atten- interessi: le opere figurative, quelle in cui zione di chi li guarda, emozionandolo. prese come soggetto la figura umana in «Non mi interessa il colore, è la luce che ricerco», era soli- un cinema (“Movie Palace”, 1934/35), per to dire. E quelle partiture (le chiamiamo così vista la sua grande strada e in famiglia (“Family” e “Interior”, passione per la musica) mai uguali creano uno spazio pittorico entrambi del 1936), tra vestiti e nudità. misterioso, diretto e palpabile, dei veri e propri quadri viventi, Ci sono poi opere in cui l’artista lettone/ protagonisti di un’arte abitata dall’osservatore e sempre più viva. americano manifesta tutto il suo interesVisitando la mostra parigina, ospitata nel luminoso edificio se per i mondi antichi, i miti e la tragedia progettato da Frank Gehry immerso nel verde del Bois de Bou- greca, da “The Omen of the Eagle” a “Tirelogne, troverete delle sorprese. Iniziano già al piano inferiore, sia”, da “Antigone” al “Sacrificio di Ifigepoco dopo l’entrata principale, accanto a un bookshop preso nia”, tutte realizzate tra il 1940 e il 1944, d’assalto dai visitatori che ad oggi sono già stati decine di mi- ma c’è di più. gliaia. C’è un suo autoritratto del 1936, quando l’artista si chiaUna serie, in particolare, attira l’atten-

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A rendere famoso il pittore americano sono state le sue tele colorate. A Parigi una grande mostra sorprende con opere meno note. Come “Subways”, serie dedicata alla metro di New York

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zione: quella delle “Subways”, i quadri che Rothko ha dedicato alla metropolitana newyorchese, uno shock in positivo per uno che veniva dalla Lettonia e non l’aveva mai vista prima. La sua famiglia si trasferì nella Grande Mela nel 1913 e per un ragazzino di dieci anni «scendere in quei luoghi sotterranei pieni di vita fu come essere in un parco giochi, un qualcosa che lo segnò per sempre, tanto da decidere, trenta anni dopo, di farne il soggetto principale dei disegni di quel periodo». Parole del figlio Christopher, co-curatore della mostra parigina insieme a Suzanne Pagé, direttrice artistica della Fondation Louis Vuitton. In “The Subway”, del 1937, ci sono donne eleganti con il cappello poco distanti da un signore che aspetta il treno, appoggiato al suo bastone. In un altro, del 1935, un gruppo di persone sedute nell’attesa vi-

LA LIBERTÀ DEL COLORE L’opera “Light Cloud, Dark Cloud” (1957) di Mark Rothko

ste da lontano sembrano assistere a uno spettacolo teatrale; in un dipinto del 1938 a dominare sono il colore giallo e l’ottanio sulle colonne dell’entrata di una delle fermate. Particolare davvero è l’opera intitolata “Underground Fantasy”, del 1940, dove il grigio e il nero dei vestiti indossati dall’uomo che legge il giornale creano un piacevole contrasto con gli abiti chiari della ragazza in un’atmosfera che ricorda molto una sfilata di Jacquemus o di Dior. Quegli uomini e quelle donne in un interno dimostrano che la plasticità delle figure è al limite della rappresentazione, tendendo più alla semplificazione che alla riduzione delle forme. Con l’ambiente circostante fanno pensare a Milton Avery o a Henry Matisse, molto amati da Rothko, ma quelle figure così longilinee ricordano in particolare le sculture di Alberto Giacometti, due delle quali, non certo a caso, sono state esposte nell’ultima sala al secondo piano. È lì, vicino a tutta la serie “Black and Grey” realizzata da Rothko nel corso di dieci anni (1969-1979) – serie che si distingue per la composizione sulla tela in due parti ben definite, separate da una linea continua – che sono state posizionate “L’uomo che cammina I” di Giacometti e la sua “Grande Femme III”. Rothko avrebbe voluto esporre con Giacometti all’Unesco (desiderio esaudito postumo), ma di lì a poco, nel febbraio del 1970, si tolse la vita. Restano le sue opere che lo hanno fatto conoscere in tutto il mondo e che a Parigi - arrivate dalla National Gallery of Art di Washington, dalla Phillips Collection, dal Munson di Utica fino ai Moma di New York e San Francisco e dalla Tate Modern (in particolare i “Seagram Murales”) – la fanno da protagoniste assolute. Sono i simboli di una libertà che è assoluta, una libertà che brucia e non appaga mai l’autore, ma solo chi guarda, creando così una tensione tra la morte e la vita in uno scambio di energia continuo.

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HO VISTO COSE

Beatrice Dondi

La Storia siamo noi

Nella trasposizione formato fiction del capolavoro di Elsa Morante funziona tutto. Dal cast alle emozioni che trasmette

DA GUARDARE MA ANCHE NO Su Netflix c’è un esperimento in quattro episodi che dimostra come la cattiva alimentazione vada a discapito non solo della singola persona, ma dell’intero pianeta. “Sei ciò che mangi: gemelli a confronto” prende coppie di omozigoti e le sottopone per un mese a un’alimentazione differente. E il risultato c’è, e si vede persino. Si è trattenuto qualche mese ma alla fine ha ceduto, come Roger Rabbit. Alfonso Signorini si è abbandonato al monologo inzuppato della sua personalissima morale, indicando ai concorrenti del “Grande Fratello” la retta via (nello specifico come si debba elaborare il lutto). D’altronde dopo le feste la scuola ricomincia sempre.

Foto: Maila Iacovelli - Fabio Zayed

L

a storia siamo noi, con un vestito rosso che attraversa San Lorenzo mentre cadono le bombe. Siamo noi, che portiamo sulle spalle il peso di un mondo che si sgretola e non ci permette di arrenderci, mai. La storia è una violenza, brutale, con gli stivali addosso, che ti lascia senza fiato dal dolore e ti ricopre di vergogna perché alla fine, lo dice la storia, la colpa è sempre tua. E la storia è una donna, che nasce dal capolavoro di Elsa Morante che ancora oggi sembra scritto domani. E si traduce nel volto segnato di Jasmine Trinca, bellissima, spaventata, dolente, sgualcita come la sua vita tinta di fatica, d’amore, di rabbia e di follia. La fiction di Rai Uno arriva dritta nella sua feroce semplicità, senza perdere la strada, grazie alla complicità della regia sapiente di Francesca Archibugi e la trasposizione minuziosa e fedele del romanzo in copione a opera della stessa regista assieme a Giulia Calenda, Ilaria Macchia e Francesco Piccolo. Un set che si apre sulla Roma del 1941 e si trasforma in un palcoscenico teatrale, mosso dalle voci dei passanti, dalla fila per un tozzo di pane, dalla polvere che esplode dai palazzi crollati e si incolla sulla pelle, sui capelli, sulle mani disarmate e impotenti. Un rumoro-

so silenzio che anima quel senso costante di fragilità comune contro cui Ida combatte senza alzare lo sguardo, con le braccia strette al ventre prima e dopo la gravidanza a cui l’ha costretta lo stupro e che darà vita a un bambino, Useppe, dagli occhi spalancati sulla guerra, destinato a muoversi tra le macerie. Così con quegli stessi occhi stupefatti si segue Nino (finalmente un esordio del tutto credibile, quello di Francesco Zenga) e il suo sorriso ingenuo che passa dalle camicie nere alla bandiera rossa con un’emozione contagiosa, per poi perdere la strada in un futuro che nasconde la luce. E mentre le righe scritte a matita dalla maestra Ida restano sul quaderno, così come la sua convinzione che studiare e sapere possa essere l’unica arma a disposizione di tutti, la vita scorre, come la storia, che cresce e diventa maiuscola, personale, comune a coloro che hanno provato a non mollare e si sono ritrovati parte di un’esistenza ferita a morte. Una produzione corale, come il romanzo, che riunisce, come in genere accade solo altrove, i grandi del nostro cinema (Elio Germano su tutti) pronti a stringersi con naturalezza per riuscire a entrare in uno schermo piccolo. Insomma, accade di rado dalle parti della fiction tradizionale e generalista che venga fuori un prodotto dalle giuste misure. Ma quando succede bisogna afferrarlo al volo, e ricordare, perché non sia mai troppo tardi, che sì, alla fine “La Storia” siamo noi.

“La Storia” con Jasmine Trinca va in onda su Rai Uno il lunedì in prima serata, ma gli otto episodi sono già disponibili su RaiPlay

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BUIO IN SALA

Fabio Ferzetti

Delinquere che fatica

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ruppo di famiglia in un inferno. L'inferno è quello - dorato - di Roma Nord, circoli sportivi, bella vita, feste continue, sushi bar. La famiglia è quella che sta in collo al protagonista Enea, cioè Pietro Castellitto, autore “totale” di un film imperfetto ma pieno di idee, faccia tosta, energia, a tratti debole o inconcludente ma spesso divertente se non folgorante. Tra le folgorazioni spicca il rapporto morbido e insieme abrasivo tra Enea e sua madre (Chiara Noschese), titolare di un programma di libri in tv, suo padre, psicoterapeuta di nome Celeste (Sergio Castellitto, vero padre di Pietro), e suo fratello Brenno, adolescente instabile (Cesare Castellitto, altra parentela vera). Ma anche il sottobosco criminale capitolino brilla di una luce insolita e molto interessante. Enea e il suo inseparabile amico Valentino (Giorgio Quarzo Guarascio, alias TuttiFenomeni), hanno infatti un sogno proibito. Entrare nel grande giro della droga. Fare i soldi veri. Non per vocazione, tantomeno per avidità («Io vengo da una famiglia povera tu no, questa è la differenza», dice il padre ad Enea). Ma per sfida, per dimostrare a se stessi e alla generazione dei loro genitori, tutti variamente amari, confusi o rassegnati, che si può vivere al massimo, senza rimpianti. Naturalmente non sarà così semplice ma

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Due ragazzi di Roma Nord. E il sogno di sfondare nella malavita. La seconda regia di Pietro Castellitto è piena di idee ma convince a metà

ENEA di di Pietro Castellitto, Italia, 115'

intanto, tra veglioni horror, gangster-filosofi (il sempre perfetto Adamo Dionisi, sua la scena migliore del film), ragazze troppo belle per non sposarle ma anche per scrivere loro un personaggio vero (Benedetta Porcaroli), giornalisti con i cassetti pieni di dossier (Giorgio Montanini), la trama reale, cioè criminale, e quella immaginaria, formano un nodo pericoloso che porta questo “Vivere e morire a Roma Nord” su terreni ora imprevedibili ora obbligati. Come se Pietro Castellitto, alla seconda regia, avesse idee da vendere ma una struttura troppo fragile per dare loro vera forza. Restano una brillantezza, un'insolenza, una libertà di tono rare, specie in Italia. Giurata a Venezia, Jane Campion ha dato la sua benedizione. Molti ucciderebbero per meno.

LE GAUDENTI NOTE

Sanremo pigliatutto

L’

incommensurabile e quasi inspiegabilmente duraturo festival. Si avvicina, inesorabile, l’appuntamento degli appuntamenti musicali, ma oggi più che mai è lecito chiedersi cos’è questo festival che supera ogni prevedibile durata storica, e che anzi continua a crescere quando si pensava che più di tanto non potesse crescere, che continua a smentire ogni ipotesi probabilistica e forse costituisce un caso unico nel panorama mondiale. La domanda sorge spontanea. Cos’è davvero il festival di Sanremo? Una risposta corretta implicherebbe una distinzione fondamentale: di quale Sanremo parliamo? Perché questa è una delle verità da dire, sono esistiti nel corso dei decenni tanti diversi Sanremo e per ognuno ci sarebbero spiegazioni diverse. Sorprende casomai la capacità di non soccombere all’inevitabile declino. Ma se ci riferiamo agli ultimi anni, assistiamo a un’ulteriore vita, a una fase in cui


COLPO DI SCENA

Francesca De Sanctis

Ferocia di famiglia ta per compiere dieci anni il romanzo con il quale lo scrittore Nicola Lagioia vinse il Premio Strega: “La ferocia” (Giulio Einaudi Editore, 2015). È un libro denso e intricato che scava nel marcio di una famiglia pugliese: i Salvemini. La compagnia VicoQuartoMazzini – fondata da Michele Altamura e Gabriele Paolocà, che firmano la regia – lo ha trasformato, con intelligenza, in spettacolo teatrale, affidando l'adattamento a Linda Dalisi, che ci restituisce il racconto perfetto della caduta di una famiglia – potrebbe essere una storia dell'antica Grecia - calato nella contemporaneità. Partiamo da Clara, morta sì, ma non per suicidio. Questa bellissima donna che vaga sanguinante all'inizio del romanzo in scena non c'è, eppure la sua presenza è fortissima. Come un fantasma o un'Antigo-

A dieci anni dalla pubblicazione il romanzo di Lagioia arriva a teatro. E trasforma in tragedia una cronaca di ordinaria attualità

S

“La ferocia”, di VicoQuartoMazzini dal romanzo di Lagioia. Sotto: Amadeus

Foto: Agf

Gino Castaldo il mercato della musica è tornato centrale, e a conferma di questo Amadeus persegue la tendenza (catastrofica per gli orari dello spettacolo…) ad aumentare il numero dei cantanti in gara. Il risultato è che dopo decenni di netta separazione perfino i giovani si sono in parte riavvicinati al festival, visto che molti dei big in gara sono praticamente sconosciuti al pubblico più adulto, ovvero quello generalista e attempato che sembrava essere il dogma assoluto della tipologia di pubblico sanremese. Le cose si sono allargate e mescolate, ma soprattutto c’è una tendenza che il festival ha sviluppato negli ultimi anni ad autoalimentarsi, a sembrare ineluttabile, un evento a cui non si può sfuggire e al quale è inutile resistere, polverizzando l’idea stessa che qualcuno possa immaginare una qualsiasi forma di concorrenza, tanto vale arrendersi e partecipare a questo collettivo rituale che oltretutto sembra essere l’unico, in mancanza di meglio, in grado di unire il Paese.

ne priva di sepoltura, viene continuamente evocata dagli attori che proprio a lei confessano i loro pensieri. A narrarci la storia è un giornalista (interpretato da Gaetano Colella). Lo vediamo nella sua postazione mentre registra il podcast (omaggio forse allo stesso Lagioia, anche conduttore). L'azione si svolge in una casa dalle grandi vetrate scorrevoli (scene di Daniele Spanò) in cui si muove un ottimo cast: Francesca Mazza, madre di Clara, unica donna in scena (non c'è la sorella, presente nel romanzo), Leonardo Capuano, il padre costruttore sull'orlo del baratro, Gabriele Paolocà, il fratello intellettuale di Clara, l'unico in cerca della verità, fino a Roberto Alinghieri, Enrico Casale, Andrea Volpetti, Michele Altamura. Lo spettacolo, prodotto da Scarti (con Elsinor, Romaeuropa Festival, Lac, Teatri di Bari e Teatro Nazionale di Genova), ha qualcosa di nuovo rispetto a quello che in genere vediamo a teatro: racconta il nostro presente in maniera reale, facendo esplodere la ferocia pur tenendola chiusa tra le vetrate e rendendola così cristallina da insinuare il dubbio che forse la responsabilità di quel disastro ricade anche su di noi. La ferocia ideazione VicoQuartoMazzini, Bari (1214/1), Genova (16-21/01), Lecce (4/1), Torino (13-18/2), Firenze (24-25/2), Milano (27/23/3), Lugano (26-27/3)

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MOTORI

Gianfranco Ferroni

Più leasing per tutti

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ccesso alla mobilità e responsabilità sociale: se il primo è un argomento sentito da tutti coloro che hanno bisogno di un mezzo privato per andare a lavorare, la seconda tematica deve prevedere un’attenzione specifica verso i più deboli da parte di chi produce le auto. Prendiamo il caso di chi ha una vettura euro 2 e non può più accedere a molte aree urbane: come si può cambiare un’auto senza avere la disponibilità finanziaria di comprarne una nuova? Perché alla fine “è sempre un problema di tasche”. Senza dimenticare che il mercato dell’usato è cambiato nel corso degli ultimi anni: tante vetture che una volta venivano rottamate oggi sono ricercate e aumentate di valore e, in tanti casi, non si trovano più in commercio. Per venire incontro a ogni consumatore che abbia l’esigenza di mettersi al volante, Dacia ha avviato in Italia un «programma per la mobilità inclusiva»: in collaborazione con Mobilize Financial Services, pone a disposizione un leasing dedicato a clienti che hanno la necessità di avere un mezzo di trasporto, ma che non sono in grado di accedere alle classiche formule di credito. Il progetto è stato denominato da diversi operatori come “leasing sociale”. E sono molti gli italiani che hanno questo problema. L’iniziativa nasce con l’offerta di due modelli, per tre versioni com-

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Cambiare l’auto troppo inquinante è una spesa obbligata che mette in crisi molti consumatori. A loro Dacia propone prestiti agevolati

Il «programma per la mobilità inclusiva» di Dacia parte dalle grandi città italiane

plessive disponibili: Sandero Streetway Expression, nella versione benzina o gpl, e Spring Essential. Senza dover versare nessun anticipo, la rata mensile può partire da 148 euro, per la durata di 36 o 48 mesi. Per esempio, Streetway 1.0 Tce 90 Cv, con il canone più basso per 47 rate, al termine del contratto quadriennale si potrà riscattare pagando una rata di 8.755 euro: oppure, si ricomincia con una vettura nuova di zecca. Il “welfare a quattro ruote” ideato da Dacia prevede come condizione necessaria un reddito fino a 15 mila euro annui, una situazione di impiego lavorativo, anche temporaneo, e la residenza o il domicilio in una delle 4 città pilota del programma, ovvero Milano, Bologna, Roma e Napoli. Nel corso del 2024 l’iniziativa verrà estesa a tutto il Paese.

AMICI BESTIALI

Sportivi ma non troppo

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l 2024 sarà o non sarà l’anno dell’animale sportivo? Se davvero il 3 di giugno entrerà in vigore il Decreto del Presidente del Consiglio sul benessere animale, molte cose cambieranno per cani e cavalli che, accompagnati dai loro umani, prendono parte a competizioni sportive. Il Dpcm era atteso per la fine dell’anno ma è slittato di cinque mesi. Di fatto sono tre i punti cardine delle novità suggerite dalla Riforma dello Sport. Il primo riguarda chi detiene un animale a qualsiasi titolo impiegato in attività sportiva. Costui deve prendersene cura tenendo presente anche le sue esigenze etologiche. Il secondo punto si focalizza sui metodi di addestramento e allenamento: coercizione, costrizione, mezzi o dispositivi che possono provocare danni a salute e benessere degli animali, sono banditi. Il terzo punto riguarda le condizioni di salute degli animali: femmine in stato di gravidanza o durante l’allattamento, non possono gareggiare. Così come la


COSA C’È DI NUOVO

Emanuela Cavallo

Sculture fatte di luce l marmo è come l’uomo, prima di intraprendere qualcosa, devi conoscerlo bene e sapere tutto ciò che ha dentro: così disse Michelangelo Buonarroti nelle cave di Carrara, certo che la figura fosse già all’interno del blocco che andava scolpendo per tirarla fuori, liberarla. Il grande artista non avrebbe potuto immagine che oggi la pietra diventasse un corpo illuminante che emana luce creando effetti sorprendenti. È stato l’architetto Antonio Leone il primo a utilizzare la materia bianca per lampade che, manualmente modificabili, variano il flusso luminoso. Andando in giro nelle cave alla ricerca di scarti, Leone realizza sottilissime pareti marmoree che racchiudono l’apparato elettrico. Ma come nel teatro delle

Scarti della lavorazione del marmo. Scavati fino a creare sagome sottili. Che emettono raggi da modificare in base al gusto o alla necessità

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Una lampada “Pietra di luce”. Sotto: allenamento di un purosangue

Foto: Getty Images

Viola Carignani bardatura e l’attrezzatura usate per le gare, non devono provocare sofferenza. Tutte cose che all’apparenza sembrano ovvie, ma ovvie non lo sono affatto. Chi frequenta i campi gara, sa bene che non è così. Ma è difficile capire dove sia la linea di demarcazione, difficilissimo. Quello che ancora non è chiaro, è in quale categoria possano rientrare i cani da caccia e le gare che li vedono protagonisti. Le prove per la selezione zootecnica, sono gestite dall’Ente Nazionale Cinofilia Italiana e dal Masaf. Ma quelle amatoriali organizzate dalle federazioni dei cacciatori? Nella riforma dello sport non viene menzionato neanche il cavallo da corsa, quello che compete negli ippodromi dove si possono fare scommesse regolari. Pare che in questo caso il cavallo non sia considerato un atleta. Se da una parte quindi abbiamo fatto un passo avanti cercando di dare sempre più importanza al benessere degli animali, dall’altra si creerebbe un vuoto normativo.

ombre, i riflessi della materia sembrano prendersi gioco nell’ambiente in cui sono inseriti cambiando toni, colori e direzione. Non a caso la collezione, presentata a Marmomac di Verona alla presenza di docenti universitari e centri di ricerca, si chiama “Pietra di luce”. Proprio le nuove tecnologie permettono di realizzare le esili linee di marmo che sono il segreto delle lampade poiché producono maggiori trasparenze, diverse luminosità e persino varietà cromatiche della luce. Gli oggetti artistici nascono da un percorso d’economia circolare: gli scarti non utilizzati della roccia metamorfica acquistano una nuova vita in volumi apparentemente semplici come la sfera, il cilindro, il cubo. Con una particolarità: smuovendo appena le forme, si modifica il raggio di luce emesso, adattabile a diverse situazioni, ore, esigenze lavorative e rapporto con il riverbero esterno. Secondo l’architetto il fruitore della lampada diventa a sua volta un artista della luce. I nomi delle lampade evocano divinità femminili: Mut, la dea madre egizia; Isis, la dea della fertilità; Nyx, la dea della notte; Selene, la dea della luna; Iris, la dea dell’arcobaleno; Nike, la dea della vittoria. Forma e luce, mutevolezza e gioco trasformano la statuaria materia in una presenza di design adatta a case e uffici.

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IL VINO

Luca Gardini

Torre delle meraviglie

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PUNTEGGIO: 96/100 PREZZO: €€

lo fa la magia del territorio, universo complesso, necessariamente da approfondire in ogni sua sfaccettatura. Chianti Colli Fiorentini DOCG Riserva Terre di Cino 2019 Da una straordinariamente accurata selezione dei migliori vigneti aziendali, un vino di eccellente impatto olfattivo-gustativo, dalle note dominanti di freschezza. Al naso olfazione che procede su sentori di susine selvatiche, tocchi di peonia e maggiorana, con sfumature di tabacco. Il palato è salmastro-sapido, con richiami floreali, ritorno delle note di frutta a buccia scura e lunga persistenza. TORRE A CONA Via Torre a Cona, 49 50067 Rignano sull’Arno (FI) Tel 055 699000, info@torreacona.com

smART

Sulle ali di Anselm Kiefer

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n un’intervista rilasciata qualche anno fa il grande artista tedesco Anselm Kiefer (1945) disse di individuare nella sua prima comunione uno dei momenti di svolta più significativi della sua vita: la attendeva con trepidazione, perché credeva che quel momento gli avrebbe in qualche modo cambiato l’esistenza. Quel giorno riceve tantissimi regali, ma della tanto paventata “illuminazione” nessuna traccia. Proprio quella delusione lo spinse a diventare un artista, per essere colpito e sorpreso da un’epifania improvvisa, dalla creazione. Non sappiamo se questo racconto sia romanzato, ma non ci importa perché è bello crederci. Kiefer frequenta l’accademia di Düsseldorf e fin dai primissimi anni ’70 le sue tele sono misteriose e mistiche, enormi e materiche: hanno il sapore di imponenti strutture monumentali decadute, effigi della rovina. Ma non è quello ciò che gli interessa: a occupare la sua mente è il tema della trasformazione, perché

€ da 11 a 25 euro - € € da 25 a 35 euro - € € € più di 35 euro

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ucida ri-creazione moderna di un insediamento originario dell’anno mille, il progetto di Torre a Cona di Rignano sull’Arno si deve alla dedizione dei conti Rossi di Montelera, pionieri, a marchio Martini-Rossi, della moderna liquoristica italiana. Siamo in zona Colli Fiorentini DOCG, dove 200 ettari totali di proprietà, tra parchi e boschi, ulivi e vigne, hanno come naturale baricentro la splendida villa di origine settecentesca che, dal 2021, grazie a un pregevolissimo lavoro di ristrutturazione curato personalmente dalla contessa è adibita ad ospitalità di lusso, con la chicca di una solida Osteria Moderna, dove le “quattro mani” di Maria Probst e Cristian Santandrea danno vita a un menù di concretezza e succulenza, senza paura di osare. I 21 ettari di viti, invece, suddivisi in 5 corpi eterogenei, (ora curati da Alice Zoppi in veste di enologa interna, sotto la supervisione dello storico Beppe Caviola, e guidati da Niccolò Rossi di Montelera, anima del progetto) sono coltivati a Sangiovese e Merlot, Trebbiano e Colorino, con piccolo saldo di Malvasia. Suoli compositi, caratterizzati da un affioramento di alberese, su una base franco-argillosa, collocati tra i 300 e i 370 metri, ma soprattutto il microclima, in un anfiteatro naturale dotato di importanti escursioni termiche, contribuiscono alla creazione di vini solidi, contraddistinti da naturale eleganza e descrittori tipici di sottobosco. Il resto, si sa,

Ospitalità di lusso, osteria da chef e azienda di prestigio. A Rignano sull’Arno la tripla scommessa vincente dei Rossi di Montelera


A TAVOLA

Andrea Grignaffini

Appetitoso azzurro

In inglese il blu evoca malinconia. A tavola però va sempre più di moda. E conquista gli appassionati con mais, banane e vino

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sistesse la rubrica “Fanfaluche di Successo” un meritato posto se lo aggiudicherebbe certamente il Blue Monday, ossia il giorno più triste dell’anno, celebrato ogni terzo lunedì di gennaio dal 2005, che continua a far parlare di sé. La strampalata ricorrenza è nata da un’equazione di pseudoscienza sviluppata dallo psicologo americano Cliff Arnall che per giungere alla data incriminata avrebbe incrociato fattori eterogenei tra cui clima invernale, nostalgia delle festività appena concluse nonché rimorsi per il relativo danaro scialato, acciacchi di stagione. Così si è pensato di abbinare la giornata più mesta al colore blu, che in certe frasi inglesi (“to have the blues”, sentirsi tristi o depressi, per citarne una) e specialmente nella cultura a stelle e stri-

Pannocchie di mais blu messicano. Sotto: Anselm Kiefer, “Dáphnē”

Foto: Getty Images

Nicolas Ballario una rovina non è per lui una catastrofe, ma il momento in cui le cose possono ripartire. Celebrato nei più importanti musei del mondo, a marzo Kiefer sbarcherà a Palazzo Strozzi di Firenze con una personale curata da Arturo Galansino che proporrà vecchi e nuovi lavori. Palazzo Strozzi ci ha abituati a mostre memorabili sul contemporaneo e il suo nome è una garanzia, per questo siamo certi che questa retrospettiva ci offrirà un percorso suggestivo quanto il nome che porta, “Angeli caduti”, che sta proprio a indicare l’ossessione di Kiefer per la simbologia religiosa e in questo caso per gli angeli cacciati dal paradiso. Tra letteratura, filosofia, religione e mitologia, potremo immergerci in quel magnetico mix di materiali che caratterizza Kiefer e se dobbiamo fare un esempio non possiamo non citare il monumentale dipinto “Lucifero”, in cui un’ala d’aereo in piombo appuntita e minacciosa spunta da un ammasso di materia, mentre una figura precipita verso il basso.

sce, si lega a sensazioni di freddo non solo esterno ma anche interiore. I rari alimenti blu, reputati poco accattivanti per lungo tempo (forse per l’ancestrale consapevolezza che alcuni cibi velenosi o avariati così si presentano) con il mutare dei tempi e dei gusti sono diventati super trendy. Imperdibile per gli amanti della gastronomia in blu, la Blue Java è una banana originaria del Sud-Est asiatico che poco prima di maturare sfoggia un’ammaliante buccia cerulea; il suo sapore ricorda la vaniglia e la consistenza della polpa, il gelato. Blu è il grano prodotto da un’antichissima varietà di mais del centro-America, recentemente tornato in auge insieme a molti grani arcaici mentre i cosiddetti "zaffiri dell'oceano", le uova di scampo selvaggio, sono una pregiatissima rarità. Raccolte a largo della costa occidentale australiana in acque molto profonde, hanno un gusto sapido e deciso, la consistenza compatta. E da bere, un calice di scenografico “vino” turchino. Vari produttori europei si sono cimentati nella creazione dell’insolita bevanda che pare sia totalmente naturale, realizzata unendo due pigmenti organici, l’antocianina, presente nella buccia dell’uva rossa e l’indigotina, color indaco, a una miscela di uve bianche e scure dopo la fermentazione. Beverino e tendente al dolce, una frivolezza anti Blue Monday.

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NOI E VOI

Stefania Rossini

Stavolta l’Europa cambia o muore

stefania.rossini@lespresso.it Altre lettere e commenti su lespresso.it

Cara Rossini, vorrei approfittare di questa sua rubrica per mandare un messaggio a Elly Schlein, segretaria del Pd, che è il mio partito di riferimento. Signora segretaria, nel 2024 ci saranno elezioni in tante nazioni come India e Russia, ma anche in Europa e proprio della decrepita Europa vorrei parlarle. Io sono di partenza un astenuto, ma alle primarie l’ho preferita al suo avversario e, visto che in Europa c’è già stata, vorrei chiederle quale sia l’idea di Europa del Pd, quali obiettivi si darà e come pensa di portarli a casa. Fino a oggi non sono stato contento di questa istituzione. La vorrei unita e sganciata definitivamente dagli Stati Uniti. Penso che ormai possa camminare con le proprie gambe, senza infilarsi ancora in vicoli ciechi come con la guerra contro la Russia. Ho figlie all’università che presto sbatteranno contro il mondo che abbiamo preparato per loro, cioè emigrare o accettare chissà quale lavoro. Nel suo discorso di Capodanno anche il presidente Mattarella ci ha spronato a uscire dal nostro stato di sonnambulismo. La mia richiesta vale pure per i suoi due amici di cordata, Conte e Landini, e, seppure nella diversità dei ruoli, dovreste tutti e tre iniziare a reclamare cose concrete, coinvolgendo donne e uomini di buona volontà. La prego, signora segretaria,

datevi una mossa, vogliamo andare in cabina a giugno senza turarci il naso per contrastare l’onda nera che si impossesserà di Bruxelles. Andrea Anderlucci La sua lettera comincia con un appello e finisce con un brutto presagio. In attesa che Elly Schlein le risponda, condivido con lei la delusione per la crisi del progetto di Spinelli, soffocato da Stati membri che si combattono a vicenda per primeggiare e imporre la propria visione politica, ma non risulta che i leader da lei citati siano portatori di un qualche progetto riformatore di questa realtà. A fare la differenza forse potrebbero essere soltanto le generazioni più giovani, quelle delle sue figlie, che sono cresciute credendo in un’Europa sociale e integrata, con riferimenti culturali e pop provenienti da tutti i Paesi e con l’idea di confine vissuto come un anacronismo. Ma da un giorno all’altro è stata sbattuta loro in faccia la realtà di un’Europa avida e divisa, che lascia agonizzare la nazione culla della civiltà occidentale (per scusarsi con la Grecia soltanto dopo molti anni) e crea le premesse per la Brexit. Per loro e per tutti i cittadini europei votare consapevolmente, senza turarsi il naso, sarà questa volta una necessità, perché ormai siamo agli sgoccioli e l’Europa può cambiare. O può morire.

n. 2 - anno LXX - 12 gennaio 2024

via in Lucina, 17 - 00186 Roma DIRETTORE RESPONSABILE: Alessandro Mauro Rossi

RICERCA FOTOGRAFICA: Giorgia Coccia, Mauro Pelella, Elena Turrini

VICEDIRETTORE: Enrico Bellavia

SEGRETERIA DI REDAZIONE: Valeria Esposito (coordinamento), Sante Calvaresi, Rosangela D’Onofrio

CAPOREDATTORE CENTRALE: Leopoldo Fabiani UFFICIO CENTRALE: Beatrice Dondi (vicecaporedattrice), Sabina Minardi (vicecaporedattrice), Anna Dichiarante REDAZIONE: Simone Alliva, Federica Bianchi, Paolo Biondani (inviato), Angiola CodacciPisanelli (caposervizio), Emanuele Coen (vicecaposervizio), Antonia Matarrese, Mauro Munafò (caposervizio web), Gloria Riva, Chiara Sgreccia, Carlo Tecce (inviato), Gianfrancesco Turano (inviato), Susanna Turco ART DIRECTOR: Stefano Cipolla (caporedattore) UFFICIO GRAFICO: Martina Cozzi (caposervizio), Elisa Abbadessa, Davide Luccini (collaboratore) PHOTOEDITOR: Tiziana Faraoni (vicecaporedattrice)

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CONTROLLO QUALITÀ: Fausto Raso SERVIZI IT: Claudia Cecchetti OPINIONI: Ray Banhoff, Fabrizio Barca, Francesca Barra, Alberto Bruschini, Massimo Cacciari, Lucio Caracciolo, Franco Corleone, Carlo Cottarelli, Donatella Di Cesare, Roberto Esposito, Luciano Floridi, Enrico Giovannini, Nicola Graziano, Bernard Guetta, Loredana Lipperini, Sandro Magister, Bruno Manfellotto, Ignazio Marino, Ezio Mauro, Claudia Sorlini, Oliviero Toscani, Sofia Ventura, Luigi Vicinanza COLLABORATORI: Sabato Angieri, Erika Antonelli, Viola Ardone, Nicolas Ballario, Giuliano Battiston, Marta Bellingreri, Caterina

Bonvicini, Ivan Canu, Viola Carignani, Gino Castaldo, Giuseppe Catozzella, Manuela Cavalieri, Stefano Del Re, Francesca De Sanctis, Cesare de Seta, Roberto Di Caro, Maurizio Di Fazio, Paolo Di Paolo, Fabio Ferzetti, Alberto Flores d’Arcais, Marcello Fois, Luca Gardini, Wlodek Goldkorn, Marco Grieco, Andrea Grignaffini, Luciana Grosso, Helena Janeczek, Gaia Manzini, Piero Melati, Donatella Mulvoni, Matteo Nucci, Eugenio Occorsio, Massimiliano Panarari, Sabrina Pisu, Laura Pugno, Marisa Ranieri Panetta, Mario Ricciardi, Gigi Riva, Sergio Rizzo, Stefania Rossini, Evelina Santangelo, Elvira Seminara, Francesca Sironi, Leo Sisti, Elena Testi, Chiara Valerio, Stefano Vastano PROGETTO GRAFICO: Stefano Cipolla e Alessio Melandri I font Espresso Serif e Espresso Sans sono stati disegnati da Zetafonts

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BENGALA

Invece di insegnanti che preparino i giovani per le sfide del futuro selezioniamo geni delle nozioni

Ray Banhoff

on è nemmeno rabbia, è qualcosa di più: un sentimento di frustrazione ancestrale, la voglia di urlare, l’assistere a uno scempio. Ora mi spiego. «L’equazione malthusiana evidenzia che la popolazione cresce secondo una progressione geometrica e le risorse secondo una progressione aritmetica oppure che la popolazione cresce in proporzione dimezzata rispetto all’incremento delle risorse?». «Chi fu Gneo Pompeo Magno?». Oppure: «Nel Piano nazionale Scuola digitale agli ambienti per la didattica digitale integrata è dedicata l’azione 4, l’azione 7, l’azione 10 o l’azione 8?».

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Quel vizio italiano di dare sempre la colpa alla scuola Ecco lo stato in cui è ridotto il nostro Paese, illustrato in alcune delle terribili 50 domande a crocette del concorso per insegnare italiano (a crocette sono più facili da correggere, volete mettere far scrivere qualcosa ai futuri professori, o anche semplicemente chiedere alle commissioni di esaminare degli scritti, magari prodotti a mano e non al computer?) nelle scuole medie e superiori. Giuro che non scherzo, potete leggerne altre sul sito del ministero, se avete voglia. Per avere accesso alla prova orale bisogna passare questa tagliola di tecnicismo e nozionismo, non solo stupido ma dannoso. Siamo preoccupati che l’intelligenza artificiale ci rubi il lavoro, ma non ci rendiamo conto che vogliamo sempre di più assomigliarle. L’idea che un insegnante, per diventare tale, debba ricordarsi dei contenuti come quelli sopra citati è profondamente

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sbagliata. Fossi uno che si ricorda se la Dictatus papae «fu compilata da Gregorio VII nel 1075 o da Lotario dei conti di Segni, futuro papa Innocenzo III, nel 1195», probabilmente starei a un convegno assieme ai più grandi storici del mondo, non in una scuola media in provincia di Reggio Emilia per lo stipendio più basso d’Europa. Sarei un genio, di euro ne vorrei cinquemila al mese solo per essere chiamato in causa e rispondere alle e-mail. Guardate che non ricordarsi una nozione è normale, capita anche ai docenti. Per questo nei giorni precedenti alle lezioni quei poveretti studiano. È una parte del loro lavoro, oltre al prendersi cura di adolescenti per cui non sono formati perché non esiste un corso universitario per quella figura professionale. Uno si laurea in Lettere, Architettura, Economia, poi lo sbattono lì in mezzo ai vostri figli e nipoti senza avergli mai fatto studiare psicologia e dinamiche degli adolescenti. Appena messo sotto pressione dalla classe reagirà sfogando rabbia e incompetenza su dei ragazzini, segnandoli a vita. Il bello? Sarà abilitato da concorso per farlo. Se secondo voi questo è un problema che riguarda solo gli insegnanti, vi comunico che state sbagliando. Il nostro Paese è fermo, cresce pochissimo, le prospettive per il domani con la concorrenza straniera sono spietate, abbiamo bisogno di generazioni future rampanti e altrettanto di insegnanti in grado di aiutarle a compiere grandi imprese. Invece niente, appena uno legge la parola “scuola” nel titolo di un articolo passa oltre perché sa che tutto, dalla giustizia alla sanità passando per la pubblica amministrazione, è ormai immutabile in Italia. Ecco quindi che la coscienza civile si manifesta solo per i pandori di Chiara Ferragni, per un commento di Selvaggia Lucarelli, per cause sempre più totalizzanti e vacue. Scritta male sui social, ma lì si sa: la colpa è della scuola.




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