
7 minute read
QUATTRO STELLE
I’ mi volsi a man destra, e puosi mente a l’altro polo, e vidi quattro stelle non viste mai fuor ch’a la prima gente. Goder pareva ‘l ciel di lor fiammelle: oh settentrïonal vedovo sito, poiché privato se’ di mirar quelle!
Su queste due terzine della prima cantica del Purgatorio (I, 22-27) di Dante Alighieri sono stati versati umi d’inchiostro: si tratta di un’allegoria, oppure Dante si riferiva a una vera osservazione astronomica? Che cosa sono queste quattro stelle?
Advertisement
A rontiamo questi interrogativi danteschi in occasione del Dantedì, che si celebra ogni anno il 25 marzo, data in cui è stato individuato l’inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia
Agli Antipodi Di Gerusalemme
Dante colloca il Purgatorio agli antipodi di Gerusalemme, in un luogo immaginario situato in pieno oceano Paci co, poco al di sotto di -33° di latitudine sud, circa 450 miglia a nord-est dello scoglio di Maria- eresa (la cui esistenza è dubbia), e 430 miglia a sud della isola di Rapa, nella Polinesia francese (che invece esiste). Trovandosi ben al disotto dell’equatore, è possibile, nel corso dell’anno, vedere agevolmente tutte le stelle dell’emisfero australe.
Quando si parla di “quattro stelle” dell’emisfero meridionale, il pensiero corre alla Croce del Sud, la più piccola delle 88 costellazioni del cielo sancite dall’Unione astronomica internazionale, che copre un’area di soli 68 gradi quadrati. Il primo canto del Purgatorio si svolge sulla spiaggia ai piedi dell’omonima montagna, all’alba di una data che secondo i commentatori può essere il 10 aprile o il 27 marzo del 1300. Leggiamo la terzina precedente a quelle riportate sopra (I, 19-21):
Lo bel pianeto che d’amar conforta faceva tutto rider l’oriente, velando i Pesci ch’erano in sua scorta
“Lo bel pianeto” si riferisce a Venere, che può essere così brillante da o uscare le stelle di una costellazione debole come quella dei Pesci. Poi Dante si volge verso destra e vede le quattro stelle. Può trattarsi della Croce del Sud, perché prima dell’alba delle due date indicate sono visibili i Pesci a est, mentre verso destra si può vedere la Croce, bassa sull’orizzonte sud-ovest. Ma c’è un problema: Venere non era visibile alle date proposte dell’anno 1300, essendo molto vicina al Sole, nonché dalla parte opposta, per cui sarebbe sorta dopo di esso. Era invece visibile Marte, ma di magnitudine 1,3 e quindi non in grado di oscurare una costellazione. La cosa funzionerebbe se avanzassimo di alcuni anni: il 10 aprile 1304 verso le 6 del mattino, Dante avrebbe potuto vedere sia Venere che la Croce del Sud.
QUATTRO O CINQUE?
Le stelle della Croce del Sud sono in realtà cinque, come vengono solitamente ra gurate (per no su alcune bandiere nazionali). È vero che la quinta stella (la Epsilon) è la più debole (magnitudine 3,6), ma è anche vero che le uniche stelle di prima grandezza sono solo due: Alfa (Acrux) di magnitudine 0,8 e Beta (Mimosa) di 1,25 ma leggermente variabile. La Gamma, di 1,6, è considerata di seconda grandezza, mentre la Delta, di 2,8, è decisamente di terza: non è certo una costellazione appariscente. Inoltre, Dante accenna a quattro stelle, senza speci care come siano disposte. E nelle immediate vicinanze della Croce brillano Alfa e Beta Centauri, entrambe più luminose di
Acrux (Alfa Centauri è la terza stella più brillante del cielo dopo Sirio e Canopo). Quindi la de nizione generica di “quattro stelle” non aiuta a identi carle.

All’epoca di Dante la Croce del Sud non esisteva come costellazione, in quanto faceva parte del Centauro, che la racchiude da tre lati (solo a sud la Croce con na con la Mosca). Anticamente, questa regione celeste era visibile da Alessandria d’Egitto e i Romani designavano le stelle situate ai piedi del Centauro come il “Trono di Cesare”. Tolomeo, nel II secolo d.C., le elenca nell’Almagesto, un trattato astronomico che Dante aveva sicuramente conosciuto nei suoi studi.
Il primo a ravvisare una croce latina nella piccola costellazione è stato forse il navigatore italiano Andrea Corsali, vissuto tra il XV e il XVI secolo ed è stata poi riportata sulle carte nautiche disegnate dall’astronomo, cartografo ed ecclesiastico olandese Petrus Plancius.
L’idea di separare una parte di una costellazione esistente per crearne una nuova non è stata solo del Corsali. Hevelius, il celebre astronomo di Danzica, aveva “mutilato” alcune delle 48 costellazioni di Tolomeo, creandone sette nuove, “sopravvissute” sino ai giorni nostri: lo Scudo, i Cani da caccia, il Leoncino, la Lince, il Sestante, la Lucertola e la Volpetta. Per non parlare delle 14 costellazioni “inutili” introdotte nell’emisfero meridionale da La Caille nel XVIII secolo, al solo scopo di riempire alcuni vuoti lasciati fra le costellazioni più importanti.
LA “PRIMA GENTE”
Chi era per Dante “la prima gente”, unica testimone sino a quel momento delle quattro stelle? Forse i primi uomini civilizzati, cioè i Sumeri. Questo popolo dalle origini misteriose, stanziatosi oltre 6000 anni fa in Mesopotamia, si era presto distinto per le cognizioni astronomiche che aveva sviluppato. Alcuni concetti sumerici sono sopravvissuti sino ai giorni nostri, come il sistema sessagesimale impiegato per la misura degli angoli. Le loro imponenti ziggurat non erano soltanto templi per il culto delle loro divinità, ma avevano anche la funzione di osservatori astronomici.
I Sumeri sono stati fra i primi a notare che in cielo, oltre alle stelle sse, ve ne erano alcune che si spostavano nel tempo e che i Greci avrebbero chiamato planetes (“erranti”). I pianeti erano sette: i cinque visibili a occhio nudo (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno) più la Luna e il Sole, anch’essi considerati come tali, in quanto si spostavano rispetto alle stelle sse. A ogni pianeta era assegnata la dimora di un dio, che a sua volta proteggeva ciascun giorno dell’anno. Per questo introdussero un periodo di sette giorni per regolare la vita comunitaria, la “settimana” che è giunta no a noi. Ma il riferimento ai Sumeri non regge. Dante conosceva il fenomeno della precessione degli equinozi, il lento movimento a trottola dell’asse terrestre — scoperto u cialmente da Ipparco nel II secolo a.C. — che in circa 26mila anni descrive un cerchio nel cielo ampio 67 gradi. Al tempo dei Sumeri la Croce del Sud era ben visibile dalla Mesopotamia quando culminava in meridiano (si sarebbe vista anche dall’Italia!). Tuttavia, con il trascorrere dei secoli, la piccola costellazione si è gradatamente spostata verso sud, per e etto della precessione, tant’è che all’epoca di Tolomeo era a mala pena osservabile ad Alessandria, ubicata circa alla stessa latitudine di Uruk. Se in Egitto la Croce era ancora stata visibile millenni dopo l’epoca dei Sumeri, questi non possono avere l’esclusiva della sua osservazione.
Inoltre, dall’equatore è possibile vedere, nel corso dell’anno, tutte le costellazioni del cielo. Infatti, man mano che ci si sposta verso questa linea, diminuisce sempre di più la visibilità delle stelle a noi circumpolari (come l’Orsa Maggiore), mentre aumenta la porzione di cielo australe osservabile. Quando si è esattamente sull’equatore, i poli celesti si trovano all’orizzonte in posizione diametralmente opposta. Nei pressi di questi, le stelle compiono dei semicerchi esatti, sorgendo e tramontando sempre perpendicolarmente all’orizzonte; non vi sono più stelle circumpolari e tutte le stelle prima o poi faranno la loro comparsa.
Dante lo sapeva bene, tant’è che nel canto XXVI dell’Inferno incontra Ulisse, il quale, attraversate le Colonne d’Ercole, si era avventurato in un mondo allora sconosciuto, facendovi naufragio. Ecco cosa dice l’impavido navigatore: Tutte le stelle già de l’altro polo vedea la notte e ‘l nostro tanto basso, che non surgea fuor del marin suolo. Scendendo sotto l’equatore, il Polo nord celeste era sparito sotto la linea dell’orizzonte, ma Dante era a conoscenza di popolazioni che vivevano nei pressi dell’equatore e che quindi avrebbero potuto vedere la Croce del Sud per gran parte dell’anno. Nel De Monarchia, composto tra il 1312 e il 1321, parla dei Garamanti, una popolazione sub-sahariana di lingua berbera vissuta tra il 500 a.C e il 500 d.C. In tal caso l’asterismo sarebbe stato visto continuativamente da quando esiste l’umanità!
Le Tre Facelle
Dante de nisce “vedovo” l’emisfero Boreale, o comunque l’emisfero celeste visibile dalle latitudini temperate, in quanto privo della scintillante bellezza delle quattro stelle incontrate uscendo dall’Inferno. Ma questo non è vero. Dalle nostre latitudini, sono visibili almeno otto stelle più brillanti di Acrux, fra cui Sirio (sita nell’emisfero meridionale, ma osservabile anche dall’estremo nord dell’Europa), Arturo, Vega e Capella. Il nostro emisfero non può pertanto de nirsi “vedovo”!
Nell’VIII cantica del Purgatorio (VIII, 85-93) Dante parla di altre tre stelle brillanti situate in posizione opposta alla presunta Croce del Sud:
Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo, pur là dove le stelle son più tarde, sì come rota più presso a lo stelo.
E ‘l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?
E io a lui: «A quelle tre facelle di che ‘l polo di qua tutto quanto arde». Ond’elli a me: «Le quattro chiare stelle che vedevi staman, son di là basse, e queste son salite ov’eran quelle». Queste terzine indicano che Dante avrebbe osservato tre stelle molto brillanti nei pressi del polo celeste meridionale, dove il moto apparente si fa più lento (“dove le stelle son più tarde”), nonché in posizione opposta rispetto alla presunta Croce del Sud. Alla latitudine del Purgatorio, quando queste tre stelle sono alte in cielo, la Croce, essendo in posizione diametralmente opposta, deve apparire bassa sull’orizzonte o addirittura al di sotto. Ma in posizione opposta alla Croce c’è il Tucano, una costellazione costituita da stelle piuttosto deboli (la più brillante è soltanto di terza grandezza). In epoca moderna è nota perché ospita due famosi oggetti osservabili anche a occhio nudo
(la Piccola Nube di Magellano e l’ammasso globulare 47 Tucanae), che però erano sconosciuti nel mondo occidentale ai tempi del Poeta. È dunque evidente che le “tre facelle” Dante se le sia inventate.
Pure Finzioni Letterarie
A questo punto, occorre arrendersi all’evidenza e ritenere che questi riferimenti astronomici siano pure nzioni letterarie. Dante conosceva l’Almagesto e quindi il catalogo stellare in esso contenuto, che giungeva no alla declinazione di -60°. Tutto ciò che si trova al di sotto di questa linea era ignoto.
E quando ci si spinge in un territorio sconosciuto, è facile per un artista dare sfogo alla fantasia.
In tal caso, l’osservazione può essere solo allegorizzata: le quattro stelle starebbero a rappresentare le quattro virtù cardinali (Prudenza, Giustizia, Fortezza, Temperanza), già enunciate da antichi loso e riportate da san Paolo nella Lettera agli Efesini (3:18) per diventare cardini del Cristianesimo.
In modo complementare, le “tre facelle” opposte rispetto al polo indicherebbero le tre virtù teologali (Fede, Speranza, Carità), enunciate sempre da san Paolo nella I Lettera ai Corinzi (13:13). La “prima gente”, in ne, si riferirebbe ai mitici progenitori Adamo ed Eva, beati nel giardino che Yahweh aveva piantato in Eden, i quali possedevano queste virtù prima di esserne privati in seguito al “peccato originale” di disobbedienza nei confronti del loro Creatore.
Clicca e sfoglia gratis il giornale stampabile