L'Espresso 42

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POLITICA LA TV MELONIANA SBANDA E FRANA STAR IN FUGA E FLOP DI SHARE

ESTERI IL MESTIERE DELLE ARMI CHI GUADAGNA CON LA GUERRA

Poste Italiane s.p.a.sped.in A.P.-D.L.353/03 (conv.in legge 27/02/04 n.46) art. 1 comma 1 - DCB Roma - Austria - Belgio - Francia - Germania - Grecia - Portogallo - Principato di Monaco - Slovenia - Spagna € 5,50 - Lussemburgo € 5,60 - C.T. Sfr. 6,80 - Svizzera Sfr. 7,00 - Olanda € 5,90 - Inghilterra £ 4,70

numero 42 - anno 69 20 ottobre 2023

DIALOGHI PAOLO CONTE AGLI UFFIZI CANTO E DIPINGO L’ARTE È DONNA SETTIMANALE DI POLITICA CULTURA ECONOMIA

4 euro

IL CAPITALE TERRONE Prima gli universitari in cerca di futuro. Poi i genitori quando i figli trovano lavoro e mettono su famiglia. Un nuovo esodo che spacca il Paese e sposta al Nord ogni anno almeno cinque miliardi. Ricchezze di un Sud che la politica ormai ignora



EDITORIALE

Alessandro Mauro Rossi

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a fortuna è un po’ come il coraggio di Don Abbondio. Se non ce l’hai nessuno te la può dare. Napoleone preferiva i generali fortunati a quelli bravi. C’è chi sulla fortuna ha costruito una… fortuna come Arrigo Sacchi, allenatore del Milan e della Nazionale di calcio, per cui il “ fattore C” è sempre stato l’alter ego del suo talento. Oggi anche Giorgia Meloni viene definita fortunata. Motivo? La guerra in Palestina. La sintesi è tutta qua: stanno per arrivare in Italia gli ispettori delle agenzie internazionali di rating. Notano gli analisti più attenti che il debito italiano potrebbe essere declassato rischiando di finire tra i “titoli spazzatura” pro-

Quel fattore C. salverà il governo da Moody’s e Fitch ducendo un danno enorme al Paese. Il primo giudizio, quello di Standard & Poor’s, è previsto proprio nei giorni in cui questo numero de L’Espresso va in edicola, poi ci sarà l’appuntamento del 10 novembre con Fitch e quello più importante il 17 novembre con Moody’s, la più severa delle tre agenzie di rating. In una situazione normale ci sarebbe stato da tremare, ma appunto una guerra così geograficamente vicina e con l’Italia politicamente così esposta, convincerà gli ispettori anche più intransigenti a chiudere un occhio e al massimo rimarcare gli outlook negativi, ossia le previsioni grigie sul futuro del Paese, ma niente di più. L’Occidente non può permettersi in un momento storico come questo che un Paese strategicamente importante come l’Italia si ritrovi in ginocchio. E considerato che le agenzie di rating sono americane, l’occhio lo chiuderanno più che volentieri. Così Meloni e il suo governo potranno andare ancora avanti per di più sulle ali di

Una guerra così geograficamente vicina convincerà gli ispettori a chiudere un occhio sul nostro debito

una finanziaria piuttosto popolare (asili nido e soldi in più in busta paga) nonostante tutte le eccezioni legittime e fondate delle opposizioni soprattutto sulla sanità. Sullo sfondo, anzi in primo piano, resta però il problema della guerra in Palestina in tutta la sua drammaticità. Gli ultimi eventi, con il missile esploso sull’ospedale di Gaza che ha causato centinaia di morti e centinaia di feriti, e con Israele e Hamas che si incolpano a vicenda, dimostrano ancora una volta, come accade per l’Ucraina, che i morti non hanno nazionalità o religione. Sono morti e basta. E spesso, sempre più spesso, civili inermi. Non è possibile che si continui a morire da una parte e dall’altra senza poter vedere la fine di queste carneficine. Le diplomazie di tutto il mondo sono al lavoro per cercare di fermare il massacro, ma ogni giorno che passa il percorso del dialogo trova sempre un ostacolo in più, spesso piazzato proprio dai contendenti come, appunto, nel caso dell’ospedale di Gaza che ha creato reazioni (violente) in tutto il mondo arabo e non solo. In varie sedi si torna a parlare del combinato disposto di due popoli, due Stati, dopo anni che nessuno ha fatto niente per raggiungere questo obiettivo voluto dall’Onu. «I palestinesi sono il peccato originale di Israele», sosteneva Shimon Peres, il laburista che era stato il braccio destro di David Ben Gurion, il fondatore dello Stato ebraico, «perché nel 1896, quando Theodore Herzl, l’ideatore del sionismo, coniò lo slogan un popolo senza una terra va a una terra senza un popolo, su quella terra un popolo c’era già, erano gli arabi», spiegava Peres. E all’inizio gli arabi accolsero pacificamente gli ebrei. Poi, diciamolo francamente, le grandi potenze occidentali, hanno favorito l’espansionismo ebraico. L’estremismo islamico ha fatto il resto. E oggi siamo dove siamo. Ma siamo arrivati al punto di non ritorno. Solo un’azione diplomatica combinata di tutte le grandi potenze mondiali può far iniziare un processo di pace militare. Difficilmente di pacificazione, perché dopo quello che sta succedendo c’è il rischio fondato che l’odio e la vendetta continuino per anni ad avere il sopravvento sulla ragione.

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CHI SALE E CHI SCENDE

Sebastiano Messina

FABIO FAZIO A volte bisogna saper aspettare, per godersi la rivincita. L’attesa di Fabio Fazio è durata cinque mesi - tanti ne sono passati dal giorno del suo addio alla Rai, che non voleva più rinnovargli il contratto - ma alla fine lui è riuscito in un’impresa senza precedenti: portare un canale minore, il Nove, a salire per la prima volta sul podio dell’audience (10,5 per cento, superato solo da RaiUno e Canale 5) grazie a “Che tempo che fa”. Mentre a Viale Mazzini continuano a collezionare flop.

DONALD TUSK Anche se dovrà aspettare Natale per formare il suo governo, il leader europeista - soprannominato “il Prodi polacco” - ha vinto nettamente le elezioni. Infliggendo una dura sconfitta al premier uscente Moraviecki e a Jaroslaw Kaczynski, l’uomo forte della destra polacca. È la seconda volta che un alleato di Giorgia Meloni viene punito dagli elettori: prima Vox in Spagna, adesso Diritto e Giustizia in Polonia. L’onda sovranista si sta infrangendo sulle urne dell’Europa.

Foto: Agf (4)

PIERO CIPOLLONE Nove italiani su dieci non sanno chi sia, però sentiranno presto parlare di lui. Il Parlamento Europeo ha infatti dato il via libera finale - con 509 voti contro 54 - alla sua nomina nel comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, dove prenderà il posto di Fabio Panetta e difenderà il nostro Paese in una stagione che si annuncia tempestosa. Ha 61 anni e ha lasciato Palazzo Koch solo una volta, nel 2018: per diventare consigliere economico di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi.

Corona, il pluricondannato trova subito lavoro. L’ondata sovranista si infrange in Polonia

FABRIZIO CORONA Estorsione aggravata. Bancarotta fraudolenta. Frode fiscale. Corruzione. Ricettazione. Spaccio di banconote false. Chiunque avesse scontato una pena per uno solo dei reati di questo curriculum giudiziario fatica a trovare qualsiasi lavoro. E invece Fabrizio Corona non ha fatto in tempo a tornare libero che è diventato una star del video, corteggiata e strapagata. Riuscendo incredibilmente a interpretare il personaggio del fustigatore del marciume. Quello degli altri, si capisce.

ELENA BASILE Non mostrarsi petulanti. Non sostenere di essere la voce della verità. Non pretendere più tempo degli altri. Non interrompere tutti gli interlocutori. Non minacciare di andarsene. Sono cinque, le regole fondamentali che ogni ospite dei talk show dovrebbe rispettare, per non risultare irritante e antipatico. L’ex diplomatica diventata opinionista televisiva invece le infrange tutte, sulla scia di Alessandro Orsini, dando creanza accademica all’antica figura dello screanzato di successo.

ROBERTO FIORE Si mette decisamente male per il leader di Forza Nuova, la formazione neofascista che due anni fa, dopo aver tentato invano di sfondare alle elezioni, provò a ripetere a Roma l’assalto trumpiano a Capitol Hill. E visto che la strada per Palazzo Chigi era sbarrata invase la sede nazionale della Cgil, devastandola. Al processo, che sta per concludersi, Fiore e il suo braccio destro Giuliano Castellino rischiano dieci anni di carcere. Prima o poi arriva il momento in cui la giustizia presenta il conto.

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COSE PREZIOSE

Loredana Lipperini

E

ppure dovremmo aver imparato, grazie a secoli di letteratura, che dividere il mondo in due opposti invocando il sangue dell’uno o dell’altro significa dimenticare non solo che esiste l’ormai dileggiata complessità, ma che esistono le posizioni tacitate (quelle degli uomini e delle donne di pace, per esempio), ed esistono anche, in ognuno, le luci e le ombre. Ce lo ha insegnato fra gli altri il professor Tolkien, facendo soccombere il gentile Frodo al potere dell’anello e, prima ancora, cambiando senso a un aggettivo del poema La battaglia di Maldon, dove si

Azzerare le storie non riscrive il nostro passato narra del conte inglese Byrthnoth che nel 991 manda a morire i suoi uomini «for his ofermod». «Audacia», si era tradotto fino a Tolkien. «Smisurato orgoglio», corresse il professore. Ciò che causa morte si deve a questo, e dimenticarlo, trasformando ogni discussione in tifoseria (da entrambe le parti, se di parti si deve parlare) per il nostro smisurato orgoglio, significa vanificare ogni possibilità di confronto politico, culturale e sociale: nei fatti, ormai guardiamo la televisione per sapere chi vince nei dibattiti, non per capire qualcosa di quel che avviene intorno a noi. I passi indietro della settimana sono due. Intanto, la sconcertante decisione della Buchmesse di Francoforte di cancellare l’assegnazione del Literaturpreis alla scrittrice palestinese Adania Shibli, autrice del romanzo Un dettaglio minore,

L’azione di un dittatore o di un gruppo terroristico non trascina con sé lo stigma per gli artisti

dove si narra un fatto vero del 1949, ovvero lo stupro e l’omicidio di una ragazza beduina da parte di soldati israeliani. Cancellare il premio non significa cancellare quella morte, così come non cancellerà la mostruosità compiuta da Hamas negli ultimi giorni. Azzerare le storie non riscrive la Storia. Eppure, è quanto viene fatto, in una follia di ripolarizzazione non dissimile da quella che, nel primo periodo dell’invasione russa in Ucraina, portò solerti funzionari dell’Università Bicocca ad annullare le lezioni su Dostoevskij e altre istituzioni a togliere concerti dal cartellone o a evitare la partecipazione russa a festival e manifestazioni. Come se l’azione di un dittatore o di un gruppo terroristico dovesse trascinare con sé lo stigma per gli artisti passati e presenti. Come se l’Italia fosse raccontabile con quella P38 adagiata su un piatto di spaghetti con cui la bollò Der Spiegel nel 1977. Il secondo caso è quello di Patrick Zaki, l’attivista egiziano incarcerato, condannato e poi graziato per reati d’opinione, che ha definito serial killer il premier israeliano Netanyahu per l’attacco ai civili di Gaza. Su Zaki è caduta la mannaia dei rifiuti e degli insulti: via dai festival e dagli incontri, via dalla televisione, giornali serissimi che gli danno del cretino e commentatori meno seri che lamentano di aver «sprecato tempo» a battersi per i suoi diritti. Tifoseria, appunto. Allora, la cosa preziosa, quella che ci insegna a immaginare possibilità negate, è il più antico poema epico della letteratura europea e mediterranea, l’Iliade, che termina con due nemici acerrimi che piangono insieme il figlio e il compagno. Ed è dalle lacrime congiunte di Achille e Priamo che la Buchmesse dovrebbe trarre tesoro, e capire che dobbiamo conoscere tutte le storie, perché ci consegnano, secolo dopo secolo, quello che non abbiamo neppure il coraggio di sognare perché lo riteniamo impossibile.

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PANE AL PANE

Il governo mette 3 miliardi. Ma al netto dell’inflazione la percentuale sul Pil è ai minimi storici

Carlo Cottarelli

l recente Documento Programmatico di Bilancio prevede, come parte delle “manovra” per la legge di bilancio per il 2024, un aumento di 3 miliardi per la sanità pubblica rispetto al quadro a legislazione invariata. È tanto? È poco? Facciamo il punto della situazione alla luce dell’evoluzione della spesa sanitaria pubblica in Italia nell’ultimo quarto di secolo. Guardiamo prima di tutto al rapporto tra spesa per la sanità pubblica e Pil, un utile indicatore perché ci dice quanto delle risorse prodotte (il Pil) sono destinate alla sanità. Nel 2000 la spesa sanitaria

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Ecco perché la spesa sanitaria è stata tagliata pubblica era pari al 5,5% del Pil (questa è la spesa corrente su cui ci concentriamo in questa nota ed esclude gli investimenti, per esempio la costruzione di un ospedale). Proseguendo una tendenza nella crescita iniziata già negli anni ’60, il rapporto raggiunse il 6,6% nel 2006 per poi scendere nel 2007 (6,4%). Erano gli anni in cui in tutti i paesi avanzati la spesa sanitaria aumentava rapidamente anche per la disponibilità di nuove terapie, migliori ma anche più costose. Il rapporto raggiunse un picco del 7,1% nel 2009, ma in quell’anno il Pil scese per effetto della crisi economica globale. Senza questo calo il rapporto sarebbe risultato del 6,7%. Negli anni successivi il rapporto resta al 6,7% fino al 2014. Il taglio rispetto al Pil non c’è. Il problema è che l’Italia nel frattempo si è impoverita, ossia che il Pil, dopo il picco raggiunto nel 2007 non si è

più rialzato per parecchi anni. I tagli nella spesa sanitaria negli anni dell’austerità ci sono e non sono irrilevanti: in termini di potere d’acquisto, cioè al netto dell’inflazione, il taglio tra il 2008 e il 2014 è dell’8,9%. Nello stesso periodo il Pil reale cala del 7,6%. L’austerità è dettata soprattutto dalla mancanza di risorse. Poi, con la ripresa della crescita economica, anche la spesa sanitaria riprende a salire ma inizialmente meno rapidamente del Pil. Il rapporto scende dal 6,7% al 6,5% tra il 2014 e il 2016, e resta a questo livello fino al 2018. Arriva poi il governo Lega-Cinque Stelle che lo porta al 6,4% nel 2019. Poi arriva il Covid e la spesa pubblica accelera. Il rapporto, anche in questo caso, balza sopra al 7% nel 2020, anche per effetto del crollo del Pil. Ma la spesa al netto dell’inflazione cresce comunque rapidamente nel 2020-21, per poi ridimensionarsi nel 2022 passata l’emergenza. Veniamo a quello che ha fatto questo governo. Nel 2023 la spesa aumenta da 131,1 miliardi a 134,7 miliardi. Nel 2024, con i 3 miliardi (da cui siamo partiti), aggiunti rispetto all’iniziale previsione di 133 miliardi, si arriva a 136 miliardi. Questi aumenti (di 3,6 miliardi nel 2023 e di 1,3 miliardi nel 2024, rispetto all’anno precedente, e di 3 miliardi rispetto all’iniziale previsione per il 2024) consentono al governo di sostenere di aver aumentato la spesa sanitaria nel biennio. In realtà, tenendo conto dell’inflazione, il potere d’acquisto di tale spesa è sceso del 2,8% nel 2023 ed è previsto scendere del’1,4% il prossimo anno, per un taglio complessivo del 4,2% nel biennio. Questo taglio è quasi la metà di quello realizzato tra il 2008 e il 2014, in un periodo però in cui il Pil era crollato. Il rapporto tra spesa e Pil tornerà nel 2024 al 6,4% il livello minimo raggiunto solo nel 2007 e nel 2014. Il taglio c’è ed è rilevante.

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Andrà (quasi) tutto bene di NICOLETTA FIGLIUOLO / CORSO FOTOGRAFIA IED DI ROMA

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MESSA IN SCENA In queste pagine la fotografa Nicoletta Figliuolo gioca con le immagini e con sé stessa bambina, ricreando, come in un’opera teatrale, spaccati del quotidiano dove mette in scena paure e insicurezze che ancora si aggrovigliano nella sua testa: il fallimento, l’insoddisfazione, la frustrazione e l’incomunicabilità.

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a cura di Tiziana Faraoni

L’Espresso iconografico

PICCOLI DISASTRI D’INFANZIA E D’INNOCENZA PERDUTA GLI AUTOSCATTI CATARTICI DI FIGLIUOLO, TRA IRONIA E POP «“Non sei abbastanza brava, abbastanza intelligente, abbastanza bella”, gridava una voce. “Non ce la farai mai! Guarda tutti gli altri, sono più bravi di te. Fallirai!”, bisbigliava un’altra. “Se solo fossi più così…allora sì che piaceresti agli altri!”, aggiungevano altre voci ancora. Era come se nella mia testa ci fosse una festa continua. In cui moltitudini di voci chiassose e fastidiose si comportavano come se fossero state invitate». Così la fotografa Nicoletta Figliuolo spiega sé stessa. E si affronta attraverso una narrazione seriale e teatrale di immagini ironiche e pop, nel suo lavoro “It’s gonna be okay”, realizzato durante il corso per il diploma accademico di primo livello in Fotografia allo Ied di Roma. Le sue fotografie mettono in scena la dimensione catartica attraverso cui la giovane protagonista ha potuto dare una forma più netta ai pensieri e alle paure che ancora oggi si aggrovigliano nella sua mente: fallimento, insoddisfazione, frustrazione e incomunicabilità. Ma anche nostalgia dell’infanzia, luogo di leggerezza intatta e incorrotta. L’autrice gioca

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grazie al potere delle immagini con la sé stessa bambina. Con ironia ricostruisce una serie di spaccati del quotidiano: le ginocchia sbucciate, il gelato sciolto, l’apatia delle paperelle a mollo nella vasca da bagno e la pastina per bambini che dilaga sulla tavola. Tutte metafore della perdita dell’innocenza, della labilità della spensieratezza. Di antichi, piccoli traumi o insuccessi che lasciano una scia nell’anima adulta.

L’AUTRICE Nicoletta Figliuolo (Sapri, 1998), fotografa e aspirante art director. Laureata in Lingue all’Università per Stranieri di Siena, continua i suoi studi diplomandosi in Fotografia all’Istituto Europeo di Design di Roma. Nella sua ricerca artistica usa la fotografia come creazione di mondi fantastici e come metafora per esplorare emozioni, paure e pensieri. Predilige la staged photography, i ritratti, lo still life e soprattutto l’uso del gioco e dell’ironia come chiavi di lettura del mondo.


11 Regioni raggiunte Oltre

11 Tv locali + 1 Tv circuitale PAPER

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52 Settimanali locali

Siti d’informazione

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La forza della comunicazione glocal


PRIMA PAGINA Così il Sud arricchisce il Nord Gianfrancesco Turano Sud addio. La rimozione meridionale Carlo Tecce Indiscreto

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POLITICA

SbandeRai, il capolavoro Tele Meloni Beatrice Dondi 32 Boccia, l’eterno emergente vuole l’Europa Susanna Turco 36 Sui reati minorili non è sufficiente la leva giudiziaria Paola Balducci 39 Violenza e affari, la lobby dei Cpr Adil Mauro 40 Relazioni tossiche che gli adolescenti non riconoscono Chiara Sgreccia 43

ESTERI Finché c’è guerra c’è profitto Gloria Riva Si scatenano razzisti e antisemiti Simone Alliva Colpire Hamas non i civili inermi Domenico Fracchiolla L’alba al rave del mio inferno Sabato Angieri Quanto pesa l’amicizia tra Russia e Iran Eugenio Occorsio Un’occasione per Abu Mazen colloquio con Richard Jones di Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni Preti pedofili, l’Italia perdona l’Argentina no Paolo Biondani Dal mondo

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Oltre 5 miliardi ogni anno. È il massiccio trasferimento di ricchezza da Sud a Nord dovuto all’esodo dei giovani

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Il titolo Leonardo vola in Borsa, come era già successo con l’Ucraina. Un boom che conferma un vecchio adagio: finché c’è guerra c’è profitto

La partecipazione di Fabrizio Corona da Nunzia De Girolamo. L’aiuto da casa per Pino Insegno. La nuova Rai, il capolavoro Tele Meloni

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ECONOMIA Quando privatizzare rimane solo una promessa Sergio Rizzo Smart working, quanto basta Anche Intesa punta su Musk Emilio Cozzi Se l’intelligenza nasconde l’ignoranza Ugo Mattei

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numero 42 - anno 69 - 20 ottobre 2023 QUEL FATTORE C. SALVERÀ IL GOVERNO DA MOODY’S E FITCH Alessandro Mauro Rossi 3

In copertina: illustrazione di Ivan Canu

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Paolo Conte allo specchio

Non soltanto dottor House Elisa Serafini Opere a rilento, dal privato un’opportunità Francesco Fimmanò

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Il debito si riduce solo con la crescita Giulio Centemero Bar economy

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Nel suo intervento, Francesca Barra racconta la storia della ragazza vittima di violenza a Palermo, che ha avuto la forza di esporre la propria vita alle minacce e agli insulti dei social

Un mondo inaudito tra tinelli e parabris Gino Castaldo

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FOTO DI CLASSE a cura di Tiziana Faraoni 10 LIBRI - Sabina Minardi 111 CINEMA - Fabio Ferzetti 112 MUSICA - Gino Castaldo 112 TEATRO - Francesca De Sanctis 113 TELEVISIONE - Beatrice Dondi 115 MOTORI - Gianfranco Ferroni 116 ANIMALI - Viola Carignani 116 COSA C’È DI NUOVO - Emanuela Cavallo 117 VINO - Luca Gardini 118 ARTE - Nicolas Ballario 118 CUCINA - Andrea Grignaffini 119 POSTA - Stefania Rossini 120

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Sintesi massima. Replica istantanea. Nell’epoca del meme tutto è ridotto a imitazione. Con esiti imprevedibili e incerti

I DIALOGHI DE L’ESPRESSO 88

CHI SALE CHI SCENDE Sebastiano Messina COSE PREZIOSE Loredana Lipperini PANE AL PANE Carlo Cottarelli BELLE STORIE Francesca Barra RESISTENTI Diletta Bellotti FACCIAMO ECO Giuseppe Di Marzo BANCOMAT Alberto Bruschini CARTA & PENNA Goffredo Bettini BENGALA Ray Banhoff

Rubriche

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Canto e dipingo perché l’arte è donna colloquio con Paolo Conte di Stefania Rossini Ciclisti, boxeur e trombonisti

Opinioni

CULTURA Parola di meme Ivo Stefano Germano Più che arte, segnali di un mondo alieno colloquio con Piernicola Maria Di Iorio Cemento, rovine e altri stupori Gaia Manzini Visioni McCarthy e così sia Matteo Nucci Senza memoria, ostaggi di un eterno presente Vincenzo Consolo L’importanza di chiamarsi Gondry Fabio Ferzetti Callas, Magnani, Vitti tra fantasia e realtà Claudia Catalli

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Per approfondire o commentare gli articoli o inviare segnalazioni scrivete a dilloallespresso@lespresso.it


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Così il Sud arricchisce il Nord Oltre 5 miliardi ogni anno. Tra spesa delle famiglie e finanziamenti statali è il trasferimento di ricchezza verso il Settentrione dovuto all’esodo dei giovani. Che spacca il Paese ancora di più

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GIANFRANCESCO TURANO

illustrazione di IVAN CANU

l tram numero 9 dell’Atm di Milano racconta storie diverse secondo l’ora e il giorno. Intorno al pranzo ci sono i senza fissa dimora che vanno a mettersi in fila all’Opera San Francesco di piazza Tricolore, accanto all’hotel di lusso Château Monfort. Nel fine settimana, dalla sera, il 9 diventa il mezzo di trasporto ufficiale dei giovani in transito verso i quartieri di movida attraversati dai binari: Porta Venezia, i Navigli, via Savona. Sono tirati a lucido, parlano di esami e di tesi magistrali. Non temono di affrontare i conti di bar e ristoranti dove l’autista Atm, con il suo stipendio di 1.500 euro, avrebbe paura a entrare. Come il tranviere arrivato a Milano in cerca di lavoro, i passeggeri del 9 hanno in larga maggioranza accenti del Sud appena addomesticati da quel flair meneghino che oggi significa, per dirla con il Dogui dei film dei Vanzina, «stare in pole position». Anche quest’anno la meglio gioventù della CAMPUS borghesia meridionale si è spostata in mas- Il campus dell’Universa verso gli atenei del Centronord, quel- sità Bocconi a Milano li che promettono lavoro sicuro e persino qualificato. I politecnici di Torino e Milano, la Bocconi, la Cattolica, il San Raffaele Vita e salute, la Sapienza di Roma, Iulm, Ied, Lumsa. Privato è meglio. Si entra più facilmente anche se si paga di più. Ma i figli sono pezzi di cuore. Nessuno lo sa meglio di una madre o di un padre che vivono in un Mezzogiorno travolto dalla crisi economica, demogra- mico. Nello studentato milanese Hines in fica, dove persino le mafie or- zona Bocconi (Aparto Giovenale) un vasto mai recalcitrano a investire. I monolocale di 27 metri quadrati va a 1.300 bravi genitori che hanno accet- mensili. Però c’è lo studio yoga, il cinema tato una decadenza senza fine, e la palestra, anzi, il gym dove si può fare in peggioramento con l’immi- workout nel Milan lifestyle. nente arrivo dell’autonomia re- Per il Campus X Bicocca si può arrivare a gionale differenziata, gettano il 1.700 euro, oltre ventimila l’anno. Molti di cuore oltre l’ostacolo ogni mese questi interventi immobiliari privati che fra tasse di iscrizione e rate di aspirano a togliere i giovani contestatori frequenza che possono arriva- dalle tende davanti alle facoltà sono cofire a 20.140 euro l’anno, come nanziati dal Miur in base alla legge 338 del nel caso dell’International Md 2000. I genitori, invece, si finanziano da program del San Raffaele, con- sé. La combinazione università più affitto tro un’immatricolazione per la può arrivare facilmente oltre i 30 mila euro magistrale in Bocconi a quota 16.103 euro. l’anno, senza calcolare vitto, abbigliamenL’università può non essere la spesa mag- to, libri e altri costi più o meno voluttuari. giore. A Milano, soprattutto, ma anche a «È la nuova questione meridionale», dice Torino, Bologna, Firenze, Padova, una stan- Luca Bianchi, direttore generale del cenza in condivisione a 900 euro entro i con- tro studi Svimez nato nel dicembre 1946, fini municipali è un costo ancora econo- sei mesi dopo il referendum monarchia-re-

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Le partenze sono 82 mila l’anno. E spesso i genitori pensionati decidono di raggiungere i figli in regioni dove la sanità è migliore. E lo squilibrio demografico si aggrava

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Foto:A. Delbo / La Presse

pubblica stravinto dai Savoia al Sud. «La migrazione dei talenti e delle competenze negli ultimi vent’anni ha portato a una perdita di 300 mila laureati al Sud e il saldo dell’ultimo anno disponibile, il 2021, è di -21 mila, con una quota in crescita. Gli emigrati laureati aumentano anche quando aumenta l’occupazione perché sono posti a basso valore aggiunto, nel turismo, nel commercio. Per le immatricolazioni agli atenei del Centronord, invece, si parla di un quarto di iscritti che vengono dal Sud». Dal rapporto annuale che Svimez presenterà a fine novembre, L’Espresso può anticipare che ogni laureato vale 150 mila euro di spesa pubblica. «Questa cifra proiettata sui ventimila che vanno via ogni anno», aggiunge Bianchi, «dà 3 miliardi di euro di trasferimento implicito verso Nord. La contabilità territoriale chiesta dall’autonomia differenziata non ha senso in un

Paese integrato come l’Italia e lo svantaggio distributivo patito dal Nord è un mito». I costi di investimento pubblico, ovviamente, non includono la spesa diretta delle famiglie sul mantenimento e, per così dire, la manifattura del futuro laureato. A volersi divertire con le cifre, il Miur ha annunciato che nell’anno accademico 202223 ci sono state 331 mila immatricolazioni (147 mila maschi, 184 mila femmine). È una cifra costante negli ultimi anni. Il 25 per cento di studenti meridionali fuori sede elaborato da Svimez si traduce in oltre 82 mila partenze. Applicando il criterio di spesa prudenziale dei 30 mila euro l’anno per ogni studente, il prodotto della moltiplicazione è di 2,47 miliardi di euro in fondi privati trasferiti dal Sud al Centronord, da aggiungere ai 3 miliardi di spesa pubblica dei laureati. Comprare casa al rampollo, con la bolla

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centuali più alte di fuori regione, manco a dirlo, sono in Bocconi (72,7 per cento), a Trento (66,5 per cento), al San Raffaele di Milano (64,1 per cento). Sopra il 50 per cento ci sono le romane Luiss, Biomedico e Link campus. La macchina che ha tenuto in piedi il boom economico del secolo scorso era fatta di contadini o sottoproletari emigrati verso le industrie del Settentrione con le loro rimesse ad alimentare il Mezzogiorno. Oggi quel sistema è completamente saltato e nemmeno un insegnante può permettersi la vita da fuori sede al Centronord. In un certo senso, vige la teoria economica del trickle-down alla rovescia. Al posto dei ricchi che guadagnano sempre di più e che fanno “gocciolare” parte della

POLITECNICO Studenti del Politecnico di Torino

Foto: F. Alfero/Getty Images / Politecnico di Torino

immobiliare e i mutui alle stelle, significa sborsare non meno di un quarto di milione, se ci si accontenta di un tugurio. Oltre a questi aspetti più immediati, il travaso di risorse dal Sud verso il Nord pone questioni a medio-lungo termine. Per esempio, la riqualificazione energetica diventa più facile per un piccolo proprietario foraggiato dagli affitti e riguarda non solo la cintura urbana dei poli di maggiore attrazione ma anche l’hinterland. È più facile investire sul rinnovamento a Vimodrone, comune della periferia milanese sulla metro verde che porta al San Raffaele o magari nelle campagne dalle parti di Trigoria. Nota per accogliere il centro sportivo dell’As Roma e il Campus Biomedico (da 13500 a 18 mila euro l’anno di iscrizione), Trigoria è a venti chilometri dal centro della città, oltre il Gra. Eppure una stanza quota intorno ai 500 euro al mese nonostante i posti della facoltà di medicina siano limitati a 150. In prospettiva dell’invecchiamento dei genitori-finanziatori, nella vicina Fonte Laurentina è pronto il co-housing per anziani dell’Over Senior residence. Sempre oltre il raccordo anulare, sulla Tiburtina c’è l’Unicamillus, parecchio oltre il capolinea della metro B di Rebibbia, che offre corsi di medicina a 21 mila euro l’anno. Anche la Hunimed ha rette oltre i 20 mila euro proporzionate alla sua fama di ateneo internazionale. L’università del gruppo sanitario Humanitas di Rozzano si è insediata nel comune di Pieve Emanuele, che negli anni Ottanta era un esempio urbanistico da manuale di ghetto per meridionali con i palazzoni dell’Incis e il suo residence frequentato da poliziotti e carabinieri dove il dialetto lombardo era raro come una sera senza nebbia. Anche qui, il mercato immobiliare si è adeguato verso l’alto. Gli ultimi dati disponibili sulle immatricolazioni fuori regione sono spettacolari. Nell’anno 2019-2020 gli iscritti non residenti erano 64.165. La pandemia è passata senza tracce perché nel 2021-2022 sono stati 72.994, quasi novemila in più. Le per-

Le rette universitarie superano i ventimila euro. E per una stanza a Milano è “normale” spendere 900 euro al mese. Poi ci sono vitto, abbigliamento, libri e gli altri costi più o meno voluttuari


ricchezza verso gli strati inferiori della scala sociale, ci sono le famiglie borghesi del Sud che aumentano il benessere già consistente di chi ha una rendita di posizione nei centri urbani del Nord. E il fenomeno si allarga dai giovani ai genitori stessi che, alla lieta novella dell’impiego dei pargoli, ergo della possibile nuova famiglia, progettano di trasferirsi a fare i nonni con il vantaggio di un sistema sanitario migliore. Proiettato in un futuro più vicino, lo scenario della nuova migrazione diventa catastrofico se l’aspetto di depauperamento patrimoniale si combina con il cosiddetto inverno demografico. L’Istat ricorda che nell’anno di grazia 2061 al Sud vivrà il 30,7 per cento degli ultrasettantenni e nel rapporto dello scorso 12 ottobre dedicato ai “Giovani del Mezzogiorno” segnala un crollo nel numero di giovani in tutta Italia. Nel periodo 2002-2022 i cittadini fra 18 e 34 anni sono scesi di 3 milioni dai 10,2 milioni di vent’anni fa. Ma in percentuale il Sud ha perso quasi l’8 per cento in più del Centronord e questo dato è ancora ottimistico perché gran parte degli studenti meridionali fuori sede aspetta di avere trovato un lavoro post laurea prima di cambiare residenza. Altri decidono di fare la triennale al Sud e prendere la magistrale al Centronord. Il totale è che nelle città meridionali, durante la stagione accademica, è arduo vedere in giro un ventenne. «Per i giovani del Mezzogiorno», afferma l’istituto nazionale di statistica, «la migrazione universitaria, che si attiva soprattutto verso gli atenei settentrionali, assume proporzioni considerevoli: coinvolge oltre un caso su quattro all’atto dell’iscrizione, e oltre un terzo al conseguimento della laurea. Inoltre, il fenomeno della mobilità per studi universitari nel Mezzogiorno riguarda in misura leggermente superiore gli uomini rispetto alle donne». Per un minimo di verifica sociologica basta guardarsi attorno e ascoltare i discorsi dell’estate, dominati dall’esodo verso Nord dei pargoli appena diplomati. Prendia-

28,5 Percentuale di studenti del Sud che si iscrivono ad atenei del Centronord

Percentuale di studenti del Sud che termina il percorso di studi e si laurea in atenei del Centronord

39,8 Percentuale di giovani del Sud che trovano lavoro al Centronord entro cinque anni dalla laurea

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Popolazione giovani (18-34 anni) Centronord nel 2002

8,23 milioni

Popolazione giovani (18-34 anni) Centronord nel 2022

6,56 milioni Popolazione giovani (18-34 anni) Sud nel 2002

5,16 milioni Popolazione giovani (18-34 anni) Sud nel 2022

3,71 milioni 20 ottobre 2023

Dati Istat ottobre 2023

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TORINO Ancora il Politecnico di Torino. Una delle Università con parecchi studenti fuori sede

mo tre coppie. Una è medico più avvocato. La seconda è bancario più avvocato. La terza è monoreddito con coniugi divorziati. Qui il caso è aggravato dal fatto, in teoria positivo, che la diplomata è in classifica sia in un’università privata sia in una pubblica. In attesa dei vari slittamenti delle graduatorie secondo le scelte dei meglio piazzati, il padre ha dovuto anticipare 14 mila euro all’Unicamillus che perderà se la figlia entrerà alla Sapienza. I sei genitori di queste matricole hanno tutti studiato nell’ateneo di prossimità. In questo caso, si tratta di Messina, che è stata a lungo il riferimento universitario per parte della Sicilia orientale e della Calabria meridionale. È probabile che anche le loro famiglie negli anni Ottanta del secolo scorso avrebbero potuto sostenere il sacrificio economico di mantenere un figlio in un ateneo fuori sede. Ma per la generazione dei boomers sembrava avere meno senso spostarsi verso Nord e l’iscrizione in università era non solo un segno di distinzione sociale ma anche una probabilità maggiore di trovare posto senza emigrare, grazie al “pezzo di carta” chiamato laurea. Oggi basta guardare la classifica Censis delle università italiane pubblicata nel luglio 2023 per capire dove conviene studiare. Nell’elenco dei grandi atenei privati, con oltre 10 mila iscritti, è in testa la Bocconi con 90,4 punti seguita a distanza dall’altra milanese, la Cattolica. Nei medi atenei privati da cinquemila a die-

Il numero degli studenti “fuori regione” continua a crescere. I record sono in Bocconi (72,7 per cento), a Trento (66,5 per cento), al San Raffaele di Milano (64,1 per cento)

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cimila studenti il podio è: Luiss di Roma, Iulm di Milano e Lumsa, che ha sede nella capitale con poli a Palermo e a Taranto. Nel pubblico, c’è ancora meno partita. Fra i megatenei che contano oltre i quarantamila iscritti, la prima è Bologna. Seguono Padova, la Sapienza di Roma, Pisa e la Statale di Milano. Palermo è settima, Bari nona e la Federico II di Napoli decima. Per trovare traccia di Sud nelle parti alte del ranking bisogna andare sui grandi atenei, quelli che hanno fra ventimila e quarantamila iscritti, con l’Unical di Cosenza al terzo posto. L’università calabrese rimane uno dei rari poli di attrattiva accademica del Mezzogiorno, soprattutto nel campo dell’intelligenza artificiale. Ha fatto scalpore il colpo di mercato del rettore Nicola Leone che a settembre ha ingaggiato da Oxford un luminare dell’Ai come Georg Gottlob. Quest’anno Cosenza-Arcavacata ha anche inaugurato il suo corso di medicina in concorrenza con l’università della Magna Graecia di Catanzaro-Germaneto. La sanità è di sicuro un’emergenza in tutto il Mezzogiorno. Ma c’è da capire quali strutture troveranno i dottori in formazione che, come dice la madre medico di una delle ragazze in partenza per Roma, «vogliono tutti fare i dermatologi per entrare nel privato e guadagnare con l’estetica». È la stessa logica dei bocconiani che, appena laureati, finiscono nei colossi della consulenza come Kmpg, Deloitte, Pwc, Ernst Young, Boston o nella finanza a lavorare quattordici ore al giorno in attesa di salire nella scala gerarchica e retributiva. Magari qualcuno di loro deciderà di tornare al Sud, sull’onda di crisi di rigetto individuali. Sono i casi che finiscono raccontati sui giornali in modo consolatorio con titoli come: lavoravo a Goldman Sachs, oggi allevo capre sui Nebrodi. Con tutto il rispetto per i neorurali, la macchina dell’economia nazionale non vive di formaggi erborinati ma di fatturati e asset. Su questo fronte, la spaccatura sotto Roma si fa sempre più profonda.

Foto: F. Alfero/Getty Images / Politecnico di Torino

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Sud addio La rimozione meridionale CARLO TECCE on la perizia dei migliori speleologi è possibile rinvenire un reperto di Sud nel ginepraio di norme e commi della legge di Bilancio licenziata dal governo Meloni. Al solito si tratta di un indice confuso e di brandelli di bozze, comunque a metà del testo – per l’esattezza, articolo 51 su 80 circa – si fa rifermento a «modifiche copertura credito d’imposta Zes unica del Mezzogiorno». Qui serve consultare il glossario. La Zes è la zona economica di sviluppo; è “unica” perché il ministro con delega Fitto ha accorpato otto regioni meridionali e centrali, un ghirigoro che va da Pescara a Palermo; il credito d’imposta è lo sconto fiscale per le aziende che vogliono investire in queste zone ormai non distinte, una vale l’altra, una come l’altra. La legge di Bilancio informa i soggetti interes- Perciò voleva rifilare il Sud a un ministro ausati, uno sparuto gruppo in toctono. Appiedato il siciliano Nello Musuverità, i politici meridionali e meci per ragioni di convivenze interne al parpure centrali tacciono, che il tito Fdi, è toccato a un salentino di Maglie. fondo per il credito di imposta Raffaele Fitto è indubbiamente meridionasarà di 1,8 miliardi di euro, non le, ma è altrettanto indubbiamente fagocitapiù per un triennio (altrimen- to dal Piano nazionale di ripresa e resilienti si rischia di spenderli dav- za. Il Sud è un pensiero minore. Quando i due vero questi soldi), ma soltanto pensieri si sovrappongono, è un disastro. Fitper un anno. È un incitamento to è riuscito in un prodigio di San Gennaro. È a sbrigarsi in luoghi non pro- un bersaglio solitario. Il salernitano Edmonprio adeguati a farlo e con una do Cirielli è viceministro agli Esteri. La paburocrazia impreparata finan- lermitana Carolina Varchi, reggente del diche a concepirlo. partimento Mezzogiorno in Fratelli d’Italia, Ai caselli per il Sud non c’è non proferisce verbo sui fatti del Sud, anzi ressa, coda, fila. In gran parte la politica lo l’ultima apparizione è a un dibattito sulla faignora. Lo ha depennato dalle agende. Ogni miglia tradizionale con la ministra Eugenia tanto compatisce e poi impartisce. La presi- Roccella: «Il corpo della donna non si comdente Meloni è rivolta a Nord, è preoccupata pra». In Forza Italia ci sono gli enti locali affidai leghisti delle valli, mentre Matteo Salvi- dati a Maurizio Gasparri. E basta. Dicevamo ni gioca con i plastici del ponte sullo Stretto. del ministro Fitto e di San Gennaro. A Napo-

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Foto: Anadolu Agency via Getty Images

Scomparso dall’agenda, ignorato dalla politica il Mezzogiorno mette d’accordo tutti i partiti nell’indifferenza. Legge di Bilancio per credere


li la maggioranza di centrosinistra e la minoranza di centrodestra, in piena estate, hanno protestato assieme contro il governo perché, durante il “taglia e cuci” di miliardi di euro, un lavoro di altissima sartoria eseguito bendati, sono saltati due progetti per le periferie finanziati dal Pnrr, uno al quartiere di Scampia, l’altro a San Giovanni a Teduccio. Per una volta i tempi erano in ordine, i cantieri erano pronti, ma Napoli è rimasta in sospeso come i caffè. La spontanea “ammuina” dei napoletani ha smosso Fitto: riecco i soldi, forse. «La devono smettere con questa spinta antistorica: il Sud è una risorsa per il Nord, il cosiddetto sistema Paese ha bisogno di una Italia compatta. Il Pnrr è stato creato per ridurre i divari territoriali, non per conferire risorse discrezionali al governo di Roma», dice Roberto Fico, che non ha mai lasciato Napoli e a Napoli è tornato non appena ha finito il suo mandato di presidente della Camera.

Adesso è fra i volti più iconici dei Cinque Stelle, soprattutto al Sud, in particolare in Campania. Qualche giorno fa era in una piazzetta in provincia di Caserta: «Avete notato che in televisione non si parla mai di autonomia differenziata? La nostra sanità pubblica è in pericolo, la difenderemo in ogni modo». Autonomia differenziata, salario minimo, reddito di cittadinanza: il Movimento sfodera da Roma in giù – il contrario di Meloni, ricordate? – gli argomenti che altri non trattano o lo fanno con pigrizia. Il centrodestra ha lasciato sguarnito il Sud, i quasi alleati democratici sono esitanti. Cos’è una trappola? «È un momento di transizione. La mia preoccupazione – spiega Fico – è creare un’alternativa valida e credibile all’attuale maggioranza». Anche i Cinque Stelle non hanno fretta di risolvere diverse incongruenze. Ormai hanno la struttura di un partito classico, ma non rinunciano al vincolo della doppia elezione che

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LA PIAZZA Manifestazione a Napoli contro l’abolizione del reddito di cittadinanza

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IL MINISTRO Il ministro Raffaele Fitto, ha la delega per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr e anche quella per il Sud

tiene fermo Fico e altri esponenti politici di rilievo: viene rispettata l’antica ortodossia, però si corre zoppi alle Europee. Il vantaggio è per chi fa le liste, il capo Giuseppe Conte: mette i suoi. Pazienza se poi gli elettori non li votano in massa. Nei palazzi romani, e ne sono al corrente i millecinquecento lettori dei retroscena politici teorizzati da Enzo Forcella mezzo secolo fa, si narra di una precisa strategia di Meloni che userebbe Conte per non misurarsi con i dem di Elly Schlein, per scegliersi l’avversario. Troppa grazia. I dem sono masochisti alla nascita. Hanno timore, per esempio, a imboccare l’autostrada che porta al Sud. Michele Emiliano in Puglia e Vincenzo De Luca in Campania sono due repubbliche indipendenti, sfuggono al controllo del Nazareno e hanno il sostegno popolare: gli elettori. Schlein è ancora una presenza aliena nel Meridione, non è il suo tema preferito, non c’è assonanza spirituale. Il siciliano Giuseppe Provenzano, ex ministro per il Sud, che avrà maturato una esperienza almeno pratica, ha un bel posto nella segreteria nazionale: per la cooperazione internazionale. Il responsabile per il Sud e per le aeree interne è il napoletano Marco Sarracino, rapida carriera di militante in Campania. Ha raggiunto l’apoteosi quando ha postato una fotografia con i prezzi di un distributore di benzina sulla Salerno-Reggio Calabria: «Quando la realtà è più

La competizione tra FdI e Lega si gioca al Nord. Nel Pd l’argomento è confinato ai margini del dibattito. Tanto più che gli Emiliano e i De Luca sono vissuti come indipendenti

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forte della propaganda di destra». Un aneddoto chiarisce l’attenzione dem al Meridione. Riunione di gruppo alla Camera per nominare i vertici, ci si guarda intorno: manca un deputato che rappresenta il Sud. «Lo faccio io, no tu no, perché no». Alterco. «Vabbè fallo te». Soluzione posticcia. A Roma impastano e sfornano comunicati, a Napoli il presidente De Luca va in cattedra: «Partiamo da un paradosso. Il governo insiste – spiega a L’Espresso – per l’autonomia differenziata, cioè più poteri e competenze alle Regioni. Poi però ogni azione – Pnrr, Zes, Fondi sviluppo e coesione – è per accentrare, togliendo la facoltà di decidere ai territori e alle regioni. Il tutto in una totale assenza di interventi contro la palude burocratica, che paralizza l’Italia e che bloccherà anche i progetti. Risultato: niente investimenti, disoccupazione, emigrazione intellettuale. Non più quella dei nostri padri, ma giovani laureati costretti ad andar via. È necessaria una riforma strutturale. Un problema di fronte al quale girano la faccia tutti i partiti, destra, sinistra, centro». L’appello è completo: «Il Pd? Non sento voce levarsi. Assente. Prendiamo il Fondo sviluppo e coesione, fondi che per legge all’80 per cento spettano al Sud (4 miliardi all’anno, ndr). Non una parola sul fatto che le regioni del Mezzogiorno aspettano lo sblocco di questi fondi da 14 mesi. L’obiettivo del governo è togliere finanziamenti destinati al Sud per spalmarli sul piano nazionale». L’antropologo Marino Niola dà una definizione di questa ritrosia nei confronti del Sud: «Non è un atteggiamento nuovo. Ormai è qualche decennio. Il Sud è il palcoscenico per le rese dei conti. Il Pd abbandonò la giunta Bassolino per l’emergenza rifiuti e ne paga ancora le conseguenze. Il centrodestra non vuole dare “soddisfazione” alle amministrazioni locali e le ostacola quando può. I Cinque Stelle hanno il loro granaio di voti. Altro non si vede. All’orizzonte si scorge Gennaro Sangiuliano, il ministro della Cultura è fra i pochi del governo che punta al Sud. Ha il vantaggio di essere napoletano». È secessione naturale. Non fatelo sapere a Salvini.

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INDISCRETO

Il parterre del petroliere, quello della sicurezza nazionale e il ricevimento post concerto

a cura di Gianfranco Ferroni

FESTE / L’OMAGGIO AD API Per parlare con Aldo Maria Brachetti Peretti in tanti, a cominciare da Gianni Letta, nella Casa delle Armi al Foro Italico, in occasione dei festeggiamenti per i 90 anni di Api, l’azienda petrolifera della famiglia degli eredi di Papa Pio IX. Politici di vecchia data come Arturo Parisi, altri più giovani come Francesco Rutelli, Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, Stefania Craxi, ministri del calibro di Matteo Piantedosi e Matteo Salvini, che ha dovuto subire i saluti di Luigi Abete. E poi grandi manager, uno tra tutti l’ad di Acea Fabrizio Palermo. «Ma chi c’è del Pd?», chiedeva un invitato: «Non lo hai visto Pier Ferdinando Casini?», gli ha risposto un altro.

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CALCIOSCOMMESSE / IL PREQUEL Nel vortice di indiscrezioni e giochi di prestigio di Fabrizio Corona sulle scommesse dei calciatori italiani, si è perso un punto focale: c’è stata una fuga di notizie, da quando? È importante saperlo non tanto e non solo per la giustizia ordinaria che potrà comminare delle multe, quanto per la giustizia sportiva. Già a giugno nel mondo del calcio era noto il vizio

dente Federazione Aziende Italiane per l'Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza, Massimo Claudio Comparini ad Thales Alenia Space e Francesco Tufarelli, già segretario generale del Cnel e tornato tra i dirigenti di Palazzo Chigi.

EUROPEE / LE MIRE DI RENZI di Nicolò Fagioli e cioè che stesse per scoppiare uno scandalo. Si era alla vigilia del calciomercato: avrà influito sul mancato ritorno in Italia dell’omonimo Zaniolo e soprattutto del trasferimento in Inghilterra dell’ex capitano milanista Sandro Tonali? (t.c.)

SPAZIO / IDEA BOCCACCIO Presente e futuro dell’Italia nello spazio, evoluzione dell’industria aerea, della difesa e della sicurezza nazionale, giustizia e garanzie per il cittadino: questi i temi al centro della terza edizione della kermesse “Decamerone delle Idee” , organizzata dal Gruppo The Skill a Grazzano Badoglio, nel cuore del Monferrato, dal 20 al 22 ottobre. Proprio nel Monferrato, Boccaccio ha ambientato una novella del suo capolavoro. Dieci giovani si rifugiano in una villa lontana dalla «metropoli» del tempo e si intrattengono raccontandosi storie, per fuggire dalla peste che nel 1348 flagella Firenze. Nel 2023, tutti nella “Tenuta Santa Caterina”, relais di proprietà di uno dei più famosi penalisti italiani, Guido Carlo Alleva: tre giorni tra degustazioni di vini e caccia al tartufo, con Isabella Bertolini del Csm, Giuseppe Cossiga, presi-

Matteo Renzi ha vinto il congresso di Italia Viva essendo rimasto solo, viste le tante fughe, e si prepara alle elezioni europee con un obiettivo: superare Azione dell'ex alleato Carlo Calenda. In caso (non molto probabile) di riuscita, l'ex presidente del Consiglio creerebbe un nuovo movimento di centro per raccogliere fuoriusciti della stessa Azione, di Forza Italia e anche del Pd. Chissà se per fare opposizione al governo Meloni.

SALOTTI / TUTTI DA LUDOVICA Gli anni passano, ma la tradizione resta immutata: tutti nella residenza romana di Ludovica Rossi Purini, ai Parioli, dopo la serata di musica all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Con l’inevitabile gara tra coloro che apprezzano di più le sette note o la padrona di casa.

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POLITICA IL SERVIZIO PUBBLICO

SbandeRai il capolavoro Tele Meloni BEATRICE DONDI

La partecipazione di Fabrizio Corona da Nunzia De Girolamo. L’aiuto da casa per Pino Insegno. Il successo del fuoriuscito Fazio. I destini incerti del (fu) servizio pubblico

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era un gioco che andava fortissimo nell’era analogica. Si chiamava il gioco del 15, una specie di puzzle di caselle quadrate che andavano mosse per ricostruire la figura. Alza il quadrato, sposta il quadrato. Praticamente quello che sta accadendo con la Rai ai tempi del governo Meloni. Dove chi andava benissimo è stato accompagnato all’uscita, chi funzionava è stato spostato, le nuove tessere sono a rischio naufragio e quello che era un tempo il disegno identitario delle reti sfuma via come acqua sulla sabbia. Perché come cantava la carta celebrativa di Fratelli d’Italia per il primo anno di governo, «dopo anni di immobilismo e di occupazione militare da parte della sinistra, si sono finalmente restituiti alla Rai pluralismo, dignità, programmazione e IL PAPARAZZO prospettive di crescita e sviluppo». Il risul- Fabrizio Corona ospitato di queste mosse a caso è che, stando ai ta da Nunzia De Girodati Auditel elaborati dallo Studio Frasi, nel- lamo per le rivelazioni le prime quattro settimane del palinsesto su calciopoli poi fatte d’autunno la Rai ha perso 248mila spettato- a Striscia la notizia ri nel giorno medio rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il programma di Pino Insegno fa numeri imbarazzanti, “Tango” di Luisella Costama-

gna si ferma al 2 per cento, Nunzia De Girolamo ha bisogno delle truppe cammellate di rinforzo, chiusura anticipata per Max Giusti, flop altalenanti per Caterina Balivo, arranca il trasferimento di Serena Bortone, Monica Giandotti al posto del pensionato Maurizio Mannoni non fa meglio, Manuela Moreno ha chiuso il suo “Filo Rosso” con un triste 2,2 per cento e Monica Maggioni, nonostante l’impegno, non riesce a portare a casa i numeri di Lucia Annunziata. Intanto, mentre tutti coloro che hanno lasciato viale Mazzini si godono il successo sulle altre reti, a partire dal clamoroso risultato di Fabio Fazio sul Nove, a Bianca Berlinguer su Rete 4 fino a Massimo Gramellini su La 7, il governo taglia il canone Rai, da 90 a 70 euro: «Ma è stata fatta una cosa da raccontare agli amici al bar – commenta il senatore Maurizio Gasparri – la Rai avrà gli stessi soldi di prima. Forse si poteva anche dire la verità agli italiani. Ma andiamo per ordine.

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POLITICA IL SERVIZIO PUBBLICO

Il nome forte per Tele Meloni era proprio quello di Pino Insegno ma il “Mercante in fiera” si rivela un disastro. Il picco negativo era stato martedì 3 ottobre, con l’1,6 per cento di share. Potrebbe andare peggio, potrebbe piovere, si continuava a sussurrare nei corridoi di viale Mazzini mentre Insegno, dispensando battute come «ah, studi il giapponese? Io so dire solo a rigato’ quanto me piaci col ragù», veniva invitato da Carlo Conti nel suo “Tale e Quale” per esibirsi come Village People. Ma la pioggia è arrivata inesorabile. Giovedì 12 arriva all’1,7, venerdì 13 all’1,8. A questo punto serpeggia un certo nervosismo, un’intervista di Giampaolo Rossi al Foglio di qua e la chiamata alle agenzie di Roberto Sergio di là, che si indigna per «la violenza mediatica e preventiva» nei confronti del conduttore doppiatore. E siccome le parole sì sono importanti ma i fatti aiutano a crescere, ecco accorrere in studio i vip, come l’aiuto da casa. Gabriele Cirilli e Francesco Paolantoni, l’amico storico Roberto Ciufoli e così via. Peccato che il risultato sia praticamente nullo. Stesso sostegno morale anche per Nunzia De Girolamo ma con giravolte ancora più creative. L'“Avanti popolo” della ex ministra, promossa per motivi misteriosi alla prima serata, debutta in stile “Casa Vianello” intervistando il marito senatore Francesco Boccia ma esordisce con un disperante 3,6 per cento. Così, non contenti di aver sottratto a Rai Tre una qualsivoglia parvenza identitaria, arrivano ben due esclusive. La prima è l'intervista al cardinale Parolin a cui De Girolamo si rivolge come donna e come madre (ricorda qualcosa?). E poi la discussa ospitata di Fabrizio Corona per rivelazioni esclusive sullo scandalo del calcio scommesse. Della serie: Fedez, meglio evitare visto il contenzioso aperto con la Rai, la fiction su Mimmo Lucano ancora senza data in palinsesto, Roberto Saviano con un programma pronto in tasca non sia mai ma per Corona, dieci anni tra carcere, domiciliari e sorveglianza speciale, tre ospitate (dopo “Belve” e “Domenica in”) vanno bene, anzi benissi-

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mo. Ovviamente con il suo costo: «È giusto che per fare informazione la Rai mi paghi più di 30 mila euro», dice ai microfoni de La Zanzara. Serpeggia un certo scontento, si risente persino il ministro Abodi: «A me sembra paradossale che un personaggio del genere possa diventare un portavoce di istituzioni». Ma Corona, a suo dire «l'uomo più famoso d'Italia» entra in studio al grido di «ho un codice etico che mi ha insegnato la galera». Dopodiché partono le rivelazioni per modo di dire, De Girolamo resta con gli occhi incollati alla scaletta di una materia sconosciuta mentre il paparazzo, con la mitezza che lo contraddistingue sfotte “Report” («quello che fanno in quattro mesi io lo faccio in 5 minuti»), mescola ludopatia, consigli ai giovani e scommesse in un minestrone imbarazzante egomaniaco che neppure questa Rai pensava di meritarsi. Alla fine il colpo di scena: «Sono stato censura-

Nelle prime quattro settimane del palinsesto d’autunno la Rai ha perso 248mila spettatori nel giorno medio rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente


Foto pagine 32-33: Ansa Foto pagine 34-35: LaPresse, Agf (4)

to» e corre da Striscia la notizia a fare i nomi attesi. Se non è un capolavoro questo, poco ci manca. E alla fine dopo tutto il polverone arriva solo un altro flop: 742 spettatori. Tra le mosse da campioni da annoverare in questo nuovo corso del servizio pubblico c’è il cosiddetto caso della domenica. Fuoriuscito Fabio Fazio, per riempire la serata festiva si pensa bene di mettere “Report”, nonostante le resistenze iniziali di Sigfrido Ranucci. Succede allora che la prima puntata, in cui si affrontava la La Russa Dynasty abbia un successo notevole, secondo programma più visto della prima serata. Ma il presidente del Senato non gradisce, evita il contraddittorio, corre a lamentarsi da Bianca Berlinguer su Rete 4 e a questo punto i vertici Rai, che potrebbero felicitarsi per il raro risultato, insomma finalmente una buona notizia, fanno i vaghi e nessuno brinda. Passano i fatidici sette giorni e “Che tempo che fa” sbarca sul Nove con un risultato monstre, due milioni e centomila spettatori. Praticamente un debutto superiore a quello del 2022 in Rai che non solo sottrae inevita-

bilmente la platea a “Report” ma che fa anche chiedere in che modo sia stato possibile considerare una buona mossa farsi sfuggire Fazio e compagnia, pesci compresi. Intanto, a risollevare le sorti dei canali allo sbando ci pensano i soliti noti che già funzionavano nelle passate edizioni. Resta saldo al suo posto Pierluigi Diaco, che saltella senza colpo ferire da Rocco Siffredi a suor Paola, forte dell'appoggio espresso dalla premier nel 2019 («Grazie di cuore a Diaco per il sostegno dato al congresso delle famiglie di Verona») mentre si attendono con fiducia i ritorni di Massimo Giletti con l’inizio del nuovo anno e quello di Flavio Briatore in primavera, con “The Apprentice”, il talent del 2012 sugli aspiranti uomini d’affari chiamati a raggiungere l’obiettivo. Così torna alla mente quanto dichiarato dalla presidente Marinella Soldi: «Questi palinsesti nascono nel segno dell'innovazione e questo ci fa pensare ad Angelo Guglielmi, maestro di tv e di innovazione. Credo che avrebbe amato essere qui e vedere come stiamo cercando di cambiare la Rai». E come darle torto.

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VOLTI Da sinistra, in senso orario, Monica Maggioni, Pino Insegno, Giorgia Meloni, l’ad Rai Roberto Sergio, Fabio Fazio e Luciana Litizzetto

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POLITICA VERSO LE ELEZIONI

Boccia, l’eterno emergente vuole l’Europa SUSANNA TURCO a sua ospitata nella prima puntata del programma tv della moglie – una intervista tra coniugi criticatissima nel metodo, noiosissima nel merito – segna bene o male la svolta, l’ingresso in una nuova fase. Dopo una vita da mediano, come ebbe a dire una volta citando Ligabue, a recuperare palloni democratici per conto di altri, a 55 anni Francesco Boccia aspira a preparare quella che per prenderlo in giro nel Pd chiamano «rivoluzione»: diventare capocorrente, finalmente di sé stesso. Al centro della scena, e non più in conto terzi. Passaggio intermedio: candidarsi alle Europee, ipotesi che circola da settimane nelle stanze del Pd suscitando varie gradazioni di scandalo. Aspirazione finale: approfittare del gran vuoto e confusione che l’elezione di una segretaria del Nord ha comportato al pe Conte (senza decreto di nomina) e suo Meridione, per prevalere sugli ministro ai tempi del governo giallorosso, altri pretendenti (tipo Miche- luogotenente ombra di Letta segretario le Emiliano, Antonio Deca- del Pd, responsabile enti locali, in pratiro, Peppe Provenzano) e di- ca addetto agli affari correnti, alle seccaventare lui il gran capo del Sud ture, alle umidità. Ma era stato prima andemocratico. «E mo’ ci vuo- che nella segreteria di Nicola Zingaretti, e le», avrebbe detto sua nonna a quella volta in un ruolo mitologico: dovequesto punto. va addirittura far nascere il «Pd digitale» e Suona in effetti come un az- costruire sulla rete la risposta alla piattazardo da esclamativo. Perché forma Rousseau dei Cinque Stelle. Non si nei suoi venticinque anni in è fatto, come si vede, mancare nulla. politica Boccia è sempre staLa vera svolta è però arrivata con Elly to il qualcosa di qualcun altro: Schlein. Non soltanto perché Boccia è rigiovane economista nell’Arel uscito a farsi scegliere capogruppo al Sedi Beniamino Andreatta (vi arrivò da stu- nato ed è quindi praticamente l’unico dente della London School of Economics, della vecchia guardia ad essere stato proinviando un paper), assistente tecnocrate mosso anche nella nuova guardia, il che di Enrico Letta al ministero dell’Industria dimostra una certa abilità di movimento. a cavallo del millennio, candidato perden- Soprattutto perché schierandosi con lei te (per due volte) alle primarie pugliesi durante la battaglia per le primarie (era contro Nichi Vendola, alleato stretto del coordinatore della sua mozione) Boccia reuccio di Puglia e governatore Michele ha fatto finalmente l’esperienza epocale Emiliano, vicepremier di fatto di Giusep- di stare dalla parte di chi vince, a sorpre-

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Reduce dall’ospitata in tv dalla moglie, il capogruppo del Pd al Senato ha un pensiero: candidarsi a Bruxelles e diventare finalmente il capocorrente di sé stesso

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Foto:S. Montesi - Corbis / Getty Images

sa, contro tutti. Una cosa che non gli era mai capitata prima. Da questo punto di vista la sua carriera politica si è come finalmente riconnessa al punto di trauma vissuto vent’anni fa, quando alle primarie pugliesi Boccia fu il candidato dell’apparato dei Ds e della Margherita, il candidato di tutti da Prodi a D’Alema, contro Nichi Vendola. Il pupillo di Bertinotti era lo sfavorito, ma perse Boccia, quello che in teoria era predestinato, modello Bonaccini. Ecco, in questa primavera 2023 l’ex ministro delle Regioni è riuscito infine a ribaltare quel destino. Si è trovato così di fronte una prateria mai vista prima. E un ventaglio di possibilità infinito. Anche perché tra i vicinissimi a Elly Schlein è quello con maggior esperienza parlamentare, il che lo rende più ascoltato, una specie di cardinale Richelieu almeno come modello aspirazionale. E anche perché per lui tutta questa storia si è svolta in un continuum: come ebbe a dire nell’assemblea regionale dem puglie-

ASPIRAZIONE Francesco Boccia, capogruppo dem al Senato, aspira a un seggio europeo

se di aprile a Bari «è in corso una rigenerazione del Pd che è sotto gli occhi di tutti e in Puglia questa rigenerazione è anche il frutto dell’esperienza dei vent’anni che abbiamo alle spalle». Insomma ha fatto tutto lui, prima e dopo. Perché Boccia è come la natura nella formula di Linneo: non facit saltus. Non a caso, ai tempi della segreteria Letta, lo chiamavano «tardigrado», come quegli organismi acquatici che possono sopravvivere a qualsiasi temperatura, anche all’ibernazione, o stare trent’anni senza mangiare né bere, indifferenti al clima politico e quindi impossibili da uccidere. Per questa via, dunque, il capogruppo al Senato ha, da marzo a oggi, rafforzato la sua posizione, utilizzando anche con una certa spigliatezza quegli spazi che la segretaria dem ha magari preferito non occupare militarmente di suo. Come ad esempio in Rai, dove ha preso via via piede il più preciso tra i suoi luogotenenti, Stefano Graziano, ex giovane Dc e Udc, passato al Pd insieme con Marco Follini, entrato la prima volta in Parlamento nel 2008 (come Boccia), oggi membro della commissione di Vigilanza oltreché della commissione Difesa per il Pd. Ecco, naturalmente, non c’entra niente con questo l’ospitata da Nunzia De Girolamo, che ha fatto imbestialire tre quarti del Pd (e addormentare il restante quarto) che è forse il primo tentativo di Boccia di andare oltre sé stesso. Mostrando la propria attitudine al dialogo, sempre utile per futuri accordi, l’ambizione di poter essere un personaggio a tutto tondo, che parla del salario minimo ma anche di Israele (migliorabile) e della sua Bisceglie. E mostrando, dopo i grigi anni lettiani, la sua sempre coltivata aspirazione a essere pop: già quando chiuse le primarie contro Vendola, a celebrare la serata finale arrivò nientemeno che Franco Califano a cantare “Tutto il resto è noia”. Uno che dopo di lui, ospite ad “Avanti popolo”, ci sarebbe stato benissimo.

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EMERGENZA CRIMINALITÀ POLITICA Insieme con interventi di tipo sanzionatorio e repressivo è necessario investire nella prevenzione e nel recupero. Serve agire sulle famiglie fragili e col supporto delle scuole

Sui reati minorili non è sufficiente la leva giudiziaria PAOLA BALDUCCI* a devianza minorile e, nello specifico, la criminalità giovanile rientra tra le problematiche che destano maggiore preoccupazione a livello sociale. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a eventi tragici di fronte ai quali è nostro dovere chiederci quali siano le lacune da colmare. Sicuramente appare necessario pensare a sanzioni ad hoc per i minori, differenti da quelle per gli adulti, che tengano in considerazione la condizione evolutiva e ne accompagnino uno sviluppo adeguato. È fondamentale promuovere forme di giustizia riparativa che permettano di far acquisire al minorenne coscienza e consapevolezza del disvalore arrecato alla vittima, indirizzandolo verso una maggiore responsabilizzazione e rappacificazione con la società. La previsione di nuove norme è importante, ma non è sufficiente. Accanto ad interventi di tipo sanzionatorio e repressivo è necessario investire nella prevenzione e nel recupero. Più spazio, infatti, andrebbe riservato al rafforzamento di strumenti educativi. La famiglia, come luogo dove si sviluppa la personalità del minore, e la scuola, dove si apprendono le prime regole della convivenza sociale, hanno un ruolo fondamentale nell’educazione delle nuove generazioni. Tuttavia, assistiamo ancora oggi ad un fenomeno, quello della dispersione scolastica che continua a destare preoccupazione. I dati presentati dalla Relazione al Parlamento 2022 dell’Autorità garante per l’infanzia e l’a- ADOLESCENTI dolescenza, sono allarmanti. Il 22,7 % dei fi- Ragazzi davanti a un gli di chi ha al massimo la licenza media non liceo della Capitale arriva al diploma e circa il 22% di chi lascia la scuola ha genitori con professioni non quali-

Foto: Agf

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ficate o che sono disoccupati. Tra gli studenti stranieri il tasso di abbandono è risultato tre volte maggiore di quello degli italiani, con pesanti divari tra il Settentrione e il Meridione. In ragione di ciò, è necessario investire risorse per rendere eccellenti le scuole e i servizi frequentati dai minori che vivono in condizioni di particolare vulnerabilità. Inoltre alle famiglie più fragili dovrebbero essere offerti interventi su misura da parte di équipe multidisciplinari. Per combattere il dilagare della devianza minorile, è imprescindibile l’intervento congiunto e sinergico di tutti i protagonisti della nostra società, istituzionali e no, finalizzato ad eliminare ogni singolo fattore che contribuisca a creare i presupposti per lo sviluppo del fenomeno. Sarebbe opportuno – e questo è un lavoro che deve essere svolto a livello Istituzionale – promuovere iniziative didattiche, culturali, sociali improntate alla valorizzazione della cultura della legalità in ogni ambito del vivere civile. Sul punto, è fondamentale dirottare i fondi del Pnrr non solo in impianti edilizi ed informatici, bensì nella costituzione di istituzioni socio-sanitarie formate da un maggior numero di psicologi e psicoterapeuti che siano in grado di gestire le innumerevoli problematiche che caratterizzano gli adolescenti di oggi. Essenziale, altresì, sarebbe la previsione di équipe multidisciplinari formate da dirigenti scolastici, assistenti sociali, giudici minorili, psicologi, educatori di strada e di comunità che dovrebbero trovare soluzioni all’interno di un progetto condiviso in un’ottica sanzionatoria – per fornire la percezione del limite – ed educativa per offrire al minore un esempio di buone prassi e comportamenti per vivere in modo costruttivo all’interno della società. Bisogna agire oggi, prima che sia troppo tardi, con la consapevolezza che i minori sono i protagonisti del futuro. *Avvocata, componente della Commissione per la riforma del processo penale

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POLITICA IL BUSINESS MIGRANTI

Violenza e affari la lobby dei Cpr ADIL MAURO l 22 ottobre 2009 Stefano Cucchi, geometra di 31 anni, arrestato perché trovato in possesso di sostanze stupefacenti, moriva nel reparto detenuti dell’ospedale Sandro Pertini dopo una settimana nelle mani dello Stato. Per la sua morte il 4 aprile 2022 la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva a dodici anni di reclusione i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. Per i depistaggi altri otto militari dell’Arma – compreso il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma – sono gico, perché quelle che vedi sono delle vere e proprie stati condannati in primo grado a scontare gabbie. Corpi abbandonati, spesso buttati a terra sencomplessivamente 22 anni di carcere. za fare assolutamente nulla per tutto il giorno, nella L’anno scorso Ilaria Cucchi, la sorel- sporcizia e nel disordine. Mi è stato riferito che il 90% la di Stefano, si è candidata alle elezioni degli ospiti, così vengono chiamati, anche se io utilizpolitiche con la lista Alleanza Verdi e Si- zerei il termine detenuti, fa utilizzo di metadone senza nistra ed è stata eletta al Senato. In que- alcun piano terapeutico». sti mesi ha avuto modo di continuare il Ma le criticità legate a questi centri non sono solsuo impegno per il rispetto dei diritti ci- tanto di tipo sanitario. Secondo quanto segnalato dalvili e umani visitando due volte – a mar- la Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild) sono zo e aprile – il Centro di permanenza per il 56 i milioni di euro previsti nel periodo 2021-2023 per rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria, nella pe- affidare la gestione dei Cpr a soggetti privati. riferia di Roma. La possibilità che sulla privazione della libertà perI Cpr sono luoghi di detenzione ammi- sonale qualcuno possa trarre ingenti profitti è uno nistrativa in cui vengono reclusi i cittadini degli aspetti più controversi di questa forma di denon comunitari sprovvisti di un regolare tenzione senza reato e ne segna un ulteriore carattedocumento di soggiorno oppure già desti- re di eccezionalità, come denuncia Cild in un rapporto natari di un provvedimento di espulsione. dall’eloquente titolo “L’affare Cpr. Il profitto sulla pelIl governo di Giorgia Meloni, nell’ambito le delle persone migranti”. Il dossier della Coalizione delle norme contro l’immigrazione irre- descrive il passaggio dalla gestione pubblica a quella golare, ha deciso di innalzare a 18 mesi il privata dei centri e ricostruisce in maniera dettaglialimite massimo di trattenimento in questi ta le attività delle multinazionali Gepsa e Ors, della socentri. Cucchi ha presentato un’interroga- cietà Engel s.r.l. e delle Cooperative Edeco-Ekene e Bazione parlamentare sulla somministrazio- dia Grande che hanno contribuito, negli anni recenti, ne di psicofarmaci all’interno della struttu- a fare la storia della detenzione amministrativa in Itara di Ponte Galeria. «C’ero già stata nel 2013 lia. Una storia segnata da continue violazioni dei di– spiega – Ricordavo un luogo terribile, ma ritti delle persone detenute e interessi economici che non ai livelli in cui l’ho trovato pochi mesi preoccupano anche Cucchi, e hanno innescato anche fa. Sembra di essere in un giardino zoolo- un conflitto di poteri tra la magistratura di Catania,

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Nel nome dell’impegno per la verità sulla morte del fratello, la senatrice Ilaria Cucchi denuncia gli interessi intorno all’affare dei centri di permanenza. In ballo 56 milioni di euro


che ha respinto dieci convalide SENATRICE di trattenimenti di migranti, e Ilaria Cucchi, sorella ra e Telos risale a un documenil ministero dell’Interno, con di Stefano, morto per to del 2020 firmato da Lutz il contorno di polemiche che un pestaggio ad ope- Hahn, direttore della comuhanno investito il pm Iolan- ra di carabinieri, il 22 nicazione di Ors Management da Apostolico. «C’è gente che ottobre 2009. A deAg, nel quale si delega la lobby specula sulla pelle di queste stra, il Cpr di Ponte per l’organizzazione di incontri persone e non gente qualsiasi. Galeria a Roma con rappresentanti istituzionaParliamo di lobby rappresenli. Nulla di illegale, ma è intetate in Parlamento. Tutto questo avviene ressante osservare come Ors sia l’unica tra nell’indifferenza generale e sotto gli occhi le cooperative e società che hanno gestito o dei vari governi che si sono avvicendati in gestiscono un Cpr ad avere consulenti che questi anni», dice la senatrice Cucchi. la rappresentano alla Camera dei deputaIl riferimento è al Gruppo Ors Ag, con ti. «È una situazione di cui nessuno parla sede centrale a Zurigo e attivo da oltre perché evidentemente le responsabilità potrent’anni in tutta Europa. Sulle modalità litiche sono di tutti», afferma la senatrice. repressive adottate in alcuni centri svizzeri «Il concetto – aggiunge – è molto semplice: e austriaci sotto responsabilità della multi- più migranti ci sono, più ci si guadagna sonazionale (che attualmente gestisce il Cpr pra. È questo il vero business e adesso avdi Ponte Galeria) esistono inchieste giorna- viene sotto gli occhi della destra che ne ha listiche e rapporti di Amnesty Internatio- fatto oggetto della sua perpetua campagna nal e Medici senza frontiere. In Italia Ors si elettorale. Quanto costa allo Stato finanè affidata al lavoro di lobby svolto da Telos ziare dei luoghi che ricordano i lager libici? Analisi e Strategie, uno «studio professio- La gestione di questi centri è tutt’altro che nale che aiuta i propri committenti a com- trasparente». E secondo Ilaria Cucchi il filo prendere l’ambiente nel quale si posiziona- che unisce vicende come quella di suo frano ed operano e ad interagire con tutte le tello a quelli delle persone recluse nei Cpr istituzioni e gli stakeholder in modo effica- è «la violenza di Stato nei confronti di chi ce». L’accordo tra la multinazionale svizze- non può difendersi».

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BELLE STORIE

La vittima dello stupro di Palermo si racconta sui social contro la violenza del tribunale popolare

Francesca Barra

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iate sempre voi stesse: la vita è nostra, le decisioni che prendiamo non cambiano la vita alle persone che ci giudicano, ma a noi stesse. Qualsiasi cosa possano dirti penso che la felicità derivi da noi, ricordandoci sempre che la nostra libertà finisce quando inizia quella dell’altro. Di conseguenza se ci viene repressa qualsiasi forma di libertà dobbiamo reagire, denunciare e conseguentemente ripartire ristabilendo quella libertà che ci è stata lesa, continuando a portare la sofferenza sulle spalle, ma con il tempo si potrà piazzare al di sotto della piante dei nostri pie-

La forza di esporre una vita violata e i leoni da tastiera di. Cammineremo per sempre con essa, ma sarà sotto quello che la vita ci ha riservato». Ci sarà un tempo in cui il dolore sarà accucciato al di sotto delle sorprese che la vita ci riserverà. Sono le meravigliose parole cariche di speranza che condivide con me la ragazza vittima della violenza a Palermo. Sono un ricamo che riempie un tessuto sgualcito, la bellezza che arriva a ripulire il fango causato non solo dallo stupro, ma dagli insulti e dalle minacce che ha ricevuto sui social. La seguo spesso durante le sue dirette, parla di tutto e cambia spesso registro. A volte racconta il suo quotidiano, altre volte si anima e conduce la sua piccola, enorme, faticosissima battaglia. Con le parole prova a disinnescare quella bomba che ha piazzato nella sua vita chi l’ha

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privata dei suoi giorni felici. Utilizza i social perché sono una compagnia in questo momento di lontananza da Palermo, ma anche perché ha voglia di cambiarlo questo mondo, di fare sentire la sua voce, la sua verità, la sua forza. Si racconta, mescola ricordi, delusioni, nostalgie e poi sorride all’improvviso e quando arriva è una lama perché è talmente bella la leggerezza dei vent’anni che avrebbe meritato di portarseli addosso soltanto così: con spensieratezza. E infatti dura poco perché la rincorre immediatamente un’ombra e lei ritorna a essere corrucciata e disincantata. Poi la diretta finisce e io resto al buio ogni sera con i miei interrogativi: perché una ragazza che ha subito uno stupro deve subire un tribunale popolare in cui a commentare la sua condotta è il signor chiunque? Perché il mondo non riesce a condannare all’unanimità la violenza? I giudizi sono sempre un’ennesima abrasione per le vittime. Lei sa che proveranno a chiudere la bocca a tante altre vittime, che tante saranno “scoraggiate” dal denunciare, tante ancora saranno messe sotto accusa per un abito, una fotografia, un invito accettato, un bicchiere di vino. Tante saranno costrette a lasciare la propria terra, gli amici, la famiglia, a rimettere in discussione tutto senza averne responsabilità. Quando gli argomenti di cronaca non occupano più le prime pagine dei giornali e i salotti televisivi, i protagonisti dopo essere stati usati per alimentare il dibattito, vengono dimenticati. E, peggio, viene dimenticato il motivo per cui abbiamo iniziato la discussione: per difendere la libertà. Dovrebbe essere il nostro unico obiettivo quando discutiamo la vita degli altri. Soprattutto quando violata. Lei lo sa, purtroppo.


VIOLENZA POLITICA Il report della Fondazione Libellula sui segnali d’allarme tra ragazzi: soltanto il 29 per cento degli intervistati ritiene falsa l’affermazione “se il partner ti controlla è perché ti ama”

Relazioni tossiche che gli adolescenti non riconoscono CHIARA SGRECCIA uardare di nascosto il cellulare del proprio partner. Dirgli come vestirsi. Impedire che faccia nuove amicizie online sono tutte forme di controllo. Che, però, in molti casi gli adolescenti non riconoscono. E non definiscono violenza. Dimostrando quanto ancora la cultura patriarcale influenzi il processo di crescita dei giovani tra i 14 e i 19 anni nel nostro Paese. Soprattutto i maschi. Ad esempio, mentre il 51 per cento delle adolescenti riconosce come una forma di violenza chiara il dire al proprio compagno quali abiti indossare, solo il 24 per cento dei ragazzi la pensa allo stesso modo. Ma c’è di peggio: soltanto il 29 per cento degli intervistati ritiene completamente falsa l’affermazione «se il partner ti controlla è perché ti ama», ancora meno quelli in disaccordo totale sulla frase «se una ragazza dice no in realtà vorrebbe dire sì». Come emerge dall’indagine “La violenza di genere in adolescenza”, realizzata dall’Osservatorio della Fondazione Libellula, che L’Espresso ha letto in anteprima, gelosia, possesso, aggressività, invasione degli spazi e dei tempi dell’altro vengono troppo spesso considerati come espressione di interesse da parte del partner. Invece che come manifestazioni di violenza, manifestazioni di rapporti non sani. E anche i concetti di re- LA RICERCA sponsabilità individuale e di consenso non “La violenza di genesempre sono chiari: poco più della metà de- re in adolescenza” è il gli intervistati pensa che baciare qualcunə titolo della ricerca resenza consenso sia un evidente sopruso. alizzata dall’OsservaPer il 15 per cento, invece, lo è «per nulla o torio della Fondazione poco». Libellula La capacità di riconoscimento delle varie

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modalità attraverso cui la violenza può manifestarsi è parziale tra gli adolescenti, soprattutto quando è psicologica. E la consapevolezza, quando c’è, è maggiore tra le ragazze. Meno di un terzo dei maschi tra i 18 e i 19 anni, si capisce infatti dall’analisi, considera inaccettabile la messa in atto di comportamenti violenti a seguito di un tradimento. Per quasi l’80 per cento delle intervistate, invece, lo è senza dubbio. Sono dati che, come sottolinea Giuseppe Di Rienzo, managing director della Fondazione, «fanno riflettere sulla narrazione normalizzante – e anzi, spesso romanticizzata – a proposito di violenza nelle relazioni affettive. Ma la nostra cultura non ha tramandato solo questo: i ragazzi che hanno subito violenza tendono a parlarne molto meno delle ragazze. Sia con gli amici, sia in famiglia, sia con gli enti preposti. Probabilmente qui entrano in gioco gli stereotipi e il mandato di non apparire come vulnerabili». Dall’indagine “La violenza di genere in adolescenza”, infatti, emerge con chiarezza che sono soprattutto i maschi ad aver introiettato i paradigmi su cui si regge il sistema patriarcale. Dannosi perché impediscono l’instaurarsi di rapporti equi e paritari, la scoperta e l’espressione libera della propria identità. «Ai ragazzi si parla poco di emozioni, di affetti e del loro legame con la sessualità. Anzi quando esprimono paura, tristezza o disorientamento rischiano di ricevere messaggi di riprovazione. Come se essere maschi comportasse l’impossibilità di mostrare sofferenza e bisogno. Con tutte le conseguenze sul piano personale e delle relazioni che questo comporta», si legge tra le conclusioni del report che verrà presentato il prossimo 24 ottobre. «Per cambiare le cose è necessario agire adesso – spiega Di Rienzo – parlarne il più possibile, fare educazione coinvolgendo scuole, famiglie, comunità e istituzioni in un dialogo attivo».

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ESTERI MEDIO ORIENTE IN FIAMME

Finché c’è guerra c’è profitto


Il titolo Leonardo vola in borsa, come era già successo con l’Ucraina. Un boom che conferma la svolta sempre più pronunciata del gruppo. Dalla tecnologia avanzata a produttore di armamenti GLORIA RIVA indicazione degli analisti è Buy, Comprare. A Piazza Affari il titolo dell’italiana Leonardo valeva 12,94 euro venerdì 6 ottobre, il giorno della quiete, prima che una tempesta di cinquemila razzi piovesse su Israele e i proiettili di Hamas interrompessero le danze all’alba dei giovani a Sderot. La risposta di Israele non si è fatta attendere, mentre il mondo si muove verso un conflitto israelo-palestinese che rischia di travolgere il Medio Oriente. Quindi l’aspettativa dei mercati è che gli affari per Leonardo non possano che migliorare: ecco perché alla riapertura della Borsa il titolo ha cominciato a volare. Il decollo azionario è cominciato venti mesi fa, quando i carri armati russi hanno invaso l'Ucraina. Il 23 febbraio 2022 Leonardo valeva 6,4 euro, due giorni dopo 9 euro, il 6 ottobre ‘23 viaggiava a 12,94 euro, il 102 per cento in più, il 12 ottobre ha registrato un balzo del 123,5 per cento a 14,31 euro. È la guerra e la corsa agli armamenti a far crescere le aspettative degli azionisti, anche se non tutti se ne sono accorti: mentre le prime pagine dei giornali raccontavano l’orrore in Palestina, nella sezione economia si ipotizza che l’apprezzamento per Leonardo, società partecipata dal ministero dell’Economia al 30 per cento e che si occupa per lo più di difesa militare, fosse da imputare alla futura svolta societaria verso intelligenza artificiale e cybersecurity. Racconta Mauro Meggiolaro di Shareholders for Change che il militare rappresentava il 49 per cento del fatturato di Leonardo nel 2013, cinque anni dopo era al 68 per cento e oggi il militare pesa per l’83

ROVINE Un palestinese tra le rovine di Gaza dopo i bombardamenti israeliani

Foto: H Eslaiah – Ap / La Presse

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ESTERI MEDIO ORIENTE IN FIAMME

per cento. Lo stesso amministratore delegato e direttore generale di Leonardo, Roberto Cingolani è convinto che «in futuro la guerra si farà con i byte più che con i proiettili», ma nel frattempo una task force al lavoro 24 ore su 24 sta progettando un nuovo sistema di difesa dedicato all’Europa, confermando che per ora la guerra si continua a fare con i “bullet”: «La situazione geopolitica europea è in drammatico mutamento, al punto che i piani di cinque anni fa sono ampiamente superati. Stiamo lavorando con società tedesche per disegnare un più forte programma di difesa dello spazio europeo. Non posso essere più esplicito, ma a inizio 2024 la direzione risulterà chiara», e poco dopo precisa che in questo piano di difesa «avrà certamente un ruolo Oto Melara», ovvero uno fra i rami più militarizzati di Leonardo, specializzato in cannoni, munizioni, blindati, mezzi militari. Questo progetto fa il paio con il Main Ground Combat System per lo sviluppo di un nuovo carro armato dove i tedeschi hanno teso la mano agli italiani di Leonardo. Di sicuro le parole di Cingolani sono una poco rassicurante novità per quella che è stata a lungo la tranquilla Europa. Il pericolo potrebbe venire dalla Russia o dal Medio Oriente, dove nei giorni scorsi decine di migliaia di manifestanti si sono radunati nelle piazze in sostengo ai palestinesi. A Baghdad gli iracheni hanno sventolato bandiere palestinesi, bruciato quella di Israele e cantato slogan anti americani. Mentre in Iran cittadini vestiti di un sudario bianco manifestavano la propria disponibilità a combattere fino alla morte per la Palestina. In questo clima di altissima tensione, l’assenza di diplomazia internazionale spinge i paesi a trovare conforto nella corsa agli armamenti: perché se è questa la piega che sta prendendo la storia, allora è meglio farsi trovare preparati. Cinicamente, si può quindi festeggiare per i risultati della semestrale di Leonardo, che snocciola risultati record, su tutti i 40 miliardi di ordini ancora inevasi e in attesa di essere soddisfatti, con una crescita del 21,4

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per cento rispetto allo stesso periodo del 2022. A fare la parte del leone è soprattutto la Difesa, declinata in forma di elicotteri inviati massicciamente in Polonia, Austria, alla Royal Air Force inglese e agli Stati Uniti, ma anche di sensori di ultima generazione per gli aerei della Raf, motori elettrici per sottomarini e elettronica per la Difesa, una svolta militare favorita anche dall’esperienza maturata da Lorenzo Mariani, condirettore di Leonardo, ai vertici della controllata Mbda, principale consorzio europeo per la produzione di missili. Orientativamente la previsione è chiudere il 2023 a 17 miliardi di nuovi ordini, mentre i ricavi potrebbero aggirarsi attorno ai 15,6 miliardi di euro. Le commesse provengono da aree del mondo in passato poco esplorate, come Tailandia, Indonesia, Vietnam, Turkmenistan, India per merito di un presidente, Stefano Pontecorvo, nominato ad aprile che, a differenza dei predecessori - pochissimo esperti del mondo e quindi poco autorevoli presso i governi stranieri -, è stato un ambasciatore di altissimo profilo, con ruoli diplomatici in Pakistan, Londra, nell’Africa sub-sahariana, Mosca, Bruxelles e ha coordinato per la Nato l'evacuazione dell’aeroporto di Kabul. Ora il suo compito è portare Leonardo all'attenzione dei paesi stranieri. E ci sta riuscendo, per esempio, in Arabia Saudita dove c’è grande attenzione per i progetti di Leonardo. In particolare l’Arabia Saudita è interessata a salire a bordo del Global Combat Air Program, il programma di Regno Unito, Italia e Giappone per lo sviluppo di un aereo da combattimento di sesta generazione, che coinvolge l'inglese Bae System, Leonardo e Mitsubishi Heavy Industries. La scelta di Pontecorvo da parte di Giorgia Meloni, molto attenta alle relazioni diplomatiche, è una precisa indicazione di quale sia la direzione che la storia sta prendendo, ovvero il riarmo. Se Pontecor-

L’Arabia Saudita è interessata a partecipare al Global Combat Air Program, che unisce Regno Unito, Italia e Giappone per lo sviluppo di un aereo da combattimento di sesta generazione


Simone Alliva

Cronache

Si scatenano razzisti e antisemiti

Foto: Agf (2)

VERTICI Il caccia leggero M-346FA. A destra, i vertici di Leonardo. Dall’alto: il condirettore Lorenzo Mariani, l’amministratore delegato Roberto Cingolani e il presidente Stefano Pontecorvo

Dal primo e feroce attacco di Hamas contro Israele lo scorso 7 ottobre è visibile in Europa il diffondersi di un duplice e pericoloso fenomeno: da una parte la rinascita di un mai del tutto sconfitto antisemitismo e dall’altra parte un inasprirsi di sentimenti antimusulmani. Dopo l’attacco del terrorista che a Bruxelles ha assassinato due tifosi svedesi e si è proclamato soldato dell’Isis, gli ebrei tornano ad avere paura anche Berlino, dove le porte di casa di alcune persone sono state segnate con la stella di David, riferimento lugubre al modo in cui regime nazista li perseguitava. In Francia, questa settimana, sono stati segnalati una cinquantina di episodi definiti «antisemiti» dalle autorità. In un’intervista televisiva il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha parlato di capannelli di manifestanti che si sono radunati di fronte alle sinagoghe, urlando minacce. Gli episodi di antisemitismo in Gran Bretagna sono più che triplicati. Lo afferma un ente di beneficenza che aiuta gli ebrei nel Regno Unito. Il Community Security Trust (Cst) che ha registrato 89 episodi di “odio antiebraico” dal 7 al 10 ottobre, segnando un aumento del 324% rispetto ai 21 episodi di antisemitismo registrati nello stesso periodo dell’anno scorso. L’antisemitismo che è cosa diversa dalla opposizione o critica o denuncia anche durissima della politica di Israele, cresce anche in Italia: cinque episodi in soli 4 giorni, da quando si è incendiato il conflitto. I dati arrivano dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea: quattro si sono registrati in un solo giorno, l’11 ottobre. L’odio viaggia anche attraverso le reti sociali che sono una finestra e uno specchio sulla vita reale. Anche se il monitoraggio del 2023 è reso difficile da diversi fattori, tra questi anche le misure prese da X (ex Twitter) che ha bloccato, ad esempio, molti account legati ad Hamas: «L’antisemitismo in Italia alterna fasi di latenza a fasi in cui si scatena», spiega Silvia Brena, del direttivo della rete nazionale Contro l’Odio e a capo di Vox Diritti. «La mappatura avviene tramite un algoritmo che funziona per parole chiave, come “rabbino”, “usuraio”. Poi vengono scremati quelli che effettivamente sono negativi. Prima del 2020 c’erano molti tweet neutri. Nell’ultima rilevazione siamo passati dal 7% di tweet positivi e il 93% di tweet negativi. Un dato molto alto».

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vo fosse finito al ministero degli Esteri sarebbe stata lampante una svolta verso la mediazione internazionale, che in questo momento non c’è in Italia, né altrove. Invece l’indicazione data a Pontecorvo è quella di portare Leonardo nel mondo e proseguire quel ruolo di partner fondamentale per lo sviluppo delle armi del futuro, dai carri armati, agli aerei da combattimento, fino ai sottomarini classe Columbia, che Leonardo sta contribuendo a costruire per la Us Navy. Del resto, sono tutti programmi con sbocchi commerciali interessanti, se pensiamo al piano di aumento della spesa militare al due per cento del Pil che tocca l’Italia, così come la Germania, paese che prevede un programma da 405 miliardi di euro di nuovi armamenti. Quindi non sorprende che mentre la borsa mondiale perde il 20 per cento di valore, i produttori di armi re-

gistrano una crescita di capitalizzazione del 15 per cento. Uno studio realizzato da Greenpeace Italia, visionato in esclusiva da L’Espresso, sostiene che le prime dieci aziende italiane esportatrici di armi tra il 2021 e il 2022 hanno beneficiato di un aumento del 68 per cento dei profitti, specificando che: «Gli effetti della guerra su ricavi e i profitti inizieranno a vedersi nel bilancio 2023 perché le armi, a differenza di gas e petrolio, non sono vendute in tempo reale su mercati internazionali a negoziazione continua e prezzi trasparenti», c'è scritto nel report. Sofia Basso di Greenpeace commenta: «Il governo ha deciso di tassare gli extra profitti delle aziende fossili e Greenpeace chiede quindi che siano tassati anche gli extraprofitti delle aziende della difesa, perché nessuno possa beneficiare delle stragi di civili e di militari. La corsa al riarmo va fermata».

Domenico Fracchiolla*

L’analisi

Colpire Hamas non i civili inermi l filosofo liberale Karl Popper sottolineava il diritto/dovere dei tolleranti di essere intolleranti con gli intolleranti. La solidarietà verso Israele e l’azione di contrasto militare ad Hamas come autodifesa sono atti dovuti e importanti della Comunità internazionale nei confronti di un membro aggredito brutalmente. Tuttavia, bisogna distinguere l’organizzazione terroristica di Hamas, il cui consenso è diffuso solo in una minoranza di fanatici, dalla maggioranza del popolo palestinese e in particolare degli abitanti di Gaza city, civili inermi che da sedici anni vivono in una prigione a cielo aperto. Il diritto ad esistere di Israele è incontrovertibile, come il diritto a sopravvivere degli arabi palestinesi. Il conflitto in corso ha punti in comune, ma anche profonde diversità con le guerre precedenti. Per le possibili implicazioni internazionali è la guerra civile del 1948 quella che più si avvicina allo scontro attuale.

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Molte analisi convergono sulla possibilità che il riavvicinamento diplomatico di Israele con l’Arabia Saudita abbia agito da detonatore al conflitto, inducendo potenze regionali interessate, a partire dall’Iran, a benedire l’offensiva di Hamas. Già se il conflitto dovesse concludersi oggi, sarebbe impossibile per Mohammad Bin Salman firmare un’intesa con Israele, dopo la reazione sanguinosa di Israele all’attacco subito. Lo spirito dell’unità araba contro Israele in parte potrebbe sopravvivere. La guerra dei 6 giorni del 1967 è all’origine dei problemi attuali, per l’incapacità della Comunità Internazionale e soprattutto delle Nazioni Unite di imporre a Israele l’applicazione della risoluzione 242 del CdS sul ritiro di Israele dai territori occupati e la soluzione del problema dei profughi. La guerra dello Yom Kippur del 1973, da molti ricordata, ha in comune l’effetto sorpresa, ma si tratta di una guerra simmetrica tra eserciti, mentre il conflitto attuale è una guerra asimmetrica, tra un esercito regolare e un esercito di guerriglieri fanatici di Hamas e di hezbollah che non può misurarsi in uno scontro in campo aperto e per questo preferisce at-


CONSORZIO Il “blindato cacciacarri” Hermes II, prodotto da un consorzio di cui fa parte Oto Melara, del gruppo Leonardo

Sulla stessa linea Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica: «È un errore sostenere l’economia del riarmo, soprattutto in un paese che ripudia la guerra per Costituzione. È vero che Pil e mercati stanno premiando le industrie delle armi, ma se queste non diversificano la produzione fra militare e l’ormai residuale civile, possono trovarsi fuori dal mercato non appena le tensioni internazionali si raffredderanno. Sviluppare tecnologie, linee produttive e organizzazione commerciale per nuovi settori produttivi richiede molto tempo, molti capitali e molto coraggio».

Carri armati, aerei, i sottomarini per la Us Navy. E le ordinazioni sono destinate a crescere, visto l’aumento delle spese militari deciso da Italia e altri Paesi

taccare la popolazione civile. Le intifada del 1987, del 2005 e del 2015 si collegano all’attuale e restituiscono la dimensione di guerra civile, evoluta, allargata, finanziata e potenziata tra potenza occupante, Israele, e popolazione occupata, gli arabi di Palestina. Tuttavia, questo punto di caduta politico nel quale la trappola di Hamas si compone deve essere assolutamente limitato. Il seme della disperazione e dell’odio per le politiche discriminatorie contro gli arabi palestinesi, sfruttati, umiliati e vessati, in violazione agli accordi di Oslo, operate da diversi governi di Israele, non devono concedere altro spazio al fanatismo di Hamas. La strategia terrorista di trasformare rivendicazioni socio politiche in una guerra civile che diventa Jiahd fanatica dove tutto è possibile, è una trappola da evitare ad ogni costo, perché produrrebbe il mito del martirio, una generazione futura di estremisti e un nuovo isolamento di Israele nel mondo arabo. Tra politiche di securitizzazione muscolari e mal concepite e insicurezza, si è persa l’occasione dell’integrazione e il tempo della pace. La separazione completa delle comunità, la privazione dei diritti ai palestinesi, la politica

degli insediamenti che erodono il territorio degli arabi palestinesi, la mancata applicazione dei passaggi che avrebbero dovuto consentire la soluzione dei due Stati hanno reso molto difficili i rapporti. La stessa soluzione dei due Stati ormai quasi impraticabile secondo gli stessi studiosi che hanno lavorato per anni in questa direzione, come considera Nathan Brown per il Canergie endowement for international peace. L’Organizzazione mondiale della salute ha rilanciato la necessità di aprire un corridoio umanitario per consentire ai civili di uscire da Gaza. Un’operazione siffatta, che consentirebbe a donne, bambini e anziani di abbandonare la striscia di Gaza, teatro dell’offensiva militare di Israele, avrebbe un fondamentale valore politico e strategico, oltre che umanitario. Insieme all’opzione militare di un ingresso chirurgico, con forze speciali, invece che con l’esercito, spunterebbe l’arma incendiaria del martirio e della strage di palestinesi sulla quale punta Hamas per accrescere consenso e sostegno, non solo all’interno, ma soprattutto da parte delle opinioni pubbliche di tutto il mondo arabo, cercando di allargare la guerra a tutta la regione. *Politologo, docente universitario

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L’alba al rave del mio inferno SABATO ANGIERI da Tel Aviv

È uno dei giovani superstiti di Hamas, come molti della sua generazione vive la contraddizione tra una guerra “ineluttabile” e l’aspirazione a una pacifica convivenza con i palestinesi

onosco decine di persone che soffrono a causa dei razzi di Hamas da quando abbiamo lasciato Gaza, nel 2006. Ora bisogna affrontare questa situazione», dice Almog, in un bar di Tel Aviv. Ma non credi che i bombardamenti o un’invasione via terra peggioreranno la situazione? «Non vedo altro modo». Almog Senior ha 30 anni, vive a Be’er Sheva e frequenta un master in Neuroscienze. È il classico israeliano che dopo il servizio militare ha viaggiato in Europa e in America. Ha i capelli lunghi, un sorrisetto perennemente stampato sul volto e porta vestiti sgargianti e sandali come un hippy. «Non ti offendere», insisto, «ma non ti senti un po’ in colpa per ciò che sta accadendo ai civili di Gaza?». «Tutti noi siamo nati in questa situazione. Penso che il senso di colpa, se lo cerchiamo possiamo scovarlo in tutte le generazioni passate e potremmo iniziare dal Regno Unito mento costruita da Netanyahu, ma è ben radicata nelper come gestì il suo mandato. O addirittu- la testa delle persone. ra dall'Impero Ottomano. Possiamo anche Del resto l’odio di Almog verso Hamas non è solo dare la colpa alla nostra storia, che risale a ideologico. Sabato 7 ottobre si trovava al rave di Re’im molto tempo fa. Come per i palestinesi, cre- con dei suoi amici ed è scampato alla morte. do che non dipenda dalla gente e che il pro«Ricordo che dopo aver sistemato le tende siamo blema sia soprattutto la leadership. Io sono andati subito a visitare i palchi. Era impressionante. favorevole all’esistenza di uno Stato palesti- Abbiamo iniziato a ballare all’alba e poi, all’improvvinese accanto a noi, ma non voglio più che io so, qualcuno di noi ha notato il fumo nel cielo e abbiao i miei cari ci sentiamo minacciati». mo sentito delle esplosioni». Non credi che i palestinesi di Gaza si Erano circa le 6,30. «La musica si è fermata e a quel sentano così ogni giorno? «Sono vittime di punto le esplosioni si sentivano più chiaramente. All'iHamas, sono i loro capi che li tengono in nizio eravamo solo infastiditi. Io pensavo “fanculo, questo stato». Non è raro ritrovare tra i ra- adesso interrompono la festa”. «Davvero pensavi alla gazzi israeliani questa contraddizione. An- festa?», chiedo. «Sì, siamo abituati agli allarmi e ai mische tra i più progressisti c’è chi crede che sili. Si cerca un rifugio, si resta sdraiati con le mani a ormai non vi sia altra soluzione se non la proteggere la testa e si attende che passi. Però, dopo guerra. Come se Hamas fosse un esercito più di 10 minuti l’attacco continuava, il che non era afpronto alla battaglia e non un gruppo di fatto comune e allora ci siamo nascosti tra gli arbusti. miliziani nascosto sottoterra o in abiti ci- In quel momento la maggior parte delle persone era vili. Quelli che nel gergo militare vengono ancora, in modo strano, rilassata. Erano solo sdraiate. definiti «effetti collaterali», ovvero le morti Fino a quando, circa dieci minuti dopo, una guardia di di civili non sembrano rientrare nello spet- sicurezza si è avvicinata e ha gridato: “Dovete andarvetro della realtà. C’è una barriera tra Israele ne. Dovete uscire da qui. Se ci tenete alla vita andate e Gaza che non è solo quella di acciaio e ce- alle macchine e scappate”. Noi non capivamo cosa suc-

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Foto: F. Seco / Ap / La Presse

cedesse, il perché di quella fretta ma lo ab- LE VITTIME alla strada principale. Abbiamo biamo ascoltato. Abbiamo preso ciò che si Familiari e amici atguardato a destra e abbiamo poteva dalle tende e siamo andati alle mac- torno alla tomba di sentito molti spari dal quel lato chine. Da quel momento è scoppiato il pa- May Naim, 24 anni, della strada. Abbiamo guardato nico ed è lì che ho perso i miei amici». una delle 260 vittime a sinistra e c'erano tutte le mac«Quante persone c’erano al festival?». del 7 ottobre nell’atchine che erano partite prima «Circa 3 mila». «E cosa hai fatto dopo aver tacco di Hamas al di noi, bloccate lì, una dopo l'alperso i tuoi amici?». «Sono andato al par- rave di Re’im tra. Abbiamo deciso in fretta di cheggio e li ho chiamati. Pensavo ancora tagliare per i campi, nell’altra che i missili fossero l’unica minaccia. Dopo poco ho direzione. Centinaia di persone correvano trovato Baar, era sdraiato vicino alla sua macchina. verso di noi, qui abbiamo caricato due raQuando abbiamo messo in moto abbiamo notato un gazze. Eravamo nel panico, di questo sono enorme ingorgo all'uscita del festival, ci siamo fermati sicuro. Non ricordo i volti, solo i loro caun po’ ma poi abbiamo capito che era inutile aspettare, pelli ricci. Una di loro stava piangendo e c’era troppa gente. Ogni volta che riprendevano le sire- l’altra mi sembra gridasse. Insomma, abne scendevamo a cercare riparo. Finché, non abbiamo biamo continuato sulla strada sterrata, pasentito degli spari intorno a noi. Questo è stato il pri- rallelamente alle auto incolonnate, finché mo momento in cui abbiamo capito che non si tratta- non siamo arrivati a un incrocio dove c’erava solo di un attacco missilistico. Ricordo che in quel no dei poliziotti. Gli abbiamo chiesto cosa momento ci siamo alzati in piedi, e abbiamo gridato, stesse succedendo, le ragazze sono scecome tutti, “andate in macchina e andate via! Scappa- se per restare con loro ma abbiamo notate via, fottetevene dei missili, andatevene e basta”». Al- to che gli agenti erano confusi come noi e mog si scusa per il linguaggio. «E così, io e il mio ami- perciò io e Baar abbiamo deciso che avremco siamo andati in macchina e ci siamo incamminati mo cercato di uscire da soli. Io guardavo il ancora sulla strada sterrata del festival. Siamo arrivati navigatore e davo le indicazioni, ma c’e-

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lo sparo. Poi nulla più. Ho pensato che la mitragliatrice si fosse inceppata o qualcosa del genere. Abbiamo continuato a correre il più velocemente possibile. Siamo anche passati accanto a una capanna di thailandesi che lavorano nei campi in quella zona e abbiamo gridato loro: scappate, stanno arrivando i terroristi, scappate. Loro stavano seduti e ci hanno fatto il gesto di ok con il pollice alzato, non avevano capito nulla». E poi? «Il navigatore a quel punto non funzionava più, zero linea. Vai, vai, dicevo a Baar e poi anche una frase stupida: non siamo al sicuro finché non siamo al sicuro. Quindi ci siamo orientati con il sole, da poco c’era stata l’alba e il sole viene da Est, i terroristi venivano da Ovest e allora siamo scappati verso il sole. Finché non siamo arrivati a Patish, un moshav, un villaggio che si trova dall'altra parte dei campi, da lì abbiamo preso l’autostrada. Era piena di macchine, piena, ma tutti correvano». La fine dell’incubo: «Siamo arrivati a Be’er Sheva poco dopo le 9. I missili continuavano e io a casa mia non ho un rifugio, sono sceso nel sottoscala e la prima cosa che ho fatto è stata mandare un messaggio nella chat di whastapp della famiglia: mamma e papà, sono vivo, ho scritto».

IL FESTIVAL Un soldato israeliano vicino al luogo in cui 260 manifestanti sono stati uccisi dai miliziani di Hamas durante il festival musicale Supernova il 7 ottobre

Fuggivamo per una strada sterrata. Abbiamo incrociato un pick-up e un uomo con l’elmetto. Ci siamo detti: è un soldato, impossibile che i terroristi siano arrivati qui. Poi ci ha sparato contro Foto: A. Messinis – Afp / Getty Images

ra pochissimo campo, Abbiamo provato un’altra strada rispetto a quella con le auto bloccate e proprio all'incrocio tra la strada principale e la strada sterrata da cui provenivamo vediamo un pick-up bianco con il muso verso di noi e un uomo con un elmetto, un giubbotto e un fucile. Ricordo che io e Baar ci siamo detti: non è possibile che sia un terrorista, deve essere un soldato». Almog si blocca, gli si spezza la voce, inizia a piangere. «Scusate. Non è possibile che i terroristi siano arrivati qui, ho pensato. Poi abbiamo sentito gli spari, non potevano esserci spari così vicini alla polizia. C'è qualcosa che non va, vattene da qui, mi diceva la testa». La voce si incrina ancora ma Almog fa fluire i ricordi: «Con il mio amico ci ripetevamo che doveva essere un soldato. Così ci siamo avvicinati e l'uomo che forse prima non ci aveva visti, è andato sul retro del pick-up e ha tirato fuori la mitragliatrice e l'ha puntata verso di noi. Per la prima volta ho capito, l’intero quadro si è ricomposto, era un attacco. Il mio amico ha fatto una rapida inversione a U e ha guidato il più velocemente possibile verso l'altro lato. Ci siamo abbassati, rannicchiati, il più possibile». Prendiamo una pausa e parliamo d’altro per qualche secondo. Poi Almog continua: «Sento lo sparo. Uno solo, come se intorno fosse tutto silenzio e ci fosse solo quel-


I CANTIERI DOVREBBERO PARTIRE ENTRO L’ESTATE 2024. COSTERÀ CIRCA 12 MILIARDI E PER REALIZZARLO SERVIRANNO CIRCA 8 ANNI Il sottosegretario ai rapporti con il parlamento e deputata di Forza Italia, Matilde Siracusano, è protagonista dell’intervista realizzata da Maurizio Attinelli, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli Esperti contabili di Ragusa. Classe ‘85, alla Camera dal 2018, Siracusano è orgogliosamente messinese e convinta sostenitrice del Ponte sullo Stretto. Sottosegretario, Pietro Salini, ad di Webuild, ha annunciato la presentazione del progetto definitivo, con la allegata relazione di aggiornamento, per la realizzazione del ponte. A che punto siamo? Il progetto definitivo per realizzare il Ponte sullo Stretto già c’era, ed era stato redatto dal presidente Berlusconi. L’attuale governo, con il decreto Ponte, ha riacceso il motore di una macchina spenta anni fa. Adesso, dopo l’aggiornamento del progetto, la Webuild potrà firmare il contratto e prepararsi all’inizio dei lavori. Entro l’estate del 2024 partiranno ufficialmente i cantieri.

Nella foto: Matilde Siracusano

Nella foto: Maurizio Attinelli

Come risponde a chi dice che per il Sud ci sarebbero altre priorità? Sono decenni che una parte politica racconta questa filastrocca. Purtroppo anche con il Pd saldamente a Palazzo Chigi per il Mezzogiorno è stato fatto poco o niente. Il Ponte sullo Stretto sarà un’infrastruttura epocale, avremo gli occhi del mondo addosso. Sarà attrattore di ulteriori investimenti, e porterà turismo, lavoro, opportunità, e anche altre opere strategiche che senza un collegamento stabile tra Sicilia e Calabria non sarebbero sostenibili: una su tutte l’alta velocità ferroviaria fino a Palermo.

Chi, invece, alza la bandierina dell’ambientalismo non sa di cosa parla. Con il Ponte avremo un abbattimento di Co2 in un’area oggi intasata di navi che fanno in continuazione la spola tra le due coste. Basti pensare che ogni anno attraversano lo Stretto di Messina circa 11 milioni di persone, con 2 milioni e 300mila auto e 800mila veicoli commerciali. Attualmente tutti prendono la nave, mezzo di trasporto estremamente inquinante, in futuro utilizzeranno il Ponte per percorrere in pochi minuti i poco più di 3 chilometri che separano la Sicilia dalla Calabria.

Costi e tempi di realizzazione saranno rispettati? E cosa ci dice in merito ai rischi sismico e ambientale? Il ponte costerà circa 12 miliardi di euro, e per realizzarlo serviranno 7-8 anni, io sono ottimista e quindi le dico che lo costruiremo in un tempo minore. Il rischio sismico non esiste: i ponti sono per le opere architettoniche meno colpite dai terremoti proprio per la loro struttura quasi elastica.

Quali figure professionali saranno maggiormente interessanti per questa grande sfida? Architetti, ingegneri, operai specializzati, che formeremo tra i lavoratori siciliani e calabresi. Ma avremo bisogno anche di professionisti e di commercialisti nelle fasi di analisi del business plan e della rendicontazione dei lavori da effettuare. Ci saranno opportunità per tutti.

A CURA DELLA CASSA DI PREVIDENZA DEI RAGIONIERI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI

Ponte sullo Stretto: affare fatto?


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Quanto pesa l’amicizia tra Russia e Iran EUGENIO OCCORSIO olo due capi di Stato fra i tantissimi che hanno dichiarato solidarietà a Israele – dagli Usa all’Italia – hanno invece evitato di condannare Hamas per l’attacco del 7 ottobre. Ebrahim Raisi, presidente dell’Iran, finanziatore semi-ufficiale di Hamas (oltre che di Hezbollah nel Nord di Israele), non ha perso l’occasione per minacciare: «Il nostro Paese supporta la legittima difesa della Palestina». Più scivoloso Vladimir Putin: nessuna condanna all’attacco, tutt’al più un generico «va evitata una risposta violenta». E addirittura, negli ultimi giorni, un tentativo di accreditarsi come mediatore. Da che pulpito. Intanto il capo internazionale di Hamas, Ali Baraka, ha scelto il canale tv Russia Today per rivelare che «erano due anni che preparavamo l’operazione». In questa guerra di parole (per ora) Gerusalemme c’erano antichi legami», risi sono inseriti nei giorni suc- flette Stefano Silvestri, già sottosegretacessivi la Cina (che compra rio alla Difesa e consulente degli Esteri. dall’Iran la metà di tutto il pe Fra Russia e Iran esiste quella che la Rand trolio che consuma), che con Corporation - che ha dedicato al rapporto posizioni ancora più sfumate è fra i due Paesi un’analisi di 60 pagine - desembrata in vena di ambiguità finisce «partnership di convenienza». strategica, nonché l’Ucraina: il Tutto comincia il 1° febbraio 1979 con il capo dei servizi segreti, Kyrylo ritorno trionfale dell’ayatollah Ruhollah Budanov, ha scritto sulla Pra- Khomeini a Teheran. In precedenza, Reza vda di Kiev di avere le prove Palhavi (al trono dal 1941) era il più fedele che Mosca dirotta ad Hamas le alleato degli americani: ora tutto cambia e armi sequestrate in battaglia. l’Unione Sovietica è la prima a riconosceMa l’attenzione degli osser- re la neonata Repubblica Islamica d’Iran. vatori internazionali si con- Il rapporto però s’incrina in fretta perché centra sulla stretta interdipendenza fra allo scoppio nel 1980 della guerra Iran-IRussia e Iran. Forse l’attacco di Hamas raq, l’Urss prende le parti di Baghdad e conon è stato organizzato direttamente dai mincia a rifornirla di armi. Ma già verso due grandi sponsor, «ma di sicuro Mosca e le fine del conflitto (1989), nuovo voltafacTeheran vogliono cogliere l’occasione per cia e l’Urss, delusa dal comportamento di riaffermare e rinsaldare la comune avver- Saddam Hussein, torna ad abbracciare la sione per l’America e per transizione per il causa iraniana. Stavolta per non mollarPaese che è visto come il satellite medio- la più, neanche dopo il “cambio di denorientale, anche se per la verità fra Mosca e minazione” dell’8 dicembre 1991. Nella vi-

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Forniture di armi, accordi economici, scambi di informazioni. Gli storici rapporti privilegiati tra Mosca e Teheran contano molto in funzione antioccidentale

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Foto: M. Nikoubazl / NurPhoto via Getty Images

cenda del programma nucleare iraniano e dei possibili risvolti bellici, per esempio, il Cremlino non ha mai smesso di fornire a Teheran materiali, assistenza tecnica, formazione nei centri di ricerca sparsi per il Paese e nella centrale nucleare di Novovoronezh, e infine combustibile atomico in virtù di un contratto decennale firmato nel 2015. In cambio, nell’intricata giungla afghana l’Iran ha cooperato con Mosca nel sostegno all’Alleanza del Nord contro i talebani (operazione a cui parteciparono anche gli Usa) fino al disastro del settembre 2001 (due giorni prima dell’attacco alle torri era stato ucciso il “leone del Panjshir” Aḥmad Shāh Mas’ūd). Poi, Teheran non ha condannato la Russia nella guerra in Cecenia che è andata avanti dal 1999 al 2009, e ha affiancato Mosca perfino nella guerra civile in Tajikistan (1992-97). Quanto al conflitto siriano durato quasi tutto il decennio passato (con la vicenda collaterale dell’Isis in cui tutto il mondo si è trovato unito), l’Iran ha per-

PREGHIERA Donne iraniane in preghiera sotto l’immagine del leader supremo ayatollah Ali Khamenei

messo alla Russia nel 2016 di usare la sua base aerea di Shadid Nojeh per gli attacchi all’interno della Siria (permesso però poi revocato per contrasti sul ruolo di Hezbollah) e di far attraversare il suo spazio aereo dai missili di crociera del Cremlino. La più convinta delle alleanze Iran-Russia è stata però forgiata con l’attacco all’Ucraina. Pochi giorni prima del 24 febbraio 2022, il presidente Raisi è volato a Mosca per firmare un accordo di cooperazione in 20 punti. «Il conflitto - scrive la Rand - ha alzato definitivamente la consapevolezza in Russia e Iran che ci sono aree di interesse comune». L’Iran è il maggior fornitore di droni, mitragliatrici e munizioni per Mosca. I russi mandano a Teheran, ha documentato la Cnn, missili anticarro Javelin e antiaereo Stinger sequestrati in battaglia agli ucraini (forniti dagli americani), perché siano “revisionati” e rispediti a Mosca. Nel luglio 2022 l’ayatollah supremo Ali Khamenei accolse Putin alla sua prima visita all’estero dopo l’invasione (la seconda solo nel settembre 2023 in Azerbaijan) con le parole «l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina». Ancora: nell’agosto 2022 la Russia ha lanciato in orbita un satellite per scopi civili: ma dagli ambienti delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche è filtrato, scrive la Rand citando il Pentagono, che potrà monitorare potenziali bersagli americani e israeliani. Infine, fra Russia e Iran, due Paesi sotto sanzioni, si sta sviluppando un’area monetaria comune, con transazioni regolate indifferentemente in rial e rubli e l’incentivo ad altri eventuali alleati a unirsi. Lo stesso schema di alleanza si potrebbe ora ripetere per Israele. Come non si stanca di ripetere Dario Fabbri, il direttore editoriale di Domino, «non possiamo dire con certezza che ci sia stato un avallo russo all’attacco di Hamas ma non possiamo escludere che Mosca sapesse». Sul ruolo dell’Iran, pochi dubbi. Per questo le due capitali sotto più stretto monitoraggio oggi sono Teheran e Mosca.

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Un’occasione per Abu Mazen colloquio con RICHARD JONES di MANUELA CAVALIERI e DONATELLA MULVONI bu Mazen leader morale della Striscia di Gaza, al termine di un conflitto che non si allargherà alla regione. Secondo Richard Jones, ex ambasciatore americano in Israele, potrebbe essere questa l’ipotetica seconda fase dello scontro in corso. Al di là delle intimidazioni quotidiane di Iran ed Hezbollah libanesi filo-iraniani. «Potrei sbagliarmi, ma sarei molto sorpreso se mantenessero la minaccia di unirsi ad Hamas nel caso in cui Israele entrasse a Gaza», ci dice Jones, che ha rappresentato gli Usa a Tel Aviv tra il 2005 e il 2008. Ambasciatore, dunque, l’Iran starebbe bluffando? Il diplomatico è certo che il sostegno po- «Non credo che sia pronto ad un confronto del genelitico e militare degli Stati Uniti al gover- re. Non sappiamo che tipo di capacità logistiche abbia; no di Benjamin Netanyahu si concretizzi in dubito che siano molto avanzate rispetto agli Usa ma un’azione deterrente. D’altra parte, le forze anche rispetto allo stesso Israele. E poi non credo che dispiegate dal Pentagono sono imponenti: vogliano attaccare Gerusalemme, che è un luogo sacro. un flusso di mezzi, munizioni e attrezzatu- Lo stesso vale per Hezbollah; al momento stanno fare che da Washington confluisce in uno de- cendo lo stretto necessario per non attirarsi le critiche gli eserciti più potenti al mondo. La titanica di Hamas o dell’Iran, che probabilmente li vorrebbero portaerei Ford è già nel Mediterraneo orien- più attivi. Ma Hezbollah non ha mostrato grande protale e sarà affiancata dalla Eisenhower; e pensione a provocare davvero gli israeliani, a parte l’imentre raddoppiano i caccia messi a dispo- niziale intervento nella zona contesa delle fattorie di sizione, si prepara una task force anfibia di Sheeba. Ricordiamoci che ha avuto gravi perdite in Simarines, duemila soldati in stato di pre-al- ria, non vorranno affrontare un’altra guerra così prelerta. Misure straordinarie che si aggiungo- sto, sono ancora in una fase di ricostruzione». no agli oltre 3,8 miliardi di dollari di aiuti Quale scenario potremmo ipotizzare allora? militari con cui ogni anno gli Usa suggella- «Con un’azione piuttosto rapida, Israele dividerà Gaza in no l’amicizia più fidata in Medio Oriente. due per tagliare fuori l’area in cui pensa che Hamas abMa gli sforzi militari, spiega l’amba- bia il grosso delle forze. E poi aspetteranno. Non ci vorrà sciatore, vanno di pari passo con la stra- molto. Le milizie hanno scorte per la propria gente, ma tegia della diplomazia americana. Il segno non per la popolazione. Ci sono centinaia di migliaia di è quello tracciato da Joe Biden, in visita civili in quell’area bisognosi di cibo e acqua, inizieranda mercoledì in Israele. Il presidente, pur no a chiedere loro di arrendersi per poter sopravvivere. esprimendo sostegno incondizionato, av- La vera questione è capire se Israele riuscirà davvero a verte che occupare Gaza sarebbe un “gra- spazzare via Hamas. Potrebbero semplicemente entrave errore”, al netto della drammatica cri- re in clandestinità». si umanitaria in corso. Insomma, gli Stati A quel punto l’Autorità Nazionale Palestinese sarebbe Uniti invocano moderazione, pur mostran- in grado di occupare il vuoto? dosi pronti in caso di escalation. «È il gruppo più organizzato dopo Hamas. Abu Mazen

Il leader dell’autorità palestinese potrebbe rompere con Hamas e assumere la guida morale del suo popolo. Il futuro della crisi visto da un esperto diplomatico Usa

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Foto: E. Vucci - Ap / Lapresse, E. Wamsteker / Bloomberg via Getty Images

sta iniziando a posizionarsi come autorità morale del popolo palestinese. Sta dicendo che la maggior parte della popolazione di Gaza non sostiene Hamas, il che è vero. Se fossi un consigliere, gli direi di iniziare a parlare a nome del popolo, distanziandosi da Hamas. La crisi è un’opportunità per Abu Mazen di ristabilire le relazioni e di collaborare con gli Stati Uniti per evitare altri inutili spargimenti di sangue. Ciò riabiliterebbe l’Autorità palestinese e potrebbe porre le basi per un ritorno al governo a Gaza se Israele riuscirà a sradicare Hamas». Lei parla di leader morale, ma non può bastare a colmare un vuoto di potere. «No, certo. Occorre riorganizzare elezioni, ma ora è presto per questo, bisogna prima che la situazione si calmi. Affrettare il voto sarebbe un errore. In questa fase, sarà importante una cooperazione con le Nazioni Unite sul piano dell’assistenza umanitaria». Biden ha assicurato che gli Stati Uniti possono continuare a sostenere l’Ucraina mentre aiutano anche Israele. Che ne pensa? «Questo conflitto complica le cose e aumenta le spese, ma possiamo sostenere l’Ucraina e aiutare Israele. A Tel Aviv hanno carri armati, veicoli corazzati e capacità di produrre munizioni in grandi quantità».

A trarre vantaggio dalla situazione in Medio Oriente potrebbe essere non solo la Russia, ma anche la Cina a Taiwan. «La dislocazione di alcune portaerei non influirà sulla nostra capacità di sostenere i nostri amici in Asia. Abbiamo diverse portaerei a propulsione nucleare a disposizione. Putin proverà a sfruttare il momento, ma è difficile capire come potrebbe farlo. Sta tentando di fare il pacificatore, ma non penso che cercherà di impegnarsi con l’Iran, complichePRESIDENTE rebbe il suo sforzo in Ucraina». Richard Jones. SoL’Arabia Saudita ha detto che gli accordi pra: il presidente degli con Israele sono congelati. Potrebbero riStati Uniti Joe Biden prendere in futuro? «Se sono congelati, possono sempre scongelarsi: una rottura sarebbe stata più difficile da invertire. Quando questo possa avvenire dipende da quello che succederà. Ovviamente, i sauditi non riprenderebbero mai le relazioni con un Paese che ha ucciso decine di migliaia di arabi innocenti. Ma non credo che questo accadrà». L’Agenzia Internazionale per l’Energia ha sostenuto che il mercato energetico segue con apprensione l’evolversi della crisi. Dalla sua esperienza di ex vicedirettore dell’Aie, cosa prospetta? «Non mi sembra che al momento ci siano pressioni reali sul mercato del petrolio, soprattutto perché finora nessuno dei produttori è coinvolto. Se però il conflitto si dovesse allargare, allora ci sarebbero problemi effettivi. Ma ricordiamoci che il mondo oggi ha più opzioni rispetto al passato».

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ESTERI GIUSTIZIA E IMPUNITÀ

Condanne per oltre 45 anni di carcere a Buenos Aires per i sacerdoti che abusavano dei minori nei collegi dell’istituto Provolo. Ma da noi è tutto prescritto

PAOLO BIONDANI rgentina batte Italia 45 a 0. Sul campo minato della questione pedofilia tra i preti cattolici, il confronto tra nazioni si è chiuso con un risultato imbarazzante per il sistema giudiziario del nostro Paese. Dopo anni di indagini e processi sugli abusi contro decine di bambini dell'istituto italo-argentino Antonio Provolo, la Corte Suprema di Giustizia di Buenos Aires, che equivale alla nostra Cassazione, ha confermato in via definitiva le condanne per i primi tre religiosi finiti sotto accusa: dovranno scontare pene comprese tra 18 e 45 anni di reclusione. In Italia nessuno ha pagato: zero condanne, anche se le sentenze argentine spiegano che le violenze sui minori sono continuate per almeno cinquant'anni ed erano iniziate in Italia. Dove però l'unica inchiesta giudiziaria si è chiusa sul nascere, senza neppure un indagato, grazie alle norme italiche sulla prescrizione dei reati. L'istituto Provolo, che ha la sede centrale a Verona, gestisce una rete di collegi, in Italia e in Argentina, specializzati nell'assistere bambini con problemi di sordità e conseguenti difficoltà a parlare. Dopo anni di sospetti, lo scandalo è stato scoperchiato nel 2009 da un'inchiesta giornalistica del nostro settimanale, firmata da Paolo Tessadri, che ha filmato e pubblicato le testimonianze di 15 ex allievi di due colle-

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gi veronesi, che denunciavano di aver subito per anni abusi e violenze da oltre venti sacerdoti, chierici e altri dipendenti dell'istituto. L'allora vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, grande protettore del Provolo, ha attaccato L'Espresso e denunciato per calunnia l'associazione delle vittime. I giudici hanno però archiviato le sue accuse, spiegando che gli abusi sono risultati «certi e documentati», anche se prescritti. E il prelato ha dovuto patteggiare una condanna per aver diffamato le vittime. In Argentina le indagini sono iniziate nel 2015, quando si è scoperto che uno dei sacerdoti denunciati a Verona era diventato direttore del collegio della provincia di Mendoza. L'istruttoria si è poi allargata al centro di La Plata, con decine di indagati in diversi processi. Ora la Corte Suprema, confermando le prime tre condanne, ha pubblicato un comunicato per chiarire l'importanza del caso: «Questo processo ha riguardato fatti avvenuti tra il 2005 LATITANTE IN TONACA e il 2016 a danno di undici bambini sordi Don Eliseo Pirmao ipoudenti, quando avevano tra i 5 e i 17 ti, il sacerdote italiaanni. La maggior parte delle vittime proveno colpito nel 2017 da niva da famiglie povere, che li affidavano ai un ordine d’arresto collegi: i direttori del Provolo reclutavano i in Argentina, filmato bambini sostenendo che il loro era un istida L’Espresso davantuto modello. È la prima volta – sottolinea ti alla sede del Provola Corte – che i sacerdoti di un ordine relilo a Verona gioso, con sedi a Verona, La Plata e Mendoza, sono stati perseguiti dopo 50 anni di accuse di stupri, abusi sessuali, maltrattamenti e corruzione di minorenni». I giudici hanno inflitto 45 anni di reclusione al prete argentino Horacio Hugo Corbacho Blank, ex direttore di Mendoza; 42 al suo vice, il sacerdote italiano Nicola Bruno Corradi Soliman, già attivo a Verona; 18 anni ad Armando Ramón Gómez Bravo, un dipendente dell'istituto religioso. All'arresto è sfuggito un altro sacerdote italiano, Eliseo Pirmati, che nel 2017 è scappato dall'Argentina, rifugiandosi nella sede del Provolo a Verona, dove è stato poi filmato da L'Espresso. Proprio quell’anno Papa Francesco, il pontefice italo-argentino, ha rimosso la dirigenza e commissariato l'istituto Provolo.

Foto: Getty Images

Preti pedofili L’Italia perdona l’Argentina no


DAL MONDO

Emergenza umanitaria in Sudan. Furti di ulivi in Turchia. Singolare proposta demografica a Taiwan

a cura di Chiara Sgreccia

SUDAN / 9MILA MORTI «Uno dei peggiori incubi umanitari della storia recente». Così il capo umanitario delle Nazioni Unite ha definito il conflitto in Sudan che dura ormai da sei mesi, tra l’esercito del Sudan e il gruppo paramilitare di supporto rapido, scoppiato a metà dello scorso aprile. All’inizio i combattimenti erano concentrati nella capitale Khartoum. Ma si sono velocemente estesi ad altre aree del Paese, compresa la regione occidentale del Darfur, già devastata dal conflitto. Da mesi, i civili non hanno tregua dallo spargimento di sangue e dal terrore.

Foto: D. Traynor/Getty Images, H. Malla – Ap / La Presse, Ansa

FRANCIA / IMMIGRAZIONE Un ventenne di origine cecena ha fatto irruzione, venerdì scorso, in un liceo di Arras, in Francia, uccidendo un insegnante e ferendo altre due persone. Si dice che l’aggressore abbia gridato “Allah Akbar”. Subito dopo, il dibattito sulla sicurezza si è infiammato, proprio mentre la Francia si prepara a votare un disegno di legge sull’immigrazione. Per il ministro dell’Interno Darmanin, se fosse stato adottato prima il ddl «ci avrebbe permesso di espellere»l’aggressore, visto che era nella lista degli individui radicalizzati.

AUSTRALIA / NO AGLI INDIGENI In Australia un referendum puntava a modificare la Costituzione per riconoscere alle comunità della “First Nations”, cioè ai discendenti delle popolazioni indigene, il diritto ad avere voce nelle scelte del Governo. Attraverso l’istituzione di una commissione che sarebbe stata interrogata sulle questioni relative alle loro comunità. Ma la ma ha vinto il no. «Quando si punta in alto, a volte si fallisce. Comprendiamo e rispettiamo questo fatto», ha commentato il primo ministro laburista Anthony Albanese, sostenitore della campagna, invitando il paese a ritrovare l’unità. Mentre i leader indigeni hanno chiesto «una settimana di silenzio» dopo il fallimento di “The Voice”, il referendum. I sostenitori del “sì” lo consideravano anche un modo per sanare le ferite inflitte ai popoli indigeni all’epoca della colonizzazione.

del 20 per cento la produzione di olio di Italia e Spagna. Così perfino le forze speciali turche sono state impegnate nella difesa dai furti dei 12 milioni di ulivi che si trovano nei territori della costa egea di Balikesir ed Edremit. I furti sono da tempo frequenti nell’area che contribuisce per il 10 per cento alla produzione nazionale. Ma quest’anno si sono moltiplicati tanto da portare le autorità locali a chiedere aiuto.

TAIWAN / BASSA NATALITÀ «Se fate figli vi regalo un cane»: Terry Gou, candidato alla presidenza di Taiwan, ha proposto di fronteggiare il crollo demografico sull’isola regalando animali domestici ai futuri genitori. Taiwan ha infatti uno dei tassi di natalità più bassi al mondo: sarebbe l’undicesimo Paese meno fertile del pianeta, con 8,4 nuovi nati ogni 100 abitanti. L’alto costo della vita, le difficoltà di accesso alle politiche assistenziali e le aspettative di genere sono tra le motivazioni principali della scarsa natalità. Le autorità locali sono preoccupate che il rapido invecchiamento della popolazione possa minacciare l’economia e la difesa militare di Taiwan.

TURCHIA / OLIO D’OLIVA Le olive sono diventate un bene prezioso per la Turchia. E un fattore importante per la tenuta dell’economia del Paese messa a dura prova dall’inflazione. Ancora di più da quando le scarse precipitazioni hanno invece abbassato

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ECONOMIA CONTI PUBBLICI

Quando privatizzare rimane solo una promessa

STORIA La storica sede del Monte dei Paschi di Siena


I venti miliardi previsti dal governo dalla vendita di aziende pubbliche sono destinati a rimanere quasi tutti sulla carta. Anzi, le società di Stato aumentano. Fino a quella che produce gianduiotti

SERGIO RIZZO l ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che adesso pensa di incassare 20 miliardi dalle privatizzazioni, ha 56 anni e all’epoca era già sindaco di Cazzago Brabbia, in provincia di Varese. Perciò quella storia deve per forza ricordarla bene. C’era un tempo in cui lo Stato produceva panettoni, gelati e perfino le caramelle Charms. Poi l’ondata delle privatizzazioni si portò via pure quelle, assieme a Motta e Alemagna. Adesso invece è l’ora dei gianduiotti. Il 27 luglio scorso Invitalia ha rilevato il 25 per cento della Pernigotti. Non si può fare un paragone con la situazione di trent’anni fa, d’accordo. La Pernigotti ha attraversato molte traversie, acquistata dai turchi e poi rilevata da Jp Morgan. E rischiavamo di perdere un marchio storico dell’industria dolciaria. Ma se Invitalia, la società del medesimo Tesoro del ministro Giorgetti, ora amministrata da Bernardo Mattarella (incidentalmente nipote del presidente della Repubblica), ha in pancia una settantina di partecipazioni in imprese private, significa che poco è cambiato nel Dna del nostro Paese da quando lo Stato, nel 1932, decise di farsi imprenditore. Prima per cause di forza maggiore. Poi però la politica ci ha preso gusto, in un crescente anelito a correre in soccorso dei privati. Fin da quando c’erano ancora le macerie della guerra. «Enrico, stanotte mi è parsa in sogno la Madonna e mi ha detto che prenderai il Pignone…», avrebbe scongiurato il capo dell’Eni Enrico Mattei, un giorno di fine 1953, il sindaco di Firenze Giorgio La Pira. Democristiani entrambi, si capivano perfettamente. Il Pignone stava per chiudere e dopo qualche flebile resistenza iniziale Mattei lo rilevò. Fu la prima pubblicizzazione della repubblica. E pazienza se poi quella del Nuovo Pignone è stata anche la prima privatizzazione della repubblica, decisa simbolicamente 40 anni più tardi dal primo governo di Giuliano Amato. La stagione della ritirata dello Stato dall’economia è durata meno di dieci anni. Senza neppure che lo Stato abbia mollato il controllo delle attività più strategiche come Eni, Enel e Finmeccanica Leonardo. E dopo quella breve stagione, no-

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ECONOMIA CONTI PUBBLICI

nostante la Madonna abbia lesinato le apparizioni, il vecchio andazzo è ripreso. Come prima, e forse più di prima. Si capisce scorrendo la lista delle partecipazioni di Invitalia nella banca dati di Infocamere, dove compare perfino Vivenda, una ditta di ristorazione collettiva e pulizie fondata dalla Cascina, sigla che fa capo a Comunione e Liberazione. Un regalino da 10 milioni dell’ultimo governo Berlusconi, recapitato una settimana dopo che a Sviluppo Italia, ora Invitalia, arrivasse un amministratore delegato amico della destra: quel Ferruccio Ferranti ora tornato lì come presidente del Mediocredito Centrale. Già, perché lo Stato è rientrato in forze anche nel settore bancario. Se il Tesoro possiede direttamente il 67 per cento del Monte dei Paschi di Siena, Invitalia controlla il gruppo Mediocredito Centrale di cui fanno parte la Popolare di Bari e la Cassa di Risparmio di Orvieto. Per non parlare dell’acciaio. Attraverso Invitalia lo Stato è rientrato in possesso dell’Ilva, e questo già basterebbe per qualificare la società pubblica che nel 2007 Romano Prodi avrebbe voluto chiudere come una specie di nuova Iri. Se non fosse che di nuove Iri ce ne sono adesso addirittura due. La seconda, o meglio la prima, è la Cassa Depositi e Prestiti che il governo di Mario Draghi ha affidato alle cure di Dario Scannapieco. Lì dentro c’è Fincantieri, l’Ansaldo energia e una quota di Saipem. Ma soprattutto attraverso la grande banca del Tesoro lo Stato è rientrato in possesso di Autostrade, ricomprata a peso d’oro dalla famiglia Benetton cui il centrosinistra l’aveva venduta nel 1999. Ceduta in concomitanza con la scalata a Telecom Italia di cui Cdp si ritrova ora a essere il secondo azionista, e con la propria Openfiber è pure in pista per ricondurre nell’alveo pubblico la rete telefonica. Non bastasse, sempre con la banca del Tesoro lo Stato si è riaffacciato addirittura nel mondo delle

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costruzioni come socio forte di Webuild e di Trevi. Non disdegnando l’espansione nel settore turistico, rinverdendo i fasti della defunta Valtur con il 46 per cento di Hotelturist e il 23 per cento di Roccoforte hotels. Lo Stato costruisce il ponte sullo Stretto di Messina per mandarvi pure in vacanza in Sicilia, pensate che cortesia. Ma non è finita qui, perché c’è il fondo F2I, partecipato sempre dalla Cassa Depositi e Prestiti, che ha aperto ancora allo Stato le porte di una decina di società aeroportuali, ma anche dell’elettricità di Sorgenia e delle residenze per anziani targate Kos-gruppo Cir De Benedetti. E poi il Fondo Italiano d’Investimento, posseduto al 55 per cento dalla banca del Tesoro, che oltre a 23 partecipazioni private ha in portafoglio il 67 per cento di Fly

Dal Montepaschi si ricaverebbe poco e finirebbe a qualche banca internazionale. Difficile per una destra che ha sempre parlato di “svendite allo straniero”


Foto: pagine 60 -61 F. Volpi – Bloomberg / Getty Images. Pagine 62 - 63 Agf (2) Getty Images

One, controllante dell’impresa aeronautica Mecaer. Misteri del business aeronautico, considerando che lo Stato italiano ha già l’Alenia. Come misterioso, dal punto di vista dei contribuenti, è il rientro dello Stato nel già fallimentare campo del trasporto aereo con Ita Airways. E qui torniamo al leghista Giorgetti e al suo curioso piano di privatizzazioni. Perché sfogliando il recente album di famiglia della destra attuale viene fuori che le privatizzazioni le sono sempre andate di traverso. Dice tutto la violenza dell’attacco politico sferrato dal Movimento Sociale con durissime interrogazioni parlamentari a Mario Draghi. Il direttore generale del Tesoro venne accusato di aver tramato per la svendita delle nostre imprese di Stato con le plutocrazie anglosassoni sul Britannia in quel 1993 che aprì la breve stagione di cui sopra. E la visita al panfilo della famiglia reale inglese non gliel’hanno mai perdonata. Così come hanno sempre accolto con sospetto ogni operazione che prevedesse il ridimensionamento dello Stato. Pronti a sollevare barricate contro la privatizzazione di Poste Italia-

PROTAGONISTI Da sinistra: Mario Draghi, Bernardo Mattarella, Giancarlo Giorgetti, Dario Scannapieco

ne «Sarebbe una follia!» (Giorgia Meloni, 24 gennaio 2018). Fulminando con suggestioni complottiste Enrico Letta che da premier voleva privatizzare anche Sace e Fincantieri: «Oggi parte la svendita dei gioielli di famiglia…» (Guido Crosetto, 21 novembre 2013). Vero è che adesso si potrebbe vendere, per esempio, il Monte dei Paschi di Siena rimesso in carreggiata. A parte però il fatto che capitalizza in borsa 3 miliardi, cifra assai lontana dai 20 ipotizzati, potrebbe comprarlo qualche banca straniera: sarebbe accettabile? La vendita di Ita, d’altro canto, non coprirebbe neppure le perdite accumulate finora. Si è parlato allora delle Ferrovie. Ma, a parte le considerazioni su come funzionano, quale cifra si porterebbe a casa con un eventuale collocamento in borsa, ammesso che risulti politicamente praticabile? Quanto agli immobili pubblici e scartata la vendita del Colosseo, il buonsenso direbbe di piazzare per prima cosa le caserme inutilizzate. Mai nessun governo però è riuscito a farlo, figuriamoci questo. Giorgetti è troppo esperto per non sapere tutto questo, e non immaginare le resistenze che inevitabilmente il principale azionista della maggioranza potrebbe scatenare. Ma la regola non scritta della politica dice che raggiungere l’obiettivo promesso non è importante quanto prometterlo. Anche perché in un Paese dalla memoria così corta tutto si dimentica in fretta. Pure Giovanni Tria, ministro dell’Economia del governo grilloleghista dove peraltro lo stesso Giorgetti era sottosegretario di Palazzo Chigi, aveva previsto cessioni di asset pubblici per 18 miliardi entro il 2019. Ebbene, oltre a non incassare un euro, lo Stato avrebbe speso in seguito una barca di soldi per rimettere in piedi una compagnia di bandiera durante il governo Draghi, di cui ancora Giorgetti era ministro dello Sviluppo Economico. Non proprio uno che passava da lì per caso.

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MONITORAGGIO

Smart working, quanto basta Per gli italiani il lavoro da remoto è diventato uno strumento utile, se non necessario Che va regolamentato ed eventualmente limitato ad alcuni giorni, ma esteso a tutti

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RESISTENTI

La città della polizia minaccia la foresta. Un attivista ucciso, oppositori colpiti: la protesta cresce

Diletta Bellotti

a piante stanno agli ecosistemi, come i rivoluzionari stanno alla società». Così recita un lavoro di Andrea Conte (Andreco) del 2017. Nella sua analisi, il ruolo fondamentale delle piante nella depurazione degli inquinanti e nel ripristino degli ecosistemi danneggiati può essere equiparato al ruolo dei rivoluzionari in società liberticide. Nella primavera del 2021, la città di Atlanta ha affittato 154 ettari della foresta Weelaunee alla Atlanta police foundation (Apf) per la costruzione di una struttura militare di polizia detta Cop city. Il progetto prevede la più grande centro d’addestramen-

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Il movimento di Atlanta contro Cop city to della polizia negli Stati Uniti e si situa nella foresta Weelaunee, terra della popolazione indigena Muscogee. Weelaunee ha la più alta percentuale di chiome di alberi di qualsiasi altra grande area metropolitana negli Stati Uniti, le quali garantiscono la resilienza di Atlanta contro i cambiamenti climatici. Ospita zone umide che filtrano l’acqua piovana e prevengono le inondazioni. È anche una delle ultime zone di riproduzione per molti anfibi della regione e un importante sito di migrazione per gli uccelli trampolieri. Il progetto includerebbe una “città” per esercitarsi nella guerra urbana, decine di poligoni di tiro e una piattaforma di atterraggio per elicotteri Black Hawk. È finanziato con più di 60 milioni di dollari da multinazionali e con più di 30 milioni dei contribuenti. L’Apf ha mentito e mancato di trasparenza

durante l’intero processo. Nello specifico ha rifiutato di rendere pubblici gli sponsor, nonostante le richieste dei membri del consiglio comunale. Ha inoltre ostacolato il coinvolgimento della società civile nelle fasi preliminari e ha affermato che il sito del progetto è «caratterizzato da una scarsa copertura arborea», quando invece ci sono alberi che hanno più di 300 anni e molte specie autoctone che prosperano. L’Apf si è inoltre rifiutata di rendere pubblici i rapporti di valutazione ambientale e ha mentito sulla loro esistenza. Al momento sono due gli appaltatori che grazie alle pressioni, locali e nazionali, hanno rinunciato a portare avanti Cop city. Il 18 gennaio 2023, durante un raid, la polizia ha ucciso l’attivista “Tortuguita”, segnando così il primo omicidio di un attivista climatico da parte della polizia negli Stati Uniti. Durante i raid, le forze dell’ordine hanno colpito con dei proiettili urticanti i difensori della foreste che si erano arrampicati e legati agli alberi per evitarne l’abbattimento. In luoghi di resistenza come la foresta di Atlanta la compenetrazione delle lotte è particolarmente visibile: difendere la foresta significa anche agire contro i processi di gentrificazione, contro la militarizzazione dei territori e contro la brutalità e il razzismo delle forze dell’ordine. Come mi ha raccontato X., il movimento sa che, «nonostante la perdita di un difensore della foresta, nonostante tutta la violenza che quel luogo ha visto finora, la foresta si sanerà e rimarrà foresta». Ad oggi, 42 attivisti ricondotti al movimento autonomo “Defend Atlanta Forest” sono stati accusati di terrorismo interno e 61 di qualcosa di paragonabile alla nostra associazione a delinquere (Rico act). Nonostante l’intensificarsi della repressione nei confronti di chi difende la foresta, vari gruppi autonomi si sono organizzati in giro per il Paese contro Cop city.

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FACCIAMO ECO

Giuseppe De Marzo

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odate Dio per tutte le sue creature. Perché il mondo canta un amore infinito». Dopo otto anni dall’enciclica Laudato si’ Papa Francesco con la sua nuova esortazione apostolica Laudate Deum torna a rivolgersi alle donne e agli uomini di buona volontà, perché nulla è stato fatto per affrontare le conseguenze della crisi ecologica. Francesco denuncia la debolezza della politica internazionale: «Non abbiamo reazioni sufficienti mentre il mondo che ci accoglie si sgretola e forse si avvicina a un punto di rottura» (§ 2). Proprio nella giornata dedicata al santo di Assisi, il 4 ottobre, il Papa ha voluto rimet-

Terra e potere Il monito del Papa sugli eco-diritti tere al centro l’impegno per la nostra casa comune e l’attualità dell’ecologia integrale come paradigma per uscire dalla crisi strutturale e di sistema in cui ci siamo infilati. E lo fa senza sottrarsi dall’affrontare argomenti scottanti, indicando responsabilità e soluzioni. La Laudate Deum ribadisce da un lato come la giustizia sociale dipenda da quella ambientale, e dall’altro afferma la necessità della giustizia ecologica, esortandoci a un cambiamento culturale. La questione non è «verde», dice Francesco, ma sociale e umana: se non riconosciamo diritti alla Terra non potremo garantire diritti agli umani. Le responsabilità della crisi ecologica, di cui il collasso climatico è solo una parte, per Francesco sono da imputare al «paradigma tecnocratico». La crisi climatica rivela «un esempio sconvolgente di peccato strutturale» (§ 3). Non lo nomina, ma il

Non solo una riflessione sui guasti ambientali ma sulle dinamiche politiche ed economiche

riferimento è al modello economico capitalista che definisce paradigma tecnocratico. Per Francesco non saranno le scorciatoie indicate da false soluzioni, green washing e tecnica a salvarci, perché i limiti non possono essere infranti senza conseguenze. «Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale». L’intelligenza artificiale e gli ultimi sviluppi tecnologici sostengono l’idea di un essere umano senza limiti, le cui capacità e possibilità potrebbero essere ampliate all'infinito attraverso la tecnologia. «Così il paradigma tecnocratico si autoalimenta mostruosamente» (§ 21). Francesco smonta anche il negazionismo climatico, stigmatizzando chi «ha provato a ridicolizzare, incolpando i poveri». Con buona pace delle Meloni di turno, il collasso climatico «ha cause antropiche» (§ 11). Mentre «i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono a ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente». Cosa fare, allora, contro quella che il Papa definisce struttura di peccato? Il grido della Terra non mette al centro solo la necessità della «conversione ecologica». «Se i cittadini non controllano il potere politico neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali». A suo avviso dovremmo ripensare il significato e i limiti del potere umano e riconfigurare le istituzioni politiche multilaterali indebolite (§ 37). Perché «tutto è connesso», «nessuno si salva da solo» Il messaggio diretto, potente e poetico di Francesco non è solo speranza viva ma solida strada su cui costruire partecipazione e cambiamento politico in un momento di oscurità e sbandamento. Facciamo Eco!

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ECONOMIA LA CONQUISTA DEL COSMO

Anche Intesa punta su Musk EMILIO COZZI ntesa Sanpaolo investe su SpaceX, propaggine spaziale di Elon Musk. Via da sarcasmi dolceamari – occhi sull’Italia, ma portafoglio all’estero – l’operazione è significativa. Reso noto il 9 ottobre, cioè pochi giorni dopo aver saputo che il lanciatore (in larga parte italiano) Vega C non tornerà a volare prima di un anno, l’investimento testimonia l’attenzione della più grande banca italiana alla space economy, un settore con ampi margini di crescita e in cui il Paese è fra i primi al mondo. Non è un caso, ricordano i vertici dell’istituto in una nota a L’Espresso, che Intesa Sanpaolo supporti da tempo «l’ecosistema spaziale italiano; è dello scorso anno l’operazione di finanziamento alla campana Space Factory (due milioni di euro per il completamento e lo sviluppo del minisatellite Irenesat Orbital e per i servizi in orbita per esperimenti scientifici, ndr) e numerose sono le iniziative sul territorio di 1,5 miliardi) nel primo trimestre del 2023, e dopo a sostegno delle startup dell’aerospace, per due anni di perdite significative», non dovrebbe far promuoverne la crescita e la competitivi- dimenticare che l’azienda investe cifre a nove zeri tà. La Banca è infine partner di Leonardo in ricerca e sviluppo – si pensi alla nuova astronave e Thales Alenia Space, nell'European digi- Starship – né che SpaceX punti a diventare un sertal innovation Hub Damas, e partecipa allo vice provider più che un fornitore di hardware spaSpace finance lab della Bei», la Banca euro- ziale, in primis con il servizio di Internet satellitapea per gli investimenti. re Starlink. Sull’entità dell’investimento su SpaceX Detto altrimenti: le attività e i finanziatori di Musk non ci sono indicazioni ufficiali, il che lo puntano lontano. «SpaceX – commentano da Intesa pone sotto la soglia di comunicazione del- Sanpaolo – è leader nella space economy grazie all’ole partecipazioni rilevanti. Ciò non toglie rientamento all’innovazione tecnologica e all’imporche Intesa entri tra i finanziatori di alto tante vantaggio competitivo ottenuto per essere staprofilo dell’azienda spaziale, la cui valuta- ta una delle prime iniziative private ad affermarsi. È il zione di mercato supera i 130 miliardi di primo e unico operatore ad aver sviluppato la tecnolodollari. gia del recupero e riutilizzo dei vettori. Inoltre, possieCon la banca italiana, a scommettere su de l’unica infrastruttura satellitare (Starlink) in grado SpaceX, ci sono gruppi come gli statuni- di rendere disponibile il collegamento alla rete pratitensi Fidelity investments e Alphabet – la camente in tutto il mondo; un’infrastruttura messa a holding cui fa capo Google –, il Public disposizione per supportare la recente emergenza in investment fund, cioè il fondo sovrano Emilia-Romagna». dell’Arabia Saudita, e l’Abu Dhabi invest- Del resto, un rapporto della Direzione studi e ricerche ment authority. Che il Wall Street Jour- del gruppo bancario sul settore aerospaziale, stabilinal abbia rivelato il primo saldo positi- sce che la space economy costituisce uno dei «fattori vo di SpaceX (55 milioni su un fatturato di sviluppo più promettenti».

L’Istituto investe su SpaceX la cui valutazione di mercato supera i 130 miliardi di dollari. La scelta in linea con operazioni al fianco della filiera italiana impegnata nel settore

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Lo studio rivela un interesse particolare IL PROGETTO tecniche di raccolta dati, moper la filiera italiana e le sue prospettive. Concept art dell'invio nitoraggio e intervento preConferma che, fra il 2018 e il 2022, mentre della capsula Dragon ventivo. Non da ultime anche l’Italia è stata il nono Paese nell’industria su Marte le attività e le infrastruttuaerospaziale, con una quota del 2,5% sul re abilitanti legate all’accesvalore della produzione globale, nella sola space eco- so e allo sfruttamento dello spazio». E se nomy ha occupato il sesto posto sia per l’export che per quanto riguarda la manifattura o la loper il numero di brevetti. Sono risultati ottenuti gra- gistica spaziale, il nostro Paese vanta leazie a una filiera presidiata per intero, una caratteristi- der (come Leonardo e Thales Alenia Spaca di pochi Paesi al mondo, e distribuita su tutto il ter- ce) e pmi pronte alla quotazione in Borsa ritorio nazionale, sebbene con cinque poli di spicco: (D-Orbit), è nel segmento lanciatori che il in Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte e Puglia. dolceamaro (ri)trova legittimità. Non solo In un mercato globale che l’indipendente Space Foun- per il momentaneo stop dei razzi made in dation stima di 546 miliardi di dollari, l’Italia concen- Italy, ma in una dimensione, anche geotra le sue eccellenze nei segmenti più proficui, dalle politica, continentale: priva di un accesso telecomunicazioni all’osservazione della Terra. «È so- autonomo all’extra-atmosfera, l’Europa (e prattutto importante – conferma Intesa Sanpaolo – il l’Italia con lei) rischia di soccombere alla contributo che l’economia spaziale può offrire per af- concorrenza di Cina, Emirati Arabi, India. frontare alcuni grandi temi che riguardano la nostra O di privati come SpaceX. Per questo è visocietà: si pensi alla sostenibilità, grazie alle applica- tale diventare più attrattivi. zioni dedicate al monitoraggio del Pianeta; all’inclu- Intesa conferma di «valutare direttamensione, rendendo disponibili servizi e collegamenti te o indirettamente investimenti in setnei Paesi meno sviluppati e, in generale, alla cresci- tori strategici in ambito nazionale e inta di alcuni settori di grande impatto sociale quali l’a- ternazionale, qualora fosse opportuno e gricoltura, l’energia e la sanità grazie allo sviluppo di conveniente».

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ECONOMIA TRAPPOLE COGNITIVE

Se l’intelligenza nasconde l’ignoranza UGO MATTEI a nostra epoca va caratterizzata come l’era della conoscenza. La conoscenza è strettamente legata all’intelligenza, ma non ne è un sinonimo. L’intelligenza, infatti, è etimologicamente comprensione, sicché uno potrebbe considerare impossibile conoscere ciò che non si comprende. Scienza, conoscenza, intelligenza e comprensione tuttavia, di fronte alla complessità del reale, hanno via via sviluppato fra loro relazioni sfumate e cangianti, generando fenomeni sociali, come la tecnologia, di fronte ai quali lo iato fra conoscere e comprendere diviene abissale. Per millenni gli umani hanno conosciuto il fuoco senza comprenderlo, e ciò risulta vero oggi per la stragrande maggioranza degli automobilisti, di coloro che ascoltano la radio, guardano la tv o utilizzano un cellulare. Per il non specialista, infatti, la pido e efficiente possibile, ha una connotatecnologia è sempre una sorta zione pratica che prescinde dalla comprendi magia, che genera sorpresa sione profonda, ma riguarda la capacità di e meraviglia. A fine Ottocento utilizzare la tecnologia (es. smart city). I nasentire la voce di una persona tivi digitali, molto smart col cellulare, non lontana in una cornetta. Oggi hanno alcuna idea del suo reale funzionavedere sullo smart phone l’im- mento. (A questo proposito merita la letmagine del nipotino che ti sor- tura di Juan Carlos De Martin, “Contro lo ride da New York. Smart Phone”). Il “capitalismo cognitivo”, Un processo simile di adattamento del la migliore e più asettica defi- significato delle parole alle circostanze tecnizione della nostra epoca, si è nologiche, che tende a generare uno slittasviluppato con internet come mento di senso permanente, sta avvenendo sua infrastruttura portante, con la locuzione intelligence nell’acronimo proprio come la prima moder- A.I. A prescindere dal legame storico con nità non poteva svilupparsi senza il nuovo spionaggio (Central Intelligence Agency), mondo conquistato dagli Europei. Esso co- qui il senso non ha nulla a che fare con la stituisce una trasformazione a trazione sta- comprensione, che è una esperienza umatunitense che utilizza la locuzione “smart” na, ma ha tutto a che fare con la rapidità per caratterizzarsi. Anche qui smart e in- prodigiosa in cui la macchina impara ad telligente non sono perfettamente sinoni- aggregare dati. Insomma, si veicola l’idea mi, perché il primo prescinde totalmente per cui si può essere non solo smart, ma dall’idea di comprendere. Smart è colui che anche intelligenti senza comprendere, cioè sa risolvere un problema nel modo più ra- conoscendo in modo del tutto superficiale.

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Il funzionamento della tecnologia sofisticata ci sfugge del tutto. Così siamo costretti a fidarci di chi la produce. Mentre bisognerebbe sviluppare un sapere critico

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Foto: Getty Images

Ovviamente, la conoscenza superficiale, proprio come il multitasking che genera disattenzione, ci rende del tutto vulnerabili ad artifici e raggiri volti a carpire la nostra buona fede, problema che riporta paradossalmente in auge il più antiscientifico fra i principi di conoscenza, ossia l’antico ipse dixit. Lo ha detto l’esperto certificato e dunque è vero! Le opinioni e spiegazioni difformi rispetto all’ipse dixit altro non possono essere che fake news. Ciò necessariamente rafforza anche sul piano etico un mainstream di riferimento e genera credulità popolare che si presta ad ogni abuso. Per esempio, quando furono messi in circolazione i “Btp Futura” nel 2021, con grande pompa patriottica, chiedendo agli italiani di partecipare alla ripresa post-covid, con un investimento sicuro minimo di otto anni, nessuno ha fatto comprendere il senso della presenza delle clausole c.d. di “azione collettiva”, inventate nel 2013, che consentono la ristrutturazione del debito, generando un grave rischio. Oggi, chi volesse uscire

LED L’effetto creato dal passaggio delle persone davanti a luci create dai led

dalla trappola può liquidare circa 60 ogni 100, ossia avrebbe già perso, ignaro, oltre il 40% del suo investimento patriottico di lunga durata. Del resto, chi investe in risparmio gestito (comprando polizze assicurative o fondi di investimento offertigli dalla sua banca) non comprende la struttura delle commissioni, che sono talmente consistenti da mangiarsi strutturalmente ogni ritorno. Se si acquistasse direttamente il sottostante (ossia le azioni, le obbligazioni o i titoli di Stato) che invece lascia acquistare dal gestore del fondo che la banca colloca, si risparmierebbero migliaia di euro e si potrebbe pure evitare di dare soldi senza saperlo a chi produce armi. Lo slittamento di senso verso un ipse dixit tecnocratico ci porta a fidarci degli attori mainstream, credendo alla loro pubblicità. Ma questa credulità ha un costo politico. Per esempio, oggi le banche fanno ben più della metà dei profitti in commissioni a rischio zero, cosa che le disincentiva a imprestare i soldi essenziali per l’economia reale del Paese. Disintermediando i propri risparmi i cittadini servirebbero il bene comune non solo il proprio interesse! In una parola, nella società dell’intelligenza, l’ignoranza genera povertà personale e collettiva. La sola soluzione è dunque investire in conoscenza come bene comune, ossia una intelligenza critica, trasparente, condivisa disinteressata e davvero accessibile. È questa la ragione per cui occorre partire dalle scuole. Ed è sacrosanto avanzare serie perplessità a che la multinazionale Pfizer, ben nota per la sua spregiudicatezza, finanzi un programma di lotta alle fake news nelle scuole italiane proponendo «alfabetizzazione medico-scientifica per studenti e professori». Occorrerebbe piuttosto sviluppare una alfabetizzazione di base in materia civica, politica, ecologica e finanziaria, insegnando ai ragazzi il coraggio della verità, e introducendoli ad eroi eponimi di queste battaglie come Aaron Shwartz e Julian Assange.

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ECONOMIA CARRIERE

Non soltanto dottor House ELISA SERAFINI ono medici, ma non fanno i medici, almeno, non in senso tradizionale: sono laureati in Medicina che hanno scelto carriere alternative al contesto clinico. Consulenza, farmacologia ma anche finanza. Un trend presente da tempo all’estero e che sta emergendo in Italia, anche grazie alla presenza di gruppi di discussione online, in particolare sulla piattaforma Discord, dove esistono canali interamente dedicati. C’è chi cerca stipendi più alti, chi un miglior bilanciamento della vita professionale e personale e chi ha scoperto una vocazione differente. «Il mestiere del medico è gratificante ma molto verticale» – racconta Pier Francesco Laurenzi, 33 anni, medico psichiatra, oggi nella Direzione medica di una holding che gestisce cliniche e Rsa. «Lavorare in un contesto aziendale permette di comprendere come viene ge- re un impatto positivo nella salute delle persone. Ho stita la sanità su una scala più larga, e in- cominciato a fare ricerca perché trattare un pazientercettare innovazioni e soluzioni di cura te alla volta è ottimo, ma uno studio ben fatto ne può per i pazienti, grazie all’incrocio tra com- aiutare milioni. Sono arrivato al mondo dei farmaci, petenze. Negli Stati Uniti si incentiva que- dei dispositivi medici e delle startup perché volevo essto processo con percorsi misti tra Mba e sere parte di quel processo di innovazione che porta Medicina». nuove speranze per i pazienti». Emanuele Chisari, laureato in MeAd attrarre medici è anche il settore della finandicina in Italia, si è specializzato con un za. Federico Aureli, classe 1998, laureato in Medicina dottorato di ricerca negli Stati Uniti e all’Università di Bologna, durante il corso di studi ha oggi guida la strategia medico-scienti- collaborato con il fondo Nina Capital, con sede a Barfica di Parvizi, società che sviluppa star- cellona, che seleziona e investe in startup a vocaziotup in campo medicale. «Contrariamen- ne medicale. Nel mondo del venture capital, i medici te a quanto si potrebbe pensare, non ho vengono assunti per selezionare i progetti di investideviato dal percorso medico. Sono un mento più promettenti, attraverso una valutazione medico, la differenza è che non opero in scientifica. «La consapevolezza che per fare progressi un contesto ospedaliero tradizionale, ma significativi in medicina è necessario studiare un arogni giorno utilizzo le competenze acqui- gomento per più di vent’anni, non si adattava alla mia site durante gli anni di studio, ricerca e ti- personalità. Lavorare nel venture capital mi ha perrocinio», racconta Chisari, che aggiunge: messo di capire che sono più interessato al lato com«Ho scelto Medicina perché volevo ave- merciale della medicina e alla gestione dell’assistenza sanitaria», racconta Aureli. C’è anche chi ha scelto una strada imprenditoriale. Daniel Karang, laureato in Odontoiatria, durante gli studi ha co-fondato TestBusters, realtà di forma-

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Per denaro e per passione. Medici sì ma con traiettorie professionali diverse da sala operatoria e corsia. Operano nella ricerca, nel business e c’è chi si è reinventato imprenditore

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Foto: Agf

zione per i test di ingresso di Medicina. Oggi è angel investor in realtà innovative e co-founder di cliniche odontoiatriche. «Uno dei motivi che mi ha spinto a cambiare è che ritengo il sistema sanitario italiano chiuso, per motivi di casta-clientelismo e motivi strutturali. Sono presenti figure con competenze poco trasversali, e questo comporta un’incapacità di lavorare in maniera organizzata. Più il centro è grande, più è inefficiente: la scala non funziona perché la medicina italiana è forte nel prodotto ma manca la parte di organizzazione. Questo spesso è dovuto dal fatto che vige il principio di incompetenza, secondo cui ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza. I primari sono scelti o per motivi clientelari o, se va bene, per competenze cliniche o di ricerca. Nella selezione non emergono i migliori a coordinare, come avviene per il test di Medicina, in cui essere ammessi non equivale alla capacità di diventare un buon medico. Dovremmo

pensare a quali siano le qualità necessarie per le figure apicali del sistema sanitario». L’esodo di medici dal sistema sanitario, sia per carriere alternative che per attività all’estero, genera ogni anno carenze sempre più significative. «Pazienti e clinici vivono insoddisfazione. Innovare permetterebbe di migliorare il sistema, incoraggiando competenze trasversali, fin dagli studi», conclude Karang. Digitalizzazione, aumento dei posti nelle facoltà e nelle scuole di specializzazione e una riforma sistemica delle governance, dei processi clinici e di studio, sembrano essere le soluzioni prioritarie. Il governo, intanto, ha aumentato i posti nelle scuole di specializzazione, ma ridotto l’impegno nel servizio sanitario rispetto al Pil. Senza riforme, sistemiche, sarà difficile, se non impossibile cambiare le cose.

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I TEST Prove di ammissione ai Corsi di laurea in Medicina e chirurgia e in Odontoiatria e protesi dentaria dell Universita Cattolica del Sacro Cuore, alla Nuova Fiera di Roma

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ECONOMIA I FONDI DEL PNRR

Opere a rilento Dal privato un’opportunità FRANCESCO FIMMANÒ ualche settimana fa l’Anac ha deliberato che nelle operazioni di Partenariato pubblico-privato (Ppp), gli investimenti europei a fondo perduto (grants), a differenza dei prestiti onerosi con obbligo di restituzione da parte dello Stato (loans), non rientrano nel novero dei contributi pubblici e quindi questi ultimi possono superare di fatto il 49% del costo dell’investimento complessivo (off balance) per la realizzazione di un’opera. Ciò serve a cambiare completamente il paradigma del Partenariato che da strumento controverso di attrazione di risorse private (che ha avuto uno scarsissimo successo negli ultimi venti anni) diventa un formidabile strumento di attrazione di progettualità, know how e competenze, in un momento storico in cui le pubbliche am- ma tutto quello che non è appalto pubblico ministrazioni non riescono a in cui la pubblica amministrazione è mestare al passo con le opportu- ramente passiva. L’operazione economica, nità del Pnrr ed hanno subito come oggi la definisce il nuovo codice dei un drastico ridimensionamen- contratti pubblici, può essere di tipo conto del personale, specie di quel- trattuale (concessioni, finanza di progetto, lo più esperto e qualificato non locazioni finanziarie, contratti di disponisolo per effetto dei pensiona- bilità e di efficientamento energetico) opmenti. Con gli attuali organici pure istituzionale (società miste, consordegli enti pubblici, e senza ope- zi, fondazioni per i relativi affidamenti in razioni associative, sarà davvero house). Il partner privato è posto così nelle impossibile portare a termine condizioni di fornire le proprie abilità proquanto il Paese si è impegnato gettuali, manageriali, commerciali ed ina fare nei confronti dell’Unione novative, ottenendone un ritorno econoEuropea, viste peraltro le rigo- mico sui ricavi. rosissime regole di rendicontazione. La fenomenologia ha rappresentato neIl Partenariato è una forma di coopera- gli ultimi anni una macro-questione aszione mista, con l’obiettivo di finanziare, sai controversa, su cui i governi, l’opinione costruire e gestire infrastrutture o servizi pubblica ed i media hanno avuto posiziodi pubblica utilità che attraverso una vasta ni contrastanti e talora conflittuali anche gamma di modelli e metodologie attuative perché pone una serie di criticità funzionapuò essere utilizzato in tutti quei casi in cui li e si presta a posizioni ideologiche. Se si il settore pubblico intenda affidarne al pri- guarda, ad esempio, al fenomeno della convato le varie fasi. Il Partenariato è insom- cessione ed alle cosiddette opere calde, c’è

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L’intervento dell’Anac sul Partenariato sgombera il campo sull’utilizzo dei finanziamenti europei per la realizzazione di infrastrutture. A partire dagli stadi

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da dire che ha dato risultati molto deludenti, fatti di investimenti limitati nel tempo e di veri e propri privilegi che talora sono divenuti una vera e propria manomorta. Sul piano generale, nel nostro Paese manca la cultura della partnership mista e comunque la tematica sconta, più che in ogni altro caso, l’atavico problema italiano della «cattura del regolatore». Ora però le risorse sono davvero tante (basti pensare che il Pnrr italiano è in assoluto il più grande in Europa) ed il Partenariato costituisce la più concreta soluzione operativa in uno scenario in cui si registra l’improvvisa disponibilità, da parte delle stazioni appaltanti, di enormi investimenti da mettere in campo, a fronte di una palese carenza di capacità progettuale (quale conseguenza dell’annosa contrazione della spesa pubblica nonché della centralizzazione degli acquisti, che le ha svuotate di competenze e conoscenze necessarie per la redazione di progetti). Le misure del Pnrr guardano in particolare ad innovazione,

I CANTIERI Difficoltà progettuali legate a carenze di organico e a mancati investimenti sulle professionalità interne alla pubblica amministrazione rischiano di mettere a repentaglio l’opportunità del Pnrr

twin transition (ecologica e digitale), valorizzazione dei territori e occorre trovare immediate soluzioni per progettare, realizzare, rinnovare e soprattutto gestire e sfruttare infrastrutture e servizi, specie al Sud, per favorire il rilancio economico del Paese nell’ambito dei programmi triennali previsti dalla legge. Il principio del «risultato dell’affidamento», contenuto nel nuovo codice, va applicato in una dinamica nuova fatta di netta separazione di ruoli, di regole certe, di standard chiari, di discrezionalità tecnica limitata e di rischi operativi che gravino sul privato. La variante più adatta è il project financing basato sulla realizzazione di un progetto di provenienza privata, con esclusione di quella pubblica in quanto duplicazione della concessione. In caso di approvazione, quest’ultimo diviene oggetto di una procedura in cui può essere disposto il diritto d’opzione a favore del proponente che, nella ipotesi di mancata aggiudicazione, può attivare comunque la prelazione aggiudicandosi l’affidamento (previo rimborso del costo di partecipazione all’aggiudicatario pretermesso). Ora che il privato non deve più metterci risorse finanziarie (anche per evitare il meccanismo del double funding con complicazioni di rendiconto) occorre solo una seria attività da parte del partner pubblico di valutazione preliminare, controllo e monitoraggio di procedure e modelli standard che non lascino alcun margine di manovra. Il settore in cui è stato più utilizzato il project è quello delle infrastrutture sportive ed è emblematico che qualche giorno fa il presidente della Uefa Aleksander Ceferin, a proposito dell’assegnazione degli Europei del 2032 a Italia e Turchia, abbia criticato duramente il nostro Paese, proprio con riferimento alla questione degli stadi, affermando che «il livello infrastrutturale dell’Italia, in confronto alla sua dimensione e al suo status, è davvero povero e che le istituzioni dovranno fare di più se vogliono ospitare la più importante iniziativa continentale».

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BANCOMAT

Alberto Bruschini

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a demografia, la spesa pubblica e le pensioni diventano un trittico di questioni micidiali per la tenuta del Paese, dato il livello dell’inflazione, l’aumento dei pensionati e il calo della popolazione per la riduzione delle nascite. Nel 2030, stante il trend attuale, in Italia la popolazione diminuirà di 1 milione di persone. Crescerà, invece, la spesa per le pensioni che arriverà a impegnare il 16% del Pil, per una cifra intorno ai 390 mld di euro. Il calo demografico, unitamente alla fuoruscita dal lavoro dei pensionati, avrà conseguenze negative per il sistema eco-

Lotta all’evasione e immigrati per sanare i conti nomico e per il bilancio dello Stato. Diminuirà l’offerta di lavoro, sia per il settore pubblico che per quello privato e aumenterà l’età media degli occupati siano essi uomini o donne. L’invecchiamento della popolazione, pur avendo lo stesso trend sul territorio nazionale, amplierà le differenze strutturali tra il Nord e il Meridione. Nel 2030, stando ai dati Istat, la popolazione residente nel Nord sarà il 27,4 % come nel 2022, nel Centro passerà dall’11,7 all’11,6, mentre nel Sud si attesterà al 19,1% contro l’attuale 19,9%. Con gli effetti di tale andamento preoccupano gli anni a venire. Di fronte a una previsione di tale natura, colpiscono le parole del Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che più volte ha detto che con l’attuale tasso di natalità «il sistema pensionistico non regge». Un’affermazione che sottintende la crisi

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Non bastano formule da ragionieri. Serve una svolta per rendere sostenibile il bilancio dello Stato.

fiscale dello Stato. Tale dichiarazione circoscrive le necessità del Paese ad un esercizio ragionieristico, svuota l’azione del governo di ogni visione strategica, diversamente da quanto affermato dalla Presidente Meloni in occasione del suo insediamento (ottobre 2022), quale critica di fondo a tuti i governi precedenti. Il calo della demografia non si risolve in breve tempo. Lo si può combattere, però, con l’utilizzo dell’immigrazione per l’inserimento degli immigrati regolari nel sistema produttivo e prendendo di petto le retribuzioni del lavoro. Per conseguire questi obiettivi occorre che la finanza pubblica torni ad essere strumento di governo dei fenomeni economici e che aumenti il gettito tributario. Considerati i vincoli di bilancio indicati nella Nadef, senza ricorrere a una patrimoniale con tutti i problemi che comporterebbe, al governo non resta che una lotta di contrasto all’evasione fiscale per aumentare il gettito tributario. Altre vie non esistono in un Paese con un andamento economico riflessivo, dato il livello dell’indebitamento pubblico e la preoccupazione che il nostro debito ingenera nel mercato finanziario internazionale per gli alti tassi di interesse. Si tratterebbe, allora, di concentrare le maggiori entrate reperite attraverso la riduzione dell’evasione fiscale per il potenziamento della produttività del sistema, sfruttando le opportunità della transizione ecologica, al fine di rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale e di parificare le retribuzioni al costo della vita. Parimenti sarebbe necessario contrastare il calo demografico coniugando gli interventi sociali per la natalità, con l’immissione nel ciclo lavorativo di immigrati professionalmente preparati, organizzando flussi di ingresso regolari di forza lavoro giovane.


L’INTERVENTO CONTI PUBBLICI La manovra è “realista e prudente”. Le critiche di Giampaolo Galli sul mancato rientro e sulle previsioni troppo ottimistiche non colgono nel segno

Il debito si riduce solo con la crescita GIULIO CENTEMERO* Marrakesh, agli annuali meeting di Fmi e Banca Mondiale, nella presentazione dedicata alle dinamiche sociali globali Italia, Messico e Nigeria sono stati presi come campione. L’esempio italiano è stato assunto come caso di popolazione “aging and declining”, ovvero che invecchia e diminuisce. In audizione sulla Nadef il ministro Giorgetti ha menzionato più volte due dei trend che più caratterizzano l’odierna società italiana: longevità e denatalità. E ha comunicato alcune misure che entreranno in manovra. Leggendo la Nota, considerato che è redatta a legislazione corrente e in una situazione geopolitica molto incerta, trovo che la stessa, per rubare le parole del ministro, sia improntata a una «prudenza realista» e guardi lontano. Le annunciate misure a favore della natalità, le riforme di fisco e mercati, l’istituzione dell’educazione finanziaria quale materia scolastica, ci fanno poi ben sperare nel futuro; la “prudenza realista” sta anche nel mettere in campo misure che diano effetti non necessariamente subitanei e al contempo duraturi. Mi stupisco nel leggere Giampaolo Galli, ex deputato del Pd, su L’Espresso (numero 40 del 6 ottobre) prendere una posizione negativa nei confronti della Nadef in quanto prevederebbe una stabilizzazione del debito piuttosto che la sua riduzione nei prossimi tre anni. La critica non considera due elementi: L’AULA la durata media del debito e il saldo prima- L’interno della Camerio. Tali fattori riducono la vulnerabilità del ra, in occasione deldebito alle variazioni dei tassi e testimonia- la prima seduta della no l’impegno a perseguire politiche pruden- legislatura ti. Il Tesoro ha allungato negli anni la durata media del debito detenuto dai nostri investi-

Foto: Getty Images/Cavan Images RF

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tori, riducendo significativamente la velocità con cui un aumento dei tassi si traduce in un aumento del costo del debito. Questo riduce l’impatto della spesa per interessi: uno dei fattori determinanti del deficit. Il secondo elemento, cioè il perseguimento di un progressivo miglioramento dell’avanzo primario, è però la vera cifra dell’impegno a perseguire politiche di bilancio ponderate, cioè di un bilanciamento tra entrate ed uscite. La seconda critica mossa da Galli è che la Nadef sia eccessivamente ottimista rispetto a crescita del Pil prevista e alle privatizzazioni. Queste sono però in linea con quanto delineato da Fitch Ratings a settembre. Si tenga anche conto che le stime del Pil sono conservative e possono migliorare perché sia Fitch che il governo prevedono un migliore investimento dei fondi Ngeu nel futuro prossimo e un incanalamento dei fondi nel settore privato, accompagnato da ulteriori privatizzazioni. La prudenza, sostenibilità e responsabilità citate dal ministro si riferiscono all’idea che, se il deficit va aumentato lo si fa per scopo d’investimento o controbilanciamento, affinché sul medio e lungo periodo abbia un ritorno tale da supplire al debito creato. Galli critica ulteriormente la posizione del ministro, sostenendo che un deficit non sia appropriato quando vi è un aumento dei tassi d’interesse, poiché porterebbe a un aumento dell’inflazione. Ma questo è vero solo nel caso in cui l’inflazione sia originata dalla domanda e non dall’offerta, come avviene invece nello scenario attuale. Un inasprimento dei tassi d’interesse mina la domanda e la disponibilità di credito. L’utilizzo di una politica fiscale espansiva sul lato dell’offerta aiuta a ridurre i prezzi di produzione e potrebbe portare a una riduzione dei prezzi al consumo, aumentando l’effetto voluto dalla Bce, senza provocare eccessiva inflazione. * Deputato, Lega per Salvini premier

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CARTA & PENNA

Il calcio rimane uno spettacolo meraviglioso venato e opacizzato dalle logiche del mercato

Goffredo Bettini

inchiesta sulle scommesse nel mondo del calcio sta creando un grande scalpore. Vedremo se le prime rivelazioni saranno confermate dall’inchiesta. O se, persino, si allargheranno, come molti prevedono. La domanda bruciante è la seguente: cosa avrebbe spinto dei ragazzi dotati fisicamente, di talento, già campioni o in procinto di diventarlo, privilegiati e ricchi, a giocare per soldi con il rischio di rovinare la loro vita? La diffusione dell’azzardo, non solo nello sport e sullo sport, è molto forte in tanti ambienti e nella quasi totalità dei Paesi del mondo. Ma la pas-

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Il business si impadronisce dello sport sione e l’attività calcistica dovrebbero rappresentare un antidoto. Prevedono una disciplina fisica e mentale, la solidarietà e la comunanza di intenti, amicizie profonde che aiutino a non sbagliare. Il calcio è stato nel passato (basta vedere le fotografie e i filmati dei giocatori e delle partite di qualche decennio fa) non solo un campo sul quale giocare; piuttosto di valori, di riscatto sociale e di sacrifici. Come, d’altra parte, la boxe, con le palestre aperte in ogni quartiere popolare. Da molto tempo è tutto cambiato. Ormai i parametri sul rendimento dei ragazzi sono cronometrati, definiti, valutati con spietata precisione. La competizione è fortissima. Il paragone con l’altro prioritario e suggerito. La solitudine, la cifra diffusa nei moderni centri di formazione. Il rapporto ossessivo con le notizie in rete è a tempo pieno. La centralità del denaro

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talmente grande, da suscitare il terrore di perderlo o ridurlo. Naturalmente ognuno reagisce in maniera diversa. Ogni giovane è libero nell’esercizio delle proprie responsabilità. Il narcisismo, la strafottenza, la presunzione di tanti che si sentono già arrivati e talmente legittimati da poter infrangere ogni regola sono sempre scelte consapevoli. Ma, contemporaneamente, talvolta proprio in chi ha sbagliato, si manifesta una fragilità emotiva, una immaturità psichica, un’ansia da prestazione che molto spesso si vedono in campo e comunque rendono infelici le giornate. È un intero sistema fondato sul business che stressa e ti rompe dentro. I tanti mental coach che si moltiplicano attorno ai giocatori non risolvono il problema di fondo. Essi, infatti (è il loro lavoro, che il più delle volte svolgono con grande professionalità) tentano di “riparare” il giovane, per adattarlo al calcio di oggi; che rimane uno spettacolo meraviglioso, purtroppo venato e opacizzato dalle logiche del mercato, dell’immagine e del profitto. Ecco perché nutro una grande simpatia per i presidenti delle società che maggiormente si identificano con la loro squadra e cercano di imprimere un’impronta di umanità, comunitaria e amichevole, all’ambiente di cui sono i massimi responsabili. Così come amo quegli allenatori che non insegnano solo a muovere bene i piedi, ma costruiscono un’empatia. E, magari, come nel caso di Mourinho, vanno a vedere i ragazzi più piccoli che si allenano; fanno un gesto affettuoso al raccattapalle; difendono la propria squadra nelle difficoltà e la correggono, quando è necessario, anche se vince; si espongono con sentimenti eccessivi, ma veri, dettati dal cuore. Insomma, educano. Un esercizio, non solo nel calcio, sempre più raro. Tuttavia, indispensabile per fare collettivamente qualche passo in avanti.










BAR ECONOMY

L’Espresso dolce

L’Espresso amaro

PREVISIONI IN BELLEZZA

JOHNSON CONTROLS DELOCALIZZA

L’industria cosmetica italiana ha contenuto l’aumento dei prezzi rispetto alle principali categorie di acquisto: +7,5 per cento contro poco più del 12 per cento di media dei beni di largo consumo. E crescono le esportazioni che, a fine 2023, raggiungeranno i 6,7 miliardi di euro (+15 per cento rispetto al 2022). L’indagine congiunturale del Centro Studi di Cosmetica Italia, presentata alla Milano Beauty Week, ha acceso i riflettori sul valore economico del comparto: «Stimiamo che a fine anno il fatturato totale sarà di 14,8 miliardi, in aumento del 10,9 per cento rispetto al 2022, e le previsioni per il 2024 parlano di un ulteriore incremento che porterà il giro d’affari a 16 miliardi. Numeri che permettono al nostro Paese di classificarsi al terzo posto in Europa per fatturato, dopo Germania e Francia», commenta Benedetto Lavino, presidente Cosmetica Italia. Mass market, profumeria e farmacia sono i canali più rappresentativi a valore. (Antonia Matarrese)

L’ennesima azienda globale che fa le valigie e se ne va, «condannando 60 lavoratrici e lavoratori al licenziamento». Una storia lunga 40 anni troncata di netto all’improvviso e decine di famiglie ora sul ciglio del baratro. Johnson Controls Italia, divisione della multinazionale americana (con quartier generale in Irlanda) che si occupa di sicurezza, cessa le attività nello stabilimento di Corropoli (Teramo) per delocalizzarle nelle sue fabbriche messicane, tedesche e ceche. «Questa decisione ci lascia esterrefatti, dovevamo solo discutere della proroga del contratto di solidarietà già in essere dal 2021 – protestano Fim Cisl e Fiom Cgil – La freddezza e la non negoziabilità della decisione sono inaudite e irrispettose dei dipendenti. Le produzioni saranno spostate non tenendo conto del know-how delle maestranze locali e dell’esperienza maturata sui prodotti antincendio e antifurto». Per i sindacati, è una «scelta scellerata e senza senso». (Maurizio Di Fazio)

GRANDI NUMERI PER ECOMONDO

ALLA VERSUNI SI TEME IL PEGGIO

Centocinquantamila metri quadrati, 1.500 espositori (+10 per cento rispetto al 2022), oltre 300 buyer confermati, otto sezioni, 70 eventi di taglio scientifico-economico, 30 delegazioni provenienti da Europa, Africa, America Latina. Sono i numeri della ventiseiesima edizione di Ecomondo, la fiera dedicata alla green economy in programma dal 7 al 10 novembre prossimi al Rimini Expo Centre.

Stato di agitazione alla Versuni Manufacturing di Gaggio Montano (Bologna). L’azienda meccanica ha prorogato fino al 31 dicembre, e va avanti da inizio anno, la cassa integrazione per 160 dipendenti su circa 200 complessivi. Altri otto giorni di cassa a zero ore sono stati previsti per le vacanze natalizie. Tutti periodi d’alta stagione produttiva. I lavoratori temono il peggio.

IL TRENO VA A BATTERIA

ALMAVIVA CONTACT, NEBBIA FITTA

È il primo treno italiano a batteria, dal 2026 collegherà Altamura e Matera e verrà prodotto da Stadler Italia. Le Ferrovie Appulo Lucane, azienda partecipata al 100% dal ministero dei Trasporti, ne hanno commissionati cinque per un investimento totale di 45 milioni di euro. Le batterie, con autonomia di 70 chilometri e durata stimata di sette anni, si ricaricano durante la sosta nelle stazioni.

Totale incertezza sul futuro del servizio curato dal call center Almaviva Contact. In bilico centinaia di ex addetti al 1500, il numero verde Covid chiuso a fine 2022. Oltre 400 in varie sedi, principalmente a Catania e Palermo. Tutti in cassa integrazione (a zero ore) in attesa della gara del ministero della Salute per l'affidamento a un nuovo operatore. (r.a.)

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I DIALOGHI DE L’ESPRESSO

Canto e dipingo perché l’arte è donna colloquio con PAOLO CONTE di STEFANIA ROSSINI aolo Conte è artista esigente. Se fra i luoghi della sua consacrazione come cantautore ci sono state l’Opera di Parigi e la Scala di Milano, per quella di disegnatore ha oggi gli Uffizi di Firenze. In una delle sue gallerie (vedi box a 91.) verrà mostrato al pubblico l’aspetto meno conosciuto di una creatività irriducibile. Abbiamo quindi voluto sapere da lui come è arrivato a questo ennesimo riconoscimento, quali strade ha percorso per far convivere musica e pittura, e da quali sentimenti si è fatto accompagnare. Impresa non facile in verità, Conte è uomo riservato, se non schivo, e sa usare l’ironia come uno scudo. Sembra dirti: eccomi, ho 86 anni, ho vissuto e cantato e dipinto e disegnato e in questo modo ho già det- un’insegnante dell’Istituto di Belle Arti to tutto quello che volevo far sapere. Ma di Torino e ho affinato le mie capacità nel la soddisfazione di una mostra agli Uffizi tempo a periodi irregolari, senza mai codeve aver smussato qualche difesa, tanto piare, ma sempre inventando. Le copertiche quando gli chiediamo da quale consa- ne dei miei primi due LP, sono state disecrazione si è sentito più onorato, rispon- gnate da me. Diciamo che è stata la prima de: «Ho il dubbio che, sia per la musica che interazione tra le due arti che qualche volper la pittura, si tratti di consacrazioni del- ta si somigliano e tra loro non si detestale mie vanità, ma non sarebbe la verità. Di- no. Altre volte si influenzano, si avvicinaciamo che si tratta di consacrazioni di due no o si fondono per certi aspetti». passioni che sono coesistite nella mia vita Per ispirarsi come illustratore, Conte e che continuano a coesistere». ha ammirato a lungo El Greco dedicanInfatti Conte è pittore da tempo. Da dogli anche una canzone con versi intensi bambino disegnava trattori, poi via via ca- (“Sto dipingendo, quasi parlando. Come valli, donne nude e suonatori, con molte scrivendo, sto mormorando... Sono un esposizioni succedutasi negli anni, com- pittore, sono un creatore”), ma oggi ci fa presa quella piuttosto pop che nel 2006 sapere che ha cambiato idea: «El Greco è ha raccolto a Castel Sant’Angelo quadri un grande artista e l’ho omaggiato in un realizzati anche da Dario Fo, Franco Bat- brano. Ma, come ammiratore, faccio qualtiato e Gino Paoli. «La prima passione è che nome diverso, ad esempio Giambattistata la pittura, ero molto giovane quan- sta Tiepolo o Dürer». Non ha invece camdo ho iniziato a disegnare, è stato natura- biato idea sul fatto che la musica è donna. le. Durante la guerra ho preso lezioni da E ci fa incuriosire sul sesso della pit-

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Il celebre musicista ora viene consacrato come pittore da una “personale” agli Uffizi. Qui si confessa sugli artisti preferiti, la bellezza e l’amore

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I DIALOGHI DE L’ESPRESSO

tura: «Anche la pittura è donna. Tutta l’arte è donna. L’hanno praticata solo gli uomini per molto tempo ma ispirandosi alle movenze e agli sguardi delle donne, pensando alle donne». Già, le donne. Il nostro artista è senza dubbio uomo di fascino, certificato da intenditrici come Juliette Greco che un giorno, salutandolo dopo un concerto, sospirò: “un homme...” o da Jane Birkin che lo ha definito ufficialmente sexy. Ma a chiedergli se questo dipende dal talento, dalla voce o dall’aspetto, risponde laconico: «Rimaniamo nel mistero».Comunque è sposato da cinquant’anni con una donna bellissima, Egle Lazzarin, che si fa vedere poco ma che, nelle rare foto circolanti, batte qualsiasi rivale. Ha partecipato anche a un film sul marito, il cui commento è stato: «Ha avuto un atteggiamento da vera diva, come Greta Garbo». Se lo si interroga su quale sia il segreto per far durare tanto a lungo un matrimonio, Conte ha finalmente una risposta quasi confidenziale: «Si tratta semplicemente di amore». Forse lo stesso amor cantato in innumerevoli canzoni che hanno segnato l’immaginario di ascoltatori di almeno tre generazioni, a partire da “Azzurro” regalata a Celentano alla fine degli anni Sessanta che ne ha fatto un successo interminabile, tale da scavalcare la fama mondiale di “Nel blu dipinto di blu” e diventare l’inno liberatorio cantato durante la pandemia del Covid. Sembrava una marcetta e soltanto quando Conte l’ha incisa con la sua voce, nel 1995, si è capito che era invece una confessione di conflitto e smarrimento. Perché quindi farla incidere da altri? «Perché ci ho messo un po’ di tempo a convincermi di poter cantare io stesso», risponde: «e l’ho fatto per dare al pubblico, specialmente giovane, una versione autentica». Ma è proprio la musica la passione primigenia, quella che gli ha dato fama internazionale attraverso un pubblico selezionato e competente, “un piccolo pubblico”,

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OPERE Alcune opere di Conte in mostra agli Uffizi. Sopra: ”Prototipo”. A destra, in alto: “Meridiana”. Sotto: “Fiori in un vento novecentista”

come a lui piace dire, «ma presente in molti Paesi e mettendolo tutto insieme diventa grande». Quando era ragazzo marinava la scuola per suonare il trombone e si fece anche bocciare al liceo per troppe assenze. Del resto la musica era praticata in famiglia, sia pure per diletto, con il padre notaio che alla sera suonava il piano: «Anche mia madre era una brava pianista. In casa nostra la musica è stata accolta e protetta anche durante il periodo del proibizionismo fascista e, proprio in quel periodo ho avuto il privilegio di poter ascoltare i primi brani americani di jazz». È risaputo che Conte ama profondamente il jazz, ma è nata allora questa predilezione? «L’ascolto della prima esecuzione di jazz dalla radio (“Perdido Street Blues” di Johnny Dodds) ha coinciso con la mia seconda caduta da cavallo (a dondolo)», risponde: «la prima era stata per un’aria di Giuseppe Verdi». A Conte piace schivare e minimizzare, ma è noto che proprio il jazz lo porterà più tardi all’opera che ama citare in ogni accenno di biografia, quel “Razmataz” che an-

“Ho omaggiato El Greco, amo Dürer e Tiepolo. E ammiro Steinberg che ha insegnato a disegnare sorridendo. Un Messia musicale più che Beethoven potrebbe essere Rossini”


La Mostra

Foto: Courtesy Ciccardini

Ciclisti, boxeur e trombonisti «Nostalgia di un golf, un dolcissimo golf di lana blu», verso della canzone “Una faccia in prestito”, è il titolo della mostra che fino al 7 gennaio sarà ospitata nelle sale dell’arte grafica appena inaugurate alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Verranno esposte 69 opere in gran parte inedite - disegni a matita o a inchiostro e acquerelli - realizzate da Paolo Conte dagli anni Settanta ad oggi. C’è un trombonista con lo strumento musicale colorato di rosso, una figura a matita che fa una serenata a una statua o anche un uomo intento a leggere la musica seduto al pianoforte. Ma non tutti i disegni sono legati al mondo della musica. Nell’immaginario grafico di Conte ci sono, per esempio, anche un ciclista vestito di rosso che sfreccia, un boxeur, una donna nuda con i capelli rossi e la meridiana girata al contrario come la clessidra. La mostra è curata dal direttore degli Uffizi Eike Schmidt insieme a Chiara Toti. Lo stesso Schmidt introduce l’evento con parole più che lusinghiere nei confronti dell’autore: «Molti artisti sono stati musicisti e compositori di talento (uno fra tutti: Leonardo Da Vinci) e nella collezione di autoritratti degli Uffizi vediamo che alcuni pittori si sono raffigurati con gli strumenti che suonavano. Anche la mostra di Paolo Conte vuole testimoniare la doppia anima artistica del grande musicista e portare all’attenzione del pubblico questo aspetto forse meno noto, ma non meno fondamentale della sua creatività». L’artista gli risponde da par suo regalando al museo un disegno del 1978 il cui titolo, “Ritratto di un pirla”, non smentisce l’ironia che ha sempre caratterizzato le sue opere e i suoi testi. S.R.

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I DIALOGHI DE L’ESPRESSO

cora oggi considera la sua creazione più compiuta e il miglior esempio della sua particolare commistione tra musica e arte visiva: «nata prima come commedia musicale, poi come disco e in seguito mostra», precisa. Un’opera multimediale che gli ha permesso di interpretare con tutti mezzi a disposizione una sua lettura degli amati anni Venti, attraverso l’incontro tra la vecchia Europa e la giovane musica nera. Dopo che Bob Dylan aveva avuto il Nobel, era circolata l’idea che in Italia avessimo un ottimo candidato. Chi se non Paolo Conte, con quei testi che sono poesie e quel suo modo di porgere al pubblico il suo poliedrico talento, poteva essere proposto? Non se ne fece niente e ancora oggi il mancato candidato non ama ricordare l’episodio. Preferisce dirottare sugli impegni di questa sua matura e prolifica stagione, come per esempio sul libro “Coffee Table Book” in uscita da Feltrinelli che accompagnerà la mostra di Firenze: «Si tratta di un libro di miei disegni e pitture intervallati da qualche aforisma e qualche

Gino Castaldo

Le parole

Un mondo inaudito tra tinelli e parabris ltrochè se si può sedurre attraverso un lessico. A dirla proprio tutta Paolo Conte, con le sue aggrottate, ironiche e sornione parole fuori uso, non ha semplicemente sedotto l’ideale interlocutore a cui ci si rivolge mentre si scrive, lui ha sedotto l’intera canzone italiana. Fin da quando arrivò goffo, avvocatesco, mezzo nascosto, con le fisasrmoniche di Stradella, le topolino amaranto, tutto una questione di rebus e settimane enigmistiche, parole che si incrociavano come stradine di paese nei giorni di festa. Lui, Paolo Conte, iniziò a declamare di macachi, di parabris, di baccani, parole insolite, che non s’erano mai sentite, e solo

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di liquori c’era già da scialare: curaçao, ratafià, elisir di bar dimenticati e lagune blu. Un lessico che improvvisamente diventò famigliare, pur non essendolo mai stato, perché scavava nelle malizie del linguaggio, nei preziosi e sanguigni riverberi dell’italiano. E fu così che diventò indimenticabile il “tinello marron“ del Bar Mocambo, e per analoghe ragioni l’uomo se proprio deve essere è un uomo-camion, la donna se deve essere è d’inverno «perché d’inverno è meglio, la donna è più segreta e sola, tutta più morbida e pelosa, è bianca, afgana, algebrica e pensosa». Parole bizzarre, scherzose ma fulminanti, in due righe si definisce un mondo intero. Il musicista infine «si diverte e si estenua», va da sé, e quando arriva Atahualpa dice “«descansate niño, che continuo io», ma il lessico si spinge a tal punto nel suo lavoro di seduzione da annullarsi, quasi, a volte basta perfino uno «zazzarazazz», perfino un «dubadubaduba-


INTERNAZIONALE Paolo Conte al pianoforte. Il cantautore è amatissimo anche dal pubblico internazionale, soprattutto francese

titolo curioso. Un libro probabilmente in sé inutile che tuttavia, per le sue pretese estetiche, può essere tenuto in bella mostra appoggiato al tavolino su cui viene abitualmente servito il caffè». Ma per non rinunciare allo sberleffo aggiunge: «Facendo attenzione che non ci cada su neanche una goccia di caffè». Ha dedicato il libro a sua moglie e a Saul Steinberg che definisce »grande artista che ha insegnato il trucco di sorridere disegnando e dipingendo», come se questa non fosse una caratteristica anche sua. Già nell’aspetto, con quella “faccia un po’ così”, più accentuata dei suoi amici genovesi, con smorfie che la muovono quasi fosse di gomma, comunica un sorriso sotteso, forse anche una piccola presa in giro. «Ma no», ci rassicura: «è che soffro perché quando canto sono sotto sforzo». Di tanto in tanto Conte lascia cadere qua e là anche qualche frase enigmatica. La

Foto:Courtesy D. Zedda

“Ascolto jazz praticamente da sempre. Quando ho sentito il primo pezzo alla radio, “Perdido Street Blues”, per l’emozione sono caduto dal cavallo (a dondolo)”

du» o un trionfo di «chips chips… ci bum ci bum bum» che a musicisti, ballerini e cantori basta poco per sentirsi complici, il lessico è anche un codice segreto. Basta perfino un baobab in giardino, ma almeno quella, solo quell’intrusione di puro esotismo nel giardino di casa, non era sua, perché il testo di “Azzurro” benché assolutamente “paolocontesco” era invece del suo compagno di giochi musicali di allora, il verseggiatore Vito Pallavicini. Le parole poi si combinano e generano associazioni altrettanto prodigiose vedi «le tenerezze di Zanzibar» (“Hemingway”), oppure «il suo sguardo è una veranda» (“Sparring partner”) e ancora: «si suona così con grazia plebea» (“Elisir”), ma non basta, le dediche d’amore possono essere così: «ti offro una doccia ai bagni diurni che sono degli abissi di tiepidità» (“Un gelato al limon”) o si divaga viaggiando e scoprendo una «macaia, scimmia di luce e di follia» (“Genova per noi”). Per non dire di strofe

soluzione di enigmi è del resto antica passione di famiglia, dove tutti, genitori e figli, aspettavano con ansia l’arrivo della “Settimana Enigmistica”. A lui è rimasta soprattutto la passione dei rebus che risolve e soprattutto crea. Così tra le tante frasi diffuse nelle interviste, concesse sempre con fatica, spicca ogni tanto qualche accenno al soprannaturale, ma è impossibile approfondire. Se gli chiediamo, per esempio, come immagina il Messia che una volta si è augurato dovesse arrivare, risponde: «Se ne ho parlato, alludevo a un Messia musicale. Se dovessi immaginarmelo, non somiglierebbe a Beethoven, ma forse a Rossini», lasciandoci con l’enigma risolto a metà. Per fortuna sono spesso le canzoni a parlare al suo posto, come accade con “Un’altra vita” dove l’allusione al paradiso è così forte da invitarci infine a chiedergli quale sia il suo rapporto con la trascendenza. Ma con Conte non si fugge al calembour, tanto che ci congeda dichiarando: «Più che con la trascendenza, ho un rapporto con l’immanenza».

che sono un fuoco d’artificio di invenzioni e per inciso sono anche sceneggiature di film, anzi incipit di film di cui vorremmo assolutamente scoprire il seguito, come nella portentosa “Boogie”, che con ritmo quasi selvaggio ti incalza e ti circuisce, ti ipnotizza e ti avvolge come una magia: «Il corpo di lei mandava vampate africane, lui sembrava un coccodrillo, i saxes spingevano a fondo come ciclisti gregari in fuga, e la canzone andava avanti, sempre più affondata nell’aria, quei due continuavano, da lei saliva afrore di coloniali», e dite voi se questo non è un piccolo, minuto, e potente film, che riassume, estrae, sintetizza, esattamente come quel tango che è un riassunto di una vita, citazione di Conte, così come una lucertola è il riassunto di un coccodrillo. Non dimentichiamolo, solo lui poteva immaginare che un naso fosse come una salita e su quel naso, o quella salita, che è lo stesso, ci stesse salendo in bicicletta Gino Bartali.

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Parola di meme Sintesi massima. Replica istantanea. Accostamento suggestionante. Tutto oggi è ridotto a imitazione. Con esiti imprevedibili. E una sola certezza: la liofilizzazione del pensiero

LA GIOCONDA E LA PANDEMIA Un meme sul coronavirus, partito dalla TC Williams High School di Alexandria, Virginia

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CULTURA NUOVI LINGUAGGI

IVO STEFANO GERMANO

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aro meme stesso mio... Adesso che basta un meme a sintetizzare qualsiasi situazione è tempo di approfondire la questione di una forma e di un linguaggio che pare annettersi ogni tipologia di comunicazione e di espressione. Non c’è campo, ambito, frammento che non si traduca in meme. Costume, società, sport, politica, business si contraddistinguono, sempre più, per un meme. Procedono a colpi di meme. Si fanno forza dei meme. Di tutto ciò che accade nel mondo e del suo contrario, il problema fondamentale è la sua riduzione a meme, petulante, pervasivo, declinato, incatenato, immolato all’intrattenimento. Terribile, temibile più della volonterosa complicità e LA VERSIONE della finta allegria. Da rileggere, di corsa, “I commentari DEI MEME sulla società dello spettacolo” di Guy De- Trump, Batman e Robord, per accorgersi sino a che punto si sia bin e Will Smith che pianta la categoria dello “spettacolare”. In schiaffeggia Chris questo caso, “disintegrato”, sotto la spinta Rock agli Academy della suggestione continua si snoda in una Awards indefessa opera di visualizzazione succedanea alla satira e all’umorismo. Due assi strategici della condizione comunicativa contemporanea. Il meme si presta all’ermeneutica sopra le righe, dalla pesca del rappresenta una delle forme di manipolarecente spot dell’Esselunga sino al Batman zione più efficace nell’era dei media digiche schiaffeggia Robin con il corollario di tali. Non fatevi ingannare dalla docile deevitabilissimi slogan e sentenze. menza, da immagini e frasi ridanciane, Storicamente il termine è di origine poiché siamo di fronte a una pura forma anglosassone e, come quasi tutti gli altri che è ben più di un contenuto o prodotadottati dai social, all’origine significava to mediale, in cui la cornice conta più del qualcos’altro di profondamente differente. soggetto o del tema. Non più delimitatile Il primo a utilizzarlo è stato il biologo Ri- alla viralità dei processi digitali, ma ordine chard Dawkins, ne “Il gene egoista” (1976), preciso dell’immaginario, al cui interno, per definire una caratteristica culturale in si reinventano meme, come individuato grado di propagarsi sotto forma di gene. da Alessandro Lolli nel saggio “La guerra La molla decisiva è l’imitazione unita alla dei meme”. Nemmeno troppo maliziosamemorizzazione visiva. In realtà, il meme mente, consapevolmente o inconsapevolmente, tutti quanti partecipiamo al lavoro di manipolazione, nemmeno troppo pacioccone, condividendo, facendo circolare meme. Gli esiti, come si addice al postmoderno, si rivelano imprevedibili. Le regole, invece, si confermano ferree e consistono nella disintegrazione di ogni categoria del pensiero nell’accostamento in grado di suggestionare. Oramai, ineludibile la liofilizzazione di

Non fatevi ingannare dalla docile demenza o dalle frasi ridanciane, siamo di fronte a una pura forma che è ben più di un prodotto mediale: qui la cornice conta più del tema 96

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Foto pagine 94-95: M. Joseph – The Washington Post / GettyImages, pagine 96-97: U. Deck – picture alliance / GettyImages, C. Pizzello – AP / LaPresse

un pensiero, idea, paradigma (con la minuscola) tramite e per mezzo di un meme. La ricerca di un “meme comune” equivale alla pietra filosofale della scienza alchemica, al Paradiso in terra delle utopie rivoluzionarie, quasi si trattasse di una sussunzione di ogni meta e ideale. Il merchandising al posto delle strutture profonde dell’immaginazione sociale. A nulla vale la misantropia, la sprezzatura, la ricerca pervicace della solitudine. Prima o poi, riceviamo un meme ferale. Non intendo sproloquiare sulla storia della digitalizzazione, tuttavia, la voglia di mettersi in pausa, soprattutto, di fare il più possibile a meno dei meme sarebbe un discreto salto di qualità, tale da far affiorare la voglia di affrancare il pensiero da questa riduzione continua. Anzi meglio, prendendo spunto dal ritorno al privato, cioè, dalla negazione della smania, ansia, di postare, taggare, fare dirette, usare gif e meme, per sentirsi vivi. Magari ci porterebbe lontanissimo. Oppure no. Non è facile, in tempi di vertiginosa e incessante iperconnessio-

ne che costringe a una sorveglianza, quasi di tipo militare, dei propri profili. Al di là, delle ingenuità, frivolezze, talvolta ignoranze vere, in senso tecnico e tecnologico sulla natura dei social. Il meme risponde a una prassi che, oramai, appare, quasi del tutto, fuori controllo. Tale da provocare dei profondi cortocircuiti culturali e comunicativi. Disconnettersi significa ri-traslocare fra le quattro mura ciò che è, consapevolmente o inconsapevolmente, sotto gli occhi di tutti e a portata di like. Dall’album di famiglia con le foto più significative a sere in casa sul divano davanti al televisore dove, magari, le serie televisive ritornino ad essere telefilm e, sognare non costa nulla, sceneggiati televisivi. Non tanto in termini di fuga, ma come consapevolezza di non volersi più gettare continuamente nella performance. Per essere accettati, ammirati/ detestati, sollecitando il traffico algoritmico. La sospensione di un attimo è un dono potente e reciproco in cui non dannarsi più l’anima per ottenere like sui like. Opera-

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zione di sganciamento da quell’intricatissima sovrapposizione ed enfatizzazione fra contenuti personali e professionali, rispetto ai quali non ci raccapezziamo più. Uscendone storditi da una perenne girandola di messaggi, notifiche, aggiornamenti in tempo reale che, nel loro insieme, attestano come l’intrattenimento da social sia un lavoro logorante e ansiogeno d’influencer e content creator. Difficile, allora, limitarsi alla mera constatazione del meme, come variegata sintassi pop, cioè, effetto speciale spicciolo. Viceversa, dopo decenni, alla luce dell’accelerazione imposta ad un fenomeno che non è più semplicemente comunicativo, il meme si è tramutato in logica precisa, mediante la quale interagire nei social, ormai,

ridotti a deposito o vetrina digitalizzata. Il potenziale descrittivo e semantico è surrogato dalla suggestione fine a se stessa. Escamotage per distrarsi durante le ore di lavoro, pretesto per due risate (forzatissime) durante l’aperitivo. Non a caso, l’utilizzo immediato si è avuto nel marketing e nella politica, grazie alla capacità di diffondere idee, atteggiamenti, stili di vita, mentalità. Divertenti più che interessanti. Di sottocultura in sottocultura. “Moriremo di meme”? Fate girare. Se vi pare.

Colloquio con PIERNICOLA MARIA DI IORIO

L’intervista

Più che arte, segnali di un mondo alieno a un meme è arte? E cosa significa arte al tempo dei meme? Lo chiediamo a Piernicola Maria Di Iorio, ricercatore di Storia dell’arte contemporanea presso l’Università degli Studi del Molise, interessato alle commistioni che si generano tra territorio, ricerca e educazione nelle istituzioni pubbliche e private, alle prese con la fortunata mostra “Jago Banksy Tvboy e altre storie controcorrente”. Dal punto di vista artistico un meme è qualcosa in eccesso? Una moda momentanea? Il post-graffitismo? «Quando ho iniziato ad occuparmi di meme e di possibili legami con l’arte contemporanea mi è balzato alla mente il Codex Seraphinianus (Franco Maria Ricci, 1981), l’enciclopedia surreale scritta in alfabeto asemico da Luigi Serafini che narra di un mondo alieno che riflette palesemente il nostro. Nella prefazione di questo volume stupefacente, Serafini si interroga sulla generazione di un’apparenza di senso tra testo e immagine. Immediatamente ho pensato alle nuove forme di espressione visiva che quotidianamente si materia-

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Il meme risponde a una prassi che, oramai, appare quasi del tutto fuori controllo. Tale da provocare dei profondi cortocircuiti culturali e comunicativi

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lizzano sui social e sulle possibili interazioni con i più recenti movimenti artistici. La domanda da cui partire è: “questi meme, immagini virali con testi umoristici diventati parte integrante del linguaggio visivo digitale, sono così distanti da quell’impatto forte e popolare che caratterizza la street art? La risposta è che vi sono concretamente numerose connessioni estetiche e concettuali tra questi due fenomeni formalmente distanti. E spesso meme e street art entrano in dialogo e si contaminano a vicenda, come nel caso del meme Exit Through the Gift Shop, basato sull’omonimo documentario di Banksy. Una parte del macrocosmo dei meme da un lato e la street art dall’altro arrivano a condividere affinità concettuali e visive, sino ad ibridarsi. A conferma della crescente commistione tra mondo digitale e spazio urbano come nuova frontiera dell’arte». Due docenti di Linguistica italiana, Debora de Fazio e Pierluigi Ortolano, hanno pubblicato il saggio “La lingua dei meme” (Carocci) in cui analizzano il meme come medium. Vale anche in ambito artistico? «L’arte del meme o l’arte attraverso il meme rientra sicuramente in una nuova metodologia di racconto della realtà, che attinge dall’immaginario popolare digitale per suggerire considerazioni inattese. Inserendo


Foto: J. Milestone – Alamy / IPA

MEME SUI MURI Awkward Look Monkey Puppet visto da uno street artist. Sotto, meme del logo della banana Chiquita con Bernie Sanders

i codici di Internet nel contesto istituzionale dell’arte, gli studiosi e i critici d’arte confermano l’impatto dei meme nel definire percezioni ed estetiche del presente. La cultura dei meme si è evoluta come effetto della centralità di Internet e della rapida assimilazione della conoscenza su ciò che sta accadendo nel mondo. Cito due titoli, “Blackmore di The Meme Machine” (Oxford University Press, 2000) e, in Italia, Valentina Tanni, storica d’arte e curatrice (docente di Digital Art al Politecnico di Milano e di Culture Digitali alla NABA di Roma) e il suo “Memestetica. Il settembre eterno dell’arte” (Produzioni Nero, 2020) Pensiamo a TikTok, presupposto ideale per l’effimero linguaggio visuale dei meme, un détournement tagliente in cui le combinazioni tra immagini fisse e testi variabili non sono banalità effimere ma diventano oggetti culturali degni di studio critico». Quanto e in quali modalità si sviluppa il panorama operativo-tecnico e ideativo degli artisti che lavorano sui meme? Si può tracciare una possibile gallery? «Tra le tendenze artistiche odierne, la street art è quella che utilizza sempre più spesso riferimenti del mondo dei meme per suscitare reazioni efficaci nell’intercettare l’immaginario contemporaneo. Ilarità, riflessione, condivisione, disorientamento, pregiudizio rientrano

in una mappa fisico-ideale, in cui il tragitto è delineato da riferimenti fisici come murales, opere en plein air e dalla consapevolezza dei nuovi linguaggi e tendenze digitali. Per rappresentare situazioni di crisi e disagio sociale è stato utilizzato in molte opere di street art il meme This Is Fine, che ritrae un cane seduto sorridente davanti a una casa in fiamme. Su un muro di Shoreditch a Londra è stato ricreato come critica al tradimento e alle relazioni moderne il meme Distracted Boyfriend, che mostra un uomo girarsi verso una donna mentre la fidanzata osserva stizzita. Emblematico è il fenomeno di Hide the Pain Harold: le foto dell’ingegnere ungherese in pensione András István Arató sono apparse in diversi murales per simboleggiare in modo ironico il dolore e l’alienazione. Success Kid è il meme protagonista di murales come simbolo di speranza e resilienza per le comunità emarginate. L’onnipresente Conspiracy Keanu, il meme usato a raffigurare teorie del complotto e paranoie nei panni di Keanu Reeves...». È un fenomeno destinato a durare? «L’arte come il linguaggio è un’esperienza dinamica, coinvolgente, stimolante. Attualmente è in transizione verso l’universo digitale come mai prima. E anche le ricerche si stanno orientando alla conoscenza dei meme». I. S. G.

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Cemento,

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e altri stupori GAIA MANZINI acques Austerlitz, protagonista del romanzo di Winfried Sebald, nel suo vagabondare mesto per l’Europa rifletteva sulla natura dei grandi edifici che sembrano gettare in anticipo l’ombra della loro distruzione. Quando si guarda un cantiere di un’opera in costruzione, s’intravede la rovina che quell’opera sarà un domani: con quella perfetta circolarità per cui l’inizio e la fine trovano sempre un punto di contatto; con quel senso elegiaco che sta lì a dire della fragilità e della finitezza del mondo, ma soprattutto della nostra. C’è una differenza sostanziale, però: quando andiamo in un cantiere siamo pervasi dalla forza di un inizio, una promessa che punta al futuro. Quando ci troviamo in mezzo alle rovine, invece, ci rendiamo conto che l’ordine strutturale ha fallito, il sistema valoriale che aveva motivato il progetto è andaLe violenze sessuali ai danni di due rato perduto. Se si guardano le foto di edifici gazzine di Caivano sono avvenute in un abbandonati scattate dall’olandese Roman centro sportivo che versa in uno stato di Robroek, se ne resta affascinati: c’è qual- abbandono tale da sembrare un edificio in cosa di tragico e bellissimo insieme, ma zona di guerra. La diciannovenne stuprata questo perché le rovine sono trasformate a Palermo da sette ragazzi era stata portata dall’occhio dell’artista in un oggetto esteti- in un cantiere abbandonato nei pressi del co. Quando una casa, una fabbrica, un cen- Foro Italico. A Latina, una sedicenne è stata tro sportivo abbandonati incombono sulla violentata a maggio in una fabbrica in ronostra quotidianità invece come interven- vina. I luoghi degradati sono il correlativo gono nella narrazione di una comunità? oggettivo di un degrado sociale e morale; o meglio, spogliati delle loro funzioni architettoniche, irradiano la forza del simbolo, contribuiscono a influenzare le azioni di chi vive lì vicino. È in un contesto di abbandono e di degrado che Stavrogin, il personaggio principale dei “Demoni” di Dostoevskij, violenta una bambina, la povera Matrëša, che – morta suicida – si trasforma nel tormento della sua anima. È sempre in un contesto di degrado che Raskol’nikov in

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C’è una stretta relazione tra luoghi fatiscenti e degrado sociale e morale. Per cogliere le opportunità di futuro occorre ritrovare il senso della cura. Che trasforma l’abbandono in riscatto e bellezza 100

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Foto: Bettmann -Getty, M. Toniolo -Errebi / Agf

“Delitto e castigo” si trasforma nell’assassino dell’anziana usuraia. Nel 2019 è stato presentato in Italia il documentario girato da Chad Friedrichs su Pruitt-Igoe, il quartiere di case popolari alle porte di Saint Louis. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i 33 edifici orizzontali firmati dal giovane Minoru Yamasaki (lo stesso architetto delle Torri Gemelle), con gli appartamenti a grandi vetrate, i parchi e un sistema di servizi pubblici, ambivano a trasformarsi in un insediamento modello per circa dodicimila persone. Ma nel tempo qualcosa non ha funzionato, sono mancati i finanziamenti adeguati alla manutenzione. Pruitt-Igoe, trasformatosi in un ghetto solo per persone afroamericane, abbandonato a sé stesso, con i suoi vetri infranti, l’intonaco scrostato, gli ascensori inagibili è diventato presto il luogo dell’illegalità, dove spacciatori, ladri e affiliati a

bande di strada vagavano indisturbati. Pruitt-Igoe si ergeva come simbolo dell’anarchia, ma anche dell’ingiustizia sociale e di quella rabbia che molti anni dopo ha nutrito le proteste del movimento #BlackLivesMatter. Demolire Pruitt-Igoe era diventato necessario, era una vergogna di cui la società voleva liberarsi. Il primo grattacielo fu abbattuto il 15 luglio 1972. «A giugno morì Emilia Mena Mena. Il suo corpo fu ritrovato nella discarica clandestina nei pressi di calle Yucatecos, verso la fabbrica di mattoni Hermanos Corinto». Così si legge nella “Parte dei delitti”, la corposa porzione del capolavoro di Roberto Bolaño, “2666”, in cui si susseguono ossessivamente per trecento pagine le descrizioni dei femminicidi avvenuti nel Nord del Messico. Una danza macabra costruita a partire da report polizieschi e medico-legali che fa irrompere la ripetitivi-

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IL RUOLO DELL’ARCHITETTO Luca Molinari, architetto, critico e autore del saggio “La meraviglia è di tutti” (Einaudi)

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DISEGNATO SUI MURI Un murale di Jorit Agoch raffigurante Pier Paolo Pasolini, a Scampia, all'uscita della metropolitana

tà del Male. Le donne uccise, violentate, torturate, vengono ritrovate tutte in luoghi abbandonati, nei pressi di catapecchie, nelle discariche, in fabbriche lontane da tutto, oppure nel deserto. È in un appartamento devastato che vivono e si drogano i protagonisti di “Trainspotting”. E ancora, è in una baracca che vengono uccise la figlia e la moglie del protagonista di “Animali notturni”, il film di Tom Ford dal libro di Austin Wright Tony e Susan. Anzi, no. Non si vede mai cos’è successo alla due donne, e questo ci toglie il fiato; ma come il protagonista abbiamo la certezza che il tutto è avvenuto in un luogo degradato, perché è ai luoghi negletti che associamo la narrazione del male. «La natura dell’abbandono è innanzitutto negli occhi di chi guarda certi luoghi. Se noi non li vediamo o li vediamo solo come luoghi oscuri, questo deriva dalla nostra incapacità di essere progettanti rispetto a quei luoghi, di vedere in loro una fiducia che rappresenta futuro», dice il critico e teorico dell’architettura Luca Molinari. C’è un principio di rimozione che aumenta il loro essere abbandonati. L’autrice scozzese Cal Flyn è un’esperta di luoghi abbandonati. Nel suo “Isole dell’abbandono” (Atlantide) raccon-

“Aver trasformato Scampia in un luogo di qualità architettonica equivale a dichiarare che è importante. La bellezza dimostra attenzione”

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ta di un’esplorazione a Paterson, ex città industriale americana, al centro del poema di William Carlos Williams, e ora luogo di fabbriche tessili e di mulini abbandonati, diventati oggetto di riappropriazione. Addentrandosi nel ventre di un mulino dismesso, Flyn non trova l’orrore, ma una comunità. Si tratta di persone che non vogliono essere trovate, attratte dall’idea di una libertà che non troverebbero da nessun’altra parte, una libertà anarchica. Un luogo che rimane nella vita delle persone e viene visto e interpretato come patrimonio condiviso alimenta il senso di comunità. «L’architettura sopravvive alle sue funzioni ma non può mai perdere la sua capacità di essere accogliente, generosa, urbana e aperta al futuro», scrive Luca Molinari nel suo “La meraviglia è di tutti” (Einaudi). Per questo, con un movimento inverso, c’è sempre la possibilità di riappropriarsi e rinarrare gli ambienti dimenticati in modo comunitario. Come fa il collettivo londinese Assamble, che si occupa di rigenerazione partecipata e che ha creato un laboratorio di ceramica in una fabbrica abbandonata, trasformandola così in un centro civico. Oppure, sempre come racconta Molinari, c’è l’esempio di Scampia. «Una popolazione che si sente abbandonata dalle istituzioni è una popolazione che tende a fare per sé». Qualcosa, però, è cambiato con la costruzione della nuova metropolitana di Napoli che ha portato l’arte contemporanea in tutte le stazioni, anche nei quartieri più periferici. «La cosa impressionante è che quelle stazioni dopo molti anni sono ancora perfette come se fossero state appena inaugurate. Questo vuol dire che quando tu dimostri cura per le comunità e i loro territori, le comunità ti ripagano. La stazione di Scampia era uno scheletro degradato. Averlo trasformato in un luogo di bellezza e qualità architettonica è come dichiarare che quel luogo è importante». Tutto questo ha inciso sull’orgoglio della comunità. «La bellezza cura, perché è dimostrazione di attenzione». La bellezza è di tutti.

Foto: F. Sasso – Agf

CULTURA PERIFERIE URBANE


VISIONI

a cura della redazione Cultura

UDINE / FILOSOFIA E AI Si rinnova a Udine l’appuntamento con il Festival Mimesis, alla sua decima edizione (dal 26 al 29 ottobre e dal 3 al 5 novembre), che continua a tracciare le linee del dialogo tra filosofia e attualità sul filo rosso della trasformazione digitale, a partire dal confronto quotidiano con le intelligenze artificiali e i sistemi virtuali. Oltre 70 voci - tra cui Peter Sloterdijk, Pierre Lévy, Vandana Shiva, Umberto Galimberti e Maurizio Ferraris - animeranno incontri, conferenze e dibattiti che coinvolgeranno scienziati, letterati, poeti, ingegneri e politici.

Dalla mostra sul Liberty a Torino alla fiera di arte africana a Parigi, appuntamenti da non perdere

si centomila spettatori, con esibizioni che coinvolgono differenti luoghi della cultura della città: tra gli altri, l’Auditorium del Forum, il Palazzo della Musica Catalana, il Conservatorio Liceu, il Teatro Livoli, il Jamboree.

PARIGI / ARTE AFRICANA TORINO / LIBERTY

BARCELLONA / JAZZ FESTIVAL Fino a dicembre a Barcellona va in scena la cinquantacinquesima edizione del Barcelona Jazz Festival. Nuove proposte e pesi massimi del jazz danno vita a una line up sempre attuale. Tra i big sul palco Bebel Gilberto, Kenny Barron, Chucho Valdès Royal Quartet, Tigran Hamasyan. Concerti gratuiti, masterclass, conferenze, incontri con artisti e numerose attività completano il programma. L'evento attira qua-

da disegni, oggi è possibile sbirciare le pratiche di scrittura di molti protagonisti del Novecento letterario italiano: da Montale a Ginzburg, da Gadda a Calvino, da Quasimodo a Pasolini, Manganelli, Saba, Zanzotto, Eco. Per celebrare i suoi primi cinquant’anni di vita, il Centro Manoscritti dell’Università di Pavia promuove la mostra “Scartafacce. Le mani, i volti, le voci della letteratura italiana del ’900 nelle collezioni” (fino al 29 ottobre), con un più ampio programma di eventi e incontri all’Autografestival.

L’esposizione “Liberty. Torino Capitale” (a Palazzo Madama dal 26 ottobre a lunedì 10 giugno 2024) racconta con un centinaio di opere il fondamentale ruolo di Torino per l’affermarsi del Liberty, un’arte che nella capitale sabauda diviene il fulcro di una storia che travolge ogni aspetto della vita e della società. Un allestimento che affronta ogni aspetto delle manifestazioni artistiche del Liberty in modo originale e inedito, consentendo al visitatore di comprendere appieno i meccanismi della creazione architettonica ed estetica. Architettura, di design d’interni, pitture, sculture, lavori grafici o di decorazione, oggetti d’uso, testi letterari, poesia o musica.

AKAA, la fiera francese dedicata alle scena artistica d’Africa, alla diaspora e agli afrodiscendenti, è uno degli eventi clou della Paris Art Week d’autunno. L’ottava edizione si svolgerà al Carreau du Temple (fino al 22 ottobre), con la partecipazione di 39 gallerie internazionali, tra cui Anne de Villepoix (Francia), This is Not a White Cube (Angola/Portogallo), Backslash (Francia), Kalashnikovv Gallery (Sudafrica), Nomad Gallery (Belgio) e la galleria italiana Primo Marella, per la prima volta alla fiera parigina.

PAVIA / ERRORI DA SCRITTORI Con le loro cancellature, le folte aggiunte marginali e interlineari, con le pagine cassate e a volte recuperate, accompagnate spesso

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CULTURA LETTERATURA

McCarthy

e così sia F

ra tutti i meravigliosi libri di Cormac McCarthy, prima che uscisse l’ultima prova, ovvero il dittico formato da “Il passeggero” e “Stella Maris”, il mio preferito era “Suttree”. Certo, mi ero innamorato di questo scrittore assoluto leggendo la Trilogia della frontiera, ma poi l’epopea di Suttree si era presa il posto più alto. Complice era stata anche una casualità assolutamente personale: avevo iniziato a leggere il romanzo mentre ne scrivevo uno ambientato sul fiume proprio come “Suttree” e quindi, temendo di esserne influenzato, temendo soprattutMATTEO NUCCI to di sentirmi inadeguato, ne avevo rimandato la lettura. Che poi mi fulminò. Mi fulminò fra l’altro per una ricchezza espressiva sconfinata che nella sua versione italiana aveva trovato l’esperta più capace a renderla nella sua bellezza: Maurizia Balmelli. Ora, benché non l’abbia mai incontrata, è a lei, traduttrice appassionata, che in questi anni di attesa della nuova opera mccarthyana io ho sempre chiesto novità. Sedici anni sono passati dalla pubblicazione di “La strada”, fino all'uscita sempre rimandata e infine avvenuta poco prima della morte dell’autore novantenne. Anni in cui pochissimo trapelava e le scarse notizie erano sempre avvolte dal mistero che McCarthy ha mantenuto sul proprio lavoro. Del resto, proprio nel mistero si nascondeva tutta la bellezza vitale dell’attesa, il desiderio famelico di sapere, quell’amore che si prova per uno scrittore vivente ma irraggiungibile, classico ben prima che il tempo possa inserirlo nel canone. Adesso che il dittico è uscito e Maurizia Balmelli lo ha tradotto con capacità sconvolgente, le parole fra di noi si sono esaurite in due frasi di meraviglia, sbalordimento, brivido. Perché ci è parso chiaro che McCarthy, chiudendo la sua inarrivabile carriera di uomo e scrittore, ha finito con il mostrarsi per ciò che nessuno avrebbe creduto che fosse. Ovvero un mistico. Ci sarà tempo per sviscerare adeguatamente quest’ultima

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“Stella Maris” e “Il passeggero”, gli ultimi due romanzi dello scrittore americano, non sono solo due labirinti di stupefacente bellezza. Ma la conferma che l’autore sbirciava l’eternità

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doppia opera sublime. Intanto, per favore, leggetela. In tempi così difficili, in cui il pensiero unico a cui si è consegnato il vecchio Occidente sembra depositario di semplici verità anche sui temi più complessi, affrontare un’opera di simile altezza è un dovere, certo, ma soprattutto un piacere assoluto. Si tratta del piacere sublime di una lettura che non fa sconti, che chiama il lettore a volare molto in alto, a farsi domande e a cercare risposte, a mettersi in crisi e infine a fare silenzio, come silenzio fa ovunque McCarthy attraverso i due fratelli Bobby e Alicia Western: il primo, assoluto protagonista de “Il passeggero”; e la seconda, assoluta protagonista di “Stella Maris”. Leggete questo capolavoro di ricchezza e complessità infinite e lasciatevi portare alle soglie del silenzio mistico. Potrete esserne sconvolti, soddisfatti, insoddisfatti, delusi. Ma, dopo, non


Foto: J. Sangsorn – Shutterstock

sarete gli stessi. Sarete cambiati. Avrete qualcosa dentro che non vi abbandonerà più, qualcosa che – vi piaccia o meno – non saprete e non potrete dire. E non solo perché di ciò che non si deve dire si deve tacere. Ma anche perché l'amore assoluto è inaccessibile e la sua manifestazione è un lampo e un silenzio e la sua vera portata è la dissoluzione. Non so quanti scrittori si stiano confrontando col gigante comparso nelle librerie di questo tempo stanco, moralista, noioso. So che, leggendo qua e là, non molti hanno davvero accettato la sfida. La sfida infatti è assoluta e non ammette parziali prese di posizione. Dunque pretende semmai una severa distanza dalle cose, prima che qualche seria riflessione possa essere tentata. Nella mia piccola esperienza, in questi giorni, casualmente e molto velocemente, ho parlato con Giorgio Monte-

ALLE SOGLIE DEL SILENZIO Le copertine dei romanzi “Il passeggero” e “Stella Maris”, entrambi pubblicati da Einaudi

foschi, Emanuele Trevi e Matteo Meschiari. Oltre che scrittori molto diversi fra loro, si tratta di tre grandi lettori, capaci di raffinate, profonde, mai scontate critiche. Ora tutti e tre hanno confermato l'impressione che con questo dittico McCarthy si riveli un mistico, Trevi semmai propendendo per una forma di platonismo. Parlo di loro non per cercare conferme. Ma per dire l’emozione e lo schianto con cui alcuni di noi stanno facendo i conti. Le storie raccontate dai due libri, come accade sempre con McCarthy, non ha senso anticiparle. E non tanto per evitare quel mostro che i nostri tempi additano in quell’aborto di parola che è spoiler, quanto perché i labirinti a cui veniamo consegnati sono insondabili, non narrabili, non parafrasabili, semplici labirinti in cui perdersi. Di fondo, del resto, “Il passeggero” racconta l’amore assoluto che Bobby prova per Alicia, mentre Stella Maris racconta l'amore assoluto che Alicia prova per Bobby. Figli di un uomo che ha partecipato al Progetto Manhattan, sono entrambi geniali a loro modo. Solo che il genio di Alicia la spinge al di là di ogni regola accettabile e condivisibile. Così “Il passeggero” può per forma essere considerato un classico libro mccarthyano. Mentre “Stella Maris” scardina quel che c’era da scardinare. Si manifesta nel susseguirsi di incontri fra lo psichiatra e Alicia: un lunghissimo impossibile dialogo, fino a un epilogo struggente che rispecchia l’epilogo del “Passeggero”. Bobby infatti si spinge verso un silenzio di ascesi. Alicia verso il silenzio definitivo. È lo stesso addio che McCarthy ha voluto dare ai suoi lettori, avviandosi, con la sua ultima doppia fatica, nel silenzio che inevitabile prende il sopravvento su tutte le tecniche e le conoscenze a cui l’autore aveva dedicato una vita. Alla fine, per lui come per la sua opera c’è solo il nulla e l’abbandono. E tuttavia è lì, proprio in quell’assoluto e in quella dissoluzione corporea che infine irrompe l’eternità.

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SCRITTURA E IMPEGNO CULTURA

Le stragi. I migranti. La mafia. Concetto Prestifilippo ha riunito testi e interviste dello scrittore siciliano. Parole contro il potere. Quanto mai attuali

Senza memoria

stro Paese, l’inurbamento delle masse meridionali. Sono arrivato a Milano perché volevo vedere quella grande trasformazione. Prima di partire mi sono consultato con due miei grandi amici, due scrittori: il primo era Leonardo Sciascia e l’altro era un poeta, un barone, Lucio Piccolo di Calanovella, cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che ho frequentato per tanti anni. Viveva a Capo d’Orlando vicino al mio paese. È staVINCENZO CONSOLO to un grande maestro per me, era un uomo sapientissimo, conosceva tutta la letteratuiviamo in un tempo in cui si è ra e la poesia. Era stato scoperto da Montadeciso di farci vivere in un eterle, pubblicato da Mondadori. Quando decino presente. Un presente dilasi di andare via, Sciascia mi spinse a partire: tato. Bombardati dalla pubbli“Qui non c’è più speranza, se io fossi più giocità. Omneros, come dicevano gli antichi: vane e non avessi famiglia partirei anch’io”, ostaggi. Da questa radice però, quella demi disse. Piccolo invece, che aveva una congli uomini ostaggio della memoria storicezione romantica della letteratura, mi diceca, riparte la resistenza alla menzogna imva: “Non parta, perché rimanendo lontani perante. Abbiamo un dovere etico, quello KALASÌA si ha più fascino. Se raggiunge i centri culdi intervenire, puntualizzare, sottolineare, Parole contro il poteturali, lì diventa uno come tanti altri”. Ragriflettere, non dimenticare, ricordare. Una re, a cura di Concetgiunsi Milano per andare a studiare all’Unigrave minaccia muove, paradossalmente, to Prestifilippo, con le versità Cattolica dove trovai molti studenti dai mass media. Dai mezzi di informazio- fotografie di Giuseppe meridionali. Questi miei compagni di scuone, dalle centrali del pensiero unico. Bana- Leone (Mimesis, pp. la divennero poi, con gli anni, classe dirilizzano, nascondono, camuffano e, subito 130, € 14). Il brano che gente italiana. Molti eminenti uomini polidopo, amplificano, fraintendono, diffon- pubblichiamo è tratto tici, democristiani. C’erano i fratelli De Mita, dono, indottrinano. Sono rari gli esem- da “Nostos, la memo- Gerardo Bianco, i fratelli Prodi. Dopo la laupi coraggiosi di controinformazione. Il ria, il ritorno” pubblirea decisi di tornare in Sicilia. Ho insegnacompito di resistere è affidato agli stre- cato da “Asud’euto nelle scuole agrarie. L’insegnamento in nui difensori della forza della parola». (...) ropa”, magazine del scuole sperdute, in paesini di montagna, mi «Ho deciso che tornerò definitivamente in Centro studi Pio La serviva per conoscere meglio il mondo conSicilia. Il prossimo anno farò ancora una Torre, febbraio 2009 tadino che io volevo raccontare. Negli anni in cui avevo deciso di fare lo scrittore, gli volta le valigie e tornerò nella mia Isola. Dalla Sicilia ero partito nel lontano 1968. Non schemi, gli esempi, gli archetipi erano da una parte Carlo Levi con volevo accettare il paradigma della racco- “Cristo si è fermato a Eboli” e con il libro siciliano “Le parole sono mandazione, degli onorevoli, del posto si- pietre”, che parlano appunto dei due mondi contadini sotto il facuro alla Regione. Sollecitato da due in- scismo. Dall’altra parte i miti di Pavese, di Vittorini. Soprattutto il tellettuali, Vittorini e Calvino, che allora Vittorini di “Conversazione in Sicilia”. Io volevo conoscere questo pubblicavano una rivista, “Il Menabò”. L’in- mondo, volevo rappresentarlo. Oggi la Milano dei miei sogni, delvito rivolto ai giovani intellettuali italiani le mie aspettative è una città irriconoscibile, per dirla con Rushdie. era quello di studiare la nuova realtà italia- Una città centrale della menzogna. Adesso però forse è giunto il mona, il processo di industrializzazione del no- mento del ritorno».

Ostaggi di un

eterno presente

Foto per gentile concessione di: Giuseppe Leone

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CULTURA CINEMA

L’importanza di chiamarsi

Gondry FABIO FERZETTI

el 1993, un secolo fa, una cantante appena uscita dalla sua band si chiude in casa con 150 videocassette e un obiettivo: scovare il regista più geniale e imprevedibile su piazza per il suo primo videoclip da solista. La cantante si chiama Björk. Il prescelto sarà Michel Gondry, futuro autore di “Se mi lasci ti cancello”, con Jim Carrey e Kate Winslet, Oscar 2004 per la sceneggiatura, ancor oggi il suo film più famoso. Ma anche di tante altre piccole gemme imperfette ma venerate da ostinate minoranze come “L’arte del sogno” o il road movie adolescenziale “Microbo e Gasolina”, rocambolesco tour de France compiuto da due 14enni ingegnosi che, stufi di farsi strapazzare dai coetanei, si fabbricano una minicar incrociando una falciatrice con un capanno degli attrezzi e partono alla scoperta del loro paese e di se stessi. Forse il film più personale di François Nemeta, a lungo suo aiuto regista. questo eterno ragazzo nato a Versailles nel Visibili entrambi a breve su iwonderfull. 1963 che tra Francia e Stati Uniti, cinema e it e Prime Video Channel, i due docu di Nevideoclip, ha vissuto molte vite in una e oggi meta costituiscono un’occasione unica per torna sugli schermi con lo sghembo, malin- approfondire la conoscenza di un talenconico, scopertamente autobiografico “Il li- to tanto dirompente quanto inclassificabibro delle soluzioni”, in sala dal 1 novembre. le, dunque precocemente messo da parte. Preceduto dalla masterclass che lo stesso re- O peggio banalizzato nel cliché dell’artista gista terrà alla Festa del Cinema di Roma il capriccioso. Se il primo è un viaggio diurno 29 ottobre, pochi giorni dopo l’anteprima nella vita e nell’opera del regista francese mondiale del secondo documentario su di ricco di inediti e testimonianze rivelatrici lui realizzato quest’anno, “A letto con Mi- (memorabile l’incontro con l’amico-rivachel Gondry”, controcampo di un altro bel le Spike Jonze che gli “soffiò” Björk), il secineritratto visto a Venezia, “Michel Gon- condo promette un altro tipo di emozioni. dry: Do It Yourself”, diretto anche questo da Si tratta infatti, spiega Nemeta, di «un ritratto intimo narrato da Gondry in persona nel corso di una delle sue notti d’insonnia. Una “notte bianca” che interroga i suoi sogni, i suoi incubi, le sue influenze». Portandoci nella parte in ombra del suo stravagante percorso creativo. Un percorso tanto

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SUL SET Il regista, sceneggiatore e scrittore francese Michel Gondry


Foto: M. Pont – WireImage / GettyImages

Ha girato il primo videoclip di Björk. Ha scritto “Se mi lasci ti cancello”. È il regista di tante piccole gemme imperfette e di culto. Mentre esce il suo nuovo film, la Festa del Cinema di Roma lo celebra con due documentari

personale quanto politico, anche se questa dimensione non si impone al primo sguardo. Proprio perché in Gondry il gesto politico è intimamente fuso a quello artistico. Eppure questo erede di Georges Méliès, cresciuto in una famiglia di musicisti e precocissimo bricoleur, capace di inventare l’effetto “bullet time” rubatogli dalle Wachowski in “Matrix”, ma anche di passare settimane a fabbricare con le sue mani piccoli film d’animazione che avranno come unica spettatrice sua figlia, ha le idee chiare al riguardo. Come spiega, con tono lieve e sincerità autolesionistica nel “Libro delle soluzioni”. Uno: il talento è ovunque, soprattutto nei luoghi più inaspettati. Due: bisogna fare tutto da sé, il mestiere si impara sul campo, l’essenziale è divertirsi. Tre: la libertà è proporzionale al costo delle creazioni. Se fai tutto da solo, magari fondendo animazione

e cinema dal vero, integrando foglie e rami veri a fondali disegnati a mano come nel videoclip di Björk, nessuno ti potrà influenzare. Non a caso tra un film e l’altro Gondry ha anche dato vita a un progetto folle e rivoluzionario, “L’usine des films amateurs”, che dopo un rodaggio in Francia ha fatto un piccolo giro del mondo tra Giappone, Marocco, Brasile, Russia, Argentina e Sudafrica. Un atelier gratuito, con set già pronti e protocolli ben congegnati, in cui chiunque veniva messo in grado di scrivere, girare e proiettare un corto in 24 ore. Per puro divertimento, senza pubblicare il risultato per non esporsi a derive commerciali o pubblicitarie, e tantomeno mettere i lavori in rete, a evitare il flagello dei commenti. Un po’ come ne “Gli acchiappafilm” (orrida traduzione italiana di “Be Kind, Rewind”), dove alcuni commessi di uno scalcinato videonoleggio del New Jersey “rigiravano” nel corti-

GRANDE SCHERMO Una scena del film “Il libro delle soluzioni” di Michel Gondry. A sinistra: una scena del documentario “Do It Yourself” di François Nemeta

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CULTURA CINEMA

Festival

Claudia Catalli

le blockbuster hollywoodiani LA LEGGENDA per affittarli a clienti più mat- L’attrice Anna Mati di loro (il finale, rivela il docu gnani di Nemeta, nasce proprio dalla proiezione del film organizzata per i veri abitanti del sobborgo di Passaic, entusiasti dell’avventura). Uno così, che voleva a tutti i costi fare film popolari e nella Francia del “cinéma d’auteur” si sentiva a disagio, doveva finire a Hollywood. Ma solo per fuggirne dopo aver violato tutte le regole del successo. Chiunque altro, dopo aver vinto l’Oscar grazie all’incontro con un altro grande irregolare, Charlie Kaufman, lo sceneggiatore di “Se mi lasci ti cancello”, avrebbe rilanciato con film sempre più costosi. Gondry no. Fatta eccezione per “Green Hornet”, supereroe comico basato su una vecchia serie tv con Bruce Lee, troppo bislacco e sofisticato per conquistare i botteghini, anche Hollywood non fa per lui. I supereroi del resto non gli piacciono: «Da bambino divoravo qualsiasi fumetto ma ho sempre detestato Batman e tutti quei tipi in calzamaglia. Un forzuto che salva la comunità perché i cittadini non sanno gestirsi da soli mi sembra l’incarnazione stessa del fascismo». Evviva. La seconda fase dell’altalenante carriera di questo artista del fantastico è tutta da scrivere. Ma a vederlo sbarcare nella scuola che gli hanno dedicato in patria a bordo della DeLorean di “Ritorno al futuro”, la verità salta agli occhi. Gondry non appartiene a Hollywood né alla Francia, ma a un regno più vasto e sempre più minacciato, sepolto nel fondo di ognuno di noi. L’infanzia.

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Anna Magnani, Monica Vitti e Maria Callas. Una triade leggendaria di donne che hanno fatto la storia del cinema e dell'opera viene omaggiata alla 18ma edizione della Festa del Cinema di Roma. Anna Magnani campeggia sulla locandina ufficiale del festival, mostrando all’obiettivo un fazzoletto su cui è raffigurata una rosa: fu la prima attrice italiana a vincere l’Oscar per “La rosa tatuata” nel 1955. Monica Vitti appare sul grande schermo a più riprese in “Mi fanno male i capelli” di Roberta Torre, con Alba Rohrwacher nei panni di un’altra Monica che perde la memoria e si rifugia nel mito della sua attrice modello, imitandola e reinterpretandola fino a confondere del tutto i piani di fantasia e realtà. Ironia della sorte, essendo il film in concorso, la sua protagonista potrebbe vincere il Premio Monica Vitti dedicato alla miglior attrice della Festa. Diversi i film interpretati da Vitti citati nel gioco metacinematografico del “film nel film”, che passa attraverso schermi e specchi multipli, da “La notte” a “L’eclisse”, da “Deserto rosso” a “Teresa la ladra”, passando per “Amore mio aiutami” e “Polvere di stelle”. «Non è un film su Monica Vitti, ma un omaggio», sottolinea la direttrice artistica del festival Paola Malanga. Invece Maria Callas, nel centenario della sua nascita, viene celebrata con tre film: “Callas, Paris, 1958” e “Maria Callas Lettere e Memorie – Monica Racconta Maria” di Tom Volf e “Medea” di Pier Paolo Pasolini. A raccogliere il testimone delle tre dive è una figlia d'arte d'eccezione, Isabella Rossellini, che alla Festa del Cinema di Roma riceve il Premio alla Carriera, incontra il pubblico e inaugura la retrospettiva a lei dedicata. Accanto ai suoi successi, da “Velluto blu” di David Lynch a “La morte ti fa bella” di Robert Zemeckis, vengono proiettati “My Dad Is 100 Years Old”, il documentario da lei scritto e interpretato per il centenario della nascita del padre Roberto, il suo ultimo film da attrice “La chimera” e le serie girate da lei sul mondo degli animali (“Green Porno”, “Seduce Me” e “Mammas”). C'è anche “A Season with Isabella Rossellini” in cui compare la sua Mama Farm, l’azienda di agricoltura rigenerativa che l'attrice porta avanti da dieci anni con rara passione, come mostra fiera sui suoi social.

Foto: Publifoto – LaPresse

Callas, Magnani, Vitti tra fantasia e realtà


BOOKMARKS

Il piacere di perdersi opporto soltanto due cose al mondo, l’amore e la scrittura. Il resto è buio”. Il resto è “Perdersi”, il diario di un’attesa, l’annuncio di una fine, un viaggio nella solitudine: un registro di parole “per salvare dal nulla ciò che tuttavia gli si avvicina di più”. Il romanzo, uscito in Francia nel 2001 e che L’Orma editore manda ora in libreria (nella traduzione di Lorenzo Flabbi), rievoca la storia d’amore con un diplomatico russo a Parigi, conosciuto a Leningrado durante un viaggio di scrittori nel 1989. Una passione totale, rubata al lavoro e alle responsabilità, a un ruolo pubblico e pure a una moglie, desiderio e cuore che pare scoppiare ogni volta, e la certezza, che tutto oscura, che lui sparirà un’altra volta per giorni, per settimane, per sempre. È questo senso di lutto che accompagna la storia a rendere vitale il gesto di scrivere: perché scrittura e sesso si fondono sempre e solo un libro riesce a districare l’una e l’altro, sembra dire la scrittrice che ha trasformato la sua autobiografia in letteratura da Nobel. E a poco servono altri incontri, ripensare all’adolescenza o alla madre, rivivere il dolore di un aborto o fare i conti col tempo PERDERSI che passa: nel delirio amoroso, Annie Ernaux nell’ossessione per quel corpo (trad. Lorenzo Flabbi) di amante, sono semmai i soL’orma editore gni propiziatori a conquistarpp. 252, € 21 la e le mosse che possono favorire il destino: come la mano tesa a un mendicante, con l’auspicio che l’uomo si faccia vivo. Randagia vaga per mesi l’autrice, con questo amore che la travolge, la paralizza, di cui però non può fare a meno. Tra incubi, insonnie e attese: attese continue che nell’edizione integrale di questo romanzo ancor meno lasciano scampo a lettrici e lettori. Inerti di fronte a una donna libera soggiogata dalla dipendenza erotica, sopraffatti talvolta. Ed è vero che Proust è incidentalmente, provvidenzialmente evocato: “Dove la vita alza un muro, l’intelligenza apra una breccia”. Ma è l’ammissione della scrittrice che ha denudato tabù, fragilità familiari e violenze da patriarcato a risuonare di più: ciò che mi fa scrivere è questo amore senza mai un ti amo.

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Sabina Minardi Leggere Annie Ernaux. Lavoro e solitudine nel diario di Lucia Calamaro. I racconti di Atwood. Guzzanti e Bennett in audiobook Un diario del vuoto. Il viaggio in un periodo di disoccupazione e di solitudine sociale, mentre tutti fanno cose, rievocati con la voce nitida e implacabile della drammaturga. Come si riorganizza una vita quando ti manca la routine del fare? Come non si cede alla depressione, come si sfugge al non riconoscere più la propria creatività? In un tempo di profonde trasformazioni, un faccia a faccia con l’idea che il lavoro definisca chi siamo. DIARIO DEL TEMPO Lucia Calamaro Fandango Libri, pp. 157, € 16

La caducità, il lutto, la memoria. E una donna con poteri da strega. L’autrice canadese torna ai racconti e attraverso quindici shortstories percorre i suoi temi più emblematici: guerra, femminilità, distopia, attrazione per l’ignoto. Come nel racconto Metempsicosi. O in quello che dà il titolo all’antologia: passeggiata nel bosco di due coniugi, intrisa di mistero, nostalgia. E il suono delle foglie secche. VECCHI BAMBINI PERDUTI NEL BOSCO Margaret Atwood (trad. Guido Calza) Ponte alle Grazie, pp. 307, € 16,90

È Corrado Guzzanti a leggere l’esilarante romanzo dello scrittore e drammaturgo britannico. Storia di una anziana barbona, con un furgone stracarico di rifiuti, che si piazza nel giardino di casa, spargendo intorno a sé stramberie e un odore terribile. Pubblicato da Adelphi, tradotto da Giulia Arborio Mella e Mariagrazia Gini, il libro arriva ora in versione audiobook per una divertita scorribanda da ascoltare nell’universo di Bennett. La signora nel furgone Alan Bennett Emons Audiolibri

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BUIO IN SALA

Fabio Ferzetti

Oro nero, cosa non si fa per te

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toria vera, metafora perfetta, densità magistrale. Scorsese torna a scavare nel solco aperto da “The Irishman” (la Storia di una Nazione riflessa nelle gesta atroci e nei torbidi sentimenti di pochi piccoli individui) aprendosi a un’inedita pìetas. Le vittime sono gli Osage, nativi americani dalle cui terre, a fine ‘800, zampillò il petrolio. Scatenando una febbre dell’oro nero che negli anni 20 generò corruzione, malversazioni e una catena di omicidi destinati a strappare agli Osage terreni e guadagni. Anche i Getty, per dire, iniziarono lì. Ma Scorsese dribbla il thriller (tutto nasce dalla poderosa inchiesta di David Grann, Corbaccio) per darci un romanzo denso di chiaroscuri che parte dal contesto, stringe sui protagonisti, ci ubriaca di comprimari e peripezie ora abiette ora grottesche. E intanto, senza parere, affresca un’epoca, sonda il grumo dei sentimenti più oscuri. contempla il lavoro del tempo sulla vicenda, ritoccata dall’epica, corrosa dall’oblìo, deformata dal quieto vivere («Alla lunga nessuno vuole ricordare», chiosa De Niro). Quindi sublimata, nel magnifico epilogo, in racconto popolare. Al centro di questa catena di infamie che si allarga come i petali di un fiore velenoso (altro che “Età dell’innocenza”) si stagliano De Niro e Di Caprio, zio e nipote. Il

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Tradimenti, delitti, violenza. Fino al genocidio. Scorsese, De Niro e Di Caprio firmano una magistrale denuncia dei crimini contro i nativi

KILLERS OF THE FLOWER MOON di Martin Scorsese, Usa, 206’

primo possidente terriero, massone, felpato ma brutale, vicino agli Osage al punto di parlare la loro lingua e a suo dire proteggerli, sia pure per rapinarli meglio. Il secondo reduce di guerra, tardo, rozzo ma vitale e capace di sedurre una Osage tutt’altro che ingenua (la commovente Lily Gladstone) ma pronta a rischiare per quel bianco, a suo modo innamorato - ecco il paradosso - e capace del peggio. Mai forse le radici genocidarie degli Usa hanno trovato rappresentazione più compiuta e amorosamente vicina alle culture sacrificate (il titolo di un film scritto nella lingua dei nativi è senza precedenti). Ampiezza di mezzi e durata monstre, azzardano i detrattori, tolgono grinta a Scorsese. Balle. Profondità, finezza, intelligenza dello stile, non hanno prezzo.

LE GAUDENTI NOTE

Singoli alla riscossa

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è un che di tenero nella dolce cupio dissolvi con la quale Colapesce e Dimartino hanno fatto uscire un nuovo singolo che già nel titolo, “La luce che sfiora di taglio la spiaggia mise tutti d’accordo”, sembra sfidare la forza di gravità della velocità algoritmica che impone di dire tutto il possibile nel minor tempo possibile. Titolo alla Wertmüller, si potrebbe pensare, forse ancora di più sottilmente connesso al fraseggio di Battiato. Potrebbe essere un segno di rivolta? Speriamo. Di certo il singolo sfida molte altre leggi vigenti, con i suoi 6 minuti e 29 secondi di durata, la partenza lenta, lentissima, quasi rarefatta, la struttura che alterna diversi momenti ritmici. D’altra parte segnali di riscossa arrivano da molte zone della canzone italiana, a cominciare dalla middle generation di Gazzé e Silvestri che torna in campo con nuovi singoli, Gazzè anunciando un album ambizioso che si intitola “Amor fabulas” e Silve-


COLPO DI SCENA

Francesca De Sanctis

Moretti c’è ma non si vede anni Moretti firma la sua prima regia teatrale: “Diari d’amore” ha debuttato al Teatro Carignano di Torino (che lo produce assieme ad altri partner italiani e francesi) e mette insieme due commedie di Natalia Ginzburg: “Dialogo”, scritto nel 1970 per la tv, e “Fragola e panna”, del 1966, mai rappresentato prima, entrambi appena ripubblicati da Einaudi. Che un intellettuale e regista cinematografico come lui decida, a 70 anni, di cimentarsi con una regia teatrale è senza dubbio una notizia. Ecco perché c’era molta curiosità. E dunque? Sembra proprio che Moretti abbia voluto farci un bello scherzetto: si è calato anche lui nella parte di un personaggio creato da Natalia Ginzburg, uno di quelli di cui si parla tanto ma che non si vedono mai in scena. Assenti, come la sua re-

Il cineasta debutta a teatro con due commedie di Natalia Ginzburg. Grandi attori, rispetto del testo e nessuno dei tic amati dai suoi fan

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“Diari d’amore”, regista Nanni Moretti. Sotto: il duo Colapesce Dimartino

Foto: M. Rasero – LaPresse

Gino Castaldo stri dialogando con Fulminacci in “L’uomo nello specchio”. Tornano con straordinaria potenza i Subsonica, anche loro per ora con un solo pezzo intitolato “Pugno di sabbia”, anticipo di un disco che uscirà a marzo, ma che già lascia intuire la voglia di tornare protagonisti e ricordare a tutti la forza che può avere una canzone nell’interpretare il disagio dei tempi che viviamo. È anche il momento in cui, dopo cinque anni, è finalmente tornato tra noi Calcutta, con “Relax”, e se perfino Calcutta ha deciso di abbandonare il suo dorato Aventino e tornare in campo vuol dire che è arrivato il momento. C’è bisogno che si torni a respirare un po’ di aria buona, da dovunque arrivi. È ora insomma che i duri tornino a giocare. Ma Colapesce e Dimartino hanno fatto di più, hanno voluto far capire di essere disposti a dilapidare l’inossidabile fiducia di pubblico che hanno guadagnato in questi anni, pur di riprendersi il bene più prezioso che esiste per un artista: la libertà.

gia. È ovvio che si tratta di una scelta precisa, ma perché privare lo spettatore del gusto di riconoscere certi tic morettiani? Va bene, il cinema è un’altra cosa. Proviamo allora ad immaginare il perché di un lavoro tutto costruito per sottrazione. Probabilmente l’intento di Moretti era quello di dare risalto alla parola scritta dell’autrice di “Lessico famigliare”, a quei dialoghi che ci raccontano di amori impossibili e matrimoni falliti, di solitudini e incapacità d’adattamento e anche di donne picchiate dai mariti, tant’è vero che Moretti sembra essersi concentrato su due aspetti: la fedeltà assoluta del testo (il contrario di quello che fa Barbora Bobulova nel film “Il Sol dell’avvenire”, in cui cambia tutte le battute) e la ricerca della leggerezza per scavare nell’apatia della società. E infatti non si può certo dire che lo spettacolo non sia bello. Lo è soprattutto grazie ad un cast eccezionale di attori: Daria Deflorian (strepitosa Tosca, la “serva” di “Fragola e panna”), Valerio Binasco (magnifico soprattutto nel ruolo di Francesco, marito tradito in “Dialogo”), Alessia Giuliani, Arianna Pozzoli, Giorgia Senesi, che recitano tra arredi essenziali (scene di Sergio Tramonti). Insomma, il “teatro delle chiacchiere” di Natalia Ginzburg è salvo, ma dov’è Moretti? Diari d’amore regia Nanni Moretti Torino, fino al 29/10. Poi in tournée

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HO VISTO COSE

Beatrice Dondi

Svegliatevi, c’è la cultura in tv

Il bel programma con Lodo Guenzi è tristemente confinato a tarda notte. Per i pochi appassionati che non si vogliono arrendere

DA GUARDARE MA ANCHE NO Per i ragazzi degli anni ‘90 la scoperta dell’horror è cominciata alle elementari leggendo dei libriccini che parlavano con ironia di fantasmi, case stregate e vermi assassini. Oggi Disney+ regala la versione seriale di quei “Piccoli brividi” mantenendo intatta quella stessa terrificante leggerezza. Si dice spesso l’ultima frontiera dei reality ma l’esperienza insegna che al peggio non c’è mai fine. Così guardando la produzione brasiliana su Netflix dall’illuminante titolo “Isolati con la suocera” viene solo da sperare che in Italia ancora non se ne siano accorti. Pur nell’assoluta certezza che non sarà così.

Foto per gentile concessione di: Danilo D’Auria – Ufficio Stampa RAI

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i sono cose che suscitano una tenerezza immediata, naturale, per la loro insita fragilità: i bambini, i cuccioli tutti e gli spettatori appassionati di cultura. Quest’ultima categoria ormai è a rischio estinzione, tipo l’orso marsicano, un po’ per mancanza di materia prima e un po’ per le difficoltà a cui viene sottoposta, a mo’ di stress test per cercare di seguire quel poco che passa il convento. Un esempio recente è “Tutto quanto fa cultura”, una parentesi di RaiDue, che viene presentata come una seconda serata. In realtà il programma inizia il suo racconto curioso alla ricerca di sprazzi intelligenti che ormai si è fatta l’una di notte, praticamente il giorno dopo e non si capisce bene che senso abbia mettere così alla prova i pochi animi motivati che vorrebbero solo poter guardare una volta tanto un prodotto ben fatto. Alla guida di questo marziano che mescola le arti più varie cercando di esplorare temi complessi con la semplicità delle parole dette bene, c’è un altro marziano della tv, Lodo Guenzi da Bologna, quello strano attore, musicista, conduttore che fece ballare una signora di 84 anni sulle note di una canzone anarchica che parlava di lavoro in un Paese in cui al lavoro nessuno cre-

deva più e che, passando con quella faccia un po’ sgualcita da Pupi Avati allo Stato Sociale, dalla giuria di “X Factor” alla lettura di “Signor tenente” di Giorgio Faletti per il programma di Fiorello, ha spesso regalato ai più quella sensazione di esser lì per caso ma poi già che ci si trova tanto vale mettersi comodi. Guenzi compare tenendo stretto il filo del tema di ogni puntata, che si snocciola a suon di repertorio prezioso (e che Dio protegga le Teche Rai). Così per affrontare obbedienza e disobbedienza passa da Raffaella Carrà regina di libertà in tempi non sospetti all’architettura non convenzionale, per affrontare l’incompiutezza si spinge ad analizzare quello strano morbo che affligge a volte i più grandi e che non gli permette di far uscire dalle loro teste delle opere che sarebbero magnifiche se solo trovassero il modo di esistere e ricorda il Don Chisciotte mai nato di Orson Welles e quello di Terry Gilliam. In un continuo fluido di cinema, arte, matite, improvvisazione, invenzioni televisive e parecchi dovuti omaggi, il programma lega il passato al presente e scoprendo una serie di piccoli tesori dell’ingegno, mescola alto e basso ben sapendo che la cultura non se ne avrà a male. Alla fine, spiazzati e contenti per questo oggetto misterioso, viene solo da chiedersi per quale motivo viale Mazzini non lo abbia sbandierato e protetto come meritava anziché confinarlo alla luce della luna. Come un orso marsicano.

Lodo Guenzi conduce “Tutto Quanto Fa Cultura”, il programma di Rai Cultura in onda su RaiDue, da questa settimana il giovedì dopo mezzanotte

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MOTORI

Gianfranco Ferroni

Suv ridotti all’osso

acia Sandero è sempre l’auto estera più venduta in Italia. Il brand registra +26% di immatricolazioni rispetto al 2022 nei primi 9 mesi di quest’anno e sfonda il muro delle 60mila unità consegnate a clienti italiani. E Duster rimane protagonista del mercato dei B Suv e si posiziona al terzo posto assoluto nel mercato privati. Successo anche per Jogger che dal lancio ha già conquistato quasi 12 mila italiani che cercano spazio e versatilità in gran quantità, grazie anche alla disponibilità dei 7 posti. Senza dimenticare che Dacia, la “macchina da guerra” del gruppo Renault, si conferma leader assoluto del mercato delle alimentazioni alternative grazie alla sua gamma Gpl, scelta da oltre 44 mila clienti italiani, con una quota di mercato che supera il 40%. Il risultato, il migliore di sempre nella storia del brand, coincide con il primo anno di commercializzazione dell’intera gamma con la nuova identità. Le cifre? Sandero, nei primi 9 mesi, si conferma come l’auto estera più venduta in Italia, con 34.139 immatricolazioni. Duster con 20.992, Jogger con 11.777 clienti italiani. La 100% elettrica Spring, infine, con 1.146 immatricolazioni, si colloca al quinto posto nel mercato a privati. Il Gpl ha un suo mercato: 7 italiani su 10 effettuano una scelta che permette di abbattere i costi di utilizzo e le emissioni, e di offrire un’elevata

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Essenziali, robusti, moderni. Elettrici o a gas, i modelli Dacia puntano sull’indispensabile. E collezionano successi

La Dacia Sandero, qui sopra in versione Stepway, è l’auto straniera più venduta in Italia

autonomia e un ottimo livello di prestazioni, grazie alla sovralimentazione. Per Giulio Tocci, managing director Dacia Italia, «è il marchio che meglio interpreta i bisogni attuali dei clienti italiani, fatti di essenzialità e concretezza, di funzionalità e robustezza, ma anche di elevato controvalore: la Casa si impegna infatti ad offrire sempre il miglior rapporto qualità-prezzo, ridefinendo costantemente il concetto di essenziale». Praticità, innanzitutto, ed economicità: per Tocci «gli ingredienti del successo di Dacia rimangono gli stessi, ma sono ora sostenuti da una nuova identità visiva che riflette i suoi valori: robustezza, concretezza e modernità. La leadership non è casuale, ma è il risultato di una strategia basata su un posizionamento unico e su un modello commerciale di successo».

AMICI BESTIALI

Lombrichi da scoprire a vinto il premio ProNatura nel 2011 come animale dell’anno. È il lombrico. Quell’animaletto lungo rosa scuro o rossiccio, il Lumbricus Terrestris. Tutti possono allevarne uno, anche in città. Da piccola ogni animale del globo era per me una scoperta e, potendo andare in campagna solo nel fine settimana, trascorrevo molto tempo nella grande terrazza di casa. Qui c’erano alcuni vasi con i fiori e con mia grande meraviglia, razzolando nel terriccio, spesso trovavo un lombrico. Un lombrico per amico. Lo osservavo e poi lo riponevo nella terra, dove tornava a rintanarsi lontano dai raggi del sole. Il lombrico è un animaletto instancabile. Scava profonde gallerie e digerisce tutto quello che trova rilasciando il famoso humus che rende la terra fertile: azoto, fosforo e potassio. Non solo. Scavando le gallerie profonde fino a tre metri, permette all’aria di passare e questo aiuta i processi che rendono fertile e

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COSA C’È DI NUOVO

Emanuela Cavallo

Lunga vita al copertone on c’è una gomma ancor che non si buca, il mastice sei tu, mia vecchia amica: la pezza sono io, ma che vergogna, che importa, tocca a te, avanti sogna», cantava Lucio Battisti. Dall’onta alla visione: la vecchia amica gomma, ormai consumata tra viaggi, autostrade e code urbane, ha un nuovo futuro. Poco importa se è bucata o meno, quando è troppo usurata va sostituita, ma la sua vita non finisce in un triste cimitero di pneumatici. È ancora utile, anzi potremmo dire, è solo a metà del suo cammino. La gomma è, infatti, una miscela di polimeri di qualità con caratteristiche chimico-fisiche che non mutano. Il PFU viene riciclato per recuperare materiali o utilizzato per produrre energia, adatta soprattutto ai cementifici. Il potere calorifero delle vecchie gomme vale quanto quello del

Dagli pneumatici usati si ricavano gomma, acciaio e fibra tessile. Da riciclare in asfalto e tappeti, piste per atletica e giochi per bambini

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Pile di copertoni usati dipinti a colori vivaci. Sotto: un lombrico

Foto: Getty Images (2)

Viola Carignani più soffice un terreno lasciando passare l’acqua in profondità. Non è facile vederli. Solo quando piove escono allo scoperto perché le gallerie si allagano e quindi tendono a salire verso la superficie. Se li trovate in giardino o nei vasi, vi prego, non uccideteli. Anzi, aiutateli a rientrare nel terreno. Mangiano le radici morte ed evitano quelle vive, sono perfetti amici delle piante che cresceranno più sane. Questi esserini, così importanti per la salute del suolo, vengono sterminati da fertilizzanti e pesticidi. Se avete un giardino, pensate a cosa usate per far crescere le vostre piante. Un terreno privo di lombrichi sarà povero e asfittico. Di recente sono nati allevamenti di lombrichi, ricercati per l’agricoltura biologica e per la produzione di humus, il migliore che si possa trovare in commercio. I lombrichi non abbaiano, non vanno portati fuori e nemmeno dal veterinario. Lavorano e basta. Sono animali perfetti per tutti. Mi sembrava giusto metterli tra gli amici bestiali.

carbone, ma inquina meno. Con una macinazione meccanica a temperatura ambiente si giunge alla divisione dei tre componenti dei penumatici: gomma, acciaio e fibra tessile. Sono già oltre 600 i chilometri di strade realizzati con asfalti modificati con l’aggiunta di polverino di gomma riciclata. I vantaggi vanno dalla riduzione del rumore generato dal passaggio delle auto, alla durata tre volte superiore rispetto agli asfalti convenzionali, maggiore resistenza all’usura e al pericolo di buche. Dal riciclo delle gomme spuntano fuori pure pavimenti di palestre, piste di atletica, parchi giochi per bambini e guaine anti-rumore. I ricercatori di Enea, in collaborazione con l’Università di Brescia, hanno unito scarti di acciaieria e pneumatici per realizzare una gomma riciclata adatta a nuove produzioni industriali come tappetini per l’isolamento acustico o antivibranti. Alla polvere di pneumatico è stata unita una quantità via via crescente di scorie di acciaio riscontrando una riduzione del coefficiente di attrito e un aumento della rigidezza. L’ossido di ferro dalla scoria d’acciaio conferisce alla gomma riciclata proprietà magnetiche e una maggiore conducibilità termica, che la rende interessante per applicazioni dove serve dissipare il calore. Da una parte si supera la problematica del riutilizzo della scoria, ossia il rilascio di metalli pesanti, dall’altra si realizzano diverse tipologie di gomme.

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IL VINO

Luca Gardini

Microclima spumeggiante

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PUNTEGGIO: 94+/100 PREZZO: €€€

va Re, ma anche prodotti come il Dosaggio Zero Blasé e il Cavaliere Nero Rosè, in una linea di etichette chiara espressione del più raffinato artigianato vitivinicolo. Trentodoc Extra Brut Riserva 100 mesi Re di Revì 2013 Cento mesi sui lieviti, una prova di bravura per la cantina guidata dalla famiglia Malfer. Chardonnay e Pinot Nero dotati di eccellente equilibrio, con evidenza di note di mela renetta, salvia limonata e tocchi di menta selvatica al naso, mentre alla beva si rivela succoso-salmastro, con ritorno fruttato-mentolato e bella persistenza. Perfetto con un grande classico locale come il risotto allo zafferano e salmerino. REVÌ Via G. Pascoli, 10, 38060 Aldeno (TN) Tel. 0461843155, info@revispumanti.com

smART

Provocazioni a tutto gas l protossido di azoto, conosciuto ai più come gas esilarante, è un anestetico leggero utilizzato soprattutto dai dentisti per le estrazioni, ma da un po’ di tempo preoccupa molti governi perché è diventato una droga a scopo ricreativo a basso costo e facilmente procurabile. Allora ecco Sarah Lucas giocare con questa emergenza proprio nella sua Inghilterra, il Paese dove questa nuova via di sballo ha preso piede più velocemente: la mostra da poco inaugurata alla Tate Britain si chiama infatti “Happy Gas” (fino al 14 gennaio). Il riferimento pare proprio al comportamento antisociale delle Gran Bretagna dalla Brexit in poi, tra isolamento e autodistruzione. E proprio questi due aspetti sono tra i più battuti da Lucas nella sua carriera, che comincia tra le fila di quel movimento sovversivo, nato all’inizio degli ‘90 come risposta all’apatia del sistema dell’arte, noto come Young British Art. È la fotografia il primo grande amore espressivo di Sarah Lucas e in

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€ da 11 a 25 euro - € € da 25 a 35 euro - € € € più di 35 euro

ldeno è, da qualsiasi parte la si guardi, un unicum nello sfaccettato panorama vitivinicolo trentino. “Terra di mezzo” all’intersezione tra la punta estrema della Val d’Adige e l’inizio della Vallagarina, collocata alle pendici del Monte Bondone, dotata di microclima rarissimo, completato dalla vocazione del suolo, a prevalenza di conoide alluvionale, modellato negli anni dai sedimenti depositati dal torrente Arione, è stato centro vinicolo di prim’ordine fin dalla metà dell’800. Del resto era stato proprio Gino Veronelli a ribattezzare questo fazzoletto di terra - leggenda vuole dopo una maestosa abbuffata delle rinomate bollicine locali - la “Champagne d’Italia”. Una tradizione vitivinicola raccolta orgogliosamente da una cantina, quella di famiglia Malfer, che rievoca nel nome il segno dell’elezione (dal toponimo popolare, “Re dei vin”), ovverosia Revì. Si deve agli sforzi di Paolo, talento e ostinazione precocissimi, che dopo anni di prove e micro-vinificazioni sugli spumantizzati la crea, proprio ad Aldeno, nel 1982. Esordi orgogliosamente “garage winery”, seguiti da una crescita esponenziale - e paralleli encomi, di pubblico e critica - fino all’importante traguardo delle 200.000 bottiglie prodotte. Ora gestita da Paolo insieme ai figli Giacomo e Stefano, Revì prosegue la sua sfida con coerenza e senza nascondere ambizioni, come confermano le ultime uscite, una su tutti la Riser-

Un territorio unico, fatto apposta per produrre bollicine. Qui un’azienda partita in garage è arrivata a 200mila bottiglie


A TAVOLA

Andrea Grignaffini

Paese che vai crêpe che trovi

Nate a Roma. Rilanciate in Francia. Imitate dovunque. Giro del mondo dolce e salato tra blinis e pancake, palacsinte ed enchiladas

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arina, uova, burro e latte: ecco la ricetta base delle leggiadre frittatine dai mille e un nome, le crêpes. Sembra abbiano un’origine antichissima, risalente addirittura al V secolo, quando il pontefice Gelasio a Roma ordinò ai cuochi papali di preparare un cibo rinvigorente per sfamare i pellegrini francesi stremati dopo il lungo viaggio intrapreso per partecipare alla festa della Candelora. A loro piacquero così tanto che la ricetta venne riportata e diffusa in Francia, Paese a cui si deve il successo del prodotto. In virtù dell’estrema versatilità della preparazione, la crêpe si è declinata in numerose varianti assorbendo suggestioni e ingredienti tipici delle cucine di mezzo mondo. “Divine étoile” tra i dessert, la francese “crêpe Suzette”, ha controversi natali. Nota è l’at-

Crêpe dolci con le fragole. Sotto: Sarah Lucas, “Cool Chick Baby”

Foto:Getty Images

Nicolas Ballario quegli anni ha una grande intuizione: la società vuole incatenarla in un modello, tutti dicono che si veste da maschio e lei allora sfida lo stereotipo interpretandolo, con autoritratti dove fronteggia il tabù e gioca con la sensualità (mangiando una banana o simula un seno con uova al tegamino). Non smetterà più di fotografare se stessa, infatti tra gli oltre 75 lavori di questa retrospettiva nel tempio sacro del contemporaneo londinese c’è anche la recente serie, esposta come carta da parati, di lei che fuma sigarette avvolta da nuvole di fumo perché «sono le cose che fanno male a farci sentire vivi», a suo dire. Non mancano i lavori iconici, basti citare “Bunny” (1997), in cui ritrae oggetti su una sedia che ricordano conigli a gambe allargate, o i nudi dove adagia su basi da scultura collant ripieni di lana, che evocano da una parte il marmo classico e dall’altra figure antropomorfe che si intrecciano tra loro, in un gioco erotico che attrae e disgusta allo stesso tempo.

tribuzione allo chef Auguste Escoffier che nel 1896, pare, preparò al Principe del Galles Edoardo VII le famose frittelle arricchite con la salsa a base di zucchero e burro caramellati, succo di agrumi e Grand Marnier, il tutto flambé. Il principe apprezzò così tanto il dessert che suggerì allo chef di omaggiarlo alla sua commensale, l’attrice Suzanne “Suzette” Reichenberg. Successivamente, lo chef Henri Charpentier, all’epoca allievo di Escoffier, rivendicò la paternità del piatto. Golosità austriaca è la “frittata dell’imperatore” (s’intende Francesco Giuseppe d’Austria, che ne andava ghiotto) composta di crêpes più spesse servite a pezzettoni con la confettura di mirtilli e cosparse di zucchero a velo; la palacsinta ungherese è uno spuntino dolce o salato in cui l’uso dell’olio nell’impasto invece del burro dona alla crespella l’elasticità ideale per essere arrotolata su sé stessa e farcita. In Russia si gustano i blinis, piccole cialde lievitate e farcite con panna acida, pesce affumicato e caviale. Oltreoceano, i pancakes, morbide frittelle proverbialmente abbinate allo sciroppo d’acero, costituiscono un classico dell’american breakfast. Infine le messicane enchiladas sono tortillas di mais che la ricetta tradizionale prevede ripiene di pollo, salsa al pomodoro, formaggi, peperoncino e panna acida.

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NOI E VOI

Stefania Rossini

Un bambino nell’inferno di Gaza

stefania.rossini@lespresso.it

Nei talk show televisivi, gli opinionisti che stanno sempre dalla parte “giusta”, iniziano il loro intervento con un unico preambolo: «Israele ha il sacrosanto diritto di difendersi» e mai, nessuno che aggiunga che «i palestinesi hanno l'altrettanto sacrosanto diritto di avere un proprio Stato». Una simile dimenticanza lascia stupiti, anche perché è proprio quello il vulnus che obbliga gli israeliani a difendersi. Mauro Chiostri L’Occidente, compreso Biden, si sta preoccupando molto per la crisi mediorientale, ma è ovvio che Israele sarà comunque protetta, mentre sarà molto più difficile aiutare il popolo palestinese sbattuto dalle diverse volontà dei Paesi arabi e delle organizzazioni estreme come Hamas. È urgente una tregua immediata che organizzi la pace. Adele Castellani Mi convinco sempre di più di aver vissuto abbastanza; sono stanco di sentire gente che divide ancora il mondo in buoni e cattivi, che continua a sperare quando non c’è speranza, che interpreta la realtà in base all’ideologia e a preconcetti tralasciando l’obbiettività. Sono stanco, stanco, stanco. Guido Buonomo

L’abuso strumentale del termine antisemitismo richiama le discussioni sulla guerra ucraina, quando chi non parlava male della Russia era subito etichettato come filoputiniano, cioè a favore dei “cattivi”. Lo stesso accade in questa situazione dove si vive l’ennesima tragica crisi di due popoli che non sono riusciti non dico di integrarsi, ma neanche a convivere nel rispetto reciproco. Cesare Bruno Un bambino di Gaza, mentre impazzava la tempesta di bombe, ha chiesto al suo papà: «Papà, se muoio, andrò all’inferno o in paradiso?». Non so cosa abbia risposto quel padre. So cosa gli direi io: «Caro bambino, l’inferno è qui». Alessandro Stramondo Questa settimana i nostri lettori hanno scritto soltanto su quanto stava accadendo in Medio Oriente. E non poteva essere diversamente. Tra sgomento per il sangue versato da entrambe le parti e dure previsioni per il futuro, sembra diventato insopportabile l’obbligo di doversi schierare soltanto a difesa di Israele ignorando le ragioni della causa palestinese. E quasi tutti indicano un bivio: o lo scoppio di una guerra mondiale o la nascita dello Stato di Palestina se l'Occidente e Israele riusciranno finalmente a riconoscergli il diritto di esistere.

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BENGALA

I Gratta e vinci in tutti i bar. I siti di scommesse in tv. E l’ipocrisia che condanna chi ne diventa schiavo

Ray Banhoff

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ntro ed esco dai bar come forma di meditazione. Cerco un attimo di riposo ma anche di distrazione, come diceva Bukowski: «La gente è il più grande spettacolo e non devi nemmeno pagare il biglietto». Il bar è il teatro della commedia umana italiana per eccellenza: cambiano i tempi ma profeti, opinionisti e leader locali lo usano come lo speaker corner di Londra. Se vuoi sapere come sta un Paese, devi frequentare il bar, non c’è quotidiano locale che gli tenga testa. Sempre più spesso nei bar mi capita di trovare i tavoli sporchi di una polverina grigia. Ci metto un dito dentro e capisco che non

Stelle del calcio e ludopatici della porta accanto è polvere, sono i residui dei Gratta e vinci sparsi ovunque, i «sogni sfumati» come li chiamava un mio amico. Mi giro e li vedo: grattatori di tutte le età, chini a cercare il colpo di fortuna; non li noti mai all’ingresso perché sono acquattati e silenziosi nella vergogna e nella scaramanzia ma non c’è volta in cui non ne incontri. Il gesto che fanno è allusivamente nevrotico, più un raptus che un passatempo: scarnificano, non grattano. Passano al biglietto successivo nella speranza che la loro vita cambi. La signora anziana, l’operaio in tuta appena uscito dal cantiere, il ragazzino sbarbato, sono tutti uguali. E dietro di loro schiere di persone di spalle che giocano alle “macchinette”, dei soggetti ormai zombeschi che inseriscono stipendi interi e si indebitano rovinando famiglie, in quegli aggeggi infernali. Non possono essere «divertenti» in alcun modo, sono solo un vizio perico-

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loso, quindi mi rammarico per loro. Ascoltando le storie di chi ha vissuto gli anni Settanta e Ottanta e racconta di schiere di tossici con lo sguardo ribaltato in strada, trovo una certa assonanza col presente. I ludopatici sono solo più presentabili, ma sono ovunque, ormai tutti abbiamo imparato a conviverci e non considerarli. La ludopatia è una forma di dipendenza delle più devastanti. Riconosciuta nel DSM-5, il manuale diagnostico dei disturbi mentali, in Italia conta circa 1,5 milioni di casi che alimentano un mercato da 111 miliardi. Di euro… Fate voi. Sinceramente non mi ha mai entusiasmato che lo Stato guadagnasse pure sulle spalle di queste persone ma i soldi son soldi e servono a tutti; è solo contraddittorio che per recuperarli si metta in moto un circolo vizioso che intossica le persone e le rende poi necessitanti di cure. Secondo il Libro Blu dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, il 24,6% dei giocatori d’azzardo è alcolista e l’1,3% affetto da altre forme di dipendenza. Insomma, un macello. Non sono nessuno per giudicare i giocatori di calcio e non so se tutti quelli coinvolti nello scandalo delle scommesse sono ludopatici, ma forse qualcuno lo è. Non amo quindi il tono di condanna nei loro confronti, né il giudizio sdegnato. E poi c’è da dire che le case di scommesse sponsorizzano le squadre di calcio, che nei cartelloni pubblicitari a bordo campo scorrano i nomi delle più importanti agenzie di betting. Diciamo che c’è una promiscuità col vizio che di certo non aiuta i più inclini a non cedervi. Ma questa è la vita, ognuno è responsabile di sé stesso. Mi terrorizza la polarizzazione ormai imperante su tutto, la completa sparizione delle sfumature, l’assolutismo cieco delle opinioni che vedono tutto o bianco o nero e basta. La realtà non è mai così, è sempre sfumata, più complessa ma anche più semplice. Priva di giudizio.


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