



Da questo numero Marino Bartoletti, grande giornalista e uomo di sport, assume la direzione editoriale del progetto BIKE che comprende questo magazine ma anche tutte le altre attività: tv, digitale ed eventi. Ha spiegato così i motivi della sua adesione al progetto di BFC Media.
Scusa Marino, chi te lo fa fare di metterti a pedalare insieme a noi di BFC Media sul progetto BIKE?
Me l’ha fatto fare la serietà del progetto che mi è stato proposto, me l’ha fatto fare la sua prospettiva multimediale (molto intrigante e aderente a quella che è la mia poliforme storia professionale), me l’ha fatto fare il momento che viviamo (nel quale la cultura della bici deve ‘sfondare’ senza più alibi da parte di nessuno), me l’ha fatto fare il sapore di una sfida alla quale non ci si può sottrarre né come cittadini, né come divulgatori, me l’hanno fatto fare le radici di una terra – la Romagna – in cui i bambini imparano a pedalare prima che a camminare: e non lo dimenticano mai più.
Di solito le avventure editoriali, in modo particolare di questi tempi, sono in salita. Come possiamo fare a metterle in discesa?
Semplicemente cavalcandole con entusiasmo, competenza, fantasia, grinta, eleganza e serietà. Mi è bastato sfogliare i primi numeri di BIKE per capire che la strada è quella buona: tanto più se applicata – come nel nostro caso – a una missione editoriale a 360 gradi. Il resto lo hanno fatto gli uomini che ho incontrato: un’autentica ‘nazionale’ di professionisti in grado di fornire risposte e soluzioni anche quando si sono dovuti misurare con qualche guizzo creativo che è sempre stato il propellente del mio percorso professionale, qualunque ne sia stata la destinazione (da un foglio di carta a un microfono).
L’invenzione della ruota ha rivoluzionato il mondo, i progetti di smart mobility apriranno la strada ad un altro mondo?
La stanno già aprendo: per questo sarebbe quasi colpevole non assecondarli, divulgarli e persino precederli. A me piace pensare che il nostro progetto integrato sia una specie di juke box, in grado non solo di dare risposte pratiche a qualsiasi domanda che riguardi la bicicletta e i suoi ‘dintorni’; ma di suonare anche da solo, anticipando le richieste stesse che potrebbero arrivare. La ruota è stata inventata per tanti motivi: ma più ci penso e più mi convinco che la sua destinazione più naturale (e sempre più attuale e moderna) sia quella di assecondare un uomo che pedala.
Tu che sei un grande conoscitore e narratore di storie di ciclismo forse puoi svelarci un mistero: fu Coppi a passare la borraccia a Bartali o viceversa?
Il grande Alfredo Martini una volta mi disse: “Non ha importanza sapere chi ha passato la borraccia a chi: ma vedere che due compagni di squadra abbiano sentito l’impulso di dividere anche un’ultima goccia per arrivare al traguardo davanti a tutti”. Così fu in quella tappa. Così sarà su queste pagine e su tutto quello che genereranno.
* Direttore responsabile
SMART LEADERSHIP UNA CITTÀ
/ GIOVANNI IOZZIA /
/ FRANCESCO ZIRPOLI
MATTEO
| ALL’ARIA APERTA |
AL RITMO DELLA LIBERTÀ di /MATTEO RIGAMONTI
LA BICI SECONDO GIOVANNI di / MARZIA PAPAGNA /
I MILLE VOLTI DELL’OLTREPÒ di / LUCA GREGORIO /
MAESTRO DI VITA di / LUCA GREGORIO /
BIKER VERO di / MATTEO RIGAMONTI /
IN SELLA CON IL SIGNORE DEGLI ANELLI di / LUCA GREGORIO /
NEL VERDE PROFONDO di / MARZIA PAPAGNA /
A SCUOLA DI STABILITÀ di / STEFANO ERBI /
COME RISOLVERE UNA FORATURA di / STEFANO ERBI /
LA CICLOFFICINA CORRE SUL WEB di / MARZIA PAPAGNA /
CICLOTURISMO A PROVA DI VIRUS di / GIORGIO DEL RE /
LA CITTÀ INTELLIGENTE È PIÙ SOSTENIBILE di / GIOVANNI IOZZIA /
ENERGIA IN SELLA di / MARCELLO ASTORRI /
PIONIERE DELLO SHARING di / GIOVANNI IOZZIA /
SPIRITO DI INNOVAZIONE di / ROLANDO LIMA /
BIKE PARK, VOLANO PER L’ECONOMIA MONTANA di / ANDREA RONCHI / 94
BELLA SICURA di / ROLANDO LIMA /
LO STILISTA DEI CAMPIONI di / GIULIA FONTANELLI / 100
GIRO D’ITALIA DAI SALOTTI NEL MONDO di / MARA CELLA / 102
BUSINESS E DIVERTIMENTO di / ANDREA RONCHI / 104
CAMPIONI DELLE ELETTRICHE AI NASTRI DI PARTENZA di / FABRIZIO BERTONE /
Video content editor
Valerio Gallorini
Smart mobility specialist Giovanni Iozzia
Coordinamento redazionale Matteo Rigamonti rigamonti@bfcmedia.com
Cycling writers
Marcello Astorri, Filippo Cauz, Luca Gregorio
IL GRANDE SALTO di / MASSIMILIANO CARRÀ /
UNA FELICE SORPRESA di / LEONARDO SERRA / 111
UN LAMPO VERDE DAL DOMANI di / GIORGIO DEL RE /
112
INSEGUENDO LE STELLE di / CATERINA LO CASTO /
114
PIÙ CARBOIDRATI, MENO BARRETTE. COSÌ L’ALLENAMENTO INIZIA A TAVOLA di / OMAR GATTI / 116
SUPERFOOD A LUNGA DURATA di / CATERINA LO CASTO /
TECHNICOLOR di / ALESSIA BELLAN /
LEGGERE SUI PEDALI di / FILIPPO CAUZ /
BIKE PLAYLIST di / MARCO BIONDI /
IL CICLISMO TI RENDE MAGRO PRIMAVERA FIORENTINA di / RICCARDO MAGRINI /
abbonamenti.bfc@pressdi.it
Fabrizio Bertone, Marco Biondi, Massimiliano Carrà, Mara Cella, Giorgio Del Re, Stefano Erbi,Omar Gatti, Giulia Fontanelli, Alberto Innocenzi, Giovanni Iozzia, Rolando Lima, Caterina Lo Casto, Roberta Maddalena, Riccardo Magrini, Matteo Novarini, Marzia Papagna, Andrea Ronchi, Leonardo Serra
Progetto grafico Marco Tonelli
Impaginazione rustbeltgarage@gmail.com
Project manager Alberto Brioschi brioschi@bfcmedia.com
Marketing Marco Bartolini bartolini@bfcmedia.com
Stampa Elcograf spa Via Mondadori, 15 - 37131 Verona
Distribuzione Italia e estero Press-Di Distribuzione stampa e multimedia srl
Via Bianca di Savoia, 12 - 20122 Milano
Gestione abbonamenti
Direct Channel SpA - via Mondadori, 1 20090 Segrate (Milano) Tel. 02 7542 9001
Servizio Arretrati a cura di Press-di Distribuzione Stampa e Multimedia S.r.l. 20090 Segrate (MI).
Il costo di ciascun arretrato è di 10,00 euro.
Per le Edicole richieste tramite sito: https://servizioarretrati.mondadori.it
Per Privati collezionisti richieste tramite email: collez@mondadori.it oppure tel. 045.888.44.00 nei seguenti orari: lunedì-giovedì 9.00-12.15 /13.45-17.00
venerdì 9.00-12.15/13.45-16.00
costo chiamata in base al proprio operatore, oppure fax a numero: 045.888.43.78
in the end, all we have is our memories.
Carlo Moreno è uno scienziato franco-colombiano che insegna alla Sorbonne. È un maestro nel controllo intelligente di sistemi complessi ma, dal momento che ha la passione per l’innovazione, preferisce definirsi uno specialista della Human Smart City, che secondo lui è una città di 15 minuti. Che cosa vuol dire? Ecco come la spiega: “Le città deformano il senso del tempo facendocene sprecare tanto solo perché dobbiamo adattarci all’organizzazione e alle lunghe distanze. Vi propongo la città dei 15 minuti. In poche parole, le città dovrebbero essere disegnate o ridisegnate in modo che nel raggio di un quarto d’ora a piedi, o in bicicletta, l’uomo dovrebbe essere in grado di raggiungere ciò che viene chiamata esperienza urbana che, tradotta in poche parole, significa avere accesso al lavoro, cibo, alloggio, salute, educazione, cultura e tempo libero”.
Potrebbe sembrare la visione di uno scienziato perso nei suoi sistemi complessi, ma la sindaca di Parigi Anne Hidalgo ha fatto dell’idea del professor Moreno un pilastro del suo programma di governo: costruire una città da 15 minuti, più vivibile e sostenibile, basata sui quartieri, dove ci si muove meglio e più facilmente su due ruote. È l’inizio di una trasformazione basata sulla prossimità, sulla decentralizzazione e su modelli economici che non prevedano più inutili e lunghe trasferte urbane.
La pandemia è il big bang da cui potrebbe generarsi le città future. New York, Londra, Parigi, Milano non finiranno, come troppi stanno frettolosamente concludendo, ma dovranno trasformarsi. Le tecnologie digitali faranno la loro parte, come abbiamo dovuto imparare negli ultimi dodici mesi, nello studio, nel lavoro, nel tempo libero. Gli obiettivi ambientali, che ci impone la responsabilità sociale prima ancora dell’Unione Europa, saranno il nuovo vincolo una volta che saremo usciti dall’incubo sanitario.
La città futura è una sfida decisiva per la leadership politica ma anche per quella imprenditoriale, perché è una partita in cui pubblico e privato dovranno giocare d’intesa per fare gol. Chi si sta già attrezzando per scendere in campo avrà certamente maggiori possibilità di vincerla. Abbiamo il movente (la salvaguardia dell’ambiente), ci sono i mezzi (le importanti risorse finanziarie messe a disposizione da Next Generation Eu per uscire dalla crisi economica generata dal coronavirus), non manca l’occasione (le tecnologie digitali). Sarebbe proprio un delitto non pensare fin d’ora alle città future.
* Smart mobility specialist di BIKEL’ecosistema della mobilità sta attraversando una complessa transizione, una situazione che gli economisti definirebbero la ‘tempesta perfetta’ perché coinvolge cambi paradigmatici simultanei in tre pilastri degli equilibri competitivi: l’offerta tecnologica, il comportamento dei consumatori e la regolamentazione.
Di fronte a questa tempesta il riflesso di molti è quello di evocare tecnologie rivoluzionarie e nuovi leader globali che, forti di una combinazione unica di prodotti e servizi visionari, potranno segnare rapidamente la nuova direzione dell’industria della mobilità. Altri indicano per l’ecosistema della mobilità un percorso che assomiglierà a quello osservato, per esempio, nell’ecosistema degli smartphone, altri si spingono a suggerire che saranno proprio gli attori che dominano quell’ecosistema a portare i loro modelli di business nell’industria della mobilità.
Tutti questi scenari sono possibili. Tuttavia, al di là delle suggestioni alimentate da culti personalistici o tecnologici, sono molte le caratteristiche dell’ecosistema della mobilità che spingono a pensare che la direzione dello sviluppo sarà un’altra.
S ebbene lo sviluppo della tecnologia proceda su scala globale, soluzioni, prodotti e servizi per la mobilità e la loro domanda saranno sempre più frammentati perché legati a specifiche istanze locali. Questo perché i mezzi di trasporto sono molto diversi da altri oggetti di uso quotidiano (come gli smartphone o i personal computer): interagiscono con un ambiente esterno che presenta vincoli che evolvono rapidamente, svolgono funzioni diverse e mutevoli nello stesso luogo e tra luoghi diversi e sono soggetti a diversa percezione da parte della domanda. Strade, distanze da percorrere per raggiungere punti di interesse, opportunità di disporre di servizi complementari come servizi di mobilità in sharing o il trasporto pubblico locale, cambiano radicalmente a distanza di pochi chilometri.
Il futuro sarà quindi segnato da un mix di soluzioni tecnologiche sviluppate su scala globale e sistemi di erogazione dei servizi realizzati su scala locale allo scopo di soddisfare esigenze fortemente segmentate in funzione del reddito, della finalità di utilizzo dei servizi e mezzi di mobilità, delle abilità motorie e della effettiva autonomia negli spostamenti.
Lo sviluppo di nuovi paradigmi per la mobilità è, quindi, legato alla capacità di integrare le tecnologie generate dai colossi internazionali con le idee imprenditoriali, i modelli di business, i prodotti, i servizi e le soluzioni organizzative sviluppati localmente. Solo attraverso questa combinazione sarà possibile rendere l’attuale ecosistema della mobilità realmente sostenibile sul piano ambientale e inclusivo su quello economico e sociale.
Seguendo a ruota Forbes Italia anche BIKE punta sui QR code. Dopo un anno di integrazione carta-digitale realizzata grazie all’applicazione per la realtà aumentata, il magazine della bicicletta e della smart mobility ha deciso di passare all’utilizzo dei codici QR, acronimo anglosassone che sta per quick response, il codice a risposta veloce.
Soluzione ideata a inizio anni ‘90 in Giappone per identificare in fabbrica i pezzi delle automobili in costruzione,il QR code è poi cresciuto esponenzialmente nell’utilizzo, fino a contaminare, tra gli altri business che volevano transitare dall’offline all’affollato mondo dell’online, anche quello dell’editoria multimediale. La progressiva integrazione di lettori automatici per simili codici nei principali modelli di smartphone e tablet in commercio ha infatti reso possibile l’accesso a contenuti multimediali come siti web, audio e video, semplicemente inquadrando con il proprio dispositivo il QR code stampato su una pagina. Carta e digitale sono terreni su cui BFC Media, editore di BIKE e Forbes Italia,
opera con autorevolezza e progettualità riconosciute e apprezzate dal mercato dell’informazione nonché dagli investitori pubblicitari. Non potevamo farci scappare, pertanto, l’occasione di un ulteriore upgrade nell’offerta per i nostri lettori e follower.
I QR code – che hanno già fatto il loro debutto su Forbes Italia e che, a partire da questo mese, troverete disseminati anche sulle pagine di BIKE – consentono di ampliare lo sfoglio della rivista con i molteplici contenuti già fruibili sulle nostre properties digitali, video e audio, sito internet, i programmi di BIKE, i podcast e molto altro ancora. Accedere al contenuto associato a un QR code è molto facile. È sufficiente inquadrarne uno come quello che trovate stampato su questa pagina direttamente con la fotocamera del proprio smartphone o tablet se la funzionalità di lettura è già integrata dal costruttore. Altrimenti basta scaricare prima l’app di un qualsiasi lettore QR code dallo store. Provateci e venite a scoprire di più sul ricco universo di BIKE
PROSEGUE L’INTEGRAZIONE CARTA-DIGITALE SU BIKE CHE APRE LE PAGINE DEL MAGAZINE AI CONTENUTI MULTIMEDIALI DELLE PROPERTIES
DIGITALI, DELLA TV E DI MOLTO ALTRO ANCORA
Stasdock, the premium docking station for your bike. Found in the Netherlands and made of high quality Dutch steel. The Stasdock is made to be convenient as you not only save space by docking your bike efficiently, but you are also able to dock your gear next to your bike.
In combination with its convenience, the Stasdock is designed as a piece of art, that will portray your bike as a piece of art. Because it is. Give you and your bike what it deserves.
-Stasdock-
TheStasdocksupportsroadbikes,mountainbikes andfixedgearbikes.Evenbikeswithasloping frame.Stasdockwantstosupporteveryonewith anytypeofbike.
TheStasdockhasaclever,stylishdesignandis madeofhighqualitypowdercoatedsteelwitha cussiontoprotectyourframe.
La saggezza popolare americana sostiene che “se cammina come un’anatra, nuota come un’anatra e starnazza come un’anatra, allora è un’anatra”. Hps domestique 1-21 launch edition, invece, è la bicicletta che smentisce il duck test: ha il peso, l’aspetto e la fluidità di pedalata di una bici tradizionale, ma è una e-bike. E grazie al lavoro di un team di ingegneri presi a prestito dalla Formula 1, è la più leggera al mondo: 8,5 kg. Motore (installato nel tubo piantone), batteria (cammuffata da seconda borraccia) ed elettronica sono integrati nel telaio, realizzato a mano. La batteria, in particolare, pesa, nella versione standard da 193 Wh, 1,2 kg e dura tre ore; quella da 85 Wh pesa 720 g e assicura un’ora e mezza di pedalata assistita. Il rapporto peso/potenza è di 133 W/kg. La distribuzione dei pesi è studiata in modo da ricreare, quando il sistema è disattivato, l’esperienza di una bici tradizionale. Dodici gli esemplari di Hps domestique 1-21 launch edition per il lancio sul mercato, al costo di 12mila euro, con l’obiettivo di promuovere l’Hps watt assist system. Allo sviluppo ha partecipato Campagnolo, che ha contribuito anche alla creazione del colore azzurro. Peculiarità è il customer service: l’ex professionista Philip Deignan sarà disponibile via mail o telefono.
La cultura dei marginal gains, oltre ad aver fatto la fortuna del Team Sky, ha insegnato ai ciclisti l’arte del particolare. Aziende come l’americana Boa hanno saputo cavalcare la tendenza anche a livello di business. La società ha infatti lanciato sul mercato Li2, un sistema di chiusura per scarpe più leggero e compatto rispetto ai predecessori, con uno spessore di soli 11,2 millimetri. L’obiettivo dichiarato da Boa è realizzare una soluzione di precisione più resistente a impatti, abrasioni e contaminazioni come sporco e polvere, che limita anche il pericolo di apertura accidentale. Chiusura e allentamento sono bi-direzionali e incrementali, per permettere sia una regolazione più stretta per salite e sprint, sia più comoda per le lunghe pedalate. Per aumentare la longevità, il rotore è stato ricoperto con fibra di vetro e policarbonato. Il sistema, progettato per ridurre e riutilizzare i materiali di scarto, in modo da limitare l’impatto ambientale, è adattabile a calzature per mountain bike, gravel bike e bici da strada.
Nel Giro degli anniversari (160esimo dell’unità d’Italia, centenario dalla nascita di Alfredo Martini e 700 anni dalla morte di Dante) anche la maglia rosa fa festa: novant’anni dalla prima volta che venne adottata per premiare, al termine di ogni singola tappa, il leader della classifica generale e simboleggiare la vittoria finale insieme, dal 2000, all’iconico ‘Trofeo senza fine’. Introdotta nel 1931 su idea del giornalista sportivo della Gazzetta dello Sport Armando Cougnet (nonché primo organizzatore del Giro d’Italia nel 1909), la maglia rosa è stata vestita finora, per almeno un giorno, da 254 corridori, da quando, il 10 maggio 1931, il primo a indossarla fu Learco Guerra nella sua Mantova. Guerra, che non terminò quel Giro per le conseguenze di una caduta, dovette attendere
il 1934 per trionfare nella corsa rosa, senza più riuscire a ripetersi nonostante le 31 vittorie di tappa, terzo di sempre alle spalle di Cipollini (42) e del rivale Binda (41). Dal 2018 sponsor tecnico è ritornato Castelli, mentre Enel è sempre sponsor di maglia, e dall’anno scorso, grazie alla collaborazione con il produttore di tessuti Sitip, i filati utilizzati per produrre la maglia rosa sono riciclati al 100% per ridurne l’impatto ambientale.
A sottolinearne il prestigio, quest’anno ci sarà una frase del Sommo Poeta sul colletto: “Disposto a salir a le stelle”, dall’ultimo verso del Purgatorio.
Un traguardo metaforico che consentirà, a chi riuscirà a raggiungerlo, di raccogliere l’eredità di un Olimpo di corridori il cui ultimo giovane esponente è il britannico Tao Geoghegan Hart.
/La collezione di maglie rosa al Museo del Ghisallo a Magreglio/Da gennaio di quest’anno, per il confezionamento dei propri capi tecnici, Santini Cycling Wear si affida a Tipa, azienda internazionale con headquarter in Israele che dal 2010 produce imballaggi compostabili. “È il nostro impegno per diventare sempre più sostenibili e avere un impatto minore sull’ecosistema”, dichiara Paola Santini, marketing manager del marchio di abbigliamento tecnico sportivo nato nel 1965. Grazie a una miscela di polimeri compostabili, l’’imballaggio Tipa è un’alternativa sostenibile ai tradizionali materiali di confezionamento in plastica monouso, perché garantisce la stessa protezione al suo contenuto, ma si biodegrada completamente, ritornando alla terra come compost”, spiega Daphna Nissenbaum, co-fondatrice e ceo di Tipa. Santini, che si affida a fornitori di tessuti del proprio territorio, come le bergamasche Sitip e Carvico, si conferma inoltre, in prima linea nella produzione di capi con filati riciclati. I completi forniti ai team professionistici delle formazioni maschile e femminile TrekSegafredo, per esempio, sono realizzati con tessuti riciclati e derivati dal recupero di materiali di scarto. Così come la maglia ufficiale della Granfondo Stelvio Santini e alcune collezioni estate 2021. A partire dai Mondiali Uci di Ciclocross 2021 poi, le maglie destinate ai campioni del mondo delle discipline per le quali Santini è sponsor tecnico, saranno realizzate con tessuti riciclati Polartec.
A scuola di ciclismo con i campioni, sulle strade delle loro gesta. È l’idea che sta alla base del progetto ‘Pedala con i campioni’, promosso da Ital Cycling Promotion di Giuseppe Barenghi, professionista del settore bancario che ha deciso di investire nella sua grande passione, il ciclismo. Le star coinvolte in qualità di coach d’eccezione sono Claudio Chiappucci, Alessandro Ballan, Ivan Quaranta e Valerio Agnoli, con cui dodici fortunati potranno trascorrere una settimana di allenamento e perfezionamento della tecnica. Tra le destinazioni proposte – covid permettendo – ci sono: Sestiere, dove il Diablo Chiappucci trionfò al Tour de France del 1992; Valdobbiadene, terra natale di Ballan; il Lago di Garda, dove Agnoli si è guadagnato una maglia ciclamino; la Val Brembana e Milano, con l’academy mista strada-pista di Quaranta. Ma anche il Monferrato, terra di Fausto Coppi, l’Umbria da Foligno ad Assisi, il Lago di Como, la Costiera Amalfitana e la Sicilia. Tra i progetti di Ital Cycling Promotion la bicicletta è proposta anche come strumento di team building.
“Anche in una bicicletta semidistrutta, si può E se fosse il recupero delle vie d’acqua a tirare la volata alla mobilità dolce e leggera? Oppure, perché no, anche il contrario? Senza dubbio è ciò che auspicano gli enti ed associazioni firmatari di un accordo per lo sviluppo di iniziative e programmi di ricerca per lo studio delle relazioni tra la rete nazionale dei corsi d’acqua e la rete delle ciclovie regionali e nazionali, con particolare riferimento all’armonizzazione delle norme che ne disciplinano la gestione in sicurezza. Da un lato Anbi, l’Associazione nazionale degli enti di bonifica e irrigazione, dall’altro la Fiab, la Federazione italiana ambiente e bicicletta. Tra i firmatari anche il Centro interuniversitario di ricerche economiche e di mobilità (Cirem) dell’Università di Cagliari e Politecnico di Torino - Dipartimento di architettura e design. L’obiettivo, ambizioso, è definire i presupposti per un quadro normativo nazionale che, superando le attuali difficoltà, possa facilitare lo sviluppo di una rete ciclabile nazionale, e del turismo sostenibile ad essa collegato, in armonia
Una colonnina multiuso per semplici lavoretti di riparazione o manutenzione della bici. Ideale per hotel e alberghi che vogliono offrire un servizio in più al cliente ciclista o cicloamatore oppure da collocare in prossimità di ciclabili e itinerari a due ruote. Ma anche in azienda e negli spazi comuni di un condominio. Si chiama Stop&Go ed è prodotta da Bike Facilities, realtà nata da un’idea di Fabio Toccoli, albergatore di Torbole, nel Garda Trentino, che ha deciso di scommettere su ‘bike hotel’ e turismo legato alla bicicletta. Cacciaviti, brugole, pompe ma anche kit per la ricarica elettrica. Sono diverse e tutte personalizzabili le configurazioni di Stop&Go, che è realizzata in acciaio anti-graffio ed è segnalabile su Google Maps come le stazioni di servizio per le auto. Realizzata grazie alla collaborazione di Mantis Stands, Stop&Go conta già 50 installazioni in tutta Italia, scelta da brand come Decathlon, Fastweb, Dolomiti del Brenta, Madonna di Campiglio e molti altri comuni italiani.
con chi già ora opera lungo la rete dei corsi d’acqua. In Italia, infatti, come del resto anche nei Paesi europei all’avanguardia nella mobilità delle due ruote senza motore, esiste un grande patrimonio infrastrutturale rappresentato dalla rete di canali irrigui e di bonifica, circa 200mila chilometri, gestito dai Consorzi di Bonifica che ne provvedono alla manutenzione e alla gestione.
/La ciclopista del canale Villoresi/La mobilità sostenibile come occasione di rilancio dell’economia e di riscoperta della dimensione comunitaria del vivere. Passando attraverso tematiche come la tutela dell’ambiente, la riforma degli spazi urbani, con ciclabili e non solo, l’integrazione dei trasporti, pubblici e privati.
Di tutto questo si è parlato in occasione di Mobilitars, simposio digitale formativo organizzato da Bikenomist in partnership con il gruppo Selle Royal, che per tutti i mercoledì di febbraio ha riunito online migliaia di persone intorno a decine di panel con esperti di settore e addetti ai lavori. Da Filippa Lagerback, conduttrice e influencer delle buone pratiche sostenibili, a padre Joshtrom I. Kureethadam, coordinatore del settore Ecologia
Grazie alla collaborazione con Bit Mobility la polizia locale a Venezia e Lecce potrà presidiare le zone a traffico limitato e le aree pedonali del centro città in monopattino elettrico. Coppie di agenti che potranno così vigilare, oltre che sul rispetto dell’ordine pubblico, anche su quello di alcune delle più basilari, quanto purtroppo spesso trasgredite, norme stradali, come: accessibilità degli attraversamenti pedonali, rispetto delle piste ciclabili e stalli di sosta destinati ai veicoli delle persone disabili. “L’impegno della Polizia nell’insegnare ai cittadini dando il buon esempio aiuterà a sviluppare un nuovo concetto di mobilità urbana, che nel futuro prossimo vedrà sempre più differenti attori coinvolti su strada”, dichiara Michela Crivellente, ad e co-fondatrice di Bit Mobility.
e creato del Dicastero per lo sviluppo umano integrale, istituito nel 2016 in Vaticano da Papa Francesco, ma anche imprenditori, uomini delle istituzioni, architetti, accademici e urbanisti. Tutti chiamati a dare il proprio contributo di riflessione. “La pandemia sta imponendo cambiamenti importanti al nostro stile di vita, alcuni dei quali sono destinati a perdurare”, ha osservato Paolo Pinzuti, ceo di Bikenomist. “Il nostro compito di persone adulte in questo momento è di decidere quali di questi cambiamenti porteremo nell’era post covid. Ripensare la mobilità oggi che abbiamo la possibilità di farlo significa affrontare
Dieci milioni di euro. A tanto ammonta l’investimeno di Vittoria, l’azienda produttrice di copertoni per biciclette controllata da Wise Equity attraverso il fondo Wisequity V, per realizzare un centro di innovazione e ricerca, con tanto di bike park, nella, nella sede di Brembate (Bg) che, grazie allo stanziamento si espanderà dagli attuali 10mila a 40mila metri quadrati. Nel Cycling innovation centre, che aprirà entro il 2022, Vittoria potrà testare tecnologie, materiali e processi, radoppiando inoltre la capacità di magazzino per far fronte alla sempre crescente
domanda del mercato. “Siamo orgogliosi di questo ulteriore investimento in Italia, dove la storia e l’innovazione del ciclismo si incontrano”, ha dichiarato Stijn Vriends, presidente e ad del Gruppo Vittoria. “Il Cycling innovation centre & bike park è un esempio della passione tipicamente italiana per la creatività e l’innovazione. Con questo investimento, continueremo a creare i copertoni per bicicletta più avanzati del pianeta!”. Wise Equity ha acquisito il 100% di Vittoria a luglio dello scorso anno.
Brand in ascesa nel panorama sportivo internazionale, Therabody ha chiuso un round di investimenti cui hanno contribuito oltre 100 personaggi di spicco tra campioni dello sport come Kevin Durant, Aaron Rodgers e Kevin De Bruyne e star come Shawn Carter (Jay-Z) e Daniel Craig.
L’azienda specializzata nella produzione di dispositivi per il massaggio percussivo, che sul mercato si propone anche ai ciclisti, professionisti e amatori, ha reso noto che gli investimenti serviranno ad accelerare su ricerca e sviluppo ma anche ad investire nell’espansione internazionale, con l’intenzione di ampliarsi in dieci nuovi Paesi entro il 2022. Nata nel 2008 da un’idea del dottor Jason Wersland e per anni nota come Theragun, dal nome del dispositivo portatile di maggiore successo, Therabody ha recentemente annunciato una partnership con Ac Milan.
in questa stagione con capi e accessori del marchio ideato dal pilota di Oviedo. Da tempo è noto l’amore di Alonso per la bicicletta. Una passione che nel 2013, quando ancora era alla guida della Ferrari, lo aveva portato a lanciarsi in un ambizioso progetto per rilevare la licenza del team di ciclismo della Euskaltel-Euskadi. Convinse perfino Paolo Bettini a lasciare la nazionale per assumere il ruolo di direttore tecnico, salvo poi fare una clamorosa marcia indietro per lasciare tutto incompiuto. Ma i grandi amori, si sa, fanno giri immensi e poi ritornano. E mentre, all’alba dei quarant’anni, Alonso fa il suo ritorno in Formula uno alla guida di una Alpine Renault, ecco che rispunta una nuova iniziativa imprenditoriale nel mondo delle bici, seppur in una veste diversa rispetto alla prima (mancata) esperienza. L’asturiano, inoltre, lo scorso 11 febbraio, è rimasto coinvolto in un incidente con un’automobile in Svizzera, nei pressi di Lugano, mentre si stava allenando sulla sua bici da strada. Dopo l’iniziale spavento, tutto si è risolto positivamente. Il campione ha dovuto però sottoporsi a un intervento all’ospedale di Berna per sistemare la frattura alla mascella superiore rimediata dopo l’impatto.
Il campione del mondo 2016 di Formula 1 Nico Rosberg è diventato testimonial di e-Omnia, la nuova famiglia di e-bike presentata da Bianchi. Un testimonial di eccezione, considerato che Rosberg, conclusa la carriera da pilota, è diventato imprenditore nell’ambito della sostenibilità. “La Formula 1 mi ha insegnato che c’è sempre una soluzione se si è disposti a cambiare le regole”, ha detto Rosberg, “ecco perché ho scelto Bianchi. A casa mia, a Monaco, salgo in sella alla mia Bianchi e-Omnia e mi sento subito a mio agio. C’è una e-Omnia ideale per ognuno di noi”. La personalizzazione è una delle caratteristiche principali di questa nuova famiglia di e-bike: “Con un approccio rider-first che avvicina l’utente al processo di sviluppo”, spiega Claudio Masnata, marketing manager di Bianchi, “abbiamo creato il più avanzato configuratore di biciclette 3D online al mondo, con 8.500 combinazioni tra colori, accessori e specifiche tecniche”. Il progetto e-Omnia si declina in tre diversi mondi: City, Tourer e Mountain Bike. La E-Omnia C-Type è pensata per gli spostamenti quotidiani, poi ci sono la e-Omnia T-Type e Ft-Type progettate per soddisfare le esigenze sia dei cicloturisti sia dei rider cittadini. E, infine, ci sono la e-Omnia X-TYPE e FX-TYPE: la prima è una e-MTB hardtail, che dà il massimo sui sentieri di montagna o nelle sfide infuocate, mentre la seconda è pensata per biker esperti che ricercano il divertimento e la sfida sui sentieri off-road.
Partirà ad agosto la Coppa del Mondo Uci di Mountain Bike Eliminator che sarà trasmessa su BIKE (al 259 del digitale terrestre in Hbbtv e sul 60 dtt di Sport Italia, oppure accedendo alla diretta del canale dal sito bikechannel.it). Il via in Belgio con le tappe di Leuven e Oudenaarde, rispettivamente l’8 e il 15 di agosto, per poi proseguire in Olanda il 22 agosto a Valkenswaard. Al 12 settembre appuntamento a Wintemberg in Germania e il 17 ci si sposta in Francia, appena fuori Parigi, a Jablines-Annet nel dipartimento Senna e Marna nell’Ile-de-France. Tre gli appuntamenti ad ottobre: Barcellona (Spagna) il 2, Gibilterra il 10 e Bahrain il 22. La Coppa del Mondo Uci di Mountain Bike Eliminator è organizzata da City Mountainbike. rimediata dopo l’impatto.
In diretta su BIKE tutte le gare degli Internazionali d’Italia series 2021, il più importante circuito italiano di cross country. Quattro appuntamenti di categoria C1 e una di Hors Catégorie. Nell’anno che conduce alle Olimpiadi di Tokyo – dove il cross country è l’unica disciplina della mtb in programma – due le novità di calendario. La prima tappa è andata all’ex campione europeo Lars Forster, che si è aggiudicato la gara open maschile confermando un grande feeling con gli Internazionali d’Italia series. Si disputano invece in concomitanza con l’arrivo in edicola di questo numero di BIKE le tappe di Capoliveri Isola d’Elba (Li), in programma il 5 aprile con il nome di Capoliveri Legend Xco, una delle due new entry in calendario, e quella di Nalles, (Bz), il 10 aprile, quest’ultima una Hors Catégorie denominata Marlene Südtirol Sunshine Race. Appuntamento poi il 2 giugno con la seconda novità, Valle di Casies (Bz) e il 26 giugno a La Thuile (Ao) per la La Thuile Mtb Race. Su BIKE le gare si possono seguire in onda sul 259 del dtt in Hbbtv e sul 60 dtt di Sport Italia oppure accedendo alla diretta del canale dal sito bikechannel.it. La gestione degli Internazionali d’Italia è affidata dalla Federazione ciclistica italiana al progetto di CM Outdoor Events.
LA PATERNOSTER È L’ATLETA DI PUNTA DELLA NAZIONALE FEMMINILE SU PISTA PER TOKYO. A BIKE RACCONTA LE SUE RADICI, GLI OBIETTIVI E LA PASSIONE INNATA PER IL CICLISMO
di / MATTEO RIGAMONTI / fotografie di / ROBERTA BRUNO /Dal Balcone d’Anauni non si vede soltanto il lago di Santa Giustina. A Revò, provincia di Trento, c’è chi, aguzzando la vista e cavalcando la suggestione di un grande sogno, scorge persino il Sol Levante. Non quello della vicina Val di Sole ma quello che sorge nell’Estremo Oriente, a Tokyo, dove l’anno scorso avrebbero dovuto svolgersi i Giochi Olimpici e che, invece, per via della pandemia, siamo ancora tutti qui ad aspettare.
Al talento luminoso di Letizia Paternoster, alla quale il paesino della Val di Non ha dato i natali, un anno in più d’attesa non spaventa né crea apprensione. “Ho bene in mente quali obiettivi voglio raggiungere”, racconta a BIKE dopo una giornata di allenamenti nel velodromo di Montichiari insieme alle compagne della Nazionale di ciclismo su pista, sotto la guida attenta del ct Dino Salvoldi e del suo staff. Il “grande sogno”, non soltanto per lei, è l’oro olimpico e per chi verrà selezionata l’opportunità di giocarsela si concretizzerà.
Paternoster, che a luglio compirà ventidue anni, è la stella di punta di una costellazione di giovani atlete, nate tra gli ultimissimi anni Novanta e i primi del Duemila, che in pista – dove in Nazionale abbiamo da sempre un pedigree invidiabile – promettono sfracelli. “Voglio vincere anche quando gioco a carte”, taglia corto stuzzicata sull’agonismo che ha in corpo nel percorso di avvicinamento alle Olimpiadi. È lo stesso di sempre e che, da quando a sei anni ha cominciato a correre per l’Anaune di Cles, la spinge a trasformare la forza profusa sui pedali in volontà di vittoria.
La cattiveria agonistica di Letizia Paternoster si è vista in più di un’occasione, fin dalle categorie giovanili, su pista e su strada. Sottolineata dal ricco palmares, nonostante una carriera professonistica agli albori, la riprova è avvenuta l’anno scorso ai Mondiali su pista, quelli ‘dei grandi’, a Berlino dove ha conquistato argento nell’omnium e bronzo nella madison (in coppia con Elisa Balsamo). Nel 2019 al Tour Down Under la prima vittoria su strada al debutto da pro con la nuova divisa della Trek Segafredo.
In famiglia l’avrebbero vista bene in tutù e con le scarpette da punta, invece lei ha preferito body aerodinamici e tacchette ai piedi. “Vorrei diventare un giorno come lui”, ha detto da piccola alla mamma indicando le foto di Maurizio Fondriest con le vittorie al Mondiale e alla Milano Sanremo appese nel negozio di bici del campione trentino, dove è praticamente di casa. Un rapporto di stima e amicizia che testimonia il legame di Letizia con le sue
terre. Qui ha appreso l’importanza del sacrificio e il valore del lavoro: “Principi che già mia nonna e poi mio papà mi hanno trasmesso e che porterò sempre con me”.
A sostenere l’atleta delle Fiamme Azzurre (altra maglia del colore del cielo di cui va fiera), un team di primissimo piano che la aiuta a mettere in ordine i tasselli per costruire le fondamenta del sogno olimpico: dal suo agente Manuel Quinziato (“è molto intelligente ed è un puro”, dice di lui) all’allenatore Dario Broccardo (“quando ha accettato di fare un percorso con me c‘è stata subito sintonia”). Chissà che i tre ori olimpici degli atleti allenati da Broccardo (Giovanni Lombardi a Barcellona 1992 e Antonella Bellutti ad Atalanta 1996 e Sidney 2000) possano essere di buon auspicio.
La strada per il succeso è lunga e impervia. Letizia lo sa e dimostra intelligenza quando capisce che la gestione di tempo ed energie è fondamentale per una campionessa mediatica come è lei. Non è un caso che tra i modelli sportivi, insieme a un’altra trentina di Cles, Rossella Callovi, e a Marianne Vos (“ha vinto ovunque, il mio idolo in assoluto”), citi Federica Pellegrini, “una sportiva che stimo molto”, Divina in vasca come nell’arte di sopravvivere ai tanti impegni legati agli sponsor e all’esposizione mediatica. Per ‘staccare’, invece, Peternoster predilige “camminare in montagna, passeggiare sul lago e sostare a bere un caffè”. Hobby? Andar per negozi: “Amo le scarpe con i tacchi e i bei vestiti”. Se ne sono accorti anche in Giappone.
A CENT’ANNI DALLA NASCITA ALFREDO MARTINI TESTIMONIA CON FORZA ANCORA OGGI LA MODERNITÀ DEL SUO PENSIERO E LA DIGNITÀ DELLA SUA PERSONA. AVEVA UN SOGNO: IL NOBEL PER LA PACE ALLA BICICLETTA
“Sai cosa c’è di bello nel ciclismo? Che mentre pedali puoi pensare, e a volte anche sorridere. Negli altri sport no”. Ci sono Uomini che terremo sempre nel nostro cuore. Alfredo Martini è uno di loro. Il 18 febbraio avrebbe compiuto cento anni. Sembrava immortale nella sua forza, nella sua saggezza, nel suo buon senso, nella sua intelligenza, nella sua antica bellezza: nella sua nobiltà. E per certi versi lo era e lo è. Cominciò a morire piano piano quando, all’improvviso, venne a mancare l’altro ‘grande vecchio’ della sua vita: Fiorenzo Magni.
Uno, Alfredo, era del ’21, Fiorenzo era del ’20. In realtà li separavano poco più di due mesi. Fratelli in tutto, compreso il territorio di nascita: entrambi figli delle propaggini dell’Appennino Fiorentino. Solo una cosa li divise: la guerra. O meglio, l’appartenenza. Alfredo diventò fieramente partigiano, Fiorenzo aderì alle Repubblica sociale. Quando gli uomini della Resistenza catturarono Fiorenzo per processarlo e, probabilmente, per fucilarlo, il giorno dell’udienza Alfredo – magro ed emaciato come tutti i giovani uomini di allora,
ma con negli occhi il lampo della fierezza (e della giustizia) – entrò nell’aula del tribunale, dove gli altri suoi compagni non aspettavano altro che una sola sentenza. Si piantò davanti al giudice – la sua onestà e la sua autorevolezza glielo consentivano – e gli disse: “Questo è un uomo per bene. Lasciatelo andare”. E il giudice lo ascoltò. Era bellissimo vederli insieme. Due querce temprate dalla vita. Due ultranovantenni con una freschezza da ragazzini: arguti, garbati, sapienti. Magni, certo, aveva avuto una carriera molto più prestigiosa di Martini (malgrado si fosse dovuto misurare contro due tipi come Bartali e Coppi che avrebbero voluto lasciare agli altri solo briciole). Ma Martini si rifece dopo, diventando, di fatto, ‘il Ciclismo’ italiano.
di MARINO BARTOLETTIMartini è stato per quasi venticinque anni commissario tecnico della Nazionale, con sei titoli mondiali conquistati dai ‘suoi’ ragazzi e venti podi complessivi; ma soprattutto è stato punto di riferimento morale in ogni momento, anche in quelli più drammatici, non tanto dal punto di vista sportivo quanto da quello etico. Del ciclismo era il testimone, non solo più credibile, bensì più poetico. Ascoltarlo e arricchirsi era la stessa cosa. Aveva parole giuste per ogni persona, per ogni momento: non deluse neanche al funerale di Franco Ballerini, il suo ‘erede’, il figlio maschio che non aveva avuto (il Signore gli ha concesso due ragazze meravigliose: Silvia e Milvia). “Sai Franco – disse – quando ti verranno incontro Costante, Learco, Alfredo, Fausto, Gino e Fiorenzo e ti chiederanno che ciclismo hai lasciato quaggiù e tu potrai rispondere serenamente: un ciclismo un po’ migliore, da quando abbiamo cominciato a cacciare i mercanti dal tempio”.
Sul doping aveva le idee chiarissime: “Ti toglie l’onore: è un gesto di vigliaccheria. Si possono guadagnare tanti soldi, ma sono soldi sporchi e alla fine si pagano con gli interessi (economici, ma soprattutto umani)”.
La sua statura da una parte era figlia del (durissimo) tempo in cui era nato e cresciuto, ma dall’altra era di una modernità sconvolgente. Grande comunicatore, sapeva sempre regalare frasi di una semplicità e allo stesso tempo di una profondità uniche che davano al pensiero la perfezione del marmo scolpito. Una volta qualcuno pensò di metterlo in difficoltà – non solo sul piano storico,
ma anche dei sentimenti – chiedendogli di dare la sua versione sulla famosa borraccia di Coppi e Bartali al Tour: “Quello che conta – rispose – non è chi l’ha passata e chi l’ha ricevuta, ma il fatto che due uomini, certamente rivali, nel bel mezzo di una gara estenuante hanno avuto il coraggio e la grandezza di dividersi l’ultimo sorso d’acqua”. Neanche sotto tortura avrebbe detto che per Gino simpatizzava un po’ più che per Fausto (ovviamente a parità di rispetto e di sconfinata ammirazione per entrambi), ma quando Gino se ne andò sussurrò: “È come se mi avessero strappato una bandiera dalle mani”. Per fortuna, per un’altra dozzina d’anni, gli rimase Fiorenzo.
Di sé diceva: “Se guardo indietro, penso che la bicicletta e il ciclismo mi abbiano dato più di quello che io ho dato loro. Bisogna saper accettare i propri limiti, con onestà. Ma sport a parte, pedalare fa bene al corpo e all’umore. Chi va in bici fischietta, progetta, canta. Chi va in macchina s’incattivisce o s’intristisce. La bicicletta non mi ha mai deluso. La bicicletta è sorriso e merita il Nobel per la pace”.
Non lo hanno ancora accontentato, ma non si sa mai. Un giorno, durante un dibattito, un ragazzo mi chiese a quale sostantivo abbinassi il nome di Martini. Non ho avuto dubbi, è una parola che ha lo stesso numero di lettere del suo cognome. Dignità.
/Alfredo Martini, a destra, in compagnia dell’amico Fiorenzo Magni. In piedi, Marino Bartoletti/Quelle di Tokyo del 1964 furono Olimpiadi storiche: le prime del continente asiatico, le seconde consecutive che la Comunità Internazionale concesse – dopo Roma – a un Paese ‘sconfitto’ della seconda guerra mondiale, per chiudere un cerchio di pace che ancora una volta passava attraverso la fratellanza nello sport.
Quelli del 1960 erano stati Giochi storici, perfetti, di totale amicizia: ancora adesso considerati i più belli e i più ‘umani’ del secolo. E in quei Giochi domestici, il ciclismo italiano – al culmine dell’esplosione della sua storica ‘scuola’ – fece la parte del leone nel nostro medagliere, conquistando cinque ori su sei a disposizione (di cui quattro su quattro in pista) per un totale di sette medaglie complessive, compresi un argento e un bronzo.
Era chiaro che il Giappone, al suo debutto mondiale in società, dopo quasi vent’anni di ‘castigo’, non voleva assolutamente sfigurare. E non lo fece. Ma era ugualmente chiaro che l’Italia voleva fare di tutto per proseguire l’eccellente inerzia dei Giochi di casa, rinnovando, per quanto possibile, il buon bottino di medaglie. E il ciclismo, fra tutte le discipline, era quella che non poteva e non doveva ‘tradire’. Sostanzialmente così fu, con tre ori e cinque argenti, anche se buona parte dei protagonisti di Roma erano passati al professionismo, a cominciare dai ‘top players’ della velocità su pista Sante Gaiardoni e Giuseppe Beghetto: l’uno infatti era già diventato campione del mondo, detronizzando nientemeno che Antonio Maspes, l’altro lo sarebbe diventato per ben tre volte detronizzando tutti e due.
I CICLISTI AZZURRI IN CORSA ALLE OLIMPIADI GIAPPONESI DEL 1964 SEPPERO AGGIUDICARSI TRE ORI E CINQUE ARGENTI, TRA PISTA E STRADA. UNA SPEDIZIONE MEMORABILE CULMINATA CON L’IMPRESA DI MARIO ZANIN CHE SCONFISSE L’ASTRO NASCENTE EDDY MERCKX
In realtà il padovano Nane Beghetto a Roma aveva vinto la medaglia d’oro nel tandem, specialità tanto spettacolare quanto simpaticamente anacronistica che si sarebbe estinta tre Olimpiadi più tardi: passando di categoria aveva lasciato in braghe di tela il suo concittadino e fratello Sergio Bianchetto che aveva perso così il suo potentissimo ‘motore’ posteriore. A Tokyo Bianchetto venne dunque affiancato da un giovane talento napoletano, Angelo Damiano, che era salito proprio a Padova per raffinare la sua tecnica di pistard appresa al velodromo dell’Arenaccia. Ne nacque un’alchimia vincente.
Certo, le quattro-medaglie-quattro su pista di Roma erano un traguardo pressoché irraggiungibile, ma nel fantasmagorico velodromo di Hachioji ne ottenemmo comunque più di tutte le altre nazioni: oro nel tandem; oro nella velocità, col veronese Giovanni Pettenella davanti allo stesso Bianchetto; argento sempre con Pettenella nel chilometro da fermo; argento nella nuova specialità dell’inseguimento individuale col goriziano Giorgio Ursi; e argento nell’inseguimento a squadre col veterano Testa (già olimpionico a Roma) insieme a Roncaglia, Rancati e a quel Vincenzo Cencio Mantovani – concittadino di Tazio Nuvolari – che una volta lasciato il ciclismo (e purtroppo prima di morire in un tragico incidente con un deltaplano) fondò una delle più celebri e affermate aziende di abbigliamento ciclistico italiane, la Moa-Nalini. Insomma, con due medaglie d’oro e quattro d’argento, per la pista un bottino assolutamente non trascurabile.
E la strada? A Roma sulle due specialità – la gara individuale e la cronometro a squadre – avevamo conquistato l’argento con Livio Trapè (che si era fatto ingenuamente superare in volata dal tenente dell’Armata Rossa Viktor Kapitonov) e l’oro nella cento chilometri con Bailetti, Fornoni, Cogliati e lo stesso Trapè (Vittorio Adorni prima riserva). Tutti però passati al professionismo.
A Tokyo peranto ci presentammo con nomi nuovi e le parti si invertirono. I ragazzi della cronometro (Andreoli, Dalla Bona, Guerra e Manza) giunsero secondi dietro all’Olanda trascinata da Gerben Karstens e davanti alla Svezia con tre dei celebri fratelli Pettersson. Mentre dalla prova in linea arrivò la sorpresa dell’oro.
Il capitano della nostra Nazionale era il giovanissimo Felice Gimondi, ma il favorito era l’ancor più giovane e futuro Cannibale Eddy Merckx, che ovviamente fece il matto, ma venne ripreso a un soffio dal traguardo. Nella volatona di gruppo apparve dal nulla il trevigiano Mario Zanin, diventato ciclista per colpa di un infortunio che non gli consentì di proseguire la sua carriera di calciatore. Non avrebbe praticamente mai vinto più nulla in vita sua (se non una tappa alla Vuelta due anni dopo). Ma quell’oro olimpico lo appagò e lo appaga ancora oggi che ha felicemente e serenamente superato gli ottant’anni.
Ecco cosa fu ‘l’altra’ nostra Olimpiade di Tokyo che ci portò la bellezza di otto medaglie complessive. A Ganna, Paternoster, Longo Borghini, Viviani e compagni – nipoti di quei vecchi azzurri vincenti – l’onere di farci tornare a sognare.
ZANIN, CALCIATORE MANCATO, EBBE LA MEGLIO SUL CANNIBALE. BIANCHETTO VINSE L’ORO NEL TANDEM IN COPPIA CON DAMIANO E FINÌ SECONDO NELLA VELOCITÀ
ALLE SPALLE DI PETTENELLA
Sessantasei medaglie in palio di cui ventidue d’oro, tutte equamente distribuite tra donne e uomini: trentatre a testa. Tanti saranno i riconoscimenti per cui atleti da tutte le nazioni competeranno a Tokyo 2020. Alla coppia di discipline su strada (corsa in linea e cronometro individuale), alle cinque su pista (inseguimento a squadre, velocità, velocità a squadre, keirin e omnium) e alle singole discipline di mountain bike (cross country) e bmx (racing) – per un totale di diciotto gare, tra maschile e femminile, a Rio 2016 – si aggiungono infatti due nuove competizioni olimpiche: nella pista ritorna la madison e la bmx si sdoppia con il debutto del freestyle.
Nel 2016 erano stati due gli italiani ad aver lasciato il segno, quando i sogni di gloria dello Squalo Vincenzo Nibali si sono purtroppo infranti, per una caduta, sulla discesa del Forte di Copacabana a pochi chilometri dal traguardo. Il veronese Elia Viviani che, con un exploit nell’omnium, ha vinto l’oro davanti all’allora temibile Mark Cavendish e al campione uscente di Londra 2012, il danese Lasse Norman Hansen. Elisa Longo Borghini che si è aggiudicata un buon bronzo su
strada alle spalle di Anna van der Breggen ed Emma Johansson.
Nell’edizione brasiliana dell’Olimpiade a trionfare su strada, tra gli uomini, è stato poi l’asso belga Van Avermaet davanti a Fuglsang e Majka. Nelle cronometro hanno vinto Fabian Spartacus Cancellara, su Dumoulin e Froome, tra gli uomini, Kristin Armstrong tra le donne. In pista, Viviani a parte, ha dettato legge la Gran Bretagna vincendo inseguimento a squadre (in quartetto anche Sir Bradley Wiggins) davanti ad Australia e Danimarca, velocità, individuale e a squadre, keirin. Le donne britanniche hanno aggiunto l’oro nell’inseguitmento a squadre e quello nell’omnium con Laura Trott. Alle cinesi il conio più prestigioso nella velocità a squadre, all’olanda nel keirin. A vincere a Rio l’oro nella velocità individuale femmi nile la fuoriclasse tedesca Kristina Vogel, oggi purtroppo costretta su una sedia a rotelle a motivo di un terribile incidente in allenamento. Nelle ruote grasse il fenomenale Nino Schurter ha vinto il cross country, dagli Usa Connor Fields nella bmx. Tra le donne hanno fatto festa la Svezia con Rissveds (xc) e la Colombia con Pajon (bmx).
TRA RITORNI
DI FIAMMA, SUGGESTIONI
E PROMESSE
DI RISCATTO, IL CICLOMERCATO 2021
CI HA REGALATO CURIOSE SORPRESE. ECCO CHI SONO I CAMPIONI CHE HANNO DECISO
DI RIMETTERSI
IN GIOCO E I TEAM CHE HANNO PUNTATO SU DI LORO
Smette o non smette? Avrà ancora voglia o forse non più? Eravamo tutti convinti (e forse lo era anche lui) che il 2020 sarebbe stato l’ultimo anno in sella per Cannonball E invece il piccolo velocista dell’Isola di Man ha preso tutti in contropiede. Ritornando a casa. Nella Quickstep che ha sentito come una famiglia e che fra il 2013 e il 2015 lo ha portato a vincere ben 44 corse (sulle 146 vittorie che ha ottenuto in carriera). Farà da mentore ai giovani sprinter del Wolfpack ma vorrebbe riassaporare, almeno per una volta, anche il gusto del successo, che gli manca ormai da tre anni. Il Cav ne compirà 36 anni a maggio.
CORIACEOMassimo rispetto per tutto ciò che ha fatto in carriera, ma Froome alla Israel Startup Nation rischia di rivelarsi più colpo mediatico che non tecnico. A parte l’età (36 anni a maggio, proprio come Cavendish), che comunque nel ciclismo attuale dei giovani è un problema per molti, il motore dell’ex Sky-Ineos sembra non girare più come deve. Gli israeliani ne vogliono fare comunque un simbolo e un volano per la bici e il ciclismo nel Paese. Probabilmente raggiungeranno questo scopo, ma sognare di riportare il ‘keniano bianco’ in cima al Tour de France è sfida davvero ardua.
REBUSPiacevole rivelazione nel 2020, l’Espresso di Berna ha cambiato squadra quasi fuori tempo massimo. Segretissimi i motivi dell’addio alla Sunweb (oggi Dsm), Hirschi si è accasato alla Uae Team Emirates, squadra regina del mercato. Marc è un corridore spettacolare e d’attacco, che nelle tappe di un grande giro o nelle corse di un giorno (leggi Ardenne e Mondiale) può garantire veri e propri fuochi d’artificio. Un pezzo pregiatissimo che è andato nel team in più forte ascesa.
Saranno anche per lui 36 le primavere sulle spalle a maggio, ma il ‘vecchio’ Greg è pur sempre il campione olimpico in carica. Sulla carta è un colpaccio quello siglato dalla rinnovata e ambiziosa Ag2r Citroen, anche se il belga potrà forse essere più utile come regista che non come capitano designato. L’ultimo acuto degno di nota, infatti, è datato 2017, alla Parigi-Roubaix, poi solo otto vittorie in gare minori. Ci smentirà?
DUBBIO AMLETICODopo sei anni di Astana Michelangelo ha deciso di cambiare aria. È stato uno dei colpacci dell’inverno. La Movistar si è assicurata un talento di 27 anni, che, nei sei grandi giri a tappe conclusi finora in carriera, ha sempre chiuso fra terza e ottava posizione. Incontenibile in salita quando pesca la giornata giusta, Lopez deve fare i conti con qualche fragilità di troppo. Ma non c’è dubbio che quando è al top può rivelarsi un vero e proprio crack
Forse un giorno quelli della Ineos Grenadier ci spiegheranno come mai abbiano deciso di puntare su Adam piuttosto che sul fratello Simon (i due sono gemelli e hanno le medesime caratteristiche in sella!), ma, battute a parte, il britannico va a rafforzare ulteriormente la squadra più forte del Pianeta nelle corse a tappe. Da supporto o da ca pitano, Yates sarà comunque una garanzia. Del resto, se lo soprannominano Scienziato, un motivo ci sarà.
STUZZICANTERegista in corsa, campione a tutto tondo, intelligente, senza peli sulla lingua e autentico professionista. Bastano questi elementi per descrivere Matteo Trentin? Forse no, ma il biennale che ha firmato con la Uae Team Emirates è una polizza assicurativa per entrambe le parti. Matteo avrà i suoi spazi, la Uae avrà un playmaker affidabilissimo in diversi contesti. E in Belgio, a settembre, potrebbe anche tornare a caccia del Mondiale, perso due anni fa nello Yorkshire.
GARANZIAC’era persino qualcuno convinto che non sarebbe più riuscito a trovare un ingaggio nel World Tour dopo tre anni disastrosi alla corte della Uae Team Emirates. Invece il sardo è tipo tosto e ha ritrovato il sorriso sporcandosi nel fango del ciclocross durante l’inverno. La sua rinascita su strada passa ora dalla Qhubeka Assos (la ex Ntt), dove potrà fare il libero battitore nelle tappe in salita, cercando di far sventolare nuovamente sul traguardo la bandiera con il Cavalieri dei 4 mori e della sua amata Sardegna.
DALLA VITTORIA (CON BRIVIDO) DI LUIGI GANNA ALLE GESTA DEL SUO OMONIMO FILIPPO. COSÌ RIVIVE LA LEGGENDA ROSA DEL GIRO D’ITALIA, TRA ANTICHE RICORRENZE E NUOVE SFIDE
Al passaggio a livello di Rho, con i fumi di Milano già all’orizzonte, nel gruppetto di testa Luigi Ganna non c’era. Il capoclassifica della storica prima edizione del Giro d’Italia aveva forato qualche decina di chilometri prima e rischiava, in quel lontano 1909, di perdere il primato proprio all’ultima tappa, se non fosse stato per quel passaggio a livello. La sbarra infatti rimase abbassata a lungo, Ganna rientrò e festeggiò il trionfo con una dichiarazione passata alla storia: “L’impressione più viva l’è che me brüsa tant ‘l cü!”. Torino-Milano in quei primi anni era la tappa classica di conclusione della Corsa Rosa, e da Torino a Milano, 112 anni più tardi, si corre anche il Giro numero 104, sempre nel mese di maggio. Di Ganna oggi ce n’è un altro, Filippo, intenzionato a ripetere i successi dell’edizione 2020.
Nato a nemmeno cinquant’anni dall’Unità d’Italia, il Giro è un condensato della storia del Paese di cui ha contribuito a raccontare vicende, drammi e riscatti, attraverso le gesta di uomini in bicicletta. Ogni edizione si annoda al filo di una storia ultrasecolare, e da ogni nodo si dipana un nastro di racconti inediti. Così, sabato 8 maggio, il Giro parte a un centinaio di metri di distanza da dove 160 anni fa fu proclamato il Regno d’Italia. Due giorni più tardi, a Canale, si festeggiano i 90 anni del simbolo della corsa: la Maglia Rosa. Fresca come una giovinetta la corsa si spinge poi a sud: la punta meridionale del percorso quest’anno è tra Foggia e il Sannio, proprio come nei Giri delle origini. Poi si risale lungo l’Appennino: inevitabile respirare la storia del ciclismo in Toscana, con una tappa d’antan sugli sterrati di Montalcino e un passaggio da Sesto Fiorentino, dove 100 anni fa nacque Alfredo Martini, leggendario commissario tecnico della nazionale e indiscusso Maestro di
questo sport. Non è a Firenze, bensì tra Ravenna e Verona, l’omaggio a Dante Alighieri, che nel 700° anniversario della sua scomparsa vede la Corsa Rosa pedalare tra le due città-simbolo della sua parabola umana e letteraria. Infine le montagne, a infierire come da tradizione su gambe già affaticate dai chilometri. Lo Zoncolan torna sul suo versante originale, quello di Sutrio, affrontato solo all’esordio nel 2003 quando a dominarlo fu Gilberto Simoni (che quest’anno compie cinquant’anni e ne festeggia venti dal primo Giro vinto). Il tappone dolomitico si snoda tra Fedaia, Pordoi e Giau, prima dell’arrivo nella capitale degli sport invernali Cortina. Due tappe ravvicinate per due classici diversi delle montagne: lo Zoncolan, è l’ultimo arrivato nelle salite da leggenda, le Dolomiti segnano il Giro quasi ininterrottamente da più di ottanta anni. A dividerli una frazione che sembra di trasferimento, ma in realtà, con la Grado-Gorizia, irrompe nella Corsa Rosa l’attualità, quella di un’Europa che vede nelle frontiere gli scenari di nuove tragedie. Di là dal confine il Giro pedala in Slovenia, il Paese che più di ogni altro sta vivendo il proprio boom ciclistico, culminato con le prime due posizioni al Tour del 2020 vinto da Pogacar su Roglic.
Un Giro così carico di storia trova però lo slancio per concludersi in maniera inusuale. Gli scontri finali infatti tengono banco tra Lombardia e Piemonte, su due inediti arrivi in salita: l’Alpe di Mera (Val Sesia) e l’Alpe di Motta (Valle Spluga). Perché dopo oltre un secolo di storia il Giro non si è ancora stancato di battere strade inesplorate e narrare vicende nuove. Dopo 3.450 chilometri restano la partenza da Torino e l’arrivo a Milano,
HA FATTO SCALPORE LA NOTIZIA DELLO SBARCO NEL CICLISMO DELL’AGENTE DI CR7 CHE HA MESSO SOTTO CONTRATTO I PORTOGHESI JOÃO ALMEDIA E RUBEN GUERREIRO.
È UN BENE OPPURE UN MALE? LO ABBIAMO CHIESTO
A TRE STORICI PROCURATORI COME CLAUDIO PASQUALIN, RAIMONDO SCIMONE E ALEX CARERA
Dall’olimpo della pelota al fascino della bicicletta il mezzo di trasporto del momento nonché uno sport che sta vivendo, sull’onda di una generazione di fenomeni, una rinnovata giovinezza, in forte ascesa anche mediatica. A compiere il salto, senza rinunciare alle ‘palanche’ garantite dai suoi celebri assistiti – uno su tutti Cristiano Ronaldo –, è Jorge Mendes, che ha dato un calcio al pallone per pigiare il piede sul pedale, senza passare inosservato.
Grazie all’accoro della sua Polaris Sports con la tedesca Corso dell’ex pro João Correia e di Ken Sommer, entrano nella scuderia del terzo agente sportivo più potente al mondo secondo Forbes, i connazionali portoghesi João Almedia (Deceuninck-Quick Step), quarto al Giro d’Italia 2020 dopo quindici giorni in rosa, e Ruben Guerreiro (EF Education Nippo), vincitore a Roccaraso e leader degli scalatori. Gestirne l’immagine per ottimizzare le prospettive commerciali è l’obiettivo, nella speranza che l’accordo sia fruttuoso per tutti.
“Non voglio gente come Mendes nel mondo del ciclismo”, ha tuonato il general manager della Groupama Fdj, il sanguigno Marc Madiot.
I procuratori nel calcio hanno un portafoglio di assistiti a cui fanno cambiare squadra frequentemente per poter guadagnare sempre di più”.
E come se non bastasse, ha denunciato, “c’è una grossa speculazione, oggi la situazione finanziaria nel calcio non è certo rosea, sono sull’orlo del burrone e noi cosa facciamo? Facciamo entrare gente così nel ciclismo?”.
Non la pensa allo stesso modo Raimondo Scimone, manager di Pozzovivo e in passato di Scarponi: “Aprirsi a nuove professionalità è un bene, specie se ad arrivare è il fiore all’occhiello dello sport business”. Inoltre, “la possibilità di cedere un ciclista a un altro team, potrebbe rappresentare, forse per la prima volta, un’entrata diversa dalle sponsorizzazioni”. Ipotesi quantomeno da non scartare a priori, a patto che il faro resti una “sana patrimonializzazione”. Certo, “occorrono regole chiare”, sottolinea.
Chi ha fatto il salto dal calcio al ciclismo molto prima di Mendes è il procuratore di campioni Claudio Pasqualin, che, appassionatosi della bicicletta innanzitutto come attività praticata ancor prima che come occasione di business, dopo Alessandro Del Piero (e molti altri) ha assistito il talento di Filippo Pozzato nei suoi anni d’oro, quando vinse la Milano-Sanremo 2006 e sfiorò il podio Mondiale a Melbourne pochi anni più tardi: “Restai folgorato dalla sua eleganza nel pedalare e me ne interessai, oltretutto aveva personalità, era sfrontato”.
Sull’arrivo di uno come Mendes dice: “Non sono sorpreso, era inevitabile, mi domandavo quando potesse avvenire”. E aggiunge: “È giusto che atleti di livello cerchino i servizi di professionisti all’altezza del loro talento”. L’importante però è che, come nel calcio anche in sella a una bici, non cerchi “di far volare gli asini” quando non possono. “Vedo che oggi, purtroppo, contano troppo spesso più i rapporti di chi assiste che non la caratura tecnica dell’assistito”, chiosa.
Ribadendo la sua battaglia in difesa del mestiere che ha svolto per una vita, Pasqualin, ricorda la “definizione scolastica” di procuratore sportivo, che dovrebbe valere anche per il ciclismo: “La persona che, avendone le competenze, presta al proprio assistito opera di consulenza e assistenza nell’attività di ricerca del miglior contratto professionale e di tutti gli aspetti extra sportivi”, da quello fiscale a quello mediatico. Mentre prende le distanze dai “mediatori che possono emettere tre fatture, a chi compra, a chi vende, e all’atleta”.
Se una cosa è certa, osserva infine Alex Carera, agente, tra gli altri di Vincenzo Nibali, è che la mossa di Mendes “non è la prima e non sarà nemmeno l’ultima”. Ma di ‘Mendes’ nel ciclismo non ne vede all’orizzonte. Lo dice uno che da anni è stabilmente tra le prime cinque o sei agenzie al mondo, quelle che hanno sotto contratto la stragrande maggioranza dei primi cento atleti della classifica Uci World Tour. “Noi siamo una tra le più longeve, gli agenti storici che mi risulti, sono sempre quelli”.
LIVELLO CERCHINO
DI PROFESSIONISTI
DEL LORO TALENTO. L’IMPORTANTE È
CHI LI ASSISTE FACCIA I LORO INTERESSI
CERCARE
VOLARE GLI ASINI”
A scuola di libertà ci si può andare in sella ad una mountain bike. Se non ci credete, chiedetelo a Tony Severo, asso del microfono di 105 Friends e direttore creativo della sua casa di produzione Beemedia, che da quando è tornato a pedalare non si è ancora fermato. Campano di Portici ma milanese d’adozione, comincia a smanettare come radioamatore a metà anni Settanta: è l’alba del boom delle radio private e delle emittenti locali quando Claudio Cecchetto lo sorprende a Radio Deejay; ed è in quel preciso momento che Severo realizza come dalle prime artigianali esperienze, “nate quasi in maniera ludica ma presto diventate passione”, avrebbe potuto ricavare la sua professione.
Dopo la ‘scuola’ Deejay e qualche anno a Rtl 102.5, Tony sbarca a Radio 105, “quella che più mi assomiglia”, confessa a BIKE, “un’emittente che mi lascia libero di esprimermi e portare in onda ciò vedo”. Al suo fianco, dal 2000, Rosario Pellecchia: “Ma io lo evito, spengo la cuffia quando parla”, scherza prima di ammettere che l’af-
fiatamento professionale con Ross è ormai così consolidato che “se faccio una pausa è perché so che lui sta per intervenire”. Un gioco di squadra, la radiofonia, che si condensa in due ore di diretta, ma presuppone lavoro costante, “ventiquattrore su ventiquattro a osservare il mondo e pensare come raccontarlo”.
Le prime volte in sella riconducono Tony, che quest’anno compie sessant’anni, all’infanzia, quando papà gli insegnava a pedalare, e in vacanza insieme ai fratelli. Giunto a Milano, a nove anni, alle due ruote preferisce il calcio: “Abitavamo vicino al Parco delle Basiliche, che non era molto raccomandabile, a quel tempo era un luogo di spaccio, e noi giocavamo in cortile”. La riscoperta a quarant’anni, a Finale Ligure in provincia di Savona, recuperando dai postumi di un infortunio capitatogli sciando. La sua prima mountain bike una Olmo colorata: “Ho scoperto che potevo andare dove volevo, percorrere kilometri e kilometri e raggiungere luoghi per me inavvicinabili immersi nella natura”. È scoccata una scintilla.
/Alcune delle bici di Tony /Oggi è differenziato il parco bici di cui dispone Severo, che pratica downhill ed enduro ma è allergico agli impianti di risalita. Quattro anni fa la scoperta dell’elettrica grazie a una Mondraker motorizzata Bosch, anche se la sua preferita rimane la Cannondale Scalpel con mono-ammortizzatore Lefty Ocho. Poi ci sono delle Cube da e un paio di bici da città. Preparato dal punto di vista della meccanica e della tecnica di guida, agli amici che si avvicinano per la prima volta alla mtb consiglia sempre di seguire una scuola prima di salire in sella: “Come ho fatto io, perché un conto è pedalare in salita, ma è quando devi scendere che viene il bello…”.
Quando pedala Tony ama “girare da solo”, in tutta libertà, senza vincoli di orario né un monte prestabilito di kilometri da percorrere. Solo mete pianificate la sera prima consultando una miriade tra forum e siti delle più disparate associazioni. “Sono cinque ore tutte per me, anche quando mi capita di pedalare in gruppo”. Al rientro a casa, chiedetegli cosa ha visto, non quanto forte sia andato. A lui piace così: “La mountain bike è bella perché è attenzione e riflessione al tempo stesso”, spiega. “In certi momenti esige concentrazione massima, e un istante dopo ti riporta fuori, è un’attività incredibile di ricreazione”.
Oltre alla Liguria, che oggi è un vero e proprio Eldorado delle ruote grasse, Severo ama il Triangolo lariano. Appena fuori Milano, quando ha poco tempo, si diverte lungo la Martesana oppure, se il tempo a disposizione è maggiore, in provincia di Lodi e sulle colline di San Colombano, che gli ricordano la Toscana. In Val d’Orcia è riuscito a portare, la scorsa estate, sua moglie Valentina per la prima volta in sella a una mtb elettrica su percorsi impegnativi. “È una grande sportiva, ma all’inizio aveva paura di un po’ di ghiaietta: con pochissimi suggerimenti siamo giunti a percorrere 50 kilometri al giorno tra boschi e vigne e si è divertita parecchio”. Senza mai andare, peraltro, come recitava, il primo programma radiofonico condotto da Tony Severo, Fuori giri
ANIMO DA SPORTIVO E AMORE PER LA NATURA, QUANDO SI MUOVE IN CENTRO CITTÀ LO FA IN SELLA A UNA RONDINELLA ANNI ‘70 E SE PUÒ FUGGE SUI NAVIGLI O IN MONFERRATO. PER L’ATTORE DEL CELEBRE TRIO PEDALARE È INNANZITUTTO AMICIZIA E CONDIVISIONE DA GODERSI AL RITMO GIUSTO
Per molti, quasi tutti, la bici è libertà. C’è poi un altro importante ingrediente. Lo aggiunge Giovanni Storti, attore e comico milanese del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, quando ci dice che la bici è anche condivisione. Dalla sua casa di Milano ci racconta la passione per lo sport. Conosciamo bene questa versione di Giovanni Storti, ne ha parlato anche nei suoi libri. Sappiamo che la corsa è un amore iniziato in montagna e che lo ha portato in giro per il mondo, dal Brasile all’Islanda, dall’Etiopia all’Argentina. Sappiamo poi che il suo rapporto con la corsa è meditativo. Quando ci parla del suo incontro con il pedale, per cominciare, si ride. L’aneddoto è la sua prima volta senza rotelle. Un ricordo memorabile come la testata che dato cadendo contro il lavandino, perché lui non ha imparato a pedalare in un parco o su una strada dritta, ma sul terrazzo di casa curvando di continuo. Sogghigna. La bici oggi è il suo tempo libero, ma anche il modo di muoversi a Milano, in sella a una Rondinella anni Settanta. Del trio, anche Giacomo pe-
dala spesso in città: “Lui ha il record di furti di bici – confessa Giovanni – ogni volta ne ha una nuova. Io gli dico: ‘Ma Giacomo, un’altra?’ E lui spalanca le braccia. Credetemi, ne avrà cambiate sei. Aldo, invece, preferisce il tennis”. Assolutamente coerente alla natura stessa del trio è l’interpretazione che Giovanni ha della bicicletta: “Andare in bici per me vuol dire fare delle cose assieme, è aggregazione. A meno che uno non decida di fare Milano-Cina da solo”. Da cicloturista racconta le emozioni di un viaggio in compagnia tra risate e aiuto reciproco. Come quella volta quando, sotto l’acquazzone, uno del gruppo ha bucato la gomma e insieme si è provato a ripararla: “Abbiamo messo dentro quegli spray con la schiuma, ma abbiamo sbagliato. Ne abbiamo messo troppo. Dopo dieci minuti, è esplosa. La cosa bella è che quando si pedala nessuno si arrabbia, ridi anche se piove. E poi comunque, se capitano imprevisti, è bello mettersi tutti attorno alla bicicletta a capire cosa fare”.
Giovanni vede la bici come un buon compromesso tra mantenersi in forma e visitare nuovi posti, perché non è veloce e non è lenta e per questo ti dà la possibilità di ammirare panorami o di conoscere persone. È successo in Toscana dove, pedalando, ha conosciuto un ragazzo che stava percorrendo la via Francigena in sella a una Graziella con solo un piccolo zainetto sul portapacchi. Gli chiediamo se è una di quelle esperienze che avrebbe mai fatto, risponde di non saperlo e che il passato è il passato.
In uno dei successi cinematografici del trio, Chiedimi se sono felice, la bicicletta è una grande protagonista: in una scena del film, Giacomo e Giovanni pedalano fianco a fianco. Giacomo prova a parlare, ma Giovanni lo avvalla interrompendolo ogni volta che apre bocca: “Guarda, Giacomo le paperette!”. Nel film l’invito ad ascoltare la natura è un’ironica battuta, ma nella vita privata è un
vero e proprio must. Del resto, Giova loves nature (Giovanni ama la natura), recita il titolo del format social in cui, con leggerezza e ilarità, parla delle sue piante. Un progetto che ha caratterizzato il suo primo lockdown durante la pandemia. Le bellezze della natura e i paesaggi sono quello che Giovanni fotografa con gli occhi. La bicicletta gli permette di osservare e memorizzare. Tra i percorsi che il comico milanese ama di più ci sono le bellissime colline del Monferrato, le strade che da Milano portano verso l’Adda, ripercorrendo la Martesana, oppure verso il Ticino, dal Naviglio grande verso Sesto Calende. L’ultimo itinerario è il consiglio che ci lascia per un viaggio da fare in primavera oppure anche in estate: scendere da Bormio verso l’Adda per poi costeggiare il lago di Como. Regalarsi delle pause lungo le rive sarà il modo di collezionare alcuni dei ricordi più belli.
TERRA DI VINI E CULLA DI CAMPIONI, AMBITA META CICLOTURISTICA E VALIDA PALESTRA PER LE GRANDI SALITE. VIAGGIO ALLA SCOPERTA DI UNO SPICCHIO DI TERRA TRA MILANO, PIACENZA E PAVIA CHE HA UN GRANDE POTENZIALE. PECCATO SOLTANTO PER LE STRADE
I vigneti rigonfi d’uva che profuma. Il giallo ocra, l’arancione e il rosso che si mescolano con gli ultimi respiri del verde e colorano le colline. È bello sempre, ma in autunno l’Oltrepò pavese sprigiona per intero tutto il suo fascino. Resta comunque scelta ardua indicare una sola stagione
(raggiungibile da Ponte Nizza o da Poggio Ferrato), al quale si arriva solo dopo aver affrontato pendenze anche superiori al 13%.
Il miglior consiglio è andare a zonzo, seguire l’istin to e il cuore. Avventurarsi in stradine e deviazioni per scoprire questo spicchio di terra in cui
Il versante ‘nobile’ del Penice, comunque pedalabile anche se partite dal pavese, è quello piacentino da Bobbio: 12,5 kilometri al 7% di pendenza media, dato un po’ bugiardo perché viziato da due tratti in falsopiano spalmati sulla salita, che resta invece quasi sempre fra l’8 e il 10%.
Il punto panoramico dove si arriva è la vetta del Penice, dove c’è il delizioso Santuario di Santa Maria (1460 metri sul livello del mare).
Qui sopra, dopo 3,7 kilometri al 9% medio e con punte al 14%, la strada finisce e, nelle giornate terse, bisogna solo mettersi in adorazione dello spettacolo visivo che viene offerto agli occhi.
Da una parte si domina tutta la piana, fino a Milano, ammirando l’arco alpino sullo sfondo; dall’altra lo sguardo si perde verso la Val Trebbia,
perdere prima di affrontare il ‘piccolo Stelvio, come lo chiamano da queste parti, che conduce a Pometo.
E in Oltrepò ci sono pure le primissime colline, un vero e proprio ‘must’ per i cicloamatori pavesi e milanesi: Montalto Pavese e lo scorcio panoramico dalla Madonna del Vento, Montù Beccaria, Canneto Pavese, Fortunago e via dicendo.
L’Oltrepò – il cui vero difetto purtroppo è la qualità dell’asfalto – resta una palestra perfetta per chi ‘odia’ la pianura e ‘ama’ invece faticare. In 80 kilometri si possono infatti registrare tranquillamente fra i 1.500 e i 2mila metri di dislivello. Non
a caso, su queste strade, si corre una delle corse più dure per le categorie giovanili: la Freccia dei Vini, caratterizzata dall’infernale muro di Donelasco, vinta in passato da futuri campioni come Giovanni Battaglin ed Emanuele Bombini.
L’Oltrepò, insomma, è una culla, non solo per le promesse del ciclismo di domani, ma per tutti coloro i quali vogliono prepararsi alle grandi salite alpine. Oltre ad essere un rifugio di silenzio, pace
Quasi trent’anni sulle panchine di mezza Italia più Monaco e Swansea per 872 partite da allenatore. Francesco Guidolin è uno dei più grandi italiani degli ultimi decenni nel calcio. Nato a Castelfranco Veneto nutre un amore profondo per il ciclismo, che ha sempre seguito e praticato, con divertimento ed entusiasmo.
Quando nasce la passione per la bici? Essendo nato in Veneto, regione che ha una radicata tradizione di ciclisti, il mio rapporto con il ciclismo è stato quasi naturale. Mio padre era appassionato, scendevamo sulla strada per vedere il passaggio del Giro, che guardavo sempre in tv. La passione per il calcio e il ciclismo sono nate e cresciute in parallelo.
Conciliare la pratica amatoriale con il ruolo di allenatore è possibile?
Io ho iniziato a pedalare a 30 anni, appena smesso di giocare. Quando allenavo, sia i ragazzini sia le squadre di professionisti, ho sempre cercato di ritagliarmi tempo per pedalare. Mi faceva bene a livello mentale perché il calcio, soprattutto nel ruolo di allenatore, assorbe tantissime energie a livello psicologico. In bici mi sono venute in mente tante idee da portare nello spogliatoio e sul campo.
Si dice tu sia un ‘esperto’ del monte Zoncolan, una salita tremenda.
È la salita più dura che abbia mai fatto. Non ci sono dubbi. I sei chilometri centrali sono micidiali: non c’è un attimo di respiro e la pendenza media credo sia attorno al 14%.
Un cicloamatore deve essere allenato per farlo, avere i rapporti giusti, diciamo un 34x32, essere al top della propria condizione.
Solo a quel punto puoi affrontare il Kaiser
Calcio e ciclismo si possono paragonare?
Poche similitudini dal punto di vista tecnico.
A livello agonistico non puoi giocare una partita ogni giorno, mentre puoi pedalare tutti i giorni come insegnano i grandi giri. Sono simili però per quanto riguarda la gestione del gruppo. Facessi il direttore sportivo di una squadra di ciclismo applicherei l’intero bagaglio di esperienze sviluppate nel calcio, dove mi sono dovuto interfacciare con calciatori sempre diversi tra loro.
Il ciclismo è sport di squadra o individuale?
Nel ciclismo la squadra è importante, ma non so quanto sia determinante. Prendiamo un grande giro di tre settimane: il corridore più in forma può cavarsela da solo, come è accaduto all’ultimo Tour de France con Pogacar. Però ci sono team come la Sky-Ineos che ci hanno insegnato quanto sia cruciale la tattica di gruppo. Anche se il singolo può sempre avere il colpo di genio e fare la differenza. Come nel calcio.
/Francesco Guidolin quando nel 2016 ha allenato lo Swansea in Premier League/ Inquadra il QR Code per vedere la puntata de Le storie di BIKE con ospite Francesco GuidolinDalla bmx alla mountain bike elettrica, la bicicletta è una costante nella vita di Marco Macio Melandri. Il pilota ravennate classe ‘82, più giovane campione nella classe 250 del Motomondiale nel 2002, ha battagliato e vinto gare per oltre vent’anni, lottando contro mostri sacri del motociclismo come Valentino Rossi in MotoGp e Jonathan Rea in Superbike, salendo per 44 volte in carriera sul gradino più alto del podio. I primi successi, però, pochi lo sanno, sono arrivati in sella proprio alla bmx con cui, ancora bambino e prima di passare alle minimoto, vinse una gara di Coppa del Mondo. Non solo, come ha raccontato al Salotto di Greg&Magro: “Feci secondo all’Europeo in Svizzera e anche in Austria ero in testa ma sono caduto. Avrei dovuto disputare i Mondiali in Brasile ma la federazione non mi pagava il viaggio e io non avevo i soldi per andarci “. Romagnolo doc, Melandri oggi vive in Trentino con la compagna Manuela e la figlia Martina. Era amico del suo omonimo Pantani: “L’ho conosciuto prima che
vincesse il Giro, ricordo che gli piaceva divertirsi, ma quando c’era da fare sul serio...”. La carriera poi ha allontanato Marco dalla bicicletta fino a che nel 2003 l’ha ripresa in mano dopo un infortunio. Oggi, che ha appeso casco e stivali al chiodo, Melandri è appassionato biker, segue le corse in tv (“ho quasi pianto vedendo cosa ha fatto Tadej Pogacar all’ultimo Tour”), ama soprattutto le classiche (“mi trasmettono più adrenalina dei grandi giri”) e pedala. Sia in strada sia in sella alla e-mtb di cui è diventato testimonial disputando gare di cross-country ed enduro.
MARCO MELANDRI HA DATO BATTAGLIA E VINTO SULLE PISTE DI MOTOMONDIALE E SUPERBIKE. TUTTO PERÒ È INIZIATO IN SELLA A UNA BMX. E CON UNA E-MTB SI CHIUDE IL CERCHIO/©Foto @MarcoMelan- Marco Melandri e Jury Chechi sono stati due tra i primi ospiti del Salotto di Greg&Magro, il nuovo format BIKE condotto da Luca Gregorio e Riccardo Magrini. Un salotto accogliente, ricco di umanità e cultura del pedale, dove gli amici delle due ruote possono sentirsi a casa per aprirsi e raccontare la loro passione per la bicicletta e non solo. Con Greg&Magro infatti si può parlare di tutto. Inquadra il QR Code in pagina per rivedere la puntata del Salotto di Greg&Magro con ospite Macio Melandri. NEL SALOTTO DI GREGORIO E MAGRINI
JURY CHECHI, GINNASTA ORO OLIMPICO
AD ATLANTA 1996 E GRANDE APPASSIONATO
DI BICI, HA UN SOGNO NEL CASSETTO: ATTRAVERSARE LA FORESTA DI ARENBERG
IN BELGIO, DOVE SI DECIDE LA PARIGI-ROUBAIX
Cinque ori mondiali, quattro europei e due medaglie olimpiche, l’oro ad Atlanta 1996 e il bronzo ad Atene 2004. Jury Chechi è il Signore degli anelli, ma con la passione della bici. Riscoperta appena terminata la carriera, oggi Chechi partecipa anche alle più rinomate granfondo, dalla NoveColli alla Maratona dles Dolomites.
Come nasce questa passione?
Quando ero bambino me l’ha trasmessa mio padre. Mi parlava sempre di Coppi e così sono diventato un ‘coppiano’, pur avendo immenso rispetto di Bartali. A sei anni mi mise in bici e cominciai a fare qualche garetta in circuito. Poi però mi sono dedicato all’atletica e la mia vita è cambiata. A nove anni in un tema scrissi che il mio obiettivo era vincere le Olimpiadi… e sapete tutti come è andata a finire.
Poi la bici quando è riapparsa?
Anche se non pedalavo più, non ho mai smesso di guardare le corse in tv. Poi, dopo un infortunio al ginocchio, i medici mi hanno consigliato di rimettermi in sella e pian piano ho ripreso. Terminata la carriera ho iniziato ad andare con più regolarità. Non chiedetemi, però, di uscire con il freddo o con il vento perché proprio non li sopporto. Per fortuna ci sono i rulli!
Cosa significa per te andare in bicicletta? È passione e sempre lo sarà. Non si trasformerà mai in un’ossessione, come capita a tanti che incontro alle granfondo. Uso la bici per vedere posti e territori che non ho mai visto, per godermi il
panorama e vivere emozioni uniche. Un esempio? Alla granfondo Pinarello pedalai a lungo a fianco di Miguel Indurain, parlando per tutto il tempo di sport e vita. Uno dei più grandi corridori di sempre! È così che voglio vivere la bici.
Come ti spieghi il boom che sta avendo?
Il ciclismo è lo sport per eccellenza in cui si abbattono barriere e classi sociali. La fatica fatta insieme accomuna, che tu sia un grande manager o un semplice operaio. Da questo nasce la facilità di condivisione e la magia di una disciplina che sta attraendo sempre più praticanti.
Come ciclista che caratteristiche hai?
Non sono uno scalatore, vado piano in pianura e non ho spunto in velocità. Quindi non saprei bene come descrivermi! Per caratteristiche fisiche amo le salite brevi e non quelle troppo lunghe. Mi alleno spesso sul San Baronto vicino a Montecatini e Pistoia, però amo anche le salite mitiche. Se dovessi sceglierne una direi lo Stelvio, perché racconta tanto mentre lo scali e quando arrivi in cima ti senti molto ‘figo’.
Dove ti piacerebbe andare in bicicletta?
Qualche giorno tra Francia e Belgio a provare i percorsi delle Classiche del Nord. Mi affascina la Parigi-Roubaix e l’iconico passaggio nella Foresta di Arenberg.
Inquadra il QR Code per rivedere su BIKE la puntata con Jury Chechi ospite del Salotto di Greg&MagroVIAGGIO ALLA SCOPERTA DEGLI ITINERARI CICLOTURISTICI PIÙ AFFASCINANTI DELL’UMBRIA, TRA AMENE STRADINE ALL’OMBRA DI ULIVI E CIPRESSI, BORGHI MEDIEVALI IMMERSI NEI BOSCHI E ARDUI CIRCUITI IN COLLINA
Di verde ce n’è tantissimo. Senza rinunciare ai borghi antichi né tantomeno all’arte e alla cultura. Pedalare in Umbria è un susseguirsi di emozioni che fanno bene all’anima, prima ancora che alle gambe. Nel cuore dell’Italia, il fascino storico e naturalistico di questa regione è infatti ancora oggi fonte di ispirazione continua. Ma soprattutto ci troviamo in una terra accessibile a chiunque, con percorsi adatti tanto ai super esperti o quasi fanatici quanto agli amanti occasionali della bicicletta e ai suoi amici quotidiani, sia che la pratichino come attività sportiva sia cicloturistica. Con paesaggi davvero unici che si estendono dalle pianeggianti ciclovie alle bellissime colline, ricche di pinete e boschi, salite e discese.
Il ventaglio di itinerari tra cui scegliere è ampio. Si può, per esempio, andare da Città di Castello a Perugia, attraversando la Valtiberina, lungo il corso del fiume Tevere. Oppure si può percorrere la strada che da Assisi porta a Spoleto, una delle più belle e bike-friendly d’Italia, già destinataria di riconoscimenti quali l’Italian Green Road. Altrettanto bello e meritevole di essere raggiunto in bicicletta è il lago Trasimeno, lo specchio d’acqua che rappresenta uno dei gioielli più preziosi dell’intera provincia di Perugia, meta ideale per gli amanti delle vacanze ‘slow’.
Prima di scoprire dove e come dare sfogo all’adrenalina, alla forza e al divertimento, vale forse la pena spendere ancora qualche parola per chi sogna di pedalare lungo le strade dell’Umbria in tutta serenità, lasciandosi sedurre da panorami incantevoli, da fotografare e incorniciare. Già, perché gli scenari che si incontrano sono tantissimi: colline sinuose disegnate da ulivi, pini e cipressi, campi curati con amore dai contadini locali, casali lavorati in pietra, legno e mattoni, i castelli e le mura medioevali che ti riportano indietro nel tempo, gli isolotti, i vicoli e gli scorci nei centri storici. E tanta natura, specie quando si superano i 600 metri di altitudine: antiche faggete, speroni, crateri e torrenti per immergersi in un contesto più selvaggio e a prova di ruota, dal Subasio al monte Cucco.
Come detto, tra i diversi percorsi che si incontrano in Umbria ce ne sono di adatti ad ogni tipologia di ciclista, dal più tecnico al cicloamatore e persino alle famiglie. Non resta che scegliere se optare per una pedalata delle più audaci oppure lasciarsi cullare dolcemente a bordo di un’e-bike a noleggio. Per chi ama l’avventura ideale è invece inforcare una gravel o una mtb con sospensioni
full ed escursione media. Del resto sono tante le associazioni di cicloturismo e i portali che segnalano possibili itinerari. Si va dal portale di promozione della Regione (umbriatourism.it) ai diversi altri nati con il supporto di programmi di sviluppo regionali e che godono del patrocinio di enti ed istituzioni, locali e non solo (per esempio umbriabike.eu).
Il turismo locale legato alla bicicletta vive anche e soprattutto dell’impegno di chi ogni giorno scopre e traccia nuovi sentieri e li rende scaricabili sul web in formato gpx o pdf, anche sfruttando l’ampio spettro di innovative applicazioni che rendono quest’opera preziosa di fatto partecipata e condivisa. Come Ugo Meniconi, istruttore federale Csi di mountain bike, che nella vita di ogni giorno fa il geometra di professione, ma è grande appassionato delle due ruote, tanto da aver dato vita al sito mtbfoligno.com.
Meniconi da anni gira l’Europa in bicicletta, eppure, come ha confidato a BIKE, i sentieri della sua Umbria non smettono mai di stupirlo. Tra i suoi giri preferiti c’è quello di Sassovivo: “É corto, ma ha dei panorami straordinari. Per me è il paradiso”, dice. Alcuni scorci del territorio di Foligno, secondo Meniconi, somigliano a quelli che si incontrano sull’isola d’Elba, stretti e circondati dalla natura più incontaminata. “Qui tutto è completamente diverso da ciò che si può trovare nel Nord Italia – prosegue – i nostri sentieri sono un tracciato da enduro, le piante sono vicinissime. Infatti, bisogna essere allenati e prestare sempre molta attenzione”.
Tra i più impegnativi c’è un percorso che collega tutte le vette intorno a Foligno, 105 km in mountain bike con un dislivello complessivo di 3.800 metri che non è caso è stato definito The king’s bet, la scommessa del re: “Io non l’ho mai finito in una sola giornata. È qualcosa che ti lascia il segno”.
Ai lettori di BIKE, però, Meniconi consiglia un itinerario meno conosciuto per toccare i luoghi della resistenza dell’appennino folignate, come Sant’Eraclio, Cancellara, Roviglieto, Cupoli. Con una vista a sud sulla valle umbra, a monte della via Francigena di San Francesco e vicini il bosco di Macchia di Lisetto e alla pineta di Pian delle Quaglie. Qui vicino sorge anche Rasiglia, una delle frazioni montane più affascinanti di Foligno, il borgo dei ruscelli capace di dare vita a un tour delle meraviglie dove l’acqua è energia.
Dopo le curve senza sponda e quelle senza appoggio, dopo i suggerimenti per sterzare sul bagnato, BIKE e Scuolamtb.it vi portano alla scoperta delle curve in contropendenza, forse uno dei gesti tecnici più difficili da eseguire, ma certo non raro da dover mettere in pratica. Sia quando si pedala con una mountainbike sia quando, con altro tipo di bicicletta, si percorre una discesa che costringe a un cambio di direzione su di una superficie inclinata. Una situazione in cui fare la cosa giusta non è affatto banale perché il movimento è contro-intuitivo.
Come nelle curve in piano, anche in quelle in contropendenza, è necessario adottare la posizione asimmetrica dei piedi e delle pedivelle. Vale a dire: il piede esterno alla curva (destro nelle curve a sinistra e viceversa), deve supportare il peso del biker ed essere abbassato. Di conseguenza il piede interno al raggio di curva sarà più alto. Si approccia la curva con la giusta velocità e gli indici delle mani ben saldi sui freni. Lo sguardo rivolto in avanti rispetto alla curva. La testa indica la direzione, le spalle la seguono così come i fianchi. Il peso è interamente sul pedale esterno alla curva e la bicicletta inclinata internamente con il telaio staccato dalla coscia esterna e il corpo non
coassiale al mezzo. Le spalle restano abbassate sul manubrio e il bacino, ben alto e mai arretrato, funge da ‘cerniera’ tra busto, flesso in avanti, e la parte bassa del corpo, cioè le gambe. Lo sguardo anticipa costantemente la traiettoria e, nel punto di massima pendenza, è rivolto già all’uscita della curva. Questa posizione non è facile da imparare, poiché, come detto, è contro-intuitiva. Lo spirito di conservazione spingerebbe a fare l’esatto contrario. Nelle curve in contropendenza, invece, la bicicletta e il biker sono in contrapposizione ed è proprio per questo motivo che le gomme restano incollate al terreno come se si stesse procedendo sul dritto in piano.
Trattandosi di una manovra non semplice è sempre meglio provarla prima su terreni facili e senza ostacoli. Senza escludere nemmeno l’ipotesi di frequentare un corso nel quale mettere in atto progressioni didattiche per costruire questa abilità tecnica. Un conto, infatti, è pedalare per fare solo chilometri da turista, ben altro è pilotare un mezzo in discesa. Per migliorare, come in tutte le discipline sportive, ci vuole tempo, costanza nell’allenarsi e soprattutto un buon istruttore che conosca le metodologie di insegnamento e allenamento tecnico.
È PROBABILMENTE IL PIÙ COMUNE TRA GLI IMPREVISTI MA NON DEVE SPAVENTARE PERCHÉ SI RISOLVE FACILMENTE PURCHÈ SI ABBIA LA GIUSTA DOTAZIONE A PORTATA DI MANO
Uno degli inconvenienti più comuni in cui capita di imbattersi con la bicicletta è la foratura. Fortunatamente però è uno dei più facilmente risolvibili, se solo si è attrezzati adeguatamente. In commer cio esistono un’infinità di kit che, in poco spazio, contengono il necessario per effettuare la riparazione: mastice, toppa e carta vetrata, estrattori e pompa o bomboletta d’aria compressa.
Non è una manovra complicata. Prima di intervenire occorre accertarsi se la bicicletta è dotata di camera d’aria o copertoni tubeless. Elementi comuni alle due tipologie di interventi sono: l’utilizzo di estrattori, dispositivi che facilitano la rimozione della gomma dal cerchio, e il ricorso alla pompa o bomboletta d’aria compressa (indispensabile per i copertoni da 29 pollici delle moutain bike), con relativo raccordo adatto alla tipologia di valvola.
La prima operazione da svolgere è lo sgancio della ruota. Oggi molte bici adottano lo sgancio rapido ma, nel caso le ruote siano bloccate con i dadi, occorre avere con sé una chiave adatta. Una volta rimossa la ruota, a meno che la gomma sia già completamente a terra, bisogna sgonfiarla dall’aria residua, quindi inserire un estrattore tra la gomma e il cerchio sfilandola. In caso di camera d’aria occorre rimuovere la rondella che fissa la valvola per estrarla completamente.
A questo punto ci si trova di fronte a un bivio. Riparare la camera d’aria oppure sostituirla? Più veloce la seconda ipotesi, utile specie quando si fora uno pneumatico tubeless. Per sostituire la camera d’aria bisogna avere con sé una nuova camera d’aria della misura corretta. In caso di riparazione, invece, occorre gonfiare la camera d’aria individuando la perdita, quindi strofinare in corrispondenza del foro utilizzando la carta vetrata presente nel kit e applicare un velo di mastice a presa rapida.
Poi, quando il mastice è asciugato, applicare la toppa premendo con forza, specialmente sui bordi. Quindi rimuovere la pellicola e verificate che la toppa sia ben attaccata. Prima di procedere al nuovo inserimento della camera d’aria, gonfiatela leggermente.
Posizionate la valvola nel foro con la rondella, ma senza stringerla ancora, e provvedete al completo inserimento all’interno del copertone. Non resta che inserire nuovamente il copertone sul cerchio, aiutandosi con gli estrattori. Una volta completata l’operazione si può procedere al gonfiaggio e serraggio della rondella. Rimontando la ruota e fissatendola.
Anche chi monta copertoni tubeless può scegliere tra sostituzione oppure ripazione. Il tipo di riparazione dipende dal foro. In caso di viti o chiodi il sistema più immediato sono i vermicelli. Si infila la strisciolina di gomma su un’apposita forchettina, quindi lo si spinge all’interno del foro estraendo la forchettina. Il vermicello riempie il foro e permette il gonfiaggio della gomma (ricordate di accorciare la parte eccedente). La seconda soluzione, più efficace, è la toppa. Il funzionamento è analogo alla camera d’aria.
Terzo e ultimo sistema, specie per tagli in prossimità del tallone della gomma, è la colla a presa rapida. Dopo aver smontato la gomma e aver individuato la foratura, bisogna pulire l’area con la carta vetrata e applicare la colla sul taglio. Attendendo la completa asciugatura, quindi rimontare. Ulteriore soluzione è costituita dalle bombolette gonfia e ripara. Sono come quelle delle automobili e permettono, se non altro, di fare ritorno a casa. Una volta rientrati sarà possibiloe provvedere alla riparazione o alla sostituzione. Il consiglio è quello di effettuare sempre un controllo prima dell’uscita successiva.
QUELLA DI FIAB ROMA RUOTALIBERA È SOLO L’ULTIMA
DI UNA SERIE DI INIZIATIVE CHE SI SONO MOLTIPLICATE DURANTE LA PANDEMIA: CORSI ONLINE PER LA MANUTENZIONE AUTODIDATTA DELLA BICICLETTA. PREZIOSO STRUMENTO PER IMPARARE L’ABC DELLA MECCANICA
Con il protrarsi della pandemia l’officina ha aperto direttamente nel garage di casa. Nel multiforme universo digitale, dove i contenuti sono lievitati sotto la spinta del coronavirus, si sono moltiplicati, sulle più note piattaforme di condivisione video e conferenze, i webinar per apprendere l’arte della manutenzione autodidatta della bicicletta. Un argomento, un gruppo di esperti, un pubblico e, ovviamente, un mezzo a pedali da riparare. Tra chi ha colto la ghiotta occasione c’è l’associazione ambientalista Fiab Roma Ruotalibera, con una serie di incontri a distanza per aiutare la cultura delle due ruote a continuare a circolare.
Progettare il trasferimento online di un’intera ciclofficina è una gran bella sfida, che non ha spaventato, però, la Federazione italiana ambiente e bicicletta (Fiab). Non sono gli unici, va detto. Eppure la loro iniziativa ha lasciato un segno. Tra quanti hanno deciso di cimentarsi con essa, insieme all’associazione romana Ruotalibera del presidente Roberto Cavallini e del suo vice Luigi Menna, ci sono Claudio Mancini, ideatore del Gran tour del Lazio nonché vicepresidente dell’associazione Salvaiciclisti, Roberto Mieli, responsabile della ciclofficina Macchia Rossa – il luogo dove fisicamente si sono tenute le sessioni – e Marina Testa, presidente di Fiab Frosinone. Un’iniziativa frutto della collaborazione di esperti e diverse realtà associative.
Ogni seminario digitale è stato introdotto da un video illustrativo di dieci minuti. Bulloni e chiavi in-
glesi hanno fatto spazio a microfoni e telecamere. Tutto verso un unico e grande obiettivo: continuare a supportare il cicloturista e chi sceglie la bici per muoversi in città. Anche di fronte all’imprevisto. Un’operazione pensata per fare seriamente ciclofficina online. Gli appuntamenti mensili sono stati dedicati a differenti tematiche utili a conoscere le attrezzature da portare con sé quando si pedala o a capire quali sono le riparazioni necessarie per arrivare la sera in albergo o rientrare a casa dopo il lavoro superando piccoli ma possibili incidenti. Oppure, se il danno è grave, a capire come cavarsela per riuscire a raggiungere un’officina vera e propria.
Dal più gettonato webinar dedicato alla riparazione e sostituzione della camera d’aria a come aggiustare la catena, passando anche attraverso i consigli per il ‘bike to work’, con tutte le informazioni e i percorsi ideali per andare al lavoro in sicurezza. Non è mancato un affondo sulle domande da rivolgere al bike manager per chi avesse la fortuna di averne uno in azienda. Non corsi professionalizzanti, attenzione, ma contenuti tagliati sulle esigenze del ciclista di ogni giorno o del cicloturista e cicloamatore. Con tematiche alla portata di tutti e la possibilità di interagire con i tutor, confrontandosi, gratuitamente sulle domande emerse e sulle problematiche più comuni. Il singolo webinar, registrato e diffuso su Facebook e sul sito di Fiab Roma Ruotalibera, è rimasto online per essere nuovamente consultato come qualsiasi documentario. Un’ora e mezza molto utile.
Tra i diversi ambiti in cui la pandemia ha giocato un ruolo da acceleratore dell’inno vazione rientra, senza dubbio, il cicloturismo. Sempre più realtà, associazioni e anche semplici appassionati hanno infatti iniziato a ricorrere alla tecnologia per non rinun ciare al piacere dell’escursione su due ruote. Sperimentando soluzioni in grado di arricchire l’esperienza, nell’attesa di quando si potrà, finalemente, tornare a pedalare per le strade in totale libertà. A conferma di una vitalità che non si è spenta nemme no durante il più duro lockdown. Come nel caso delle dieci startup che hanno vinto la sfida di FactorYmpresa Turismo, il programma promosso dal Mibact e gestito da Invitalia. Ecco quali sono, in ordine alfabetico, e di cosa si occupano.
Tracciare itinerari, percorrerli in sella alla propria bi cicletta, scattare foto e condividerle. È l’esperienza proposta da Bikeness, l’applicazione che consente di creare percorsi personalizzati, oppure scoprire quelli ideati da altri utenti, grazie alla community, fissando i momenti più belli con una foto. Un’app che si propone di valorizzare le bellezze del territorio italiano, soprat tutto l’offerta bike friendly dagli hotel ai ristoranti, non appena sarà possibile tornare a fruire di simili servizi.
/Cicloturisti pedalano tra Bibbona e Bolgheri, Toscana/
Startup innovativa a vocazione sociale, Bikesquare vuole sviluppare il turismo in Italia con bici elettriche. Partendo dalla ciclovia tirrenica della quale sono se gnalati punti di noleggio, dalla Liguria alla Toscana, e al tri servizi, che saranno sviluppati in collaborazione con gli enti locali, dedicati alla conoscenza del territorio ‘like a local’. BikeSquare cerca imprenditori per diffondere l’uso del cicloturismo elettrico in tutta Italia.
A una stazione di servizio per cicloturisti non aveva pensato ancora nessuno. Lo ha fatto EcoBike Station, la smart station made in Puglia, che racchiude, in un unico punto: ricarica per le due ruote a pedalata assi stita; locker per i bagagli e centro per piccole riparazio ni e lavaggio della bicicletta. Da sei a ventiquattro sono i posti disponibili nelle diverse configurazioni, con tanto di touch screen per prenotare hotel o altri servizi. Il tut to alimentato da energia prodotta con pannelli solari. Le prime stazioni ad Alberolbello e Ostuni già nel 2021. Altre sette in programma per il 2022.
Moove è una pista ciclabile che si può ‘spalmare’ sull’a sfalto. Ideata dalla startup Revo è come un grande Lego: moduli prefabbricati realizzati di plastica e gom ma riciclata. La pista è anche ‘intelligente’: dotata di sensori che raccolgono informazioni sulle condizioni climatiche, il traffico, lo stato di usura. Sono previste luci a led integrate che si adattano alle condizioni di luminosità e si spengono quando non transita nessun ciclista. Semplice da installare, Moove ha attirato l’at tenzione di diversi Comuni italiani perché non richiede opere di scavo.
L’idea nasce nel marzo 2020, in pieno lockdown: Ga briele Mirra, imprenditore del settore, propone a En gagigo, proprietaria della community digitale per sport endurance denominata Endu, di creare una soluzione per pedalare virtualmente attraverso l’Italia. ‘Neveren ding ciclying’ è lo slogan di Pedalitaly, che promette, grazie a una potente piattaforma di cycling virtual re ality, pedalate per dodici mesi l’anno grazie ai cicloer gometri, i rulli intelligenti intelligente collegati al pc. Una storia italiana che su questo numero di BIKE vi raccon tiamo più approfonditamente a pagina 102.
Come far muovere le persone che per le più svaria te ragioni hanno difficoltà a farlo? Con la bicicletta. È l’idea da cui nasce nel 2019 la startup Remoove, che progetta e propone percorsi di cicloturismo per tutti, compresi i più fragili, dagli anziani alle persone con di sabilità. E lo fa anche ri-progettando biciclette, trici clette e cargo-bike. La startup non si è fermata per la pandemia e ha sviluppato con le amministrazioni locali diversi Remoove test center nel Nord-Est del Paese.
Il progetto Smart Cycling prevede lo sviluppo di un si stema di bike sharing turistico: un’app per sistemi iOS e Android per gestire noleggio e pagamento, ideata per chi non ha in programma lunghi percorsi ma vorreb be semplicemente usare la bici per esplorare i paraggi di una località di vacanza. La condivisione è possibile grazie ad un lucchetto smart, alimentato da un piccolo pannello fotovoltaico, che permette di sbloccare la bi cicletta dalla stazione.
Stop&Charge di Shelter è una stazione di ricarica ad energia solare da installare lungo le piste ciclabili oppu re vicino alle aree di ristoro e ai punti di interesse ar tistico o ambientale. Una proposta della startup Shel ter che ha realizzato una panchina con pensilina dove il cicloturista può fermarsi e ricaricare gratuitamente la batteria. Chi paga? L’amministrazione locale o uno sponsor. La stazione accoglie fino a quattro bici e ulti ma la ricarica in circa 30 minuti.
Fondata nel 2016 Whip, che vuol dire frusta, ha lan ciato nel 2018 un social network per chi ama gli sport all’aperto, a partire dalla mountain bike. Propone al cicloturista i migliori percorsi in base alla difficoltà, al tipo di bici, ai punti interesse, alla presenza di hotel e ristoranti. Ma è anche possibile creare percorsi da zero e condividerli con la community.
Nata dall’esperienza di un gruppo che dal 2014 orga nizza eventi in bici, come la Bike Night, Witoor Go ne è in qualche modo l’evoluzione hi-tech: una piattaforma di servizi sia digitali sia fisici per creare una connes sione semplice, immediata e sostenibile tra chi offre prodotti oppure servizio per cicloturisti e chi invece ne è alla ricerca.
Nelle città intelligenti, quelle dove è più diffuso il ricorso alle tecnologie digitali, ci si muove meglio e sulle due ruote. Lo abbiamo capito anche grazie alla pandemia, perché paradossalmente è proprio quando sei costretto a fermarti che ti rendi conto del valore della mobilità, in particolare di quella ‘smart’, un paradigma che prevede gli spostamenti da un punto A a un punto B nel modo più semplice, veloce e sostenibile possibile. Cosa che nella ‘vecchia’ normalità non sempre accadeva.
“Il lockdown prima e le zone colorate poi hanno portato alla luce elementi finora poco considerati quando si discute di mobilità, ma che in realtà impattano sempre più sulla vita delle città”, constata Gianni Dominici, direttore generale di Fpa che ogni anno stila l’iCity Rank, il rapporto sulle città più smart d’Italia. Nella classifica 2020, purtroppo, la mobilità non è tra gli indicatori selezionati, perché oggettivamente l’anno scorso c’era poco da regi-
strare. Ma proprio per questo motivo la ricerca, che ha preso in esame 107 comuni capoluogo in base a otto indicatori, fa emergere una tendenza molto interessante: “Nelle città più digitalizzate ci si muove meglio”, chiosa Dominici.
Molteplici e tutte da scoprire le ragioni per cui Firenze, Bologna e Milano conquistano, in quest’ordine, il podio. Chiudono la top ten Roma, Modena, Bergamo, Torino, Trento, Cagliari e Venezia. Laddove i servizi della pubblica amministrazione sono facilmente accessibili online, per esempio, c’è un motivo in meno per muoversi.
Ed è anche questo genere di innovazioni che contribuisce a ridurre il traffico e i suoi effetti negativi sull’ambiente. Oppure, dove ci sono semafori intelligenti e altro tipo di declinazioni dell’Internet delle cose (Iot) applicate alla mobilità urbana, in genere, si riscontra una migliore viabilità.
IOZZIANEL 2020 PANDEMIA, DISTANZIAMENTO E DOMANDA DI SICUREZZA HANNO FATTO SÌ CHE LE APP DI MOBILITÀ NEI COMUNI SIANO AUMENTATE PIÚ DEL 68% IN UN ANNO
L’indice di trasformazione digitale sulla base del quale è stata stilata la classifica 2020 è anche un buon indicatore per capire quali città gestiscono meglio il movimento delle persone e delle cose. Basta un solo dato per confermare la correlazione fra digitalizzazione e mobilità: nel 2020 le app di mobilità dei comuni sono aumentate del 68,5%. L’emergenza sanitaria e la correlata necessità di distanziamento hanno inoltre accresciuto il ricorso a sistemi hi-tech di monitoraggio che resteranno in futuro come eredità della pandemia per una più attenta gestione dei flussi di traffico.
“Indubbiamente il processo di trasformazione digitale delle città italiane e delle loro amministrazioni ha ricevuto un’accelerazione”,sottolinea ancora Dominici, che però fa notare: “Siamo ancora all’inizio di un percorso che ci porterà verso le responsive e adaptive city, quelle in grado di utilizzare le informazioni e i dati per gestire servizi a misura delle esigenze dei cittadini”. Anche nella mobilità.
“In che modo la pandemia ha cambiato il nostro modo di spostarci?”. È la domanda che si è posta nella nuova edizione del Global public transport report di Moovit, l’applicazione utilizzata da
800 milioni di utenti in 100 Paesi, che aiuta a pianificare i tragitti integrando in un unico punto d’accesso le differenti soluzioni di mobilità urbana, dall’autobus al taxi, dalla metropolitana ai monopattini in sharing.
Generale è la crisi dei mezzi pubblici, ma meno di quanto in un primo momento si potesse prevedere. Cresce la domanda di sicurezza, distanziamento e controllo. Parallelamente aumenta il ricorso alle biciclette, ai monopattini e agli scooter in sharing. La città dove la micromobilità condivisa ha avuto più successo è Torino, seguita da Venezia e Firenze. Poi, nell’ordine, Milano, Roma, Bologna, Napoli, Palermo e Genova. Una soluzione, quella della micromobilità leggera, che viene vista da tanti come una soluzione comoda, specie per tragitti brevi, sebbene non sempre sia conveniente.
CON IRENGO IL GRUPPO IREN SCOMMETTE SULLA E-MOBILITY E LO FA GRAZIE A PRODOTTI E SERVIZI MODULABILI COME: VEICOLI ELETTRICI, FLOTTE AZIENDALI E SERVIZI IN SHARING PER PRIVATI ED ENTI PUBBLICI
Il gruppo Iren si fa largo anche nel mondo della smart mobility con la sua linea di prodotto IrenGo. La multiutility italiana, infatti, ha sfruttato anche in questo campo la sua presenza sul territorio e stretto accordi con vari comuni tra Emilia Romagna, Liguria e Piemonte. Il gruppo guidato dall’amministratore delegato Massimiliano Bianco si occupa di mobilità elettrica in tutti i suoi aspetti: dalle e-car e la relativa rete di stazioni di ricarica, ai servizi di sharing con flotte di scooter e monopattini elettrici in collaborazione con Mimoto e Dott pensati per rendere green la mobilità urbana, fino ad arrivare alle biciclette elettriche.
In particolare, con i comuni è recente l’iniziativa Tandem. Bici in comune. Si tratta di un progetto realizzato da Iren in collaborazione con Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani, per premiare le proposte più innovative e capaci di incidere positivamente sulle abitudini dei cittadini, ma anche dei visitatori occasionali. Nell’ambito del progetto, la scorsa estate sono stati premiati cinquanta piccoli comuni, sotto i tremila abitanti, che si sono dimostrati virtuosi in fatto di economia circolare, sostenibilità ambientale e mobilità alternativa. Iren ha messo in palio per ogni comune vincitore due e-bike IrenGo per un totale di 100 e-bike.
La storia di IrenGo parte nella primavera del 2018 da Torino, quando il gruppo ha lanciato la sua nuova linea di business trasversale dedicata alla e-mobility. Da allora i servizi si sono costantemente arricchiti e IrenGo dispone oggi di un’offer-
ta per la mobilità elettrica capillare che si rivolge contemporaneamente a clienti privati, aziende ed enti pubblici.
Per il mondo retail l’intento dichiarato di IrenGo è rendere accessibili a tutti i prodotti di mobilità leggera green. Tra i prodotti che hanno riscosso un maggiore successo si possono citare l’ampia gamma di e-bike, divise in vari modelli per rispondere a ogni esigenza, in abbinamento alla sottoscrizione di un contratto di fornitura elettrica con sconto immediato e dilazione del pagamento in piccole rate. Le e-bike disponibili sono tutte prodotte da case di produzione italiane, come, per esempio, Nilox J5, ideata per gli spostamenti urbani e adatta anche a gite fuori porta.
Per il mondo aziende, invece, IrenGo ha proposto pacchetti personalizzati con prodotti e servizi modulabili. L’offerta è corredata dalla consulenza gratuita fino all’individuazione della migliore soluzione in tema di mobilità elettrica per società, alberghi, parcheggi o ristoranti. La gamma di prodotti prevede flotte aziendali, con un’offerta che va dagli scooter e dai monopattini elettrici, alle e-bike, senza dimenticare le colonnine di ricarica e le auto elettriche. Ed è anche possibile prevedere convenzioni dedicate ai dipendenti delle aziende partner interessate.
La stessa Iren ha puntato sulla mobilità a zero emissioni e in tal senso ha allargato il suo parco auto con una fornitura da Renault di 320 nuovi veicoli elettrici che diventeranno 540 già entro il 2023.
Per qualcuno lo sharing è già realtà. “I nostri sette milioni di utenti integrano quotidianamente la mobilità autostradale con quella urbana, muovendosi, tra l’altro, in bici, monopattino e scooter in condivisione”. Dal suo punto di osservazione privilegiato Pietro Cereda, chief consumer officer di Telepass, conferma la centralità della mobilità condivisa, soprattutto sulle due ruote, negli scenari che si stanno cominciando a delineare per il dopo pandemia.
L’evoluzione demografica, i cambiamenti climatici, la tendenza all’urbanizzazione con la creazione di regioni metropolitane, l’irrompere delle tecnologie. Sono fenomeni destinati a cambiare il modo di spostarsi, soprattutto in città. Dove il coronavirus ha imposto una battuta d’arresto che, però, non fermerà il cambiamento in atto nel settore dei trasporti. Secondo un’analisi del Politecnico di Milano, infatti, è proprio la shared mobility, la mobilità condivisa, il primo dei trend chiave per comprendere la direzione di sviluppo dei prossimi decenni. A cominciare dal bike sharing.
“Confermo il trend di crescita registrato dalla sharing mobility in Italia anche per il gruppo Telepass, che da tradizionale sistema di pagamento del pedaggio autostradale è ormai divenuto un vero e proprio ecosistema di servizi integrati di mobilità per la persona e il veicolo con cui essa sceglie di spostarsi”, spiega Cereda. Del resto, se anche al Nasdaq, il listino americano dei titoli tecnologici come Amazon, Apple e Google, entrano società di micromobilità come Helbiz, è perché il futuro nelle città sarà sempre più occupato dalla mobilità leggera, a partire dai veicoli in sharing fino a quelli che volano, anche se per questi ultimi, forse, bisognerà aspettare un po’ di tempo in più.
Il Far East fa da apripista e traccia la rotta da seguire, ma l’Europa, intanto, è già in movimento, con ritmi di crescita del bike sharing significativi: 250mila biciclette in condivisione a fine 2019, 33mila in Italia, di cui quasi il 20% elettrici, ricorda sempre il Politecnico di Milano. Anche la flotta di monopattini in condivisione è aumentata: in Europa sono circa 35mila, concentrati soprattutto in quattro città (Copenaghen, Vienna, Berlino e Parigi). “Credo che la flotta di biciclette, monopattini e scooter elettrici in sharing, che rappresenta già una realtà significativa in alcune grandi città europee, specialmente nel nord Europa continuerà a segnare una forte espansione nei prossimi anni anche in Italia”, chiosa il cco di Telepass.
Le due ruote avranno un ruolo importante per raggiungere gli obiettivi fissati dalla Strategia per la mobilità sostenibile e intelligente resa pubblica a fine 2020 dalla Commissione europea. Un piano che prevede, tra le altre cose, lo sviluppo della multimodalità connessa e automatizzata. Che cosa significa? Poter passare senza soluzione di continuità da un mezzo all’altro, da un treno a una bici, grazie alle app, all’intelligenza artificiale e all’uso dei dati. Telepass sta dimostrando che si può fare. “Telepass Pay, costituisce il punto di ingresso a un ecosistema di urban mobility, composto da oltre 25 servizi a disposizione dell’utente”, conclude Cereda. “Con pochi tap, che si tratti di bike sharing, taxi o trasporto pubblico, la fruizione è veloce, cashless e integrata”. Per muoversi più facilmente in città e in modo sempre più sostenibile.
CONFERMATO IL TREND IN CRESCITA DELLA SHARING MOBILITY. È ANCHE PER QUESTO MOTIVO CHE IL GRUPPO TELEPASS NON È PIÙ SOLTANTO UN SISTEMA DI PAGAMENTO DEL PEDAGGIO MA UN VERO E PROPRIO ECOSISTEMA PER CHI VUOLE SPOSTARSI IN MODO INTELLIGENTE E SEMPRE PIÙ SOSTENIBILE
GRAZIE A ROADLINK
E VITA INTERNATIONAL È RINATO A MONZA IL PONTE SUL LAMBRO DI VIA COLOMBO. CON DUE CICLOVIE PIÙ SICURE E L’ILLUMINAZIONE A LED DAL BASSO
Nel primo comune d’Italia ad avere avuto la luce elettrica, Monza, la città della celebre Monaca manzoniana e del Gran Premio di Formula 1, fa il suo debutto anche il primo ponte con barriere di sicurezza in legno lamellare illuminate a led dal basso. Se allora ad essere illuminata fu la Villa Reale, residenza estiva dei Savoia, quest’anno è toccato invece al nuovo ponte sul fiume Lambro in via Colombo, a due passi dal Duomo cittadino e dall’altro ponte più famoso, quello detto ‘dei Leoni’. Chiuso al traffico dal 2018 per verifiche strutturali che hanno porato alla scoperta di situazioni di reale pericolo e alla conseguente demolizione, il ponte di via Colombo è rinato a marzo come opera di una moderna maestranza, adeguandosi ai più innovativi standard tecnologici del settore.
Il progetto è stato curato dalla società di Seriate (Bg) P&P Consulting Engineers, che ha ritenuto di realizzare una struttura portante che si regge sulle spalle dell’antico ponte, con un impalcato realizzato in acciao Corten sormontato da un solaio in lastre prefabbricate e un asfalto ‘decorativo’ come pavimentazione. Più sicuro in caso di piena del fiume Lambro – evento non raro quando piove molto –, il nuovo ponte è suddiviso in due corsie ciclopedonali simmetriche ai due lati di un’unica corsia centrale riservata ai veicoli. A separare le ciclovie laterali dalla corsia percorsa dalle auto sorgono una coppia di barriere spartitraffico in legno lamellare e acciaio corten realizzate dalla bresciana Vita International.
La tecnologia scelta per illuminare le barriere è GuardLed di Roadlink, azienda che fa dell’innovazione e ricerca la sua cifra e nata in grembo proprio a Vita International. Due realtà entrambe guidate dal ceo Irina Mella Burlacu, la ‘Signora delle barriere’ come ritratta su Forbes Italia di febbraio, un connubio che ha permesso di illuminare la
strada in modo sostenibile a circa 40 centimetri da terra, risparmiando consumi grazie ai led e contribuendo a ridurre l’inquinamento luminoso. Fattore non certo irrilevante in una città abitabile e industriosa al tempo stesso come Monza nel suo centro storico.
Va dal 50 all’80% il risparmio energetico stimato dall’azienda con GuardLed, che però va sommato a quello ulteriore generato da una manutenzione meno dispendiosa di quella tradizionale a lampione. Di segno opposto è invece il guadagno che sognano i commercianti della zona, dopo che, pandemia permettendo, con il nuovo ponte, la viabilità è stata ripristinata. Ed è stato fatto in modo molto più sostenibile di prima, grazie all’unica corsia per automobili e alle due civlovie che consentono un migliore fluire del trafffico in entrambi i versi, specie quello pedonale e su due ruote. Anche di sera quando fa buio.
Roadlink, oltre all’Italia, è presente anche all’estero, come in Olanda, patria delle ciclabili, a conferma di una vocazione internazionale che consente, oltretutto, di arricchire il bagaglio di competenze e conoscenze con nuove idee ed esperienze all’avangurdia di cui il ponte sul Lambro è soltanto un esempio.
CON L’ILLUMINAZIONE DI GUARLED IL RISPARMIO ENERGETICO STIMATO VA DAL 50 ALL’80%, SENZA CONTARE I MINORI COSTI DI MANUTENZIONE
ALLA SCOPERTA DEI PARCHI DIVERTIMENTO DELLE RUOTE GRASSE: DA ECCENTRICA CURIOSITÀ PER UNA STRETTA CERCHIA DI APPASSIONATI A OCCASIONE DI BUSINESS PER I COMUNI ALPINI
Veri e propri parchi divertimento per appassionati di mountain bike, i bike park rappresentano un’im portante opportunità di business per le località montane. Luoghi dove fare il pieno di adrenalina in totale sicurezza, sorgono in corrispondenza di impianti sciistici e di risalita, contribuendo a mantenerli operativi anche durante la stagione estiva. Gli shapers, che sono gli specialisti che progettano e realizzano i percorsi, adattano il disegno in base alle caratteristiche morfologiche del terreno nonché al concept di pista che si intende realizzare. Valorizzando le specifiche proprietà del fondo, le curve e gli ostacoli che la natura offre. Integrandole, però, con le iconiche passerelle in legno north shore, sempre garantendo la sostenibilità ambientale nonché un’adeguata finitura estetica.
L’intervento dell’uomo, più o meno visibile a seconda del tracciato, determina l’aspetto del trail che può essere assolutamente naturale, con passarelle dalla larghezza molto contenuta, anche inferiore al metro, o più marcatamente artificiale con lunghi tratti in legno, salti e curve paraboliche di notevoli dimensioni. Il tipo di terreno, la pendenza e il materiale presente in loco contribuiscono a determinare la struttura di costi dell’opera. Si parte da 30 euro al metro per le passerelle base fino a 60 euro al metro per le cosiddette jump line, che possono superare i 200 euro al metro in caso di ricorso al north shore. Per finalizzare il progetto è essenziale il coinvolgi-
mento delle comunità locali. Centrale il ruolo degli enti pubblici, non soltanto nel rilasciare i permessi, ma anche perché spesso finanziano direttamente l’opera. Fondamentale poi è il sostegno dell’intera filiera economica, dalle professionalità e maestranze presenti sul territorio, che possono contribuire attivamente alla costruzione del bike park, fino ad alberghi, bar e ristoranti, noleggi bici e tutti quei servizi complementari, indispensabili per creare un ambiente ideale e accogliente per i biker.
Ad oggi, almeno in Italia, gli sponsor non rivestono ancora, purtroppo, un ruolo così importante nella creazione di un bike park. Nel mondo invece non mancano le best practice di riferimento, con aziende, come per esempio Walmart, che sono state protagoniste del finanziamento di progetti da decine di milioni di dollari per la creazione di reti, percorsi e strutture (pump track e dirt park) legati alle due ruote. Questo tipo di investimento può stravolgere positivamente l’economia di una località turistica. In Canada, Whistler è l’esempio più eclatante di come le due ruote possano cambiare l’economia di un paese. Il centro di 12mila abitanti all’inizio degli anni Ottanta decise di ampliare l’offerta turistica, allora limitata allo sci, con le bici. Oggi vanta oltre 300 chilometri di sterrati pubblici e, dei tre milioni di visitatori annuali, il 55% è mosso dai pedali.
In Italia sono tante le località montane che stanno puntando sulle bici. Precursore è stato il comprensorio Dolomiti Paganella. Nel 2008 i ragazzi di Danger Zone, negozio e team di downhill guidato da Ezio Cattani, hanno inviato agli enti i primi progetti per la creazione di un bike park. A Fai della Paganella (nelle foto), dopo l’organizzazione di alcune gare nel 2011, grazie alla concessione del Comune, è stato possibile aprire il bike park affittando gli impianti di risalita, normalmente chiusi nel periodo estivo. Nel 2015 la svolta, grazie all’apertura dell’Apt che è divenuta coordinatrice di un progetto condiviso con tutte le realtà locali. Oggi dei 30mila primi ingressi annui
il 15% sono rappresentati dagli amanti delle due ruote. Significa ben oltre 200mila passaggi con un impatto economico da quasi cinque milioni di euro. Il biker medio ha 40 anni, viaggia con amici soggiornando da uno a tre giorni e una spesa giornaliera di circa 200 euro. Oltre all’indotto economico è rilevante quello sociale. L’apertura degli impianti nel periodo estivo ha permesso infatti di dare continuità a quanti vivono e lavorano nel comparto turistico contribuendo a frenare l’esodo dai paesi alpini della zona. Tra gli altri bike park che si distinti in Italia ci sono Pila (Valle d’Aosta) e Livigno con il Mottolino e Carosello 3000.
OLTRE ALL’INDOTTO ECONOMICO È RILEVANTE QUELLO SOCIALE. L’APERTURA DEGLI IMPIANTI IN ESTATE HA CONTRIBUITO A FRENARE L’ESODO DALLE LOCALITÀ DI MONTAGNA
MILANO BIKE È LA BICICLETTA CHE NON SI RUBA. TELAIO CRUISER E SISTEMA ANTIFURTO INTEGRATO ALLA BASE DEL SUCCESSO DELL’AZIENDA FONDATA DALL’ARCHITETTO MATTEO DIEGO CALDIROLI
Sicure, eleganti e made in Italy sono le biciclette firmate Milano Bike, azienda fondata da Matteo Diego Caldiroli, cinquantenne ex architetto milanese con l’hobby del restauro, che si è innamorato delle due ruote a pedali quasi per gioco. Nel 2012 voleva accompagnare suo figlio a scuola in bici e così ha deciso di costruirsene una da sé nella cantina di casa, ordinando i pezzi online e assemblandoli di notte tra un progetto e l’altro. La sua fortuna è stata la scelta di un telaio cruiser, un po’ arrugginito, che ha trasformato in corten, forgiando un gioiello con forcelle cromate, sella in cuoio e doppio fanale. Una ‘fuoriserie’ che ci si aspetta di incontrare in Florida piuttosto che a Lambrate, ma che è piaciuta parecchio: in fondo alla via, infatti, ha inontrato il suo primo cliente. Cinquecento euro in tasca e via a costruirne subito un’altra. Il gioco si è ripetuto per trentasei volte con altrettanti telai arrugginiti, sempre acquistati dallo stesso rivenditore online, e che, una volta rimessi a nuovo, hanno tutti trovato acquirente. Quando una sua bici è stata scelta per premiare a Monza il campione del mondo di Formula 1 Kimi Raikkonen, Caldiroli ha rotto gli indugi, ha lasciato lo studio di architettura, dopo vent’anni di rassicurante esercizio della professione, per reinventarsi ‘biciclettaio’. Grazie anche al supporto di alcuni business angels e di sua moglie Daniela che non smette di ringraziare per aver sempre creduto in lui. Nel 2020 Milano Bike ha progettato e prodotto quattrocento bici, di cui la maggior parte elettrica, e dalla cantina di casa Caldiroli è passato a uno showroom da 150 metri quadri lungo i Navigli. Nel frattempo l’azienda ha saputo cavalcare il
mercato e rinnovarsi. È rimasto, infatti, l’iconico telaio cruiser come simbolo distintivo di una ricca gamma di modelli, elettrici e non solo. Ma soprattutto, è nata l’idea della bici che non si può rubare. Grazie a Frameblock, il sistema antifurto integrato al telaio come prolungamento della linea curva che dai pendenti posteriori disegna l’identità tipica delle bici firmate Milano Bike. Un brevetto italiano ed europeo riconosciuto dagli uffici competenti come innovazione industriale.
Ulteriore tratto distintivo di Milano Bike, per quanto riguarda la gamma elettrica, sono i motori Zehus posizionati all’interno del mozzo posteriore. Motori con il kers, che ha la funzione di autoricarica nella contropedalata, anche se ogni e-bike può essere collegata a una normale presa della corrente. Una chicca made in Italy realizzata da una start-up milanese. Quando il potenziale acquirente prova la bici, “la prima pedalata la facciamo fare a motore spento”, confida Caldiroli, sottolineando la maneggevolezza di esemplari il cui peso non supera i 15 chilogrammi. “È un modo per dimostrare come, quando termina l’autonomia, con una bici di Milano Bike sia comunque possibile pedalare agevolmente”.
Tra i modelli di una gamma che si è di recente arricchita di qualche novità sportiva spiccano i nomi della mountain bike Aosta, della fitness bike Rimini e della gravel Iseo. Tra le e-bike Gravellona, anch’essa dal look gravel, Ferrara, che si distingue per comodità e praticità, Urbino e Firenze che invece puntano su di uno stile classico ed elegante più marcatamente cittadino. Il prossimo obiettivo è tagliare il traguardo delle mille biciclcette costruite e vendute.
QUARANTACINQUE ANNI FA GIANPAOLO PARENTINI INIZIAVA
A CUCIRE MAGLIE SULLE SPALLE DEI CORRIDORI. UNA STORIA MADE IN TUSCANY CHE DALLA ‘FUCILATA’ DI GOODWOOD È GIUNTA FINO AL GRADINO PIÙ ALTO DEL PODIO OLIMPICO
Capanne è una cittadina in provincia di Pisa, in Toscana, una terra di ciclismo e di industrie vocate alla qualità. Qui Parentini Bike Wear progetta e realizza capi d’abbigliamento per appassionati e campioni delle due ruote. Quando Mads Pedersen, nel settembre 2019, ha alzato vittoriosamente le mani al cielo sul traguardo del Campionato del mondo di ciclismo su strada disputatosi nello Yorkshire, a salire con lui sul gradino più alto del podio sono stati anche gli indumenti di Parentini, in qualità di sponsor tecnico della nazionale danese. Ma per Gianpaolo Parentini – che dal 1976, insieme a sua moglie Federica Taddei, si è incamminato sulla strada che lo ha portato ad essere tra i produttori più accreditati di vestiario tecnico – non è stata la prima volta, lui che di successi e traguardi ne ha collezionati parecchi. Su tutti quelli firmati da Giuseppe Saronni quando, nel 1982, rigorosamente abbigliato made in Tuscany, ha trionfato al Mondiale di Goodwood e l’anno successivo al Giro d’Italia.
Parentini ha da poco festeggiato i 45 anni di attività, ma è “dal primo giorno di attività che ci dedichiamo con passione all’abbigliamento tecnico ciclistico”. Fondamentale per lui, confida a BIKE, è
stato “il supporto dei miei genitori e quello di mia moglie Federica, che all’epoca era ancora la mia fidanzata, così come quello di tutti i collaboratori che negli anni sono stati essenziali per l’affermazione delle nostre linee di prodotto. Dalle prime maglie in lana ricamata, innovando progressivamente materiali e realizzazioni, siamo giunti all’abbigliamento tecnico moderno”.
Tanti i campioni e le squadre professionistiche che, nel corso degli anni, hanno scelto Parentini. “È imprescindibile per un prodotto dimostrarsi all’altezza di chi lo dovrà indossare”, sentenzia il fondatore. “La costante attenzione alla qualità nonché all’efficacia dei capi che produciamo ci hanno permesso di instaurare, tra le diverse collaborazioni, anche quella, ormai ultraventennale, con la federazione ciclistica danese”. Un rapporto che oggi “oltrepassa la mera fornitura di abbigliamento, e che ci ha permesso di crescere insieme, fino a conquistare titoli olimpici e iridati”. Il metallo più prezioso è arrivato ai Giochi di Londra 2012 nell’omnium con Lasse Norman Hansen, seguito, quattro anni più tardi dall’argento di Jakob Fuglsang a Rio, nella prova su strada, e dal bronzo nell’inseguimento a squadre.
di GIULIA FONTANELLILa sostenibilità per Parentini è un faro. “Quello nei confronti dell’ambiente”, puntualizza, “è un impegno crescente, che ci ha portato nel 2020 a innovare ancora una volta la produzione con filati provenienti da plastiche riciclate. Nel mondo del ciclismo siamo stati tra i primi a convincerci dell’importanza di percorrere tale strada”. Anche i capi della linea ‘green’, garantisce Parentini,
“rispecchiano, sul piano qualitativo, lo stessolivello di eccellenza, ma con una rinnovata eticità ambientale”.
Un’azienda ormai consolidata, quella di Gianpaolo, che, grazie al suo impegno e alla sua capacità di dimostrarsi al passo con i tempi, è riuscita ad esportare la qualità e il marchio dei suoi prodotti sui podi di tutto il mondo.
PER L’AZIENDA LA SOSTENIBILITÀ È IL FARO: UN IMPEGNO CRESCENTE CHE HA VISTO PARENTINI TRA I PRIMI A SCOMMETTERE SULLA PRODUZIONE DI FILATI DA PLASTICHE RICICLATE/Il trionfo di Mads Pedersen davanti al nostro Matteo Trentin/ /La maglia iridata di Giuseppe Saronni/ /Gianpaolo Parentini e l’azienda festeggiano i 45 anni di attività/ /Le maglie dei campioni prendono forma in laboratorio/
L’anno trascorso ha spinto ogni settore ad accelerare sulla digitalizzazione e a comprendere che un sapiente mix di reale e virtuale farà sempre più parte del nostro futuro. Così l’universo della bicicletta, che non può certo essere da meno, ha visto la nascita di una startup dedicata allo sviluppo del virtual e real cycling.
Partendo dal presupposto che l’attenzione esponenziale verso il mondo a pedali ha dovuto fare ancora i conti con limitazioni di movimento nazionali e internazionali, con continue incertezze e restrizioni in divenire, ecco che l’idea di Pedalitaly risulta già un’intuizione vincente. Obiettivo?
Far pedalare i ciclisti di tutto il mondo – anche se solo attraverso uno smart trainer e uno schermo – sulle più suggestive strade d’Italia: in Val Camonica, per stare in Lombardia, pedalando da Edolo al Passo del Tonale, oppure nella bellissima riviera ligure delle Cinque Terre; o ancora sul Monte Serra in Toscana, immersi fra affascinanti uliveti e fitti boschi, tra Pisa e Lucca. Per chi vuole osare di più è possibile cimentarsi anche nel virtual tour del Trentino per affrontare lo stesso percorso dell’ultima tappa del Giro d’Italia 2020 fino a Campiglio.
Un sogno che diviene realtà (o quasi) per molti appassionati e neofiti dei pedali.
“Il concetto di neverending cycling non vuole limitarsi a questo momento di chiusura forzata della stagione ciclistica a causa delle restrizioni imposte dai vari Dpcm”, dichiara Gabriele Mirra, co-fondatore con Endu del progetto Pedalitaly. Il ‘ciclismo che non smette mai di pedalare’ di cui Pedalitaly
si fa promotore vuole andare oltre e abbracciare tutte le situazioni che impediscono, in qualunque modo, la possibilità di uscire in bicicletta: il freddo polare, il caldo eccessivo, la lontananza dalle iconiche salite ciclistiche e la voglia di scoperta di nuovi territori. Il nostro obiettivo principale è portare l’Italia cicloturistica nel mondo”.
L’intento di Pedalitaly è proprio quello di promuovere un viaggio in bici attraverso le bellezze d’Italia pur restando nel salotto di casa propria, ovunque ci si trovi nel mondo. In questo modo la platea dei possibili fruitori diviene vastissima e internazionale e pone i riflettori sulla valorizzazione del territorio italiano.
La bontà dell’idea è stata confermata dal seguito che ha avuto La 6 Tappe, il primo circuito lanciato dalla startup. Una sorta di ‘mini-Giro’ con sei appuntamenti virtuali in cui i partecipanti si sono sfidati a pedalare sui rulli. La virtual challenge ha avuto il patrocinio dell’Agenzia nazionale del turismo (Enit) proprio per la sua valenza di promozione turistica in chiave decisamente innovativa.
Prima il Passo Pordoi, poi è stata la volta della Valpolicella e del Passo Giau con i suoi 2.236 metri, dove i concorrenti hanno percorso oltre 32 chilometri e 1.046 metri di dislivello alla scoperta delle Dolomiti bellunesi. L’ultima tappa nella domenica di Pasqua ha decretato il vincitore dell’edizione 2021 in base al miglior punteggio nella classifica generale. Pronti per provare?
DAL 10 AL 12 SETTEMBRE RITORNA L’ITALIAN BIKE FESTIVAL: ANTEPRIME ED EVENTI, TEST E PERFORMANCE PER RIMETTERE IL PUBBLICO AL CENTRO. LA NOVITÀ DEL ‘FUORISALONE’
Il 2020 ha segnato la svolta nella mobilità alternativa: attenzione all’ambiente, cura della persona e voglia di evasione hanno portato il settore a numeri da capogiro. In questo contesto l’Italian Bike Festival è divenuto il punto di riferimento del settore grazie a un evento unico in tutta Europa. Un’edizione coraggiosa che ha premiato i co-organizzatori, Francesco Ferrario e Fabrizio Ravasio. “L’edizione 2020 è andata bene grazie alla fiducia della regione Emilia Romagna, dell’Apt e del Comune di Rimini”, racconta Ferrario. “Un successo da condividere con le aziende che si sono messe a disposizione partecipando in massa”. Grazie a un’attenta attuazione dei protocolli e un rigido rispetto delle regole, non c’è stata alcuna coda di focolai dopo l’evento. Questo ha permesso alla kermesse riminese di aumentare ulteriormente la propria credibilità. Rispetto alle precedenti edizioni è stata necessaria la registrazione che ha permesso di raccogliere i dati dei visitatori. Uno sforzo organizzativo importante che le aziende hanno ripagato: al momento di andare in stampa gli organizzatori hanno avuto conferma da 170 espositori e già entro aprile stimano di chiudere la vendita di tutti gli slot disponibili. L’esperienza dello scorso anno e l’avvento dei vaccini permettono di ipotizzare una riuscita ancora migliore per il prossimo settembre, come conferma Ferrario: “Manteniamo la nostra filosofia con il pubblico al centro dell’evento. L’ingresso sarà gratuito e quest’anno, avendo più tempo per organizzarlo, proporremo ancora più possibilità di svago”. Stando alla voce della community dei biker e delle aziende del settore, il Bike Festival è oggi l’evento più importante per il mondo bici.
Una responsabilità che comporta un confronto continuo con le aziende, per incontrare le loro aspettative, e la ricerca del costante miglioramento per andare incontro alle necessità del pubblico. Compatibilmente con le normative vigenti, la kermesse riminese sarà ricca di eventi, come racconta Fabrizio Ravasio: “L’impostazione, seppur all’aperto, sarà molto fieristica con uno spirito da vero festival dove, oltre alla prova del prodotto, ci deve essere intrattenimento per tutti”. In programma 2021 la Malatestiana, cicloturistica che si snoda nell’entroterra riminese: “Aperta a tutti avrà un percorso segnalato con ristori e partenza libera”, prosegue Ravasio. “Si potrà partecipare con bici da strada, mtb e gravel, anche elettriche”. Il Team Polizia Milano, invece, già noto nel settore per altri importanti eventi come l’Ambrosiana, organizzerà la Dolcevita, “una ciclostorica che partirà da Torrepedrera, passando per Parco Fellini arriverà a Riccione per poi tornare indietro”.
Ma c’è di più. “Avremo appuntamenti in stile ‘fuorisalone’ con il Bike Festival cuore di una serie di iniziative che supportiamo, come la Cargo Bike Revolution”, anticipa Ravasio.
“Inoltre sabato pomeriggio è in programma una gara show all’interno dell’off road arena.
Per gli operatori del settore riprenderemo conferenze e workshop, probabilmente il giorno prima dell’apertura della manifestazione. Venerdì sera ci sarà un appuntamento leisure: un business cocktail per le aziende. Inoltre vorremmo avere un open party per tutti sabato sera. Show e performance con scatenati freestyler ma anche pumptrack e un’area con maestri a disposizione per avvicinare i più giovani alla bici”. Un festival da vivere tutto d’un fiato!
ANDREA RONCHICrescono attesa ed entusiasmo per la Coppa del mondo Uci di e-mountain bike, organizzata da Wes World e-bike series, che prende il via con l’appuntamento in programma tra principato di Monaco e Alpi Marittime il 24 e 25 aprile 2021.
BIKE è official media partner dell’evento, trasmesso sul canale 259 del digitale terrestre in Hbbtv, in diretta streaming e in modalità on-demand. Appuntamento con le gare dei migliori atleti al mondo nella disciplina del cross-country elettrico, ma anche con la quotidianità e il dietro le quinte direttamente dal mondo delle ruote grasse elettriche.
BIKE, in collaborazione con Wes (World E-bike Series) e l’Uci trasmetterà in diretta tutte le gare della rassegna elettrica mondiale (evento ufficiale del calendario Uci con la denominazione di E-Mountain Bike Xc World Cup), mettendo a disposizione degli appassionati una ricca offerta di contenuti multimediali e approfondimenti, a partire dal paddock di Peille (Francia). Di seguito calendario e date provvisorie dell’intera stagione: Monaco-Peille, 24 e 25 aprile; Bologna, Italia, 5 e 6 giugno; altra tappa italiana in località da stabilirsi il 12 e 13 giugno; tappa francese in località da stabilirsi il 17 e 18 luglio; Costa Brava, Spagna, il 24 e 25 Settembre con la Girona Sea Otter Europe; Barcellona, Spagna, il 16 e 17 Ottobre. L’evento previsto a maggio in Svizzera, ad Ascona-Locarno, è ancora in stand by, ma la nuova data verrà comunicata durante la stagione. Ma come si svolge un weekend di gara? Il round di Monaco, sotto l’egida dell’Uci e in collaborazione con la Société Monégasque de l’Electricité et
du Gaz e la Fédération Monégasque de Cyclisme (Fmc), vede coinvolti 21 team ufficiali, 3 medagliati olimpici, 50 atleti, 19 differenti costruttori e 4 pluri-campioni nazionali e internazionali, che gareggiano in differenti circuiti su più altitudini. Due gare per ogni appuntamento della Uci E-Mountain Bike XC World Cup che vedranno sfidarsi gli atleti Wes, poi coinvolti anche nella Ride Wes, una randonnée per amatori, dove pedaleranno al fianco degli appassionati iscritti. L’evento è fruibile su BIKE, che assicura una copertura totale, senza perdersi alcun momento della manifestazione, grazie al palinsesto interamente dedicato. Con ampi spazi per approfondimenti dalla cornice dell’evento e legati anche ai temi della smart mobility su due ruote.
Grazie all’acquisizione dei diritti della Coppa del mondo Wes World e-bike series, si rafforza il percorso che BFC Media ha scelto di intraprendere per raccontare i molteplici aspetti della rivoluzione della mobilità sostenibile. Un progetto, quello di BIKE, che abbraccia una pluralità di media: il magazine trimestrale allegato a Forbes Italia per un mese e poi in edicola autonomamente nei successivi due, il canale in onda sul 259 del dtt in Hbbtv e sul 60 dtt di Sport Italia e il sito bikechannel.it, dove è confluito il dominio di bikeplay.
tv.
La Coppa del mondo Uci di e-mtb, unica elettrica tra le discipline Uci, rappresenta la prova di maturità di un settore che, superata la fase d’avvio, è ormai un punto di riferimento rilevante delle nuove frontiere del lifestyle.
/Un momento di gara/ /Nathalie Schneitter in maglia di campionessa del mondo/ Guarda le dirette delle gare su Bikechannel.itDai salti con gli amici al Campionato mondiale di slopestyle (Fmb World Tour), la disciplina olimpica più tecnica ed estrema della mountain bike. È attorno a questa sfida che ruota la storia di Diego Caverzasi, ventisettenne varesino, punto di riferimento nel freeride. Amante delle sfide sin da piccolo, ha iniziato ad affacciarsi allo slopestyle a otto anni e non si è fermato. Prima gare locali, poi, a quindici anni, quelle nazionali e infine il World Tour.
“Capii di poter fare il ‘salto’ quando mi accorsi di essere al livello di corridori più grandi di me”, confida a BIKE Caverzasi. “La cosa divertente, però, è che quando nel 2011 partecipai per la prima volta al Bike Festival di Riva del Garda nemmeno sapevo che si conquistassero punti utili alla classifica generale e né tantomeno avrei potuto immaginare che avrei partecipato a gare in Svizzera, Austria e Francia. È stata una bella sorpresa”. Dopo i primi piazzamenti, come il trentesimo posto in classifica generale 2015 o la vittoria di una gara nel 2016, è a partire dalla stagione 2016/2017 che Diego intuisce che la sua passione può diventare una professione, quando conquista l’attenzione di diversi sponsor. “È stata la scintilla che ha dato il la alla mia carriera, sono passato da tredicesimo a sesto nel 2017, risultato replicato anche nel 2018, conquistando podi e partecipando a prestigiosi Invitational come Crankworx World Tour, Fise World Tour, Red Bull District Ride, Munich Mash e tanti altri”. Crankworx Rotorua 2018 in Nuova Zelanda è uno dei ricordi più belli per il campione varesino. Il pubblico letteralmente impazzì per lui dopo un ‘Twister’ che, ricorda sorridendo, “avevo provato pochissime volte prima e soltanto una persona al mondo aveva messo a segno”. La stagione successiva, la 2018/2019, preferirebbe dimenticarla.
“Ero terzo in classifica generale e lottavo per il titolo. Aspettavo solamente la finale”. Qualcosa però è andato storto. “Poco prima della gara, mi ruppi il legamento del pollice. Provai a gareggiare ma il dolore era troppo forte e non andai oltre il quattordicesimo posto”. Quando ci ripensa si arrabbia. “È stata la mia unica possibilità per vincere il titolo. Qualche mese più tardi dovetti combattere con un altro infortunio che rovinò la stagione seguente. Da quel momento capii che, oltre alle competizioni, avrei dovuto iniziare a concentrarmi su qualcosa di nuovo”. Come il suo canale Youtube, che coinvolge migliaia di appassionati o la realizzazione di corsi e tutorial in cui oggi si cimenta. È anche grazie a lui che è nato in Italia il primo vero park urbano
L’ADRENALINA DELLE GARE DI SLOPESTYLE E L’IMPEGNO PER PROMUOVERE LA DISCIPLINA CHE AMA, SUI SOCIAL E IN CITTÀ. COME A MONZA DOVE È NATO IL PRIMO PARK URBANO D’ITALIA. RITRATTO DI DIEGO CAVERZASI
Promette bene Gaia Tormena, polivalente diciottenne valdostana, vincitrice a Barcellona dell’edizione 2020 della Coppa del Mondo Uci di Mtb Eliminator. Atleta da tempo in orbita Nazionale, oltre ad andare forte nelle gare sprint a eliminazione diretta (Xce o cross country eliminator), Tormena è in grado di conseguire risultati di rilievo anche nel cross country olimpico (Xco) e nell’enduro. Dal 2020 ha iniziato a dedicarsi con rinnovato impegno alla pista soprattutto come velocista.
Insieme al successo in terra spagnola, nel palmares di Gaia spiccano, tra i risultati di prestigio nella sua breve ma già intensa carriera, altre due medaglie d’oro, una agli Europei Mtb Eliminator 2020, una ai Mondiali Mtb Eliminator 2019, e le vittorie del Campionato italiano Xce 2019 nonché del Campionato italiano enduro 2018. Risultati da fare invidia ad atlete in sella da ben più tempo di lei.
Approdata al ciclismo a quattro anni e mezzo, proveniendo da una famiglia dove fino ad allora nessuno lo aveva praticato, Tormena da subito abbina lo sci di fondo alle uscite in bicicletta. Si è cimentata per diletto ma sempre con successo anche nel winter triathlon (fondo, mtb e corsa) e non è raro vederla allenarsi in sella alla bici da strada, come documentano i suoi attivissimi profili social. Non mancano le giornate sulle piste con gli sci d’alpinismo o da discesa. Liceo linguistico la scuola che ha scelto, quanto alla formazione sportiva è innanzitutto ai dodici anni di crescita esponenziale trascorsi in Cicli Lucchini che si devono i suoi exploit. Dal 2019 veste la maglia Gs Lupi Valle d’Aosta. La freschezza e tenacia che Gaia dimostra in sella sulle diverse superfici si riverberano anche nel web. Ed è grazie anche ai suoi post e alle dirette
Instagram che una disciplina come il cross country sta guadagnando rinnovata visibilità. Soprattutto agli occhi dei più giovani. Una disciplina capace di trasmettere emozioni intense e coinvolgenti, come le performance in cui eccelle Gaia Tormena.
Con Terra della canadese Daymak le due ruote marciano spedite verso il futuro e, sposando la tecnologia, evolvono nell’aspetto e nelle prestazioni. Lo testimonia la distintiva ‘ala’ nera di Terra, collocata sotto il tubo del telaio e che racchiude un sistema di pannelli solari, una vera e propria ‘centrale’ energetica che ne farà la prima e-bike fotovoltaica al mondo, in grado pertanto di ricaricarsi da sola, anche senza bisogno di pedalare ma sfruttando semplicemente l’energia del sole. “Non vendiamo veicoli elettrici, diamo accesso a un futuro più verde, più sostenibile finora impensabile”, spiega l’azienda che la produce, Daymak. Fondata a Toronto nel 2002, ha l’ambizione di incarnare l’avanguardia nel segmento dei cosiddetti Light electric vehicles (Lev) e l’obiettivo di ridurre ulteriormente le emissioni di Co2: ha già venduto più di 100mila veicoli, stima di aver contribuito finora, complessivamente, al risparmio di 70mila tonnellate di Co2. Terra, che fa parte della linea di prodotti denominata Avvenire, trasmette la sensazione di entrare in un film di fantascienza: non soltanto a motivo del design futuristico ma anche per la qualità delle soluzioni tecnologiche a bordo. Non a caso Daymak la descrive come “progettata per l’immersione nel presente con una connessione completa con ciò che ci aspetta”. L’intera dotazione tecnologica di Terra sarà controllata da un’unica app, in grado di monitorare, tra gli altri, i diversi parametri della e-bike, i percorsi fatti, lo
stato della batteria. Con Terra fanno parte della linea Avvenire di Daymak il velomobile Foras, uno scooter coperto, un veicolo all-terrain, un’automobile a tre ruote e un drone biposto. Quando a fine 2021 arriverà in Italia, Terra avrà bisogno di una targa e di un’assicurazione. Il motore da 500watt garantisce un’autonomia di 100 chilometri, escluso l’apporto del sole, con una velocità fino ai 32 chilometri orari. Completano la dotazione un doppio pacchetto di sospensioni, anteriori e posteriori, freni a disco idraulici, luci led, altoparlanti stereo e sistema Gps integrato. Il prezzo di vendita per chi si prenota sul sito di Daymak è 3.495 dollari, con acconto di 100, per il modello Deluxe. Per i più esigenti invece c’è Terra Ultimate, 7.999 dollari, con batteria da 72 volt, ricarica da 10 ampere, schermo Lcd con vista a 360 gradi e speaker di marca.
Resta la curiosità di scoprire come una simile novità possa inserirsi nel mercato delle bici elettriche dove, ricordiamolo, nel solo 2020 in Italia le vendite sono aumentate del 20%, secondo dati Confindustria Ancma, anche sotto la spinta del bonus mobilità. Mentre a livello globale si stima un giro d’affari di circa 20 miliardi dollari e le previsioni più autorevoli parlano di 30 milioni di pezzi venduti in Europa entro il 2030. A quel punto le bici elettriche sarebbero il doppio delle automobili immatricolate nell’Ue e tra di esse circoleranno modelli come Terra.
LA CARRIERA ACCADEMICA
L’INCIDENTE E L’AMORE PER LA RISTORAZIONE DI QUALITÀ. POI LA BICI. COSÌ PAOLO CAZZARO HA INTRAPRESO UN VIAGGIO CHE L’HA PORTATO A TENTARE
IL RECORD DELL’ORA SU PISTA
“Lo chef Ferran Adrià, dopo aver raggiunto il suo obbiettivo, una ricetta eseguita alla perfezione, va oltre: un’altra ricetta, un’altra sfida”. A raccontarlo a
Garmin Beat Yesterday Awards 2020, convinto che l’importante è viaggiare. Con la mente o con il corpo, un’evoluzione continua. Anche oltre la sua disabilità, oltre al limite imposto dal dolore che lo attanaglia dal 2004, dopo un incidente in moto, oltre la comfort zone.
È una storia che insegna a volare alto quella di Paolo, cinquant’anni, vicentino. Prima di aprire le ali bisogna far girare le idee, sporcarsi le mani, studiare. La passione è qualcosa di estremamente pratico per lui, dalla bici alla cucina e alla storia della gastronomia. Mondi in collisione, dinamismo e ciclicità, concentrazione e manualità, tempistiche e sostanze in trasformazione. Realtà diverse che si intrecciano in una fitta trama.
A trent’anni la cattedra di urbanistica al Politecnico di Milano, poi l’incidente e i danni irreversibili al nervo sciatico della gamba sinistra e alla spina dorsale. Con esiti molto invalidanti. Una discesa agli inferi, seguita dalla consapevolezza sul suo
futuro: se non poteva muoversi bene con la gamba poteva studiare i ricettari premoderni, la storia della gastronomia, fare ricerca, scrivere. Poi gli anni passati in tre diversi ristoranti stellati come commis, nonostante le terapie antidolorifiche, i farmaci antiepilettici e i neurotrofici che limitavano la sua propriocettività e fisicità. Cazzaro a 48 anni riscopre il triathlon, lo sport della sua adolescenza. Ed è lì il momento della rinascita, le endorfine diventano la sua nuova medicina, la disabilità non lo ferma, la vita è nuova. Grazie anche al supporto di Alex Zanardi, Paolo inizia ad allenarsi con la federazione nazionale di paratriathlon, un bronzo e poi un argento al Mondiale di Winter Triathlon, categoria para PTS4. Con Luca Zenti, suo allenatore, scopre di avere ottimi tempi in bici, tali da poter valutare il record mondiale dell’ora 2021. “La perfezione in cucina è legata a chi la realizza, così anche nello sport”, dice Paolo, “la ricetta è una cosa vivente, aroma, densità, calore, odore non si possono fermare su un foglio di carta, tutto esiste realmente solo nel momento in cui lo realizzi, l’impiattamento è la degna fine”.
CATERINA LO CASTOEsiste lo chef con la sua ricetta, le tempistiche, le tecniche e le materie prime, null’altro. Quelle descritte da Cazzaro sono le medesime situazioni che accadono anche nel record dell’ora, la bici, il corpo e il tempo come unico avversario. Nel primo caso l’obbiettivo è il piatto perfetto, nel secondo il record mondiale di paraciclismo su pista. Tutta questione di balance, di percorsi, di pensieri. Da più di un anno Paolo si allena sette giorni su sette, indoor e outdoor, il dolore c’è ma non lo limita, mentre sfreccia a 44 kilometri orari e 95 pedalate al minuto lungo la parabola del velodromo Rino Mercante di Bassano del Grappa. Il ritmo conta, in pista come in cucina, e la disco
music (Fat boy slim la sua playlist preferita) accompagna gli allenamenti, anche a casa in tempi di Covid, con uno smart trainer Tacx. “Studiando la storia della cucina scopro la grandezza del mondo, i ricettari antichi sono pura cultura, capire i percorsi della gastronomia mondiale è fondamentale”, racconta Paolo con la concitazione di uno che ha tanto da fare, cuore aperto alla vita e alla ricerca (dal 2020 partecipa al master di storia e cultura dell’alimentazione a Bologna). Spingere con il corpo, viaggiare con la mente, il tempo che non si placa. A volte basta un’ora, il record, il sogno, e la vita, che gira come quelle due ruote.
DA PIÙ DI UN ANNO PAOLO SI ALLENA SETTE GIORNI SU SETTE, INDOOR E OUTDOOR. IL DOLORE C’È MA NON LO LIMITA MENTRE SFRECCIA A 44 KM ORARI E 95 PEDALATE AL MINUTO LUNGO LA PARABOLICA DEL VELODROMO DI BASSANO DEL GRAPPA
Non ci sono segreti nella dieta del ciclista. Eppure l’alimentazione di chi pratica questo sport è da sempre tra i temi più dibattuti da parte di appassionati, amatori, sportivi e addetti ai lavori. L’errore più comune tra quanti si avvicinano al ciclismo come attività per mantenersi in forma o perdere peso, solitamente, è quello di ‘abbuffarsi’ dopo un’uscita in sella, convinti di aver già ‘bruciato’ molti grassi per il semplice fatto di vedersi, al rientro a casa, più snelli. Magari guardandosi allo specchio dopo che si è fatta la doccia. Nulla di più sbagliato. In realtà è stata semplicemente eliminata molta acqua attraverso il sudore, fatto che, nell’immediato, ci può far apparire sì più asciutti, ma che, nel giro di poche ore, è destinato a lasciare spazio alla condizione di partenza. Appurato che non è la singola pedalata in sé a provocare un deficit calorico tale da causare un dimagrimento, vale la pena ricordare che il nostro corpo non agisce mai, come si usa dire, ‘in acuto’ bensì in ‘cronico’, che detto altrimenti significa: per dimagrire dobbiamo rimanere in deficit calorico per molto tempo, dalle sei alle sedici settimane, a seconda dell’individuo. Non basta una mattina in sella per quanto intenso possa essere stato lo sforzo profuso. Il dimagrimento è un processo lento nel quale il corpo brucia l’accumulo calorico (che viene stoccato sotto forma di grasso corporeo) proprio mentre si è in deficit calorico, cioè quando l’energia che consumiamo è maggiore di quella che introduciamo con il cibo.
Si tratta di un processo lento perché il nostro corpo proviene da milioni di anni di vita in cui era abituato alla carenza di cibo e pertanto è ancora oggi efficacissimo quando si tratta di accumulare il minimo surplus energetico disponibile. L’attività fisica, inoltre, più che far dimagrire in sè stessa, contribuisce semmai a migliorare la qualità del dimagrimento. Il nostro corpo infatti ha un tetto di energia che può consumare ogni giorno e questo fa sì che, se aumentiamo la quota di energia bruciata durante una determinata attività – per esempio, come nel nostro caso, andando in bici – il corpo correrà ai ripari riducendo l’energia spesa per il mantenimento di altri sistemi (immunitario, digestivo o riproduttivo).
Chiariti questi elementari concetti, possiamo comprendere meglio come dovrebbe alimentarsi un ciclista. Innanzitutto va detto che, quando pedaliamo, il nostro corpo consuma principalmente grassi e zuccheri, secondo una proporzione determinata dall’intensità della pedalata: più grassi se pedaliamo a basse intensità, più zuccheri se pedaliamo ad alta intensità.
L’apporto deve essere equilibrato. Mentre per il timore di esaurire le riserve di glicogeno, spesso, i ciclisti commettono l’errore di focalizzarsi esclusivamente sui carboidrati, sotto forma di pasta, riso o cereali. Se introduciamo più carboidrati di quelli che abbiamo realmente consumato, tuttavia, il nostro organismo non fa altro che trasformarli in grasso corporeo.
Ulteriore errore che si vede commettere con una certa frequenza è quello di non assumere una quota sufficiente di proteine, erroneamente convinti che le proteine servano soltanto a chi pratica palestra o sport di mera resistenza. Le proteine, sotto forma del loro costituente principale che sono gli amminoacidi, invece, sono i ‘mattoni’ che costituiscono i muscoli, i tendini, le ossa e in generale il nostro stesso corpo. Anche il ciclismo è uno sport di resistenza, di resistenza aerobica protratta per molto tempo. Allenarsi solo con uscite molto lunghe a basse e medie intensità provoca un calo della massa magra muscolare. Questo avviene perché a un certo punto le scorte di glicogeno si esauriscono e il corpo, per poter sostenere l’attività fisica, inizia a utilizzare le proteine come fonte energetica, prendendole dai muscoli. Non è un caso infatti che molti ciclisti professionisti (come anche i maratoneti) abbiano corpi magri ma poco muscolosi. L’eccesso di attività fisica di resistenza provoca il catabolismo muscolare, cioè il corpo finisce per ‘mangiarsi’ i propri muscoli per supportare l’attività fisica. L’apporto proteico invece è importante per un ciclista tanto quanto per qualsiasi altro sportivo. Si stima, per esempio, che un sedentario abbia bisogno di 0,8 grammi di proteine per ogni chilo di peso corporeo. Per il ciclista questo valore sale a due grammi di proteine per ogni chilo. Se insomma pesassimo 60 kilogrammi, dovremmo ingerire 120 grammi di proteine al giorno, una cifra che in realtà pochissimi ciclisti raggiungono. La soluzione migliore, in questo caso, è trasformare la propria colazione da zuccherina a protei-
ca, passando dal caffé e brioche al consumo di cibi densi di proteine come yogurt greco magro e noci o mandorle, oppure con dei pancake proteici con uovo, avena e sempre yogurt greco. In questo modo è possibile abbassare il consumo di zuccheri aumentando la quota proteica.
Ennesimo e frequente errore del ciclista sta nel fatto di preferire i cibi lavorati, come le barrette o i gel, ai cibi non lavorati. Bisogna sempre fare attenzione, però, perché le barrette contengono moltissimi edulcoranti, che vanno a sommarsi alla quota di carboidrati che già ingeriamo. In aggiunta un consiglio pratico per il ciclista che vuole dimagrire: evitare i cibi cosiddetti ‘dietetici’. Molti cibi proposti sul mercato come ‘a basso apporto di grassi’, infatti, hanno sì un ridotto apporto di grassi ma sono ricchi di zuccheri aggiunti.
La giusta dieta del ciclista, in definitiva, non è diversa da quella di un individuo che vuole mantenersi in salute, soltanto deve essere declinata per supportare l’aumentata richiesta energetica proporzionalmente all’attività svolta. Sono da preferirsi cibi sani (come frutta, verdura, uova) e limitare quelli raffinati, stare lontano dai prodotti ‘fitness’ e ‘zero grassi’ e ricordarsi di assumere una sufficiente dose giornaliera di proteine, che possono essere di derivazione animale, come la carne e le uova, oppure anche vegetale. Quando non vogliamo mangiare carne o derivati animali, anche i legumi, le noci, i semi di chia, le mandorle, sono ottime fonti proteiche. I carboidrati dovrebbero conferire il 50% dell’introito calorico totale, seguito dal 30% di proteine e dal 20% di grassi, soprattutto polinsaturi e monoinsaturi.
Dottore in scienze
IL CIOCCOLATO È UNA FONTE DI ENERGIA PERFETTA
PER GLI SPORT DI RESISTENZA E IL CRIOLLO DEL VENEZUELA, BLEND LINE DI DOMORI, UNA PERLA PER PALATI FINI. NON CI CREDETE? CHIEDETELO AL CEO ANDREA MACCHIONE, ESIGENTE TRIATLETA
Pasta di cacao, zucchero di canna. Altro? No. La prima regola di Domori. La ricetta per un superfood ad alto tasso di gusto e antiossidanti. Le prestazioni in sella migliorano grazie ai flavonoli, il cuore ringrazia e le gambe spingono sui pedali con rinnovata forza e fluidità. Caffeina e tobramina stimolano profondamente il corpo. Un vero e proprio nutraceutico con un plus: la firma Domori (gruppo Illy), una sicurezza in fatto di materia prima, frutto della mente creativa di Gianluca Franzoni, dal 1997. Il cioccolato è un alimento trasparente che non abbisogna di altri boosters del gusto se le fave di cacao sono coltivate e lavorate in modo rigoroso.
L’azienda piemontese produce il suo prezioso e unico ingrediente in Venezuela, in collaborazione con l’Hacienda San Josè, nel rispetto dei cicli produttivi e dei collaboratori locali. Sette cultivar di varietà Criollo salvate dall’agricoltura intensiva che tende a omogeneizzare e distruggere la biodiversità varietale. Cremosità, rotondità, aromaticità al 70, 80, 90 e 100% Criollo. La nuova collezione Blend Line di fondente è infatti omaggio alla cultura del Venezuela, un climax di sapori e sentori che abbracciano il palato, un crescendo di intensità che non lascia spazio a picchi erbacei o amari grazie alla peculiare dolcezza del Criollo in purezza. Meno tannini per un’esperienza più morbida, un panorama di sapori più persistente, cangiante, riconoscibile fin dal primo morso. “Premetto che sono un triatleta”, dice Andrea Macchione, ceo di Domori, “una specialità che amo proprio per la versatilità e in cui la bicicletta rappresenta una sfida unica. Una disciplina basata su forza, resistenza, e concentrazione mentale, in cui gli aspetti nutrizionali ricoprono un aspetto fondamentale. Il cioccolato fondente, ma ancor di più la massa di cacao e le fave di cacao tostate,
sono alimenti dotati di un alto valore energetico, in purezza circa il 50% del cacao è composto da grassi ‘buoni’: acido oleico, palmitico e stearico. Tra le qualità più notevoli per chi pratica sport vi è senz’altro il basso indice glicemico: sono quindi alleati importanti nella fase preparatoria dello sforzo, in quanto consentono il rilascio graduale dell’energia senza affaticare l’organismo con picchi glicemici.”
Domori è anche tra i fondatori dell’Istituto internazionale di chocolier, che da anni si impegna a promuovere la formazione sensoriale di un prodotto affascinante come il cioccolato, insegnando ai nuovi assaggiatori chocolier, come per il vino, a riconoscere con vista, olfatto, tatto e udito, le sfaccettature di un buon prodotto. “Il rumore della barretta spezzata è uno dei parametri meno noti”, confida Macchione, “ma fondamentale nell’esperienza della degustazione”. Il cioccolato di Criollo 70% ha note di mandorla dolce e una leggera punta aromatica di caramello, l’80% è molto diverso, sentori di frutta secca e melassa, sorprende per la cremosità istantanea e duratura. Il 90% è molto equilibrato, dolcezza discreta e frutta accennata. Il 100% è una meta nuova, un viaggio, spicca per intensità ma non pecca di amarezza, interessante nella sua nudità, parla di cacao nella sua pura essenza.
I GRASSI ‘BUONI’ DEL CACAO ALLEATI FONDAMENTALI DELLA PERFORMANCE NON CONOSCONO PICCHI GLICEMICI E DUNQUE NON AFFATICANO
Tanta voglia di primavera. Biciclettate in campagna, nel verde, in piena libertà… Ecco allora il look più allegro e divertente per lasciare alle spalle il grigio dei mesi freddi. Coltivando corpo e spirito
cinelli.it
Borsa da telaio per bici classica da uomo, è un accessorio irrinunciabile per la city bike dal fascino vintage. Si aggancia alla canna, per poi diventare una pratica borsa a mano. Di pelle Woven a effetto intrecciato con patta e fibbia dorata, è foderata di tessuto jacquard e divisa in due scomparti per un portatile, tablet, agenda, telefono, portafogli e documenti.
€ 384,30 - amerigomilano.com
FANALINO BRN PONGO
Disponibile in tutti i colori dell’arcobaleno, un tocco di colore e di stile per viaggiare in sicurezza anche al calare del buio. Si attacca e si stacca con un click, è dotato di due super led a regolabili a intermittenza bianchi e rossi.
Le batterie sono incluse.
€ 6 - brn.it
Fa parte di una linea di accessori realizzati con componenti e materiali riciclati, per sostenere l’impegno della Maison nella produzione circolare e pensata per chi ha a cuore l’ambiente. In tessuto ECONYL®, un nylon rigenerato ottenuto anche da scarti dei processi di lavorazione di Gucci, arricchito dal pattern GG, è fornito di tre tasche, cintura con fibbia e chiusura a cerniera.
€ 790 - gucci.com
Da un ‘bugigattolo’, una piccola bottega di venticinque metri quadrati vicino alla stazione di Cambiago, alle porte di Milano, sino alla vetta del mondo. Il maestro e la bicicletta è la storia di un rivoluzionario, un uomo che a suon di studio, esperimenti e intuizioni ha saputo innovare uno strumento vecchio più di un secolo e trascinarlo nella modernità. Ernesto Colnago è il più affermato rappresentante di quel manipolo di artigiani che ha fatto della scuola italiana il riferimento mondiale nella costruzione di biciclette. In un libro caratterizzato da una sincerità e da una schiettezza rare, Colnago deposita il racconto della sua straordinaria avventura nel taccuino di un maestro del giornalismo sportivo italiano.
AA. VV.
La vita di Fausto Coppi è ricca di aspetti eroici: le grandi vittorie, le polemiche, gli infortuni. A renderla definitivamente epica concorre però anche la morte, giunta a soli 40 anni, che ha fatto del Campionissimo un eroe tragico. Cosa sarebbe accaduto a Coppi se avesse avuto la possibilità di invecchiare? Cosa sarebbe diventato Coppi una volta appesa la bici al chiodo? A 60 anni dalla scomparsa del leggendario campione c’è chi ha provato a immaginarsi la ‘vita in più’ di Coppi. Tra realistiche ricostruzioni, viaggi ultraterreni e libere fantasie, Coppi continua a vivere nelle parole di un manipolo di scrittori e suiveur che include, tra gli altri, firme come Marco Ballestracci, Mimma Calligaris, Gino Cervi, Giuseppe Figini, Claudio Gregori, Antonio Gurrado e Marco Pastonesi.
Enrico Brizzi
Dopo mesi così difficili, isolati nelle case o tra rigidi confini, non c’è nulla di più rinfrancante di una lettura che riporta al senso di libertà assoluta del mettersi in sella e viaggiare. Prolifico romanziere e autore di racconti di viaggio, Enrico Brizzi è da sempre appassionato di biciclette, tanto da aver firmato nel 2014 anche la biografia di Vincenzo Nibali. In questa nuova opera, Brizzi racconta l’avventura vissuta con un gruppo di amici pedalando sulle tracce dei grandi viaggiatori, dagli antichi romani ai poeti romantici. Una carrellata di cartoline a pedali attraverso la storia di un continente che si intreccia con la storia di tutti noi.
Marco Pastonesi UN LIBRO DI STAGIONEBIKE uguale aria in faccia, aria calda, aria fresca. La felicità di sentirsi liberi, leggeri, col sangue che viaggia più veloce di noi e ci fa sentire in Paradiso. Sfondare i nostri limiti per sentirsi un po’ star e volerne sempre un po’ di più. Pedalare è un po’ come ballare, come lievitare. È quasi volare come un uccello libero nel cielo per poi sentirsi persi nel ‘chissà dove’, aspettando che il sole tramonti per planare di nuovo verso casa. Con la musica di questa playlist che vi accompagna in ogni vostro attimo, in ogni vostra conquista, in ogni vostra emozione.
MACHINE GUN KELLY
MEDUZA
*Mi chiamo Marco Biondi e sono uno spirito libero. Amo entusiasmarmi per nuovi progetti e per tutto ciò di nuovo che può stimolarmi ed affascinarmi. Attualmente sono station manager di Giornale Radio e A&R per la mia etichetta Be NEXT Music (distribuita da Sony Music Italy) e per Sorry Mom!, che è la mia agenzia di management. Amo la camminata veloce in mezzo alla natura e pedalare veloce nella vita. Da sempre.
DJ KHALED (FEAT. DRAKE)
AXWELL INGROSSO
THE WEEKEND (FEAT. DAFT PUNK)
JAMIROQUAI (DAVE MORALES REMIX)
MANFREDI SIMONETTI (FEAT. KIMBERLY MANGANO)
DUA LIPA (FEAT. DABABY)
SWEDISH HOUSE MAFIA (FEAT. JOHN MARTIN)
MACKLEMORE & RYAN LEWIS (FEAT. RAY DALTON)
ATTILI
(FEAT ED SHEERAN & BURNA BOY)
SKYNYRD
GAMBINO (REMIX BY TODD TERRY & LOUIE VEGA & KENNY DOPE)
Le canzoni hanno sempre accompagnato la mia vita, come credo quella di tutti noi. E quando si avvicina la primavera, me ne risuona sempre nella mente una degli anni Quaranta, portata al successo popolare dal grande Alberto Rabagliati: “È primavera, svegliatevi bambine.
Alle cascine, messere Aprile fa il rubacuor.
E a tarda sera, madonne fiorentine. Quanti ricordi diventeranno i prati in fior…”. Così attacca Mattinata fiorentina, una canzone semplice eppure ricca di significati.
Se vi state chiedendo perché vi voglia parlare di questa canzone, statene certi, non sono impazzito! È che ho sempre trovato perfetti questi versi per quando, in primavera, bisognava partire per gli allenamenti, e farlo con buon umore, mentre tutto intorno i profumi nell’aria cominciavano a mutare e il tepore del sole faceva fiorire i mandorli. Ecco, quando vedo le margherite sui prati verdi, ancora oggi mi viene da cantare: “È primavera…”. Mattinata fiorentina era inoltre uno dei cavalli di battaglia di Narciso Parigi, un cantante fiorentino, grande appassionato di ciclismo e super tifoso, nonché amico, di Gino Bartali. Narciso era sempre presente al raduno di ex-corridori che si svolge ogni anno a gennaio, grazie all’impegno di Enzo Ricciarini, un vero e proprio ‘malato’ di ciclismo, che, una quarantina di anni fa, volle organizzare questo pranzo tra amici per festeggiare l’olio nuovo e così è ancora oggi. Enzo, grande amico di Franco Bitossi, si impegna tutti gli anni nell’invitare tantissimi, oltre i cento, corridori di varie epoche. A fine pranzo c’era sempre il discorso di Alfredo Martini, seguito dalla canzone di Narciso
e in chiusura una barzelletta sui cavalli raccontata dal sottoscritto. Questo preambolo non è per caso: la primavera, infatti, è la stagione che apre il calendario delle competizioni e questo motivetto mi ha sempre messo addosso una voglia di pedalare incredibile.Quando partiva la Milano Sanremo, la temperatura a inizio corsa era ancora rigida, poi, giù dalla discesa del Passo del Turchino, arrivando sulla riviera ligure (se le condizioni meteo lo consentivano, in realtà quasi sempre), il corpo era subito scosso dal tepore della primavera. E quando sul traguardo di via Roma vedevi lo striscione rosso, ti coglieva infine un senso di soddisfazione difficile da descrivere a parole. A “rubarci il cuore” poi sono il Giro delle Fiandre, la Parigi Roubaix, la Liegi Bastogne Liegi, classiche che di primaverile hanno solo il mese. È l’Inferno del nord, che, per me che non frequentavo abitualmente queste corse ‘sulle pietre’, era un vero e proprio calvario, acuito dal fatto di dover abbandonare il bel tepore delle mie strade di casa per andare a lottare al freddo in Belgio. Per fortuna, però, ‘messere Aprile’ passava in fretta e finalmente arrivava maggio, quando i profumi e i sapori intensi della primavera culminavano con il Giro d’Italia. Ho partecipato a nove edizioni della corsa rosa, partendo una volta a Trieste e un’altra a Palermo, ma ogni volta i primi caldi già preannunciavano l’estate e rendevano il gesto di pedalare sempre più piacevole. Ecco perché la stagione della bicicletta è sicuramente la primavera. Prendiamo dunque la nostra compagna a pedali e cantiamo insieme: “È primavera…”.
*Riccardo Magrini è un ex ciclista, dirigente sportivo e commentatore tv per EurosportÈ MODULABILE in base alle esigenze e ai servizi medici che si vogliono erogare
È SICURO per lo svolgimento di esami rapidi senza entrare in contatto con l’utente
GESTISCE LE CODE grazie a sistemi automatici di preno tazione e controllo dei flussi
È SANIFICATO grazie alla nebulizzazione della soluzione germicida sicura sulla pelle e i vestiti
È TECNOLOGIA ALL’AVANGUARDIA con strumenti non a contatto che rilevano i principali parametri vitali
Il sistema Box della Salute na sce dalla ricerca di 7 anni nel campo sanitario e dalla col laborazione di diverse figure professionali in ambito medi co, tecnologico e di design
Per maggiori informazioni boxdellasalute.com info@boxdellasalute.com