L'Espresso 37

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SENZA PARTITO

Curiosa e interessata alla politica ma scettica e delusa. Anche quando prova a impegnarsi. Ritratto di una generazione che non trova rappresentanza in una classe dirigente inadeguata e indifferente alle istanze dei giovani

DIRIGISMO E FAVORI AI RICCHI COSÌ FUNZIONA LA MELONOMICS D’AGOSTINO FA I TAROCCHI AGLI ITALIANI CHE CONTANO ORA ANCHE GLI ARTISTI SI SCOPRONO NAZIONALISTI ECONOMIACULTURA POLITICA numero 37 - anno 69 15 settembre 2023 Poste Italiane s.p.a.sped.in A.P.-D.L.353/03 (conv.in legge 27/02/04 n.46) art. comma 1DCB RomaAustriaBelgioFranciaGermaniaGreciaPortogalloPrincipato di MonacoSloveniaS pagna € 5,50Lussemburgo € 5,60C.T. Sfr. 6,80Svizzera Sfr. 7,00Olanda € 5,90Inghilterra £ 4, 70 SETTIMANALE DI POLITICA CULTURA ECONOMIA 4 euro

Da questo numero troverete L’Espresso da solo in edicola a 4 euro. In gran parte d’Italia verrà distribuito il venerdì mattina, in altre (accidenti, ma quanto è lungo e quanto è largo lo Stivale?) arriverà il sabato. Soprattutto, però, non sarà nascosto tra le pagine di Repubblica, il quotidiano nato proprio da una costola de L’Espresso che poi ha finito per fagocitarlo, una specie di conte Ugolino alla rovescia. Doveva succedere, almeno così dicevano gli accordi quando, nella primavera del 2022, Gedi ha ceduto la testata a Bfc Media, società ora controllata da Idi di Danilo Iervolino e da Alga di Donato Ammaturo. L’Espresso tirerà fuori tut-

Con L’Espresso per non perdere la passione politica

to il proprio orgoglio, la professionalità e la passione dei suoi giornalisti, la forza dei suoi azionisti e quella della sua storia di giornale indipendente per continuare a farsi valere e a combattere le sue battaglie. Non saremo soli. Abbiamo quasi 30 mila abbonati al settimanale, 38 mila abbonati digitali e soprattutto migliaia di lettori fedeli che siamo sicuri continueranno a comprarci e a leggerci. Non per niente, in questi giorni, abbiamo ricevuto molti messaggi di incoraggiamento a procedere per la nostra strada.

In fondo, in un Paese dove tutto sta andando alla rovescia, dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri più poveri, dove la scuola non funziona da anni e rinuncia spesso al suo ruolo fondamentale di insegnare i valori della cultura e del vivere civile ai ragazzi (e magari anche agli adulti), dove curarsi è sempre più difficile e costoso, dove i diritti anche

Delusi dai partiti, ma non indifferenti, i giovani cercano qualcuno che li rappresenti

più elementari vengono regolarmente calpestati, dove si commette quasi un femminicidio al giorno, dove chi arriva disperato resta disperato, dove interi quartieri sono in balia delle mafie e l’economia arranca, dove chi evade le tasse è un furbo, un giornale libero, che sappia raccontare queste cose, è indispensabile. Sì, perché, alla fine, (anche senza scomodare Gramsci, parafrasandolo) raccontare la realtà è rivoluzionario.

L’Espresso sta dalla parte di quella che, ne siamo convinti, è l’Italia migliore: libera dai pregiudizi, inclusiva, accogliente, giusta, ecologica, equa. E che non è quella di adesso. Sono bandiere della sinistra? Probabilmente sì, sono comunque bandiere di buonsenso per chi immagina una vita migliore per tutti. L’Espresso, nonostante la sua vetusta età (stiamo andando quasi per i 70), ama i giovani. È a loro, e al loro rapporto con la politica che si sta sfaldando, che dedichiamo la copertina di questo numero. Nell’indagine condotta in esclusiva per L’Espresso da Mg Research, un’ampia maggioranza di ragazzi sotto i 26 anni si dichiara “Senza partito”. Non credono più che i partiti possano aiutarli a risolvere i loro problemi. Però, attenzione. Oltre il 60% è andato a votare alle ultime politiche. Se è così c’è ancora un margine di speranza perché la macchina della democrazia possa includerli. Siamo tra quelli che si fidano poco dei partiti attuali, ma ritengono la forma partito indispensabile per il nostro meccanismo democratico: si parte da lì, anche se oggi la delusione è tanta come testimonia l’articolo di Sergio Rizzo. Però non abbiamo perso la speranza: quindi pubblichiamo i volti e le storie di 60 ragazzi sotto i 30 anni che si occupano di politica. Alcuni lo fanno per passione, qualcuno probabilmente per cercare un’occupazione: molti li perderemo per la strada, altri li ritroveremo probabilmente più avanti. Ma se i partiti non cambiano, se non diventano più partecipativi e meno leaderistici, meno clientelari e più aperti, rischiano di mettere in discussione il futuro di questo Paese già abbastanza compromesso.

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EDITORIALE
NON M’HACKERA,
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M’HACKERA,
M’HACKERA...

Sebastiano Messina

PAOLO GENTILONI

Senza mai citare l’articolo 17 del Trattato di Lisbona («I membri della Commissione Europea non sollecitano e non accettano istruzioni da nessun governo») il commissario agli Affari Economici ha risposto con eleganza agli sgraziati inviti di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini ad avere «un occhio di riguardo» per l’Italia: «Ci tengo al mio Paese e per questo non voglio alimentare queste polemiche». Traduzione: non sono il vostro agente all’Avana, non facciamoci riconoscere.

GIOVAN BATTISTA FAZZOLARI

A Montecitorio tutti sanno che il cinquantunenne sottosegretario è una delle tre persone di cui Giorgia Meloni si fida ciecamente. Al di là dell’incarico ufficiale (la supervisione sull’attuazione del programma)

è l’uomo al quale la presidente del Consiglio affida i dossier più delicati. Ora ha anche il compito di “coordinare la comunicazione” tra Palazzo Chigi e il partito: sceglie lui i ministri di FdI che devono parlare su ogni questione. È la prova che Casalino ha fatto scuola.

MARINELLA SOLDI

Non è certo per premiare l’invasione melonian-salviniana della Rai che Marinella Soldi è stata nominata nel board della Bbc, ma evidentemente agli inglesi è piaciuto quello che lei è riuscita a fare a Viale Mazzini. Ora dovrà fornire alla tv britannica un punto di vista esterno e tutelare l’interesse pubblico: la presidente della tv statale più lottizzata del continente entra nel Consiglio d’amministrazione della televisione più indipendente d’Europa. Il contrario non potrebbe accadere.

L’eleganza del Commissario Europeo, l’arroganza del patron di Ryanair

MICHAEL O’LEARY

Se guidi la compagnia aerea che in Italia trasporta più passeggeri di tutte le altre forse dovresti pensarci almeno tre volte, prima di definire «spazzatura», anzi «una stronzata», il decreto del governo che vieta giochi furbi sulle tariffe aeree, e altre tre volte prima di dire alle autorità di controllo «che si fottano». Siamo tutti europei, d’accordo, ma chi vola in Italia, atterra in Italia e trasporta passeggeri italiani deve rispettare la legge italiana. Anche se è irlandese.

BEPPE GRILLO

Come funziona il robot per la pulizia dei bagni. Dove comprare “Il libro dell’Altrove”. Un video del comico che parla di economia in cinese. C’è questo e altro, nel blog di Beppe Grillo, al quale Giuseppe Conte ha da poco rinnovato il contratto di 300 mila euro l’anno, ma non c’è traccia di quei «suggerimenti, proposte e progetti comunicativi» che avrebbe dovuto fornire il fondatore del Movimento. Legittimando il dubbio che quei soldi paghino, più dei consigli, il silenzio di Grillo.

CARLO FUORTES

A neanche due settimane dal suo insediamento, Carlo Fuortes ha saputo che il Tribunale ha ordinato che la sua poltrona di sovrintendente del teatro San Carlo sia restituita al suo predecessore Stéphane Lissner, ingiustamente messo alla porta con un decreto contra personam (approvato appena due giorni dopo che Fuortes aveva liberato il suo posto di comando alla Rai). «Non ci sono le condizioni per ricoprire il ruolo di sovrintendente», diceva prima di accettare. Aveva ragione: non c’erano.

Foto: Agf (4), LaPresse (2) CHI SALE E CHI SCENDE
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Da 40 anni finanziamo il futuro.

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Dicono che non danno noia a nessuno e che stanno lì, sulla scalinata di Piazza di Spagna, perché è bello e gli piace. Non è una buona ragione. Essi sono brutti e non piacciono a noi». Le cose preziose sono quelle che vengono riportate indietro dalla memoria e ci ricordano come siamo arrivati fin qui: la citazione viene, infatti, da un famoso articolo del Corriere della Sera del 1965, dove l’oggetto dello sdegno erano i «capelloni».

Nei fatti, «essi sono brutti» si dice ancora oggi: per esempio, in quello che viene chiamato il decreto Caivano, ovvero car-

A incappare nel pugno di ferro sono i giovani

cere più facile per i minorenni, possibilità di vietare l’uso del cellulare con «avviso orale», in caso di alcuni reati, carcere fino a due anni per i genitori se i figli non rispettano l’obbligo scolastico, con revoca dell’assegno di inclusione. Dunque, invece di provare a capire cosa non funziona nel tessuto sociale, si esercita il pugno di ferro per sbriciolarlo meglio. Non stupisce: in un anno il governo Meloni si è dedicato a introdurre reati e inasprire pene, dal decreto Cutro, che limita fortemente ai migranti la possibilità di accedere al nostro Paese, a quello che riguarda i «raduni musicali pericolosi» (per la salute e l’incolumità pubblica), ovvero i free party. In quest’ultimo caso, le pene sono le più alte d’Europa: da tre a sei anni, multe da 1.000 a 10.000 euro, possibilità di chiedere carcerazione preventiva e di effettuare intercettazioni.

Le destre agiscono con logiche securitarie. Non inseguono l’ideologia, ma solo il consenso

È normale, si dirà: le destre sono destre, agiscono secondo logiche securitarie e credono che pene più dure porteranno alla riduzione del danno. Quindi, basta contrastarle. Sarebbe vero e bello, se non ci fosse il fattore Greg Stillson. Stillson, ex venditore di Bibbie porta a porta, inizia la scalata verso la Casa Bianca conquistando le folle con pochi punti di programma: mettere al bando chi «fornica», mandare la spazzatura nello spazio, usare le «maniere forti» con «quegli arabi». E soprattutto salsicciotti caldi «per ogni uomo, donna e bambino d’America! E quando avrete eletto Greg Stillson alla Camera, direte: Salsicciotto caldo! Finalmente c’è qualcuno che ci pensa!». Stillson è il protagonista de “La zona morta”, che Stephen King scrive nel 1979, quando Donald Trump è ancora lontanissimo dal Campidoglio. Ma che il bersaglio sia Trump o qualunque altro esponente della destra cambia poco. In altre parole, non c’è nulla di ideologico, non c’è fede e non c’è patria in queste misure: non si agisce con la convinzione, sia pur perversa, che mandando in carcere i ragazzini, i migranti e i raver il mondo sarà migliore. Sono misure-salsicciotto, concepite per incontrare il favore di quegli elettori (tanti) che comprano i libri dei generali e sui social agitano il cappio e non chiedono giustizia, ma vendetta. In una società sempre più giudicante e desiderosa di punizioni esemplari subito e non del lungo lavoro di ricostruzione culturale necessario, si cerca il consenso. E consenso si ottiene. In altre parole, sono decisioni prese più dal basso che dall’alto e sarebbe il caso di ragionarci bene.

A margine: sono sempre i giovani a incappare nella stretta. Essi sono brutti, come scriveva il Corriere della Sera. Tre anni dopo, per fortuna, Elsa Morante avrebbe scritto «la vostra guerra non è la nostra». Era in “Il mondo salvato dai ragazzini”.

COSE PREZIOSE
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Si è concluso giorni fa il vertice dei leader dei G20, i venti principali Paesi al mondo. Un po’ prima si era tenuto il vertice dei Brics, i principali Paesi emergenti, Brasile, Russia, India, Cina e, da poco, Sud Africa, intorno ai quali ruota un insieme di altri Paesi in via di sviluppo. Questi vertici stimolano alcune riflessioni su dove il mondo sta andando. Partiamo dai G20. Il massimo che si può dire è che è meglio che questi vertici ci siano piuttosto che non ci siano. È però evidente che il ruolo dei G20 si è molto ridotto negli ultimi anni. Per la prima volta il leader di una delle due superpotenze (Xi

Strategia degli interessi comuni

Jinping) non ha partecipato. Si è temuto di non poter raggiungere un accordo sul testo del comunicato finale e quest’ultimo contiene ben pochi nuovi impegni chiari. Basti in proposito leggere i paragrafi 32-34 sul riscaldamento globale, di una vaghezza impressionante. Si potrà dire che questi comunicati si limitano sempre a conclusioni che potrebbero competere in concretezza con le dichiarazioni delle partecipanti a Miss Universo. Ma quindici anni fa, in occasione della crisi economica globale i G20 raggiunsero precisi impegni su cosa i singoli Paesi dovessero fare. Ora non più.

Il mondo si sta quindi sempre più distaccando da quell’anelito di multilateralismo che dopo la Seconda guerra mondiale aveva visto nascere le principali organizzazioni internazionali, dalle Nazioni Unite al Fondo Monetario Inter-

nazionale. I Paesi si stanno invece raggruppando intorno a interessi che sono considerati tra loro più simili. In particolare, la contrapposizione tra Paesi “ricchi”, raccolti intorno ai G7, e Paesi “emergenti”, raccolti intorno ai Brics, si sta facendo più evidente.

Sono varie le ragioni di questa tendenza, ma una delle principali è che i Brics hanno enormemente aumentato la loro potenza economica e vogliono far sentire più chiaramente la loro voce. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, il Pil dei 5 Brics, a parità di potere d’acquisto (cioè tenendo conto del fatto che i prezzi sono più bassi nei Paesi meno ricchi, e quindi approssimando un confronto in termini reali e non di redditi nominali) è ormai più alto di quello dei G7 (circa 55 trilioni di dollari contro 52 trilioni). E il divario continuerà probabilmente ad accentuarsi, semplicemente per una questione di numeri. La popolazione dei Brics è di circa 3.200 milioni, contro meno di 800 milioni nei G7. Negli ultimi secoli questi ultimi hanno mantenuto una leadership politica ed economica mondiale per la maggiore crescita della produttività grazie allo sviluppo tecnologico. Ma anche nei Paesi più avanzati dei G7, come gli Stati Uniti, il progresso tecnologico sta rallentando: il tasso di crescita della “produttività totale dei fattori” nell’ultimo quarto di secolo è stato solo dello 0,4%, il livello più basso degli ultimi due secoli. Nei Brics la produttività cresce invece ancora a ritmi elevati non tanto perché questi Paesi sviluppino le loro tecnologie più rapidamente, ma perché sono ancora nella fase in cui la forza lavoro si sposta da settori a bassa produttività (agricoltura) a settori a più alta produttività. A meno che i G7 riescano in qualche modo ad accelerare la loro capacità di innovare, come avvenuto in passato, il loro destino geopolitico è segnato.

PANE AL PANE
La popolazione cresce e così la produttività. Ecco perché i Paesi in via di sviluppo vanno più veloci
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Al di là del confine

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SPERANZA

Il cortile della casa parrocchiale di San Michele a Rencine (Siena), dove vengono accolti temporaneamente i migranti afgani e pachistani

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QUOTIDIANITÀ

Quattro scatti della quotidianità nella casa parrocchiale che ospita i migranti a Rencine. In senso orario: una lavagna usata per le lezioni di Italiano, Salman mentre parla con la sua famiglia in Pakistan, una delle stanze in cui gli ospiti dormono e l’ex cappella adibita a deposito abbigliamento e refettorio

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FUTURO

Salman e, a sinistra, Waqar: sono arrivati in Italia l’inverno scorso dal Pakistan. Entrambi sognano una nuova vita

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CRICKET

Il campetto dove i giovani migranti giocano a cricket con delle mazze prodotte con materiali di riciclo

a cura di Tiziana

QUELLE ATTESE INFINITE TRA LE COLLINE DI SIENA

LE VITE SOSPESE DEI MIGRANTI NEGLI SCATTI DI GAMBASSI

«Loro hanno attraversato molti difficili confini, io per incontrarli ne ho superato un altro, quello della mia invisibile diffidenza nello stabilire una relazione con loro», spiega Daniele Gambassi, studente di fotografia che nella primavera del 2023, durante il corso “Photo Story” della Fondazione Studio Marangoni, ha iniziato il progetto fotografico “I crossed the border”, ancora in corso, per conoscere chi ha attraversato la rotta balcanica con il sogno di raggiungere l’Europa. Afgani e pachistani che, dopo un lungo cammino, sono arrivati in provincia di Siena per fare domanda di protezione speciale. In attesa di trovare posto nel sistema d’accoglienza e del permesso di soggiorno sono stati prima ospitati in una struttura religiosa nelle campagne di Monteriggioni, poi distribuiti nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria), isolati dai centri abitati. Gambassi è riuscito delicatamente a restituire voce e dignità a ognuno di loro ed è stato capace di trasmettere la sospensione delle interminabili attese, del tempo che non passa mai.

Con il suo progetto parte una nuova avventura fotografica de L’Espresso: da questo numero dedicheremo spazio ogni settimana agli sguardi, sull’Italia e sul mondo, degli studenti delle scuole di fotografia del nostro Paese, istituti che si impegnano a formare professionisti che con le loro immagini contribuiscono a educare la società a uno sguardo maturo. Così sulle pagine del nostro settimanale prenderanno vita storie inedite e reportage, grazie a narrazioni differenti, prospettive originali e sorprendenti.

L’AUTORE

Daniele Gambassi nasce a Poggibonsi (Siena) nel 1979. Studia per diventare ingegnere informatico e gestionale, ma nel 2000, quando si trasferisce a Sarajevo, incontra la fotografia. Per sei anni vive in Texas, dove, stimolato dagli ampi spazi e dai forti contrasti, frequenta la Austin School of Photography. Nel 2020, al rientro in Italia, inizia a esplorare pienamente le potenzialità dell’espressione fotografica.

Faraoni L’Espresso iconografico
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I DIALOGHI DE L’ESPRESSO

Formazioni personali, nepotismi, classe dirigente inadeguata. Le forze politiche sono più scollate che mai dalla società

Al confine Ue dove Russia e Bielorussia spingono i rifugiati. Morawiecki blinda l’accesso agitando lo spettro della sostituzione etnica

ESTERI

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Roberto D’Agostino vaticina sul futuro della politica. Alle Europee si lotterà per non perdere e nulla sarà come prima. Ecco le carte

PRIMA PAGINA Partito mio, come sei caduto in basso Sergio Rizzo 22 Curiosi e delusi. Non è politica per i ragazzi Chiara Sgreccia 28 Attenti a questi 60: studiare da leader prima dei 30 anni 30 Torna la Cassa. Miraggio a Mezzogiorno Gianfrancesco Turano 36 POLITICA Dago fa i tarocchi ai potenti Carlo Tecce 40 Elly Schlein e la cura della piazza Susanna Turco 44 Indiscreto 48 Italiani, spiati e inconsapevoli a cura di Doxa 49 INCHIESTA Fogne in tilt, ciclovie folli: il Garda soffre Paolo Biondani 50 Parchi divertimento, si torna a investire Antonia Matarrese 52
Asili contro i clan nel nome di mio zio colloquio con Gianmario Siani di Anna Dichiarante 56
Il muro polacco contro i migranti usati come armi Sabato Angieri 62 Dal mondo 67 Se le bugie si confondono con la realtà Alessandro Longo 68 Il campione senza diritti Tommaso Giagni 70 22
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L’Espresso fa parte in esclusiva per l’Italia del Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi

numero 37 - anno 69 - 15 settembre 2023

Dal cinema alla letteratura, fino all’arte, c’è aria di sovranismo. Ma la cultura è frutto di contaminazioni. Non di protezionismo

Per approfondire o commentare gli articoli o inviare segnalazioni scrivete a dilloallespresso@lespresso.it

ECONOMIA Stato padrone e salari bassi. È la Melonomics Gloria Riva 72 L’industria inquina e paga la festa Alan David Scifo 78 La proroga come soluzione al ritardo Francesco Fimmanò 80 Bar economy 91 CULTURA Fuga dall’autarchia Sabina Minardi 92 E contro Garrone insorge Nigrizia Emanuele Coen 95 La sfida di raccontare qualcuno che non sei tu Paolo Di Paolo 96 Lusso in stile afroamericano 98 Il coraggio è dei conigli Beatrice Dondi 100 La satira è viva e lotta insieme a noi Stefano Andreoli 103 Camparino per commilitoni Furio Scarpelli 104 L’Ia salavata dal tecnofemminismo colloquio con Diletta Huyskes di Susanna Rugghia 106 Più bellezza, meno schiavitù colloquio con Domenico De Masi di Marco Di Vincenzo 108 Visioni 110 Nella sua opinione “Cose preziose”, Loredana Lipperini analizza la tendenza delle destre ad agire con logica securitaria. Inseguendo il consenso e finendo per esercitare il pugno di ferro sui giovani In copertina: illustrazione di Ivan Canu CON L’ESPRESSO PER NON PERDERE LA PASSIONE POLITICA Alessandro Mauro Rossi 5 Opinioni CHI SALE E CHI SCENDE SebastianoMessina 7 COSE PREZIOSE LoredanaLipperini 9 PANE AL PANE CarloCottarelli 11 FUORILUOGO FrancoCorleone 55 RESISTENTI DilettaBellotti 61 BANCOMAT AlbertoBruschini 82 BENGALA RayBanhoff 122 Rubriche FOTO DI CLASSE acuradiTizianaFaraoni 12 LIBRI - SabinaMinardi 111 TELEVISIONE - BeatriceDondi 113 CINEMA - FabioFerzetti 114 MUSICA - GinoCastaldo 114 TEATRO - FrancescaDeSanctis 115 MOTORI - GianfrancoFerroni 116 ANIMALI - ViolaCarignani 116 COSA C’È DI NUOVO EmanuelaCavallo 117 VINO - LucaGardini 118 ARTE - NicolasBallario 118 CUCINA - AndreaGrignaffini 119 POSTA - StefaniaRossini 120 56 Gianmario Siani 92
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Partito mio, come sei caduto in basso

Formazioni personali, nepotismi, classe dirigente inadeguata. Le forze politiche non sono mai state così scollate dalla società. E la sfiducia verso di loro è una cattiva notizia per la democrazia

CALO

L’aula della Camera. La percentuale dei parlamentari laureati è in calo da anni

PRIMA PAGINA POLITICA IN CRISI
22 15 settembre 2023

SERGIO RIZZO

Nulla di illegale, ovvio. Ma che il capo di un partito si faccia la propria holding personale è un po’ curioso. Il nome è Ma.Re. holding e il suo proprietario, si può dedurre dalla sigla, è Matteo Renzi: fondatore e capo assoluto di Italia Viva. Ha costituito la società nell’aprile 2021, qualche settimana dopo l’ingresso del suo partito nel governo Draghi. Una piccola quota l’aveva anche il figlio Francesco, promessa del calcio. Che poi l’ha ridata a papà. E qualche mese fa la holding renziana ha filiato una seconda società: Ma.Re. adv. Consulenze aziendali, strategie imprenditoriali, pubbliche relazioni, marketing… Una prateria sterminata, per un ex premier con profumate relazioni che si spingono fino ai ricchi forzieri arabi.

Ma non siamo a conoscenza del fatto che qualcuno dentro Italia Viva abbia alzato un sopracciglio. Né che l’abbia fatto un collega di partito del potente sottosegretario alla Giustizia meloniano Andrea Delmastro Delle Vedove. Tre mesi dopo essere sbarcato al governo lui ha costituito una società di avvocati con la sorella Francesca, sindaca anch’ella meloniana di Rosazza, e la penalista biellese Erica Vasta. Diciamo subito che nulla impedisce a un sottosegretario di aprire una società. Ma a che serve, se per legge l’avvocato sottosegretario potrà esercitare di nuovo solo un anno dopo aver lasciato il governo?

Davanti a questi fatti, non isolati a giudicare dal coacervo di interessi personali che alberga nei partiti, verrebbe da chiedersi: cosa è diventata oggi la politica? Che non se la passi troppo bene, e il solco fra i partiti e la realtà sia sempre più profondo, è un fatto. Parlano chiaro i dati. Il 25 settembre 2022 hanno votato 30,4 milioni di persone, come nel 1958. Peccato che allora gli aventi diritto al voto fossero 32,4 milioni, contro i 50,8 di oggi. In un Paese nel quale fino al 1979 votava alle politiche oltre il 90 per cento degli elettori, e fino al 2008 più dell’80 per cento, siamo scesi di botto al 63,9. In quindici anni sono andati perduti 8 milioni e mezzo di

PRIMA PAGINA POLITICA IN CRISI

voti. Di questi, ben 5 milioni sono spariti domenica 25 settembre 2022. Al Sud gli elettori si sono praticamente dimezzati, da 16,2 a meno di 8,5 milioni. In Campania ha votato il 53,2 per cento. A Napoli Fuorigrotta l’affluenza è scesa dal 62 al 49 per cento. Gli elettori calabresi non hanno raggiunto il 51 per cento. A Crotone si sono fermati al 45,9. A Reggio Calabria, invece, al 48,9. Ma con situazioni da brivido in alcuni centri nelle aree ritenute più esposte al rischio criminalità. Ad Africo ha votato il 32,1 per cento. A Platì il 31,3. A San Luca il 21,5. La politica, che già serve a poco, lì evidentemente non serve a nulla.

La cosa dovrebbe indurre i partiti a una profonda riflessione anche sulla legge elettorale. Invece, zero. L’Italia è l’unico Paese democratico dove le regole elettorali cambiano in continuazione, spesso a seconda delle convenienze di chi sta al potere. I risultati di tale follia sono evidenti. Giorgia Meloni è diventata premier con una maggioranza di quasi il 60 per cento dei seggi parlamentari grazie ai 7,5 milioni di voti di Fratelli d’Italia: vale a dire un settimo dell’intero corpo elettorale. O meno di un quarto, considerando i voti dell’intera coalizione.

Si dirà che in molte democrazie avanzate la partecipazione al voto è bassa. Vero. Ma a parte il fatto che non sempre è così (alle ultime presidenziali americane ha votato il 66,7 per cento, più che alle ultime politiche italiane), la breve storia della nostra Repubblica è diversa.

E dovrebbe preoccupare ancora di più la cosa che il crollo non riguardi solo le elezioni generali, ma anche le amministrative: dove la politica sarebbe in teoria più vicina ai cittadini. Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana è stato eletto con 1,7 milioni di voti su 8 milioni di elettori: 22,1 per cento. Quello della Regione Lazio Francesco Rocca, con 936 mila voti su 4,8 milioni: 19,5 per cento. Roberto

DISCESA

Italiani al voto nel 1948 e (nell’altra pagina) oggi. L’affluenza alle urne, come mostra il grafico, è scesa da oltre il 90 per cento a poco più del 60

Gualtieri è diventato sindaco di Roma con i voti di 565 mila elettori su oltre 2,3 milioni: 24 per cento.

Per approfondire o commentare questo articolo o inviare segnalazioni scrivete a dilloallespresso@ lespresso.it

Se la rappresentanza scende a questi livelli, ne risente la democrazia stessa. Ebbene, a un problema così gigantesco i partiti e i loro leader reagiscono facendo spallucce. Pur sapendo esattamente come è stato rotto il giocattolo. È cominciata con la trasformazione dei partiti da strutture collettive in apparati strettamente personali. Rivoluzione certamente riconducibile a Silvio Berlusconi, ma con avvisaglie anche nella cosiddetta prima repubblica. Il resto l’hanno fatto leggi elettorali scriteriate che hanno consegnato nelle mani del capo il potere di selezionare la classe dirigente del partito. Mai sulla base delle competenze: bensì per amicizia, relazioni, parentela e fedeltà. La ciliegina sulla torta, infine, è stata l’abolizione demagogica

POLITICA XXX ARGOMENTO
Leggi elettorali scriteriate hanno consegnato nelle mani del capo il potere di selezionare i parlamentari. Scelti per amicizia, relazioni, parentela e fedeltà. Mai per la competenza
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del finanziamento pubblico, anziché una sua necessaria e profonda riforma. Come aveva proposto, per esempio, il politologo Piero Ignazi. In compenso, non si è mai fatta nemmeno la legge attuativa dell’articolo 49 della Costituzione, e i partiti sono rimasti in un comodo limbo.

Le conseguenze sono devastanti. L’assenza di competizione e meritocrazia ha avuto riflessi penosi sulla qualità degli eletti, come avevano già segnalato Andrea Mattozzo e Antonio Merlo nel saggio sulla “Mediocrazia”. E una delle ragioni per cui il Parlamento è ridotto a semplice ufficio di ratifica dei decreti governativi è questa.

Il confronto con l’inizio dell’epoca repubblicana è avvilente. In un’Italia nella quale l’analfabetismo assoluto toccava il 13 per cento e i laureati erano decisamente meno dell’un per cento, il 91,4 per cento dei deputati aveva la laurea. Oggi, che sia pure ai

AFFLUENZA ELEZIONI POLITICHE DEPUTATI LAUREATI 19482022 20% 194819581963197219791979198719942008201320182022 40% 60% 80% 100% Fonte: minstero dell’Interno Fonte: Università Bocconi ed elaborazioni su dati Camera dei deputati 91,4%69,7 Foto: FotoA3, Nicola Marfisi / AGF; pag 22-23: M. Minnella / FotoA3
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livelli più bassi d’Europa, ma gli italiani laureati sono il 20 per cento, i deputati con la laurea (vera) in tasca si fermano appena al di sotto del 70 per cento. Neppure Giorgia Meloni ha un titolo accademico, prima donna presidente del Consiglio nonché secondo capo del governo nel dopoguerra senza laurea dopo Massimo D’Alema

Per non parlare dei parenti. Questo parlamento, nel quale il partito di maggioranza relativa è in mano alla sorella della premier, compagna di un ministro, ne è letteralmente invaso. Se ne possono contare più di una cinquantina; e più di 70, calcolando anche i pedigree parentali meno recenti. Un sistema sempre più chiuso in sé stesso anche ai vertici del potere. Il primo governo guidato da una donna si è presentato come una novità assoluta, ma è pura fantasia. Ben 11 fra ministri e sottosegretari, compresa la stessa premier, erano già nell’ultimo fallimentare governo di centrodestra targato Berlusconi. E se si contano anche le altre esperienze, addirittura 25 persone sui 64 componenti del gabinetto Meloni avevano già frequentato qualche governo. Compresi quelli di Conte e Draghi.

Difficile stupirsi se in questo panorama il finanziamento dei partiti non sia affatto popolare. Su 41 milioni e rotti di contribuenti quelli disposti a dare il 2 per mille a un partito non sono che 1,3 milioni: il 3,3 per cento. Misera la platea dei finanziatori, misero il gettito. In tutto, poco più di 18 milioni. Oltre un terzo dei quali va al solo Partito Democratico.

Come campano, allora? Con i soldi dei parlamentari, che spesso versano nelle casse dei partiti una fetta del plafond loro spettante per retribuire gli assistenti. E con pochi assistenti e mal pagati si può immaginare anche la qualità del lavoro parlamentare. I finanziamenti dei cittadini e delle imprese private sono quasi inesistenti. Nel 2022 il Pd ha avuto contributi da “persone giuridiche” per 125 mila euro, contro 3,8 milioni da “persone fisiche”, cioè quasi tutti parlamentari.

Italia Viva ha incassato invece dalle società 675 mila euro, però contro 1,6 milioni versati quasi tutti dai parlamentari. Come del resto anche la Lega. E Fratelli d’Italia,

cui non è stata negata una briciolina di 26 mila euro dal Twiga di Flavio Briatore e Daniela Santanchè

C’è poi chi si aiuta con i gadget. Il partito di Giorgia Meloni tira su 300 mila euro l’anno. Li vende la società Italica solution, che però non è del partito. Fa capo a Martin Avaro, ex “federale” di Forza Nuova a Roma Est.

Anziché ai partiti, le imprese preferiscono versare alle fondazioni politiche, casseforti personali dei leader dei partiti personali. C’è più riservatezza. Openpolis ne ha censite 121, di cui oltre metà nate a servizio di una corrente di partito o di un singolo politico: appena 19 pubblicano un bilancio accessibile su Internet. Soprattutto, i potenziali finanziatori vanno direttamente al bersaglio. Altro che lobby.

E pensare che nella scorsa legislatura la Camera ha approvato una legge per regolamentare finalmente l’attività dei lobbisti, proposta da due deputati Pd e M5S. Ma prima che il Senato la ratificasse la legislatura è evaporata. Grazie ai grillini: che hanno fatto così svanire anche la loro legge. E ora la Camera ha avviato sulle lobby una nuova indagine conoscitiva!

Ecco dove siamo arrivati.

Foto:
Serrano' / Agf PRIMA PAGINA POLITICA IN CRISI
Alessandro
Dai cittadini con il due per mille arrivano poche briciole. Le imprese preferiscono donare alle fondazioni: sono poco trasparenti e rispondono a una corrente o a una sola persona
HOLDING Matteo Renzi è titolare della società Ma.Re. Holding
26 15 settembre 2023
€49,99 ABBONAMENTO ANNUALE 52 NUMERI A PARTIRE DA ABBÒNATI QUI Contatti abbonamenti carta Tel.: 0864256266 Email: abbonamenti@gedidistribuzione.it Sito: ilmioabbonamento.gedi.it Contatti abbonamenti digitali Tel.: 0689834120

Curiosi e delusi Non è politica per i ragazzi

CHIARA SGRECCIA

LA RICERCA

Mg Research è un Istituto di Ricerca specializzato in grandi rilevazioni, realizzate con metodologie di intervista consolidate (Capi, Cati e Cawi su un panel proprietario altamente profilato). Il servizio di consulenza di Mg Research si concretizza anche in progetti di ricerca innovativi, condotti con nuovi metodi di engagement e con il supporto delle nuove tecnologie

Non è vero che i giovani sono disinteressati alla politica. Per più della metà degli under 26 italiani è la politica a essere lontana dai loro obiettivi. E quindi dalla costruzione di un’idea unitaria del Paese, necessaria per l’evoluzione, per uscire dallo stallo. Per immaginare un futuro. Secondo la Generazione Z è la politica che non si impegna a prendere in considerazione le esigenze dei giovani. Che, invece, cercano di conquistare spazio nel dibattito pubblico. Sono soprattutto i partiti ad aver perso la capacità di attrarre l’interesse collettivo, di canalizzare energie e idee. Il 60 per cento degli intervistati dichiara, infatti, di non sentirsi rappresentato da nessuna organizzazione presente in Parlamento. Solo il 15 per cento nutre grande fiducia in un partito, il 51 per cento pensa che l’operato delle formazioni politiche sia scarsamente efficace.

Così, i risultati del sondaggio “Il rapporto tra giovani e politica” realizzato dall’Istituto di ricerca Mg Research in esclusiva per L’Espresso su un campione di 500 giovani tra i 16 e i 26 anni intervistati con tecnica Cawi, rivelano che cresce la sfiducia nel voto, il diritto politico alla base di ogni sistema democratico. Per tanti una conquista imprescindibile, un diritto-dovere civico, secondo gli under 26, non più il mezzo attraverso cui cambiare le sorti del Paese. La pensa così oltre la metà degli interpellati. E l’hanno dimostrato anche le scorse elezioni politiche, il 25 settembre 2022, quando per la prima volta nella storia repubblicana l’affluenza è scesa sotto il 70 percento. Per quasi un giovane su tre ha ancora senso scendere in piazza, manifestare,

partecipare a un’azione o a un incontro politico con lo scopo di generare cambiamenti nella società. Per 1 su 4 è, invece, importante discutere di temi politici e sociali con i conoscenti, per costruire una coscienza comune. Solo l’11 per cento ritiene che frequentare la sede di un partito possa essere utile al fine di costruire un Paese migliore. La maggior parte rivela che sono i genitori le figure principali che contribuiscono alla formazione del pensiero politico. Seguono gli amici. Arrivano terzi la scuola e gli insegnanti. È molto poco rilevante il ruolo formativo delle figure religiose, dei leader di partito, degli influencer e degli opinionisti. Eppure, nonostante le scarse aspettative che i giovani ripongono nel voto, gli under 26 non manifestano un’atteggiamento di chiusura nei confronti della politica: il 50 per cento si definisce «coinvolto», il 16 per cento attivamente interessato. Danno fiducia soprattutto al presidente della Repubblica. Molto meno affidabili vengono considerati i partiti politici, il Parlamento e il sistema giudiziario. E anche se è bassa

PRIMA PAGINA SONDAGGIO L’ESPRESSO
Sei su dieci non si sentono rappresentati, più della metà è informato e coinvolto ma scettico sui partiti. E meno del 10 per cento crede che il cambiamento arrivi dall’alto
28 15 settembre 2023

la stima verso chi governa, più del 70 per cento degli intervistati guarda al futuro con ottimismo, pensa che nei prossimi 5 anni la propria condizione migliorerà. Ma solo nel 43 per cento dei casi grazie alle capacità individuali, per 19 su cento grazie all’aiuto della famiglia, per il 7,6 per cento grazie al supporto delle istituzioni.

La tv e i social network sono i principali canali di informazione della Generazione

Z. Quasi un quarto è molto informato, legge, cerca notizie su quello che succede. Il 54 per cento si definisce abbastanza informato ma non cerca spontaneamente notizie che abbiano a che fare con la politica. Il 18 per cento ammette di documentarsi poco, il 5,5 per cento per niente. Per il 65 per cento degli intervistatilasituazioneinItalianonmigliorerà finché non ci sarà un cambio generazionale nella classe dei politici, finché non arriveranno rappresentanti più giovani. Così, nel frattempo, quasi il 70 per cento degli under 26 se ne va. Perché pensa che lavorare all’estero sia l’unica soluzione per vedersi valorizzati.

HAI VOTATO ALLE ULTIME ELEZIONI POLITICHE DI SETTEMBRE 2022?

Totale campione: 500 casi

Si, ho votato

6%

14%

No, non ho votato Non avevo ancora l’età per votare Preferisco non rispondere

61% 19%

Percentuale di giovani che ha un atteggiamento positivo nei confronti della politica

Pensa che andare a votare possa servire per produrre un cambiamento nel Paese

54

Dichiara di non cercare spontaneamente informazioni sull’attività politica

% %

% % %

Non si sente rappresentato da nessun partito

66 44 43 60

Ritiene che la propria situazione migliorerà nei prossimi 5 anni solo grazie alle capacità individuali

Foto: Getty Images
15 settembre 2023 29

ATTENTI A QUESTI 60: STUDIARE

ANGELA RAFFA

Nata a Messina nel 1993, eletta per un secondo mandato alla Camera dei Deputati col Movimento 5 Stelle. È stata la più giovane parlamentare della XVIII Legislatura con 25 anni e 3 mesi al momento dell’insediamento.

MARIANNA RICCIARDI

Nata a Napoli nel 1994, è diventata medico e dal 2022 è deputata alla Camera tra le fila del Movimento 5 Stelle. Nella XIX legislatura della Repubblica è componente della XII Commissione Affari sociali.

RACHELE SCARPA

Classe 1997, nata a Treviso, è deputata alla Camera per il Partito Democratico: è la più giovane parlamentare della XIX legislatura della Repubblica italiana con i suoi 25 anni, 8 mesi e 16 giorni al momento dell’insediamento.

BERNARD DIKA

Venticinque anni, nato in Albania, è il portavoce del presidente della Regione Toscana, il dem Eugenio Giani. Nominato Alfiere della Repubblica dal presidente Sergio Mattarella, è coordinatore del progetto Giovanisì.

PAOLO ROMANO

Ventisette anni, consigliere regionale in Lombardia, primo degli eletti del Pd a Milano con 9.266 preferenze. Con i Giovani Democratici ha lanciato la campagna #LoStagenonèLavoro, raccogliendo oltre 75 mila firme.

FEDERICO BOTTELLI

Classe 1995, dopo essere stato capogruppo del Pd nel municipio 7, nel 2021 è stato eletto consigliere comunale di Milano, dove è vicecapogruppo del gruppo Pd e presidente della Commissione Casa e piano quartieri.

TOMMASO SASSO

Classe 1996, è candidato alla segreteria nazionale dei Giovani Democratici ed è ex presidente del Movimento Giovanile della Sinistra. Attualmente collabora con il sindaco di Roma, il democratico Roberto Gualtieri.

LORENZO GALILEO SCIARRETTA

Classe 1997, è stato il delegato alle Politiche giovanili e culturali della Regione Lazio con presidente Nicola Zingaretti. Candidato alle elezioni regionali con la Lista Civica D’Amato, risulta primo dei non eletti.

FABRIZIO GRANT

Ventisei anni, romano, è il consigliere municipale più votato nella Capitale. Uno dei promotori di Roma per Noi, lista che partecipa al congresso del Pd romano, di recente entra nella segreteria del Pd Roma di Enzo Foschi.

LAURA SPARAVIGNA

Classe 1993, fiorentina, consigliera al Comune di Firenze nelle fila del Partito Democratico. Nominata nella top ten di “Donna dell’Anno 2021” del settimanale D de la Repubblica, è promotrice del Tampon Tax Tour.

PRIMA PAGINA NUOVI VOLTI
30 15 settembre 2023
Sono stati eletti bruciando le tappe, ricoprono incarichi di partito. A destra e a sinistra. Sono giovani di lotta, ma anche di apparato

DA LEADER PRIMA DEI 30 ANNI

Selezionati dal magazine “Politica”, sono protagonisti di un incontro il 15 settembre, a Roma, di cui L’Espresso è media partner

GIOVANNI CRISANTI

Classe 1999, romano, presidente dell’organizzazione giovanile L’asSociata. Ha all’attivo due libri ed è stato uno dei più giovani candidati all’Assemblea capitolina. Si occupa di relazioni istituzionali e consulenza politica.

LORENZO PACINI

Classe 1996, eletto per la seconda volta consigliere del municipio 1 di Milano, ricopre l’incarico di assessore al Verde, Casa, Scuola e Politiche giovanili. Candidato col Pd alle elezioni regionali in Lombardia, risulta primo dei non eletti.

LORENZO MARINONE

Classe 1993, romano, eletto nel 2021 consigliere comunale a Roma con 2.307 preferenze, è delegato dal sindaco Gualtieri alle Politiche giovanili e fa parte della Commissione VI Cultura, Politiche giovanili e Lavoro.

LUDOVICA

Classe 1994, romana, è stata eletta consigliera del municipio 1 di Roma nelle fila del Partito democratico con 526 preferenze ed è presidente della Commissione Cultura del municipio. È tra gli ideatori del progetto Zalib.

LUDOVICO DI TRAGLIA

Classe 1995, romano, fin dagli anni del liceo è impegnato politicamente sul territorio regionale del Lazio. Ricopre le cariche di vicesegretario del Partito Democratico Lazio e di segretario dei Giovani Democratici Lazio.

GIOVANNI BIAGI

Classe 1994, romano, Biagi è membro dell’Assemblea nazionale del Partito Democratico. Recentemente è stato nominato ed è entrato a far parte della segreteria romana del Pd, guidata da Enzo Foschi.

FRANCESCO DI CARLO

Venticinque anni, romano, laureato in Giurisprudenza nel tempo record di tre anni e sette mesi. Prima di conseguire una seconda laurea magistrale, è stato eletto consigliere del XII Municipio nella lista del Pd.

NASTASSJA HABDANK

Classe 1999, italo-tedesca, è consigliera del III Municipio di Roma. È una dei promotori di Roma per Noi, lista di giovani che ha partecipato al congresso romano del Partito Democratico.

ALESSANDRO MONCIOTTI

Classe 2001, romano, è diventato consigliere del Municipio I di Roma raccogliendo 417 preferenze, a soli diciannove anni; è anche segretario dei Giovani Democratici dello stesso Municipio.

SAVERIO MILANA

Ventuno anni, romano, a soli diciannove anni è stato eletto consigliere dell’VIII Municipio col Partito Democratico risultando uno dei più giovani mai eletti sul territorio. È tra i fondatori de La Giovane Roma.

JAUS
15 settembre 2023 31

Classe 1997, romano, tra i principali promotori della campagna “Voto dove Vivo” per il voto fuorisede e di Roma per Noi, lista di giovani al congresso del Pd romano. Nella segreteria Gd Roma, recentemente è stato eletto all’Assemblea Pd Roma.

Classe 1999, da sempre militante nel Pd, oggi si occupa della comunicazione istituzionale del sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, dopo un passato nella comunicazione del partito nazionale. Eletto delegato nell’assemblea del Pd Lazio.

Classe 1996, è sssessora a Servizi civici, Partecipazione e Trasparenza, Politiche del decentramento del Comune di Milano. Ha co-fondato Onde Rosa e nel 2018 ha lanciato la campagna “Stop Tampon tax! Il ciclo non è un lusso”.

Classe 1993, eletto parlamentare nella precedente legislatura col M5S prima di aderire a Insieme per il futuro di Luigi Di Maio; è stato anche segretario dell’Ufficio di presidenza della Camera dei deputati, il più giovane della storia repubblicana.

JACOPO GASPARETTI

Ventisette anni, romano, è stato il più giovane portavoce dei governi Conte 2 e Draghi, lavorando con la viceministra allo Sviluppo economico, Alessandra Todde. Oggi lavora nella squadra della comunicazione del Movimento 5 Stelle.

MARCO COLAROSSI

Ventitré anni, romano, è il più giovane consigliere regionale della storia della Regione Lazio. Nel 2021 era stato candidato al Consiglio di Roma Capitale, risultando tra gli under 29 in lista che hanno raccolto il maggior numero di preferenze.

LUCA BOCCOLI

Classe 1997, romano, è fondatore e co-portavoce nazionale dei Giovani Europeisti Verdi. Negli anni precedenti alla fondazione dei Gev è stato un attivista dei Fridays For Future e ha collaborato con diversi movimenti e associazioni.

FLAVIA RESTIVO

Classe 1995, la più giovane candidata al consiglio comunale nel Pd, ora in Europa Verde. Nota anche per il tema dell’educazione sessuoaffettiva e il blog su L’Espresso, è stata inserita da Roma Today nella lista dei possibili futuri sindaci di Roma.

LUCA DI EGIDIO

Classe 1995, romano, esponente di Italia Viva, è stato il più giovane candidato presidente di municipio di tutta Roma. È già al secondo mandato come consigliere del Municipio VII. Noto anche per la candidatura alla Camera dei deputati.

FRANCESCO

CARPANO

Classe 1993, nato a Bruxelles, eletto consigliere capitolino con la lista Calenda Sindaco. Ha lavorato nell’Ufficio del presidente del Consiglio e poi in Cdp. Ha coordinato l’Ufficio Studi di Azione e oggi è nel direttivo di Azione.

PRIMA PAGINA NUOVI VOLTI
THOMAS OSBORN GAIA ROMANI ANDREA ROSSI LUIGI IOVINO FILIPPO
32 15 settembre 2023

GRAZIA DI MAGGIO

Classe 1994, originaria della provincia di Matera, è la più giovane parlamentare della maggioranza: è stata eletta deputata a soli 28 anni con Fratelli d’Italia, dopo essere stata la prima dei non eletti in consiglio comunale a Milano per 13 voti.

SIMONE LEONI

Classe 2000, è responsabile nazionale dell’organizzazione di Forza Italia Giovani, di cui è anche coordinatore nel Lazio. Nel 2021 è stato l’under 29 più votato del centrodestra al Comune di Roma. È consulente del vicepresidente del Senato.

PIERMARIA CAPUANA

Classe 2003, catanese, è uno dei più giovani consiglieri comunali d’Italia: è stato eletto a Catania nelle fila di Forza Italia, di cui è il capogruppo al consiglio comunale. A soli 18 anni era già diventato l’assessore più giovane di tutta Italia.

Classe 1995, Milia è stato eletto consigliere comunale di Reggio Calabria, riuscendo a raccogliere oltre 1.700 preferenze. Recentemente, inoltre, è stato nominato coordinatore del movimento Forza Italia Giovani della Calabria.

Classe 1997, è stato eletto al consiglio comunale nelle ultime amministrative ed è stato nominato vicepresidente del consiglio comunale di Fasano, in provincia di Brindisi. A oggi è il coordinatore di Forza Italia Giovani della Puglia.

DANIELE AIELLO

Classe 1999, bolognese, Aiello è il coordinatore del movimento Forza Italia Giovani dell’Emilia-Romagna. Nelle ultime elezioni amministrative, si è anche candidato nelle liste di Fi per entrare nel consiglio comunale del capoluogo regionale.

DAVIDE LONGORDO

Classe 2001, dopo un importante impegno politico territoriale, Longordo è diventato ed è tuttora il coordinatore di Forza Italia Giovani della Liguria. Nonostante la sua giovane età, è collaboratore, attivo a livello locale, del sindaco di Ventimiglia.

LUCA VALLENARI

Classe 1996, Vallenari è un dirigente sportivo, già consigliere comunale a Erbezzo (Verona). A coronamento dell’impegno dimostrato sul territorio e per i giovani, è stato nominato di recente coordinatore di Forza Italia Giovani del Veneto.

VIRGINIA CHIASTRA

Classe 1998, Chiastra è presidente dell’Associazione culturale e politica “Missione Parma”. È stata eletta consigliera comunale a Parma e, grazie alle preferenze raccolte, è risultata la più votata all’interno della coalizione di centrodestra.

GIUSEPPE LAVITOLA

Classe 2004, romano, è stato rappresentante degli studenti del Liceo classico Dante Alighieri. Collabora con la Regione Lazio per i rapporti con le associazioni universitarie e si occupa di open innovation con le Fondazioni Aurora e ContHackto.

FEDERICO MILIA MARIO SCHENA
15 settembre 2023 33

CARLO ANDREOLI

Classe 1996, a coronamento di un impegno costante nel territorio bresciano, anche in campagna elettorale, è stato eletto consigliere comunale di Brescia con FdI ed è presidente della direzione nazionale di Azione Universitaria.

SIMONE FORTE

Classe 1998, romano, impegnato in politica sin dai 14 anni, è presidente di Gioventù Nazionale Provincia di Roma e pure dirigente nazionale; è anche consigliere di presidenza del Consiglio nazionale dei Giovani, con delega a sport e innovazione.

DOMENICO CARBONE

Classe 1997, nato a Chieti, già senatore accademico all’Alma Mater-Università di Bologna, viene eletto al Consiglio nazionale degli studenti universitari. Nella seduta del 3 febbraio 2023, viene eletto componente del Consiglio universitario nazionale.

ANSALONE

Classe 1993, nasce a Bologna, viene eletta al Cnsu e oggi è vicepresidente nazionale di Azione Universitaria. Alle elezioni comunali di Bologna viene eletta consigliera del quartiere Santo Stefano con Fratelli d’Italia.

GIAMPAOLO

Frezza è membro del Consiglio nazionale Giovani, fondatore e presidente di “Hyperion”, piattaforma di informazioni; ex consigliere degli studenti dell’Università degli Studi di Roma Tre, ora è nel direttivo nazionale di Azione Universitaria.

CATERINA FUNEL

Classe 1995, romana d’origine, Funel è nell’esecutivo nazionale di Gioventù Nazionale e rappresenta uno dei capisaldi della politica giovanile romana nella stessa organizzazione. È inoltre collaboratrice di partito per Fratelli d’Italia.

SANDRA BERTUCCI

Classe 1993, da sempre impegnata politicamente nel territorio del Municipio II di Roma Capitale, alle ultime elezioni amministrative, nel 2021, è stata rieletta consigliera nello stesso municipio con il gruppo di Fratelli d’Italia.

FEDERICO PALERMO

Classe 2001, Palermo è il presidente di Azione Universitaria per l’ateneo di Roma Tre; inoltre, è neoeletto nel nucleo di valutazione presso la stessa Università, membro di Fratelli d’Italia e della formazione Gioventù Nazionale.

FLAMINIA PACE

Classe 2003, è tra i 10 giovani del centrodestra che diventeranno sindaco di Roma, secondo Roma Today. Ha fondato il circolo di Gioventù Nazionale –Pinciano e “Osservatorio Roma”; è membro della Commissione Affari europei e Cooperazione al Cng.

ELISA

Classe 1995, bergamasca. Vicepresidente dell’Associazione culturale Plato. Membro di Gioventù Nazionale. Capo segreteria dell’onorevole Lucaselli, capogruppo in Commissione Bilancio e presidente del Collegio d’Appello.

PRIMA PAGINA NUOVI VOLTI
DALILA JOLANDA FREZZA SEGNINI BOCCHIA
34 15 settembre 2023

ISABEL GIORGI

Classe 1996, alle elezioni amministrative del 2021, Giorgi è riuscita a diventare consigliera per il Municipio XIII di Roma con il gruppo di Fratelli d’Italia. Ha, nel frattempo, conseguito la laurea sia in Scienze politiche sia in Giurisprudenza.

GIACOMO MOLLO

Classe 2000, Mollo è membro di Azione Universitaria alla Sapienza di Roma, di cui è diventato presidente. Attualmente è consigliere nella facoltà di Economia e ha consolidato la presenza della sua formazione all’interno dell’ateneo.

MICHELE SCHIAVI

Classe 1999, bergamasco, dopo un primato da «sindaco più giovane d’Italia» a Onore, alle ultime elezioni regionali in Lombardia è diventato il più giovane consigliere eletto in questa Regione. Inoltre, è vicecoordinatore di FdI Bergamo.

Classe 1997, originario di Cosenza, già leader all’Università della Calabria di Rinnovamento democratico universitario e senatore accademico uscente, è capogruppo al Cnsu e presidente esecutivo nazionale di Azione Universitaria.

Classe 1996, pugliese d’origine, attualmente è il coordinatore di Gioventù Nazionale della Puglia, formazione nell’ambito della quale fa parte dell’esecutivo; inoltre, è collaboratore di partito, rappresentando il movimento giovanile.

PAOLO INSELVINI

Classe 1994, bresciano, membro dell’Assemblea nazionale di Fratelli d’Italia. È coordinatore di Gioventù Nazionale in Lombardia. È stato uno dei più giovani candidati al Parlamento nel 2022 e nelle Regionali della Lombardia nel 2023.

DANIELE BERTANA

Classe 1996, torinese, dopo alcuni incarichi di partito a livello locale nella Lega e dopo l’esperienza di cinque anni nel team social guidato da Luca Morisi, oggi è il capo segreteria del vicepresidente del Consiglio e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini.

FRANCESCO GIANI

Classe 1997, milanese, è stato eletto la prima volta consigliere del Municipio 7 di Milano per la Lega a 19 anni. Rieletto, è diventato il più votato di tutti candidati della Lega nei municipi nel 2021. È stato anche coordinatore della Lega Giovani Milano.

ALESSANDRO VERRI

Classe 1995 (ha da poco compiuto i 28 anni), Verri è da sempre impegnato politicamente sul territorio; oggi è capogruppo della Lega nel Consiglio comunale di Milano, dove è stato eletto raccogliendo 1.073 preferenze.

GIUSEPPE MICCICHÈ

Classe 1998, di origini siciliane, laureato in Ingegneria, Miccichè attualmente è coordinatore della Lega Giovani in Sicilia. Il motto con cui ha voluto farsi strada politicamente è: «Per una Sicilia nel futuro e per il futuro della Sicilia».

MARIO RUSSO ANDREA PIEPOLI
15 settembre 2023 35

Torna la Cassa Miraggio a Mezzogiorno

GIANFRANCESCO TURANO

Tranne rare eccezioni, l’intero Mezzogiorno presenta tassi di occupazione giovanile molto inferiori alla media. Ne scaturisce una preoccupante ripresa dell’emigrazione di massa». Oppure, citando a caso, «il Mezzogiorno italiano sconta divari strutturali anche molto ampi con il resto del Paese e di rado si apprezzano processi di convergenza significativi». Sono passi scelti del rapporto Istat sul Sud del gennaio 2023. Ma l’anno potrebbe essere il 1953 o magari il 1876 dell’inchiesta sulla Sicilia dei deputati Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, il testo di riferimento di un meridionalismo che ripete il suo verso da un secolo e mezzo. Soprattutto quando si parla di occupazione giovanile.

Posti fissi, pochi, consulenze, clientele.

Sparito il reddito di cittadinanza e senza salario minimo, ai ragazzi del Sud è servita la vecchia minestra assistenziale

Dopo il colpo di spugna sul reddito di cittadinanza e la via crucis del salario minimo, il governo ha trovato la soluzione. È una nuova Cassa del Mezzogiorno quella che la presidente Giorgia Meloni e il ministro del Sud, Raffaele Fitto, hanno resuscitato con il decreto Sud approvato dal Consiglio dei ministri il 7 settembre scorso. La vecchia Casmez, ente pubblico costituito nel 1950 da Alcide De Gasperi e da Pasquale Saraceno, l’economista che nel 1946 aveva fondato l’associazione privata Svimez, era finita in liquidazione nel 1984, dopo 34 anni di vicende in altalena fra qualche successo iniziale e un graduale scivolamento nel clientelismo e nell’assistenzialismo sprecone.

In versione aggiornata e in linea con il

dirigismo accentratore della premier, otto regioni centromeridionali (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) saranno riunite in un’unica Zes (Zona economica di sviluppo), rispetto alle otto Zes attive dopo il primo imprinting del governo Gentiloni a cavallo fra il 2017 e il 2018.

Sotto il profilo occupazionale, per adesso la dotazione più pregiata del decreto firmato da Fitto sono i 2.200 posti di lavoro a tempo indeterminato messi a disposizione delle otto regioni della Zes. Si annunciano concorsi pubblici con capienze da stadio per selezionare i 2.129 fortunati, ai quali vanno aggiunte 71 posizioni da applicare al dipartimento per la Coesione territoriale. A livello dirigenziale è previsto un bonus di risultato e i neoassunti saranno smistati negli enti locali, secondo modalità da chiarire. In ogni caso si parla delle Regioni, dei

/ Agf PRIMA PAGINA QUESTIONE MERIDIONALE
Foto: Mike Palazzotto
36 15 settembre 2023

Comuni e delle province che il vicepremier Matteo Salvini ha fretta di ripristinare.

Per gli standard di impiego e per la demografia catastrofica delle regioni meridionali è grasso che cola, dopo anni di tagli al personale e blocco del turnover da parte di governi e giunte di ogni orientamento. Proprio un rapporto Svimez del 2019 annunciava che in vent’anni hanno lasciato il Sud oltre due milioni di under 34. La tendenza ha rallentato negli anni seguenti, un po’ per la pandemia, un po’ per l’impennata dei costi del settore immobiliare nelle città del Nord che danno lavoro. Ma dai dati provvisori pubblicati dall’Istat, che registrano un -6,3 per cento di popolazione nel Mezzogiorno durante i primi mesi del 2023, la fuga dalle aree della Zes sembra in netta ripresa. Per frenarla i presidenti regionali tentano, motu proprio, di riaprire la valvola delle assunzioni. Renato Schifa-

ni, a costo di inimicarsi il governo centrale, ha portato la pianta organica della Regione siciliana dai 10.374 in servizio nel 2021 agli 11.884 previsti quest’anno. Nel frattempo, è arrivata la sentenza sfavorevole della Cassazione sugli aumenti ai dipendenti concessi con la finanziaria regionale del 2022, perché violavano il piano decennale di rientro.

I 2.200 nuovi assunti saranno spesati per altre vie. Il progetto della Zes unica prevede un fondo assunzioni da 572 milioni di euro, che ha avuto il semaforo verde dell’Ue lo scorso luglio. Ma questa è solo una delle componenti nel ginepraio finanziario dell’intervento. Un ginepraio miliardario che, negli intenti, dovrebbe attrarre gli imprenditori capaci di creare realtà produttive diverse dall’impiego pubblico parassitario celebrato da Checco Zalone.

La legge di bilancio del 2021, varata dal governo Conte-bis con il democrat Giu-

SETTECENTESCO

L’ingresso di Palazzo d’Orléans, a Palermo, sede della presidenza della Regione siciliana

15 settembre 2023 37

seppe Provenzano ministro del Sud, ha stanziato 50 miliardi di euro di fondi per lo sviluppo e la coesione (Fsc), di cui l’80 per cento destinati al Sud in rate annue di 4 miliardi di euro fino al 2029. Sul fronte aziende, un’altra attrattiva è il credito fiscale di 1,5 miliardi di euro all’anno alimentato per un terzo dall’Europa e per due terzi dal Pnrr. Il grosso della dotazione è questo.

CANDIDATI

Un concorso pubblico. Sotto: il ministro per il Sud, Raffaele Fitto

dato con gli enti locali. Il vero fine di questa operazione è l’appropriazione del Fsc, il fondo di sviluppo e coesione, che torna a essere un bancomat in mano all’esecutivo».

«Ma se tutto diventa speciale», critica Provenzano, deputato Pd nell’attuale legislatura, «nulla è speciale. La Zes unica è una contraddizione in termini perché ribadisce l’eccezionalità complessiva del Mezzogiorno e non differenzia fra aree molto diverse fra loro. Il beneficio fiscale è necessario, ma qui manca la semplificazione amministrativa e da ministro avevo constatato che le otto aree erano già troppo estese. Questo decreto arriva alla vigilia di un attacco politico del governo contro il Sud attraverso l’autonomia regionale differenziata, l’abolizione della clausola del 40 per cento sui fondi del Pnrr e l’affondamento del “Piano Sud” che era stato concor-

La controprova di quanto sostiene l’esponente Pd sulle tante facce dell’economia meridionale è in un recente dato Istat. Nell’aumento degli occupati del 2022 la Puglia è quarta dopo Toscana, Lombardia e Veneto.

In quanto alle paventate complicazioni amministrative, il decreto Sud non lascia nulla d’intentato. La promessa dell’esecutivo di velocizzare gli investimenti nelle aree del Mezzogiorno è sintetizzata dalla figura di un solo commissario straordinario invece di otto. Da lì in giù, si intreccia l’abituale groviglio di entità burocratiche disposte in ordine verticale, ma anche orizzontale e trasversale, in modo che la scala delle responsabilità sia la più tortuosa possibile.

Il decreto Sud fa capo al ministro Fitto, che ha anche le deleghe per gli Affari europei, la Coesione territoriale e il Pnrr, principale serbatoio finanziario per gli sgra-

PRIMA PAGINA QUESTIONE MERIDIONALE
38 15 settembre 2023

vi fiscali alle aziende. Il primo braccio operativo del ministro è il dipartimento delle Politiche di coesione, guidato da Michele Palma, che dovrà confluire nella nuova Agenzia per la Coesione. In modo analogo, dopo il 1984 la Casmez generò l’Agensud, che a sua volta fu liquidata nell’anno primo di Tangentopoli (1992).

Vi sarà poi una cabina di regia sotto il controllo di Palazzo Chigi che, d’accordo con il Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile), distribuirà i fondi. A sessanta giorni dal varo del decreto, quindi entro novembre, nascerà una struttura di missione (sdm) che collaborerà con il commissario straordinario. La sdm presenterà un piano strategico triennale, redatto con

la partecipazione di Invitalia, e disporrà di un coordinatore, due direttori generali, quattro uffici sottoposti a un dirigente e sessanta addetti. È prevista la possibilità di avvalersi di consulenze esterne per un massimo di 50 mila euro all’anno per un totale di 700 mila.

La struttura di missione diventerà la stazione appaltante dei progetti che hanno un ambito estremamente limitato. Non saranno finanziate iniziative imprenditoriali nei rami della siderurgia, del carbone, dei trasporti, delle infrastrutture, dell’energia, della banda larga e del settore bancario-finanziario. Per esclusione, restano l’agricoltura, il turismo, che in questi anni ha avuto un’espansione sregolata, e l’ambiente che il turismo sregolato ha contribuito a mettere in crisi.

Il decreto Sud, dove sono inclusi i finanziamenti emergenziali per Caivano (30 milioni di euro) e per le isole siciliane di Lampedusa e Linosa assediate dagli sbarchi (45 milioni di euro in totale), è completato dal già esistente portale OpenCoesione. Una seconda cabina di regia si incarica delle aree interne con i contributi che passano per i Comuni e vanno spesi entro la fine del 2025.

Prima di mettere a regime la nuova Zes unica bisognerà garantire gli investimenti già fatti dalle otto Zes in attività. La Sicilia ne aveva due, occidentale e orientale, con Carlo Amenta e Alessandro Graziano come commissari, mentre una Zes interregionale ionica univa Puglia e Basilicata e un’interregionale tirrenica prevedeva l’altra metà della Puglia e il Molise.

A Palermo, Forza Italia ha mostrato scontentezza per il decreto per timore che i lavori in corso si possano bloccare. È un atteggiamento discordante tra i berlusconiani e FdI sui temi del Sud già visto con l’autonomia differenziata. Ma ora che la parola sul decreto passa alle Camere, il governo avrà bisogno di schierarsi a ranghi compatti. La nuova Cassa del Mezzogiorno non può aspettare.

Foto: Nicola Marfisi / Agf, Fotogramma
Il decreto voluto dal ministro Fitto riunisce otto regioni diverse in un’unica Zona economica di sviluppo. E arriva alla vigilia del colpo che sarà inferto dall’autonomia differenziata
15 settembre 2023 39

Dago fa i tarocchi ai potenti

CARLO TECCE illustrazioni di VALENTINA VINCI

Avvolto in uno scialle di fumo, di toscanelli ne ha una pila accanto a una coppa di gelato al cioccolato che fa da pranzo, Roberto D’Agostino, cioè Dagospia, insomma Dago, sbuca con l’occhio azzurro sotto lenti azzurre. È il Brucaliffo in una stanza di luci, falli, scritte, colori. Non spreca parole, ne produce di puntute; sparge retroscena, ne maneggia di incandescenti. Il sito Dagospia veniva dal futuro, e accadde quasi un quarto di secolo fa. Dago Brucaliffo è affascinato soltanto dal futuro, lo vuole prevenire per non curarlo, lo deve prevedere per mestiere. Un paio di ore di aneddoti, sospensioni, tarocchi, e poi Dago ripulisce la coppa di gelato al cioccolato in stile calice da messa e dice le cose che stanno per arrivare con l’entusiasmo dei bambini a Natale: «Con le elezioni europee nulla sarà come prima. Non sarà una lotta per vincere, ma per non perdere.

Giorgia Meloni è paranoica, non può permettersi di smarrire nemmeno un decimale dei voti. Andrebbe subito ai matti. Vuole contare dentro la Commissione Europea, ma potrebbe contare il nulla. Ha paura che sia l’inizio della discesa. Matteo Salvini è già spacciato, i governatori Zaia, Fedriga, Fontana non aspettano che farlo fuori. Giorgetti è un falso problema, si divertono a fare il poliziotto buono e il poliziotto cattivo. Elly Schlein corre spedita verso il disastro con la minoranza che se la ride. Giuseppe Conte deve quantificare il danno dopo l’abolizione del reddito di cittadinanza. Antonio Tajani deve tenere in vita Forza Italia altrimenti Pier Silvio e Marina Berlusconi la chiudono e la buttano». Il Brucaliffo si tace. Su Dago, leggiamo le carte.

Per Meloni esce la carta dell’Imperatrice. Ma è troppo nervosa. Il Carro di Schlein va a sbattere. Bergoglio Il Papa fa un capolavoro

GIORGIA MELONI L’IMPERATRICE

Tutti i fasci vengono al pettine: il famigerato Mes, l’attuazione del Pnrr, la legge di Bilancio. Non basta fare lo zerbino di Biden, applaudire Zelensky in prima fila e mettersi in posa, in Europa valgono le regole. Altro che taglio delle tasse, qui si parla soltanto di tagli alla spesa. Giorgia è irriconoscibile. È una omonima di un anno fa. Il limite è il carattere. La ricerca del nemico - per esempio Paolo Gentiloni in Europaè sintomo di debolezza e insicurezza. Impari da Berlusconi che imparò da Andreotti tramite Gianni Letta: il nemico non si combatte, si compra. La sua verve decisionista non è tollerata dalle istituzioni. La stagione di Colle Oppio è finita. Per comandare come se fosse in famiglia si è portata la famiglia a Palazzo Chigi. E attenzione, Giorgia, alla tenuta psicofisica.

MATTEO SALVINI IL DIAVOLO

È in una posizione disperata. Meloni l’ha buttato a destra, Tajani insiste al centro. Non ha un telegiornale. Gli hanno fregato il Tg2. Parla, parla, e non arriva più al pubblico. Adesso il suo obiettivo è trattare con Pier Silvio Berlusconi per ottenere un po’ di spazio, un’elemosina da Mediaset. Il patto della bistecca a Bolgheri con Giorgia gli è servito per avere la legge sulle Autonomie in primavera da spendere per le elezioni europee, in cambio ha dato l’ok alla tassa sui profitti delle banche che ha una grossa presa popolare seppur valga zero. Era meglio chiedere un’offerta libera alle banche.

POLITICA IL VATICINIO
40 15 settembre 2023

ELLY SCHLEIN IL CARRO

Elly è una assassina: sta ammazzando il Pd. I responsabili, però, sono i vecchi Boccia, Orlando, Provenzano, Franceschini. Speravano di manovrarla dalle quinte e di ritornare immacolati. La scissione del gruppo di Guerini e dei governatori con De Luca non ci sarà prima delle Europee perché non vogliono regalarle alibi. Che li porti a sbattere.

SERGIO MATTARELLA LA GIUSTIZIA

Vorrei ricordare che Mattarella è siciliano. La riforma costituzionale che trasferisce i poteri a Palazzo Chigi e li sottrae al Quirinale è stata partorita dalle sapienti meningi di Mantovano e Fazzolari con la benedizione di Meloni senza consultare la presidenza della Repubblica. Follia! In caso di approvazione, Mattarella si dimetterebbe all’istante. I rapporti col Quirinale sono freddi. Il mondo è fatto di burattini e burattinai. Giorgia non deve sottovalutare i cattivi segnali. Mario Draghi che non telefona più, Giuliano Amato che si distingue, la Corte dei Conti che insorge, Macron e Scholz che vogliono capire se sta con loro o con i loro avversari interni.

GIUSEPPE CONTE L’EREMITA

Conte si sta dando le botte in testa per i Cinque Stelle che sono andati ai gazebo dem a votare Schlein ribaltando la vittoria di Bonaccini fra gli iscritti. Elly lo impalla. Così, mentre il Pd diventa un movimento, il Movimento diventa un partito, il Pd. Il vero ideologo della sinistra è il sindacalista Landini. Il programma di Conte e Schlein è il suo.

POLITICA IL VATICINIO
42 15 settembre 2023

PAPA FRANCESCO

IL PAPA

È davvero inaccettabile che gli ucraini usino Francesco come “caprone espiatorio” per nascondere il fallimento della controffensiva. Che può fare un Papa se non battersi per la pace? Volevano che scomunicasse i russi, ma il Papa cristiano non esclude. Siamo tutte pecorelle smarrite. Il suo grande successo è il collegio cardinalizio. Ha preparato il conclave, la sua successione. Bergoglio non transige sui principi, ma abbraccia tutti, proprio come la piazza del Bernini.

ANDREA GIAMBRUNO

IL BAGATTO

Ha ragione Fiorello: Giambruno è il principale nemico della Meloni, ce lo ha in casa. Giorgia non doveva accettare che prendesse le redini di una trasmissione, non sa condurre, non sa articolare un pensiero. Fregonara e Palombelli, le mogli di Enrico Letta e Rutelli, hanno limitato la carriera quando i mariti erano esposti.

Per Giambruno tutti gli errori vengono al pettine e lui ne ha molti, di capelli. È un altro motivo che fa sbroccare Giorgia. Lasciatela un po’ tranquilla.

LUCIANO SPALLETTI

LA TEMPERANZA

Nell’estate delle corna, le peggiori le ha fatte Mancini alla Nazionale e all’Italia intera. Spalletti è un lavoratore, ha un grande senso dello Stato e perciò sarà rigoroso. Ha preso una squadra non all’altezza. Non ha né Osimhen né Lobotka. Gli italiani confidano sempre nel miracolo. Nella nostra arte di arrangiarci, poi ci becchiamo le Macedonie. Che Spalletti dia almeno una spallata.

POLITICA IL CAMPO DELLA SINISTRA
44 15 settembre 2023
SEGRETARIA La leader del Pd Elly Schlein

Elly Schlein e la cura della piazza

Èchiaro che c’era la claque, ma non l’ho organizzata io». Dopo il dibattito con Stefano Bonaccini alla festa dem di Ravenna, quasi a scusarsi per i cori da stadio dei supporter grillini accorsi apposta dalla città e dai centri limitrofi, sabato scorso Giuseppe Conte ha sintetizzato in una frase lo stato ambiguo di un fragile campo del centrosinistra in via di necessaria ricostruzione. Non propriamente un bello spettacolo: c’è chi ha la claque ma non la organizza, chi copia lo slogan ma non lo sapeva, chi si ruba un’idea, chi non rispetta l’embargo, chi fa pesare la presenza e chi punta sull’assenza. Pd, M5S, Avs, Azione non sembrano insomma convintissimi, ma tutti sanno di dovercela fare: va bene il «no ad alleanze posticce o cartelli», ma essendo irripetibile lo scempio elettorale di un anno fa, quando ognuno andò da solo e tutti quanti persero, bisognerà stare dalla stessa parte, intanto iniziare. Ecco dunque che adesso, finita l’estate, l’accordo sul salario minimo stretto a fine giugno fa da modello, cominciano le riunioni per mettere a punto proposte comuni sulla sanità: la settimana scorsa si sono visti Pd e Cinque Stelle, martedì i dem e Azione; conduce il gioco stavolta Marina Sereni, responsabile sanità per conto di Schlein, così come l’altra volta lo condusse sempre in penombra

Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro, alla ricerca di punti in comune sui quali stringere l’iniziativa. Stavolta per il sistema sanitario si parla del rifinanziamento al 7 per cento del Pil, dell’aumento del personale sanitario, passando per il taglio delle liste d’attesa. Ma non solo.

La claque di Conte, le impuntature di Calenda, le divisioni

Elly Schlein, l’unica leader arrivata dopo il disastro e in pratica proprio in virtù di quella sconfitta, ha lanciato ora una proposta che naturalmente non incontra i gusti di Carlo Calenda, che come è ovvio mette a disagio Conte, ma che persino tra i dem più lontani da lei viene stimata come «coraggiosa»: scendere in piazza. Dopo l’estate militante, l’autunno militante: «Sanità, potere d’acquisto, conversione ecologica e digitale», le priorità per una «grande mobilitazione nazionale», è l’annuncio. La segretaria del resto è a suo agio nelle piazze: basti vedere l’affollamento degli ultimi due weekend, dalla non facile Padova (sabato 9) alla assai più difficile Vibo Valentia (domenica 3, pomeriggio, 38 gradi).

Sarà la seconda manifestazione, da fissare a novembre per evitare sovrapposizioni, dopo quella del 7 ottobre indetta dalla Cgil di Maurizio Landini, un altro protagonista dell’azione politica che è di tutta

Foto: Giuseppe Nicoloro / Agf
nel Pd. Un anno dopo il disastroso risultato delle Politiche le opposizioni sono ancora senza filo comune
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SUSANNA TURCO

evidenza – anche per l’impegno profuso e il consenso di cui è circondato – uno dei principali interpreti della prossima stagione politica, quando vorrà. Già l’annuncio di un possibile referendum sul Jobs act, che di fatto andrebbe a ripristinare l’articolo 18 abbattendo uno dei totem della stagione renziana, è un buon assaggio di quanto il suo ruolo possa essere centrale negli equilibri del centrosinistra (spaccati in due da questa ipotesi: riformisti dem contrari, schleiniani favorevoli, M5S favorevoli, Azione contraria).

L’annuncio della mobilitazione da parte di Schlein ha percorso le dirigenze dem come un brivido. La piazza, ingrediente classico della politica, rappresenta una mezza rottura, o meglio un ritorno alle origini, nella breve storia del Pd.

Si perde infatti nella notte, l’ultimo appuntamento del genere in casa dem, se si eccettuano le iniziative da campagna elettorale o quelle in Santi Apostoli, dove davvero per dimensioni non si perde neanche un bambino. Bisogna tornare indietro alla madre di tutte le piazze democratiche, il 25 ottobre 2008, organizzata da Walter Veltroni segretario al Circo Massimo accanto al Pd del Loft, quella volta in cui per l’organizzazione c’erano 2 milioni e mezzo di persone e per la Questura 200 mila (numeri entrambi incredibili, se ne discusse per giorni e giorni). O tornare almeno alla San Giovanni di Pierluigi Bersani che nel 2011, per veto del Quirinale allora guidato da Giorgio Napolitano, non potè invocare le elezioni nel momento della caduta dell’ultimo governo di Silvio Berlusconi. La piazza più recente è invece vecchia di cinque anni: ottobre 2018, Piazza del Popolo, primo vero tentativo di voltar pagina dopo i traumi del renzismo. «Abbiamo capito che abbiamo sbagliato, adesso dateci un’opportunità di ripartire», fu la frase slogan di Maurizio

Martina, nella sua breve stagione di segretario. E in pratica per certi versi stiamo ancora lì: abbiamo capito, dateci un’altra chance. Con la differenza che stavolta la chance l’hanno imposta gli elettori, da fuori, al gruppo dirigente dem, attraverso il voto delle primarie.

Sarà anche per questo che la proposta è quella della piazza: il ritorno – anche rischioso, basta vedere quanti pochi pullman si è riusciti ad organizzare per l’incontro sull’autonomia differenziata a Napoli di luglio – a un mondo lasciato alle spalle. Una cosa di sinistra. Una di quelle di cui è affamato il popolo dem, tutt’altro che preoccupato della presunta svolta a sinistra del Pd targato Elly Schlein. Anzi, il contrario: «Era ora!», è esplosa la platea della festa dell’Unità, quando è stato chiesto a Bonaccini se il nuovo corso fosse troppo radicale.

L’anno scorso, il 5 novembre 2022, fu

POLITICA IL CAMPO DELLA SINISTRA
Prove generali di leadership. Maurizio Landini a ottobre con la Cgil. Paolo Gentiloni ricorda che per tornare a vincere servono sinistra, governo, Europa: il suo identikit
46 15 settembre 2023

sempre una piazza, la manifestazione per la pace, quella da cui il mondo del centrosinistra ripartì dopo la batosta elettorale: un corteo di società civile, con la comunità di Sant’Egidio di Andrea Riccardi, don Luigi Ciotti, Maurizio Landini. C’era anche Schlein, deputata semplice in coda al corteo, restò a parlare coi manifestanti fino a piazza vuota. Enrico Letta, allora segretario dem, quel giorno fu fischiato. Il leader M5S Giuseppe Conte, neodeputato anche lui, si aggirava invece in giacca e dolcevita nero e l’aria di chi si appresta a diventare leader del centrosinistra per abbandono del campo da parte dei possibili competitor.

Sarà forse per questo che adesso, alla proposta di scendere in piazza con Schlein, Conte tituba. Non si sbilancia. Partecipa all’avvio del tavolo sulla sanità, attraverso Mariolina Castellone, rivendica come sempre di aver già prima «messo a punto

DIALOGO

Il segretario della Cgil Maurizio Landini. A sinistra, il leader del Movimento Cinque stelle, Giuseppe Conte

una proposta di legge come M5S, su questo ci possiamo confrontare», ma al Pd fa sapere che parlare di piazza comune è troppo presto. Si tratterebbe d’altra parte di accodarsi a un’iniziativa non sua. E si sa che, per quanto pronto a tutto per non farsi escludere, il fu «punto di riferimento fortissimo del centrosinistra» (copyright Nicola Zingaretti, il quale oggi prevede «con questa il Pd alle Europee non andrà oltre il 17 per cento») non ama acconciarsi alla posizione di secondo. Per accorgersene basta misurare quanto siano distanti le parole usate a descrivere ufficialmente l’accordo sul salario minimo: se Schlein sul sito del Pd coniuga un generico «siamo» e parla di una «proposta di legge unitaria delle opposizioni», M5S nella sua pagina in rete precisa che «nei mesi scorsi siamo riusciti a convincere anche le altre forze di opposizione della sua necessità e urgenza, e assieme a loro abbiamo presentato una proposta di legge alla Camera a prima firma del presidente Giuseppe Conte».

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Tutte punzecchiature che rimandano a una questione ulteriore, che bisognerà dipanare: il campo del centrosinistra, così sfilacciato, prima o poi avrà bisogno di un federatore. Non a caso è tornato ad affacciarsi Beppe Sala, sindaco di Milano, da sempre sostenitore di Schlein che voleva vicesindaca e con la quale tentò poi anche la costruzione di un soggetto rossoverde. Ancora meno a caso sta tornando al centro della scena Paolo Gentiloni. L’ex premier, commissario europeo agli affari economici, nelle sue interviste pubbliche di queste settimane, a Ravenna come a Mestre, ha insistito sul fatto che «serve una sinistra di governo», sottolineando come non sia un caso che ad aver vinto le elezioni, per ben due volte, sia stato un uomo che ha legato il suo percorso a quello dell’Europa. Quell’uomo è Romano Prodi: ma il profilo, disegnato così, può essere benissimo quello di Gentiloni medesimo. Sarà per questo che Matteo Salvini e Giorgia Meloni lo attaccano?

Foto: Alessandro Serrano' / Agf, Giuseppe Nicoloro / Agf
15 settembre 2023 47

INDISCRETO

a cura di Gianfranco Ferroni

NAUTICA / LUSSO A GENOVA

Crazy Pizza, brand di proprietà del gruppo Majestas di Flavio Briatore e Francesco Costa, sarà presente al Salone nautico internazionale di Genova, organizzato da Confindustria nautica dal 21 al 26 settembre. Nell’incontro tra il presidente industriale, Saverio Cecchi, e la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, quest’ultima ha ribadito che «le fiere sono un segmento fondamentale per il turismo» e che «non ci si deve vergognare a parlare di lusso. Se non abbiamo un’alta gamma non abbiamo nemmeno la bassa o la media. Non facciamoci prendere dal sentimento cattocomunista che siamo peccatori se supportiamo il turismo di lusso. Voi fate gli yacht più belli al mondo, portate lavoro». E ora arriva Briatore.

un messaggio di test, con un suono diverso dalle notifiche. Ai destinatari è richiesto solo di prendere visione del messaggio ed eventualmente compilare il questionario. Si assicura che «il sistema non utilizza nessuna app, non raccoglie nessun dato né la posizione». Le attività in corso sul telefono non subiranno interruzioni, ma sarà necessaria la presa visione del messaggio.

Santanchè punta sul turismo di alta gamma. Un successore illustre di Mancini nelle Marche

ARTE / INTESA COI CARABINIERI

Dichiarazione d’intenti tra il Comando carabinieri per la Tutela del Patrimonio culturale e Intesa Sanpaolo, per la promozione di iniziative sull’educazione alla legalità e alla sicurezza in ambito culturale. A Roma, il generale Vincenzo Molinese, comandante dei carabinieri Tpc, Paolo Maria Vittorio Grandi e Stefano Lucchini, per Intesa Sanpaolo, hanno firmato un documento in cui si sottolinea che «il traffico clandestino di beni culturali e le aggressioni ai danni delle istituzioni museali richiamano la necessità di una stretta collaborazione anche con le società private». È stata effettuata una visita anche nel caveau del reparto Tpc, «il museo più bello d’Italia».

JESI / ARRIVA AMAZON

LAZIO / ALLARME SPERIMENTALE

Nella Regione Lazio al via la sperimentazione di It-Alert, il nuovo sistema di allarme pubblico ideato per diramare ai telefoni cellulari presenti in una determinata area messaggi in caso di gravi emergenze imminenti o in corso. La sperimentazione laziale è prevista per il 21 settembre a mezzogiorno. La prima fase consiste nell’invio di

L’italiano più famoso di Jesi, l’ex commissario tecnico della nazionale di calcio Roberto Mancini, ha abbandonato il Belpaese per l’Arabia Saudita. Ma se Mancini va, Amazon arriva. Si pensa alle mille assunzioni a tempo indeterminato per il nuovo centro di distribuzione entro tre anni dall’apertura. I ruoli sono 60, in un elenco che prevede professionisti dell’approvvigionamento, responsabili finanziari, controllori della qualità, ingegneri e tecnici di robotica, addetti all’impacchettamento e alle spedizioni. E per l’impegno zero emissioni di Co2 entro il 2040, il complesso sarà alimentato al 100% da energia elettrica prodotta senza combustibili fossili.

LUNA / PRIMATO INDIANO

Ha provocato grande meraviglia la missione indiana sulla Luna: la nazione guidata da Narendra Modi ha conquistato per prima il polo sud, con il suo lander Chandrayaan-3. In troppi non si sono accorti che le università dell’India ogni anno “producono” oltre un milione di laureati in Ingegneria: numeri che permettono di dominare la scena mondiale nei settori delle tecnologie.

48 15 settembre 2023
Foto: Agf (2), Getty Images

Italiani, spiati e inconsapevoli

ChatGpt di OpenAi sta entrando rapidamente nelle classifiche dei siti più visitati al mondo, eppure il Garante per la protezione dei dati personali nell’aprile scorso ha adottato un provvedimento di sospensione provvisoria del servizio in Italia. ChatGpt non rispettava le prescrizioni riguardo a informativa, diritti degli interessati e base giuridica del trattamento dei dati personali per l’addestramento degli algoritmi con i dati degli utenti. OpenAi ha avuto un mese di tempo per allinearsi e ora ChatGpt è tornata on air. Questo evento ha fatto emergere come spesso accediamo a servizi online e offline, senza interrogarci troppo sulla tutela della nostra privacy. Da uno studio condotto a livello internazionale (oltre 60 Paesi coinvolti con un campione di quasi 30 mila interviste nei mesi di ottobre e dicembre 2022) dal network Win, di cui Bva Doxa è partner, emerge che la tensione degli individui sulla tutela della privacy è piuttosto contenuta: il 45% della popolazione globale è preoccupata per la gestione dei propri dati. In Italia questo dato è in continuo calo: passa addirittura dal 45% del 2019 al 35% del 2022. Occorre domandarsi se le persone abbiano “abdicato” all’idea di poter controllare i propri dati, se effettivamente ci sia una maggior fiducia nell’operato dei giganti digitali o se la posta in gioco del life style è così alta da far accettare il rischio.

Infatti, l’esperienza di abuso dei dati personali interessa ben il 63% della popolazione mondiale connessa; questa percentuale sale all’80% fra gli italiani, che più della media mondiale hanno sperimentato lo spamming e tentativi di phishing. Se si guarda agli abusi gravi, l’esperienza sul nostro territorio nazionale torna ad allinearsi con quella internazionale; magra con-

Quanto sei d’accordo con la seguente affermazione?

«Sono preoccupato/a di condividere le mie informazioni personali online»

MondoItalia

Grado di accordo espresso tramite un voto da 1 (massimo disaccordo) a 10 (massimo accordo); nel grafico è riportata la percentuale di quanti hanno espresso un voto di accordo da 8 a 10.

Fonte: WIN 2022. Base: 26.753 interviste raccolte in 36 Paesi.

solazione considerando che ben il 12% degli italiani connessi afferma di aver subito un hackeraggio della mail, il 10% quello di dati bancari e /o aver subito la diffusione dei propri dati personali.

Bva ha condotto un’indagine sulle vittime di frodi bancarie online in Francia, Italia e Regno Unito e ha identificato tre momenti che sono determinanti: la scoperta della frode, dove prevale la rabbia verso l’operatore («la colpa è tua, il danno è mio»); la quantificazione del danno, governata dal timore per la perdita di controllo sui propri soldi; la gestione della frode e l’interazione con i vari soggetti (la banca, la polizia, le piattaforme), quando domina la frustrazione («dopo il danno la beffa: ora dovrò scalare la montagna amministrativa»). Gestire la dimensione emotiva è necessario perché è fondamentale per i business ma serve anche ad aiutare gli utenti ad affrontare in modo più consapevole la gestione dei propri dati.

Furto e abuso di dati personali interessano l’80% dei nostri connazionali. Un dato ben al di sopra della media mondiale. Ma solo il 35% se ne preoccupa
DOXA 15 settembre 2023 49

Fogne in tilt, ciclovie folli Il Garda soffre

PAOLO BIONDANI

La piccola barca da pescatore solca le onde increspate dal vento e si ferma proprio in mezzo al più grande lago italiano, sopra 49 chilometri cubi d’acqua dolce. A sud si staglia Sirmione, la penisola “gioiello” cantata da Catullo. A ovest

c’è la costiera bresciana, con le ville storiche tra i cipressi e gli oleandri, sopra il golfo di Salò; a est la riviera veronese degli olivi, fra Punta San Vigilio e gli scogli rosati di Brancolino. Ultime notizie: il Lago di Garda resta bellissimo nonostante l’insipienza della sua classe dirigente. Le spiagge sono ancora affollate di turisti, qui al largo l’acqua è blu, fresca, limpida, addirittura potabile: un serbatoio prezioso per diversi comuni. Un tesoro naturale ed economico, che però è minacciato da una specie di bomba ecologica, anzi due. Nell’indifferenza quasi generale.

Sotto la chiglia della barchetta, al centro del lago ci sono chilometri di tubazioni d’acciaio, posate fino a più di 220 metri di profondità: condutture a pressione che trasportano sulle sponde venete gli scarichi fognari della costa lombarda. I tubi sono vecchi, hanno più di quarant’anni e sono arrivati a fine corsa: gli esperti scrivono che hanno superato «il limite di scadenza tecnica». Quindi vengono ispezionati ogni anno, con risultati preoccupanti: mostrano segni «sempre più gravi e diffusi» di corrosione, che impongono centinaia di piccole o grandi riparazioni, con squadre di sommozzatori che s’immergono per togliere incrostazioni, saldare con resine speciali, mettere pesanti cerotti metalli-

ci, chiamati clampe, nei punti più usurati. Gli ingegneri avvertono che c’è «un rischio molto alto» di un vero «disastro ecologico». Ma i soldi per salvare il lago non si trovano. E i progetti non partono. Per cui una delle aree turistiche più ricche d’Italia continua ad avere le fognature coi cerotti. In compenso, fervono i lavori per circondare tutto il lago con una faraonica pista «ciclo-pedonale» da almeno 344 milioni di euro. Che rischia di stravolgere l’ambiente e il paesaggio, con decine di chilometri di spiagge cementate e con distese di travi e piloni d’acciaio ancorati sulle pareti di roccia bianca, a strapiombo sul lago.

Il sistema fognario del Garda è nato male, negli anni ’70, ed è in crisi da sempre. È un «collettore» unico per decine di comuni bresciani e veronesi. Se un turista tira l’acqua a Salò, i liquami risalgono chilometri di tubazioni fino a Toscolano,

INCHIESTA AMBIENTE E TURISMO
Foto: Manuel Romano/NurPhoto via Getty Images
Il lago rischia un disastro ecologico: la megaconduttura sul fondo è corrosa, gli scarichi minacciano le acque. Ma i progetti sono fermi: le regioni più ricche d’Italia non trovano i soldi
50 15 settembre 2023

sprofondano nelle condotte a metà lago, riemergono a Brancolino di Torri e poi discendono la riviera veronese fino al depuratore di Peschiera, che li riversa nel fiume Mincio. Una follia idraulica. Aggravata dalla mancata separazione tra fognature e piogge, che a ogni temporale fanno saltare tombini e scolmatori. Ora i tecnici confermano che la parte subacquea è usurata: l’ultima ispezione, depositata in maggio, ha evidenziato (e fotografato) 3,5 chilometri di «corrosioni esterne». Che dal 2018, in soli cinque anni, sono raddoppiate.

«Un’eventuale rottura sarebbe un disastro per tutto l’ecosistema, ma anche per l’economia», avverte Angelo Cresco, presidente della società pubblica Ags che gestisce il sistema di depurazione veronese, mostrando il progetto approvato dal ministero dell’Ambiente fin dal 2016: «Le condotte sub-lacuali vanno eliminate, gli scari-

chi bresciani devono confluire in un nuovo depuratore, potranno arrivare a Peschiera solo i reflui di Desenzano e Sirmione, ma via terra». A Brescia, però, «siamo ancora fermi alle carte», osserva Pierlucio Ceresa, segretario generale della Comunità del Garda: «Solo il 7 settembre, nell’ultimo vertice con i rappresentanti del governo e delle due regioni, è stato approvato il via libera al bando per la progettazione definitiva del nuovo depuratore di Gavardo». Dove un fronte politico trasversale è già in trincea contro l’ipotesi di «trasferire l’inquinamento nel fiume Chiese».

Il problema più sentito però è il denaro: la spesa preventivata nel 2016 era di 220 milioni di euro (da rivalutare almeno del 30 per cento), di cui solo 100 coperti da fondi statali concessi ancora dal governo Gentiloni. In questi anni l’Ags ne ha consumati 44 per sostituire le condotte più deteriora-

TURISTI IN FILA

Vacanzieri a passeggio tra le acque della costa bresciana del Garda, davanti all’isola dei Conigli, lungo la spiaggia emersa durante l’ultima grave siccità

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te sotto le spiagge veronesi, a Malcesine e vicino a Peschiera. Adesso sono finiti i soldi. E a Brescia non c’è neanche un progetto approvato.

Il grande lago in pericolo, intanto, continua a generare ricchezza, divisa tra tanti piccoli centri di tre regioni diverse: gli incassi di circa 25 milioni di presenze turistiche all’anno, con folle di stranieri. I primi tre paesi della riviera veronese, con 23 mila abitanti in tutto, registrano più di otto milioni di pernottamenti in alberghi, campeggi e residence: più di Rimini. Tra le prime 50 capitali turistiche italiane, ci sono 6 località gardesane, che insieme superano le presenze annuali di Firenze ed eguagliano Venezia

COSTIERA SFREGIATA

I lavori di costruzione della pista ciclopedonale di Limone sul Garda nel 2018: piloni d’acciaio, scavi nella roccia e reti contro le frane visti dal basso, dal livello del lago

Trentino, Lombardia e Veneto varano

stagione

Parchi divertimento si torna a investire

Oltre 120 milioni di investimenti e la creazione di nuovi posti di lavoro: il comparto dei parchi a tema in Italia è ripartito spedito dopo il periodo buio legato alla pandemia che aveva visto la perdita di 250 milioni di ricavi.

Secondo i dati forniti dall’Associazione parchi permanenti italiani di Confindustria, nel 2023 sono stati assorbiti oltre ventimila stagionali a fronte di un flusso di visitatori interni che ha superato a oggi i 20 milioni (1,5 sono invece gli stranieri).

Molti gli obiettivi da raggiungere soprattutto in materia di sostenibilità e risparmio energetico: dagli impianti fotovoltaici a quelli per il filtraggio e riciclo dell’acqua. E aumentano anche le risorse, circa 15 milioni di euro, per l’allestimento degli spettacoli dal vivo, sull’esempio dei parchi francesi, con produzioni

di qualità elevata. Fra le 230 strutture della categoria, l’area del Lago di Garda si impone sul mercato con Gardaland Park e l’annesso Gardaland Resort, non lontano da Peschiera del Garda, lungo la sponda veneta: entrambi fanno parte di Merlin Entertainments, leader nello svago per famiglie, al primo posto in Europa e secondo operatore al mondo per numero di visitatori. Durante la stagione estiva il parco, che festeggia i vent’anni di attività, ha prolungato l’apertura fino alle 23 con l’iniziativa Gardaland Night is Magic: musica, luci ed effetti speciali.

«Gardaland si conferma come destinazione amata dagli italiani: in particolare abbiamo registrato un aumento dei gruppi di giovanissimi e di famiglie con bambini in età compresa fra i 6 e i 12 anni», spiega Sabrina de Carvalho, amministratrice delegata del parco. «Gli stranieri hanno raggiunto una percentuale pari al 30 per cento con in testa la Germania seguita da Austria, Svizzera, Slovenia e Croazia. Quest’anno gli ospiti hanno prenotato in anticipo, in media cinquanta giorni prima della data di arrivo, e si sono ferma-

INCHIESTA AMBIENTE E TURISMO
una ciclabile da 344 milioni che cementa spiagge e scogliere. Italia Nostra:
“Costi abnormi, distruggerà il paesaggio”
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Antonia Matarrese La

(oltre 12 milioni). Il Garda ha resistito anche al Covid: nel 2021 quei sei paesi hanno avuto più turisti di Roma. Eppure per le fognature non si trovano i soldi. Che abbondano invece per la ciclabile d’oro.

Tra Veneto, Lombardia e Trentino fioccano le delibere, da finanziare con i fondi del Pnrr, per costruire una passeggiata sul lago larga tre metri, con un costo preventivato di 344,5 milioni più Iva. Una colata di cemento lunga 166 chilometri per bici e pedoni (quindi non una vera ciclovia) che ha già cominciato a consumare spiagge, scogli e canneti, che sono depuratori naturali. In Trentino, dove il lago è circondato da falesie maestose, la Provincia a trazione leghista progetta 54 chilometri di pista, con viadotti sospesi da agganciare alle rocce con tiranti d’acciaio e tettoie para-massi. Il modello è la ciclopedonale di Limone: vista dall’alto è bella, dal basso è mostruosa.

Decine di comitati, con Italia Nostra,

ti più a lungo nelle nostre strutture». Non sarà difficile quindi superare i tre milioni di presenze del 2022. I numeri, per ora, sono da brivido: l’attrazione battezzata Raptor, con tanto di caduta mozzafiato da 33 metri di altezza e una velocità di punta al limite dei 90 chilometri orari, ha raggiunto la cifra record di 18 milioni di riders a bordo.

«Investiamo budget sostanziosi in infrastrutture, manutenzione, servizi ma anche in risorse umane: a fronte di 230 dipendenti fissi, sono stati presi un migliaio di lavoratori stagionali», sottolinea de Carvalho. Fra il parco acquatico realizzato con milioni di coloratissimi mattoncini Lego e il Gardaland Sea Life Aquarium che ospita oltre cinquemila creature marine, trovano spazio tre alberghi per un totale di 475 camere di cui 264 a tema: si può scegliere di trascorrere la notte in un igloo oppure sotto un grande albero fra intrecci di piante rampicanti e funghi che sembrano usciti da un libro di fiabe.

Gli appassionati di cinema puntano su Lazise in provincia di Verona e il suo Movieland, ispirato agli Uni-

Wwf e Legambiente, scrivono da mesi denunce e appelli alle autorità, con obiezioni motivate, dai «rischi elevatissimi di frane e terremoti» ai «costi abnormi». Ma la giunta trentina ha appena stanziato 2,1 milioni per «quasi cento metri» di nuova pista: fanno 21 milioni di euro al chilometro, il costo medio di un’autostrada. Quaranta volte il prezzo della miglior ciclabile di pianura.

Luca Rinaldi, il soprintendente di Brescia, la definisce «un’operazione insostenibile, irragionevole, di marketing turistico, con effetti devastanti». Per la presidente trentina di Italia Nostra, Manuela Baldracchi, «distruggerà per sempre il nostro paesaggio, che va salvato per le generazioni future». Professori, architetti e gruppi civici lanciano anche controproposte ragionate: usare vie già esistenti, gallerie inutilizzate e un servizio di battelli elettrici per superare le scogliere più pericolose, a costi molto più bassi, e scoprire davvero il lago.

versal Studios americani, che ha ospitato fra gli altri il Movieland Pride e il Movieland Cosplay Celebration. Qui i turisti fanno la fila per mangiare al Daytona, ristorante a tema officina dove i piatti in menù vengono serviti da una squadra di carrelli elevatori automatizzati.

Presenze in netto aumento anche a Lonato del Garda, sul versante bresciano, che piace ai turisti di lingua francofona ma conta anche sull’interesse di danesi, svedesi, norvegesi oltre che sullo zoccolo duro rappresentato dai tedeschi, soprattutto in questo scorcio di fine estate. Qui, lo scenario imponente della Rocca da cui si gode una vista suggestiva sul basso lago, fa da sfondo ai tradizionali appuntamenti dedicati a Harry Potter (i prossimi sono previsti il 15 e il 22 ottobre). Fra le novità, una Escape Box destinata agli over 14, dove risolvere enigmi seguendo le indicazioni e i consigli segreti di Sirius Black per riuscire a raggiungere virtualmente l’uscita del maniero prima che le porte si chiudano definitivamente. Il tutto da svolgere nell’arco di un’ora.

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l 2 settembre scorso, Giuliano Amato ha tolto il velo al mistero di Ustica – l’abbattimento del Dc9 dell’Itavia, partito da Bologna il 27 giugno 1980 e mai atterrato a Palermo – dicendo quello che molti hanno sostenuto in questo lungo tempo. Le reazioni sono state scomposte, chiedendo conto del perché improvvisamente abbia sollevato il problema e quali secondi fini lo abbiamo spinto. Nessuno ha ricordato lo scandalo vero, già individuato da Francesco Cossiga con parole come pietre: «In uno stato di diritto può accadere che 81 cittadini vengano uccisi; ma non può accadere che non si sappia

Strage di Ustica L’ultima occasione per dire la verità

come, quando, per quali negligenze, per quali responsabilità».

Nell’intervista a Simonetta Fiori su Repubblica, Amato ricorda la seduta della Camera dei deputati nel 1986 in cui rispose a molte interpellanze e interrogazioni: già allora escluse l’ipotesi del cedimento strutturale e della bomba a bordo, ma non fu certamente netto nell’individuare la causa del disastro (tanto che Stefano Rodotà e il sottoscritto, allora deputato, ci dichiarammo insoddisfatti sostenendo l’ipotesi già evidente del missile e denunciando il ruolo di insabbiamento dei Servizi segreti).

Solo nel 1989 Amato affermò che finalmente si era rotto il muro dell’omertà e che la tesi del missile non era più una semplice ipotesi. Fu un anno importante perché la commissione peritale, su incarico del giudice istruttore Vittorio Bucarelli e presieduta dall’ingegner Massimo

Politica e militari hanno insabbiato le loro responsabilità. Ma è ora che la tesi del missile diventi ufficiale

Blasi, consegnò un’imponente relazione che dava conto delle ipotesi da scartare e da accreditare. Solo quella di un missile reggeva perché l’aereo era rimasto integro fino all’impatto con l’acqua e per la presenza di alcuni fori dall’esterno nella parte anteriore. Fu anche l’anno del recupero del relitto. Il Senato se ne occupò con un confronto con il ministro della Difesa, Mino Martinazzoli, che si trincerò dietro l’attività della magistratura e il segreto istruttorio.

Nel giugno dello stesso 1989 questo settimanale pubblicò un libro bianco sulla strage di Ustica intitolato “Vergogna di Stato”, curato da Pierluigi Ficoneri e Mario Scialoja, con due editoriali di Antonio Gambino. E continuò l’impegno della società civile: Francesco Rutelli, leader dei Verdi Arcobaleno, presentò un dossier di un autorevole istituto di ricerca (Irdisp). La reazione dei militari fu durissima: il capo di Stato maggiore dipinse i giornali come la «classe verbale».

La recente ricostruzione di Amato è chiara. Quella sera vi fu un’azione di guerra contro il leader libico Gheddafi, con violazione della nostra sovranità nazionale da parte della Nato e della Francia. Difficile per la politica scoperchiare questa verità. Difficile ammettere che, come dice Amato, «un apparato costituito da esponenti militari di più Paesi abbia negato ripetutamente la verità…coprendo il delitto per una ragion di Stato, anzi dovremmo dire “per una ragion di Stati”, o per una “ragion di Nato”». E conclude: «La Nato ci guadagna oggi ad apparire ancor più disumana nascondendo ancora una tragedia del genere?». Siamo arrivati al punto. Si sa tutto, ma non può diventare verità ufficiale, perché verrebbero alla luce lo strapotere di apparati militari occulti – una vera casta – e la debolezza della politica e della democrazia. Per il Parlamento e la magistratura è ultima occasione. Che non vada perduta.

FUORILUOGO
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I

Asili contro i clan nel nome di mio zio

colloquio con GIANMARIO SIANI di ANNA DICHIARANTE

illustrazione di IVAN CANU

Quando Gianmario Siani arriva al Palazzo delle Arti di Napoli, la somiglianza si nota subito. Quell’aria di famiglia con suo zio Giancarlo – l’unico giornalista assassinato in Campania per mano della camorra – si scorge nei tratti del volto, nel sorriso, nei capelli folti sulla fronte. Così, in questa città, il cognome con cui si nasce può segnare l’esistenza. E Gianmario, classe 1990, avvocato penalista, il suo lo ha sempre portato «con naturalezza», pur avendo preso via via coscienza della responsabilità che ne deriva. Perciò viene spesso qui: dal 2019, nel museo partenopeo dell’arte contemporanea, è stata allestita una “Sala della memoria” dedicata alle vittime innocenti della criminalità organizzata e in particolare a Giancarlo. Uno zio mai conosciuto, una presenza costante.

È un caldo pomeriggio d’estate, come calda era la sera del 23 settembre 1985. Quella in cui Siani, 26 anni appena compiuti, venne ucciso dai colpi sparati da due killer che lo attendevano sotto casa, in un parco del Vomero. Gianmario è figlio di Paolo, il fratello maggiore di Giancarlo, primario di Pediatria, ex parlamentare e promotore di molte iniziative a tutela dei diritti dell’infanzia. «Sebbene io sia nato dopo, questa storia è parte di me», dice il nipote, presidente della Fondazione intitolata allo zio: «Mia sorella Ludovica, di tre anni più grande, è vicepresidente. Per noi è stato normale entrare nel ruolo quando, nel 2019, si è deciso di dare una nuova veste all’associazione culturale creata nei mesi successivi alla morte di Giancarlo. Ormai siamo adulti, è giusto che diamo il nostro contributo». Entrambi si sentono «testimoni di seconda generazione», investiti del dovere di tramandare la memoria.

Ecco, quindi, il senso della sala al Pan. Al

Gianmario Siani è il nipote di Giancarlo, unico giornalista ucciso dalla camorra. Tiene viva la sua memoria con la Fondazione a lui dedicata. Anche se non l’ha mai conosciuto

centro della stanza è parcheggiata la Citroën Mehari verde di Siani: al volante di quel fuoristrada lo sorpresero i sicari. Rientrava dal lavoro, dalla redazione centrale del Mattino di Napoli dove aveva conquistato una scrivania dopo un lungo periodo da cronista abusivo, corrispondente da Torre Annunziata. Ma prima del contratto di assunzione irruppe la camorra. Troppo scomode le sue inchieste, troppo illuminanti nell’analisi della realtà e nella denuncia delle connivenze politiche. Soprattutto l’articolo in cui svelò i retroscena dell’alleanza tra i clan Nuvoletta di Marano e Gionta di Torre Annunziata. Quando, nel giugno 1985, il boss Valentino Gionta venne arrestato nella roccaforte degli alleati, Siani scrisse che la sua cattura era il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per siglare la pace con gli affiliati del capo casalese Antonio Bardellino e per confluire nella Nuova Famiglia: un’accusa di tradimento vendicata con il sangue.

«Mio zio rappresenta agli occhi dell’o-

I DIALOGHI DE L’ESPRESSO 56 15 settembre 2023

pinione pubblica un’enorme ingiustizia», spiega Gianmario: «Era un giovane, simile a tanti altri, ed è stato ucciso solo perché faceva bene il suo mestiere. A chi gli chiedeva se avesse paura di mettersi contro potenti boss rispondeva che non ce n’era motivo: si limitava a riportare i fatti con rigore. Era un cronista, una persona comune, insomma, non intendeva calarsi nei panni dell’eroe. E proprio per questo, oggi, la gente lo percepisce vicino, lo chiama semplicemente per nome come si fa con un parente o un amico. Così noi abbiamo insistito affinché nell’immaginario collettivo si cristallizzassero le fotografie del suo viso sorridente piuttosto che quelle del suo corpo senza vita dopo l’agguato». Per ottenere tale risultato, però, sono serviti tempo e fatica. «Dopo l’omicidio è cominciata una lotta contro l’oblio e contro la macchina del fango, alimentata da depistaggi utili a confondere le indagini e a screditare la vittima. Una lotta che si sono addossati per la gran parte mio padre e Geppino Fiorenza, attuale presidente onorario della Fondazione. Insieme, in sella a una Vespa, attraversavano Napoli cercando scuole in cui parlare di Giancarlo: rivolgersi a bambini e ragazzi, instillare in loro gli anticorpi alla sopraffazione mafiosa era l’obiettivo principale. Ma li accoglievano pochi presidi illuminati o maestri impietositi. “Che cosa c’entra la scuola con la camorra?”, era la domanda più frequente». Piano piano s’è capito che quello è esattamente il contesto in cui si può estirpare la malapianta: «Ora gli inviti sono numerosi, vengono da ogni angolo d’Italia. Non è facile gestirli, ma lo facciamo con passione; anzi, ci emoziona molto il fatto di essere richiesti in posti lontani: significa che la figura di mio zio è nota anche lì».

Del resto, Gianmario non ricorda un momento in cui questa storia sia stata raccontata a lui e a Ludovica per intero. È stata una progressiva introiezione. «La casa dei miei nonni era tappezzata d’immagini dello zio, siamo cresciuti sotto il suo sguardo. Io, soprattutto, ero abituato ai lapsus che scambiavano il mio nome con il suo. Eppure di

lui non sapevamo quasi nulla. Ci dicevano che abitava tra gli angeli; visto che a noi piccoli veniva ripetuto di non toccare le prese elettriche, mi ero convinto che fosse morto violando il divieto. Poi abbiamo iniziato a seguire le iniziative dell’associazione, a leggere, ad ascoltare i suoi colleghi o magistrati come Armando D’Alterio, che condusse l’inchiesta sull’omicidio. Abbiamo approfondito la vicenda giudiziaria, da cui ci avevano tenuti al riparo; nemmeno mio padre partecipava al processo, preferiva impiegare quelle ore per incontrare scolaresche. Allora abbiamo scoperto la verità. Ma chiedere ci costa ancora oggi: le parole su mio zio si mischiano sempre a dolore, nostalgia, talvolta rabbia».

Di certo, Siani è diventato uno dei simboli di Napoli. E “Fortapàsc”, ilfilmdi Marco Risi sulla sua vita, ha aiutato. «Quando la Mehari, dopo il dissequestro e prima di essere ospitata al Pan, è stata rimessa in moto, veniva riconosciuta dalla gente per strada. La città è stata sconvolta dall’assassinio di mio zio, anche se forse non ha imparato dagli errori». L’amarezza di Gianmario viene confermata dalla cronaca. Nella Campania ferita dal terremo-

I DIALOGHI DE L’ESPRESSO 58 15 settembre 2023
“Contro la mafia serve investire in istruzione, cultura, lavoro. Partendo dai bambini. Perciò andiamo a parlare nelle scuole. E simbolica sarà l’intitolazione di un nido di Bacoli a Giancarlo”

to dell’Irpinia del 1980, Siani s’imbatté nelle infiltrazioni camorristiche occupandosi di ricostruzione, crisi industriali, lotte sindacali, abusivismo e droga. Dopo decenni, la sostanza non è cambiata.

Diversa, invece, è la sensibilità anche fuori dai confini regionali: «Gli insegnanti parlano spontaneamente di Giancarlo nelle classi. Sono centinaia i luoghi che gli sono stati dedicati, in alcuni casi superando diffidenze e lungaggini burocratiche, dall’istituto comprensivo di Pianura all’aula magna delle elementari di Lendinara. Agli studenti che m’interrogano su cosa fare rispondo che è necessario investire con urgenza in istruzione, cultura e lavoro. Contro la criminalità organizzata, la repressione non basta; occorre prevenire e interrompere l’afflusso di nuove leve. Se la mafia evolve, si aggiorni pure l’antimafia. Come? Fornendo risorse e speranza laddove l’illegalità pare scelta obbligata. Con un piano di sviluppo per il Sud e maggiore consapevolezza al Nord. Non rassegniamoci ad allontanare i ragazzi dalle comunità d’origine, che si tratti di Reggio Calabria, Palermo o Quarto Oggiaro: risaniamo quei territori e garantiamo le stesse opportunità che si trovano altrove. Di fronte alle violenze di Caivano, guardiamo al misero numero di posti disponibili negli asili nido rispetto alla popolazione e compren-

GIOVANE CRONISTA

Da sinistra: Giancarlo Siani (Napoli, 19 settembre 1959 – 23 settembre 1985) con il simbolo della pace disegnato sul volto in una foto scattata dal fratello Paolo a una manifestazione a Roma, il 21 gennaio 1980; il giovane giornalista del Mattino gioca a calcio in spiaggia, all’inizio degli anni Ottanta; il suo corpo senza vita all’interno della Mehari, con i fotografi appena giunti sul luogo dell’agguato

deremo perché nascere qui suoni come una condanna».

Alla mente torna l’ultimo articolo di Siani, pubblicato sul Mattino del 22 settembre 1985: «Li chiamano “muschilli”, gli spacciatori in calzoncini, i corrieri-baby… Li utilizzano per non correre rischi. I “muschilli” sono agili, si spostano da un quartiere all’altro e non danno nell’occhio, sfuggono al controllo di polizia e carabinieri. Ma soprattutto sono minorenni: anche se trovati con la bustina d’eroina in tasca non sono imputabili… Per loro quale futuro? Se non diventano consumatori di eroina, se riescono a sopravvivere, è difficile che possano imboccare altra strada che non sia l’illegalità». Ecco perché, tra i progetti che si stanno realizzando per l’anniversario della morte, Gianmario considera un bel segnale l’intitolazione allo zio di un asilo nido a Bacoli: «Bisogna proteggere i bambini già in quella fascia d’età o si rischia d’intervenire tardi».

Questa è la missione di Gianmario, Ludovica e altre «seconde generazioni». Da Goffredo Locatelli, che celebra il ricordo del nonno Marcello Torre, sindaco di Pagani ucciso dalla camorra nel 1980, a Luisa Impastato, nipote di Peppino, vittima di Cosa nostra nel 1978, che presiede la Casa Memoria di Cinisi. Testimoni indiretti che hanno raccolto la sfida dell’impegno.

Foto: Newfotosud / La Presse (2)
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ATrento, durante il dibattito organizzato dalla Scuola Gea su “Specismo e grandi carnivori” esordisco con un meme che recita: «I grandi carnivori sono pericolosi?». E continuo: «Per rispondere a questa domanda abbiamo invitato in studio degli esseri umani ovvero coloro che si sono disegnati da soli in cima alla catena alimentare». Sperando che mi si perdoni il fatto che recitare un meme durante un dibattito è quantomeno ridicolo, il mio sforzo “memetico” aveva lo scopo di sferzare, da subito, un colpo beffardo all’antropocentrismo; che poi sarebbe più giusto chiamare androcentrismo, visto che, in una con-

Giustizia climatica

Perché le parole sono importanti

sueta scivolata linguistica, si dice «uomo» al posto di «essere umano». Scivolata che sembra quasi più una volontà di evidenziare l’agente, il soggetto, di questo centro. Questo maschile sovraesteso ha amplificato, fino a poco fa, delle voci specifiche, che hanno scelto la direzione e la grammatica con lo scopo di proteggere degli interessi. Parlare, per esempio, di transizione invece che di riconversione ecologica, di sviluppo sostenibile invece che di giustizia climatica (e sociale) ha significato non mettere tutte le carte in tavola, confondere, intenzionalmente, il centro con il margine. O meglio con gli scarti. In un remake di Palombella Rossa forse oggi Nanni Moretti direbbe che «le parole della crisi climatica sono importanti», magari senza schiaffeggiare nessuna. Forse è persino ridondante citare il prezzemolo linguistico che è la parola «green», si è infatti riusciti persino a rovinare

Di fronte al prezzemolo linguistico che è il termine “green”, occorre intendersi su cosa è cruciale

un colore. Dobbiamo chiedere con molta più insistenza: ma green per chi? Lo stesso vale, com’è chiaro, per il termine «sviluppo»: che modello di sviluppo si contempla e per chi? Sulla base di quali bisogni e desideri?

Il sentimento più banale, il retropensiero più comune, nelle giornate di formazione del Festival dell’ecologia integrale organizzato dalla Scuola Gea è stata la volontà di capirsi e, tuttavia, la difficoltà nel condividere un linguaggio e, in primo luogo, di trovare spazi per incontrarsi e per farlo. Toglierci gli spazi di cittadinanza, eroderli e sgomberarli, ha significato dichiarare guerra alla nostra sopravvivenza su questo pianeta. Questo è stato assolutamente intenzionale. Il nostro presente è infatti intessuto da un desiderio profondo per un mondo migliore, soprattutto è costellato di realtà che si impegnano per realizzarlo. Le risorse devono quindi essere investite lì dove ci si può ascoltare, dove si possono creare comunità di verità con le parole giuste, soppesate e condivise insieme. Vanno allora amplificate le voci dal Sud del mondo, di chi vive la crisi delle risorse e il collasso degli ecosistemi dall’inizio del colonialismo europeo. In “Cospirazione animale,” Marco Reggio scrive di come dove ci sia potere, ci sia sempre resistenza. Credo sia sempre un buon modo di cercare le pratiche di lotta tra i pertugi e gli anfratti più reconditi, dopotutto è vero che la radicalità, cioè l’estirpare alla radice un problema, la troviamo nei luoghi e nelle persone più inimmaginabili, spesso fuori e lontani dai nostri spazi politici. Nel capitolo come “Smontare delicatamente il mondo”, Reggio condivide delle note per un’ecologia non antropocentrica.

Scritto a margine di quel capitolo, forse estratto da altri appunti, ho segnato: «Affrontare le sfide, comporre le differenze, accorciare le distanze e soprattutto condividere un destino».

RESISTENTI
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ESTERI I FRONTI DELLA GUERRA

ASILO

Un migrante in cerca di asilo visto sul lato bielorusso del muro di confine polacco a Bialowieza

Il muro polacco contro i migranti usati come armi

SABATO ANGIERI da Bialowieza, confine bielorusso-polacco

Un uomo riverso, disteso nell’erba nei pressi di un torrente, coperto da strati di vestiti su tutto il corpo tranne che sulla pancia gonfia è il 45° morto accertato tra i migranti nella foresta di Bialowieza, al confine tra Bielorussia e Polonia. Seduta intorno al tavolo a mangiare zuppa di fagioli come gli altri, Karola osserva la foto dallo schermo di uno smartphone. Lo passa in silenzio e così lo vediamo tutti. Nel pomeriggio su Internet viene pubblicata la fotografia di un sentiero con vestiti e scarpe abbandonate ma senza corpi. «Non possiamo, non è giusto», dice Karola mentre prepara lo zaino da portare nei boschi. A notte fonda quello stesso zaino, pieno di termos con altra zuppa e tè caldo, indumenti, sacchi a pelo e medicinali, sarà sulle spalle di chi si avventura nell’oscurità della foresta alla ricerca di uomini e donne

in fuga disperata.

Karola è soprannominata Kalashnikov, è abbastanza alta, ha i capelli rasati a zero, pantaloni larghi e braccia finissime sotto la maglietta lunga. Indossa perennemente un cappellino. Il suo look un po’ anarchico un po’ da bullo anni ’90 è tradito dall’espressione troppo dolce e dalla mancanza totale di animosità. Parla molto lentamente con un tono di voce basso e soporifero difficile da seguire per chi non la conosce. Ma nel folto nero della foresta si trasforma in una pantera silenziosa. Cammina spedita evitando gli ostacoli e non controlla quasi mai la mappa nonostante la luna sia coperta e la notte sia nera come la pece. È in testa al gruppo, e per un secondo viene da chiedersi dove sia finita la ragazza flemmatica di prima. Non impone alcuna autorità eppure sei portato naturalmente a seguirla perché nei suoi gesti non si coglie il minimo dubbio. Con i migranti è attenta, si dà da fare in fretta: distribuisce

cibo e bevande calde, cura le ferite lievi e raccoglie informazioni. A un certo punto si volta e mi guarda: «Puoi fumare ora se vuoi», si ferma, «te lo dico perché anche io volevo» e ride. Durante il tragitto qualsiasi luce è pericolosa, si rischia di venire individuati dai droni di sorveglianza della polizia e di mettere a repentaglio i migranti che sono già in una situazione tremenda. Farshad, ad esempio, un ragazzone di 21 anni siriano, trema senza sosta. È caduto in un ruscello mentre scappava con il suo gruppo, ora ha tutti i vestiti bagnati e la temperatura di notte già sfiora lo zero. Non riesce ad allungare il braccio per prendere la zuppa e, quando la afferra, dal cucchiaio gli cadono in continuazione pezzi di legumi come se avesse il morbo di Parkinson. Mohammed, anche lui siriano, sta provando a passare per la quarta volta e giura che stavolta «qualsiasi cosa succeda» non si farà respingere. «Mi hanno

Al confine Ue dove Russia e Bielorussia spingono migliaia di rifugiati.
Morawiecki ha blindato l’accesso agitando lo spettro della sostituzione etnica
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ESTERI I FRONTI DELLA GUERRA

detto che mi ammazzeranno se mi rivedono», racconta riferendosi ai poliziotti bielorussi. Il più giovane, un ragazzino somalo di 16 anni è l’unico africano del gruppo. Ha degli ematomi sul volto e sulle tempie. «Chi te li ha fatti?», chiediamo, il rischio che nei gruppi in fuga si creino dinamiche da branco e che il più giovane o chi appartiene a etnie diverse sia maltrattato è reale. Ma non sembra questo il caso. «Sono inciampato mentre scappavo, la polizia ci aveva avvistato», risponde l’adolescente. In tutto sono 9 persone, tra cui un anziano, in mezzo a un intrico di rovi e alberi spezzati con i vestiti bagnati per aver passato il fiume, le caviglie gonfie, le ginocchia doloranti, i segni sulla schiena e i tagli di chi cammina ininterrottamente da 5 giorni, da 10 giorni, anche da settimane. Chiedo all’anziano se posso riprenderlo. «Perché?», risponde in francese. «Per documentare». Ci riflette. «Meglio di no, la polizia può farmi molto male se lo vede». Suo figlio, che mi indica con un gesto della fronte, è il più irrequieto del gruppo, «si vede che non è mai stato respinto», dirà ridendo uno degli attivisti il giorno dopo. «La polizia vi ha seguito?», chiede, quasi ad alta voce. «Sssshh», gli dicono in coro tutti.

RESPINGIMENTI

Migranti provenienti dal Marocco che hanno vissuto nella foresta per 23 giorni respinti in Bielorussia per tre volte. A destra, la firma dei documenti con la procura allo staff della Fondazione Ocalenie per la richiesta di assistenza

«Ah, ok», dice lui. «Ma la polizia è vicina o no?». Continua a ripetere «Ah, ok», qualsiasi cosa gli diciamo. «Grazie…grazie…siete brave persone», dice prima di salutarci, «ma la polizia? E il fiume lì è alto?». Il giorno dopo vengo a sapere che i ragazzi sono stati visti di nuovo: dei 9 originari ne sono rimasti 4, padre e figlio separati, ma hanno preso il padre. Pochi minuti, richiudiamo gli zaini e partiamo dietro Karola che riprende a camminare svelta e silenziosa, non si ferma mai non accende la luce e non parla se non ce n’è assolutamente bisogno.

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Stando a ciò che raccontano i migranti, i trafficanti chiedono tra i 5 e gli 8 mila dollari per il biglietto d’aereo verso Minsk o Mosca e per il passaggio in macchina fino al confine bielorusso. Chi non li ha tutti va come può, anche a piedi. Una volta riusciti a passare la frontiera, c’è qualcuno chi li aspetta con un taxi o una macchina ad almeno 15 chilometri di distanza, che i migranti devono compiere nei boschi. Il rischio evidente è che non ci sia nessuno o che il conducente sia stato arrestato. Secondo alcuni, chi paga di più ha anche dei passaggi privilegiati in alcuni punti del muro. Circolano storie di checkpoint che spariscono magicamen-

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te per pochi minuti, di cancelli che si aprono all’improvviso o di guardie che prendono direttamente soldi. Ma sono storie non verificabili.

Le guardie di frontiera non sono tutte cowboy con il culto della razza ariana. Ci sono anche agenti anziani che ogni tanto di nascosto distribuiscono acqua o permettono agli attivisti di far passare qualcosa, soprattutto quando ci sono anche donne e bambini, lo raccontano i migranti stessi. Ma sono casi rari, la maggior parte delle guardie si dividono in due categorie: le reclute e gli anziani. Questi ultimi sono quelli che hanno fatto della difesa dei confini la propria missione. Ragionarci è impossibile. Gli altri sono ragazzini freschi di arruolamento che per dimostrarsi all’altezza si comportano da intransigenti e si sforzano di trasmettere più disprezzo possibile da sopra gli scaldacollo verde scuro che coprono il volto fino agli occhi.

Durante le ore del giorno il confine tra Polonia e Bielorussia appare come una zona tranquilla: una verde frontiera di boschi di pini stretti e alti, talmente fitti da impedire la vista a pochi metri. Paesini di campagna dall’aspetto anonimo, a tratti qualche

piccolo agglomerato di casette di legno decorate (molte delle quali affittate ai turisti) e di nuovo macchie estese di verde che resiste rigoglioso anche al caldo estivo. In ogni fosso e avvallamento uno specchio d’acqua: torrenti, fiumi, paludi, polle e laghetti. Per questo fino al 2021 la regione di Bialowieza era una delle mete predilette di polacchi e nordeuropei che pianificavano qui le loro escursioni in bici a piedi o in canoa tra le centinaia di percorsi persi nei boschi. Da due anni, invece, è il luogo dal quale centinaia di migranti, soprattutto mediorientali, tentano di entrare nel territorio polacco per poi proseguire verso l’Europa occidentale. Fin da subito la Polonia ha accusato la Bielorussia di «mossa premeditata volta a destabilizzare il Paese» e ha provato a bloccare questo flusso umano con il filo spinato e le forze di polizia. «All’inizio era più sorvegliato, perché non c’era il muro», ci spiega Mark, un attivista locale: «Il governo aveva fatto passare delle leggi d’emergenza che rendevano una striscia

Foto pagine 62-63: di A. Husejnow –Sopa Images/Getty Images. Foto pagine 64-65: O. Marques/Getty Images
Per 186 chilometri, una linea di grate d’acciaio alte fino a 6 metri è l’argine che secondo il governo di Varsavia avrebbe dovuto contrastare il conflitto ibrido di Lukashenko
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BARRIERE

Una guardia di frontiera cammina lungo il muro di confine tra Polonia e Bielorussia, non lontano da Bialowieza

di territorio di circa 2 km a partire dalla frontiera una zona ad accesso limitato. Dentro quest’area, dove c’erano pattugliamenti costanti, hanno impedito l’accesso agli attivisti, ai giornalisti e a chiunque volesse andare sul posto a vedere cosa stava succedendo o a dare una mano». Poi Putin ha invaso l’Ucraina e l’attenzione si è spostata altrove.

Come Viktor Orban in Ungheria, anche Mateusz Morawiecki è riuscito a vincere le elezioni in Polonia evocando il rischio della «sostituzione etnica». Nel luglio 2022 Morawiecki e gli alti funzionari del suo partito, Diritto e Giustizia, hanno inaugurato il “muro” che ora corre per tutti i 186 chilometri che separano la Polonia, e quindi l’Ue e la Nato, dalla Bielorussia, ormai feudo di Mosca. Una linea di grate d’acciaio alte fino a 6 metri che, per la propaganda del governo di Varsavia, avrebbero dovuto fare da argine alla guerra ibrida di Lukashenko. Morawiecki è riuscito anche a far passare il muro al confine con la Bielorussia come uno strumento necessario tanto da costringere quasi tutti i partiti ad adeguarsi. La stessa strategia comunicativa che il premier polacco sta adottando a Bruxelles. Così i migranti sono diventati «l’arma dei regimi di Putin e Lukashenko» e l’Ue, impegnata a sostenere l’U-

craina «fino al raggiungimento di una pace giusta», si volta dall’altra parte per non vedere che all’interno dei propri confini la giustizia è quotidianamente vessata, impedendo a centinaia di persone (che pure secondo le leggi comunitarie ne avrebbero diritto) di chiedere asilo politico.

In seguito alla provocazione dei mercenari della Wagner, che si ritraevano in marcia verso il confine, Varsavia ha deciso l’invio di ulteriori 10 mila soldati e di nuovi mezzi, rendendo questo confine uno dei più sorvegliati d’Europa e, forse, del mondo. Dall’altro lato, il presidente Lukashenko gioca diverse partite contemporaneamente. Si fa ritrarre sorridente alla cerimonia militare in cui ospita Vladimir Putin, ospita i reparti russi in addestramento e inaugura il nuovo campo base per i mercenari della Wagner, ma continua a dichiararsi «contrario all’intervento in Ucraina», a meno che Kiev non lo obbligherà, si intende. Sui migranti, generalmente, tace. Ma è dal suo Paese che arrivano ed è la sua polizia che (per prima) li terrorizza. «Go west!», andate verso Ovest, intimano. «E non azzardatevi a tornare indietro, altrimenti ve la faremo pagare» raccontano decine di ragazzi nel buio della foresta. Il problema è che anche se riescono ad arrivare a Ovest, nella Polonia democratica ed europea, la situazione non è molto migliore.

Foto: W. Radwanski –Afp /
Getty Images
La propaganda ha fatto breccia nel Paese e così i partiti si sono adeguati al premier. Lo stesso, in nome dell’impegno in Ucraina, sta accadendo a Bruxelles
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ESTERI I FRONTI DELLA GUERRA

a cura di Chiara Sgreccia

MESSICO / SÌ ALL’ABORTO

La Corte Suprema del Messico, con una decisione storica, ha dichiarato incostituzionali le norme del codice penale che puniscono l’aborto come un crimine. La sentenza riguarda le leggi federali, mentre i divieti rimangono per ora nelle legislazioni dei singoli Stati. Da subito, comunque, le donne messicane potranno interrompere legalmente una gravidanza negli ospedali e nelle strutture federali. In un Paese di religione cattolica la decisione è destinata ad avere conseguenze molto importanti. Così come in tutta l’America Latina. E potrebbe averne anche sul fenomeno del “pendolarismo abortivo”: in Texas l’aborto è fuori legge e lo Stato americano confina con il Messico per migliaia di chilometri.

verso la missione locale Unsmil. Secondo gli esperti, la tempesta Daniel è un «fenomeno estremo per la quantità di acqua caduta», un tipo di eventi sempre più frequenti. Nei giorni scorsi, si era abbattuta su Grecia, Turchia e Bulgaria dove aveva ucciso 27 persone.

IRAN / UN ANNO DOPO

SPAGNA / DIMISSIONI

Luis Rubiales, presidente della Federcalcio spagnola, ha rassegnato le dimissioni. Da quando ha celebrato la nazionale ai mondiali con un bacio sulla bocca alla capitana Jenni Hermoso è sotto indagine da parte della Procura di Madrid per violenza sessuale e coercizione. «Dopo la sospensione operata dalla Fifa, oltre al resto delle procedure aperte contro di me, è evidente che non potrò tornare in carica», ha scritto dopo aver comunicato le dimissioni. «Il Paese femminista ora avanza più rapidamente», ha commentato la seconda vicepresidente Yolanda Diaz.

LIBIA / TEMPESTA

Una forte tempesta ha colpito la parte est della Libia causando morti, feriti e distruzione. Le inondazioni provocate dalle piogge per il passaggio dell’uragano Daniel hanno spazzato via quartieri e distrutto case nelle città lungo la costa. L’epicentro del disastro è Derna, sommersa dall’acqua per lo scoppio di due dighe. L’Onu ha assicurato il proprio sostegno attra-

A un anno dalla morte di Mahsa Amini, 22enne curda uccisa a Teheran il 16 settembre 2022, per aver indossato «in modo improprio l’hijab» mentre era sotto la custodia della polizia morale, la protesta del movimento «Donna, vita, libertà» contro il regime non si è fermata. Le manifestazioni erano scoppiate il giorno del funerale di Amini, a Saqez, sua città natale, per poi diffondersi in tutto l’Iran. Nonostante la repressione durissima del governo – centinaia di manifestanti arrestati, picchiati, in alcuni casi condannati a morte –che per l’anniversario della morte di Amini si sta facendo ancora più aspra, il popolo iraniano non si è arreso. Sono soprattutto le donne a lottare a e trasformare le rivolte di massa in disobbedienza civile, capillare e localizzata. Su Internet e nelle piazze.

CANADA / STRAGE DI SALMONI

Centinaia di giovani salmoni e trote sono stati trovati morti nella baia di Cowichan, di fronte a Vancouver, nella Columbia Britannica. La baia, da sempre ricca di pesci è tradizionalmente frequentata dagli appassionati di pesca sportiva. Secondo i quotidiani canadesi, le autorità locali non hanno trovato prove di inquinamento. In mancanza di altre spiegazioni, l’ipotesi degli esperti è che la causa sia il riscaldamento delle acque, dovuto agli sconvolgimenti del clima.

Foto: A. Hernández/NurPhoto /Getty Images, H./Anadolu Agency / Getty Images, M. Fernandez –Ap / La Presse DAL MONDO
La protesta in Iran non si è mai fermata nell’anno passato dall’uccisione di Mahsa Amini
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Se le bugie si confondono con la realtà

ALESSANDRO LONGO

Aprile 2024, la crisi economica ha decimato i sostenitori del governo Meloni e già serpeggia l’idea di un voto anticipato. Le forze politiche sono pronte a un governo di coalizione per salvare l’Italia. Quand’ecco il disastro. Su tutti i social e su WhatsApp circola un’audio, che sembra un’intercettazione a Elly Schlein. Si sente la leader del Pd vantarsi della nuova villa acquistata per due milioni di euro. Scoppia anche a ridere, sui «poveracci invidiosi che non si possono permettere nemmeno un armocromista». E non è finita: qualcuno è entrato con un attacco informatico nel computer di Schlein e ha pubblicato su Internet le sue mail, da cui risulterebbe che quei soldi provengono da fonte illecita.

La propaganda

dilaga. E mina

Solo dopo si scopre che era tutto falso. Attivisti russi collegati al Cremlino hanno fabbricato, con intelligenza artificiale, un finto audio con la voce di Schlein. Sono loro a essere entrati nella posta e, assieme a mail vere, hanno pubblicato anche documenti da loro creati, con le finte prove. I cittadini italiani e i media, scandalizzati e in buona fede, hanno poi fatto circolare online quanto prodotto dai russi. Interessati non tanto a favorire la destra, quanto ad alimentare una crisi politica senza uscita. Inganno scoperto, sì, ma i danni ci sono stati. Alcuni irreversibili. Certi elettori resteranno convinti che fosse, in realtà, tutto vero.

Scenario ipotetico, naturalmente. Ma parecchio verosimile, alla luce degli allarmi lanciati negli ultimi mesi da numerosi governi e istituzioni occidentali.

A settembre, la Commissione europea

ha pubblicato un rapporto per denunciare l’aumento della disinformazione di matrice russa su tutti i social network. Del 22 per cento, precisamente, tra gennaio e maggio 2023. Post visti da centinaia di migliaia di persone diffondono le bugie dei media di Stato russi. La guerra è un’operazione contro uno Stato nazista; l’Ucraina ha fatto esplodere una centrale nucleare contaminando i cieli d’Europa, è responsabile di molti crimini di guerra, gli stessi attribuiti in realtà dagli osservatori internazionali all’esercito russo. Il problema è serio soprattutto su X, il nuovo nome di Twitter. Dopo l’acquisizione da parte di Elon Musk, la disinformazione russa è aumentata del 36 per cento, si legge nel rapporto (curato dalla non profit Reset) come in altri studi indipendenti. Tutta colpa della scelta di Musk di togliere i limiti, sui social, ai media russi, «perché tanto tutti i media sono propaganda». Il tecnologo miliardario è un noto filorepubblicano militante.

ESTERI DISINFORMATJA
russa
la democrazia negli Usa e in Europa. Italia compresa. Ai pericoli dei social si aggiungono quelli dell’Ia. In assenza di contromisure davvero efficaci
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Altri rapporti confermano l’allarme. A luglio, uno di European Council on Foreign Relations ha mostrato l’ampia presenza di campagne di disinformazione e propaganda filorussa e filocinese sui social in Italia. Quest’attività ha avuto un picco proprio prima delle elezioni politiche vinte dalla destra. Chiara la volontà di influenzarle e destabilizzare l’opinione pubblica, per minare il sostegno occidentale all’Ucraina. È successo anche in altri Paesi. Come in Francia, a quanto denunciato da quel governo a giugno.

Negli Stati Uniti le autorità sono preoccupate per le elezioni presidenziali 2024 e anche per l’uso di uno nuovo potente strumento: l’intelligenza artificiale. Il governo studia norme per regolare i deepfake politici, già ampiamente usati in campagna elettorale negli Usa. Molti sono di propaganda ufficiale, non ingannevoli, ma ce ne sono anche di disinformazione. Come un video, su Instagram, alterato per far sì che Joe Biden sembri leggere libri

CONTROVERSO

Il miliardario Elon Musk è il nuovo proprietario di Twitter, che ha rinominato X. È noto come filorepubblicano militante

sulla demenza senile. Un deepfake sofisticato, invece, ha avuto un ruolo a sostegno della recente rielezione di Recep Tayyip Erdogan in Turchia: mostrava un oppositore a braccetto con militanti curdi. Gli esempi si moltiplicano, nel mondo, e sembrano destinati a colpire presto anche noi.

«L’Italia è particolarmente vulnerabile alla disinformazione straniera», spiega Giovanni Boccia Artieri, tra i più noti sociologi del digitale (insegna all’Università di Urbino). Ne ha scritto anche in “Voci della democrazia” (scritto con Sara Bentivegna, Mulino, 2021). «Incidono il diffuso populismo, la polarizzazione del dibattito pubblico, la sfiducia della gente nei media», aggiunge.

«Una speranza viene dall’entrata in vigore, il 25 agosto scorso, della normativa europea Digital Services Act», spiega l’avvocato specializzato Rocco Panetta. Questa obbliga i social a organizzarsi al meglio delle loro possibilità per eliminare i contenuti dannosi (incluse le fake news pericolose). Con la minaccia di sanzioni fino al 6 per cento del fatturato. «Far rispettare le regole europee sulla privacy e, ora, anche quelle del Dsa può aiutare nella lotta alla disinformazione», dice Guido Scorza del Garante della Privacy: «Stiamo collaborando a tal scopo con l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in materia di profilazione e pubblicità politica. Il problema sarà però difficile da sradicare del tutto; non facciamoci illusioni».

Si unisce alla sua voce l’avvocato Massimo Borgobello: «Sarà complicato attuare il Dsa. La Commissione Ue manca di strutture e gruppi di studi adeguati per monitorare i social». E ancora, Federico Mollicone (FdI), che segue questi temi per il suo partito: «Vogliamo capire se il Dsa permetterà o meno di oscurare, in tempo reale, contenuti dannosi e illegali. Sull’applicazione concreta vigileremo e monitoreremo gli effetti anche col gruppo europeo dei Conservatori». Pessimista soprattutto Alberto Pagani (Pd), esperto di intelligence: «Non ci sono contromisure efficaci. Ciò che la politica italiana non ha capito è che la capacità delle tecnologie di manipolare su larga scala le persone è la principale minaccia per le democrazie occidentali».

Foto: Getty Images
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Il campione senza diritti

TOMMASO GIAGNI

Il 29 luglio 1912, il presidente degli Stati Uniti scrive una lettera a Jim Thorpe. William Howard Taft si congratula per il successo olimpico, e in un passaggio si lancia: «Lei ha stabilito un alto standard di sviluppo fisico, ottenuto solo attraverso una vita retta e un pensiero retto. La sua vittoria servirà a tutti come incentivo per migliorare quelle qualità che caratterizzano il tipo ideale di cittadino americano».

Dal momento che è obeso, l’anno prima pesava 150 chili e adesso segue una dieta parecchio indulgente (si concede ancora una bistecca a colazione), Taft pare riproporre in chiave comica l’insistenza del suo mentore, Theodore Roosevelt, sulla buona forma fisica. Ma nelle poche righe della lettera c’è un’altra enorme ipocrisia: in quanto nativo, Thorpe non è un cittadino americano. Lo status giuridico è invece di ward: incapace di badare a se stesso, sottoposto alla protezione di un tutore - lo Stato. Qualcosa che proviene dal 1831, quando la Corte Suprema aveva sostenuto che il rapporto fra “tribù” e governo federale fosse analogo al rapporto tra il ward e il suo tutore. Di fronte alla legge i nativi sono di fatto minorati, ancora nel 1912. E nonostante questa incapacità presunta di stare al mondo, Thorpe ha appena aggiunto due ori al medagliere degli Stati Uniti.

L’ipocrisia di Taft si assomma a quella di un campione del razzismo, James Sullivan, il maggiorente dell’Amateur Athletic Union, al quale a Stoccolma era mancato il pudore dopo le gare di Pentathlon: «Thorpe è un vero americano, se mai ce n’è stato uno», aveva dichiarato.

Riceverà la cittadinanza negli ultimi giorni del 1916: un premio individuale, una deroga meritata in quanto campione. So-

Due ori olimpici non bastarono a Jim Thorpe. Nativo americano, rimase un cittadino di serie B. E le medaglie gli vennero ritirate. Un libro racconta la sua storia

miglierà a quando di colpo, dopo le vittorie di Stoccolma, i media statunitensi avevano smesso di usare l’epiteto Indian per Thorpe, preferendo American. Né sarà diverso dalla millanteria di un senatore durante il torneo dei college 1912: se Carlisle vincerà questa partita ti procurerò la cittadinanza. Il diritto come un ottenimento, qualcosa da conseguire.

La separatezza che Thorpe avverte nei confronti della società statunitense non verrà suturata, lui continuerà a percepirsi estraneo: «[Era] parte del mondo là fuori ma ha sempre sentito una distanza», spiegherà il figlio Bill. Otto anni più tardi, grazie al servizio militare prestato durante la Grande Guerra, la cittadinanza sarà concessa a tutti i nativi. Comunque, l’Indian Citizenship Act del ’24 non porterà vera uguaglianza, mantenendo lo status di ward: cittadini sì, ma non degni della piena autonomia. Ancora quattro anni dopo, il rapporto Meriam (finanziato dalla fondazione Rockefeller e sottoposto al dipartimento degli Interni) stabilirà che i nativi sono, rispetto alla media del Paese, gravemente più poveri, peggio nutriti, serviti da strutture educative e sanitarie di peggior qualità. Essere citizen non significherà nemmeno avere diritto di voto: per l’equivalenza dovranno passare decenni. La Costituzione lascerà liberi i singoli Stati di ammettere i nativi alle urne oppure no, e il diritto verrà riconosciuto in tutti gli Stati Uniti (l’ultimo a decidersi sarà il New Mexico) quando ormai sarà il 1962: ci si andrà preparando a raggiungere la Luna, e Thorpe sarà morto da una decina d’anni.

ESTERI SPORT E RAZZISMO
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Nella stessa settimana del 1912 in cui il ward trionfava alle Olimpiadi, negli Stati Uniti usciva un cortometraggio dal titolo “The Fall of Black Hawk”. Era una celebrazione della vittoria bianca su Falco Nero e tratteggiava l’avo di Thorpe come un assetato di guerra, leader di una nazione che odiava gli americani e violava i trattati.

STOCCOLMA 1912

Thorpe lancia il martello a Stoccolma nelle Olimpiadi del 1912. Vinse l’oro nel Pentathon e nel Decathlon

Il nuovo mezzo del cinema, ancora muto, aggiungeva il suo carico di stereotipi alla rappresentazione dei nativi. Sotto i rulli di pellicole come questa si rinforzavano le basi narrative che ridussero i pellerossa, almeno fino al secondo dopoguerra, a una dimensione piatta oltre che razzista. Quasi mai si dava loro dignità di personaggi: se ne facevano, invece, sgradevoli figure senza volto, ostili o ridicole presenze prive di spessore umano, antagonisti estranei e inconoscibili. Massa minacciosa e disumana da abbattere. Nei primi decenni della sua esistenza, il cinema fu in grado di ricorrere come unica alternativa alla figura-cliché del “nobile selvaggio”: romantica, resa possibile dal compimento dello sterminio, sempre coniugata al passato remoto e quindi depotenziata. In ogni caso, l’i-

dentità nuova si costruiva per negazione. Mentre si confermavano le paure, si riaffermava il senso di superiorità della società statunitense, e si giustificava l’azione dei bianchiil genocidio dei nativi, l’appropriazione del Nordamerica. Lo si capiva già mentre stava avvenendo: nel 1910 una delegazione di Chippewa si recò a Washington dal presidente Taft per protestare contro le distorsioni del cinema.

L’avvento del sonoro allungò poi le ombre di selvaggi inevitabilmente sanguinari o idioti, quasi per natura alcolizzati, di certo meschini, capaci solo di grida barbariche. I nativi sul grande schermo non avevano quasi mai voce. Al massimo qualche battuta, magari inarticolata e comunque in una lingua fasulla. Capitava che venisse indicato di scandire appena le frasi, in modo che in postproduzione si potesse invertire l’audio senza problemi di sincronizzazione con le labbra, ottenendo una parlata al contrario, aliena, incomprensibile. Ma spesso i nativi non erano abbastanza indians: dovevano imparare a risultare autentici, secondo un copione scritto da gente che di nativi non sapeva nulla.

IL VOLUME

Pubblichiamo qui un estratto del libro “Afferrare un’ombra.

Vita di Jim Thorpe” di Tommaso Giagni, Minimum Fax, 210 pagine, 16 euro, in uscita in questi giorni

Foto: IOC Olympic Museum / Getty Images
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passato un anno dalle elezioni del 26 settembre e la Melonomics, la strategia economica di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia per l’Italia, si appresta a spegnere la prima candelina. Quindi è tempo di bilanci, al netto del fatto che, come scrive su Il Mulino online Roberto Tamborini, docente di Economia Politica all’Università di Trento, «l’Italia non è un caso speciale. Il punto interessante e allarmante della Melonomics è che non siamo in presenza di un fenomeno nazionale, bensì di un vero cambio di paradigma. Altri leaderl’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il premier ungherese Viktor Orbán, quello polacco Mateusz Morawiecki e, per certi versi, Vladimir Putin - sono già avanti sul programma e ci possono aiutare a capire qual è la prospettiva per l’Italia e per l’Occidente intero». Tamborini battezza il nuovo paradigma Nazionalcapitalismo, «che punta a relegare al passato il liberismo di matrice anglosassone e la socialdemocrazia europea», ritenuti (con qualche ragione) colpevoli entrambi della crisi economica. Infatti l’origine di questa Internazionale Nera nasce dalla catastrofe finanziaria del 2008 e dai suoi enormi costi economici e sociali. La pandemia e la guerra in Ucraina, oltre al ritorno dell’inflazione, hanno fatto il resto, aggravando le condizioni e le prospettive di vita di gran parte dei ceti popolari e di quella classe media che aveva goduto della crescita economica del secondo dopoguerra e che, dagli anni Novanta, aveva cavalcato con entusiasmo l’espansione globale post guerra fredda. Di quel mondo non è rimasto nulla e tanti cercano consolazione nella Melonomics e nel Nazionalcapitalismo, un sistema orgoglio-

PROTESTE

Manifestazione contro l’abolizione del reddito di cittadinanza a Napoli

ECONOMIA SVOLTE IDEOLOGICHE
Più intervento pubblico, meno tutele sindacali, favori alle categorie più forti. La politica economica del governo fa parte di una tendenza globale: il Nazionalcapitalismo
È
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GLORIA RIVA

Stato padrone e salari bassi È la Melonomics

PRECURSORI

samente capitalista con una cornice ideologica, politica e istituzionale fondata sull’interesse nazionale e sul ruolo dirigista del governo.

Per capire il Nazionalcapitalismo bisogna rendersi conto che non si tratta solo di un cambiamento di politica economica, ma che «il suo tratto più eclatante e conflittuale è l’esplicita contestazione di alcuni princìpi cardine della democrazia liberale: l’estensione dei diritti individuali, la divisione dei poteri, i meccanismi costituzionali di controllo sui governi, l’indipendenza della magistratura e della stampa», spiega il professore. In questo anno di governo, Meloni ha messo a punto una riforma del premierato che indebolisce i poteri di indirizzo e controllo del Quirinale e del Parlamento. Contemporaneamente ha preso forma la divisione delle carriere tra pubblici ministeri e magistrati, che asseconda la tentazione dei governi di decidere, di volta in volta, quali cassetti un pm può aprire e quali no. Ed è sempre il governo Meloni ad aver

imbastito un disegno di legge che limita, per i giornalisti, la conoscibilità e la pubblicabilità delle intercettazioni effettuate durante le indagini preliminari, ponendo quindi un pesante bavaglio alla stampa e di conseguenza relegando l’opinione pubblica a un’ignoranza di fondo rispetto a fatti rilevanti. La (preoccupante) direzione di marcia è quella di Polonia, Ungheria e Turchia. Ma che c’entra tutto questo con l’economia? «Gli studi su questo tipo di proposte politiche restituiscono un quadro abbastanza preciso di quale sia l’origine e la materia dello scambio tra garanzie democratiche ed economia», spiega Tamborini. La chiave è una diversa concezione dei compiti dello Stato rispetto al mercato. La perdurante situazione di crisi ha prodotto la polarizzazione della società e della politica: da un lato c’è chi ha rafforzato l’accesso alle risorse economiche e politiche, dall’altro c’è chi l’ha perso. Per sanare questo divario, il governo Meloni e i nazionalcapitalismi chiedono più poteri e meno controlli democratici,

ECONOMIA SVOLTE IDEOLOGICHE
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Donald Trump. A destra: il presidente ungherese Viktor Orbán

offrendo quale compensazione - ecco “la materia di scambio con l’economia” - un insieme di benefici materiali e immateriali (identità e appartenenza) andati perduti con la crescita delle disuguaglianze, dell’impoverimento e del gran rimescolamento delle nostre società. «Mentre liberismo e socialdemocrazia hanno una visione impersonale e super partes dello Stato, il Nazionalcapitalismo promette esplicitamente di essere dalla parte della maggioranza, ovvero dei nativi, bianchi, etero, cristiani (tutti da declinare al maschile, ovviamente), opposti a tutti gli altri. Si tratta dell’instaurazione di quella che i politologi chiamano “la dittatura della maggioranza”, che viene invece impedita dai meccanismi impersonali delle democrazie liberali». Da qui, per esempio, la crescita negli Stati Uniti dei movimenti nazionalisti trumpiani e del razzismo, in Europa della destra sociale che insiste su dio, patria, famiglia e, così, si spiega anche perché il libro del generale Vannacci vende come un best seller.

Melonomics e nazionalcapitalismo sono interclassisti e non scontentano nessuno: in un tentativo di ricomporre la società polarizzata, si rivolgono sia a chi detiene le leve dell’economia sia a chi ne dipende. Il punto di sintesi è l’idea di Nazione, la difesa della sua sovranità e dei suoi interessi, presentati come bene comune. «Si rivolgono a destra condividendo col modello liberista l’impianto del sistema economico-sociale, cioè una forte accentuazione della proprietà privata e dell’attività produttiva come fonte di legittimazione sociale e di cittadinanza. Molto spazio viene lasciato all’esercizio del potere economico e al godimento individuale dei suoi frutti». «Non disturberemo chi produce ricchezza», è uno degli slogan di Giorgia Meloni, accompagnato da affermazioni e provvedimenti di stampo thatcheriano: dal taglio al Reddito di Cittadinanza alla negazione della concertazione sindacale (come nel caso della trattativa con Stellantis, in cui il sindacato non è stato invitato), dai messaggi produttivisti e lavoristi al moralismo applicato all’economia (gli attacchi ai divanisti, ai fannulloni, alla povertà intesa come colpa). Ma osserva Tamborini: «Si rivolgono anche a sinistra per raccogliere dalla socialdemocrazia il testimone del ruolo attivo dello Stato nell’economia. Vogliono far sentire lo Stato vicino alla gente comune, piuttosto che abbandonata a se stessa e alle “forze oscure” del mercato globale, ma in modo dirigista anziché concertativo, ovvero a scapito delle politiche fiscali redistributive (come dimostra la proposta di riforma del Fisco) e delle organizzazioni sindacali, che i nazionalcapitalisti detestano tanto quanto i liberisti. Per esempio, il Nazionalcapitalismo di Trump è incentrato sul sistema produttivo nazionale contro il resto del mondo; quello europeo, da Orbán a Meloni, dà molta importanza alle protezioni sociali, abbandonate da quella che loro

Per approfondire o commentare questo articolo o inviare segnalazioni scrivete a dilloallespresso@ lespresso.it

Foto: Anadolu Agency via Getty Images, T. Williams / Getty Images; pag. 73-73: A. Serranò / Agf
Gli esempi di Pirelli, Ita Airways, Ilva. La chiamata a raccolta dei risparmiatori sui titoli di Stato. La tassa sugli extraprofitti. Il cibo made in Italy. Tutti casi di sovranismo contro i mercati
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definiscono “sinistra Ztl”». Il risultato è un modello ibrido in cui il destino delle imprese, pur continuando a operare in un contesto di libero mercato, dipende in ultima istanza dall’accesso alle risorse politiche ed economiche messe a disposizione dal potere politico. Emblematico il caso Pirelli, in cui l’uso della golden share per difendere l’italianità, ha pesato parecchio sulla nomina dell’amministratore delegato, consentendo al socio italiano Marco Tronchetti Provera di vincere sulla maggioranza numerica dei cinesi; e ancora il caso ex Alitalia-Ita che, nonostante lo sbandierato accordo con Lufthansa, resterà saldamente nelle mani dello Stato. Altro caso: la disponibilità alla nazionalizzazione di un gigante dell’acciaio come l’ex Ilva, che fa il paio con l’implicito protezionismo che sta dietro il neonato ministero della Sovranità Alimentare.

Va sempre in questa direzione il modo in cui è stata presentata e congegnata la tassa inflitta agli extraprofitti delle banche, come l’auspicio del governo di scambiare gli investitori istituzionali stranieri con la buona volontà dei cittadini nella piena detenzione del debito pubblico nostrano (con il Tesoro che per la seconda volta in quattro mesi chiama a raccolta il popolo degli investitori italiani per comprare il nuovo Btp Valore), perché s’è capito che il debito pubblico crea instabilità finanziaria ed erode sovranità nazionale: anche Mussolini cercò di convincere gli italiani che, per essere sovrani, dovevano essere autarchici.

«All’interno dei confini della Nazione (geografici certo, ma soprattutto identitari) l’economia privata funziona secondo meccanismi capitalistici molto spinti, soprattutto nel mercato del lavoro, a patto

che la ricchezza venga prodotta e rimanga all’interno di tali confini (l’America first di Trump). Questo patto sulla ricchezza della Nazione e per la Nazione è prioritario rispetto all’equità della sua distribuzione: non interessa la disuguaglianza tra ricchi e poveri italiani, ma tra italiani e stranieri e le tutele ai lavoratori non sono garantite né per via normativa sul mercato del lavoro, né da meccanismi fiscali generali», spiega Tamborini. Emblematiche l’opposizione al salario minimo e le picconate alla progressività fiscale. Al welfare tradizionale vengono sostituite le vie che conducono direttamente al potere politico, attraverso leggi, regolamenti, sussidi, esenzioni settoriali, categoriali. Nella versione mediterranea il modello è semplice e infallibile: tassare poco e spendere molto. Non a caso, per migliorare i salari peggiori d’Europa, il governo sfodera il sempreverde ta-

IDEOLOGICHE
ECONOMIA SVOLTE
I modelli sono Trump, Orbán, perfino Putin. Dopo socialdemocrazia e liberismo, una teoria che vuole più potere centrale e meno garanzie diffuse per i cittadini
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glio del cuneo fiscale, tace su riforme della struttura produttiva del Paese o delle relazioni industriali. E pensa (spera) che le famiglie inizieranno a fare figli non offrendo loro più servizi o migliori prospettive di lavoro e di vita, ma grazie a contributi destinati alle famiglie con tre figli e più.

È possibile l’accettazione di un modello siffatto in un Paese democratico?

«Storicamente la democrazia comporta le libertà economiche del capitalismo (proprietà, scambio, impresa), ma non viceversa», risponde il professore, che aggiunge: «Benito Mussolini in un saggio del 1925 per la rivista Gerarchia scrisse: “Può darsi che nel XIX secolo il capitalismo avesse bisogno della democrazia: oggi può farne a meno”. E difatti le élite del capitalismo dell’epoca non si distinsero nel contrasto all’avvento dei regimi totalitari e gli Stati Uniti rimasero in un precario equilibrio

PREMIER

Roberto Tamborini, professore di Economia Politica a Trento. Sopra la rivista Gerarchia. A sinistra: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni

fin nel pieno dell’età rooseveltiana». E ora anche il Nazionalcapitalismo minaccia di far parte della storia dei divorzi tra capitalismo e democrazia nel cuore dell’Occidente. A frenarne l’ascesa è la finanza internazionale e l’industria immateriale, come le Big Tech, per cui la rinazionalizzazione del capitalismo è un pericolo serio. Ma le contraddizioni create dal capitalismo globalizzato, aggravate da pandemia e guerra, stanno favorendo una ristrutturazione dell’economia mondiale per blocchi geopolitici, tracciati secondo criteri di sicurezza strategica nazionale, in cui le pure logiche di mercato sono messe in secondo piano. Una parte importante della classe dirigente economica, che ama mostrarsi pragmatica (“né di destra né di sinistra”) può diventare Nazionalcapitalista «o lo sta già diventando, specialmente in quei Paesi, come l’Italia e la fascia orientale dell’Unione Europea, in cui i valori della democrazia liberale sono meno radicati e gli stili di vita libertari e cosmopoliti sono meno sviluppati».

All’appello manca un antidoto alla dilagante Internazionale nera, che potrebbe venire da un (inatteso) colpo di reni della sinistra democratica: «Dovrebbe capire che il Nazionalcapitalismo è una risposta sbagliata a problemi gravi e reali della nostra società (disuguaglianze, iniquità economiche e politiche, lavoro povero, precarietà, perdita di identità e appartenenza)», suggerisce il professore. È forse in quest’ottica che un democratico americano classico, come Joe Biden, ha preso la via della valorizzazione dell’industria nazionale, dell’indipendenza dall’approvvigionamento cinese nella produzione di chip, dei sussidi pubblici all’industria e del rafforzamento delle tutele sindacali. Forse ha compreso che non è più tempo di riformare la società, per adattarla al capitalismo senza confini come fecero i Clinton e i Blair, ma è giunto il momento di riformare il capitalismo per renderlo democratico, giusto e sostenibile.

Foto: Getty Images, Agf
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L’industria inquina e paga la festa

Eppure inquina. Chiusi gli ombrelloni, tolti i teli da spiaggia e riposti i gommoni sgonfiati, restano le ciminiere ad Augusta, nel Siracusano, dove il più grande polo petrolchimico del Mediterraneo rimane sempre attivo. Passano le stagioni, passano le inchieste, ma quelle ciminiere del polo strategico dell’economia italiana continuano a inquinare. A poco è servito il sequestro del depuratore avvenuto più di un anno fa, dopo l’indagine che ha portato a sancire il «disastro ambientale» causato dallo sversamento in mare dei rifiuti, sia quelli delle aziende sia quelli dei Comuni circostanti.

Nel polo petrolchimico di Augusta Sonatrach lavora a pieno ritmo malgrado le emissioni nocive.

dell’estate

Dopo il sequestro, la beffa: la guerra scoppiata tre mesi prima in Ucraina e la conseguente crisi energetica dice che nulla si può fermare, lo show dell’orrore deve continuare: «Scoppia la guerra tra Ucraina e Russia e quindi interviene lo Stato il quale dice che l’impianto non può essere fermato in quanto impianto strategico – spiega Cinzia Di Modica, portavoce del comitato Stop Veleni – se avesse chiuso il depuratore, avrebbero dovuto chiudere anche gli impianti con la sola prescrizione di adeguare tutto entro 36 mesi». La Sonatrach, azienda che opera nel polo, subito dopo l’inchiesta aveva annunciato il progetto di un nuovo depuratore, mentre finanzia gli eventi dell’estate di Augusta. Le feste però non bastano. Gli occhi del comitato “Stop veleni” sono sulle ciminiere sempre attive, che a volte emettono un fumo diverso dagli altri, che non sale in verticale, come accaduto lo scorso febbraio, inducendo tutti a pensare che qualcosa non andasse per il ver-

so giusto: «La cittadinanza andrebbe informata su quanto sta avvenendo», dice il comitato.

Tutto però tace, mentre l’amministrazione comunale tranquillizza gli animi, dicendo che è tutto nella norma. In fondo è sempre stato così: intanto dopo l’inchiesta per il depuratore c’è un amministratore giudiziario, ci sono 26 indagati tra controllori e controllati che facevano finta di nulla, in barba a qualsiasi regola. «Adesso, continuando, ci inquinano a norma di legge – aggiunge Di Modica – lo sanno tutti ora, ma si continua attraverso escamotage. Cercheremo di monitorare che tutti gli adeguamenti che sono stati prescritti vengano adottati. Abbiamo le armi spuntate dopo il sequestro, noi abbiamo raggiunto il risultato, ma adesso cosa dobbiamo fare?». Gli amministratori comunali non sembrano essere pervenuti in questa guerra combattuta da pochi singoli contro i colossi: «Le imprese del polo, invece di finanziare feste e accat-

ECONOMIA SALUTE VS PRODUZIONE
Non fa il depuratore ma finanzia gli eventi
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tivarsi le simpatie dei sindaci, perché non finanziano la prevenzione? Noi pressiamo le istituzioni, ma qui si fa a gara a calmare gli animi con conferenze in cui si dice che tutto va bene, è tutto nella media, è tutto tranquillo».

Mentre gli altri enti dicono che è tutto nella norma, il rapporto Sentieri, prodotto ogni anno dall’Iss (Istituto Superiore di Sanità) sui siti di interesse nazionale, su questo triangolo della morte in cui la bonifica è ancora lontana dall’essere effettuata, scrive che persistono: «Eccessi di patologie specifiche che riconoscono tra i fattori di rischio l’esposizione a sostanze presenti nel sito e considerate contaminanti prioritari […] eccessi di tumore alla mammella data l’esposizione a contaminanti presenti nel sito».

E ancora: «Eccessi di mortalità e ospedalizzazione per malattie dell’apparato urinario e la presenza nel sito di contaminanti che hanno un effetto nefrotossico, come i metalli pesanti, solventi».

POLO

Una veduta aerea del polo industriale di Augusta

Nel mare in cui si fa il bagno nel mercurio e anche i pesci nascono con la spina bifida, la Procura di Siracusa ha messo gli occhi più di tre anni fa e dopo indagini e rilievi è giunta alla conclusione che ha confermato i pensieri di migliaia di persone che negli anni sono scese in strada per protestare contro l’inquinamento e le emissioni del polo: secondo le perizie, «l’esercizio continuo dell’impianto consortile di Priolo Gargallo che genera costantemente la immissione di idrocarburi in acqua senza alcun controllo da parte del soggetto gestore determina una compromissione e un deterioramento della matrice acqua anche indipendente dal suo uso».

Questo inquinamento però accade da 40 anni e non si è fermato neanche dopo l’indagine che ha acceso i riflettori sull’impianto di proprietà della Regione siciliana e gestito da Industria Acqua Siracusana (Ias) in cui scaricano decine di aziende che arrivano da tutto il mondo, tra cui Sonatrach, Sasol e prima ancora la russa Lukoil, e dove si lavorano 14 milioni di tonnellate di greggio all’anno. Il depuratore, seppur sotto sequestro non può essere fermato. Secondo l’inchiesta, anche l’aria, irrespirabile per chi si avvicina al polo, ha subito soltanto negli ultimi anni l’emissione non legale di 77 tonnellate di idrocarburi e agenti inquinanti all’anno.

Se con una indagine si sono materializzati i fantasmi di chi negli ultimi anni ha combattuto questo disastro visibile a tutti, uno dei protagonisti delle proteste è stato allontanato dalla sua Augusta.

È don Palmiro Prisutto, che ogni 28 del mese gridava nella chiesa madre di Augusta tutti i nomi delle persone che sono morte a causa di tumori e per cui ha celebrato i funerali, una lunga lista (chiamata piazza martiri del cancro) ben più attendibile del registro tumori della provincia siracusana per il quale va tutto bene. Ufficialmente don Palmiro avrebbe «turbato la comunione ecclesiale», ma lui a questa storia non ha mai creduto: «Non ci sono motivi strettamente pastorali per il mio allontanamento dalla chiesa di Augusta – racconta – i poteri forti sono scesi in campo per fermarmi».

Foto: F. Villa / Getty Images
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La proroga come soluzione al ritardo

FRANCESCO FIMMANÒ

La vicenda del Superbonus, ascesa agli onori delle cronache a quasi un anno dall’insediamento del nuovo Parlamento, rivela un approccio della politica completamente diverso da quello degli anni Cinquanta e da quello che purtroppo occorrerebbe per il futuro. Una linea caratterizzata da un percorso a “toppe” invece che a “tappe”, dove ogni scelta guarda solo all’immediato ed è condizionata da logiche di mero consenso. Difatti, benché una delle cause principali della spesa sul Superbonus sia stata proprio la continua dilazione dei tempi (inizialmente avrebbe dovuto terminare nel 2021), la sospensione di molti cantieri causata dal blocco della cessione dei crediti edilizi sembra far emergere la necessità dell’ennesima proroga. La tecnica è sempre la stessa: si parla di Superbonus come disastro economico e si rimarcano le truffe, per poi alla fine prevedere una nuova proroga, stavolta per i condomini. Dall’ultimo report dell’Enea, intanto, il guaio appare sempre più grosso: le detrazioni maturate per lavori già conclusi a carico dello Stato sono salite a 76,1 miliardi di euro, con un aumento di 25 miliardi rispetto a un anno fa.

Sul tema si sente tutto e il contrario di tutto. Da un lato, chi ha concepito e poi mantenuto la misura afferma che la stessa avrebbe avuto un effetto persino salvifico sulla ripresa e sull’aumento del Pil. Ma è evidente che è come dire: se regaliamo enormi risorse buttandole dalla finestra, qualche vantaggio nell’aumento della ricchezza dei passanti, che per caso si trovano lì, sicuramente ci sarà. Peraltro si è “drogato” un

solo settore economico e, al netto delle truffe, non v’è stato neppure un effetto redistributivo generalizzato. Tanto valeva, quindi, che quei miliardi fossero utilizzati per ridurre il carico fiscale, visto che la leva tributaria ha effetti redistributivi per antonomasia e certamente più generali. Dall’altro lato, chi viceversa ora governa, a distanza di un anno, lamenta che ciò che è salvifico per i primi diventa per loro la causa irreversibile di tutti i mali, impedendo qualsiasi intervento aggiuntivo con effetti disastrosi sul bilancio dello Stato.

Ancora una volta le due fazioni che snocciolano dati macroeconomici complessi verificabili solo negli anni (quando ci saranno altre forze politiche che diranno di non esserci state) sono tutt’altro che rivolte alla Next generation. L’una perché ha drogato nell’immediato il sistema senza guardare agli effetti futuri e all’equa redistribuzione, l’altra perché ha cercato di chiudere lo steccato quando i

ECONOMIA SUPERBONUS
La misura rivela le cattive abitudini della politica: procedere a toppe invece che a tappe. Si parla di disastro economico
e di truffe, ma si prevede una nuova dilazione dei tempi
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la Nadef (5,6 per cento) per l’impatto dei crediti d’imposta e in particolare del Superbonus. La stessa voce, peraltro, ha portato a rivedere in senso negativo i dati del 2020 e del 2021, pari rispettivamente a -0,2 e -1,8 punti percentuali. E tutto questo per la revisione delle modalità di registrazione nei conti pubblici degli stessi crediti di imposta che sono da classificare pagabili e registrati nel conto consolidato delle pubbliche amministrazioni come spese per l’intero ammontare, ossia nel momento in cui vengono sostenute.

Cerchiamo di spiegare cosa significa questo. Orbene per il Superbonus, che si recupera in cinque anni (per gli interventi realizzati nel 2020 e 2021) o in quattro anni (dal 2022), venivano registrate minori entrate pari a 20 o 25 euro l’anno per i successivi cinque o quattro anni. Dopo la revisione, un credito di imposta di 100 euro (ceduto a terzi) si registra per intero nell’anno in cui vengono effettuati i lavori.

buoi sono scappati, anche se poteva farlo quanto meno un anno prima. Difatti, tardivamente è stata abolita la possibilità di cedere i crediti di imposta, anche se gli effetti reali erano ormai chiari a tutti e tardivamente sarà chiuso il rubinetto, vista l’ipotesi di nuove proroghe, a ormai due anni dalla originaria durata.

E perché allora non si è fatto prima ciò che si poteva fare e solo adesso scoppia la polemica e il solito tourbillon?

La risposta è nelle mere ragioni contabili che nella sostanza non hanno cambiato nulla, ma che incidono nel breve periodo e quindi sulle prossime consultazioni elettorali. Ecco che il tema diventa un cavallo di battaglia e il bello è che siamo certi che a parti invertite le scelte sarebbero state le medesime. È accaduto che l’Istat e l’Eurostat, ritoccando al ribasso le stime diffuse alla fine dello scorso anno, hanno spiegato che nel 2022 il rapporto deficit/Pil italiano ha toccato quota 8 per cento contro le stime del-

SOSPESI

Un cantiere a Roma. Molti lavori del Superbonus sono stati sospesi a causa del blocco della cessione dei crediti edilizi

Lo scenario è mutato perché se si consente di cedere il credito di imposta a qualcuno, questo sicuramente lo utilizzerà, mentre nel quadro precedente l’aver acquisito un diritto alla detrazione non si traduceva nell’automatico utilizzo. L’incertezza sul futuro del credito viene meno ed esso viene quindi registrato interamente subito come maggiore spesa. Tutto ciò vale per il bilancio annuale, mentre per quanto riguarda il debito pubblico resta immutato poichè segue un criterio di cassa per cui si effettua la registrazione quando c’è il pagamento effettivo.

La revisione comporta maggiori spese, con un aumento del disavanzo, nell’anno in cui sono stati realizzati i lavori e maggiori entrate, con diminuzione del disavanzo, negli anni successivi. Così per il triennio 2020-2022 c’è un aumento del disavanzo nel complesso per circa 4,4 punti di Pil, mentre nei prossimi anni ci sarà una diminuzione, in base alle stime, per uno 0,8 per cento circa di Pil.

Ecco che per i politici di questi ultimi 20 anni conta solo ciò che succede oggi, tanto pensano che, come diceva John Maynard Keynes, «nel lungo periodo saremo tutti morti».

Foto: F. Fotia / AGF
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Il Presidente del Brasile Lula intervenendo al Summit dei Paesi Brics a Johannesburg, dopo aver sottolineato che tali Paesi rappresentano il 41% della popolazione e il 31% del Pil mondiale a parità di potere di acquisto, ha sostenuto che i Brics, a cui è prevista l’adesione di Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Emirati Arabi, Etiopia e Iran, stanno valutando «la creazione di una nuova unità di riferimento per proteggere il loro commercio dalla volatilità delle principali valute di riserva».

Questa necessità deriva «dall’aggressivo aumento dei tassi di interesse della Fed, che per difendere il valore del dollaro sta di-

Così i Brics vogliono incrinare il potere del dollaro

struggendo l’economia mondiale, danneggiando i Paesi vulnerabili» e «dalla necessità di utilizzare le valute locali negli accordi multilaterali, al fine di garantire un ruolo più equo e prevedibile».

Tale ipotesi ricorda la fine della sterlina e «gli inutili sforzi fatti per conservare la posizione di Londra nel mercato finanziario che imposero sacrifici eccessivi all’industria e al commercio». La crisi degli anni Trenta e la Seconda Guerra Mondiale segnarono la fine di tale supremazia, sostituita da quella del dollaro.

La leadership del dollaro, che si fonda sulla funzione della riserva di valore e di mezzo di pagamento, sta calando. Dal 1999 al 2021 la funzione di riserva è diminuita dal 71% al 59%. A fine 2021, i pagamenti in dollari erano il 76% della totalità dei pagamenti attraverso la piattaforma Swift: un sistema unificato di codici per identifi-

L’idea di dare vita a una valuta alternativa è velleitaria. Ma gli Usa devono meritarsi la leadership

care nel mondo una specifica banca al fine di facilitare il trasferimento di fondi a livello locale e internazionale. Nel 2021 lo Swift ha registrato una media di 42 milioni di messaggi al giorno, l’11,4% in più rispetto al 2020.

I Paesi che non aderiscono alle sanzioni contro la Federazione Russa per la guerra in Ucraina stanno maturando la volontà di uscire dall’ombrello Usa. Inoltre il dollaro ha finito di gestire incontrastato gli scambi commerciali di idrocarburi che sempre più di frequente, complici le sanzioni alla Russia, all’Iran e Venezuela, vengono pagati con altre valute.

Il presidente Lula, leader della “de-dollarizzazione”, sfruttando il sentimento diffuso nei Paesi Brics di contrastare la visione americana di unico gendarme del mondo, ha proposto la costruzione di una moneta alternativa al dollaro, che dovrebbe definire i prezzi delle materie prime, del denaro, dei tassi di interesse, dei cambi.

Tutto ciò comporterebbe il ribaltamento dei rapporti economici regolati con gli accordi di Bretton Woods del 1945, nonché l’uscita dal Fmi, dalla Banca Mondiale e dalla Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Birs). Tali organismi sarebbero gradualmente sostituiti dalla “Banca per lo Sviluppo del Terzo Mondo” che presterebbe denaro ai Paesi partecipanti nelle valute locali, al fine di evitare le speculazioni insite in qualsiasi moneta leader assoluta sul mercato finanziario internazionale.

L’obiettivo dei Brics tende a riequilibrare i poteri con gli Stati Uniti, ritenuti in declino, proponendosi come un contraltare alla funzione di governance globale del G7, puntando alla realizzazione di un mondo multipolare. Il rovesciamento del dollaro è improbabile, ma gli Stati Uniti non possono pensare che il dominio del dollaro sia imperituro. Comporta responsabilità oltre che privilegi.

BANCOMAT
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Addio sogni di primato, adesso la Cina deve giocare in difesa

Il socialismo di mercato non ha retto la prova della maturità. Pechino ha riportato al centro l’impresa di Stato e questo ha raffreddato non solo gli investimenti esteri, ma anche lo spirito imprenditoriale a livello locale

Il sogno di diventare la prima economia a livello mondiale è destinato a restare tale, quanto meno per i prossimi anni. Gli ultimi mesi hanno fatto emergere diversi segnali di fragilità strutturale a Pechino e dintorni, con le autorità che ora sono concentrate sulla difensiva, con l’obiettivo di evitare una crisi sistemica che avrebbe conseguenze inimmaginabili dentro e fuori i confini del Paese.

I problemi di oggi non nascono all’improvviso, ma hanno radici profonde. Nonostante il dinamismo diplomatico con le altre economie emergenti, la Cina non è riuscita a dotare lo yuan dello status di valuta internazionale; se non proprio il concorrente del dollaro, quanto meno una divisa in grado di competere con l’euro. Piuttosto, il forte calo che ha interessato la valuta locale dalla primavera in avanti rischia di rivelarsi come un macigno ancora per diverso tempo. Attualmente viaggia al di sotto dei livelli dell’estate 2007, quando cioè l’Occidente era all’inizio di una crisi finanziaria epocale che da lì a breve avrebbe generato una recessione globale. Per

lungo tempo la svalutazione valutaria è stata utilizzata dai governanti di Pechino come strumento per spingere l’export, ma ormai da almeno un lustro la priorità è divenuta un’altra, sostenere i consumi (soprattutto nell’ottica di assicurare la pace sociale), che all’opposto avrebbero bisogno di una divisa forte, in modo da contenere i prezzi dei prodotti importati. Anche se ogni intervento per sostenere lo yuan rischia di diminuire la liquidità dentro il Paese, deprimendo ancora di più l’economia.

I dati più recenti fanno venire i brividi. Nel secondo trimestre del 2023, il prodotto interno lordo è cresciuto dello 0,8% rispetto al medesimo periodo dello scorso anno, un livello che sarebbe accettabile alle nostre latitudini, ma non in un Paese che ha bisogno di ben altri ritmi per consentire una transizione pacifica di decine di milioni di persone ogni anno dalle campagne alla città. Le stime ufficiali restano ferme a una crescita del 5% per l’anno in corso, ipotesi a questo punto irrealistica, mentre la disoccupazione giovanile ha superato la so-

speciale economia
speciale ECONOMIA a cura di BFC Media

L’Espresso dolce L’Espresso amaro

LE MILLE VITE DELL’ACETO

Serve per condire gli alimenti, ma anche per lavare e mandar via i cattivi odori. L’aceto di vino, meno costoso di quello balsamico, rappresenta il 65 per cento dei consumi delle famiglie italiane. «A crescere sono soprattutto l’aceto di alcol e la glassa di aceto balsamico», sottolinea Giacomo Ponti, presidente Gruppo Aceti Federvini, la cui omonima azienda, attiva dal 1787, ha appena ricevuto la certificazione B Corp assegnata alle organizzazioni che rispettano gli standard ambientali. E piace molto ai mercati esteri l’aceto balsamico tradizionale di Modena Dop, con una quota di export pari al 70 per cento verso Usa, Francia, Germania, Giappone. «Il nostro consorzio rappresenta oltre 200 acetaie con una produzione di 14.500 litri, venduti esclusivamente nella bottiglietta da 100 ml disegnata da Giugiaro, per un giro d’affari complessivo di circa cinque milioni di euro», dice Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. (Antonia Matarrese)

PASTE ALTERNATIVE

A elevato contenuto proteico e ricca di fibre, la farina di lupini diventa protagonista della tavola con il marchio La Molisana della famiglia Ferro, in terza posizione nel mercato della pasta di semola e seconda in quello della pasta integrale. Per distribuirla Oltreoceano, l’azienda di Campobasso ha firmato un accordo in esclusiva con la californiana Brami, acquisendo il 15 per cento del capitale.

MODA BIODEGRADABILE

È simile alla canapa, ma molto più resistente, coltivata senza l’utilizzo di pesticidi e completamente biodegradabile. La fibra di ortica entra nelle collezioni di pantaloni sartoriali Gta, azienda padovana attiva dal 1955 che controlla da sempre la provenienza dei filati, tutti certificati, e la qualità di lavaggi e tinture. L’obiettivo? Usare tessuti che contengano almeno il 30 per cento di fibra riciclata.

LA PERLA IN CATTIVE ACQUE

Nuvole fitte sul futuro dei lavoratori La Perla, storico marchio bolognese della lingerie di lusso da esportazione. Nei giorni scorsi si è svolto un incontro al Ministero delle Imprese e del made in Italy: il tavolo di crisi è stato aggiornato a metà ottobre e il governo ha chiesto la partecipazione in presenza della nuova proprietà. Da qualche anno, infatti, l’azienda – fondata nel 1954 dalla sarta e stilista Ada Masotti (detta «forbici d’oro») –è del fondo olandese Tennor, controllato dal finanziere tedesco Lars Windhorst. Quest’ultimo si è collegato in videoconferenza per disconnettersi anzitempo. All’esterno del ministero manifestava un centinaio di operai a rischio: «Ci avete lasciato senza mutande», recitava uno striscione. I sindacati domandano un piano industriale all’altezza e una rapida ripartenza della produzione. Quest’estate le maestranze, altamente qualificate, sono rimaste senza uno stipendio già ridotto dall’accordo di solidarietà. (Maurizio Di Fazio)

TELECOMUNICAZIONI DIFFICILI

A giugno ha scioperato in modo unitario il comparto delle telecomunicazioni, strategico per la transizione digitale. Occupa oltre 120 mila persone ma «è alla deriva, con 20 mila addetti diretti (e migliaia nell’indotto) in bilico», lamenta il segretario confederale Cgil, Pino Gesmundo. Nell’ultimo decennio c’era già stato «un dimezzamento della forza lavoro dei maggiori gestori».

MORTI SUL LAVORO, NUOVO REATO

È appena terminata la settimana di mobilitazione e di raccolta firme per l’introduzione del reato di omicidio e lesioni gravi e gravissime sul lavoro: decine di banchetti nelle piazze delle principali città italiane e davanti a fabbriche e uffici. Si può aderire online. Tra i testimonial della legge di iniziativa popolare, perseguita dall’Usb e dalla Rete Iside, c’è Zerocalcare.

Foto: Bloomberg / Getty Images
BAR ECONOMY
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CULTURA TENTAZIONE PROTEZIONISMO 92 15 settembre 2023

Fugadall’ autarchia

Dal cinema all’arte, dalla letteratura alla moda, c’è aria di sovranismo. Una contraddizione per la cultura: che è frutto di contaminazioni. E non di chiusura e rivendicazioni identitarie

CULTURA TENTAZIONE PROTEZIONISMO

SABINA MINARDI illustrazione di FRANCESCA GASTONE

Sull’isola di Yas, Abu Dhabi, sorge il Ferrari World, parco a tema che, tra montagne russe, simulatori di Grand Prix, circuiti ricostruiti, esalta Maranello e il mito della velocità. Un omaggio allo spirito del marchio, al genio italico, alla leggendarietà di Enzo Ferrari. La cui epopea, trasferita al cinema, ha scatenato le polemiche all’ultima Mostra di Venezia.

Il fuoco l’ha appiccato Pierfrancesco Favino, commentando il ruolo del Drake affidato dal regista Michael Mann all’attore americano Adam Driver: i personaggi italiani vanno interpretati da attori italiani, ha detto: questa è appropriazione culturale.

Tecnicamente, l’appropriazione culturale sarebbe un’altra cosa: o vogliamo davvero credere che i termini della questione siano una cultura dominante, quella americana, che agisce a spese di una minoritaria, l’italiana, in una irrispettosa spoliazione, se non in un’autentica riedizione di colonialismo?

Ma per capirci l’espressione è efficace: è ora di reagire agli stranieri che si appropriano del nostro lavoro, lamentava Favino. L’Italia agli italiani.

Però se lo spirito del Paese è oggi questo, se un protezionismo culturale ha spinto tanti a dargli ragione, dobbiamo chiederci perché: perché ci sentiamo continuamente deprivati di ciò che è nostro, vittime di qualcuno pronto a toglierci qualcosa? E qual è, se c’è, la proprietà morale e intellettuale in pericolo? Soprattutto: perché alziamo gli scudi verso la concorrenza straniera, anziché reagire con orgoglio a un mondo che continua a trarre ispirazione dall’italianità?

Succede oggi nel cinema. Ma è successo ieri nei confronti dei direttori stranieri dei musei, nominati dal ministro della Cultura Dario Franceschini. Era il 2015 e, tra ricorsi al Tar e sentenze ribaltate dal Consiglio di Stato, il tema è arrivato fino a oggi. Ora che Eike Schmidt, che ha guidato eccellentemente le Gallerie degli Uffizi di Firenze, Sylvain Bellenger del Museo e Real Bosco di Capodimonte a Napoli, James Bradburne della Pinacoteca di Brera a Milano hanno il loro mandato in scadenza e non sono più rieleggibili, la tentazione sovranista ha ricominciato a circolare.

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I requisiti, nel bando pubblicato a luglio, non sono a dire il vero cambiati. Ma la fine della “stagione Franceschini” è stata annunciata più volte.

“Prima gli italiani! (sì, ma quali?)”, titola un saggio di Francesco Filippi (Laterza). Lo ha chiarito, proprio a margine della polemica in Laguna, il sottosegretario Vittorio Sgarbi: «L’ira di Favino corrisponde al rischio di una sottovalutazione della qualità degli attori italiani per esigenze di cassetta delle produzioni. Il suo ragionamento, in autotutela, apre la strada a una considerazione relativa al dibattito,

Alzare continuamente gli scudi verso la concorrenza straniera, anziché reagire con orgoglio a un mondo che continua a trarre ispirazione dall’italianità, è sintomo di debolezza
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aperto proprio da me 10 anni fa, sui direttori stranieri dei musei, il giudizio sui quali non può essere genetico ma operativo. E anche in questo caso si tratta di orgoglio non italiano ma professionale».

Grande schermo

Emanuele Coen

E contro Garrone insorge Nigrizia

DIVI STRANIERI

Una scena de “Il Gattopardo” di Visconti, richiamato per l’interpretazione dello “straniero” Burt Lancaster. Sotto, Adam Driver

Vinca il migliore, dunque. Ma la diffidenza resta, è palpabile, scavalla le arti. Costringe alla difesa gente come Dominique Meyer, direttore della Scala di Milano («Sono in Italia da 30 anni e la prima volta che sono venuto alla Scala era il 1980. Non mi sono mai sentito uno straniero. E mi sento a casa laddove si fa cultura») o il sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli Stéphane Lissner, finito nel mirino di un decreto che fissa a settant’anni l’età pensionabile per i direttori stranieri di teatri d’opera: esattamente i suoi.

Ma “fuori gli stranieri”, in campo culturale, è una contraddizione. A meno di non ammettere che l’intera storia della cultura è una storia di appropriazione cultu-

Due facce della stessa medaglia. Le polemiche sull’appropriazione culturale hanno infiammato l’ultima Mostra del cinema di Venezia coinvolgendo due pesi massimi italiani: se Pierfrancesco Favino ha attaccato Adam Driver, nel ruolo di Enzo Ferrari («se un cubano non può fare un messicano perché un americano può fare un italiano?»), la rivista Nigrizia se l’è presa con Matteo Garrone, vincitore del Leone d’argento per la migliore regia con “Io capitano”, film sul viaggio dei migranti dal loro punto di vista, girato in lingua wolof con sottotitoli in italiano. «Il fatto che Garrone abbia lavorato con una troupe completamente italiana è un limite evidente», scrive Nigrizia: «Che forse si sarebbe potuto evitare collaborando con professionalità senegalesi che negli ultimi anni hanno lavorato a produzioni franco-senegalesi approdate e premiate a Cannes». Siamo sempre lì: l’accusa è di appropriarsi di elementi di altre culture, inserendoli in altri contesti. Una posizione che mette insieme istanze sovraniste, identitarie, con i diritti delle minoranze. Le dichiarazioni di Favino hanno innescato una reazione a catena: Mads Mikkelsen, presente al Festival con il film “Bastarden” diretto da Nikolaj Arcel, ha preso di mira il doppiaggio, che mortifica la lingua di origine delle opere cinematografiche. «Farei una premessa: se in Francia, in Germania, in Italia e in Spagna smettessero di doppiare i film in tutte le lingue, potrebbe costituire un elemento importante per affrontare il problema. Ma finché continuano a doppiare, a chi interessa quale sia la lingua, la cultura, d’origine?», ha detto Mikkelsen raccogliendo la palla lanciata da Favino dopo la proiezione di “Ferrari”. Il tema è forte, e le polemiche frequenti. Qualche mese fa era toccato a James Cameron, regista di “Avatar 2”, accusato da alcuni critici di “appropriazione culturale e razzismo”. Secondo Newsweek, il regista si sarebbe appropriato di concetti, storia e immagini delle culture dei nativi americani e indigeni per il sequel della pellicola del 2009 “Avatar”.

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CULTURA TENTAZIONE PROTEZIONISMO

rale: di popoli che apprendono saperi da altri, di lingue che assorbono parole e strutturano così pensieri sempre più complessi, di cibi che attraversano i continenti, di forme in cui le società si organizzano evolvendosi, imitandosi o imponendosi: di millenni di scambi di alfabeti e di cose. Ed è ancor di più una debolezza, il sovranismo culturale, se riferito al made in Italy. Un vittimismo frutto proprio di quel provincialismo da cui vorremmo affrancarci: come se l’italianità, quella che oltrepassa i confini, che racconta il nostro Paese spesso meglio e ben più di quanto siamo in grado di fare oggi noi, sia solo diretta discendenza dello jus sanguinis. E non di un saper fare da ribadire continuamente.

Neppure uno come il premier Narendra Modi, che nel consueto discorso d’agosto in cui celebra l’indipendenza e puntualmente rivendica l’origine nazionale di pratiche e cure ormai globali come yoga

Letteratura e sovranismo

LA SFIDA DI RACCONTARE QUALCUNO CHE NON SEI TU

Quali confini ha la Repubblica dell’immaginazione? Così la scrittrice iraniana Azar Nafisi ha definito lo spazio collettivo, anzi comunitario, in cui confluiscono le storie della letteratura. Domanda: è sensato chiedersi se le “invasioni” siano lecite? Mettere piede dove non si è mai stati, se non con la fantasia; inventare o interpretare una vicenda altrui, ispirarsi a un dolore che non è il proprio; cercare le parole per dire l’indicibile che non ci è toccato in sorte: per secoli è stata proprio questa la sfida dei narratori. Un esempio imperituro: il signor Dickens fa esistere orfanelli pieni di speranze che non sono le sue, e fa palpitare i cuori dei lettori. Si “appropria” di biografie non vere ma verosimili. Oggi potrebbe vedersi contestato da chi disapprova l’indebita acquisizione di stati d’animo e disgrazie che, per censo e storia, non ha

direttamente sfiorato. Ma si può discutere l’autenticità di un moto di compassione? Chi timbra la verità della pietas? Questioni per lettori/spettatori ipersensibili del secolo in corso: bastano le buone intenzioni? E le intenzioni che hanno un valore e un (magari straordinario) esito estetico? Il “blackface” – il trucco teatrale o cinematografico attraverso cui l’uomo bianco può fingere di essere nero – viene con frequenza contestato e bandito. Ma di quanti colori ci si può appropriare nello spazio della parola scritta? Di quante voci? «Di tutte», reagisce stizzito lo spirito del libertario oltranzista, disposto a difendere a spada tratta la creatività dell’artista. Che per statuto dice Io anche quando l’io non è il suo. O soprattutto quando non è il suo.

La scrittrice anglo-giamaicana Zadie Smith la pone in questi termini: «Il romanzo che ho di fronte è un tentativo di compassione o un atto di contenimento?». Quel termine – contenimento – implica un’appropriazione non in buonafede, una pretesa soverchiante. E tuttavia – si vede bene anche nell’ultimo dickensiano romanzo, “The Fraud”: basato su fatti accaduti, diventa una

SCRITTURA SENZA CONFINI Sopra, Amanda Gorman. A destra, Hanya Yanagihara Paolo Di Paolo
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e medicina ayurvedica, ha mai insinuato che il loro insegnamento dovesse essere prerogativa indiana.

Perché l’autarchia, eletta a regola, fa acqua da tutte le parti. E allora guai a Ron Howard che si era messo in testa di girare un film sul pianista Lang Lang: da bianco e occidentale come avrebbe fatto a cogliere la sensibilità asiatica? Al bando Picasso: che importa se Guernica è la più potente denuncia della barbarie della guerra di fronte a un appropriatore seriale di cultura africana? E come osa una donna bianca e olandese, Marieke Lucas Rijneveld, tradurre la poetessa afroamericana Amanda Gorman?

Siamo eredi di storie che incantano ancora il mondo. Siamo la patria di uomini che come Enzo Ferrari ispirano innovazione in uno scenario di novità usa e getta. Siamo culla di letteratura. Di una cucina dalla tradizione così forte e fiera da non temere di affidare, come ha appena

fatto lo chef Massimo Bottura nel suo nuovo ristorante, a una chef canadese il compito di cucinare cotechino, anguille e altre materie prime emiliane. La terra la cui lingua, parlata da una manciata di persone, si impone universalmente dalla moda alla musica.

Ed è questo il solo fraseggio che dovrebbe interessarci, anziché chiederci se sia lecito che un pianista straniero esegua un compositore italiano, anziché invocare eccezioni culturali, anziché ergerci a custodi nostalgici del passato anche se in nome di un lessico aggiornato, dalla cancel culture alla wokeness (“stare sempre all’erta”): quello che, con la bacchetta di Riccardo Muti e l’autorevolezza delle nostre radici, convoca un’orchestra di varie nazionalità. E risveglia ancora, nel 2023, le rovine romane di Jerash.

meditazione sul rapporto tra realtà e finzione – Smith non dimentica che la letteratura è una macchina costruita «per farci credere in qualcosa di falso». Come la mettiamo? La mettiamo che l’unico giudice è il singolo lettore/spettatore, e non è possibile stabilire regole a monte, come vorrebbe la pur generosa – tanto quanto autarchica – petizione di Favino sugli italiani che al cinema vanno interpretati dagli italiani. Non c’è e non dev’esserci un ufficio diritti della creatività: comandamenti e categorie generali, determinate a priori, fanno acqua e diventano gabbie. Per tempo Smith ha chiarito di non voler accettare l’idea che «si possa e si debba scrivere solo delle persone “simili” a noi: dal punto di vista etnico, sessuale, genetico, nazionale, politico. Che solo un intimo legame autobiografico con il personaggio, da parte dell’autore, possa essere la base legittima di un’opera di letteratura. Io non ci credo». Volendo chiamare in causa le ombre illustri (e geniali), l’elenco sarebbe interminabile: da Shakespeare – processato su più fronti – in giù. Quanto ai contemporanei, il sistema d’allarme è incredibilmente reattivo: ne sa qualcosa la

scrittrice Jeanine Cummins, prima baciata dalla fortuna editoriale per “Il sale della terra” (American Dirt), poi massacrata dalle polemiche per avere raccontato la tragedia della migrazione messicana in una prospettiva zeppa di stereotipi. A Oprah Winfrey, che aveva sostenuto il libro, arrivò una lettera con centinaia di firmatari che la invitavano a rivedere il giudizio. Chi può parlare di cosa? Hanya Yanagihara, autrice del bestseller “Una vita come tante”, ha rimandato ai mittenti le obiezioni: americana di quarta generazione, radici nippo-coreane, cresciuta alle Hawaii, ha detto di non sentirsi né più né meno esperta sull’essere donna asiatica di quanto lo sia qualsiasi altra donna asiatica. E che è pericoloso per un artista sentirsi obbligato a lavorare solo entro i confini della propria identità geografica. Tuttavia spuntano da tempo in rete guide per evitare brutti inciampi: cosa non dire, cosa non raccontare. La trentenne Naomi Ishiguro, che da un papà Premio Nobel ha ereditato la passione per la letteratura, al momento del lancio del suo romanzo, “Terreno comune”, ha scelto di rivolgersi a chi ritiene privi di significa-

Foto: D. Levenson/Getty Images, P. Semansky / POOL / EPA / Ansa
L’intera storia della cultura è una storia di appropriazione culturale: di alfabeti e di cose, di scoperte e di invenzioni, di saperi e di poteri
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CULTURA TENTAZIONE PROTEZIONISMO

Lusso in stile afroamericano

È una relazione complicata quella tra la moda e l’appropriazione culturale. I rapporti tra i brand globali del lusso e le comunità degli afroamericani, dei nativi americani, dei sikh, ma anche dei cinesi, soprattutto negli Stati Uniti (il qipao, abito tradizionale, indossato con le bacchette, diventato mainstream), sono sempre stati piuttosto tesi. La brace cova sotto la cenere e si riaccende ciclicamente. Qualcuno ricorderà, qualche anno fa, la polemica tra Gucci guidata dallo stilista Alessandro Michele e la comunità sikh statunitense. Nel mirino “Indy Full Turban”, un turbante da 790 dollari che richiama il simbolo religioso della comunità. Le immagini del copricapo attirarono le proteste di Sikh Coalition, un think tank in difesa dei diritti della comunità religiosa nata nel Punjab indiano.

Letteratura e sovranismo

to i dibattiti sull’appropriazione culturale. Immagina – dice – che la tua voce sia stata messa a tacere ripetutamente, a causa della tua provenienza, della tua classe sociale, del tuo genere sessuale. E che chi non ha vissuto la tua storia pretenda di raccontarla in modo approssimativo, se non sbagliato. Non ti opporresti? La sua conclusione però, è un’apertura di credito verso chi con rispetto e intelligenza intende raccontare «qualcuno che non sei tu». Al posto dei comandamenti, enumera domande: ti sei assicurato di avere i dettagli corretti? Hai provato a parlare con qualcuno che ha un vissuto simile? Hai rappresentato i personaggi come persone? La finzione narrativa e il talento di un autore non devono avere briglie, ma qualche scrupolo di coscienza perché no? E aggiungerei una domanda sulla necessità e sulla responsabilità. Che troppi autori e autrici forse trascurano per abitudine, baldanza, sciatteria. Talvolta perché hanno innescato uno stanco e presuntuoso pilota automatico. Ma sei sicuro/a di essere proprio tu a dover raccontare questa storia? Pensaci meglio, pensaci un po’ di più.

Oggi, mentre si celebrano i 50 anni dell’hip hop, che ha reso popolare lo street style generando una miriade di contaminazioni, le comunità afroamericane, negli Stati Uniti, rivendicano la paternità di tendenze di cui si sono appropriati artisti e celebrity bianchi e brand di moda. Facendole diventare mainstream e, soprattutto, facendoci un sacco di soldi. Un po’ come accadde un tempo in campo musicale con i Beastie Boys e Eminem, rapper bianchi che furono accolti e rispettati anche dalle comunità afroamericane. Quanto alla moda, negli ultimi anni Justin Bieber si è esibito spesso con catene d’oro al collo e ai piedi sneaker spesse di Balenciaga, Billie Eilish ha indossato una tuta Gucci a un evento musicale, Kendall e Kylie Jenner hanno lanciato una linea di t-shirt ispirate a Tupac Shakur e Notorius B.I.G. Il designer Daniel Day, meglio conosciuto come Dapper Dan, ha vestito clienti come Jay-Z, Salt-N-Pepa e LL Cool J, ha serigrafato i monogrammi di Fendi e MCM su bomber e tute, ha collaborato a lungo con Gucci ed è diventato il padrino dello streetwear di lusso. Lo streetwear, nato appunto dall’hip-hop, ha conquistato già da anni le passerelle, come testimonia la mostra “Fresh, Fly and Fabolous: fifty years of hip-hop style” di recente al Museum al FIT di New York. «Le persone nere sono state discriminate per il loro stile, fino a quando non abbiamo visto celebrity e influencer acquisire quello stile sdoganandolo», ha affermato al magazine statunitense Insider la curatrice, Elizabeth Way: «Bisognerebbe sempre citare la fonte dell’ispirazione, mostrare curiosità e comprensione, per evitare di cadere nella trappola dell’appropriazione culturale».

Foto: V. Zunino Celotto / Getty Images for RFF FALSI D’AUTORE La scrittrice Zadie Smith
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Il coraggio è dei conigli

Una donna era in travaglio quando si è fatta avvicinare il telefono all’orecchio per dire la sua al “Ruggito del coniglio”. Un altro ascoltatore guidava un carro funebre. Pieno. E un chirurgo ha chiamato poco prima di entrare in sala operatoria per intervenire, questa volta in senso radiofonico. Perché la tentazione di partecipare non passa, nonostante la trasmissione di Radio Due festeggi in letizia 29 anni di solida attività. «Una coppia come la nostra? Ce la battiamo con Eurialo e Niso», dicono con aria quasi seria Antonello Dose e Marco Presta, i ragazzi irresistibili alla Walter Matthau e George Burns, che si prendono a ditate ma tirano avanti a colpi di battute in diretta dal 1995. «Ci sopportiamo poco, questo è il segreto del nostro rapporto. Siamo persone molto diverse, ma per fortuna, se fossimo stati uguali ci saremmo lasciati, oppure addormentati. Invece così funziona», dice Presta. O meglio, come ribatte Dose, «io da buddista direi che la nostra è una relazione karmica, o forse un caso clinico». Quel che è certo è che i due parlano come se la radio ce l’avessero dentro. Uno attacca il discorso, l’altro ci ride sopra e ribatte, interviene, chiude la frase, e per capirsi gli basta un’occhiata in una serie di gomitate complici neanche fossero con le cuffie in testa, anche mentre al bar sorseggiano un cappuccino freddo. Presta è romano e vagamente romanista, Dose invece è nato a Udine ma è arrivato nella Capitale a pochi mesi anche se a sentire il suo accento non si direbbe. «Ci conosciamo da quando avevamo 15 anni, i nostri

fratelli e sorelle erano catechisti. E questo è il risultato: i veri guai della famiglia tradizionale». In quasi trent’anni di onorata attività radiofonica hanno osservato in diretta l’ordinario scorrere del Paese. Governi, scandali, epurazioni («Di solito sono un po’ più soft, quest’anno ci sono andati giù pesanti, in Rai non tira una bellissima aria»), e poi accenni di censura («Per una battuta su Ustica i vertici dell’Aeronautica chiesero la soppressione del programma»), onorevoli infastiditi («Maurizio Gasparri una volta mi ha chiamato a casa per una battuta che non gli era piaciuta, erano i tempi in cui era ministro dei giovani e dello sport. E dell’hula hop») e premier che si divertono («Giorgia Meloni ride molto per l’imitazione di Paola Minaccioni») ma d’altronde «i politici che si incazzano sono quelli che dovrebbero cambiare mestiere e magari aprire un negozio di carta da para-

Foto: Mimmo Chianura / Agf
PROTAGONISTI
CULTURA
Antonello Dose e Marco Presta raccontano su Radio 2, da quasi trent’anni, tic, difetti e manie di un Paese che cambia. Con pessimismo comico. E culto della gentilezza
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BEATRICE DONDI

ti». Da metà settembre sono tornati ancora una volta con lo stesso spirito rigoroso («Se per radio intervistiamo i protagonisti dell’ “Isola dei famosi” siamo colpevoli verso il Paese, verso i nostri figli») e la formula di sempre: una lettura di quanto accade in giro da cui ricavare un piccolo tema quotidiano che diventa il pretesto per ascoltare le esperienze private degli ascoltatori. Il tutto condito da una sotterranea quanto necessaria vena satirica, che va dai loro stessi commenti ai personaggi che si avvicendano nel corso della diretta. Di diverso c’è solo la concorrenza, con Marcello Foa impegnato su Radio 1 (con “Giù la maschera”) al posto dei compianti Aprile e Bottura. Ma che tra l’ex presidente sovranista che esprimeva «disgusto» per Sergio Mattarella e i due conduttori che dal Capo dello Stato sono stati nominati cavalieri della Repubblica lo scorso maggio un filo di dif-

ferenza passa. E poi come si dice, a ognuno il suo pubblico.

Quello del Ruggito per esempio è assennato, mediamente colto, eticamente soddisfacente. Come sia possibile davvero non è di facile comprensione, eppure è esattamente così: «La nostra - ci spiegano in duetto i conigli - è una vera e propria comunità di persone che condividono delle regole: ironia, educazione, mancanza di volgarità e c’è una parte d’Italia che in questo si riconosce. Negli anni abbiamo cercato di educarlo questo pubblico e alla fine non ci ha mai deluso». Anche perché basta guardarsi intorno per trovare luoghi e non solo radiofonici in cui aprire i rubinetti, che fondano il loro successo esattamente su questo. Mentre nel “Ruggito del coniglio” accade il contrario, una sorta di isola felice dove il rispetto regna sovrano e al massimo gli ascoltatori spediscono le

VOCI INCONFONDIBILI

Antonello Dose e Marco Presta, autori e conduttori dello storico programma radiofonico “Il ruggito del coniglio”

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mozzarelle di bufala in via Asiago in segno d’affetto.

Ventinove anni dunque, come direbbe il professor Aristogitone dentro quelle quattro mura radiofoniche, a raccontare a modo loro un Paese che cambia: «Pensiamo sempre, quando parliamo per radio, che quello che diciamo in qualche modo influenzerà chi ci ascolta e creerà un gusto. Noi siamo cresciuti con Walter Chiari e l’Odissea e quel tipo di comunicazione ha creato in qualche modo quell’Italia. Oggi il modello è diventato il “Grande Fratello”, anche per la politica. Non vogliamo dire che fosse meglio la Democrazia Cristiana, però un tempo la politica era fatta da professionisti, anche del male, ma da professionisti. Questi sono ladri di galline. Nessuno ti chiede più una preparazione specifica e i risultati si vedono. Qui non è più questione di destra o sinistra, è che bisogna schierarsi: o le persone per bene o questi personaggi qui». Quindi anche i media hanno le loro responsabilità. «Ma scherzi? I media hanno colpe fondamentali. Del resto ce lo insegna il manifesto della P2: rincoglionisci il popolo e lo governi più facilmente ed è proprio quello che è successo». Un po’ quel dico non dico che Marco Presta difficilmente tiene per sé: «La gente si preoccupa del nuovo tatuaggio, non va a votare, non legge un libro. Ma perché lo abbiamo permesso?», mentre Dose lo guarda, annuisce e lancia il carico: «Ormai più della realtà è diventato importante il racconto. Quello che tentiamo di fare noi da tanti anni è guardare quello che accade con lo stesso stupore dei cartoni animati. Di fronte a tanti personaggi, episodi quotidiani, esternazioni inaspettate non ci riu-

DA BATMAN

A FLAIANO Sopra, Ennio Flaiano tra i punti di riferimento culturali dei due autori. A destra, Paola Minaccioni tra Dose e Presta. In studio anche Max Paiella, Attilio Di Giovanni, Giancarlo Ratti. “Il ruggito del coniglio” è diretto da Paolo Restuccia

sciamo a non chiederci “ma l’avrà detto sul serio?”». E questo è un problema mica da ridere per la satira: «Le nostre battute sono niente rispetto alle dichiarazioni di alcuni ministri. Pensa solo alla foto segnaletica di Trump, o quel che dice il ministro Lollobrigida… la realtà è andata molto oltre, fanno più ridere di noi. Questo succedeva anche con Berlusconi, che faceva le corna, le puzze davanti alla regina, quando la realtà è più paradossale della satira la satira è in difficoltà». Ma il Cavaliere vi manca? «No, non scherziamo», dice Presta senza esitare neppure il tempo di buttare giù un sorso. «Servirebbero regole solide, per poterci poi ridere su. Invece facciamo parte di un varietà collettivo. Dove essere comico, politico o prete è un po’ la stessa cosa. Io vorrei i politici grigi e soprattutto preoccupati: voglio Pajetta, voglio Fanfani. Invece qui è tutto una lambada».

Sono seri questi due ragazzi cresciuti con un rigoroso senso del comico. Volevano fare l’astrofisico, il poliziotto, il giornalista, poi hanno deciso di studiare da attori sino a che Enrico Vaime («Un grande maestro e soprattutto un amico, simbolo di un’Italia estinta») ha capito che proprio la radio poteva essere il loro mondo. «I nostri

CULTURA PROTAGONISTI
“Le nostre battute sono niente rispetto alle dichiarazioni di certi ministri. Vogliamo i politici grigi e soprattutto preoccupati: ridateci Pajetta, ridateci Fanfani”
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punti di riferimento? Ovviamente Vaime, e poi Batman, Dino Buzzati, Marcello Marchesi ed Ennio Flaiano: tutti supereroi». E oggettivamente la cinquina patriottica non è niente male. Ma cosa è il patriottismo oggi? «Innanzitutto occuparsi degli anziani, cioè dimostrare un senso di gratitudine verso chi ci ha dato delle cose», risponde Dose: «E poi pagare le tasse che è proprio un gesto di eroismo. Addirittura farlo sorridendo è il massimo del patriottismo, quasi alla Enrico Toti. Una volta era Dio Patria e famiglia, oggi è nonna tasse e badante».

Insomma, un sorta di pessimismo comico che affligge entrambi. E per uscirne servirebbe proprio un ruggito del coniglio. «Se vuoi davvero un cambiamento comincia a cambiare te stesso», risponde Antonello Dose: «Tieni saldi i tuoi principi e tramandali nel tuo ambiente, usa la gentilezza, il rispetto, cose che non vanno più di moda ma che sono la vera rivoluzione». E per Marco Presta? «L’applicazione improvvisa e rivoluzionaria del buonsenso alla vita quotidiana. Che ti porta a dire lui non lo eleggo perché è inaffidabile, questo programma non lo guardo perché rovina me e miei figli. Sì, il vero ruggito è il buonsenso, unica possibile forma di resistenza».

L’appuntamento La satira è viva e lotta insieme a noi

Ogni anno è la stessa storia: ci raccontiamo che la satira è morta, che i tempi d’oro non torneranno più, che i politici fanno già ridere per conto loro e prenderli in giro ha sempre meno senso; tutto vero, ma lei – la satira – resiste e rinasce, magari in forme più inconsuete ma non meno efficaci. Prendiamo il podcast “Non hanno un amico” di Luca Bizzarri: mette a nudo l’impreparazione di politici e personaggi pubblici, evidenziandone gaffe e scivoloni. Non è un caso che Bizzarri, assieme a Paolo Kessisoglu, abbia ricevuto lo scorso anno il Premio Satira Forte dei Marmi, storico riconoscimento alla 51ª edizione che dimostra che la satira è viva (magari non sempre in buona salute, ma viva) e lotta insieme a noi; semplicemente ha assunto altre sembianze. Scorrendo la lista dei premiati troviamo due stand-up comedian: Yoko Yamada – trentenne metà giapponese e metà bresciana – e Daniele Fabbri, uno dei pochi che ha ancora voglia di sporcarsi le mani con i temi caldi della società. E poi Daniele Tinti e Stefano Rapone, voci e volti del podcast Tintoria. Rapone è reduce dal successo di GialappaShow, nel quale ha dato vita a un personaggio meraviglioso: il vice-portavoce del governo Galeazzo Italo Mussolini. Ci saranno anche Barbascura X, youtuber e divulgatore scientifico, e Giulio Armeni, mente del profilo social Filosofia Coatta. Oltre a Call My Agent Italia, serie Sky che ha avuto il merito di far ridere prendendo di mira il mondo dello spettacolo, riceveranno il premio due libri: “Poverina” di Chiara Galeazzi (Blackie edizioni) e “La ricreazione è finita” di Dario Ferrari (Sellerio). Senza dimenticare categorie classiche, come il disegno satirico: il premio andrà a Mario Natangelo, matita del Fatto Quotidiano, autore di quella vignetta sulla sostituzione etnica che ha fatto arrabbiare tutti. L’appuntamento è per il 16 settembre, quando Fabrizio Biggio (partner di Fiorello in Viva Rai2!) condurrà la cerimonia di premiazione dalla Capannina di Forte dei Marmi; Rosario Fiorello con il suo varietà si è guadagnato il riconoscimento di personaggio dell’anno mettendo d’accordo tutti – con la sola eccezione dei residenti di via Asiago, che hanno costretto la Rai a traslocare il set al Foro Italico. Perché cambiano i tempi, ma il fine della satira resta lo stesso: dare fastidio a chi preferirebbe dormire.

Foto: Cortesia Rai –Radio2,
Agf
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CULTURA L’ANTICIPAZIONE

Camparino per commilitoni

Èil mese di aprile del 1999, a metà del pomeriggio. Giulio Bontempi percorre via San Paolo. È un vecchio decoroso, indossa un buon cappotto di loden, un cappello di tweed e porta l’ombrello perché il cielo è coperto.

È sbarbato, ha dei baffetti bianchi tagliati con cura. Sta andando a comprare dell’affettato nella grande salumeria Speck. Le sue labbra sono in movimento perché Giulio talvolta parla da solo; riflessioni mormorate a se stesso, del resto di poco conto. Si accinge ad attraversare la strada sussurrando un pensiero leggero: speriamo che piova, si dice, altrimenti perché mi sono portato l’ombrello? E in quel punto vede sull’altra sponda un’anziana figura che s’è fermata e allunga il collo proprio verso di lui. Mentre raggiunge il marciapiedi prospiciente, Giulio smette di guardare quel tizio per badare alle macchine che non rispettano le strisce, e anche perché ritiene che quell’uomo stia prendendo di mira qualcuno alle sue spalle o chissà che cosa. E di colpo se lo ritrova faccia a faccia.

È un vecchio smilzo e sgangherato dal sorriso eccessivo, con gli occhiali, in capo ha un basco dal bordo unto.

«Si ricorda di me, signor tenente?».

Tono fervido e rispettoso, voce raschiosa. Giulio lo guarda. Non è mai stato ufficiale, nemmeno sottufficiale e neppure graduato: è stato soldato semplice, per l’esattezza geniere telefonista. E tuttavia quella frase è stata uno squillo in grigioverde arrivato da lontano e che, forse, sta a significare che quel tale, anche se ha sbagliato a chiamarlo tenente, lo conosce, cioè lo riconosce. Del resto Giulio ha un particolare, doloroso contenzioso con la propria memoria.

«Veramente...», fa Giulio. In questi casi si dice così. Quel tale prende a sbattere le palpebre di piombo, in preda a un imbarazzo eccessivo. «Oh, signoriddio! Vuoi vedere che la confondo con un altro? Lei non era tenente? Il tenente, quello con i baffetti? Come si chiamava?» «No»«No? Perdincibacco! Eppure appena l’ho vista mi

sono detto: è lui, è lui! Mi scusi, lei dov’era nel ’41, ’42 e seguenti?». «Dov’ero? Fronte greco-albanese». Questo è un punto fermo nella testa di Giulio. Il viandante esulta arcicontento. «Fronte greco-albanese! Certo! Il glorioso, o merdoso, chi la vuole cotta e chi la vuole cruda, fronte greco-albanese! Eccola là! Come si chiamava il coso, lì, il reggimento?». Schiocca le dita secche, con le unghie a tegola. «Settimo», fa Giulio. Pochissime cose occhieggiano con sufficiente nitidezza nella sua bruma mentale, soprattutto quelle che non hanno nome, che sono dei numeri: «Settimo battaglione, quarta compagnia». Il tipo, investito da una scarica di entusiasmo strepita: «Settimo e quarta! Come no, bravo, ah, come sono contento!». Spalanca le braccia, un passante evita per un pelo una manata. Giulio, d’istinto, sussurra un garbato «sss», di cui quello se ne fotte.

«E dunque, bello mio, fatti vedere! Non

Arriva in libreria
“Si ricorda di me, signor tenente?”, romanzo ritrovato del grande sceneggiatore e scrittore. Realismo e commedia, sullo sfondo della Seconda guerra mondiale
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FURIO SCARPELLI

eri tenente? E che eri? Forza, diamoci dentro, vecchia scarpa, spremiamo le meningi!». «Ero geniere». Anche questo Giulio l’ha sempre tenuto per fermo. Va scrutando quel viso di mela vizza dove spiccano neri dietro le lenti gli occhi penduli e la bocca sboccata. Ma quello non gli dà il tempo di riflettere: «Geniere semplice! E io cos’ero? Cuori semplici, genieri semplici! Tutti e due!». (...) «Vedi che mi ricordo? Ah, ah, eh? I due allegri genieri! Dopo più di mezzo secolo si ritrovano. Chi l’avrebbe mai immaginato. Caro, carissimo, vieni qua!». Acchiappa Giulio e lo stringe a sé con stravolta emozione. Strizzato nel buio di quel vecchio pastrano che ha un sentore di cane bagnato, Giulio sente sul cappello la voce di quello che lo incita: «E tu? Hai capito chi sono? Mi riconosci? Spremiti le meningi, e dirai evviva! Chi sono chi sono chi sono?».

Nella notte della memoria, Giulio ina-

SUL FRONTE

GRECO-ALBANESE

Marzo 1941, unità del Genio italiano a Klisura. La copertina del libro, pubblicato da Sellerio edizioni (pp. 184, € 14), di cui pubblichiamo un estratto

spettatamente vede spiccare una piccola luna con gli occhiali. Su ogni perduta immagine di un reggimento, di un battaglione, di una compagnia, di un plotone, e giù fino a quella di una squadretta di guardafili e di quanto ne rimase, su ogni perduta immagine di tre anni di guerra, e del peggio che ne seguì, s’è accesa quella faccetta tonda. Giulio sente se stesso dire un nome che viene alle sue labbra senza passare per la ragione. «Bordoni Oscar?». Immediatamente l’altro apre le braccia, lo libera e strepita con sfolgorante entusiasmo: «Bordoni Oscar!», compie una piroetta facendo svolazzare il pastrano. «Eccomi qua! E chi, altrimenti? Mi si dica se si erano mai visti due amici, due fratelli, uniti come noi! Il destino ci aveva scaraventato uno qua e uno là, e adesso ci fa rincontrare! Per la strada, nel fitto andirivieni di Milano! Tu di’ come ti pare: io affermo che ci troviamo al cospetto del vero miracolo del 2000!». Giulio lo guarda con contrastanti stupori, che sommati danno zero. (...) «E come ci chiamavano? Di’ un po’, come ci chiamavano?». «Come ci chiamavano?». «Come ci chiamavano? A noi due? Non lo dici?Vuoivedere che io me lo ricordo? Certo che me lo ricordo, furbacchione! Ci chiamavano Castore e... Castore e chi?». «Polluce?». «Ci hai dato dentro! Troppo forte. Il passato che ritorna, ci chiamavano precisamente Bordoni Oscar e... Bordoni Oscar e...». «Bontempi Giulio...». «Eccolo! Bontempi Giulio e Bordoni Oscar... Castore e Polluce! (...)». A Giulio sta salendo dentro la nuca un fremito di cui non percepisce l’identità, un dubbio tremendo, o che cosa? (...) Giulio guarda dritto negli occhi lo scalmanato. E con inconsueta meticolosità stabilisce: «Bordoni Oscar è morto». L’altro lo guarda. Si ricompone e pacatamente osserva: «Qui siamo in mezzo alla strada. Troppi curiosi...», alza la voce verso astanti e passanti, «... che ficcano il nasone negli affaracci altrui... Vieni, Giulio, che ora abbiamo fatto? Ti offro un camparisoda coi salatini».

© Sellerio editore, 2023. Tutti i diritti riservati.

Foto: Mondadori Portfolio
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L’IA salvata dal tecnofemminismo

Produzione e apprendimento sono al centro dei discorsi sulle nuove tecnologie. Quando si parla di intelligenza artificiale sembra di immaginare un corpo estraneo venuto dal futuro, nel migliore dei casi a liberarci dal lavoro, nel peggiore a togliercelo. Diletta Huyskes, ricercatrice nel campo dell’etica delle tecnologie e dell’intelligenza artificiale (tra l’Università degli Studi di Milano e quella di Utrecht), ha fondato insieme a Luna Bianchi “Immanence”, società benefit di consulenza legale e strategica. Spiega che le IA non sono né black box né strumenti divinatori, che sono piene di passato e dei retaggi di chi le progetta. Ma, soprattutto, che programmare un algoritmo è un gesto politico. Nella sua bio Instagram c’è scritto “technofeminist”. Perché l’intelligenza artificiale è una questione femminista?

«Per tantissimi motivi. L’aggettivo deriva da un libro scritto da un’autrice femminista degli anni ’80 (“Technofeminism” di Judy Wajcman, ndr.) che in quegli anni si stava già occupando del rapporto tra genere, tecnologia, femminismo. Io sto riutilizzando e riprendendo questi studi, quasi completamente sconosciuti, perché mi sembra che l’impianto concettuale e politico sia esattamente quello che ci serve per studia-

re, capire, criticare e analizzare il modo in cui progettiamo la tecnologia e quindi anche l’intelligenza artificiale. Occorre dare spazio a una serie di prospettive che vengono escluse, non solo a quella delle donne. Significa guardare al design e alla progettazione delle tecnologie in modo critico, perché, ad oggi, questi software, purtroppo, riproducono lo status quo. Discriminazioni incluse».

I pregiudizi dell’IA sono proprio quelli umani, infatti gli algoritmi riproducono le disuguaglianze presenti nella realtà. Con che conseguenze?

«Se i dati di partenza sono poco rappresentativi, è ovvio che il sistema di IA produrrà dei risultati parziali e potenzialmente discriminatori. Ciò diventa ancora più problematico per gli utilizzi che le amministrazioni pubbliche e i governi ne fanno per automatizzare alcuni servizi per i cittadini.

CULTURA NOI E GLI ALGORITMI
Spesso si pensa che le macchine abbiano capacità divinatorie.
E che i processi di automazione
siano neutrali. Ma anche programmare
è un gesto politico, spiega l’esperta di etica digitale
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colloquio con DILETTA HUYSKES di SUSANNA RUGGHIA

C’è l’esempio dell’Olanda, dove ci sono stati furti di dati sensibili per identificare soggetti a rischio di frode e togliergli i sussidi per i figli. O quello della giustizia predittiva negli Stati Uniti, che reitera il rischio di recidiva per le persone nere. I data scientist, gli informatici, gli ingegneri e i programmatori, utilizzano dei criteri molto tecnici per capire se il loro sistema di intelligenza artificiale funziona. Per essi il funzionamento è sempre una metrica di fattibilità e di soddisfazione statistica. Però manca un pezzo fondamentale, quello della fattibilità e del funzionamento sociale di questi ragionamenti: vogliamo veramente che un algoritmo predichi la criminalità negli adolescenti che non hanno ancora compiuto alcun reato? Vogliamo che una donna sia considerata meno affidabile di un uomo perché per secoli le donne non hanno lavorato?».

Se la tecnologia è politica, cosa succede

ALGORITMI

Diletta Huyskes. La studiosa sarà in dialogo con Vito Mancuso il 22 settembre (ore 17) al Festival del Pensare Contemporaneo di Piacenza

quando non è governata?

«Tutta la storia dell’innovazione e della tecnologia ci ha fatto credere che quando un processo viene delegato a una macchina o automatizzato, l’essere umano dietro a questi processi si deresponsabilizza. Lo stiamo vedendo moltissimo, ad esempio, con l’IA generativa di ChatGPT».

In Italia a che punto siamo con la regolamentazione dell’IA nei sistemi della Pubblica amministrazione?

«Tutti pensano che in Italia non ci siano algoritmi utilizzati dalle pubbliche amministrazioni. Ce ne sono pochi rispetto ad altri Paesi, ma ce ne sono e nessuno lo sa. A livello nazionale c’è una estrema mancanza di trasparenza, ma anche di consapevolezza da parte dei decisori. Non ci sono normative italiane che regolamentano l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Ci sono ovviamente i regolamenti UE che abbiamo automaticamente applicato, come il Gdpr (il Re-

golamento generale sulla protezione dei dati, ndr). Esiste ad esempio una moratoria sull’utilizzo del riconoscimento facciale nei luoghi pubblici che recentemente è stata estesa fino alla fine del 2024. C’era la Strategia nazionale sull’intelligenza artificiale promossa dalla scorsa legislatura, ma assolutamente insoddisfacente».

Si sente ottimista rispetto al futuro delle IA e alla possibilità di sviluppare una nuova etica attorno all’automazione?

«È possibile e auspicabile. Sono diventata più ottimista. Se nessuna tecnologia è neutra, inevitabile o si cala dall’alto, allora possiamo fare molte scelte per utilizzarle in un certo modo. Questo richiede uno sforzo corale, ecosistemico e strutturale. Deriva da qui il mio impianto teorico femminista».

Foto: L. Meneghel, J. Lund / Getty Images
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Più bellezza, meno schiavitù

Èuna luminosa mattina di primavera. Domenico De Masi è nella sua casa romana, in centro, non troppo distante dal Pantheon. «Da qui si riescono a vedere i profili di tutte le chiese più importanti», dice orgoglioso il professore, sporgendosi sul terrazzino del suo salotto: «Lì, in fondo, si scorge anche la cupola di San Pietro»

De Masi è un grande sociologo. Ha dedicato gran parte della sua vita all’insegnamento e alla ricerca, con la cattedra in Sociologia del lavoro alla Sapienza. «Sono ancora molto legato all’università», confida con leggera malinconia, accarezzando la sua barba bianca.

Ho il privilegio di incontrare il professore per un progetto che riguarda il tema del lavoro come specchio della società che cambia. «Questa mi sembra una frase sacrosanta», scandisce in modo solenne. «Per secoli il lavoro non aveva nulla di dignitoso. Nella Grecia antica, gli uomini liberi non lavoravano per definizione: si dedicavano alla ginnastica, alle arti, alla filosofia. E chi doveva faticare per vivere era una persona di poco rispetto. Poi, però, tutto cambia. Ma bisogna aspettare secoli perché la concezione di lavoro venga riabilitata. Prima nel Seicento, con Locke, e poi nell’Ottocento, con Marx. Per quest’ultimo, lavorare diventa addirittura l’essenza, la cosa più nobile per l’essere umano».

La storia del lavoro ha conosciuto uno spartiacque destabilizzante. «È l’invenzione del telaio meccanico, nell’Inghilterra di fine Settecento. È la prima macchina che riesce a sostituire quasi del tutto un’attività dell’uomo». Una vera rivoluzione, a cui sono seguite, nel tempo, prima la creazione delle macchine elettromeccaniche, a inizio Novecento, e poi lo sviluppo di quelle digitali, verso la fine del “secolo breve”. «E ora c’è l’intelligenza artificiale. È davvero impressionante. Ma impressiona anche la meraviglia di chi la scopre soltanto adesso», dice il professore, con un accenno di sorriso sul volto.

«È in mezzo a noi da anni, e non ce ne siamo accorti», prosegue: «Alla fine, chi di noi usa Siri sul telefono in qualche modo già sperimenta l’intelligenza artificiale», sottolinea. E apre una riflessione: «L’intelligenza artificiale ci riporta un po’ a quel mondo antico dove il lavoro pesante lo facevano gli schiavi. Anche oggi le faccende più faticose le sbrigano gli schiavi, solo che sono meccanici e digitali. Torna così all’uomo un’era di attività intellettuale allo stato puro». Il timore di molti è che l’IA possa eliminare migliaia di posti. Ma sul punto il professore infonde una speranza: «Il lavoro creativo, decisionale e affettivo… Ecco questo rimarrà sempre monopolio degli esseri umani».

Dopo l’elezione di Elly Schlein alla segreteria del Pd, si è riacceso il dibattito sull’introduzione del salario minimo anche nel nostro Paese. Ma c’è una forte opposizio-

CULTURA 1938 / 2023
Il tempo da ritrovare. Il bisogno di amicizia e amore. Le grandi dimissioni. E la ricetta del sociologo del lavoro contro la disoccupazione. In un’intervista inedita
colloquio con DOMENICO DE MASI di MARCO DI VINCENZO 108 15 settembre 2023

ne da parte di alcuni, gli facciamo notare. «Un’opposizione soprattutto dei sindacati. Per prepotenza, più che altro», risponde De Masi: «Perché una legge sul salario sfuggirebbe al loro potere. Oggi il salario dipende dalla contrattazione collettiva tra datori di lavoro e, appunto, i rappresentanti sindacali. Ma non si riesce a eliminare la piaga delle retribuzioni scandalosamente basse: occorre quindi una soglia minima, che in tutta Europa c’è, tranne che qui da noi».

Si ferma, riflette, poi aggiunge: «Pd e 5 Stelle hanno da anni delle proposte sul salario. Entrambi sono stati al governo, forse avrebbero dovuto introdurlo all’epoca. Meloni, però, ora è contraria, e la battaglia è in questo momento persa» (l’intervista è stata realizzata nel marzo 2023, ndr.).

C’è un dato che fa spavento. È quello del precariato. «Esiste dall’avvento del neoliberismo, verso la fine degli anni Ottan-

IL LAVORO E LE SUE TRASFORMAZIONI

Domenico De Masi è stato un grande studioso del lavoro e delle sue evoluzioni.

Il sociologo è scomparso il 9 settembre scorso

ta. Fino a quella data, avevamo conosciuto una politica economica keynesiana, molto attenta al welfare. Poi, il neoliberismo ha distrutto i diritti. E il più delle volte li ha fatti distruggere proprio dalla sinistra», sostiene il sociologo. Che propone una ricetta contro la disoccupazione: «Come combatterla? Riducendo l’orario di lavoro. In Germania lo fanno già da anni. E i neolaureati lì trovano lavoro subito».

Insomma, lavorare meno per lavorare tutti. «Esatto. E per ottenere la riduzione dell’orario bisogna fare lotte in cui giovani, proletari e sindacati siano d’accordo. Come nel ’68. Che, non a caso, portò allo Statuto dei lavoratori. Ma oggi i sindacati sono molto più arrendevoli. E i giovani preferiscono non lottare».

Interroghiamo il professore su un fenomeno sempre più in circolazione, anche in Italia: le grandi dimissioni. «Ne parlavo già anni fa. In un libro anticipai anche il tema del telelavoro, poi esploso col lockdown». Ma perché molti scelgono di lasciare il loro posto? «Banalmente, perché ne trovano uno migliore. Ma non è questo il punto. L’aspetto principale riguarda chi lascia un lavoro per uno meno pagato o, addirittura, per non cercarne un altro. Lavorare ha due funzioni. Una è strumentale: serve per mangiare. L’altra è espressiva: lavorando esprimiamo la nostra personalità. Il lavoro organizzato in modo taylorista, come in gran parte delle aziende, spesso opprime propri i bisogni espressivi. Con turni lunghissimi, non ho possibilità di coltivare i bisogni di amicizia, amore, bellezza, gioco, convivialità. Chi si dimette, dunque, fa una scelta: preferire l’autorealizzazione alla schiavitù. Elimina i consumi e, in cambio, coltiva quei bisogni di amore e di bellezza. Perché è necessario coltivare questi bisogni». Lascio il professore, che torna nel suo studiolo, tappezzato da centinaia di libri e illuminato da una luce dolce. Domenico De Masi è morto il 9 settembre scorso, appena tre settimane dopo aver scoperto una malattia invasiva.

Foto: A. Dadi / Agf
15 settembre 2023 109

a cura della redazione Cultura

LONDRA / DESIGN FESTIVAL

I colori, le forme, la creatività internazionale invaderanno Londra, dal 16 al 24 settembre, trasformandola nella capitale mondiale del design. Forum, grandi idee, riconoscimenti ai più innovatori e progetti sparsi per la città, da Bankside a Battersea, da Chelsea a Dalston, con la sostenibilità al centro: come sintetizzare la tecnologia con gli antichi mestieri, come disegnare e progettare in modo sempre più etico. E nel più antico distretto del design, Brompton, la convivialità è il tema guida: come connetterci con le persone e con i luoghi.

www. londondesignfestival.com

gonista, tra sfilate, eventi e appuntamenti www.cameramoda.it

PARIGI / LE STAR DI BOLLYWOOD

Appuntamenti da non perdere, dal Design Festival di Londra a Milano capitale della moda

taniche all’emergenza ambientale: il tema di questa diciannovesima edizione è la ricerca delle «piante da frutto e ornamentali che meglio si adattano all’attuale evoluzione del clima». Fino a domenica 17, in mezzo a un centinaio di stand, agronomi e vivaisti parleranno di come combattere la monocoltura di ciliegini e san Marzano riscoprendo varietà di pomodori dimenticate (Maurizio Lunardon ne coltiva quasi duemila) o di rose resistenti al clima torrido che arrivano dall’India.

MILANO / CAPITALE DELLA MODA

Dalla prima collezione di Sabato De Sarno per Gucci a quella di Peter Hawking per Tom Ford, passando per Simone Bellotti alla guida di Bally, il grande ritorno di Fiorucci, la sfilata di Diesel aperta al pubblico e il doppio appuntamento con Giorgio Amani.

Dal 19 al 25 settembre prossimo

torna la settimana della moda dedicata al ready to wear femminile per presentare le collezioni donna primavera estate 2024. Milano fa da sfondo, se non da prota-

Con più di 1.500 film esportati in tutto il mondo, l’India è il primo produttore di cinema al mondo. La mostra “Bollywood Superstars” ripercorre più di un secolo di cinema indiano, a partire dalle radici mitologiche e artistiche fino alle icone dello star system contemporaneo. Questa mostra, al Museo di Quai Brainly Jacques Chirac, a Parigi (26 settembre-14 gennaio 2024) offre la possibilità di entrare in un mondo altrimenti inaccessibile, attraverso una scenografia immersiva: scene di danza, palazzi dei film storici, in un dialogo costante tra oggetti e cinema. Oltre 200 opere, dipinti, costumi, fotografie.

ROMA / PIANTE RARE

Torna “La conserva della neve”, mostra-mercato di piante rare dal nome ermetico e suggestivo: è un richiamo alla cella frigorifera ante litteram della Villa Lante di Bagnaia, sede delle prime edizioni. E torna all’insegna di un tema che lega questo salotto delle eccellenze bo-

TORINO / SPIRITUALITÀ

Dal 27 settembre al primo ottobre torna “Torino Spiritualità”, il festival che sollecita il confronto tra coscienze e l’incrocio di idee. La sua diciannovesima edizione è dedicata agli assenti, ricca di appuntamenti con intellettuali, scrittrici e scrittori, attori e attrici, pensatrici e pensatori, invitati a discutere della morte, ovvero della vita. Gli appuntamenti si svolgeranno tra il Circolo dei lettori, teatri e altri spazi culturali cittadini. Si inaugura con “The Biggest Death Café Ever” nella Chiesa di San Filippo Neri, tra bevande e biscotti. www.torinospiritualita.org

Foto: L. JolyAP / Lapresse
110 15 settembre 2023 VISIONI

Rito senza addio

L’ultimo romanzo di Roberto Cotroneo. Ritorno in Vietnam. A Berlino con Vincenzo Latronico. Christopher Isherwood da ascoltare

“Meno della polvere” era l’epiteto utilizzato contro i figli nati dalle relazioni tra soldati americani e donne vietnamite. L’autrice, già nota per il romanzo “Quando le montagne cantano”, che in Vietnam è nata e cresciuta, torna a quella storia. Per indagare gli effetti della guerra anche a distanza di decenni e di generazioni. Per scandagliare pregiudizi. E regalare una saga che parla di destino, amore e resistenza. Traduzione di Francesca Toticchi.

DOVE VOLA LA POLVERE Nguyen Phan Que Mai Editrice Nord, pp. 416, € 19

Dal 2009 a Berlino, lo scrittore ne conosce i vuoti e i pieni, le assenze e la meraviglia, i traumi, la gente, le giornate di sole e quelle irrimediabilmente grigie. Ci sono i motivi per restare e quelli per partire in questo atto d’amore per la città. Che era un’avventura e ora è un’altra cosa. Dove si arriva per scelta e si rimane per caso. Perché la città di un tempo non esiste più. E quella capitata è ancora la migliore.

LA CERIMONIA DELL’ADDIO Roberto Cotroneo Mondadori pp. 168, € 18

sono madri, amici, amori presenti nelle nostre vite, ma assenti nella realtà di tutti giorni. Uomini e donne che ci hanno lasciato, ma restano saldi accanto a noi. Attraverso le cose, che non sono mai soltanto oggetti, ma prima di tutto relazioni. Attraverso ricordi vivissimi, memorie sfrangiate, rimpianti persino: una dedica non scritta su un libro, un appuntamento mancato, una parola non detta. Memorie che contengono il dolore e che compongono l’architettura necessaria a “La cerimonia dell’addio”, come si intitola l’ultimo romanzo di Roberto Cotroneo (Mondadori). Un rito in forma di scrittura, sapiente prova di sottrazione che rende essenziale, e ancor più incisiva, la voce narrante. Un viaggio nel tempo che trascorriamo con gli altri, nel ruolo che abbiamo per chi ci sta accanto, nell’equilibrio da ritrovare se la persona amata non c’è più. La prospettiva di chi faticosamente rimane. Ma anche quella degli assenti, dalla terra dalla quale ci guardano, ci assolvono, sorridono, di certo proteggono il nostro disordine. Un lutto, non per un marito defunto ma scomparso: uscito a fumare una sigaretta e mai più ritornato. Il dubbio di una fatale amnesia. E il senso di fragilità che deflagra, l’imprevisto che irrompe nelle nostre vite. In una storia che è anche di forza e di responsabilità: di come si affrontano i bivi temuti da sempre, la verità dei segreti di chi pensavamo di conoscere. E nulla conforta più di ciò che abbiamo condiviso: la pagina di un libro, una passeggiata al mare, un verso, una canzone. Il ricordo di una complicità: come quel moto di gelosia per una poetessa chiamata Ingeborg Bachmann, che tiene compagnia a tuo marito nel cuore della notte. Riempie il silenzio di parole, Cotroneo. Poi lo svuota di nuovo («Gli dèi non parlano. Gli uomini parlano perché sono mortali. Parlare scandisce il tempo, e il tempo ci dice che moriremo»). Consegnando, da un dolore privato, un grande romanzo con personaggi che reclamano la loro parte. E che, mentre lo scrittore cuce e scuce, tra amore e letteratura, feriscono, agitano. Consolano: quando in silenzio, davanti al mare in copertina, risaliamo grati dall’emozionante apnea.

LA CHIAVE DI BERLINO Vincenzo Latronico

Einaudi, pp. 137, € 17,50

Interpretato dalla voce di Paolo Briguglia un romanzo da riascoltare. L’occhio implacabile dello scrittore inglese è puntato su George, professore di mezza età che ha perso il suo compagno in un incidente. Una sequenza di scatti ne racconta la solitudine, la rabbia contro i libri inutilmente letti. E pezzi di vita che in lui ritornano come ricordi: malinconie che, come l’unica speranza possibile, lo accompagneranno per sempre.

UN UOMO SOLO

Christopher Isherwood Emons Edizioni

i 15 settembre 2023 111
C
BOOKMARKS Sabina Minardi

Grande Fratello col loden

Quando si dice i casi della vita. Nel giorno esatto in cui i figli di Silvio Berlusconi hanno accettato l’eredità del defunto Cavaliere, l’amministratore delegato di Mediaset Piersilvio impone uno stravolgimento del Grande Fratello, programma simbolo della tv paterna. E regala, si fa per dire, una versione in stile Monti. Loden compreso. Praticamente la nuova stagione dello storico reality che tanto ha dato al male di questo Paese cambia strada, si ripulisce, butta alle ortiche ombelichi e tatuaggi, bullismo e volgarità per diventare una sorta di “Ti spedisco in convento”, con velate tracce di intensa noia. Tutto era cominciato con l’ospitata di Alfonso Signorini al “Verissimo” della moglie di Piersilvio Berlusconi. Dove, ben prima del canto del gallo, aveva rinnegato senza ritegno alcuno il suo intero lavoro passato chiedendo scusa e millantando una sorta di imposizione del cast sbagliato e insoddisfacente. Come se non ne fosse stato in alcun modo responsabile. Così, col nuovo inizio si è potuto toccare con mano il senso di questo nuovo Grande Fratello col loden. Innanzitutto il Gf comincia alle 21,30 spaccate. Nessuna sbavatura, nessun ritardo. Alfonso Signorini ripete compulsivamente che «in

DA GUARDARE MA ANCHE NO

È ricominciato l’imperdibile “Matrimonio a prima vista” su Discovery+. Con una trovata d’autore che vale la visione. Gli sposi che si incontrano per la prima volta all’altare, arrivano bendati. E per mettersi la mascherina oscurante si rovinano trucco e parrucco. Praticamente una punizione per l’insano gesto.

Mancano solo sei mesi all’inizio dell’ultimo Festival di Sanremo targato Amadeus e inevitabilmente si fanno spazio le ipotesi sulla successione. In molti parlano di «una donna». Altri invece suggeriscono «una conduzione corale di cinque donne». Senza nomi, ci mancherebbe. O come diceva Michela Murgia, donne a caso.

Piersilvio Berlusconi impone una versione del reality in stile governo Monti. Sobrio, buonista e discreto. Chissà l’incantesimo quanto durerà

Grande Fratello 2023 condotto da Alfonso Signorini con Cesara Buonamici come opinionista. In onda lunedì e venerdì su Canale 5

casa si respira una bella atmosfera», esaltando le premesse martellanti per una versione elegante, sobria, pudica che metta al bando il trash. Per un attimo non resiste e chiede ad Alex Schwazer: «Perché ti sei dopato?», ma dura poco e rientra subito nella parte. E in questa bizzarra mescolanza di concorrenti sconosciuti e di vip altrettanto sconosciuti, non resta che appassionarsi al buonismo del giovane Berlusconi style. Un macellaio che non guarda la tv, l’operaia ridanciana, la chef che si racconta con «sono una donna, sono una madre, sono una moglie». E poi Giuseppe Garibaldi, il bidello che resta umile, la ragazza che per lo studio ha rinunciato al concorso di bellezza, l’attrice in disuso delle telenovelas, la bionda che non vuole essere oca. E così via. Tutti buoni, senza scollature, tutt’al più un filo di lucidalabbra. Figli devoti che ridono spensierati come boyscout in gita, mentre Cesara Buonamici li guarda con l’indulgenza di una madre superiora della nuova parrocchia Mediaset. E dispensa perle come: «Apprezzo la loro onestà intellettuale», oppure: «Vorrei sapere se il suo ideale di fidanzata assomiglia alla sua mamma». Alla fine non resta che chiedersi quanto durerà l’incantesimo della sobrietà montiana di Piersilvio e aspettare che venga spezzato dalla strega cattiva di ordinanza che manderà all’aria la versione da governo tecnico attempato, sobrio, discreto. E ci bombarderà di tasse.

15 settembre 2023 113 HO VISTO COSE Beatrice Dondi

Favolaccia senza morale

Prendi “La strada” di Fellini e immergilo nella contemporaneità più nera. Il risultato è “Patagonia”, un esordio fulminante

Metti Gelsomina nell’Italia di oggi. Fanne un ragazzo, Yuri, un bambinone smarrito e un filo autistico cresciuto da nonna e zie in un’Italia rurale e minore come quella de “La strada” di Fellini. Anche se i saltimbanchi oggi sono giovani che vivono alla giornata tra un rave e uno spettacolino. E magari hanno i capelli color fiamma, il sorriso incendiario, il piercing al labbro di Agostino, che abita in un camper ed è un perfetto Zampanò 2.0. Pronto a prendere Yuri sotto la sua ala, dunque a educarlo, a farlo sentire per la prima volta libero, a promettergli perfino un viaggio in “Patagonia” (titolo di una canzone di José Larralde). Ma anche a illuderlo, sedurlo, manipolarlo, insomma usarlo senza vergogna. In un gioco di potere che non esclude il desiderio ma sbarra la strada all’amore. Di ritorno da Venezia e dalle sue ordinate vetrine, fa un certo effetto sbattere contro l’esordio di Simone Bozzelli, classe 1994, già noto per una premiata serie di corti e per un video dei Måneskin, titolo profetico: “I Wanna be Your Slave”. Scoperto a Locarno, “Patagonia” incarna infatti tutto ciò che nel cinema italiano - tono, sentimenti, contenuti - non ha cittadinanza. Le immagini sono crude, dirette, soprattutto sporche e terribilmente vere, ci sono mutande zozze, una seduta di piercing ai capezzoli in tempo

reale, perfino coprofilia. Come se all’improvviso Larry Clark e Harmony Korine si fossero fatti un giro nell’Italia centrale rendendo visibile un mondo che esiste eccome ma il nostro cinema solitamente ignora. O peggio edulcora e ammaestra a fini promozionali, mentre “Patagonia” ne fa il microcosmo rivelatore di dinamiche universali. Senza giudizio né sociologia. Tra le poche parentele possibili, con mille differenze, c’è il poco noto “Xolo” di Giuseppe Valentino, o l’esordio di Alain Parroni appena premiato a Venezia, “Una sterminata domenica”. Bozzelli però è più frontale, meno sfoggio di stile, più corpi, uso sapiente del tempo, due attori diretti a meraviglia, Andrea Fuorto (Yuri) e Augusto Maria Russi (Agostino). “Patagonia” non spiega: guarda. E non fa sconti.

LE GAUDENTI NOTE

Artificio sulle sette note

Si allarga la rivolta contro i rischi dell’uso incontrollato dell’Intelligenza Artificiale. Dopo il poderoso sciopero di sceneggiatori e attori a Hollywood, i Grammy hanno annunciato che i premi non prenderanno in considerazione pezzi musicali prodotti con l’aiutino di IA. Un tentativo come un altro di arginare quello che purtroppo sembra difficilmente arginabile, il falso non è solo una possibilità tecnica, pare un gioco prelibato, quasi quasi preferibile al vero, le orde di TikTok avanzano implacabili, macinano quantità inverosimili di tracce video, musicali, parlate, incuranti di un codice di presunta onorabilità, tanto meno di aderenza alla realtà, i media a volte si adeguano, la musica pure, molti pezzi in uscita sembrerebbero già pensati dall’IA anche se verosimilmente non lo sono. Il rischio più grande non è quello che temono i Grammy, è piuttosto la possibilità non remota che il nostro gusto estetico comin-

PATAGONIA di Simone Bozzelli Italia, 108’
114 15 settembre 2023
BUIO IN SALA
Fabio Ferzetti

Eternamente promessi sposi

Ognuno di noi ha un testo o un autore al quale, per diverse ragioni, è più affezionato di altri. Per Andrée Ruth Shammah, regista e direttrice artistica del Teatro Franco Parenti di Milano, Giovanni Testori con “I Promessi sposi alla prova” è non solo una pietra miliare del suo percorso, ma anche un modo per mettere ogni volta alla prova, appunto, i personaggi manzoniani, se stessa e gli spettatori. Era il 27 gennaio 1984 quando andò in scena per la prima volta al Salone Pier Lombardo (attuale Teatro Franco Parenti), fondato otto anni prima da Testori, Shammah e Parenti, che ne “I promessi sposi alla prova” interpretava il ruolo del maestro. Da allora lo spettacolo ha avuto diverse edizioni. L’ultima ha debuttato al Campania Teatro Festival e ora si prepara ad approdare per la prima volta al Picco-

Gino Castaldo

“I promessi sposi alla prova”. Sotto: Samara Joy premiata agli ultimi Grammy Award

Shammah porta di nuovo in scena la riscrittura firmata da Testori. Che regala ai personaggi del romanzo di Manzoni freschezza e attualità

ci ad assomigliare troppo alla finzione, che anche i veri autori in carne e ossa si sentano costretti a imitare o prevedere le scelte che avrebbe fatto l’Intelligenza Artificiale. I Grammy hanno tentato di imporre una distinzione importante: i premi sono fatti per premiare i veri autori, ma cosa fare in un mondo in cui proprio il ruolo dell’autore è messo in discussione, trascolora e si perde in un intreccio fitto di trame di cui è facilissimo perdere l’identità originale? Non per essere catastrofici, ma il rischio è forte e la legge del profitto ci ha insegnato che se non vengono posti limiti a vincere sarà sempre il più furbo, se a guidare anche le vie della comunicazione e dell’arte è solo il guadagno siamo seriamente nei guai. Gli U2 precorsero i tempi scrivendo sui loro schermi nei lontani anni Novanta: «Tutto quello che leggete è vero», e subito dopo: «Tutto quello che leggete è falso». Ma noi, al momento giusto, saremo in grado di distinguere?

lo di Milano. Torna in scena per celebrare un doppio anniversario: 100 anni della nascita di Testori e 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni (coproduzione Franco Parenti / Fondazione Campania dei Festival). Lo spettacolo mantiene la struttura di sempre, ma è più vivo che mai. Tra pareti bianche, pontili e scalette a vista un gruppo di attori prova “I promessi sposi” guidato dal maestro/regista (Giovanni Crippa, che nell’edizione del 1984 era uno degli allievi). Inizia così una storia che ben conosciamo, ma con sfumature diverse. I personaggi principali, dunque, ci sono tutti, da Renzo e Lucia (interpretati da Tobia Dal Corso Polzot e Aurora Spreafico, che donano freschezza alla coppia di innamorati) a Gertrude (una intensa Federica Fracassi), fino a Don Rodrigo (Vito Vicino), Agnese (Carlina Torta), la Perpetua (Rita Pelusio). Ma qui hanno una personalità, i loro ruoli vengono riscritti. E così Lucia può decidere di incontrare l’Innominato, mentre l’amore fra i due giovani non è detto che sia solo platonico. Insomma, si entra in punta di piedi nella vita contemporanea, senza rinunciare a denunciare la supremazia dei potenti, e nello stesso tempo a diffondere un messaggio di speranza.

I PROMESSI SPOSI ALLA PROVA di Giovanni Testori regia di Andrée Ruth Shammah. Milano, Teatro Grassi, 12-22 ottobre. Brescia, Teatro Sociale, 25-29 ottobre

Foto: Getty Images
15 settembre 2023 115 Francesca De Sanctis COLPO DI SCENA

Evoluzione del salvavita

AAnticipare i tempi, introducendo le cinture di sicurezza di serie su tutta la gamma nel 1973, tre anni prima dell’obbligo generale di indossarle: una decisione, quella di Opel, voluta per dare un segnale alla concorrenza. Già nel 1968 Kadett, Admiral e Diplomat potevano essere ordinate con le cinture anteriori. Nonostante tutti gli airbag e i sistemi di assistenza alla guida presenti oggi a bordo, «la cintura di sicurezza è ancora il sistema salvavita più importante nell’auto», sostiene Peter Schüßler, responsabile dei sistemi di ritenuta passiva presso Opel a Rüsselsheim. Oggi, su ogni modello Opel sono installati 15 metri di cinture di sicurezza. Significa che in totale, in 50 anni, sono stati montati 750 milioni di metri di dispositivi. Nel 1969, gli ingegneri Opel presentarono presso il Dudenhofen Test Center i risultati del loro programma di ricerca sugli incidenti. Il messaggio lanciato non lasciava adito a dubbi: più della metà di tutte le vittime poteva salvarsi grazie alle cinture. All’inizio del 1972, la direzione di Opel inviò una lettera a tutti i dipendenti, invitandoli a indossare i dispositivi e offrendo loro un kit di installazione a prezzo scontato, così da incentivarne l’adozione sui loro veicoli. Il successo dell’iniziativa fu enorme e in breve tempo i 12mila kit andarono esauriti. L’adozione del sistema non trovò fa-

Cinquant’anni fa, da Opel, le prime cinture di sicurezza di serie. Poi gli airbag. Oggi la guida assistita. E l’auto diventa sempre più sicura

vore presso il grande pubblico, tanto che milioni di persone inizialmente si rifiutarono di «allacciare le cinture», quando dal primo gennaio 1976 in Germania divennero obbligatorie. Alcuni le trovavano scomode, altri «ingombranti da indossare», senza contare chi lamentava il fatto di regolarle ogni volta, inconveniente risolto poi con l’introduzione del riavvolgitore automatico. Nel 1991 l’Opel Astra F venne equipaggiata con un pretensionatore. Oggi sono gli airbag, in particolare, a ridurre ulteriormente il rischio di lesioni. I morti sulle strade, però, risultano sempre troppi. A partire dal 2026, i test per la tutela dei consumatori dovranno valutare valori delle lesioni che tengano conto della struttura ossea, più fragile, degli anziani.

AMICI BESTIALI

Cavalli maestri di vita

Gli animali ci insegnano e noi siamo studenti. Parte da questo concetto la cultura degli Indiani d’America, che vedono negli animali la guida per capire come muoversi sul pianeta senza fare danni. Una cultura fatta di grande rispetto e di osservazione. Ho avuto modo di seguire la conferenza di Mosen Brings Plenty, portavoce della Nazione Lakota e custode dei valori tradizionali, che si è tenuta in Umbria sul lago Trasimeno, nell’unico allevamento italiano di bisonti. I cuccioli di bisonte e di cavallo sanno già come muoversi, cosa dire e cosa fare appena escono dal ventre materno. I cuccioli d’uomo no e non sanno sopravvivere. Ecco perché nella cultura Lakota questi animali sono considerati maestri di vita. Osservare, imparare e rispettare. Un esercizio che ha permesso a questi popoli di sopravvivere per secoli, e che la civiltà occidentale ha dimenticato. L’etologia, una scienza affascinante che conside-

Montaggio degli interni di una Astra in uno stabilimento della Opel
116 15 settembre 2023
MOTORI
Gianfranco Ferroni

Farina di cozze nella banchina

Nel piatto e sotto i piedi: finiranno così gli scarti dei gusci delle cozze che, uniti ai sedimenti dei dragaggi portuali, formeranno un nuovo materiale green. L’idea viene sviluppata dal progetto europeo Life “GreenLife4Seas”, guidato dal Politecnico di Bari. Un progetto che trova una soluzione sola per risolvere due problemi, e che diventa un modello di economia circolare.

I gusci di mitili, infatti, non si possono riciclare nell’umido essendo composti al 95 per cento di carbonato di calcio: una sostanza di natura inorganica, che li rende non compatibili con il compostaggio.

I sedimenti dei porti, dragati per garantire la navigabilità degli scali e per rimuovere i contaminanti presenti, sono gestiti come rifiuti e conferiti in vasche di col-

Viola Carignani

Gusci di cozze: non sono compostabili. Sotto: cavallo dipinto dagli Indiani d’America

Gusci di mitili ridotti in polvere. E detriti dragati dall’imbocco dei porti. Uniti in un materiale ecologico che sostituisce il cemento

riamo troppo spesso relegata all’interno delle accademie, dovrebbe far parte della quotidianità per costruire un sano rapporto con il mondo animale. «Il cavallo ci insegna rispetto, umiltà e come comunicare senza le parole», ha spiegato Mosen al pubblico. Sembra facile. Non è così. Capire i cavalli, i cani, i gatti, animali che vivono a più stretto contatto con noi, richiede impegno. La forza e la coercizione servono solo a piegare alla nostra volontà chi consideriamo inferiore a noi. Una scorciatoia per raggiungere ad ogni costo un obiettivo. Cavalli e cani spesso vengono piegati al nostro volere con metodi che ritengo brutali e che non fanno altro che distruggere lo spirito che li anima. Ma poi sono così buoni che accettano tutto.

Abbiamo dovuto scrivere delle leggi per convivere con gli animali e conoscere le loro cinque libertà. Cerchiamo almeno di rispettarle, queste regole. Gli Amici Bestiali ringraziano.

mata, con un ingente dispendio di risorse per lo smaltimento. Necessitano, infatti, di trattamenti complessi per poter essere riutilizzati. Le quantità degli scarti prodotti, tra gusci e sedimenti, sono enormi: l’Italia è infatti tra i primi dieci produttori mondiali di cozze e nei porti nazionali, entro i prossimi dieci anni, verranno bonificati oltre 3 milioni di metri cubi di sedimenti con un costo di quasi 180 milioni di euro.

I laboratori del Politecnico di Bari, in collaborazione con i centri di ricerca del Politecnico di Zurigo, hanno ideato un trattamento di stabilizzazione meccanica dei sedimenti con leganti parzialmente sostituiti da una farina di gusci di mitili, un additivo innovativo e sostenibile che permette di ridurre l’uso del cemento nella stessa funzione. Il progetto, che coinvolge Italia e Grecia, prevede la realizzazione di prototipi di frangiflutti e pavimentazione da esterni per banchine che verranno messe in opera nei porti della Spezia in Liguria, in quelli di Bari e Barletta in Puglia e nel Porto del Pireo ad Atene.

Se passate da quelle parti non abbiate paura di scalfirvi i piedi: nelle banchine realizzate con il nuovo materiale, delle cozze resterà solo il colore scuro. E non lasciatevi illudere dalle suggestioni: se sentite il profumo di un bel piatto di spaghetti di mare viene dal ristorante più vicino, non dalla banchina.

Foto: Getty Images
15 settembre 2023 117
Emanuela Cavallo COSA C’È DI NUOVO

Pinot Nero che passione

Per Alessandro Cellai, una vita nel mondo del vino, il Pinot Nero non è soltanto un vitigno ma un’ossessione, convertita in una ricerca instancabile. Ma la sua “corrispondenza di amorosi sensi” per il nettare di Bacco ha radici ancora più lontane, si deve infatti allo zio, sacerdote e vigneron dilettante a Castellina, che gli trasmette le stigmate della passione. Poi, prima della laurea in Chimica a Pisa, arrivano prima la fascinazione, poi gli anni di lavoro con Giacomo Tachis, decano degli enologi italiani, col quale lavora su una preziosissima serie di intuizioni, equamente divise tra Sangiovese e vitigni internazionali, di cui prima degli altri intuì le potenzialità in territorio toscano. Seguono gli anni gloriosi alla corte di Paolo Panerai, quell’iconico e ambizioso progetto di Castellare di Castellina di cui contribuisce decisivamente alla concretizzazione. Ma il sogno del Pinot Nero non svanisce. Certo occuparsi della più nobile, ma anche ardimentosa, tra le uve, caricandola di valore aggiunto nel regno del Sangiovese, non è facile, ma Alessandro non si scoraggia. La ricerca finisce nel 2000, proprio dove tutto è iniziato, ovverosia a Castellina in Chianti, in un piccolo podere di 3 ettari, collocato a 500 metri, di cui la metà adibiti a Pinot Nero, gli altri suddivisi tra Cabernet e Merlot. Un accurato lavoro, tra scelta dei portainnesti e selezione clonale, conduce il progetto a scrivere pagine nuove, e inedite,

L’uva più nobile, coltivata accanto a Merlot e Cabernet. In un podere di Castellina la sfida di un chimico votato alla causa del Chianti

in ambito di interpretazioni di vitigni internazionali nel chiantigiano, i cui impeccabili risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Toscana IGT La Pineta 2021. Prezzo: € 42 Incredibile lettura di Pinot Nero, superba interpretazione di un’uva che non finisce di stupire. Al naso richiami di piccoli frutti rossi, nella fattispecie melograno, poi lavanda, tocchi di pepe nero e finale sulle note dell’eucalipto. Il palato è croccante e succoso, con eccellente spalla acida, tannini iodati e lunghissima persistenza. Perfetta con due classici della tradizione toscana come ribollita e pappardelle ai funghi porcini.

Toscana Igt

La Pineta 2021, Podere Monastero PUNTEGGIO: 98+/100

PODERE MONASTERO

Località Monastero, 37 - 53011 Castellina in Chianti (SI). Tel. 0577 740436 wines@poderemonastero.it

Belli, ricchi e sfruttatori

Il diavolo sta nei dettagli e in alcuni di questi, piccoli piccoli, possiamo risalire alla storia coloniale e violenta dell’Occidente: dal XVIII secolo in poi, Inghilterra e Stati Uniti hanno iniziato la scalata al mondo e il loro status di potenze economiche coincideva con lo sviluppo di un sistema espansivo brutale, basato sullo sfruttamento della schiavitù e sulla disuguaglianza sociale.

Allora forse non è un caso che l’autore della mostra “Best Reply” - che proprio di questo ci parla - sia di San Francisco, la capitale degli homeless d’America, la città in cui le disparità sono più evidenti. Si tratta di Buck Ellison, classe 1987, che alla Barbati Gallery di Palazzo Lezze (splendida architettura gotica veneziana in Campo Santo Stefano) mette in scena l’ossessione ipocrita per la “discrezione” dell’upper class americana. Dalle sue fotografie, che quasi sembrano acquistate da uno stock di immagini, traspare infatti la volontà di non

118 15 settembre 2023
IL VINO smART
Luca Gardini

Brudèt delle mie brame

Succulenti e profumati, i brodetti di pesce esaltano i prelibati doni del mare in un’unica portata ricca di sostanza e gusto. Nati come piatti poveri a base di scarti di pesce poco pregiato, nel tempo si sono nobilitati, tanto che certe famose versioni osservano inderogabili e precise regole di preparazione. In Italia ne abbiamo esempi eccellenti (il broetto veneto, il celebre brudèt di Fano, il ghiotto cacciuccio toscano, il sontuoso cusucusu di Trapani) e curiosando nei ricettari di terre più lontane, non si rimarrà affatto delusi. Sbarcata sulle coste del New England nel 1700 insieme ai Padri Pellegrini, la “clam chowder” a base di vongole è la zuppa “signature” degli americani, apprezzata ovunque negli States anche nelle sue considerevoli va-

Broeto e cacciucco, zarzuela e bouillabaisse. Tra le ricette più amate in tutto il mondo ci sono le zuppe a base di scarti di pesce

ostentare: parlare di soldi, si sa, è volgare, soprattutto se questi discorsi rischiano di arrivare alle radici della ricchezza, ben piantate nello sfruttamento. Allora Ellison costruisce set dove le persone tacciono ma tutto il resto parla: passatempi, vestiti, case, sport.

I giovani protagonisti, tra i quali forse nasce timidamente una storia d’amore (meglio non mischiarsi con altre classi sociali?), indossano maglie da rugby, gioco a cui venivano spinti i ragazzi per assimilare il senso della disciplina che serviva nell’esercito per l’espansione della Gran Bretagna, o maglioncini del cotone che ha reso grande l’industria americana proprio perché commerciati a prezzi molto competitivi, dato che la manodopera nella raccolta era degli schiavi del nord America. Persino in un puzzle si nasconde la tragica storia di Mount Vernon, piantagione che fece arricchire George Washington e in cui lavoravano 316 schiavi. La storia è ovunque ed è complicato metterla a tacere.

rianti, tutte di alto valore di piacevolezza e di nutrimento. L’originale era a base di molluschi bivalvi, cipolle e aromi, gallette dure e acqua; in seguito, il latte sostituì l’acqua, burro e farina rimpiazzarono le gallette per addensare. Nella zuppa, che si serve bollente in una scodella o dentro un panino ben lievitato, immancabili il bacon e le patate a tocchetti previamente dorati in padella. Tornando a un passo dall’Italia, piatto simbolo della Provenza è l’imperdibile bouillabaisse, zuppa di pesce tipica di Marsiglia. La ricetta storica è stata depositata nel 1980, a tutela dell’autenticità di questo brodetto dagli “umili natali” che nel tempo si è evoluto in un’elegante e ricercata pietanza. Infinite le sue varianti in base ai pesci e ai crostacei utilizzati, indispensabile la presenza di zafferano, finocchio selvatico e scorza d’arancia che donano alla zuppa l’inconfondibile aromaticità. Anche la zarzuela catalana con l’età si è molto imborghesita, arricchendosi di raffinati frutti di mare e altre tipologie ittiche pregiate. Al soffritto realizzato con porri, trito di aglio e pomodori mondati dai semi si unisce il pesce e il brodo dei molluschi spurgati; si profuma con limone, alloro e rosmarino, lasciando cuocere a fuoco lento. Può sfumarsi con un poco di Sherry e Cognac prima di servirsi con fette di pane abbrustolito.

Zuppa di pesce con crostini. Sotto: una foto di Buck Ellison in mostra a Venezia
Foto: Getty Images 15 settembre 2023 119
A TAVOLA
Andrea Grignaffini Nicolas Ballario

La barbarie del sospetto

Cara Rossini, amo il cinema e lo seguo da sempre. Per questo ogni anno mi permetto qualche giorno a Venezia nel periodo del Festival. Non ne esco mai delusa, neanche in questo 2023 dove si è notata l’assenza di film americani e di relative star, trattenute dai loro scioperi. Un americano però l’ho incontrato, cioè l’ho visto mentre percorreva il red carpet, ma ho visto anche un gruppo di donne che gli gridava «stupratore!». L’americano si chiama Woody Allen, un vero genio del cinema che da anni preferisce vivere e lavorare in Europa perché considerato in patria un molestatore per una discussa questione riguardo a una bambina di sette anni, figlia adottiva della sua ex moglie Mia Farrow. Non mi addentro nella sua difesa perché è stato ampiamente scagionato dalle indagini e anche dalla sua presunta vittima, ma mi chiedo che cosa è successo al buon senso e al rispetto della verità se un cineasta di quella portata si trova a subire questo trattamento. Sono sempre stata d’accordo con le battaglie delle femministe e molte volte ho partecipato con convinzione alle loro iniziative. Ma questa volta non capisco e non condivido. Lei ha una spiegazione? Alba Corsetti

Accade spesso che battaglie più che serie si trasformi-

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no con il tempo in comportamenti stereotipati e immotivati. È accaduto anche al Me Too, che è stato una cosa serissima con la denuncia di donne che hanno raccontato gli abusi subiti sotto il ricatto del lavoro. Esploso nel 2017 nell’ambiente del cinema americano, in un Paese che specialmente in fatto di sesso non conosce misura (o il silenzio complice o lo scandalo), il Me Too ha rappresentato un modello per le donne di tutto il mondo che hanno chiesto e spesso ottenuto giustizia, ma in alcuni casi ha preso un colore di enfasi persecutoria. È stata per esempio motivata, e clamorosamente efficace, la condanna a 23 anni di carcere per Harvey Weinstein, il produttore che una volta era l’uomo più potente di Hollywood e quasi un seriale violentatore di giovani attrici, mentre altre volte la lente deformante del sospetto ha visto il reato dove non c’era o ha ripescato nel passato accuse antiche già archiviate perché inconsistenti. È il caso di Woody Allen che non riesce a togliersi di dosso una diceria mai arrivata in tribunale perché smentita da una commissione di esperti e dalla stessa presunta vittima. Ed è penoso vedere un genio del cinema come lui sbeffeggiato da donne che lo fanno in automatico, vittime non di abusi ma della loro colpevole pigrizia culturale.

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120 15 settembre 2023

In un’intervista al Corriere del Veneto, la madre di un ragazzo morto in un incidente stradale dice di essersi sentita sola, dimenticata dallo Stato, in questo anno di tempo in cui cercava giustizia. Non tanto per il patteggiamento a tre anni e sei mesi ottenuto dal poliziotto che lo ha ucciso, quanto per la richiesta di 183 euro recapitatale per pulire l’asfalto dal sangue del cadavere del figlio; oppure per la raccomandata che le intimava di recuperare la carcassa del motorino sequestrato dalle indagini per evitare una sanzione per ogni giorno di ritardo.

Quanto può essere tollerata la mancan-

La politica punta al consenso ma ci lascia soli

za di umanità in funzione di qualche efficienza burocratica come rientrare di poche centinaia di euro nelle casse dello Stato? Quando è che la burocrazia ha sostituito l’educazione rendendola subalterna e di conseguenza sempre meno praticata anche dai cittadini?

Il fatto è questo: la signora è sola davvero. Siamo soli tutti tranne chi è molto ricco e può permettersela la solitudine. Il mio non è un messaggio nichilista o lamentevole, non è antipolitica o disfattismo, ma una limpida consapevolezza acquisita nel corso degli anni.

Sono sole le donne che vanno a denunciare le molestie da parte di uomini stalker e violenti, sono sole le famiglie e gli amici di queste donne dopo che vengono regolarmente uccise. Sono soli i poliziotti che prendono le denunce e attuano i protocolli attenendosi alla legge pur sapen-

do che non saranno abbastanza e che non avranno risorse e personale e mezzi per seguire quel caso.

Siamo soli perché la politica è ammalata di presente, come se fosse quotata in una Borsa del consenso, deve sempre e solo occuparsi dell’adesso. Uno dei temi della settimana è stata la pomposa declamazione degli aumenti delle pene per i crimini da parte del governo. Una smania repressiva che fa leva tendenzialmente su un bisogno di sicurezza. Racconti alle persone che ci sarà più carcere per chi commette reati e quelle dovrebbero stare più tranquille. Sentiamo Matteo Salvini invocare il carcere pure per i minorenni ma non lo si è mai sentito parlare di come riformare le strutture fatiscenti e sovraffollate per cui siamo fanalino di coda in Europa (solo a Viterbo questa settimana sono morti due uomini in 24 ore e ci sono state due rivolte), nemmeno di costruirne di nuove visto che non ci sono i soldi. Al ministro, come a chiunque nel governo parli del tema, importa piuttosto creare nella mente dei cittadini l’idea che sarà più carcere a renderci sicuri, sapendo che non è quella la risposta al problema della sicurezza ma ripetendola solo per ottenere consenso.

Se questo è il ritmo della politica è facile capire come mai la popolazione (non voglio limitarmi ai giovani) diserti le urne. Sono anni di crisi di miti che credevamo incrollabili, tra cui la partecipazione politica per come la conoscevamo nel ’900, poiché la gente è disillusa sulla sua efficacia. Nanni Moretti diceva: con questa classe dirigente non andremo da nessuna parte. Sono passati i decenni e sono cambiate le classi ma la frase è sempre molto attuale. Il lato positivo può essere che ognuno impari a salvarsi da solo. Coltivate un amore, costruitevi degli interessi e delle vie di fuga, a oggi la salvezza o l’ispirazione non vengono, ahimè, dallo Stato.

BENGALA
Con questa classe dirigente non andremo da nessuna parte, diceva Nanni Moretti. Ed è sempre attuale
122 15 settembre 2023
RAFFO ART COMMUNICATION ROMA

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