SOSTENIBILITÀ ON THE ROAD
Michil













Michil
Riusciremo a liberarci dalla schiavitù dell’auto? La generazione dei baby boomer non ce la farà. Non ce l’ha fatta finora e figuriamoci se accadrà in questo ultimo periodo. L’auto è uno status simbol prima ancora che una necessità. Sessant’anni fa con l’auto (magari una Fiat 600) si portava la famiglia al mare la domenica, oggi si portano i figli a scuola con un suv dalla cilindrata smisurata, ma la questione è sempre lì: è l’auto che fa l’individuo. Discorso diverso per i millennial. I nostri ragazzi hanno modi completamente diversi di affrontare la quotidianità: l’auto è condivisa, così come le opinioni sui social. E anche alla casa di proprietà si preferisce quella in affitto: si può cambiare, si può scegliere, si può rimodulare. Si usano di più mezzi alternativi: i servizi pubblici, il treno e, per le medie distanze ma anche, soprattutto in città, il car sharing, le bici elettriche e non, i monopattini.
“Entro il 2050 il 70% della popolazione mondiale vivrà in città, che generano oltre l’80% del Pil mondiale ma anche il 70% delle emissioni di gas serra”, scrive il nostro Giovanni Iozzia, citando un rapporto di McKinsey che segnala la necessità di affrontare la sfida della mobilità urbana, sia per ragioni economiche sia per ragioni ambientali, e individua alcune tendenze con cui fare i conti. Come il traffico in aumento. Già, e come si risolve il problema?
Al momento è impossibile visto che ogni metropoli ha le sue peculiarità e le sue esigenze organizzative: non può esistere un modello da applicare uguale per tutti. Peggio ancora, le città si affolleranno sempre di più ponendo il tema sempre più urgente della sostenibilità.
Se le città si ingolfano il nostro gran bel Paese offre invece mille occasioni di evasione. Soprattutto in bicicletta. Persino il Tour de France (e sappiamo quanto i francesi tengano al loro primato) ha deciso di dedicare tre tappe al territorio italiano: un tributo dovuto alla storia del nostro paese, alla sua cultura, non solo enogastronomica, e ai campioni che hanno vestito la maglia gialla, da Bottecchia a Nibali. Quella della bici è ormai una cultura che ogni giorno fa nuovi proseliti. Infatti dopo Napoli, Roma e Firenze anche Milano entra nel network Bycs: il “primo cittadino” a pedali meneghino si chiama Ilaria Fiorillo, ha trent’anni e tante idee per aprire a tutti le strade, non solo quelle del centro. Bycs è un progetto globale che vuole garantire che le nostre città siano più vivibili e adatte al futuro. La via è quella di avere un testimonial in ogni città che sia il “Sindaco in bicicletta”, un catalizzatore che rappresenti il progresso del ciclismo e gli interessi della comunità.
Per Ilaria, il sindaco in bicicletta di Milano, infatti, ragionando in termini di mobilità e mobilità ciclabile, non servono “cordoli o muri di tre metri, perché bisogna puntare a condividere tutti assieme la strada”; al contrario occorrono soluzioni semplici e rapidamente attuabili per “salvare adesso quelle vite che stiamo perdendo”, come l’adozione dei 30 km/h in città, i dispositivi anti-angolo cieco sui mezzi pesanti e la “messa in sicurezza delle ciclabili già esistenti con piccoli dissuasori per non far parcheggiare le auto e vernice colorata sugli attraversamenti ciclabili per renderli più visibili”. Che sia già questo un passo nel futuro?
| FOCUS
OMAGGIO ALL'ITALIA di / GIACOMO SPOTTI / 34
VENTO E SCOPERTE di / ENRICO SALVI / 38
UN MONDO IN SALUTE di / PAOLO DOSSENA / 40
LARGO AI CENTURIONI di / ENRICO SALVI / 42
28 34 48 6
CONTI E CUORE di / ANGELO DE LORENZI / 48
IL DIVERTIMENTO È UNA COSA SERIA di / FRANCESCA CAZZANIGA / 52
L'AGONISMO NELLE VENE di / MARCO PASQUINI / 56
APPESI AL MANUBRIO SUL MURO DELL’ORLANDA di / STEFANO SCACCHI / 58
AI PIEDI DELLO STELVIO di / STEFANO SCACCHI / 60
PEDALANDO IN MINIERA di / ANDREA RONCHI / 62
SUI SENTIERI DELLA STORIA di / ANDREA RONCHI / 64
LE STRADE CHE NON TI ASPETTI di / LUCA GREGORIO / 66
ROCCARASO TUTTO L'ANNO di / ENRICO SALVI / 68
IL CODICE (IDEALE) DEL CICLISTA di / FEDERICO BALCONI / 76
OSSIGENO PER I VELODROMI di / ENRICO SALVI / 80
SINDACO IN BICICLETTA di / FEDERICO GUIDO / 84
SPRINTARE PER LA SALUTE di / GIOVANNI IOZZIA / 86
ECCO TOM, IL MINI SCOOTER CHE DIVENTA UN TROLLEY di / FABIO FAGNANI / 88
FLOTTE PER TUTTI di / GIACOMO SPOTTI / 90
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CICLO ECONOMICO |
FENOMENO E-BIKE di / GIOVANNI IOZZIA / 100
TRADIZIONE E STILE di / ROLANDO LIMA / 102
IL GUSCIO METTE I PEDALI di / GIACOMO SPOTTI / 106
| BIKE LIFE
RILANCIARE L’UMANO di / FULVIO DI GIUSEPPE / 112
LA STORIA IN MOSTRA di / GIACOMO SPOTTI / 116
CREATIVITÀ DI FAMIGLIA di / LEONARDO SERRA / 118
IL GIRO COLORA ROMA di / ROLANDO LIMA / 120
SOTTO QUESTO SOLE di / ALESSIA BELLAN /
122
LEGGERE SUI PEDALI di / FILIPPO CAUZ / 128
76 112 96
Anno 4 / N°13 / SUMMER Luglio-Setembre 2023
Trimestrale per vivere in movimento.
Registrazione al Tribunale di Milano: il 24/06/2020 al numero 58.
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Contributors
BIKE PLAYLIST MONDIALE di / DAVIDE PACCHIANI / 129
IL CICLISMO TI RENDE MAGRO CAMPIONI DI LEGGEREZZA di / RICCARDO MAGRINI / 130
Federico Balconi, Alessia Bellan, Francesca Cazzaniga, Angelo De Lorenzi, Paolo Dossena, Fulvio di Giuseppe, Fabio Fagnani, Federico Guido, Giovanni Iozzia, Rolando Lima, Riccardo Magrini, Giovanni Miragliotta, Dario Nardone, Davide Pacchiani, Marzia Papagna, Marco Pasquini, Andrea Ronchi, Enrico Salvi, Stefano Scacchi, Giacomo Spotti, Leonardo Serra, Art director Marco Tonelli
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La cosa che più colpisce un europeo che arriva a San Francisco è vedere sulle strade auto senza nessuno alla guida. Sono tante, a tutte le ore del giorno, persino dentro l’immenso Golden Gate che degrada verso Ocean Beach. Non si può negare: fa un certo effetto vedere partire a un semaforo o fermarsi sulle strisce pedonali quelle Jaguar bianche con il posto di guida vuoto. I test di Waymo, società controllata da Alphabet che vuol dire Google, continuano nella città californiana e le reazioni agli inevitabili incidenti rivelano la difficoltà, comprensibile e diffusa, ad accettare il nuovo. In maggio è stato investito e ucciso un cagnolino, provocando nuove polemiche come se ogni giorno, purtroppo, autisti più o meno distratti o indisciplinati non investissero pedoni e/o animali.
L’auto a guida autonoma sarà uno dei tasselli della necessaria riorganizzazione delle nostre città, destinate a essere sempre più abitate, assediate dal traffico e inquinate se non si interverrà per cambiare i modelli di mobilità, puntando sulle biciclette, sulla condivisione e sull’integrazione dei servizi.
Entro il 2050 il 70% della popolazione mondiale vivrà in città, che generano oltre l’80% del Pil mondiale ma anche il 70% delle emissioni di gas serra, ricorda un recente report di McKinsey, che segnala la necessità di affrontare la sfida della mobilità urbana, sia per ragioni economiche sia per ragioni ambientali, e individua tre tendenze con cui fare i conti.
Il traffico è in aumento. Le proiezioni dell'Ocse dicono che entro il 2050 la domanda totale di trasporto urbano di passeggeri sarà più che raddoppiata rispetto al 2015. Il Covid-19, probabilmente, per un momento ci ha illuso sulla riduzione degli spostamenti, con lo smart working e altri fenomeni collegati, ma la pandemia ha dato una spinta decisa all’e-commerce facendo crescere la circolazioni dei veicoli per la consegna dei pacchi. Poi c’è il cambiamento dei modelli: la mobilità condivisa è destinata a consolidarsi, grazie anche alla diffusione dell’uso della bicicletta (sempre McKinsey prevede una crescita della spesa fra i 500 e i 1.000 miliardi di dollari nel 2030), le auto elettriche si affermeranno presto e quelle a guida autonoma sono attese per il 2025 sulle strade europee (saranno costose all’inizio, ma sarà solo questione di tempo). E, infine, c’è il grande tema della sostenibilità, su cui c’è sempre maggiore attenzione anche perché è oggetto di finanziamenti, pubblici e privati.
Qual è la principale difficoltà? Che ancora non ci sono modelli replicabili, ogni città è un caso a sé e richiede progettualità e competenze diverse. Soprattutto in Italia.
* Giornalista esperto di innovazione e tecnologia, direttore di EconomyUp
DISTRIBUTORE: RMS S.P.A
SUPPORTIAMO :
Il vivace dibattito seguito alla decisione europea di mettere al bando i veicoli con motore endotermico dal 2035 ha rubato la scena a quello che avrebbe dovuto essere il cuore del confronto politico, parlando di mobilità del futuro, ovvero l’avvento della guida autonoma e, conseguentemente, di tutto ciò che gli Stati possano fare per favorirne lo sviluppo e la diffusione. Vi sono almeno cinque ordini di motivi che giustificano la mia affermazione.
Il primo fattore: l’enorme valore sociale della guida autonoma, sia sotto il profilo della sicurezza sia della valorizzazione del tempo impegnato nella guida. Ci sono diversi studi che valutano, su base statistica, quanti incidenti e vittime (morti o feriti) si potrebbero evitare con l’introduzione di un sistema di guida autonoma. Non meno rilevante è il valore sociale del tempo che si potrebbe liberare.
Il secondo fattore: la competitività industriale. La sfida per la conquista dell’auto autonoma è ancora sostanzialmente aperta: quale sarà il mix ottimale dei sensori sul veicolo, quali decisioni saranno prese solo dal veicolo e quali andranno supportate dall’infrastruttura, etc. sono scelte progettuali ancora lontane dalla maturità. Investire sull’auto autonoma significa quindi investire nel progresso della leadership scientifica, tecnologica e industriale europea.
Il terzo fattore: la sinergia tra le infrastrutture che l’auto autonoma richiede di costruire e altre applicazioni che si appoggeranno a tali infrastrutture. A differenza delle colonnine di ricarica, infatti, gli investimenti nelle reti 5G per la navigazione cooperativa e il calcolo distribuito a bassa latenza, o nelle reti di sensori per il dialogo V2I (solo per nominare le più importanti) offriranno delle ricadute generali che abiliteranno numerose altre applicazioni, come il monitoraggio del territorio o la sicurezza delle infrastrutture.
Il quarto fattore: secondo alcuni analisti, l’auto autonoma è in realtà il vero elemento abilitante della piena diffusione dell’auto elettrica, la quale non è in grado di raggiungere da sola il suo punto di vantaggio tecnico-economico, che richiede ampie percorrenze annue in ambiente urbano. Senza la guida autonoma l’auto elettrica resterà per anni confinata a una fascia ristretta di utenti premium.
Quinto e ultimo fattore: il potenziale di sostenibilità ambientale che la guida autonoma porta già da sé, perché ottimizzando la politica di guida si possono ottenere sensibili risparmi nei consumi e nell’emissione di polveri.
È alla luce di queste motivazioni che il Politecnico di Milano ha deciso di avviare un grande progetto di ricerca e sviluppo, denominato 1000-MAD (1000 Miglia Autonomous Drive), che mira a far partecipare una bellissima Maserati MC20 Cielo (espressione della tradizione e dell’eccellenza industriale italiana) in modalità autonoma alla 1000 Miglia 2024. Oltre alla ricaduta scientifica (pubblicazioni) e industriale (brevetti), il progetto mira a mettere a disposizione delle Istituzioni (Osservatorio smart road del Mit, Centro nazionale mobilità sostenibile) i dati raccolti nel corso del periodo di sviluppo (per esempio la caratterizzazione delle infrastrutture stradali italiane nell’ottica della guida autonoma) e altri riscontri utili all’adattamento del quadro normativo e alla stima dell’impatto di sostenibilità.
* Docente al Politecnico di Milano, co-direttore Osservatorio connected car & mobility e key account del progetto 1000-MAD.
Prestigioso traguardo per l’Italian bike festival alla vigilia della sua sesta edizione: l’evento dedicato al mercato della bici e della mobilità sostenibile in programma, anche quest’anno, al Misano World Circuit, dal 15 al 17 settembre, ha ricevuto la qualifica di Fiera Internazionale dalla Regione Emilia-Romagna. Ormai tradizionale appuntamento che mira ad aggregare gli appassionati del settore, i buyer e gli operatori economici provenienti da tutto il mondo, l’Ibf è un evento che, anche in qualità di media partner, abbiamo avuto occasione di raccontarvi su Bike Channel con speciali dedicati alle ultime due edizioni e che potete rivedere su Bikechannel.it.
“Un riconoscimento che è la conferma della maturità dell’Ibf”, ha osservato il presidente di Apt Servizi Emilia-Romagna, Davide Cassani, “e che indirettamente premia anche il territorio che da quattro anni ospita questa manifestazione” perché,
ha aggiunto, “ospitare una fiera internazionale dedicata all’universo della bici a 360 gradi fa sempre più dell’Emilia-Romagna una Bike Valley di caratura unica”.
“Abbiamo ricevuto un importante riconoscimento che certifica la rilevanza dell’Italian Bike Festival, la piattaforma più attrattiva del settore bike in Europa, una qualifica che rappresenta per i nostri partner in arrivo dall’estero un’ulteriore conferma della qualità e dell’innovazione del nostro format”, commentano Lucrezia Sacchi, Fabrizio Ravasio e Francesco Ferrario, di Taking Off, l’organizzatore di Ibf. “Per l’edizione 2023 sono attesi espositori internazionali provenienti da oltre 15 paesi che daranno l’opportunità ai visitatori di conoscere in anteprima e testare le novità del mercato”. Senza dimenticare, per i ciclisti professionisti e per gli
DAL MONDO DELLA BICICLETTA
E DELLA SMART MOBILITY
Inizio di stagione elettrizzante per l'edizione 2023 del Wes, la Coppa del mondo di cross country per e-mountain bike. Alla tappa d'esordio di Breglio, sulle Alpi Marittime, si sono imposti, in gara 1, i campioni del mondo Nicole Göldi (Trek-Bosch), per le donne, e Jérôme Gilloux (Lapierre Overvolt), tra gli uomini, e, in gara 2, Justine Tonso (Lapierre Overvolt) ed Emeric Ienzer (Scott Sr Suntour Enduro Team). A Bologna, prima delle due tappe
campione italiano Martino Fruet (Lapierre Trentino). La svizzera Göldi e il francese Gilloux guidano le classifiche generali dove gli italiani sono entrambi noni: Anna Oberparleiter tra le donne e Fruet tra gli uomini. La stagione prosegue con la seconda tappa italiana, il 15 e 16 luglio a Bergamo, poi Belgio con Spa-Francorchamps il 29 e 30 agosto e Bielstein in Germania il 2-3 settembre, Spagna con Girona il 22-23 settembre e, dopo
La stagione 2023 della Coppa del mondo a eliminazione per mountain bike in città è partita e i campioni del mondo in carica, il francese Titouan Perrin-Ganier e l'azzurra Gaia Tormena, che guidano le rispettive classifiche generali ciascuno con 135 punti, non hanno deluso. Due le tappe disputate sinora, Sakarya, in Turchia, dove hanno vinto Perrin-Ganier e Fromberger, Leuven, in Belgio, dove il francese ha bissato il successo e Torpedo Tormena ha siglato il primo successo stagionale. A inseguirli nella generale sono Simon Gegenheimer e Quentin Schrotzenberger tra gli uomini e Marion Fromberger e Annemoon van Dienst tra le donne. Le corse riprendono il 15 luglio in Germania, ad Aalen, per poi proseguire in Belgio, ad Oudenaarde, il 13 agosto, Parigi e Barcellona a settembre, rispettivamente il 16 e il 30 del mese. Il 15 ottobre i Mondiali, come sempre in prova singola, si disputeranno a Palangkaraya, in Indonesia. Tutto organizzato, in modo attento alla sostenibilità, sempre da City Mountainbike.
Il norvegese della Jumbo-Visma Development, Johannes Staune-Mittet (in foto con i compagni di squadra), ha vinto la maglia rosa al Giro Next Gen, la prima per il suo paese nella storia della corsa. Proprio come il suo compagno di team Primoz Roglicč è stato il primo sloveno nel Giro dei "grandi". Sul podio finale, con Staune-Mittet, sono saliti Darren Rafferty (Hagens Berman Axeon) e Hannes Wilksch (Tudor Pro Cycling Team U23). La squadra "giovanile" dei Calabroni ha comandato la
di aggiudicarsi, inoltre, anche la maglia azzurra e la maglia di combinata, mentre il francese Alexy Faure Prost (Circus - ReUz - Technord) ha difeso nell'ultima tappa la maglia bianca indossata il giorno prima sullo Stelvio. Due le maglie conquistate da corridori italiani: sul podio di Trieste sono saliti Alessio Martinelli del team Green Project-Bardiani Csf-Faizanè, primo nella classifica della maglia tricolore, e Davide De Pretto della Zalf Euromobil Fior, maglia ciclamino al termine della corsa.
Play, protagonista di un recente aumento di capitale da 200mila euro, ha trovato due compagni di fuga nella corsa per conquistare il pubblico dei fantasy game, i giochi in cui i partecipanti creano formazioni sportive virtuali scegliendo atleti all’interno di un parco di sportivi professionisti reali, mercato peraltro in continua crescita che ha raggiunto un fatturato globale di oltre 20 miliardi di dollari, con la prospettiva di raddoppiare entro il
Gruppo Triboo specializzata in lead generation e performance marketing basata sull’intelligenza artificiale, che si occuperà dell’incremento del database utenti con lo scopo di aumentare il numero di download e le revenue; il secondo è un adtech partner italiano per publisher, che diventerà concessionaria per la monetizzazione dell'app e del sito Fanta-cycling.com.
Tante novità per Bikeit, la piattaforma per il cicloturismo lanciata lo scorso anno da Sportit (società fondata nel 2016 da Pasquale Scopelliti e Riccardo Maggioni che opera anche con il brand Snowit) e che opera con una tecnologia di ultima generazione che integra diversi partner e dialoga con linguaggi aperti tramite Api. Innanzi tutto Bikeit ha ampliato l’offerta, per cui sono disponibili sulla piattaforma oltre nuovi 60 pacchetti viaggio, non soltanto in Italia, ma anche al di fuori dei confini nazionali, dalla ciclabile del Danubio a quella della Mosella in Germania. Altra grande novità è la presenza di itinerari con un accompagnatore, come ad esempio la Transalpina, per restare in Italia, o la Transfagarasan attraverso i Carpazi, in Romania, così da avere l’opportunità di viaggiare in gruppo (massimo 20 persone) al seguito di una guida specializzata che ben conosce il percorso. Da quest’anno, inoltre, è possibile fare acquisti su Bikeit con Scalapay, dividendo l’importo in tre comode rate.
La Regione Toscana ha vinto, con la Ciclopedonale Puccini, la prima musicata grazie all'uso dei Qr Code, l’ottava edizione dell’Oscar Italiano del Cicloturismo, il premio che viene assegnato ogni anno alle ciclovie verdi delle regioni che promuovono la vacanza su due ruote con servizi mirati al turismo lento. Una ciclabile che tocca tutti i luoghi della vita del Maestro, dai boschi della valle del Serchio, sotto le cime delle Apuane e dell'Appennino, fino alla Versilia dove visse gli ultimi anni, tra musica e passatempi preferiti con gli amici: i motori e la caccia. Il secondo premio è andato alla Regione Sicilia per Sicily Divide, quasi cinquecento kilometri da Trapani a Catania, mentre al terzo posto si è classificata la Regione Veneto con la Ciclabile Treviso-Ostiglia. Il Premio Stampa e Comunicazione alla Regione Emilia Romagna per la Ciclovia della Food Valley mentre la menzione speciale di Legambiente è stata assegnata alla Regione Abruzzo per Il cammino d’Abruzzo.
A fine aprile a Padova, ad Eco, il Festival della mobilità sostenibile, Parigi ha ricevuto la bandiera gialla ad honorem di Fiab-ComuniCiclabili. Un riconoscimento, tributato dalla Federazione italiana ambiente e bicicletta, che dal 2018 valuta e attesta
la dimostrazione di come, attraverso importanti investimenti e precise scelte politiche, sia possibile, in poco tempo, cambiare la mobilità anche di una grande Capitale europea che, con coraggio, ha considerato la ciclabilità uno strumento principe
Riconoscere alla sigaretta elettronica la dimensione di strumento di salute pubblica. A chiederlo è l'ex fumatore Umberto Roccatti, presidente di Anafe Confindustria, l'Associazione nazionale dei produttori di fumo elettronico, che ha pedalato da Pescara a Roma con l'obiettivo di far sentire la sua voce al ministero della Salute. Ride4vape, il nome dell'evento, che, prima dell'edizione 2023, aveva già portato le istanze dello svapo fino a Bruxelles.
"L'Italia si trova di fornte a un bivio", spiega Roccatti una volta terminata la pedalata: "senza la sigaretta elettronica non arriveremo mai al target di ridurre la percentuale di fumatori al 5% della popolazione totale, e non ci arriveremo perché il 91% dei fumatori non riesce o non vuole smettere di fumare. L'unico modo di smettere per chi non ci riesce è ricorrere alla sigaretta elettronica".
Il presidente di Anafe riconosce, però, che "il tabagismo è un tema complesso, bisogna aprire
un tavolo, e, dal nostro punto di vista, fare molto di più per proteggere i minori impendendo loro l'accesso, ma al tempo stesso favorendo il ricorso alla sigaretta elettronica tra quanti non riescono a smettere di fumare".
Thule Epos è il primo portabici da gancio per auto completamente ripiegabile e reclinabile con aggancio telescopico che consente di trasportare qualsiasi tipologia di bicicletta. L’innovazione principale è il nuovo sistema di bracci telescopici, dotati di testa girevole e cinghie rinforzate, che permettono di trasportare sino a tre bici dal peso complessivo di 60 kg e scegliere se fissarle dal
con il portabici montato. Quando non ci sono biciclette agganciate, i bracci telescopici possono essere facilmente ripiegati, rendendo il bagagliaio accessibile anche senza inclinare il portabici. Infine, quando non viene utilizzato, Thule Epos è completamente richiudibile, per agevolarne il trasporto e per non occupare spazio eccessivo. Il prezzo nella versione per due bici è pari a 1.025,95
Un po' moto e un po' bici. Tricolore, la neonata e-mtb di Moto Parilla, stravolge gli schemi del mondo enduro. Una bicicletta rivoluzionaria, con linee e accorgimenti che strizzano l’occhio alle moto. Completamente progettata, sviluppata e prodotta in Italia, Tricolore abbandona la classica struttura triangolare delle biciclette. Telaio, forcellone e telaietto reggisella sono accoppiati con soluzioni tecnologiche all'avanguardia. Il telaio e il telaietto reggisella, svincolati l’uno dall’altro, sono interamente in fibra di carbonio. Il sistema di sospensione posteriore è composto da bilanciere, biella e ammortizzatore per garantire grande reattività al veicolo. Il carro ha forcellone a singolo braccio bilaterale, anch’esso interamente in fibra di carbonio, rinforzato con inserti in alluminio, per garantire una maggiore stabilità e resistenza.
Pur senza i numeri di crescita vertiginosa del periodo pandemico, la bicicletta e il mondo delle due ruote continuano a godere di ottima salute. Soprattutto si confermano una delle alternative di mobilità più promettenti e convincenti in un mondo costretto dalla crisi energetica e dal cambiamento climatico a cercare nuove modalità e stili di vita. Lo conferma la settima edizione del report (white paper) di Repower, realtà operante nel settore dell’energia e della mobilità sostenibile, dedicato proprio alla smart mobility e ai veicoli elettrici. Le e-bike, in particolare, (dati Ancma) continuano a entrare nella vita di sempre più persone: in Italia sono stati 295mila i pezzi venduti nel 2021, rispetto ai 280mila dell’anno precedente. Trend positivo anche per quanto riguarda in generale le due ruote elettriche che segnano un complessivo +59% rispetto al 2021 (ciclomotori +53,3%, scooter +56,9%, moto +7,5%) e i quadricicli elettrici (+74,1%). Da sottolineare l’exploit delle cargo bike, per i quali l’European Cargo Bike Survey stima una vendita di oltre 500mila unità in Europa nel 2022 (+68% rispetto al 2021).
Il bike park Brn Village, realizzato a Forlimpopoli, provincia di Forlì Cesena, nel cuore della Romagna, dall'azienda di componentistica guidata dai co-ceo Gianluca e Marco Bernardi, grazie a un investimento di oltre 10 milioni di euro, è accessibile a tutti, gratuitamente, da domenica 4 giugno. Esteso su di una superficie di 70 mila metri quadrati, il progetto dà lavoro a circa 30 persone.
investimento di ulteriori 11 milioni di euro. L’intero progetto è stato realizzato recuperando un’area industriale dismessa. Per l'occasione sono state donate a tutti gli asili di Forlì-Cesena devastati dall’alluvione delle biciclette balance bike in sostituzione di quelle andate distrutte. Iniziativa che ha previsto anche la donazione alla Regione Emilia-Romagna di tutti gli incassi delle attività
Non hanno temuto freddo e pioggia i 1.645 concorrenti giunti a Bormio da 50 nazioni per l’undicesima edizione della Granfondo Stelvio Santini, il primo fine settimana di giugno. A sei di loro il titolo di King e Queen of the Mountains, a tutti gli altri “l’opportunità di percorrere, in un contesto di assoluta sicurezza, i luoghi che hanno fatto la storia del ciclismo”, ha ricordato Mario Zangrando, presidente Ciclismo dell’Us Bormiese, ente organizzatore. Al via anche gli ex pro Alessandro Vanotti e Joaquim Rodriguez, il triatleta campione europeo Giulio Molinari, la bike-influencer Marta Swiatlon e la nutrizionista sportiva Elena Casiraghi (Enervit). A causa del peggiorare del meteo, a partire da
entrambe le salite, aggiudicandosi così sia la maglia bianca Retelit sia la maglia rossa Trek. Miglior crono sommato su Teglio e Stelvio per il medio a Sarah Palfader (Team Da-Tor / Isb) e Federico Bazzucchi (Alta Valtellina Bike). Nel corto hanno conquistato lo Stelvio Milena Felici (Asd Usc Team NardecchiaMontini) e Stefano Scala (Asd Swatt Club). Ma i veri eroi della Stelvio-Santini sono i tanti appassionati che hanno raggiunto Bormio con uno o due giorni di anticipo e scalato, fuori gara, chi il Gavia, chi il Mortirolo, chi entrambi, chi la salita ai Laghi di Cancano, chi la più accessibile ascesa al Forte di Oga. È il caso del "team" Retelit, fatto di dipendenti e amici conosciuti sul lavoro, guidato dal suo ad Federico Protto e sostenuto da fuoriclasse
Sport, natura e cultura nel cuore del Mediterraneo.
Monta in sella ad una bike e scopri Malta: itinerari a picco sul mare, città che raccontano millenni di storia e siti patrimonio UNESCO.
Scarica le guide e ascolta i podcast di VisitMalta
LA VIA DELLA SOSTENIBILITÀ E DEL RISPARMIO ECOLOGICO NON È UN’OPZIONE MA UNA SVOLTA INEVITABILE. NE È CONVINTO MICHIL COSTA, ALBERGATORE E PRESIDENTE DELLA MARATONA
DLES DOLOMITES, CHE RILANCIA UN’AUDACE PROPOSTA: CHIUDERE AL TRAFFICO DA GIUGNO A SETTEMBRE, PER DUE ORE AL MATTINO, I PASSI DEL GRUPPO SELLA
Dai vulcani esce il fuoco, energia, il respiro della terra. Dalle parole di Michil Costa escono pensieri semplici, veri, respiro di chi è in favore dell’ambiente perché, come dice lui: “Il tema del 2023 è Umanitè (umanità in lingua ladina), nel duplice senso di uomini e umanitari. Forse ci stiamo dimenticando che siamo umani. E che siamo anche esseri terrestri. Mai come ora dobbiamo rendercene conto. Perché se non capiamo immediatamente che siamo terrestri, spariremo. Non tra qualche milione di anni, ma tra qualche decina”.
Lui è Michil Costa, il papà della Granfondo più amata d’Europa, la Maratona dles Dolomites che, volendo fare un paragone, ha la stessa importanza della Maratona di New York, solo che lì si corre, qui si pedala.
“Potremmo prendere molti più partecipanti di quelli attuali, toccare tranquillamente la quota dei 30mila, però ci siamo imposti un limite e da lì siamo anche scesi, ne prendiamo circa 8mila. Dobbiamo imparare a consumare meno, a contingentare, a limitarci, il turismo deve diventare sostenibile. Capisco sia difficile per gli operatori del settore,
però io sono una persona e conosco il privilegio di vivere qui e dobbiamo tutelare quello che ci circonda”.
E tutta la Maratona dles Dolomites è permeata da questo pensiero green che nella mente di Michil affonda le radici da qualche decennio e ultimamente si è tradotto nella sua proposta “Car is Over” cioè la chiusura al traffico di auto e moto dal 12 giugno al 24 settembre, dalle 10 del mattino alle 12, sui quattro passi dolomitici Gardena, Pordoi, Sella, Campolongo con la prospettiva di estendere il progetto a Falzarego, al Giau e altri passi.
“Sinceramente questa proposta l’avevo già avanzata nel 1991, dopodiché fu quasi accettata nel 1999, ora siamo arrivati al 2023. È tutta una questione politica, si decide a quel livello, a noi che abbiamo fatto questa richiesta sembra davvero il minimo, chiediamo una chiusura per sole due ore e non vediamo che problema economico ci sia se la mettiamo in questi termini. Una cosa è certa, prima o poi andrà accettata perché sempre più gente capirà la necessità di fare qualcosa contro le criticità palesi del traffico nei mesi estivi”.
Il turismo sostenibile è la via maestra indicata da Costa e si parte proprio da una Maratona a bassissimo impatto ambientale, virtuosa, che utilizza prodotti ecologici, efficienza energetica, responsabilità sociale. Le medaglie sono a chilometro zero realizzate in zona, i rifiuti sono ridotti al minimo e le sacche in cotone riciclato: è certificata Green Event. “Non è nemmeno la via maestra – precisa – ma è proprio l’unica via che abbiamo. Dobbiamo aiutare gli altri e aiutarci ad amare il mondo, è necessario riscoprire il respiro della terra e siamo costretti a batterci perché non muoia. La vera rivoluzione è il risparmio ecologico, non la transizione ecologica. La transizione costringe a trovare altre forme di energia che andranno a impattare in altro modo, al contrario dobbiamo imparare a risparmiare, a consumare meno e meglio”.
Una sensibilità verso l’ambiente che nasce in Michil grazie al sapere, alla consapevolezza delle cose e di dove si andrà se non si pone un freno. “Ci sono due vie per raggiungere la consapevolezza. C’è l’invasamento divino, l’illuminazione e, chi più chi meno, ce l’ha nella vita. La seconda, quella che
preferisco, è invece la capacità di apprendere per conoscenza. Attenzione, non confondiamola con la passione, non ci credo nella passione perché poi ti devia. Sono la conoscenza e l’intelligenza di capire le cose che ti aiutano, da qui è partita la mia sensibilità verso questi temi e la montagna dove vivo”. Ritorniamo quindi all’inizio e al tema scelto del 2023 per la Maratona dles Dolomites, l’umanitè. “I ciclisti avranno la possibilità di riflettere su quanto di “umano” sia rimasto nella società odierna, un secolo fa le vette hanno iniziato pian piano a umanizzarsi, con la costruzione di strade e strutture ricettive in alta quota, l’homo economicus ha poi finito per disumanizzarle. Il pensiero mi è nato una sera – conclude – quando presi un taxi bellissimo e il tassista mi spiegò che, sì era bello, ma non poteva parcheggiarlo in garage perché i sistemi di controllo dell’auto non gli permettevano di entrare in uno spazio così ristretto. Lì ho pensato che la società umana è diventata troppo schiava di sistemi, algoritmi e codici”. Verrebbe da dire che siamo solo una parte del tutto e non possiamo pretendere di comandarlo.
Corre forte la Maratona dles Dolomites - Enel, in tutti i sensi. L’edizione 2023 ha fatto registrare il triplo delle richieste di partecipazione, 27mila possibili partenti a fronte di soli 8mila posti disponibili, equamente suddivisi: metà dei pettorali dedicati ai partecipanti italiani, l’altra metà per l’estero con mille e cinquecento volontari dislocati sul territorio.
Numeri da capogiro se pensiamo che nella prima edizione del 1987 c’erano 166 iscritti (tra cui solo una donna), poi il salto nel 1991 che fece registrare il superamento dei mille e infine la 12esima edizione del 1998 che sfondò quota 6mila iscritti rendendolo uno degli eventi più amati al mondo.
Non si passano però le 8mila iscrizioni perché la Maratona dles Dolomites - Enel deve essere sostenibile, questo è il limite fissato dagli organizzatori che nel corso degli anni lo hanno trasformato in uno degli eventi più green dal punto di vista am-
bientale tanto da essere certificato Green Event. Stoviglie riutilizzabili per abbattere del 70% la plastica monouso, i meccanici di assistenza sui tre percorsi muniti solo di bici elettriche (Green Angels), auto full electric sul tracciato, i green corner per la differenziata dei visitatori, strutture in legno realizzate solo con alberi già abbattuti dagli eventi atmosferici, le medaglie a “km zero” e le borse gara in cotone al 100% riutilizzabili sono solo alcune delle iniziative messe in campo, oltre ovviamente alla beneficenza. Quest’anno sono due i progetti principali di solidarietà avviati: l’aiuto alla Fondazione Dynamo Camp Onlus che sostiene il progetto di arrampicata e percorsi avventura per bambini affetti da patologie gravi o croniche e il progetto di formazione e recupero per bambini e giovani in quattro angoli del mondo realizzato e curato dall’Associazione Gruppi Insieme si può Onlus.
DEVE DIVENTARE SOSTENIBILE”
L’ANNO PROSSIMO IL TOUR DE FRANCE PARTE CON TRE
TAPPE SUL TERRITORIO NAZIONALE: UN TRIBUTO DOVUTO
ALLA STORIA DEL NOSTRO PAESE, ALLA SUA CULTURA, NON SOLO ENOGASTRONOMICA, E AI CAMPIONI CHE HANNO
VESTITO LA MAGLIA GIALLA, DA BOTTECCHIA A NIBALI
Un omaggio all’Italia, alla sua cultura, ai suoi campioni e luoghi. La sintesi migliore è quella di Christian Prudhomme nel giorno della presentazione della Grand Départ la Grande Partenza da Firenze e dall’Emilia-Romagna 2024: “Il Tour de France in 120 anni non era mai partito dall’Italia ed era una specie di anomalia, di incongruenza”, ha detto il direttore della corsa a tappe più prestigiosa al mondo.
E così la Grande Boucle 2024 ha rimediato con le prime tre tappe interamente in Italia, un omaggio al nostro Paese, ai ciclisti che hanno vinto la maglia gialla, alla storia d’Italia e, perché no, alla cultura enogastronomica con cui competiamo, con i francesi, da sempre. Persino il prestigioso New York Times, nel 2018, ha inserito proprio l’Emilia-Romagna nelle “destinazioni imperdibili del food mondiale”.
Tornando alla corsa, si parte il 29 giugno da Firenze, in piazza Michelangelo, culla del Rinascimento, che portò tra il 15esimo e il 16esimo secolo a maturare un nuovo modo di concepire il mondo e se stessi, per arrivare fino alla prima capitale d’Italia, Torino. In mezzo Piacenza, attraverso l’antico percorso consolare, con la via Emilia, una delle principali costruzioni dell’epoca romana tanto da essere ancora oggi, oltre duemila anni dopo, una delle arterie principali d’Italia. In 600 chilometri è stato racchiuso tutto, o quasi:
la prima tappa (205 chilometri) si chiuderà a Rimini, omaggio a uno dei maggiori registi della storia del cinema, Federico Fellini e la sua Dolce vita. Il 30 giugno, invece, partenza da Cesenatico in direzione Bologna, per ammirare le meraviglie della via Emilia, fino al portico più lungo e bello del mondo, quello del capoluogo emiliano, che è anche patrimonio mondiale dell’Unesco con i suoi 40 chilometri in città (62 se consideriamo quelli fuoriporta); passando per Ravenna, un omaggio al padre della lingua italiana che qui è sepolto da esule: Dante Alighieri. Con la Divina Commedia indicò la via, staccarsi dal latino appannaggio solo dei dotti e gettare le solide basi di una lingua italiana capace di rivolgersi a tutti.
Poi l’Appennino, con il Grande Fiume, il Po, e i suoi “figli” Giovannino Guareschi e Gianni Brera, e via verso Piacenza, la Primogenita d’Italia che nel 1848 fu la prima città con plebiscito unanime a chiedere l’annessione al Piemonte, dove appunto arriva la terza e ultima tappa italiana: Torino, la prima capitale. Attraverso le Langhe, il Monferrato, Alba con il suo tartufo patrimonio mondiale del gusto, i vini (Barolo, Barbera, Barbaresco e Nebbiolo): non potevano i francesi non salutarli, sfidandoci su questo terreno, anzi terroir, da secoli. Proprio no. E infine il ritorno verso la Francia, ripartendo il 2 luglio da Pinerolo. L’arrivo a Nizza sarà una novità per la 111esima edizione del Tour, ma Parigi sarà blindata per le Olimpiadi.
Terra di campioni
Non solo storia e cultura, ma anche fatica e sudore, racconti di quando il motore era un lusso. Il Tour de France omaggerà tutti i campioni italiani che hanno conquistato la maglia gialla, a partire proprio dalla data: nel 2024 cadrà il centenario del primo successo di Ottavio Bottecchia (vinse nel 1924 e nel 1925). La partenza da Firenze è un saluto all’eroico Gino Bartali (1938 e 1948) e indirettamente al siciliano Vincenzo Nibali (2014) che è stato adottato dalla Toscana; il passaggio sulla salita di Tortona rappresenta invece tutto per “l’uomo solo al comando”, Fausto Coppi (1949 e 1952). Si passerà nella prima tappa anche sul Mugello, per un saluto a Gastone Nencini (1960) e poi nella Cesenatico di Marco Pantani (1998), che i francesi tanto hanno amato e tanto ci hanno invidiato: come dimenticare il loro neologismo Pantastique
coniato in un caldo pomeriggio di luglio sul leggendario Galibier. Chi manca? Felice Gimondi (1965), che era di Bergamo, ma, anche se il percorso non passa in Lombardia, già si è saputo che non mancherà un omaggio al breriano Nuvola Rossa
Qualche numero
Secondo uno studio commissionato dalla Regione, per le prime tre tappe del Tour si possono prevedere circa 1,8 milioni di spettatori presenti in Italia, di cui oltre 730mila in Emilia-Romagna. E circa 130mila presenze negli alberghi, la metà sempre in Emilia-Romagna. Importanti le ricadute economiche, con un indotto diretto di 59 milioni di euro, di cui 29 milioni in Emilia, più l’indotto e i benefici indiretti a livello nazionale per ulteriori 47 milioni, con altri 13 milioni sulle aziende della filiera del ciclismo.
È ANDATA IN SCENA A GIUGNO LA SECONDA EDIZIONE DE IL GIRO DEI VENTI: OTTO GIORNI TRA GRECIA E SALENTO, VELA E CICLISMO, ALL’INSEGNA DEL BENESSERE E DELLA NATURA, DELLA CULTURA E DELLE TRADIZIONI LOCALI
A Santa Maria di Leuca è andata in scena la seconda edizione de Il Giro dei Venti, la competizione esperienziale composta da tappe cicloturistiche e veleggiate sulle coste salentine e greche, ideata dal fondatore di Workness, il cavalier Sergio Filograna.
La manifestazione, organizzata con la collaborazione di Unione Europea, Regione Puglia e Agenzia Regionale del Turismo (Aret) Pugliapromozione, ha visto confrontarsi gli equipaggi composti da due velisti e due ciclisti in una vera e propria vacanza active di una settimana. A vincere è stato l'equipaggio Carofalo composto dai ciclisti Andrea Ragusa e Andrea Rizzo e dai velisti Mario Pedone e Giuseppe Liturri.
Tre le tappe cicloturistiche, con i partecipanti che hanno affrontato un tratto cronometrico che assegnava i punti per la classifica finale. La prima tappa, Leuca-Otranto e ritorno, sulla litoranea che si affaccia sulla dorsale rocciosa adriatica. La seconda tappa a Corfù, che ha permesso ai partecipanti di vedere sia il mare che le zone interne dell’isola, e la terza, Leuca-Gallipoli e ritorno, che ha permesso agli appassionati ciclisti di attraversare tutto il tratto costiero tra la vegetazione mediterranea e il mare.
Un successo per Riccardo Magrini, ex corridore professionista, direttore sportivo, telecronista e testimonial della sezione ciclismo de Il Giro dei Venti: “Quando il cavalier Filograna mi chiamò chiedendomi un supporto tecnico per il ciclismo mi sono entusiasmato”, ha raccontato Magrini, “ma non credevo mai di vedere un ambiente così sereno, con tanto benessere sia dalla parte del ciclismo
che della vela. Credo che questo mix di due sport completamente diversi, ma con il vento come unico denominatore, sia un successo su tutti i fronti”.
Due le veleggiate affrontate, nella prima a Corfù le barche hanno costeggiato la costa greca, mentre la seconda si è svolta in mare aperto, con partenza e arrivo nelle acque antistanti il porto di Leuca. Ciò che ha impreziosito Il Giro dei Venti sono state le experience come la notte nelle tende glamping, la piantumazione degli ulivi a beneficio di un territorio duramente colpito dalla Xylella, la visita di un antico frantoio, della città di Lecce e l’esperienza di Blue Therapy con il campione di apnea Umberto Pelizzari.
Grande attenzione anche verso le nuove generazioni, allo scopo di sensibilizzarle a interessi sani e abitudini corrette, sia rinnovando il sodalizio con l’Università del Salento e gli istituti superiori locali attraverso il progetto Sportness- Aule all’aperto, sia con l’inedito evento ‘I bambini del Giro’ che, con il supporto della Lega navale italiana e del Comitato provinciale Lecce della Federazione ciclistica italiana, ha coinvolto più di 120 bambini tra i 5 e i 12 anni, facendoli cimentare in una gara di ciclismo su pista e in una piccola regata in pieno stile Giro dei Venti.
Il Giro dei Venti è un evento organizzato in collaborazione con Unione Europea, Regione Puglia, PO Puglia FESR FSE 2014-2020 Asse VI Azione 6.8 e Pugliapromozione. Per scoprire di più sul Giro dei venti e su tutte le altre attività della Regione visita il sito www.viaggiareinpuglia.it.
LE GRANFONDO RAPPRESENTANO, DA OLTRE 30 ANNI, LA QUOTA DEL CICLISMO CON PIÙ PRATICANTI. RACCONTARLE
È UN MODO UNICO PER SCOPRIRE TERRITORI E STORIE
CHE ANIMANO L’AMBIENTE DELLE DUE RUOTE SU STRADA
Che cosa sia una granfondo su strada lo sa praticamente chiunque ami lo sport, che ne abbia percorsa una in prima persona o che ne abbia ascoltato il raccontato da amici e appassionati. Da oltre 30 anni in Italia esistono un centinaio di organizzatori che ogni anno presentano la loro proposta-evento fatta di uno o più percorsi spettacolari dal punto di vista paesaggistico e/o tecnico, un pacco gara, un cronometraggio personalizzato e un dopo gara che diventa un momento di condivisione e meritato ristoro. Ma per organizzare una granfondo serve un lavoro di mesi e mesi, a partire dai permessi di transito in ogni comune coinvolto nel percorso, nella viabilità generale e nella verifica delle condizioni delle strade. La domenica della gara, poi, servono centinaia di volontari, di addetti specializzati nella gestione del traffico (asa), motostaffette, autoambulanze in proporzione al numero di partecipanti, medici di pronto intervento e sicuramente mi dimentico qualcosa. Dunque, come dico sempre, non ci sarebbe divertimento senza gli organizzatori, “non ci sarebbe la partita senza la palla”.
Non tutti gli organizzatori, occorre dire, sono in grado di garantire i medesimi standard qualitativi, specie a livello di sicurezza, e questo aspetto è tra le cose che, le federazioni ciclistiche con un gruppo di organizzatori associati, ha cercato di monitorare a partire da questa stagione. Infatti chi non dovesse rispecchiare certi parametri dovrà adeguarsi risolvendo le criticità, se vorrà organizzare l’anno successivo. Un progetto importante per la crescita in generale del “prodotto granfondo”.
La stagione delle granfondo da sempre parte con delle prove in Liguria nel mese di febbraio in particolare a Laigueglia. Dopo di che da marzo in poi ogni domenica vengono organizzate diverse manifestazioni: da un minimo di 5 a un massimo di 10 ogni domenica. Questo per far comprendere perché in Italia ci sono oltre 40mila ciclisti che partecipano almeno a 3-4 granfondo in un anno.
Bisogna ammettere che il periodo del Covid, che ha bloccato completamente una stagione di eventi nel ciclismo amatoriale (2020) e parte del 2021, ha lasciato qualche strascico numerico negli ultimi due anni. Qualcuno si è perso per motivi di salute, altri per motivi economici, altri ancora hanno imparato a pedalare e a divertirsi più vicino a casa favorendo la loro presenza in famiglia nel week end. Questa finestra, come per altri settori, si sta lentamente chiudendo e, a partire dal 2022, confermato in questa prima parte di 2023, gli appassionati delle gran fondo stanno tornando, anche se magari ciascuno con un numero di gare annuali inferiore.
Resta il fatto che nessun movimento ciclistico può contare più di 40mila cicloamatori che, nel corso dello stesso anno, praticano la stessa attività con un numero anteriore sul davanti della propria bicicletta e quasi sempre lontano da casa. E resta il fatto che nessuna attività sportiva attiva (cioè escludendo eventi calcistici, motoristici, ecc… che muovono migliaia di persone per andare a vedere un evento ma in modo sportivamente passivo), ha la capacità di creare turismo e relativo indotto come fa il settore delle granfondo su strada. Verso località che, chi prima e chi dopo, hanno sempre finanziato un evento con questa finalità.
Certamente si cerca di farlo fuori stagione (marzo-giugno o settembre), per ovvi motivi turistici e di viabilità stradale, ma in fondo, per andare in bicicletta, potrebbe essere ancora meglio, in quanto pedalare con 20°- 25° potrebbe essere per molti più piacevole che non con 30° o 35°.
Per descrivere questo mondo, un mondo ancora in salute, Bike Channel ha ideato anche un format: si chiama Granfondo Week, le cui puntate potete rivedere anche su Bikechannel.it.
* Già editore e direttore della rivista Granfondo, conduce Granfondo Week su Bike Channel.
LA ROMA XXIVH È L’UNICA VENTIQUATTR’ORE ITALIANA IN BICICLETTA SU UN CIRCUITO INTERNAZIONALE. GIUNTA ALLA TERZA EDIZIONE OFFRE COMPETIZIONI E DIVERTIMENTO PER ATLETI, AMATORI E BAMBINI
Tra il 15 e il 16 luglio, nell’autodromo di Vallelunga, andrà in scena la Roma XXIVh, la prima ventiquattr’ore d’Italia in bici da corsa in un circuito internazionale. L’evento, alla sua terza edizione, è stato organizzato da Emiliano Cantagallo, fondatore di Roma Bike Park, insieme all’ex pilota di Formula 1 Giancarlo Fisichella.
Un weekend con quattro eventi in uno, in un villaggio unico, il paddock dell’autodromo, dove ci saranno cibo, fitness e musica. Il cuore di una festa della bicicletta aperta a tutti: atleti, amatori, bambini e accompagnatori.
Emiliano Cantagallo, intervistato da BIKE, ha parlato delle novità di questa edizione: “In soli tre anni abbiamo ottenuto un sigillo di qualità, quello della Certificazione dell’Ultracycling Italia e l’inserimento nella Time Trial Cup, la coppa Ultracycling Acsi internazionale che svelerà il più forte Ultraciclista su suolo italiano nella sfida contro il tempo. È una certificazione di qualità: un evento internazionale all’interno di un impianto di livello internazionale”.
Dalle ore 20 di sabato 15 luglio alle 20 del giorno dopo, la “Roma XXIVh in bici” avrà le stesse formule delle 24 ore automobilistiche, con atleti o semplici appassionati che si sfideranno fino all’ultimo minuto lungo i 4.085 metri dell’Autodromo internazionale di Vallelunga per vedere chi avrà compiuto più chilometri in un giorno intero.
Sono nove le categorie competitive e 12 quelle non competitive: individuale (uomini e donne); coppie (maschile, femminile e misto); team da quattro (uomini e donne); team da otto (uomini e donne). Squadre anche da 12 componenti nella formula
Experience non competitiva con ai nastri di partenza aziende importanti nel mondo del ciclismo e non solo come Dmt, Alè Team, Sara Assicurazioni e Cipollini: una staffetta per chiunque voglia condividere una piccola grande impresa con amici o colleghi.
Parallelamente all’attività in pista ci sarà anche un’endurance per il fitness. La Roma XXIVh Group Cycling a sua volta è l’unica 24h in Italia di indoor cycling dove le squadre, a suon di musica e watt, dovranno tenere attiva una Group Cycle Bike della Technogym per tutto il tempo.
Spazio anche ai giovani con la Minifondo Roma XXIVh dedicata a bambini e ragazzi fino ai 16 anni, con un’area di 600 mq e un percorso gincana per coinvolgere i bambini nell’uso della bicicletta a livello agonistico e ricreativo, sensibilizzandoli a valori delle due ruote come la scoperta del territorio e la mobilità sostenibile.
Il tutto, come detto, in un villaggio con la Roma XXIVh Expo & Music che attrarrà anche chi non vuole pedalare con stand gastronomici e la musica di Radio Dimensione Suono Roma che accompagnerà le gare in corso di svolgimento.
Quattro eventi in uno, con le due ruote e il dna fortemente romano a fare da filo conduttore. “Abbiamo aperto le iscrizioni il 21 aprile, prosegue Cantagallo, “e le chiuderemo a 753 iscritti per la pista e 753 e per l’indoor: 753 come l’anno di fondazione di Roma. L’obiettivo è fare una festa di Roma, dal punto di vista ciclistico e non, com’era il Big Gym, dove l’evento di fitness faceva da sfondo a una festa per tutti. Non si può mancare”.
LA TRIPLICE TI SOLLETICA, MA NON SAI DA DOVE COMINCIARE?
ECCO UNA SEMPLICE GUIDA IN DIECI PASSI PER CHI VUOLE PRATICARE
QUESTA AFFASCINANTE DISCIPLINA MA NON CI HA MAI PROVATO PRIMA
1. La scelta della squadra. Il triathlon è uno sport individuale, certo, ma la condivisione della fatica è uno dei segreti per vivere alla grande quest’avventura. Consigli, pianificazione allenamenti, trasferte, gare… farlo insieme è più bello! Sul sito della Federazione italiana triathlon, suddivise per regione e provincie, ci sono centinaia di squadre.
2. Individuare il proprio coach. Il “fai da te” nel triathlon, soprattutto per i neofiti degli sport di endurance, è sconsigliato! La triplice è uno sport complesso: cinque frazioni (già, ci sono anche le due transizioni!) che non si possono allenare come si allenerebbero le singole discipline (nuoto, ciclismo e corsa). Programmare allenamento e recupero è fondamentale. E un ottimo rapporto con il proprio allenatore lo è altrettanto: il coach, infatti, deve essere preparato, ma soprattuto capace di comunicare in maniera efficace. Altro piccolo consiglio: evitare tabelle “magiche”, quelle per "diventare un super triatleta in 10 giorni!", che si trovano su internet. La pillola magica non esiste. Sudore, fatica e soprattutto godersi la fatica, farsela amica fino a conquistarsi, con orgoglio e soddisfazione, l’agognata finish line
3. Prendersi cura dell’allenamento. Se il coach dice di fare 10 chilometri di corsa a 5' al chilometro, non sei “più figo” se ne fai 20 a 4'30". Stai stressando il tuo corpo e questa voglia di strafare, può portarti al temutissimo overtraining, da scongiurare. Affidati in tutto alla programmzione concordata e, altro piccolo consiglio, se non sei un nuotatore, concentrati inizialmente sul lavoro, tanto, e sulla tecnica, tantissima, di nuoto corretta: la prima frazione infatti può tramutare la tua gara in un'agonia, prosciugando energie e impedendoti di goderti le successive due esprimendoti al meglio. Un allenatore a bordo vasca è il regalo migliore che puoi farti!
4. Monitorare recupero e progressi. Per i triatleti più esperti il giorno, o i momenti, di recupero tra una sessione e l'altra di allenamento, sono i più duri da digerire. Perché ci piace fare endurance e più si macinano chilometri, più se ne vorrebbero macinare, tempo permettendo. Ma occhio all'overtraining! Lo stimolo allenante deve essere adeguato e deve essere seguito dal giusto riposo che permetta al fisico di “digerirlo” per poi essere in grado di diventare ancora più performante. Tieni dunque un diario dei tuoi allenamenti, con tempi, progressi e sensazioni.
5. Scegliere con attenzione i materiali. Al triatleta piace piacere. È un po' narciso e ama stupire i suoi "avversari" in zona cambio sfoggiando abbigliamento all'ultimo grido, bici sfavillanti e scarpe che "corrono da sole". La realtà, però, è che, come di-
ceva Alfredo Binda, ghe vorèn i garùn ("ci vogliono le gambe"). Per iniziare, dunque, va benissimo una bici di seconda mano, una muta entry level, il body del proprio team e scarpe confortevoli. C’è tempo per aggiornare la dotazione.
6. Corpo, mente e alimentazione. Il triathlon è una grande opportunità per fare un bel check up completo e vedere come sta il nostro corpo. Nella triplice, poi, è fondamentale l'aspetto mentale... Non sto dicendo che sia necessario munirsi di un mental coach (che comunque non è una cattiva idea!), ma sicuramente potresti leggere qualche manuale sul come usare la tua mente come tua amica nelle situazioni di difficoltà che si incnotrano durante un triathlon. Altrettanto importante è l’alimentazione: nessuna dieta particolare, la parola d'ordine deve essere consapevolezza, in questo caso, del cibo che introduci nel tuo corpo. È la tua benzina!
7. Leggere i regolamenti. Informarsi sulle norme che regolano la gara ti permetterà di arrivare più sereno al giorno della competizione. Le puoi trovare sul sito Fitri.it e comunque affidati, quando arriverai al campo gara, ai giudici: sono lì per aiutarti e per farti vivere la tua gara con serenità! In fondo, dovrai solo nuotare, pedalare, correre. E godertela!
8. La prima gara. Il consiglio, per tutti, è partire con una gara “corta”, un triathlon sprint (750 metri di nuoto, 20 chilometri di ciclismo, 5 chilometri di corsa). Anche se vieni da altri sport di endurance e ti conosci. Non conosci ancora la triplice, la zona cambio, le transizioni, l'atmosfera di una gara di triathlon che, vale sempre la pena ricordarlo, non è mai la semplice somma di nuoto, bici e corsa (più due transizioni), ma uno sport a sé stante, da conoscere e rispettare. Che sia in Italia o all'estero, vai sul calendario di Mondotriathlon.it e trova la gara (sprint!) che fa per te:
9. Informati! Se guardi le nostre interviste su Bike Channel (e Bikechannel.it) per il format Mondo Triathlon (le trovi anche su Mondotriathlon.it), potrai scoprire i racconti di tanti amici, grandi campioni, organizzatori, amatori come te, che raccontano la loro vita da triathleti e che cosa significa per loro questo sport nella quotidianità.
10. Divertiti. Il triathlon può diventare maestro di vita e insegnare ad affrontare e vincere tante sfide, anche nella tua quotidianità. Ma ricordalo sempre: il tuo mantra deve essere quello di divertirti e di goderti il tuo percorso. Celebrando anche i successi, ma apprezzando soprattutto il processo di miglioramento continuo che la triplice saprà regalarti!
* Triatleta, giornalista e speaker, Mondotriathlon.it
PEDALARE IN LIBERTÀ: PERSONE E PERCORSI
IN AUTUNNO VITTORIA BUSSI CERCA DI RIPRENDERSI IL RECORD DELL’ORA SU PISTA. NON SOLO UN’IMPRESA
SPORTIVA MA UNA STORIA DI RIPARTENZA COSTRUITA GRAZIE ALLA PASSIONE PER LO SPORT E PER LA MATEMATICA
Vittoria Bussi pedala più forte di Fausto Coppi. Nel 2018 ha battuto il record dell’ora su pista (48,007 km), poi è stata superata nel 2021 dal Joscelin Lowden (48,405 km) e successivamente da Ellen Van Dijk con 49.254 km. In autunno ci ritenterà.
Qual è il suo obiettivo?
Abbattere il muro dei 50 chilometri. Si punta alla luna per colpire l’aquila. Se poi farò 49 km e 300 metri andrà bene lo stesso.
Lei non proviene dal ciclismo professionistico e aveva addirittura iniziato la carriera universitaria. Perché ha cambiato strada iniziando a pedalare?
Nessuno pratica il ciclismo nella mia famiglia e io non ero nemmeno tanto appassionata di bici. Avevo paura persino di cadere e ho tenuto le rotelle per tanto tempo. Però la vita, a volte, ti sorprende. Praticavo atletica leggera che ancora oggi è una delle mie grandi passioni. Correvo nelle specialità del mezzofondo e partecipavo alle gare campestri. Nel frattempo studiavo e ho deciso di proseguire per conseguire una laurea in matematica. Ho così scoperto la carriera accademica iniziando a chiedere delle borse di studio presso le Università europee e americane. Nel 2010, all’età di 23 anni, sono riuscita a vincerne una presso l’Università di Oxford. Sono partita per l’Inghilterra mettendo ovviamente da parte il sogno dell’atletica leggera, ma ciò che reprimi, prima o poi, riaffiora. Mentre ero ad Oxford ho perso mio padre all’improvviso ed è stato un lutto che mi ha cambiato profondamente. Mi accorsi che si era rotto in me un ingranaggio ed era come se avessi perso una bussola. Ho iniziato allora a praticare sport ed è stata la mia salvezza. Sapevo correre e nuotare e ho iniziato ad allenarmi nel triathlon, una disciplina molto di moda in Inghilterra. Nella prima gara alla quale ho partecipato mi accorsi di essere molto forte nella frazione in bici. Così, nel giro di pochi mesi, sono stata contattata da Fanini che mi ha chiesto di trasferirmi in Italia e correre con la sua squadra. Ho perciò accantonato la matematica per dedicarmi al ciclismo.
Perché ha iniziato a dedicarsi alla pista?
È una disciplina che fa per me: unisce il mestiere di matematico a quello di atleta.
Quando ha scoperto di andare molto forte a cronometro?
Abbastanza presto. Ho ritrovato nella prova contro il tempo una disciplina simile a quella che praticavo in precedenza, l’atletica leggera, che è uno sport sostanzialmente individuale.
Che cosa ha significato per lei battere il record dell’ora nel 2018?
Ho trovato la pace con me stessa. Io credo che ognuno debba cercare un senso alla propria vita. In quel momento il record dell’ora mi ha conferito una dimensione che non avevo e mi ha fatto crescere come persona.
Come trova le risorse per portare avanti i suoi progetti sportivi?
Ho alcuni sponsor e ho anche attivato una campagna di raccolta fondi che ha avuto successo.
Perché non si è appoggiata a un team già esistente?
Quando, a 27 anni, sono arrivata nel professionismo mi sono scontrata con un mondo che non mi dava soddisfazioni. Mi sono accorta della presenza di parecchi tuttologhi e di un ambiente gerarchico. Io credo, invece, che l’atleta debba essere una persona pensante. Oggi posso decidere in autonomia ogni mia scelta assieme al mio compagno e al gruppo di lavoro che ho costituito.
Si considera alla stregua di un’imprenditrice?
Direi di sì perché, insieme ai miei collaboratori, mi occupo di tutto, dalle questioni amministrative a curare i rapporti con gli sponsor.
Come si sta preparando all’avvicinamento del tentativo di record?
Intanto ho trovato alcuni sponsor che credono in me. Ho avuto soprattutto il coraggio di dire a tutti che questo record del mondo costa e quindi occorreva un aiuto economico. Ho promosso una raccolta con il crowdfunding che è andata molto bene. Il fatto di aver voluto condividere questa impresa con altre persone è molto importante. Desidero far partecipe tutti del mio impegno perché credo che questa sfida sia simile alle tante che capitano nel mondo del lavoro. Ognuno si può riconoscere in qualche modo in ciò che faccio.
Qual è la motivazione che la porta ad affrontare la fatica degli allenamenti?
Non mi pesa perché ho la sensazione di essere al posto giusto, sento molto mio questo progetto. Io non ho uno sciame di collaboratori al mio servizio come nelle squadre professionistiche, ma credo che rimboccandosi le maniche sia comunque possibile raggiungere il risultato. Questa è la sfida e anche il messaggio che voglio comunicare alle persone. Certo, sono cosciente di essere un’outsider in questo mondo che ha certe regole.
Come si sta preparando al record?
Ognuno ha il suo ruolo all’interno del mio gruppo: c’è il nutrizionista, il preparatore ciclistico, c’è chi cura il respiro e chi la parte psicologica e mi faccio aiutare dal tecnico che mi segue in palestra. Sto
effettuando dei periodi di preparazione ad alta quota, altri in velodromo, e tutto procede per il meglio. Sono fiduciosa.
Quanto è importante la sua formazione matematica in questa impresa?
È fondamentale perché l’80 % della potenza che eroghiamo è dovuto al drag, ovvero dal coefficiente di resistenza aerodinamica, ciò che il nostro corpo crea quando impatta con l’aria. Studiare i flussi aerodinamici è fondamentale per “limare” il più possibile e ottenere il risultato migliore. Dobbiamo anche considerare che sono io che scelgo i materiali da utilizzare, non ho imposizioni da parte degli sponsor. Ho scritto alle aziende produttrici di caschi, ho fatto i testi e poi scelto quello che per me era il migliore.
DOPO AVER APPESO LA BICI AL CHIODO FABIO ARU
HA RILANCIATO L’ATTIVITÀ DELLA SUA ACADEMY.
NATA PER OFFRIRE SUPPORTO CONCRETO AI GIOVANI
DELLA SARDEGNA CHE SOGNANO DA CAMPIONI,
HA COME PRIMO OBIETTIVO L’ASPETTO LUDICO
MA GRAZIE A SPONSOR E PERSONALE QUALIFICATO
È UNA FINESTRA AGEVOLATA SULLE GARE NAZIONALI
L’ultima corsa di Fabio Aru è stata la cronometro alla Vuelta di Spagna nel 2021, con arrivo a Santiago de Compostela. Lo scalatore sardo ha terminato così il buen camino di un’importante carriera tra i professionisti, cominciata nel 2012 insieme all’Astana. Un’avventura lunga, intensa, con tanti alti e altrettanti bassi. Il Cavaliere dei Quattro Mori ha poi intrapreso un’altra strada, ma sempre con il comun denominatore della bicicletta. Da quanto ha smesso, infatti, non è cambiato quasi nulla nella sua vita, non fa gare ma va sempre in bici. Per quanto riguarda invece la sfera della vita privata, Fabio è diventato papà per la seconda volta, grazie alla nascita della sua Ludovica.
Aru, da quando ha appeso la bici al chiodo a livello agonistico, ha un sogno ed è quello di vedere, un giorno, un giovane sardo tra i professionisti del ciclismo mondiale. Da qui l’idea di avviare la sua scuola di ciclismo a Villacidro (Vs), suo paese di nascita, la Fabio Aru Academy. Un modo anche per restituire qualcosa alla sua terra, la Sardegna.
Fabio, come stai?
Sto bene grazie, sono molto impegnato ma felice.
C ome e quando è nata la Fabio Aru Academy?
L’idea è nata a fine 2017 con il nome di Accademia Fabio Aru ma io ero ancora in attività ed è cominciata con l’essere una piccola squadra satellite della mia prima società ciclistica, la mtb Piscina Irgas, con circa 30/40 bambini. Una volta smesso con il professionismo mi piaceva l’idea di essere sempre più partecipe e aiutare questa scuola di ciclismo così abbiamo modificato leggermente il nome in Fabio Aru Academy. Oggi abbiamo quattro direttori sportivi che tengono lezioni quotidiane e i nostri ragazzi vanno dai giovanissimi fino agli Juniores.
Che progetto è quello della Fabio Aru Academy?
E’ un progetto che nasce con l’intento di avvicinare i bambini al mondo del ciclismo, dando loro la possibilità di inseguire i propri sogni facendo si che questi possano confrontarsi con la realtà ciclistica presente nella penisola. Quando ero ragazzino, mi sono dovuto spostare in Emilia Romagna per il ciclocross e in Lombardia per la strada, per poter inseguire il sogno di diventare un ciclista professionista perchè in Sardegna mancavano le strutture adatte. Non è stato facilissimo.
Qual è l’obiettivo?
Per i più giovani è sicuramente il divertimento. L’obiettivo è poi quello di far crescere i ragazzi dandogli la possibilità di fare qualche esperienza nazionale, sia su strada ma anche in mtb e ciclocross. Sono tutte esperienze che per chi vive in penisola sono facili, ma per noi non è così: l’organizzazione è complessa e spesso gli spostamenti – oltre a richiedere una grande organizzazione – sono spesso
onerosi. Per fare tutto questo c’è bisogno di una struttura che metta a disposizione dei tecnici che possano seguire i ragazzi durante le trasferte, perchè le famiglie lavorano e spesso non riescono a seguire i loro figli. Il confronto nazionale, inoltre, è importante per crescere: se io non mi fossi spostato non sarei arrivato dove sono arrivato”.
C he cosa stai imparando in questa nuova avventura? Per me è un gioco e una grande soddisfazione. È una passione che porto avanti e sto imparando molto a livello organizzativo.
Da quanto ha salutato il professionismo che persona è oggi Fabio?
Fino a quando sei professionista vivi in un mondo un po’ ovattato dove tutto gira intorno all’allenamento e alla performance in gara. Da quando ho smesso di correre in bici sono sempre molto impegnato ma riesco fortunatamente a passare più tempo con la mia famiglia, a prendermi i miei spazi riuscendo quindi a staccare completamente la spina quando necessario.
I bambini di og gi invece che rapporto hanno con la bicicletta?
Abbiamo fatto un po’ di statistiche e ci siamo resi conto che, per quando riguarda Villacidro, nella parte Nord del paese, essendoci tante salite e discese c’è una percentuale più alta di bambini che non sanno andare in bicicletta a differenza della parte più bassa, in cui prevale la pianura e dove ci sono più bambini che sanno usare la bici. Il ciclismo è uno sport che attira molto, ma spesso oneroso e per questo ho voluto dar vita a questa Academy: per dare la possibilità ai bambini di avvicinarsi a questo sport. In Sardegna ci sono altre scuole di ciclismo oltre alla mia e questo mi rende molto felice. Io ho deciso di crearne una nel mio paese di nascita a Villacidro con il semplice motto: “Viva il ciclismo”.
TANTE LE REALTÀ CHE SOSTENGONO IL PROGETTO DELL'EX PROFESSIONISTA
DAI BRAND CHE LO HANNO ACCOMPAGNATO
NELLA SUA CARRIERA, COME ASSOS, SPECIALIZED ED EKOI, AI SUPERMERCATI
CRAI E AI PRODOTTI CUORE DELL'ISOLA
Chi ti supporta in questo progetto?
Ho trovato un grandissimo supporto dagli sponsor di cui sono ambassador: Assos, Specialized Italia ed Ekoi. Assos, per la prima volta dal 1976, ha sviluppato la linea bambino per l’abbigliamento da bici per poterlo fornire ai bambini della Fabio Aru Academy compresi tra i 5 e i 10 anni. Specialized Italia, invece, ha un’ampia gamma di prodotti che ci fornisce in base alle nostre esigenze. In questo progetto ho ricevuto un enorme supporto anche dai supermercati Crai e da Cuore dell’Isola, che sono prodotti sardi, e questo mi rende comunque molto orgoglioso.
A maggio hai portato la tua Academy nelle scuole in Sardegna per sensibilizzare i più piccoli ai valori dello sport. Sono stati 1.500 gli alunni delle scole elementari coinvolti in un tour che è durato cinque giorni. Com’e’ andata?
È andata molto bene. Abbiamo organizzato questo progetto su una settimana e sono state giornate impegnative, siamo riusciti a concentrare in cinque giorni sei istituti dove ho visto tanto entusiasmo.
Progetto dal nome ‘A scuola di bici’, tour che è cominciato proprio a Villacidro, il paese in cui sei nato, e nella
tua scuola elementare. Che effetto ti ha fatto tornare sui banchi dopo così tanto tempo e dopo la carriera che sognavi da bambino?
È stato bello, è la mia scuola elementare, a 100 metri da casa mia, a Villacidro in via Cavour. Ciò che ho fatto in tutti questi anni di carriera è impresso nella testa e negli occhi dei bambini nonostante la loro giovane età. Conosco bene la realtà sarda e so quali difficoltà si possano riscontrare nel non avere una struttura idonea a supportare un certo tipo di attività sportiva. L’impegno che ci stiamo mettendo è notevole ma la soddisfazione è grande.
Che consiglio daresti ai più piccoli che si avvicinano al mondo del ciclismo?
Dipende dalle categorie, ma il divertimento deve essere alla base. Con la Fabio Aru Academy puntiamo molto sulla multidisciplina, che anche negli ultimi anni abbiamo notato essere fondamentale. Abbiamo un percorso di ciclocross, un percorso per la mtb, una gincana per i più piccoli e un anello su strada. Man mano che si cresce poi l’allenamento diventa sempre più specifico e strutturato ma la passione e il divertimento devono rimanere alla base di tutto.
I BRAMBILLA FAMIGLIA DI CAMPIONI. BICICLETTE D’EPOCA
RACCONTA LA VICENDA, UMANA E SPORTIVA, DELLA DINASTIA INIZIATA CON CESARE, PROSEGUITA CON IL CUGINO TITO, E IL NIPOTE PIERRE, PASSANDO DALL’IRIDATO BEPPE SARONNI
Il ciclismo è uno sport di famiglia. Sia come passione che come disciplina da praticare. Penso ad Ernesto Vigna, padre dell’olimpionico Marino, o a Ettore Balmamion, zio del due volte vincitore del Giro d’Italia Franco. E penso alla famiglia Brambilla, originaria della stretta provincia milanese, attiva tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Il primo fu Cesare (classe 1885), campione italiano nella velocità nel 1902. Vive la miglior stagione nel 1906 quando, nella sorpresa generale, vince il Giro di Lombardia, superando in volata il
compagno di squadra Carlo Galetti e Luigi Ganna. Venne poi il cugino Tito, lombardo di San Vittore Olona (1897). Tra i suoi compagni di squadra, nella già gloriosa U.S. Legnanese, c’è un ragazzo di Parabiago, Libero Ferrario (1901). I due fanno amicizia e diventano inseparabili compari di allenamento. Nel 1923 Ferrario sarà il primo Campione del Mondo su strada nella categoria Dilettanti (per
Tito corre con Ugo Bianchi, poi fondamentale meccanico della Legnano guidata da l’Avvocat Pavesi e Binda. Oppure con Domenico Piemontesi (vincitore poi di 11 tappe al Giro d’Italia, del Giro di Lombardia e sarà terzo al traguardo dei quattro italiani al Campionato del Mondo di Adenau del 1927). Corre anche con Giuseppe Tragella, successivamente DS della Bianchi di Coppi.
Nella primavera del 1924 Brambilla partecipa alla Milano-Sanremo, classificandosi intorno alla quarantesima posizione. Meglio fa in autunno, quando ottiene un 16° posto al Giro di Lombardia (1924), quello in cui si mette in luce un giovanissimo Binda (sarà poi quarto), vinto da Brunero su Girardengo. Nel 1925 partecipa al Giro d’Italia, il primo conquistato dall’astro nascente Alfredo Binda, dove Brambilla si classifica al 28° posto. Tito è uomo di fatica, si esaltano le sue doti di gran passista.
L’anno successivo partecipa ancora alla Milano-Saremo classificandosi al 33° posto. Nel 1929 la famiglia Brambilla si allarga. Tito diventa padre di Giuseppina, futura mamma di Giuseppe Saronni (Campione del Mondo nel 1982).
Terzo e non meno importante componente della famiglia Brambilla ciclistica è Pierre. È nipote di Cesare Brambilla (figlio di un fratello emigrato in Svizzera), nato nel 1919. Pierre mantiene inizialmente la nazionalità italiana e questo gli permette di partecipare al primo Tour de France del dopoguerra (1947) con la maglia azzurra.
Di più, Brambilla rischia di vincerlo quel Tour. Prima dell'ultima tappa è maglia gialla con 53 secondi sul compagno Aldo Ronconi e 2'58" su Robic. Nell’ultima frazione, però, i francesi portano un attacco congiunto (con Robic, Fachleitner e Teisseire). Brambilla va in crisi precipita in classifica generale. Quel Tour fu vinto da Robic, Testa di vetro. Nel 1949 Pierre richiede e ottiene la cittadinanza francese. Per approfondimenti vi rimandiamo al numero di Biciclette d’Epoca attualmente in edicola.
*Oltre a curare il blog Inbarbaallebici.wordpress.com collabora con Biciclette d’Epoca e nell’ambito dell’omonimo format tv su Bike Channel interviene con approfondimenti e curiosità.
TRA CARATE BRIANZA E CALÒ, FRAZIONE DI BESANA,
C’È UNO STRAPPO TERRIBILE CHE RICORDA I MURI DELLE FIANDRE
E DELLE ARDENNE. QUI UN TEMPO PREPARAVA LE CLASSICHE DEL NORD IL CAMPIONISSIMO, QUALCHE VOLTA CI PASSA LA COPPA AGOSTONI
E OGNI WEEKEND TANTI APPASSIONATI PER IMMERGERSI NEL VERDE
A poche decine di metri dalle strade trafficate della Brianza, dove la presenza di aziende è spesso direttamente proporzionale all’andirivieni di camion e auto, è possibile trovare un piccolo paradiso del ciclista: di fatto un muro ciclabile che mette a dura prova le gambe degli appassionati. È il suggestivo Muro dell’Orlanda, asperità incantevole per lo scenario in cui è collocata, ma tostissima per le pendenze condensate in poche centinaia di metri. Uno strappo breve e impegnativo, da affrontare dando tutto senza risparmiarsi.
La deviazione giusta viene scoperta quasi per caso nel corso delle uscite in bicicletta lungo la direttrice più occidentale delle vie che conducono alle celebri ascese della Brianza. Quella orientale (strada provinciale 51) porta da Lesmo a Casatenovo e poi, a scelta dei cicloamatori, verso il Lissolo o Colle Brianza. Questa (strada provinciale 6) parte da Monza fiancheggiando lo splendido Parco della Villa Reale e conduce fino a Erba e poi al mitico Ghisallo. Circa a metà del percorso, all’altezza della seconda rotonda di Carate Brianza, si gira a destra in direzione di Monticello. Dopo poche centinaia di metri, imboccando sempre sulla destra Via Fiume, si entra nel meraviglioso mondo del Muro dell’Or-
landa.Improvvisamente il traffico scompare e cala il silenzio. Si sente solo il gorgogliare del Lambro in mezzo a questa gola verdeggiante che ricorda il centro Italia perché non è abituale associare certi paesaggi alla Lombardia che, invece, ne è piena quando ci si lascia alle spalle la sua immagine più scontata di regione industriale e caotica. Invece, la zona più ricca d’Italia sa essere anche molto bella. Come succede in questo angolo che scende verso il Lambro, qui simile a un torrente di montagna mentre, poche decine di chilometri più a sud, quando lambisce Milano diventa maleodorante e pieno di scarichi inquietanti
La discesa al fiume termina con una svolta a sinistra, il ponte e l’inizio del muro con un primo tornante nella strada che cambia nome e assume la denominazione poetica di Via delle Sette Gocce. Il tratto iniziale intorno all’8% di pendenza, poi il secondo tornante ultimo momento utile a rifiatare e via con lo strappo sempre superiore al 10% con punte quasi al 17%. Il sollievo inizia con l’indicazione del cartello che segnala la sbarra del passaggio a livello in corrispondenza della piccola e amena stazione di Carate-Calò. Qui la fatica è alle spalle e il ciclista può godersi il panorama.
È tutto verdissimo con macchine quasi assenti e stranamente sono pochi anche i ciclisti. Capita di incrociarne qualcuna e viene da chiedersi quale motivo spinga a passare proprio da questo tratto con tutte le strade intorno meno tortuose.
È uno spettacolo pedalare in un alternarsi da falsopiano lungo i muri di cinta delle splendide ville della ricca borghesia lombarda disseminate lungo questa salita. Siepi perfettamente tenute, alberi altissimi che ombreggiano anche nelle giornate più calde, parchi enormi con prati tagliati sempre alla perfezione. È uno scenario che rimanda quasi alle atmosfere descritte da Alessandro Manzoni. Chissà quali erano i pensieri di Fausto Coppi quando percorreva questa salita per allenarsi prima delle classiche del Nord. Il Campionissimo infatti aveva eletto il Muro dell’Orlanda a sua palestra ideale prima delle gare nelle Fiandre e nelle Ardenne per
la somiglianza con quegli strappi tremendi. A quei tempi i punti di contatto erano ancora superiori perché la strada non era asfaltata (lo sarebbe diventata solo nel 1997), ma presentava una pavimentazione in pavé come sui muri delle classiche di aprile.
Più di recente il Muro dell’Orlanda ha salutato il passaggio della Coppa Agostoni. In cima, quando si esce da questo chilometro lontano da tutto, ci si immette sulla strada che porta a Calò, frazione di Besana Brianza, dove si scollina per poi tornare verso Carate. È in quel tratto finale che si fiancheggia Villa Bolgeri Orlanda, realizzata nella seconda metà dell’800, che dà il nome al muro. Non è solo una salita ciclistica molto allenante, ma un
SI CHIAMA SENTIERO VALTELLINA LA CICLABILE CHE PORTA DA COLICO
A BORMIO FIANCHEGGIANDO L’ADDA: UN CENTINAIO DI CHILOMETRI
PEDALABILI DA CICLISTI DI OGNI LIVELLO, FACILMENTE ACCESSIBILI ANCHE
VIA TRENO E DOVE NON MANCANO MAI NOLEGGI, AREE SOSTA, PAESAGGI
Una ciclabile di 114 chilometri per passare dalla sponda orientale del Lago di Como ai 1.200 metri di Bormio. È il percorso offerto dal Sentiero Valtellina che parte da Colico e permette ai ciclisti di fiancheggiare l’Adda lungo tutta la vallata fino alle prime rampe del versante lombardo del Passo dello Stelvio. La strada è asfaltata per il 97%, quasi tutta, tranne un piccolo tratto di sterrato nella parte iniziale a Colico: quindi il tragitto è adatto a ogni tipo di bicicletta.
Sono tanti i punti di forza che attirano i ciclisti. La possibilità di pedalare completamente immersi nella natura: il Sentiero Valtellina segue il corso dell’Adda, lontano dalla strada delle auto. Una caratteristica che non appartiene a tante ciclabili, visto che le strade riservate alle biciclette spesso duplicano a distanza ravvicinata statali o provinciali con le macchine rombanti. In questo caso, invece, i ciclisti possono pedalare nel fondovalle lungo il fiume o in mezzo ai boschi. Il dislivello inoltre è avvicinabile anche da chi è meno allenato. Fino a Tirano la salita è abbordabilissima: dai 208 metri di Colico (dove parte anche la ciclabile che conduce a Chiavenna) ai 427 di Tirano in 82 chilometri. L’ascesa diventa più dura nei successivi 32 chilometri che conducono a Bormio con un dislivello di 773 metri. In questa parte finale nei mesi scorsi è stato necessario allestire un paio di varianti per esigenze di manutenzione a causa di qualche smottamento. Ma tutto è stato risolto per l’estate.
Piace molto ai ciclisti anche l’opzione rappresentata dalla possibilità di noleggiare le biciclette e riconsegnarle in un punto differente lungo il tragitto: in questo modo diventa possibile tornare in treno a Colico dopo aver completato la pedalata. Sono in tanti a raggiungere il Sentiero Valtellina anche dalla Svizzera tramite l’autobus postale da Saint Moritz o il trenino dei ghiacciai dall’Engadina a Tirano: un bel traguardo per un Paese come l’Italia che fino a pochi anni fa non era certo all’avanguardia in tema di piste ciclabili e intermodalità. Inoltre il Sentiero Valtellina offre molto aree di sosta attrezzate per ritemprarsi durante l’escursione in bici: sono ben 54. Non è ancora possibile sapere con certezza quanti sono i ciclisti che lo frequentano. Ma Valtellina Turismo, che si occupa della ciclabile, sta pensando anche a questo: presto saranno installate le colonnine che consentono di misurare i passaggi.
Notevole la cura che viene dedicata alla comunicazione della pista ciclabile. I siti www.valtellina.it e sentiero.valtellina.it sono molto particolareggiati. Oltre a mappa e altimetria offrono numerose informazioni sui punti interessanti da vedere lungo il percorso e gli hotel dove fermarsi a dormire in caso di escursione di più giorni. Chi volesse sbizzarrirsi all’arrivo a Bormio, infatti, può proseguire ancora più in alto con il sentiero Frodolfo verso Santa Caterina Valfurva oppure con il sentiero viola verso la Valdidentro. Un modo completamente nuovo di vivere la Valtellina.
TURISTICO PINEROLESE E VALLI E DALL’ECOMUSEO DI PRALI, ORA È POSSIBILE ATTRAVERSARE IN BICICLETTA
LA CAVA DI TALCO CHE SORGE 70 KM A SUD DI TORINO
Esistono infiniti modi per vivere a pieno le due ruote. Pedalare all’interno di una miniera rappresenta forse uno dei più suggestivi. Ed è possibile farlo a Prali (To) grazie al progetto Bike & Mine. La proposta nasce dalla sinergia tra Consorzio turistico pinerolese e valli ed Ecomuseo.
Prali è un piccolo comune di 262 abitanti a 72 chilometri a sud-ovest di Torino dove queste miniere rappresentano un unicum anche a livello storico e geologico: occorre tornare a 260 milioni di anni fa, quando nacquero le Alpi. La linea dei Margini convergenti dello scontro delle placche tettoniche dell’Africa e dell’Eurasia coinvolse proprio quel pezzo di Alpi che rende oggi l’Ecomuseo una rarità geologica straordinaria. Scoprialpi è la galleria che racchiude questo fenomeno – studiato all’estero, ma poco conosciuto in Italia – che custodisce la prova materiale della linea di scontro delle due placche. La roccia della galleria, nel punto dove i margini si accartocciarono l’un contro l’altro, spinti da forze immense, diverge completamente dalla roccia circostante: nella struttura, nella densità e in vari fenomeni marginali. Un qualcosa che, qui, si può toccare con mano.
Il progetto Scopriminiera nacque ben 25 anni fa per tenere in vita le Miniere di Talco della Val Germanasca. Dapprima l’Ecomuseo, che ora si arricchisce con la proposta bike: “Nato per preservare uno dei simboli identitari del territorio, l’Ecomuseo delle Miniere di Talco della val Germanasca e del
Chisone, chiamato familiarmente Scopriminiera, accoglie ogni anno migliaia di studenti e di famiglie nel periodo da marzo a novembre – racconta a BIKE la presidente, Laura Sottovia. “e ora siamo certi che la platea si potrà allargare poiché pedalare all’iterno di una miniera rappresenta un’esperienza unica”.
La Galleria Gianna di Prali, scavata dai minatori della Val Germanasca per cercare il talco, è lunga circa due chilometri ed entra nel ventre della Terra. Si tratta di un percorso medio facile che si può pedalare sia con la Mtb muscolare sia quella a pedalata assistita, in compagnia di un accompagnatore cicloturistico. Il ritrovo è sempre alle 9 a Prali: si parte attraversando su due ruote la miniera Gianna, e si sbuca ad Antouard, a Salza di Pinerolo, per salire al Colle delle Fontane. Il percorso, in totale, prevede circa 15 chilometri sulle due ruote.
“È un’esperienza unica a livello italiano sia per la tipologia di proposta sia per le caratteristiche della miniera”, sottolinea Rossana Turina, presidente del Consorzio turistico pinerolese e valle. Gianna è, infatti, una delle rare gallerie minerarie “one way”, ovvero si entra da una valle, quella di Prali, la stazione turistica più conosciuta e si esce nella valle parallela, quella di Salza, bella e riservata, con offerte gastronomiche e curiosità di rilievo. Per prenotazioni e info: info@turismopinerolese.it oppure 331/ 3901745.
E VISITABILI ANCORA OGGI: ECCO I SUGGERIMENTI PER RIPERCORRE IN MOUNTAIN BIKE LA LINEA CADORNA, SEGUENDO GLI ITINERARI
SOLCATI DAGLI ALPINI NEL VERBANO AI TEMPI DELLA GRANDE GUERRA: UN’ESPERIENZA CHE TRASMETTE EMOZIONI FORTI E CONTRASTANTI
Le Alpi sono montagne in grado di regalare emozioni paesaggistiche da togliere il fiato. Storicamente però sono state anche teatro di eventi tragici, come quelli della Prima guerra mondiale, quando le vette rappresentavano punti strategici e i crinali invisibili confini da difendere. La Linea Cadorna è uno degli esempi più evidenti di tali sistemi difensivi. Situata sulle alture del Verbano, in Piemonte, è costituita da una fitta rete di strade, gallerie e trincee che sono giunte a noi intatte, grazie all’opera di recupero e ripristino degli Alpini.
Percorribili anche in mountain bike, muscolare o elettrica, sono diversi gli itinerari che si sviluppano su questi sentieri e variano per distanza, ma sono tutti accomunati dagli splendidi panorami che li circondano, con la vista che spazia dal Lago Maggiore alla Pianura Padana, dal Monte Rosa alle Alpi Svizzere. Il versante meridionale delle montagne è un vero e proprio balcone sul Lago Maggiore, soleggiato e caratterizzato da alpeggi e pascoli, mentre a Nord, verso la Valle Cannobina, i declivi sono om-
rocciose dei Grigioni.
La Linea Cadorna parte dalla strada Colle, raggiungibile da Piancavallo (Vb). La strada presenta pendenze limitate lasciando a Nord il monte Spalavera e i suoi 1.533 metri che, seppur apparentemente modesti, sono sempre stati considerati strategici. Appena sotto la cima si possono ammirare i resti di trincee e camminamenti che discendono in grotte scavate nella montagna, opere militari del secolo scorso.
Si scenda a Pian Puzzo puntando verso il Monte Bavarione. È una montagna più dolce tra quelle che caratterizzano la testata della Valle Intrasca. La vicinanza con il Monte Zeda, la Regina del Lago, ne ha contenuto le caratteristiche alpine, lasciando al Bavarione la morbidezza dei crinali e i pascoli dal verde intenso. Si prosegue sino a Passo Folungo percorrendo una strada militare che si inerpica sino al rifugio Pian Vadà (aperto su richiesta), di proprietà del Parco Nazionale Val Grande. Si riparte sulla strada percorso deviando a Passo
Si passa sul versante Nord e su sterrata forestale si raggiunge Pian d'Alpe dove, se gambe o batteria lo consentono, si più fare una piccola deviazione alla vicina Cima d'Alpe posta a 1.342 metri. La cima merita la visita sia per la posizione panoramica che per la presenza di una piccola caserma recentemente restaurata e un osservatorio militare nascosto tra i faggi. La lite tra le popolazioni dei paesi montani di Trarego e Aurano e quelli rivieraschi di Cannero e Oggebbio si è trascinata per secoli, a contesa dei pascoli e dei boschi della Spalavera. Oggi le quattro comunità si trovano a condividere lo spazio minimo di Colle, a ricordo della soluzione della lite e a testimonianza di quanto i pascoli e i boschi fossero un tempo al centro della vita e oggi al centro dello sviluppo. Attraversando un bosco di faggi, si giunge a Colle. Vicino alla fon-
tana parte il sentiero che conduce verso il Monte Morissolo, uno stupendo balcone sul Lago Maggiore, dove si possono visitare le gallerie fortificate della Linea. Il ritorno a Piancavallo avviene percorrendo la comoda strada militare pianeggiante, con mirabili elementi architettonici in pietra.
Infine una curiosità: da Colle sulla strada che conduce al Pian Vadà si trova Pian d’Arla, luogo di partenza della Lago Maggiore Zip Line, un cavo d’acciaio lungo 1.850 metri che, in un minuto e mezzo a 350 metri d’altezza da terra, regala la sensazione del volo in picchiata, sfiorando i 120 km/h sorvolando la Valle Intrasca al cospetto delle vette del Parco Nazionale Val Grande, il Pizzo Marona e il Monte Zeda, e ammirando in velocità il Lago Maggiore. Sempre che si riescano a tenere gli occhi aperti!
L’ITINERARIO PROPOSTO
Difficoltà Tecnica: Bassa
Difficoltà Fisica: Media
Tipologia: Circolare
Durata: 3h 45m
Lunghezza: 26,5km
Dislivello Complessivo: 916 m
Quota Massima: 2156 m
FINALMENTE LA CICLOVIA APPENNINICA ALTE MARCHE (CAAM)
È DIVENUTA REALTÀ. UN PROGETTO CHE, PUR AVENDO VISSUTO
UNA FASE DI GESTAZIONE NON BANALE, È RIUSCITO, COINVOLGENDO
NOVE COMUNI E DUE PROVINCE (ANCONA E PESARO-URBINO)
A PROMUOVERE LE ECCELLENZE DEL TERRITORIO
Ci sono voluti quattro anni abbondanti, ma finalmente la Caam, Ciclovia appenninica alte Marche, è diventata realtà a fine aprile. Un progetto che è stato capace di raggruppare nove comuni (Acqualagna, Cagli, Piobbico, Apecchio, Cantiano, Sassoferrato, Arcevia, Serra Sant’Abbondio e Frontone) e due province (Pesaro-Urbino e Ancona). Risultato, di questi tempi, mai scontato. E infatti la gestazione è stata piuttosto lunga, fra stop burocratici e l’esigenza di trovare punti d’intesa. Duecento chilometri di possibili pedalate, su strade a basso traffico, immersi nella magia di una natura meravigliosa e costellata da borghi tutti da scoprire. Con le loro peculiarità artistiche, culturali e, naturalmente, enogastronomiche. Dal rinomato tartufo di Acqualagna alle birre di Apecchio e del Monte Catria, dalla visciola di Cantiano alla crescia nelle sue varie versioni.
Il percorso Caam può essere affrontato con qualsiasi tipologia di bicicletta e, soprattutto, scegliendo quanti e quali tratti percorrere (ci sono cartine dedicate a ogni singolo tratto). Completare l’anello in una sola giornata è molto complicato. Per via del dislivello (3.570m) ma anche perché riuscirci non consentirebbe comunque di godersi a pieno le bellezze che si incontrano mentre si pedala. Molte delle quali valgono una sosta. Perlomeno fotografica. L’anello grande può essere tagliato a proprio piacimento in diversi punti, a seconda di tempo a disposizione e risorse energetiche. Le salite più impegnative sono quelle di Acquapartita da Apecchio (“cima Coppi” del circuito con i suoi 860
mertri di dislivello), il Valico di Moria (da Pianello, paese dal quale volendo parte anche la splendida ascesa al Monte Nerone) e il Valico di Valdorbia (da Cantiano).
Immersi nel silenzio e abbracciati da colline e montagne che lasciano senza fiato (si passa anche sotto al Monte Petrano e al Monte Catria), il percorso è stato segnalato con informazioni circa le caratteristiche specifiche per ogni tratto. Ogni Comune coinvolto ha predisposto un’area info-point con pannelli illustrativi nei quali sono riportate le indicazioni turistiche, ambientali, storico-culturali ed enogastronomiche del luogo. Inoltre, nelle stesse piazzole è presente una stazione di ricarica e-bike, dotata anche di ancoraggio di sicurezza e colonnina per piccole riparazioni.
Il nostro consiglio è quello di prendersi almeno 2-3 giorni per gustarsi al meglio tutte le meraviglie che si possono incontrare in questa parte delle Alte Marche. Imperdibili, fra le tante: la Gola del Furlo, la rocca di Cagli, il Castello Brancaleoni a Piobbico, il ponte medievale ad Apecchio, le viuzze di Cantiano, la Rocca Albornoz di Sassoferrato, la Rocca di Arcevia, il Monastero di Fonte Avellana nel comune di Serra Sant’Abbondio e il Castello della Porta a Frontone. Per il resto la cosa migliore è lasciarsi semplicemente stupire da questa terra, abitata da gente genuina e accogliente. Capace di interpretare il senso e i valori di una volta. Un paradiso da scoprire pedalata dopo pedalata. Al giusto ritmo e con i giusti occhi.
Come ambassador del progetto è stato scelto Zico Pieri, personaggio divenuto celebre nella zona per i tanti record che è riuscito a firmare nel corso di questi anni. Come i 10 Everesting in 10 giorni ripetuti sul Monte Petrano. Ma Zico, soprannome datogli quando giocava a calcio da piccolo, è un ottimo testimonial. Perché è un innamorato della bici e della salita, sa comunicare valori e passione di questo sport e, soprattutto, di questo territorio. E vi potrebbe capitare tranquillamente di incontrarlo mentre pedalate. Altrimenti basterebbe chiedere
in qualsiasi bar o borgo. Perché qui ormai è diventato un mito. Con il suo sorriso e la sua semplicità.
Il progetto Caam conferma il grande lavoro di marketing territoriale che la regione Marche ha avviato già da qualche tempo, tanto da essere considerata una delle mete turistiche più gettonate dagli stranieri nell’ultimo triennio. Perché qui mare, collina e montagna si mescolano nel giro di soli 60 chilometri. E per chi ama la bici non ci potrebbe essere posto migliore. Provare per credere.
LA CORTINA DEL SUD PUNTA A DIVENTARE UN RIFERIMENTO TURISTICO ANCHE D’ESTATE GRAZIE ALLE ESPERIENZE A DUE
Difficoltà che possono far nascere opportunità, portare un turismo nuovo e più sostenibile per una sfida più che mai attuale. Roccaraso è la località sciistica più rinomata dell’intera dorsale appenninica. Soprannominata la Cortina D’Ampezzo del Sud, la cittadina abruzzese si sta muovendo verso la crescita di un turismo estivo con le due ruote come centro nevralgico. Uno sviluppo che parte sì da un piccolo paese ma che si estende a un intero territorio, quello dell’Alto Sangro, ‘palestra’ di diversi sport ad alto livello. Non è un caso che qui Massimo Stano e Antonella Palmisano abbiano preparato la conquista delle medaglie d’oro olimpiche nella marcia e che il Napoli di Luciano Spal-
letti si sia preparato in estate nella vicina Castel di Sangro.
Claudio Del Castello, del Consorzio Alto Sangro SkiPass ha raccontato a BIKE come stia crescendo il settore: “I percorsi sono dentro, attorno e lontano dalle piste: collegano i centri abitati del circondario, come Rivisondoli e Pescocostanzo, ma anche tutto il territorio dell’Alto Sangro (Barrea, Scanno e Pescasseroli, nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ndr). Ora sono tutti da monitorare, censire e rendere fruibili anche all’utente meno esperto”.
In questo senso diventa protagonista il connubio bici-piste: con gli impianti di risalita attivi anche d’estate si può fruire delle montagne anche quando non sono innevate, con diverse possibilità di divertimento. Oltre alle biciclette elettriche si possono provare le mountain kart, una variante innovativa delle bici: “Sono una sorta di tre ruote, senza l’ausilio di alcun motore elettrico, che sfruttano la pendenza delle piste per prendere velocità”, racconta Del Castello. “Vanno molto d’accordo con gli impianti di risalita, perché li carichi sulle cabinovie e hai tutto il percorso di discesa da fare senza fatica”.
Questa è una delle novità che negli ultimi anni ha portato la località a destagionalizzare l’offerta turistica, cercando di livellare il turismo estivo a quello invernale. Merito di due ‘shock’ ravvicinati di questo periodo storico: la pandemia e il riscaldamento globale. Per questo maestri di sci e proprietari di noleggi si sono adattati e d’estate sono maestri TI2 e guide cicloturistiche riconosciute della Federciclismo.
Come Dante e Mario Alberto, che noleggiano e organizzano tour cicloturistici e scuole di bici per ragazzi, che spiegano a BIKE: “quest’anno, nella
sfortuna dell’assenza di neve nelle vacanze natalizie, abbiamo lavorato parecchio con il nolo bici, che i turisti richiedevano nonostante le temperature più rigide”. Da qui la valorizzazione di un territorio tutto l’anno, nel soddisfare una domanda turistica che vuole vivere la natura in maniera alternativa, sostenibile e adatta a tutta la famiglia.
Per chi vuole usufruire delle piste ciclabili asfaltate, ci sono e-bike city per adulti e ragazzi con la possibilità di trasportare, con carrellini omologati, sia bambini piccoli che animali. Per chi volesse sfruttare i sentieri sterrati, ci sono mtb elettriche e muscolari. Anche la smart mobility fa la sua parte, con i classici monopattini elettrici per la strada oppure le caratteristiche Gboard: monopattini con ruote più grandi rispetto a quelle tradizionali pensate per il fuori strada e, perché no, sulla neve.
Un’offerta che comprende tour organizzati su tutto il comprensorio accompagnati anche da escursioni in notturna e fermate enogastronomiche.
Una rete di circa 500 chilometri, al centro di un progetto di messa a punto che prevede omologazione, tabelle segnaletiche e app per scannerizzare i percorsi censiti.
LA CICLABILE LUNGO IL MURO CHE PER ANNI HA DIVISO L’EUROPA DELL’EST
DALL’OCCIDENTE È UN VIAGGIO NELLA STORIA E NELL’ANIMA DEI BERLINESI
TRA GRAFFITI E MONUMENTI, MEMORIALI E NUOVE ARCHITETTURE:
160 CHILOMETRI DOVE LO SGUARDO SI SPOSTA CONTINUAMENTE
DALLE DUE GERMANIE DI IERI ALLA VITALITÀ DELLA SUA ODIERNA CAPITALE
In bici a Berlino e ditorni, lungo il percorso dove sorgeva il Muro: 160 chilometri tra memoria, architettura, arte e natura. Per la gente del posto è la ‘Berliner Mauerweg’, la ciclabile del Muro di Berlino. Fateci caso, perché passerete con le ruote sopra la targa che indica il nome e gli anni 19611989, ventotto anni di storia, dalla divisione della città in due, est ed ovest, fino alla caduta del Muro.
“La Mauerweg è la pista ciclabile più frequentata di Berlino – racconta Christian Tänzler, portavoce di Visitberlin – molto probabilmente perché ti permette di vivere l’unicità della nostra storia. La bici è il mezzo migliore per farlo: oltre ai suoi noti benefici, andare in bicicletta è infatti parte integrante dello stile di vita berlinese. Forse per questo motivo molti turisti scelgono di visitare la città proprio attraverso questo percorso, anche molti italiani”.
L’itinerario, suddiviso in quaranta stazioni, è il modo perfetto per capire meglio questa incredibile metropoli. Ben 600 pannelli raccontano la storia del luogo, tappa dopo tappa. Del percorso colpisce la varietà degli scenari: edifici pubblici, musei, monumenti commemorativi, boschi e aperta campagna. Si pedala tra le zone più vive della città, ma
anche nelle sue aree più verdi e rilassanti. Tänzler consiglia di percorrere i 160 chilometri in almeno tre giorni (più o meno circa 50-60 chilometri al giorno), iniziando da Hermsdorf per arrivare fino a Schönefeld. Il tragitto include le zone più conosciute e simboliche della città, come la porta neoclassica di Brandeburgo (in tedesco Brandenburger Tor) o il Centro di Documentazione del Muro di Berlino a Bernauer Strasse. Senza dimenticare il quartiere di Friedrichshain, sulla riva del fiume Sprea, dove è conservata la parte più lunga del Muro, quella ancora intatta.
OLTRE ALLA DIMENSIONE URBANA DELLA CITTÀ SPAZIO ANCHE AGLI SCORCI NATURALISTICI SUL FIUME
HAVEL E SUI LAGHI DELLA REGIONE, CON I CASTELLI GLIENICKE
Qui le tracce del Muro di Berlino sono una galleria d’arte a cielo aperto, una delle più grandi attrazioni della città (che ogni anno attira oltre 3 milioni di persone). È la cosiddetta East Art Gallery, da cui emerge il ricordo di un passato drammatico insieme alla libertà riconquistata. È il simbolo del fermento artistico globale che si è creato subito dopo la caduta del Muro. La sosta per una foto è obbligatoria, magari davanti all’immagine del bacio tra i due ex leader, Leonid Breschnew ed Erich Honecker, dell’artista russo Dmitry Wladimirowitch, uno dei graffiti più celebri in questo chilometro e mezzo di creatività
Altrettanto affascinanti sono la seconda e la terza parte del percorso, da Schönefeld a Wannsee, e poi da Wannsee verso Hermsdorfcon, percorrendo tutta la parte sud verso l’estremo nord-ovest. Il viale di ciliegi, i campi aperti e i chilometri sul lungolago Griebnitzsee e il fiume Havel. Vale la pena fermarsi a immortalare il ponte di Glienicke, il “ponte delle spie”, patrimonio mondiale dell’Unesco dal 1990, con una spettacolare vista sul corso del fiume. Lontano dal centro molto suggestiva è la zona dei laghi, verso Brandeburgo, la zona più verde e rilassante dove poter fare anche il bagno.
di significato. È interessante il modo in cui, dalla zona dell’antico confine, la passeggiata assume il carattere di una vera escursione nella natura. Si prendano, per esempio, i sentieri della Foresta di Spandau e le dune sabbiose di questa zona. Un contesto completamente diverso dalle grandi e trafficate piazze berlinesi, dove fermarsi per un caffè o un aperitivo. C’è spazio anche per il romanticismo, con una visita ai giardini del castello di Glienicke (che hanno 300 anni e mostrano l'abilità artigianale dei giardinieri di corte prussiani), oppure alla alla tenuta di Potsdam, il castello di Cecilienhof, ispirato allo stile Tudor inglese con decorazioni in legno, o ancora al Palazzo di Babelsberg, sempre a Potsdam, circondato da laghi e immerso nel verde. Così il tour avrà anche una nota di eleganza e bellezza incantata.
“Dopo la riunificazione – spiega sempre Tänzler –per la maggior parte delle persone il Muro avrebbe dovuto scomparire del tutto dal paesaggio urbano, e quanto più in fretta possibile. Qualcuno, invece, voleva la sua conservazione. Oggi la ciclabile del Muro è un percorso autentico, una bella combinazione tra storia e cicloturismo, tempo libero e cultura: dal centro di Berlino fino all'idilliaco panorama
I CONSIGLI DEGLI ESPERTI SU COME GUIDARE BICICLETTE
E MONOPATTINI ELETTRICI
I CONSIGLI DEGLI ESPERTI SU COME GUIDARE BICICLETTE
E MONOPATTINI ELETTRICI
Si capisce come mai, a nostro avviso, il primo passo di una buona legge dovrebbe essere quello di attuare un distinguo tra le due categorie di ciclisti, con norme ad hoc per i ciclisti sportivi (agonisti, amatori e anche turisti che utilizzano la bici per svolgere attività sportiva) da un lato, e, dall’altro, un elenco di regole per i ciclisti che potremmo definire ‘civili’ ossia chi utilizza la bici per l’ordinaria mobilità o passeggiate.
Per il ciclista sportivo (quello con bicicletta da corsa o mountain bike, abbigliamento tecnico e casco obbligatorio) andrebbero studiate norme specifiche in aggiunta alle norme comuni al ciclista civile e al codice della strada. L’elenco che segue vuole essere semplicemente uno spunto di riflessione per poter aprire un tavolo di confronto con il legislatore e con chi rappresenta le altre categorie di utenti della strada, per trovare il giusto equilibrio in una convivenza pacifica.
1) Possibilità di viaggiare sempre in fila per due e con la cosiddetta modalita’ “a ruota”, vale a dire ravvicinati uno con l’altro, senza distinzione di strade urbane o extraurbane o intensità di traffico. Sfatiamo il mito della fila indiana, un obbligo che crea più pericoli che tutela. È stato dimostrato, infatti, che il sorpasso di un gruppo di ciclisti in fila per due è manovra più rapida e sicura che non superare un’intera fila indiana, scoraggiando l’automobilista nel tentativo di azzardare il sorpasso anche qualora vi fossero veicoli provenienti dal senso opposto di marcia.
2) Presunzione di colpa dell’automobilista in caso di urto con un ciclista: l’onere della prova per i ciclisti può infatti diventare impossibile da sostenere, considerato che, quando avviene un incidente, spesso sono per lo più soli, totalmente spaesati e impossibilitati a difendersi; e dunque oltre al danno subito, c’è il rischio di vedersi negato anche il risarcimento. Lo scopo della norma, in questo caso, sarebbe quello di contribuire a infondere maggiore senso di responsabilità negli automobilisti.
3) Possibilità per il ciclista di superare facoltativamente a destra o a sinistra una fila di auto incolonnate. Mantenendo infatti un obbligo per il ciclista di porre particolare attenzione e moderare la velocità, in un simile quadro, in caso di incidente per svolta dell’automobilista, apertura portiera o improvviso cambio di direzione, magari non segnalato, la responsabilità sarà di quest’ultimo. Questa soluzione darebbe legittimità a una situazione che
in realtà già esiste e che di per sé non crea alcun pericolo, imponendo agli automobilisti incolonnati di non cambiare direzione senza aver prima appurato la provenienza di altri veicoli e, in particolare, i ciclisti.
4) Esonero dall’obbligo di percorrere piste ciclabili o ciclopedonali, di qualsiasi genere o in qualunque tipo di strada. il ciclista sportivo non può percorrere piste ciclabili senza creare pericolo, per velocità e promiscuità delle piste. In caso di incidente l’automobilista non potrà eccepire alcun concorso di colpa legato al mancato utilizzo della pista riservata. È un tema, questo, che meriterebbe un approfondimento ad hoc, analizzando rischi e opportunità delle piste ciclabili per ciclisti sportivi.
5) Obbligo di viaggiare sulla destra ma non nella parte più esterna della carreggiata e tenendo conto delle condizioni del manto stradale. È un argomento di ricorsi alle sanzioni inflitte ai ciclisti in caso di incidente, ai quali viene inevitabilmente contestato l’art. 143 c.d.s, senza tener conto che per lo più per il ciclista è impossibile tenere l’estrema destra, per le condizioni del bordo strada e per gli sbandamenti naturali, e, pertanto, andrebbe riconosciuta la possibilità di occupare un’area di un metro e mezzo dall’inizio dell’asfalto verso il centro strada, salvo particolari condizioni di stato ammalorato del margine che consentirà un ulteriore spostamento verso il centro, meglio ancora se vietando in questi casi il sorpasso con appositi cartelli.
6) Le rotatorie: precedenza al ciclista e con divieto di sorpasso: una volta fatto ingresso nella rotatoria nessuno potrebbe più effettuare manovre di sorpasso. Il ciclista, pertanto, non si troverebbe a dover stare all’estrema destra (che è impossibile in curva) e, se precede l’automobilista, avrebbe comunque la precedenza per tutta la percorrenza. In caso di urto tra bici e auto si applicherebbe una presunzione di colpa dell’automobilista. La norma, così concepita, dovrebbe essere un deterrente per impedire agli automobilisti l’ingresso in rotonda senza prima rallentare, situazione in cui spesso costringono il ciclista a una brusca frenata se non all’urto.
7) Obbligo di luci e casco: il casco deve essere indossato sempre dal ciclista, e le luci devono essere applicate sulla bici, anteriore e posteriore. La sicurezza non può prescindere dalla protezione delle parti vitali.
8) Divieto di sorpasso del ciclista: su strada a doppio senso di marcia con una corsia unica per marcia, con riga bianca continua, salvo vi sia la strada libera e nessun veicolo proveniente dal senso opposto, con tutte le cautele previste dall’art. 148 c.d.s del sorpasso. In caso di urto tra auto e bici si applicherebbe una presunzione di colpa esclusiva a carico dell’automobilista. Superfluo ricordare che l’automobilista effettua, sovente con leggerezza, questo tipo di manovra, per non dire con scelleratezza, senza rendersi conto del grave pericolo in cui pone il ciclista.
9) Ultimo: obblighi agli enti proprietari delle strade. L’Unione europea dovrebbe imporre, in occasione del rifacimento del manto, di utilizzare il margine destro e riservarlo ai ciclisti, con una semplice a riga bianca continua che delimiti uno spazio di almeno un metro e mezzo.
Per ciclista civile sono da intendersi tutti i ciclisti che non rientrano nella categoria di ciclista sportivo, quindi chi viaggia su city bike o da passeggio o mountain bike sopra i 15 kilogrammi.
1) Per loro dovrebbe valere l’obbligo di percorrere ciclabili e ciclopedonali, se presenti e agibili: andrebbe prima fatto, però, un passo preliminare e stabilire criteri che certifichino l’agibilità e l’idoneità delle piste ciclabili, escludendo quelle che non dovessero rispettare determinati standard di sicurezza.
2) Divieto di sorpasso del ciclista: all’interno delle città, caotiche popolate e sempre più vicine alla mobilità lenta, i sorpassi devono essere vietati o limitati solo in condizioni di estrema sicurezza.
3) Obbligo di luci, campanello e casco e divieto di uso del cellulare: la sicurezza del ciclista non deve prescindere dall’autotutela.
4) Precedenza dei ciclisti sulle strisce pedonali: come i pedoni, i ciclisti devono avere precedenza e scendere dalla bici solo se vi sia effettivo pericolo, procedendo comunque a passo d’uomo.
5) Presunzione di colpa dell’automobilista in caso di urto con ciclista con inversione dell’onere della prova: le auto dovrebbero essere considerate ospiti indesiderati nelle strade cittadine, invertendo ciò che oggi, invece, viene percepito da tanti automobilisti.
Un ultimo capitolo sulle sanzioni. Ovviamente tutte le norme sopra elencate dovrebbero prevedere sanzioni che abbiano capacità, per così dire, “persuasiva” ed educativa nei confronti dei trasgressori, con lo scopo di educare e cambiare la cultura e la percezione dei pericoli che corrono i ciclisti sulle strade, imponendo il rispetto dovuto.
* Avvocato e pubblicista, oltre a guidare lo studio legale Balconi, con l’associazione Zerosbatti garantisce assistenza ai ciclisti in caso di incidente.
UNA CONVENZIONE SIGLATA DALLA FEDERCICLISMO E DALL’ISTITUTO PER IL CREDITO SPORTIVO, GRAZIE A DUE LINEE DI FINANZIAMENTO, PROMUOVE SVILUPPO E MESSA IN SICUREZZA DI IMPIANTI PER PISTARD
In un periodo storico favorevole alla crescita della cultura ciclistica a tutti i livelli, iniziative volte alla riqualificazione infrastrutturale sono determinanti. Si colloca in questo contesto il rinnovo del protocollo d’intesa, di validità triennale, tra Istituto del credito sportivo e Federazione ciclistica italiana.
L’obiettivo della convenzione, firmata dalla presidente dell’Ics Antonella Baldino e dal presidente della Federciclismo Cordiano Dagnoni, è favorire lo sviluppo dell’attività ciclistica e il miglioramento degli impianti sportivi su tutto il territorio nazionale.
L’iniziativa è rivolta principalmente alle società sportive già affiliate alla Federazione: se diverse, infatti, hanno già aderito alla convenzione precedente con la linea Mutuo Light 2.0, con il rinnovo si vogliono estendere ulteriormente le forme di finanziamento.
Gli enti che intendono costruire, ampliare, migliorare e ristrutturare sia gli impianti che le attrezzature specifiche, dalle piste ciclabili fino alle ciclovie e ai ciclodromi, potranno pertanto usufruire dei finanziamenti agevolati promossi dall’Ics tramite la presentazione di una lettera di referenza della Federazione che accompagnerà la domanda di richiesta fondi.
Una riqualificazione degli impianti anche sotto il
profilo della messa in sicurezza e dell’efficientamento energetico, importante per il ciclismo a tutti i livelli: dalla pratica sportiva di base per i bambini fino alle migliori performance. Ciò consentirà agli atleti di poter svolgere allenamenti e gare in impianti all’avanguardia e sostenibili.
Nell’ampliamento delle opportunità di finanziamento agevolato, l’Istituto ha messo a disposizione delle società due diverse modalità: Mutuo Light 2.0 e Top of the Sport. La prima, Mutuo Light 2.0, vuole aiutare le società attive sul territorio che intendono riqualificare i propri centri sportivi. L’importo del finanziamento va dai 10mila fino ai 60mila euro, con una durata dell’ammortamento da 2 fino ad un massimo di 7 anni. I fondi hanno un tasso completamente abbattuto e sono garantiti dal Fondo di garanzia per l’impiantistica sportiva.
Il secondo, denominato Top of the sport, è quello che permette di supportare interventi dal carico maggiore. Con questo finanziamento è possibile, infatti, ottenere investimenti per centri federali e centri di preparazione olimpica, per interventi come la ristrutturazione, ampliamento, messa a norma, fino all’acquisto delle aree relative agli interventi. Sempre tramite la lettera di referenza da accompagnare alla domanda di fondi all’Ics, è possibile stipulare un finanziamento agevolato fino a 20 anni e per un importo massimo di 6 milioni di euro.
DOPO NAPOLI, ROMA E FIRENZE ANCHE MILANO ENTRA
NEL NETWORK BYCS: IL “PRIMO CITTADINO” A PEDALI MENEGHINO SI CHIAMA ILARIA FIORILLO, HA TRENT’ANNI E TANTE IDEE PER APRIRE A TUTTI LE STRADE, NON SOLO QUELLE DEL CENTRO
Entusiasmo, genuinità e un’incredibile voglia di pedalare. È questo ciò che più colpisce parlando con Ilaria Fiorillo, nuova Bicycle Mayor di una città, Milano, che con la sua nomina è diventata la quarta in Italia dopo Napoli, Roma e Firenze a entrare con un suo “primo cittadino” nel network di Sindaci della Bicicletta promosso da Bycs.
Fiorillo, classe 1992, è di origini pugliesi e si è trasferita nel capoluogo lombardo cinque anni fa. Ha ricevuto questo titolo dopo aver, in precedenza, “risposto a questionari e fatto application tutt’altro che semplici” durante i quali, tuttavia, ha continuato a coinvolgere la sua sempre più florida community online, col suo seguitissimo profilo @ milano_in_bicicletta, sia fisicamente attraverso “trail, viaggi, eventi, attività coi bambini delle scuole e alla Ciclofficina Nascosta”.
“Stanca ma contenta” di essersi cimentata in tutte queste iniziative, in attesa di selezionare al meglio gli impegni “a cui dedicarsi in futuro” e di entrare maggiormente nel vivo di Bycs (“è un network molto forte di persone che condividono lo stesso obiettivo e la stessa missione in tutto il mondo, bello perché ci si scambia idee e ognuno racconta ciò che accade nel proprio paese”), Ilaria continuerà a fare ciò che più le piace ovvero pedalare “senza troppe finzioni e senza troppi filtri”; perché è così che “le persone empatizzano e capiscono veramente ciò che vuoi dire”.
Sono proprio le persone che, a suo avviso, “rendono unica Milano”, una città che però ha bisogno di ascoltare le richieste delle figure “talentuose e piene di idee” che la popolano, pena la possibilità che queste, se le cose non dovessero cambiare a breve in termini di vivibilità, abbandonino la metropoli lasciando spazio solo a “clacson e smog”.
Per Ilaria, in questo senso, ragionando in termini di mobilità e mobilità ciclabile, non servono “cordoli o muri di tre metri, perché bisogna puntare a condividere tutti assieme la strada”; al contrario, occor-
rono soluzioni semplici e rapidamente attuabili per “salvare adesso quelle vite che stiamo perdendo”, come l’adozione dei 30 km/h in città, i dispositivi anti-angolo cieco sui mezzi pesanti e la “messa in sicurezza delle ciclabili già esistenti con piccoli dissuasori per non far parcheggiare le auto e vernice colorata sugli attraversamenti ciclabili per renderli più visibili”.
Così facendo, a suo avviso, si potrebbero porre le prime pietre per migliorare la situazione attuale e avvicinare quello che, per Ilaria e altri come lei, oggi resta ancora un sogno, ossia quello di una Milano “in cui si possa vivere più serenamente, in cui non si deve avere paura di andare in bici, in cui le mamme e i papà non devono temere di accompagnare in bici a scuola i bambini e dove questi, di fronte ai propri istituti, abbiano uno spazio in cui poter giocare e socializzare”.
Fiorillo insegue dunque l’idea di una Milano come “città delle persone, in cui si possa vivere e non sopravvivere, dove ci si possa muovere con calma e non di corsa” e lo fa condividendo coi più la magia connaturata alla bicicletta, un mezzo per lei in grado di regalare “indipendenza e scoperte continue”, di “farti sentire in viaggio anche quando sei in città”; ma anche capace di portarti a conoscere luoghi meravigliosi nel territorio circostante (su tutti, confida, “la chiesa di San Marchetto nel Parco Agricolo Sud, Sant’Alessandro in centro e il quartiere dell’Ortica).
Veicolando e provando a trasmettere questo incanto, Ilaria ha coinvolto negli ultimi tempi un numero sempre maggiore di persone e, proseguendo con lo stesso trasporto in quest’opera, lei e le persone animate dal suo entusiasmo potranno certamente farsi sempre più valide portatrici dei valori sani delle due ruote innescando quel (necessario) cambiamento che renda concretamente Milano una città più a misura di ciclista.
SI CHIAMA PHARMACURE L’AZIENDA IDEATA DA TRE GIOVANI CHE AFFIDA IL RECAPITO DI FARMACI A DOMICILIO A CORRIERI IN BICICLETTA O E-SCOOTER (PAGATI A ORE, NON A CONSEGNA). LAVORA GIÀ CON 150 FARMACIE IN 20 CITTÀ E 39 COMUNI, SERVENDO 12 MILIONI DI PERSONE. OBIETTIVO PER IL 2023?
RADDOPPIARE LA PRESENZA NEI GRANDI CENTRI URBANI
Hanno cominciato in bicicletta e adesso ne hanno una costruita apposta per loro da un’impresa sociale che recupera le bici abbandonate per le strade di Torino. Volevano rispondere a un bisogno diffuso e adesso sanno di esserci riusciti. Sono i founder di Pharmacure, startup che ha creato e gestisce una piattaforma digitale per la consegna dei farmaci a domicilio.
“Nella fase di avvio della startup facevo io le consegne, in bicicletta, per capire chi erano le persone che richiedevano il servizio”, racconta Maurizio Campia, ceo della società costituita a Torino nel 2018 da un gruppo di trentenni per creare una connessione digitale fra le farmacie e i clienti. “Ho subito capito il valore sociale di quello che stavamo mettendo in piedi. Ricordo persone, soprattutto anziane e pazienti cronici, che mi invitavano a prendere il caffè perché mi percepivano come collaboratore della farmacia. Abbiamo presto compreso di essere una vera e propria soluzione a un bisogno per queste persone costrette in passato a chiedere favori ad amici, al proprio medico di base o al farmacista perché impossibilitati a muoversi da sole”.
Pharmacure adesso lavora con circa 150 farmacie e consegna medicine in 20 grandi città per un totale di 39 comuni. “Il servizio si basa su agglomerati urbani densi, per sostenere i costi di logistica ma in alcuni casi riusciamo a operare anche in comuni piccoli. Ad esempio a Cerveteri abbiamo trovato un interlocutore che gestisce più farmacie”, spiega Andrea Norzi, head of marketing, che anticipa: “Copriamo già più di 12 milioni di persone e per la fine del 2023 prevediamo di servire altre 22 gran-
di città. All’inizio ci appoggiamo a un fornitore locale, poi prendiamo corrieri nostri: ne abbiamo già 10, che lavorano con contratti a ore, non a consegna”.
Più aumentano le città, più cresce la flotta di Pharmecure. “La startup è partita facendo le consegne in bicicletta e le due ruote sono rimaste per noi un mezzo importante. Dove abbiamo raggiunto volumi importanti siamo dovuti passare a mezzi diversi, come gli scooter elettrici, perché non è venuta meno la nostra attenzione alla sostenibilità”.
“Abbiamo sempre avuto l’idea di svolgere un compito sociale, perché non siamo una piattaforma di e-commerce”, ricorda Campia. E lì dove tutto è cominciato ormai quasi cinque anni fa è nato il progetto con StranaIdea, impresa sociale di Torino che ha creato Biciclabile, un laboratorio professionalizzante, dove viene insegnato un mestiere a ragazzi con disabilità e persone senza fissa dimore: riparare le bici, riportare a nuova vita ciò che veniva considerato un rifiuto.
“Siamo una startup che offre un servizio socialmente utile e quindi ci è sembrato naturale sostenere un progetto sociale come Bicilabile. Dalla collaborazione è nata una bici costruita apposta per la consegna dei farmaci, in maggio abbiamo ricevuto il primo prototipo, che abbiamo subito messo in test”, racconta Norzi. “E non finisce qui: stiamo pensando di realizzare altri mezzi, sempre con i bravi riparatori di Riciclabile, da usare in base alle geografie e alle necessità del servizio. E non è escluso che in futuro qualcuno di loro possa venire a lavorare come corriere in Pharmecure”.
NATO A TORINO E IDEATO DALLA START-UP TOMOVE
CON IL SUPPORTO DI REINOVA, IL CICLOMOTORE PIEGHEVOLE
FATTO DI ALLUMINIO E BAMBOO È PRATICO E SOSTENIBILE
Siamo alla costante ricerca di comodità, di velocità, di sveltezza. Siamo nell’era del last minute e della produttività a tutti i costi, che sia un bene o un male, solo il tempo ce lo potrà dire, ma nel frattempo la tecnologia si sta evolvendo sempre di più fino a rasentare la fantasia degli autori del secolo scorso. È da qui che prende vita Tom, il nuovo ciclomotore elettrico che può essere trasportato come un trolley. Il progetto è realizzato dalla start-up ToMove e supportato da Reinova. Un mezzo finanziato attraverso una campagna di crowdfunding lanciata il 6 giugno sulla piattaforma Kickstarter.
Il nome ricorda quello di un noto navigatore, ma anche quello del famoso gatto dei cartoni animati, quasi a far intendere che questo nuovo ciclo-trolley diventerà un amico perfetto per i suoi utenti. Tom è stato presentato come un mezzo di trasporto rapido, agile e a zero emissioni, con la possibilità di essere ricaricato tramite qualsiasi presa standard. Le dimensioni contenute e il peso ridotto consentono di inserirlo nel portabagagli di una qualsiasi vettura, dalle city car ai suv. Stiamo parlando di circa 20 chili per un’altezza inferiore al metro, quando
piegato su se stesso, e di 1,28 metri di lunghezza. Semplice, agile, comodo.
Le prestazioni di Tom sono nella media: 50 chilometri di autonomia, grazie a una Tcu, centralina del cambio, in grado di offrire una gestione altamente flessibile dei parametri. È proprio grazie a questa soluzione che è possibile personalizzare il comportamento alla guida secondo le esigenze di ogni conducente, scegliendo tra una maggiore velocità o una maggiore autonomia. Tom può raggiungere una velocità massima di 45 chilometri orari grazie al motore elettrico da 500 W alimentato da una batteria da 750 Wh. L’impianto frenante è costituito da un doppio freno a disco (uno all'anteriore e uno al posteriore).
“In questo modo possiamo garantire un alto livello di qualità, insieme a un’attenzione particolare alla sostenibilità ambientale”, è il commento di Giuseppe Corcione, ceo di Reinova e presidente di ToMove. “Siamo fortemente convinti che il Made in Italy rappresenti uno degli elementi fondamentali del progetto Tom, sia in termini di design che di produzione e fabbricazione”, ha aggiunto.
Il progetto è stato pensato anche in ottica “green” nella sua costruzione: Tom è realizzato in materiali naturali e riciclabili come l’alluminio e il bamboo con scocche intercambiabili. È uno degli obiettivi della startup torinese ToMove, nata poco più di un anno fa, quello di sviluppare veicoli sostenibili sia in fase di realizzazione che in messa in azione e che possano spostarsi all’interno delle città, riducendo l’impatto ambientale.
Sulla scelta del crowdfunding, ha concluso Andrea Strippoli, ceo di ToMove: “Si tratta di un modo eccellente e moderno di raccolta fondi per il nostro progetto. Ma non solo: con questa forma di autofinanziamento è possibile testare il mercato del nostro veicolo, analizzando l’andamento della domanda”.
CON CAMBIOBIKE PRO, NUOVA SOLUZIONE DI NOLEGGIO E-BIKE, CAMBIOMARCIA (GRUPPO UNIPOL) PUNTA CON DECISIONE SU TURISMO E MOBILITÀ AZIENDALE.
L’AD GIUNCHI: “QUI GRANDI OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO”
L’Italia cela meraviglie da ammirare, vivere e assaporare a ogni dove. Non è un caso che sia conosciuta come il Belpaese né che sia sempre nelle top five mondiali dei Paesi più visitati. E “ovunque ci sia qualcosa da vedere, il modo migliore per farlo è in sella a un’e-bike”. Ne sono convinti in Cambiobike, società di Cambiomarcia del Gruppo Unipol, al lancio del servizio Cambiobike Pro, la nuova soluzione di noleggio e-bike pensata per le esigenze di bike-hotel e bike-rent e adatta a ogni necessità di mobilità aziendale sostenibile, sia di persone sia di merci.
Cambiobike punta forte su questi due ambiti, turismo e mobilità aziendale, offrendo ai soggetti la possibilità di costruire la propria flotta in modo flessibile, partendo anche da una sola e-bike con noleggio dai 3 ai 24 mesi; c’è poi il servizio tutto incluso, che ha l’obiettivo di ridurre al minimo i costi di gestione; senza dimenticare l’ampia scelta di modelli, la possibilità di accedere a finanziamenti e un servizio su misura personalizzato. Caratteristiche che rendono Cambiobike un riferimento nel settore.
Cambiobike Pro risponde alle necessità degli operatori del settore turistico, proponendo agli hotel e alle strutture ricettive italiane la possibilità di incrementare il ventaglio di servizi: hotel, agriturismi, B&B, residence, club vacanze ma anche servizi di bike rent possono mettere a disposizione della propria clientela un parco e-bike di alta gamma, con la sicurezza di un servizio all-inclusive. Grazie a differenti tipologie di e-bike e modelli, Cambiobike Pro si rivolge a ogni tipo di struttura ricettiva, ma anche ciclabili nelle città d’arte, percorsi montani, pas-
sando per le ciclovie della campagna italiana, ogni percorso può dotarsi di una flotta di e-bike selezionata all’interno di un catalogo composto da più di 70 modelli di 10 brand differenti, tutti in pronta consegna.
In ambito flotte aziendali, con le aziende in cerca di soluzioni sempre più sostenibili, Cambiobike Pro offre un servizio personalizzato per tutte quelle realtà che vogliono mettere a disposizione dei propri dipendenti, per l’attività lavorativa o per il tempo libero, mezzi a basso impatto. “L’e-bike è un’occasione che si rivela estremamente vincente per molti business”, commenta Nicola Giunchi, amministratore delegato di Cambiomarcia. E aggiunge:
“Con un noleggio a breve e lungo termine e un investimento moderato, differenti settori possono cogliere una grande opportunità di sviluppo. Ampliando la propria offerta, attirando nuovi target e non solo, migliorando anche la propria carbon footprint”.
LANCIATO A VICENZA DA UN MUSICISTA E UN COMUNICATORE, SERIALKEEPER È L'ANTIFURTO CHE PUNTA SU NUMERO DI SERIE
E PUNZONATURA PER SCORAGGIARE I LADRI DI BICICLETTE.
UNO STRUMENTO IN PIÙ A DISPOSIZIONE DI ENTI E FORZE DELL’ORDINE, PAGATO DALLE AZIENDE MA GRATUITO PER IL PRIVATO CITTADINO
Da un furto di strumenti musicali alla ‘marcatura’ delle biciclette. È il percorso seguito da SerialKeeper, startup fondata nel 2018 ma, causa Covid, ripartita solo nel 2021. “Avevo la macchina carica di strumenti musicali e, tornando da una prova, non li ho più trovati”, racconta Filippo Rinaldi, 40 anni, musicista con esperienze nell’ecommerce e che con Enzo Voci, 41, esperto di comunicazione e web developer, ha creato una piattaforma dove è possibile registrare qualsiasi oggetto con un numero di serie. Anche le bici, su cui SerialKeeper sta sviluppando un servizio dedicato alle amministrazioni comunali. Ma andiamo con ordine.
“Dopo quel furto, vado a fare la denuncia e mi dicono: ‘Come fa a dimostrare che gli strumenti erano suoi? Ha i numeri di serie?’ Ovviamente non li avevo”, racconta Rinaldi, “Come avevo fatto a non pensarci? Tutti gli strumenti musicali sopra un certo importo, e soprattutto quelli vintage, li hanno. Ho mandato giù il rospo, sono andato di corsa a casa e ho fotografato tutti i miei strumenti. Ma si poteva fare di meglio. Così ne ho parlato con Enzo: perché non allestiamo su un sito web dove caricare la foto e il numero di serie degli oggetti che per noi hanno un valore?”.
Anche le biciclette, i più esperti lo sanno, hanno un numero di serie: è il numero di telaio, che di solito si trova sotto la scatola del movimento centrale, lì dove passa la linea di forza e, anche, di possibile protezione. Ogni anno in Italia vengono rubate, secondo una stima Fiab, oltre 300mila biciclette e neanche la metà dei furti viene denunciata, perché tanto una denuncia contro ignoti viene subito archiviata. Il problema non è solo italiano, tanto è vero che in Francia la punzonatura è obbligatoria dal 2022, ci pensa lo Stato e costa 50 euro.
Chi conserva le ricevute d’acquisto, il numero di serie e una foto dell’oggetto (quindi anche di una bici)? Quindi in caso di smarrimento o furto è difficile dimostrare la proprietà e individuarlo. “Con SerialKeeper vogliamo costruire una banca dati che permetta la ricerca degli oggetti denunciati o smarriti”, dicono Rinaldi e Voci. “Una sorta di Pra (Pubblico registro automobilistico, ndr) degli oggetti, che evita il rischio di comprare merce rubata, e che ha diversi vantaggi anche per i produttori, che possono seguire la vita dei prodotti e garantire l’autenticità nelle vendite online, o per i rivenditori, per esempio chi tratta l’usato”. E infatti il modello di business di SerialKeeper prevede che siano solo le aziende a pagare, mentre per il privato il servizio è gratuito: in 5mila si sono già iscritti alla piattaforma.
Dall’anno scorso SerialKeeper sta dedicando una particolare attenzione alle biciclette. “L’amministrazione faceva già un servizio di marcatura, ma il sistema non veniva aggiornato. Ci siamo offerti di fare noi un nuovo portale che permette di immatricolare la bici con una targa, mentre prima veniva applicato il codice fiscale. E come fai poi a rivenderla?”, osserva Rinaldi. Ci si iscrive su Vicenza. marcaturabici.it, si riceve una mail con un codice provvisorio, si va in un parcheggio autorizzato dove un operatore controlla identità e proprietà del mezzo ed effettua la punzonatura che viene registrata sulla piattaforma. “Il servizio funziona dal settembre 2022 e la polizia municipale è entusiasta, perché adesso ha uno strumento per poter intervenire”, spiega Rinaldi. “L’obiettivo adesso è creare una rete fra comuni e forze di polizia. Stiamo lavorando per integrare nel network anche i negozi di bici, che potrebbe offrire il servizio di marcatura a chi ne compra una”.
NON SI FERMA LA CRESCITA DEL TURISMO IN BICICLETTA:
UN TREND, FATTO DI APPASSIONATI E PURISTI, RILANCIATO
DALLA PANDEMIA E CHE VALE TRA I 4 E I 7 MILIARDI DI EURO
DI CUI BENEFICIANO ANCHE L’AMPIO INDOTTO E I TERRITORI
In tre anni, con in mezzo la pandemia, il dato è raddoppiato: dai 4,5 milioni del 2019 agli oltre 9 milioni registrati nel 2022. Sono le presenze in Italia di cicloturisti “puri”, quelli cioè che si mettono in viaggio con lo scopo principale di esplorare un territorio in bicicletta. È la fetta più radicale di un settore che, lo scorso anno, ha registrato complessivamente 33 milioni di presenze: in sostanza, il 4,3% delle presenze totali di turisti nella penisola sono attribuibili al cicloturismo.
Ma è un dato destinato inesorabilmente a crescere perché, come spiega il terzo rapporto sul cicloturismo ‘Viaggiare con la bici 2023’, a cura di Isnart/ Legambiente, è “un mercato consolidato, caratterizzato da una domanda andata sviluppandosi verso forme sempre più ‘pure’ che, a loro volta, hanno innescato un’offerta ad alto valore aggiunto e posizionata nella fascia alta di mercato”. Una nuova fase rispetto agli anni precedenti in cui, coerentemente, aumenta anche l’impatto economico: la spesa nei luoghi di vacanza generata dai cicloturisti, per il 2022, è stimata infatti più di 4 miliardi. E che il trend sia in costante crescita lo dimostra anche la ‘geografia’ del cicloturismo. Perché, se è vero che il mercato si conferma ancora piuttosto polarizzato – tre Regioni, Veneto (19%), Trentino-Alto Adige (16,5%) e Toscana (11,4%) hanno da sole attratto il 47% del flusso di cicloturisti nell’ultimo anno –, quando si confrontano le macro-aree geografiche di destinazione dei cicloturisti puri,
prendendo a riferimento il dato del 2019, appare evidente la crescita delle regioni del Centro (che passano dal 10,9% al 15,8%) e del Sud Italia (che addirittura crescono più del doppio, passando dal 7% al 17,4%). Quanto alla provenienza, i cicloturisti puri stranieri sono in prevalenza tedeschi (47% del totale degli stranieri giunti in Italia per fare cicloturismo), seguiti a distanza dai cicloturisti statunitensi e francesi.
Si conferma così quanto evidenziato bene anche dal report ‘Italia in bici’ realizzato da Repower in collaborazione con l’Università Iulm, per cui “il cicloturismo è una piccola potenza economica dalle prospettive interessantissime, che muove ogni anno in Europa oltre 50 miliardi di euro, di cui quasi un decimo in Italia”. Stime a cui si è aggiunta anche quella dell’Osservatorio di Banca Ifis, secondo cui, stando ai dati dell'edizione 2023 del rapporto Ecosistema della Bicicletta presentato a Cesena in occasione del Bike Forum a margine dell’Oscar Italiano del Cicloturismo, nel 2022 la bicicletta è stata compagna di viaggio per 6,3 milioni di turisti in Italia, 1,9 milioni dei quali veri e propri cicloturisti. Mentre l'impatto economico si è concretizzato in 7,4 miliardi di euro di spesa, della quale, per quanto riguarda il cicloturismo vero e proprio, hanno beneficiato le strutture ricettive (1,4 miliardi di euro), la ristorazione (800 milioni), l'abbigliamento (500 milioni) e l'attività leisure (300 milioni).
CON E-BIKE E GRAVEL SUGLI SCUDI A BENEFICIARE DELLE RICADUTE SONO STRUTTURE RICETTIVE, RISTORAZIONE, ABBIGLIAMENTO E ATTIVITÀ LEISURE
Un ruolo sempre crescente in questo scenario è quello rappresentato dalle e-bike, che stanno ridefinendo il concetto stesso di bicicletta e rappresentano un fenomeno destinato a trainare la domanda nei prossimi anni. Secondo le previsioni della Confederation of the european bicycle industry (Conebi) e della European cyclist federation (Ecf), infatti, dai 3,7 milioni di unità vendute in Europa nel 2019, le e-bike arriveranno a quota 17 milioni nel 2030.
I benefici dello sviluppo di questo indotto sono innegabili: da quelli per la salute di chi pedala a quelli ambientali (in termini di abbattimento delle emissioni di CO2, ma anche di un minore livello di consumo di suolo) passando per lo sviluppo del territorio e del relativo business. Aspetti tutt’altro che trascurabili anche sotto il profilo del profitto economico: secondo la Federazione italiana ambiente e bicicletta (Fiab), ogni euro investito per costruire una ciclovia ne restituisce 3,5 al territorio. E a progetto ultimato, ogni chilometro di percorso potrebbe generare un indotto annuo sulla zona attraversata di 110 mila euro. Infine, una rete di ciclovie diffuse e ben organizzate riuscirebbe a far entrare
Assieme alle e-bike c'è un altro fenomeno che sembrava una moda ma si è invece affermata come una vera rivoluzione del mercato: in neppure due anni, le gravel hanno conquistato una fetta del 4% di mercato e sono destinate a un ulteriore aumento, complice l'avvio di progetti quali, per esempio, Gravel in the Land of Venice, un prodotto turistico dedicato alla scoperta del territorio della Regione Veneto attraverso la bicicletta gravel, un mezzo che permette di affrontare tutti i tipi di terreno.
Diventa pertanto fondamentale cogliere appieno le potenzialità del mercato della bici che, secondo un’analisi di Fortune Business Insights, avrà una crescita media annua di poco superiore al 6%. In questo quadro, gli obiettivi inseriti nel Piano generale della mobilità ciclistica urbana ed extraurbana 2022-2024 diventano un ideale punto di riferimento per la costruzione e l’implementazione di ciclovie turistiche, con un investimento di 400 milioni (da spalmare nell’arco temporale che va dal 2021 al 2026), per un totale di 1.235 chilometri di nuovi percorsi (oltre alla manutenzione di tratte già esistenti).
È LA PEDALATA ASSISTITA LA VERA PROTAGONISTA
DELL’AVANZATA CICLOTURISTICA: PIACE A ITALIANI E STRANIERI ED È SOSTENIBILE. COSÌ BANCA IFIS
HA DECISO DI FINANZIARE IL MERCATO CON UNA
SOLUZIONE AD HOC PER IL MONDO DELL’OSPITALITÀ
Più e-bike per i cicloturisti. La bicicletta a pedalata assistita, il vero fenomeno nel mercato italiano delle due ruote, è uno dei fattori di accelerazione di un modo di visitare l’Italia che piace sempre di più, soprattutto agli stranieri, ed è pure sostenibile. A potenziarlo può essere certamente l’offerta di hotel e altre strutture ricettive.
Nel 2022 in Italia i turisti in bicicletta sono stati 6,3 milioni e per il 2023 è prevista una crescita del 15%. Hanno generato un giro d’affari di oltre 7 miliardi, con gli hotel in prima fila. I numeri vengono dalla terza edizione di Ecosistema della Bicicletta, l’annuale rapporto di Banca Ifis, che in primavera ha lanciato uno strumento per sostenere la diffusione delle e-bike: una piattaforma che permette il noleggio o il leasing di bici a pedalata assistita alle piccole realtà dell’ospitalità, hotel, pensioni, bed and breakfast, che accolgono turisti interessati a scoprire i territori italiani sulle due ruote. Una proposta sviluppata in collaborazione con Ancma, l’Associazione nazionale ciclo motociclo e accessori di cui la banca è associata.
Perché un istituto di credito fondato a Genova nel 1983 da Sebastien Egon Fürstenberg, figlio di Clara Agnelli, è tanto interessato alla bicicletta da averne fatto oggetto di un report annuale e di un prodotto dedicato? “La bicicletta rappresenta la sintesi perfetta di innovazione, tecnologia, benessere delle persone e prosperità delle imprese e dei territori. In una parola, la bicicletta è sostenibilità, economica e sociale. Un valore, quello della soste-
nibilità inteso nel senso più ampio del termine, che contraddistingue il nostro modo di essere e di fare banca, ormai da 40 anni”, risponde il presidente Ernesto Fürstenberg Fassio.
La scelta di ‘finanziare’ le e-bike nasce dall’osservazione del mercato. Dopo il boom del 2020 e 2021, la bici rallenta ma non si ferma e nel 2023 supererà la soglia psicologica dei 2 miliardi di ricavi con un incremento del 6%, ma soprattutto non perde valore. A fare da traino sono proprio le biciclette a pedalata assistita, che rappresentano il 37% del fatturato delle aziende che producono bici o componentistica. Secondo i dati elaborati da Banca Ifis, nel triennio 2019-22, il tasso di crescita medio della produzione di e-bike in Italia è stato del 21%. A fine 2022 ben il 56% delle imprese italiane produttrici di biciclette sosteneva di averne in produzione uno o più modelli.
Adesso si tratta di metterle a disposizione dei turisti, le e-bike. “Per questo siamo intervenuti su questo segmento di mercato a maggior tasso di crescita nel campo della mobilità alternativa, costruendo una soluzione ad hoc per il mondo dell’ospitalità e del cicloturismo, settori chiave per la promozione e lo sviluppo dei territori”, spiega Claudio Zirilli, responsabile leasing e rental di Banca Ifis. “Vogliamo favorire la transizione sostenibile dell’economia attraverso lo sviluppo di prodotti e servizi dedicati e adesso siamo in grado di fornire alle imprese operanti in questi settori tutta l’assistenza necessaria per dotarsi di flotte di e-bike”.
DAL CICLOCROSS AL GRAVEL PASSANDO PER BICI DA STRADA TOP DI GAMMA: COSÌ GUERCIOTTI CONTINUA AD ALIMENTARE IL MITO DEL GRANDE TELAIO ITALIANO, TRA RISULTATI SPORTIVI E SUCCESSI COMMERCIALI. IL FIGLIO ALESSANDRO, OGGI AD DELL’AZIENDA, RACCONTA A BIKE SFIDE E PROGETTI PER IL 60°
Realtà storica del ciclismo italiano e mondiale, Guerciotti nasce nel 1964 quando Paolo e Italo Guerciotti aprono il primo negozio in centro a Milano. Grazie alle qualità imprenditoriali di Paolo, il brand viene presto apprezzato in tutto il mondo. “In quegli anni e per molti altri ancora l’Italia è stata il fulcro del mercato ciclistico”, ricorda Alessandro Guerciotti, oggi amministratore delegato dell’azienda. “Allora non esistevano tutti i marchi che abbiamo oggi e la bici da corsa era la ‘bici italiana’”, prosegue. “Mio padre è stato lungimirante credendo nella creazione del marchio Guerciotti”. Inoltre, “avendo avuto un’esperienza sia come atleta sia come meccanico (come, peraltro, tutti i grandi costruttori di quel tempo da Ernesto Colnago a Ugo De Rosa) ha deciso di rischiare, come fanno tutti gli imprenditori lungimiranti, e producendo e commercializzando biciclette con il proprio nome. Una scelta più che azzeccata”, constata raccogliendone oggi l’eredità.
L’anno prossimo Guerciotti, che è ancora oggi guidata dalla famiglia, celebra 60 anni di storia, “un’impresa vera e propria” osserva Alessandro, condotta “superando gli alti e i bassi di un settore che ha vissuto boom e recessioni” lungo questi sei decenni. Ed è “normale che sia così, come in qualsiasi settore dell’imprenditoria, del resto”, prosegue Guerciotti, “considerando che esistono momenti di grande espansione e momenti di forte crisi. Lo abbiamo visto soprattutto nel post covid,
dove il mercato della bicicletta ha vissuto un momento di grande euforia, riemergendo da un periodo di stagnazione”.
Oggi questo momento di espansione è sicuramente rallentato, ma l’imprenditore sa che il mercato è fatto così: “Ciclisticamente parlando, direi che dopo ogni salita c’è sempre una discesa, e dopo ogni discesa c’è una salita; l’importante per l’imprenditore è saper cogliere quei momenti e organizzare la propria azienda in modo tale da far fronte a entrambi gli scenari. Noi, come Guerciotti, sicuramente abbiamo ben cavalcato l’onda del boom del settore nel post covid, riorganizzando la nostra rete vendita in Italia e creandone di nuove in altri paesi, tanto che oggi, pur attraversando il settore un momento di rallentamento, possiamo comunque contare su una rete vendita di dealer Guerciotti che ci permettono di fare ancora un ottimo lavoro”.
Non bisogna dimenticare poi che la bici da corsa di alta gamma è ormai da molti appassionati considerata alla stregua di un vero e proprio gioiello, quasi, almeno per alcuni, un bene di lusso. Un prodotto comunque legato ampiamente al valore del design ma anche, al tempo stesso, a soluzioni tecniche e tecnologiche da sempre interessate da un processo di continue e progressive evoluzione e innovazione.
“Anche noi, nel percorso di evoluzione del marchio, soprattutto negli ultimi anni, abbiamo puntato su prodotti sempre più tecnici e soluzioni personalizzate, per creare biciclette uniche dal punto di vista delle forme e delle geometrie”, osserva l’amministratore delegato di Guerciotti. “Per continuare a essere un marchio di riferimento e poter offrire qualcosa di esclusivo al consumatore finale, l’investimento in stampi personalizzati e soluzioni tecniche innovative è fondamentale, e lo è soprattutto per chi, come noi, intende offrire un prodotto top, soprattutto sul segmento corsa. Poi ovviamente, l’esperienza e tutte le nuove soluzioni tecniche, successivamente, vengono traslate anche su modelli di gamma inferiore”.
Il design è importantissimo per Guerciotti. Un prodotto che va sul mercato con questo marchio deve, infatti, avere anche un appeal estetico. Ne è convinto Alessandro Guerciotti che ben sa come chiunque acquisti un prodotto di altissima gamma, si aspetta sia elevati standard tecnologici sia la bellezza. “E noi, da questo punto di vista, abbiamo sempre puntato, in particolare anche con l’ultima gamma presentata l’anno scorso a Misano all’Italian bike festival, su colori a effetto, riserrvati a tutti i nostri top di gamma: si passa da una versione olografica del nostro modello di punta, la Eclipse S, a un colore oro xirallico per il top di gamma nel gravel, la Escape, fino ad arrivare persino a colori iridescenti e cristallizzati. Per noi il design è fondamentale e una bici deve essere bellissima, oltre che performante”, commenta.
Il percorso di crescita che negli ultimi anni ha interessato Guerciotti ha comportato inevitabili riorganizzazioni aziendali. “Sicuramente quando sei di fronte a queste crescite esponenziali, bisogna saper anche riorganizzare l’azienda al suo interno”, spiega Guerciotti. “Negli ultimi due anni abbiamo effettuato un grosso lavoro di organizzazione interna che ha portato l’inserimento di nuove figure per poter supportare l’enorme lavoro che avevamo da affrontare”, prosegue. “Abbiamo anche creato nuove figure all’interno del’ azienda e assunto persone per poter realizzare l’obiettivo nel miglior modo possibile”. Il risultato di questo percorso è che “il marchio Guerciotti, così come lo abbiamo imparato a conoscere oggi, non è più quello di 10 anni fa, ed è, pertanto, ancora più fondamentale poter fare affidamento su di un reparto marketing ben strutturato. Per questo motivo, da giugno 2023 è rientrata in azienda mia sorella, Micaela, che oggi è la direttrice marketing. Un ruolo sicuramente fondamentale e un compito senza dubbio stimolante, specie per chi, come lei, è parte della famiglia e della storia dell’azienda”.
Guerciotti, non si finisce mai di ricordarlo, è anche la storia del ciclocross, un vero e proprio faro in questa disciplina che, negli ultimi anni, ha aumentato parecchio, in Italia e nel mondo, il numero di praticanti. “È vero, per noi il ciclocross è amore e passione. Mio padre è stato corridore e da subito ha voluto costruire un team che ha fatto la storia di questa disciplina. Abbiamo vinto 10 campionati del mondo e svariati titoli nazionali. Con noi hanno corso i più grossi campioni del ciclocross internazionale (tra tutti Roland Liboton) e tutti i più forti italiani (da Ditano a Pontoni, da Franzoi a Marco Aurelio Fontana, fino a Gioele Bertolini). Per questo ogni anno siamo sempre impegnati con il nostro team, che da anni si chiama Selle Italia Guerciotti e che rappresenta il faro di tutto il ciclocross italiano. Il team, inoltre, è un ottimo veicolo pubblicitario e di test dei prodotti, aspetto quest’ultimo che, negli ultimi anni, è sempre più importante, anche per il mercato del gravel dove il nostro marchio è altrettanto forte e apprezzato.
L’ultimo kilometro, la volata per il traguardo dei sessant’anni di Guerciotti, si avvicina sempre più velocemente. “Siamo al lavoro su più fronti – conclude con orgoglio Alessandro Guerciotti – in primis l’organizzazione del campionato italiano di ciclocross a gennaio 2024, con una serie di eventi collaterali, ma soprattutto il prodotto icona che andrà a rappresentare l’apice di questo importante traguardo. Già a Misano 2022 siamo partiti con l’hashtag #roadtosixty, quindi direi che stiamo pedalando bene verso questo importante traguardo”.
MELICONI, AZIENDA PRODUTTRICE DEL CELEBRE DISPOSITIVO
ANTIURTO PER TELECOMANDI, HA FATTO IL SUO DEBUTTO
NEL SETTORE CICLISTICO CON GANCI PER APPENDERE BICI
AL MURO: 7 SOLUZIONI ECONOMICHE E FUNZIONALI
Ha suscitato notevole curiosità la scelta del marchio Meliconi di essere presente a numerosi eventi legati al mondo della bicicletta nella scorsa primavera, dalla Fiera del cicloturismo di Bologna alla Granfondo internazionale di Torino, in qualità di partner tecnico e sponsor, tanto per citarne due. E la curiosità nel comprendere come mai un marchio storico, reso famoso dal guscio antiurto per i telecomandi molto in voga negli anni ’80 e ’90 e oggi specializzato in accessori per televisori ed elettrodomestici, è stata subito soddisfatta.
Il motivo della scelta dell’azienda di tuffarsi nello sterminato mondo delle due ruote – lei che è leader in un ambito diverso – è legato alla scelta di lanciare una nuovissima serie di prodotti universali per appendere, sorreggere e prendersi cura di qualsiasi tipologia di bicicletta. Si tratta della linea MyBike che comprende accessori e supporti per le bici ed è l’ultimissima novità in casa Meliconi che punta forte su due aspetti interessanti: la capacità di questi accessori di essere universali, cioè di adattarsi perfettamente alle esigenze di chi possiede una citybike, una bicicletta da corsa, oppure elettrica o ancora una trailbike e, in seconda battuta, il fatto che sono prodotti adatti ad ambienti sia esterni sia interni e quindi ideali anche per chi non dispone di un box per la bici.
“E’ una linea universale, salvaspazio, accattivante, facile da montare, 100% made in Italy e sicura”, spiega il direttore marketing di Meliconi, Luca Cucciniello, “e proprio per questi motivi siamo convinti
che i nostri sette prodotti MyBike incontreranno la soddisfazione di appassionati e utilizzatori di qualsiasi tipologia di bicicletta”.
E così da leader del marcato degli accessori televisivi ora Meliconi si propone al mondo delle due ruote con questi sette prodotti: cinque supporti e due accessori. I supporti si adattano a ogni tipo di ambiente perché c’è la piastra a muro inclinabile e retraibile in modo da salvare lo spazio occupandone pochissimo anche quando non è utilizzata; c’è il supporto da parete universale per agganciarci la ruota anteriore, quello da parete per agganciare la bicicletta con il pedale, quello da soffitto sempre con aggancio sulla ruota e, infine, il supporto da pavimento. Tutti e cinque questi prodotti hanno una portata fino a 30 chilogrammi e aspetto decisamente interessante sta nel prezzo perché sono accessibili: si va da 30 a 100 euro massimo di spesa. Altri due sono invece gli accessori che completano la linea MyBike: quello da parete per sostenere il kit che comprende casco, guanti, scarpe e occhiali, e infine il sistema antifurto per bloccare la bicicletta sui supporti. O almeno, così si comincia, dopodiché si vedrà come ampliare l’offerta perché questo rimane un primo accesso di Meliconi al mercato bike.
“Queste novità fanno parte di una progetto continuo di sviluppo che prosegue ogni giorno in Meliconi”, ha concluso Cucciniello, “per innovare, aggiornare e migliorare i nostri prodotti e dunque offrire costantemente soluzioni vincenti”.
IL DIRETTORE MARKETING
LUCA CUCCINIELLO: "CI RIVOLGIAMO AD APPASSIONATI E UTENTI DI OGNI GIORNO PER TUTTI I TIPI DI MEZZI"
SUL MERCATO DELLE E-BIKE DAL 2017, THOK È L’AZIENDA
IDEATA DALL’EX TEAM MANAGER DI MOTOGP LIVIO SUPPO
CON IL CAMPIONE DI BMX E DOWNHILL STEFANO MIGLIORINI.
DOPO OLTRE VENT’ANNI DI MOTORSPORT E TANTI SUCCESSI
PORTA NEL MERCATO DELLA MOBILITÀ SMART CAPACITÀ
GESTIONALI UNCIHE OLTRE AL GUSTO DELLA PERFORMANCE
Al centro c’è sempre la passione, che poi ha bisogno di un’idea per trasformare un cuore che batte in una visione di futuro. Nel 2017 nasce Thok, l’azienda italiana creata da Livio Suppo, team manager in MotoGp per più di vent’anni (campione del mondo con Ducati e Honda) e Stefano Migliorini, campione del mondo di Bmx, pro di downhill, primo atleta italiano a essere entrato a far parte di un team ufficiale americano e a aver calcato i circuiti di Coppa del Mondo di DH (terzo assoluto nel 1993). Tra Livio e Stefano nasce una visione, ma serviva la concretezza di industriali, Giuseppe Bernocco e Sebastiano Astegiano, fondatori ed amministratori della Tcn Group, per permettere al progetto di Suppo di pedalare con le proprie gambe. Thok è una realtà in continua crescita e abbiamo voluto scoprire un po’ di più sulle idee di futuro del suo creatore, Livio Suppo:
Quando hai iniziato a progettare l’azienda, quali erano gli obiettivi?
Ho iniziato a pensarci intorno al 2013/2014. Ho impiegato un po’ di tempo a capire cosa volessi fare, ma è bastato provare una bicicletta elettrica per capire che sarebbe stata una bella idea but-
tarmi in questo campo. Ho dovuto cercare e trovare gli uomini giusti che mi affiancassero in questo progetto. L’obiettivo era quello di creare un’azienda di biciclette a pedalata assistita che si piazzasse nella fascia media/alta del mercato e che rappresentasse un mezzo fatto da appassionati per gli appassionati. Per ora la strada è quella giusta.
Da uomo di corse, di motori a benzina, che rapporto hai con l’elettrico?
Penso che nel mondo della mobilità urbana sia il futuro. Quando si parla invece di Motorsport, nonostante le performance in crescita, continuo a preferire il rombo del motore endotermico, ma credo che questo alla mia età sia normale.
Pensi che la MotoE e la FormulaE possano portare nuova linfa anche nel mercato della mobilità di ogni giorno?
No, sinceramente non credo che possano contirbuire a sensibilizzare circa l’utilizzo di mezzi elettrici nella mobilità. Le competizioni hanno scopi diversi, soprattutto quello di promuovere i veicoli elettrici in generale, ma non credo che possano portare un beneficio al mercato della mobilità urbana.
Entro il 2035 non si produrranno più veicoli endotermici, anche se continueranno a circolare. Questa scelta può fare da traino alla mobilità elettrica?
Innanzittutto è qualcosa che riguarda solo l’Europa e ho grossi dubbi… ma credo fortemente che, a prescindere da questa decisione, i veicoli a due ruote, come scooter e biciclette, siano il futuro. Sono convinto che la mobilità elettrica per le città sia la decisione migliore. Ingombri inferiori, consumi inferiori e meno inquinamento.
Come affrontate il mercato?
Il mercato delle e-bike è in grandissima evoluzione, ma d’altronde è un mercato molto giovane. Oggi il mercato si sta segmentando sempre di più. Il nostro payoff è ‘Performance first’ e noi continueremo a realizzare bici da appassionati con le caratteristiche di essere guidabili e performanti.
In carriera hai fatto il team manager per una vita; come ti trovi a fare l’imprenditore?
L’esperienza da team manager è un’esperienza che mi porto anche qui. Gestire le persone, gestire lo stress e lavorare per obiettivi sono punti chiave nel mondo del motorsport e cerco di trasferirli anche in questa nuova veste.
Che visione hai per il futuro? Una paura e un desiderio.
Il futuro è sempre più difficile da prevedere, anche perché il mondo, negli ultimi anni, è cambia-
to sempre più velocemente. La paura è che questi cambiamenti così repentini possano portare a dei grossi problemi difficili da affrontare; mentre il desiderio è che le giovani generazioni tornino ad apprezzare le sensazioni e le soddisfazioni vere, concrete, come quelle che si possono provare facendo un bel giro in bicicletta, non solo i social media, che invece spesso propongono una vita non reale, un’esperienza solo virtuale.
Dopo il grande successo ottenuto nelle 6 tappe del 2022, continua anche nel 2023, con ben 9 tappe, il viaggio di Forbes dedicato alla scoperta delle PMI, spina dorsale dell’Italia che cresce.
Un’occasione per confrontarsi su temi quali sostenibilità, innovazione, digitalizzazione, internazionalizzazione, welfare, accesso al credito e per creare relazioni professionali.
Il progetto è rivolto a imprenditori e manager che gestiscono PMI del territorio e alle grandi aziende che vogliono mettersi in contatto con loro.
SI CHIAMA BAISKELI, CHE IN SWAHILI SIGNIFICA “BICICLETTE”, IL PROGETTO ELABORATO DALLA CICLOFFICINA SOCIALE
DI CORMANO, NATO IN TANZANIA GRAZIE ALLA COLLABORAZIONE CON ONG LOCALI, CHE ORA SBARCA IN ECUADOR. L’OBIETTIVO
È SEMPRE LO STESSO: ACCOGLIERE FRAGILI E DIVERSI
COINVOLGENDOLI NELLA RIGENERAZIONE DI MEZZI A PEDALI
PER TIRAR LORO LA VOLATA NELLA CORSA DELLA VITA
In lingua swahili, letteralmente, significa “coltivia mo biciclette”. E la campagna agricola a due ruote funziona, eccome, in un ponte ideale che parte da Cormano e unisce, in un percorso ciclabile, pezzi di mondo tanto lontani quanto solidali. Baiskeli è più di un progetto, è un vero e proprio format replica bile in giro per i continenti. L'esempio è lampante: nato nell'estate del 2019 tra la ciclofficina sociale di Cormano e Pomerini, in Tanzania, ora è pronto a mettere piede, anzi pedale, in Sudamerica. Sarà l'Ecuador a ospitare la prossima tappa della ciclofficina itinerante, realizzata da Riccardo Bosi e dai suoi sodali. Un progetto nato dall'incontro tra Ciclofficina Sociale di Cormano (laboratorio ci clo-meccanico di riparazione biciclette per l’inclu sione sociale) e Tulime Onlus, Ong che opera da molti anni sull'altopiano di Iringa, in Tanzania. In Sudamerica, invece, la partnership sarà con altre associazioni con cui si è già aperto un confronto.
L’idea è quella di riportare la loro esperienza quotidiana anche a 10mila (e oltre) km di distanza, mutuando l’idea di un laboratorio di bici per l’in clusione socio-lavorativa a favore di persone con fragilità. Come hanno fatto in Tanzania, dov’è stata organizzata e messa in opera una ciclofficina per la formazione di apprendisti ciclo-meccanici e rige nerazione di biciclette, offerte poi alla popolazione, valutando con le autorità del posto le famiglie più bisognose.
“Ci siamo ritrovati a vivere la nostra quotidianità ma, ovviamente, con emozioni e contesti comple tamente diversi”, spiega Bosi. “Abbiamo lavorato con sei apprendisti, chi con problemi familiari, chi sieropositivo, chi con trascorsi difficili e abbiamo tastato concretamente le difficoltà, confrontan doci con studenti che devono camminare un’ora e mezza per raggiungere la scuola o contadini a cui lo stesso tempo serve per arrivare ai campi. E così l’ausilio della bici diventa fondamentale”.
Così come indispensabile diventa un mezzo (sostenibile) per ridurre le distanze e per il trasporto delle merci. Pertanto, con l’ausilio di artigiani locali, il progetto prevede la realizzazione di tre tipologie di mezzi: cargo bike (per il trasporto di attrezzi e prodotti agricoli), school bike bus (per accompagnare a scuola i bambini) e bike ambulance (servizio di trasporto a malati e persone con ridotte capacità motorie, per raggiungere i dispensari medici).
Cooperazione, ma non assistenzialismo: “Dopo la formazione e l’accompagnamento al lavoro dei nuovi ciclo-meccanici si continua a stimolare e supportare a distanza la popolazione locale verso una cooperazione di comunità, affinché sia sempre più protagonista e autonoma nella crescita e sviluppo del progetto nel medio-lungo periodo”. Nel frattempo, in attesa del prossimo viaggio, il
progetto Baiskeli si intreccia con la vita “italiana”: “Nell’ambito del nostro lavoro stiamo anche intensificando le attività con le scuole, sia milanesi che delle zone limitrofe, con progetti di prevenzione primaria ed educazione all'uso della bicicletta e alla mobilità sostenibile. Ma quello che resta il nostro obiettivo primario è far vivere la nostra ciclofficina”.
Un luogo di incontro e condivisione, sociale appunto: “Il nostro laboratorio si impegna attivamente a offrire accoglienza a 360 gradi, includendo il ‘diverso’ o più fragile con uno spirito di integrazione partecipativa. Coinvolgiamo persone con problematiche psichiatriche, varie forme di disabilità, giovani a rischio di devianza, persone straniere e rifugiati politici”. Il tutto, armati semplicemente degli attrezzi di lavoro. Mettendo al centro la bicicletta e intorno le persone. A qualsiasi latitudine.
BRIANZA D’EPOCA NON È UN POLVEROSO MUSEO DI FERRI VECCHI, MA UN’ESPOSIZIONE DI PEZZI UNICI IN COSTANTE EVOLUZIONE, AGGIORNATA OGNI MESE, DAI COLLEZIONISTI DELL’ASSOCIAZIONE PRESIEDUTA DA MARCO BATTORARO, CHE IN AUTUNNO PARTECIPA A UN RICCO PALINSESTO DI EVENTI ITINERANTI
Chiamarlo ‘museo’ non gli piace molto, meglio ‘esposizione’. Differenza sottile che Marco Battoraro, presidente dell’associazione Brianza d’Epoca, spiega precisamente: “Diciamo che preferisco chiamarla esposizione perché spesso c’è un ricambio delle biciclette che il visitatore può ammirare, alcune rimangono lì in modo permanente, ma altre vengono continuamente cambiate dopo qualche mese, perché in fondo siamo quaranta iscritti e tutti abbiamo una nostra collezione privata di biciclette d’epoca, dunque perché tenerle in garage a prendere la polvere? È decisamente meglio farle girare e metterle a disposizione di chi vuole vederle, analizzarle e toccarle. Parliamo in complessivo di un centinaio di biciclette da ammirare”.
Museo o esposizione che sia, il viaggio dentro alla sede di Brianza d’Epoca rimane un’esperienza mistica che appassionati e curiosi dovrebbero provare almeno una volta nella vita. Cinque spazi a disposizione nella nuovissima sede di Concorezzo (in via Petrarca) che vanno dalle ‘antenate’ di fine ‘800 alle bici da corsa che hanno coperto l’ultimo secolo a partire dai primi anni del ‘900. “Qui si può vedere come sono cambiate le bicicletta da corsa, l’evoluzione dei cambi e telai”.
Ma come nasce questa passione di Marco Battoraro e soprattutto perché Brianza d’Epoca? “La Brianza era una fucina incredibile di artigiani e produttori di biciclette e l’associazione nasce con lo scopo di promuovere le bici vintage e non solo. La mia passione, invece, è nata trent’anni fa quando casualmente, cercando una bici usata, mi imbattei in una Bianchi con il ‘mosquito’ cioè il motore ausi-
liare a miscela. In sostanza le antenate delle e-bike se vogliamo fare un parallelo. Quando si guastò la portai da un ciclista capace di metterla a posto, iniziammo a parlare e da lì scattò la scintilla della mia passione anche come restauratore nel corso degli anni”.
Una collezione sterminata e affascinante, tra cui spiccano alcuni pezzi davvero unici e pregiati. “Sono tutte bellissime, in particolare però mi piace menzionare una Cicli Zappa di Arcore, una bicicletta d’epoca per uso quotidiano allestita con componenti da corsa di elevatissima fattura e una qualità pazzesca. Al tempo era una bici eccezionale, non per tutte le tasche. Poi c’è una Zenith Milano del 1938 decisamente misteriosa, color verde pastello quando al tempo l’unico colore era il nero e con delle componenti di alluminio super moderni per l’epoca. Questa ha la particolarità di avere le leve rovesce dei freni, abolite nel 1940 in quanto troppo pericolose perché in caso di caduta o collisione potevano trasformarsi in coltelli”.
Un’altra chicca è la De Rosa del 1969: “Fu realizzata in soli 100 esemplari con forcelle di testa speciali e differenti da tutte le altre e con un freno Campagnolo prototipo non marcato”.
Ottobre sarà infine un mese speciale ricco di appuntamenti: “In occasione di Ville aperte allestiremo una mega mostra a Villa Zoia di Concorezzo, poi il 15 ottobre con il Ciclostoriche Lombardia ci sarà la Lacustre (giro del Lago d’Iseo), il 22 ottobre la Ghisallo e il 28 del mese la Rigonissima (Brescia) mentre il 10 settembre abbiamo in programma La Viscontea”.
LUCA E ANDREA SONO DUE FRATELLI ILLUSTRATORI
E APPASSIONATI DI CICLISMO: DOPO GLI ESORDI ALLA
‘SCUOLA’ DELLO ZIO, ARRIVANO LE PRIME IMPORTANTI COLLABORAZIONI, COME QUELLA CON NOVA EROICA
CHE CONTRIBUISCE A DEFINIRNE L’IDENTITÀ. COSÌ
SONO NATI I 2BROS CREATIVE. CHE GIÀ GUARDANO AVANTI
Due fratelli, una comune passione, quella verso l’illustrazione, che è arrivata ad abbracciare anche il ciclismo. Sono i 2Bros Creative, duo vicentino composto da Luca e Andrea, che per primo e fin da piccolo, si è appassionato di disegno e, grazie allo zio anch’esso illustratore, è riuscito a implementarla.
Dopo aver mosso i primi passi con il disegno, Andrea inizia a prendere confidenza con i programmi digitali e ad abbozzare qualche illustrazione che ritrae amici ciclisti, fino a proporre soggetti al pubblico e al mercato.
Il duo è riuscito negli anni – e qui ha contribuito anche la personalità imprenditoriale di Luca – a collaborare con alcune delle più grandi realtà collegate al mondo del ciclismo (per esempio, Nova Eroica, Alanera, Elite) e così nel 2017 si sono dati il nome che ancora oggi ne identifica le produzioni: 2Bros Creative.
Come avete vissuto la fase di avvio della società?
Nei primi mesi abbiamo lavorato molto con clienti privati, in primis ciclisti, commercializzando set di adesivi con disegnato il loro ritratto “minimal” (con casco, occhiali e maglia del team); prodotti semplici che ci hanno aiutato a farci riconoscere nel mercato. Poi sono arrivate le prime aziende. Dopo alcuni mesi di “rodaggio” per conoscerci come colleghi (non solo come fratelli) e comprendere più a fondo alcune dinamiche del nostro settore (target sportivo), abbiamo deciso di focalizzare le nostre energie sull’illustrazione digitale con applicazioni commerciali, quindi ricercando uno stile di disegno
che ci appartenesse e in grado di raccontare una situazione o un prodotto, in modo pulito e diretto.
A proposito di collaborazioni: ce n’è una della quale andate più fieri?
Una delle collaborazioni delle quali andiamo più fieri è quella con Nova Eroica, organizzatore di eventi dedicati alla gravel bike, al cicloturismo e capace di esaltare i territori nel nostro Paese come pochi altri sanno fare. Alla Nova Eroica si trovano, infatti, percorsi meravigliosi (tre per ogni evento) con tratti cronometrati, cibo della tradizione e le nostre illustrazioni, presenti sia sulla comunicazione social sia fisicamente sulle locandine dell’evento e sui pacchi gara. Siamo molto legati a questa collaborazione perché si è creata una bellissima relazione professionale con Alessandro, l’art director di Eroica, che ci guida in questo progetto e, con il passare del tempo, è sfociata in amicizia.
Quindi si può dire che per voi illustrare è un modo per dare voce alla vostra creatività?
Per noi illustrare vuol dire dare voce a ciò che vediamo e talvolta ai nostri ricordi. Raccontare qualcosa senza utilizzare le lettere. Crediamo che colori, linee e geometrie arrivino agli occhi degli utenti in un modo così diretto che altri strumenti di comunicazione non possono permettersi. Poi, nell’illustrazione, si può immaginare… ed è forse questa è la cosa più bella del nostro prodotto. È il fatto che noi possiamo influenzare sempre il risultato, non ci sono leggi o teoremi, ci sono solo colori da scegliere e visioni a cui dare un tratto.
Quanto vi hanno aiutato i social nella crescita della vostra attività?
I social ci hanno aiutato tanto e nel complesso sono uno strumento positivo per la categoria dei creatori digitali (illustratori ma non solo). Con estrema facilità e immediatezza si possono raggiungere persone che, con mezzi di pubblicità più tradizionali, sarebbe sicuramente più difficile raggiungere. In pochi istanti, con un click, il prodotto può essere visto dall’altra parte del mondo; potenzialmente con i social si possono raggiungere tutte le persone e tulle le culture. Tuttavia non sono sempre rose e fiori disporre di una così ampia diffusione delle proprie idee: basti pensare a episodi di plagio che, nel nostro settore, accadono spesso. Nel futuro ci immaginiamo sempre degli illustratori con voglia di innovare e alla ricerca di progetto nuovi. I nostri obiettivi sono quelli di portare il nostro stile di disegno anche in altri ambiti, non solo in quello sportivo. Oggi stiamo lavorando a questo.
Inaugurato ad aprile presso la stazione della metropolitana Marconi a Roma Capitale, il murales dedicato al Giro d’Italia è stato realizzato dallo street-artist di fama mondiale Giulio Gebbia, in arte Rosk. Il soggetto è dominato dall’immagine di un ciclista in maglia rosa, sostenuto e incoraggiato da un gruppo di tifosi mentre sfida, con tutta la sua energia, la forza del vento contrario. Sullo sfondo compare il Colosseo, icona della Città Eterna, che a fine maggio ha accolto l’ultima volata della 106esima edizione del Giro, vinta da Mark Cavendish alla sua ultima partecipazione e consacrando il trionfo, per la generale, di Primoz Roglic.
Il racconto di Rosk si sviluppa su una superficie di 23 metri, che vede il ritratto di un vincitore baciare il Trofeo Senza Fine, con un gesto che simboleggia la passione e la felicità di chi sa di aver lottato superando i propri limiti. Uno spazio di grande effetto e impatto con cui Roma Capitale ha voluto rendere omaggio al grande giro italiano quale segno della sua legacy sul territorio.
“Questo murales è una dimostrazione d’amore per la Corsa Rosa e che conferma quanto Roma sia vicina al Giro d’Italia e quanto il Giro d’Italia sia vicino a Roma”, ha detto Paolo Bellino, amministratore delegato di Rcs Sport in occasione dell’inagura-
zione, alla quale hanno partecipato, oltre all’artista, il campione italiano di trial Diego Crescenzi e anche Alberto Zorzan, direttore generale di Atac, Amedeo Ciaccheri, presidente Municipio VIII, Eugenio Patanè, assessore alla mobilità del Comune di Roma, e Alessandro Onorato, assessore ai Grandi eventi, turismo, sport e moda del Comune di Roma.
“Il murales che si staglia su questa parete racconta una storia, quella del Giro d'Italia, nonché lo sforzo e la tenacia necessari per completare l'intero percorso ciclistico”, le parole di Gebbia. “Un’opera che mira a esprimere l'essenza della Corsa Rosa, celebrare gli atleti, il pubblico e il percorso che attraversa il nostro Paese, da nord a sud”. E che è già stato visto da un grande pubblico, considerando che, come ha ricordato l’assessore alla mobilità ringraziando Atac per aver messo a disposizione la struttura, la stazione Marconi è “uno degli snodi più frequentati su cui transitano circa 230mila persone al mese”. E ha aggiunto: “Il murales realizzato presso la stazione Marconi, peraltro, si inserisce all’interno di un progetto complessivo di riqualificazione delle fermate delle metropolitane che stiamo portando avanti e che hanno già interessato, tra le altre, le stazioni di Santa Maria del Soccorso e di Torre Maura”.
di / ALESSIA BELLAN /
COME RACCONTA LA CANZONE DI FRANCESCO BACCINI, È SEMPRE BELLO PEDALARE, ANCHE QUANDO FA MOLTO CALDO. PURCHÉ SI RICORRA ALLE GIUSTE PRECAUZIONI
A PARTIRE DA ABBIGLIAMENTO E ATTREZZATURA: MAGLIE TECNICHE, CREME SOLARI AD AMPIO SPETTRO, VISIERA, OCCHIALI E TANTI SUGGERIMENTI DI STILE
CAPPELLO PANGAIA
È firmato Pangaia, marchio 100% green che ha già conquistato il fashion system per la filiera completamente ecosostenibile, il cappello a secchiello realizzato con un mix di cotone organico e riciclato e biofibra Agraloop derivata dagli avanzi della canapa da semi oleosi, utilizzando meno materiali vergini e meno acqua.
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La prima side e-bike al mondo, è un modello unico nel suo genere grazie allo stile inconfondibile che richiama i mitici sidecar degli anni ‘40 e al “carrozzino” rimovibile capace di ospitare un bambino o un animale domestico nel massimo comfort. Disponibile nelle versioni da 250 e 500 W (solo per utilizzo in luoghi privati).
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I brillanti colori Pantone prendono vita nella gamma di borracce termiche con display digitale touch screen. Integrato nel tappo, il display consente di visualizzare la temperatura del contenuto semplicemente toccando lo schermo con le dita. La doppia parete in acciaio inossidabile 304 garantisce l'isolamento termico: 24 ore per le bevande fredde, 12 per il caldo.
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Si chiama Daydream la nuova collezione estiva degli iconici occhiali Izipizi. Ispirandosi a un sogno a occhi aperti, questa limited edition del brand francese è un'ode al lasciarsi andare, a liberare le proprie ali. Trasparenze e nuove texture in un ventaglio di delicati colori pastello dal sapore speziato per proteggere gli occhi di tutta la famiglia. € 40 - moronigomma.it
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Rivisitazione in chiave contemporanea del tradizionale stile workwear, uno zaino leggero e resistente realizzato in cotone biologico con ampio scomparto principale, tasca per laptop e una posteriore nascosta per avere sempre tutto a portata di mano durante le escursioni estive.
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L’ESPRESSO INIZIA UNA NUOVA STORIA.
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L’ESPRESSO. TUTTO CIÒ CHE ERA E TUTTO IL NUOVO CHE VERRÀ.
I VAGAMONDI – SCRITTORI IN BICICLETTA
/ 66thand2nd edizioni, 264 p., 18 € /
Cosa accomuna Mark Twain, Émile Zola, Pierpaolo Pasolini, H.G. Wells, Giovanni Pascoli, Ernest Hemingway, Gabriel García Márquez, ma anche Albert Einstein, Marie Curie e infine chi scrive e (verosimilmente) chi sta leggendo queste poche righe?
L’aver inforcato una bicicletta, e con quello aver raggiunto la felicità. Nel caso dei tanti nomi citati, e di tutti i 30 scrittori che danno vita a questo libro, di averla raccontata. Claudio Gregori, maestro di letteratura che non sfigurerebbe in cotanta compagnia, si è messo ancora una volta a scandagliare biblioteche e archivi, per trarne un’antologia che raccoglie tante parole scritte ma soprattutto tante vite vissute, velocemente, talvolta pericolosamente, sempre sui pedali.
Giacomo Pellizzari
ITINERARIO FELICE. DA BERGAMO A BRESCIA LUNGO LE STRADE DI GIMONDI
/ Enrico Damiani editore, 192 p., 16 € /
Nel 2023 Bergamo/Brescia è capitale italiana della cultura. Proprio così Bergamo/ Brescia come se fosse un’unica città, al di là di campanilismi e differenze più o meno grandi. Ma Bergamo/Brescia per lungo tempo è stata, e ancora è, tra le capitali italiane, quindi mondiali, del ciclismo. E qui vale un’unica città davvero, perché non sono le città che contano ma le strade, le campagne, i laghi, le salite, soprattutto le salite. Se questa strana capitale bicefala avesse un simbolo, sarebbe il volto felice di Felice Gimondi, che pedalando su queste strade ha costruito una carriera straordinaria. Pellizzari le ha raccontate a modo suo, ovvero pedalando e incontrandovi idealmente campioni, scrittori, personaggi di una storia lunghissima sviluppatasi nell’arco di pochi chilometri.
Giovanni Battistuzzi
LANCE DEVE MORIRE
/Mulatero editore, 280 p., 17 € /
Un romanzo di fantasia, ma una storia che potrebbe avere radici più reali che mai. La storia di un ragazzo appassionato di bicicletta, che il ciclismo “se lo era trovato davanti e non gli aveva resistito”; anche perché nel ciclismo aveva trovato la sua speranza, il suo riscatto, la sua vita. Proprio come Lance Armstrong, almeno fino alla sua confessione sul doping. Il primo romanzo del giornalista ciclistico Giovanni Battistuzzi è un libro sulle illusioni e sulla miseria che tocca tutti gli uomini, dal grande campione al più piccolo dei tifosi, un libro in cui il ciclismo entra in continuazione, raccontando tappe e imprese, ma da cui finisce per uscire e lasciare spazio all’umanità e al mistero.
Davide “Pacchiani” Di Martino è co-founder di Power Francers, scanzonato progetto elettro-pop degli Anni Dieci, noto al grande pubblico per il tormentone Pompo nelle Casse, disco d’oro del 2014. Ora ha 34 anni e si definisce "un buon dj di musica italiana" nelle sue peculiarità più uniche e trainanti. Da diverso tempo sta studiando e riesplorando le sonorità italo-disco, global funk/world, preludio di un progetto inedito solista in uscita... prima o poi. Ciclista dalla tenera età, trascorre la maggior parte del tempo lo passa in sella alla sua bicicletta dove riesce a trovare la migliore ispirazione. La playlist è un viaggio nella world music... world che vorrebbe esplorare a bordo di una gravel oltre che con i dischi.
1 / Stay free
ASHFORD & SIMPSON E JAMES SIMPSON
2 / Mizik noue
MILTON
3 / Down in the basementn
THE MAUSKOVIC DANCE BAND
4 / You can't be funky
BUSH TETRAS
5 / Lead us to the end
THE QUANTIC SOUL ORCHESTRA, QUANTIC, NOELLE SCAGGS
6 / Splendida giornata
VASCO ROSSI
7 / I thought it was you
KIMIKO KASAI & HERBIE HANCOCK
8 / Zagalakatéléman
LES VIKINGS DE LA GUADELOUPE
9 / L ait de coco - Dub
MAYA
10 / Dance Floor
ZAPPA
11 / Soleil
KASSAV'
12 / Punkulation
ZINC
13 / Behido
ERNESTO DJÉDJÉ
14 / Hip Hip Hip
NANA LOVE
15 / Woohoo
HOSH
16 / You used to hold me so tight
THELMA HOUSTON
17 / Agboju logun
SHINA WILLIAMS & HIS AFRICAN PERCUSSIONISTS
18 / Cartaz
FAGNER
19 / I want your love
CHIC - DIMITRI FROM PARIS REMIX, 2018 REMASTER
20 / Parribean disco
COTONETE - DIMITRI FROM PARIS
Nella pratica del ciclismo, professionistico in particolare, il recupero è sempre stato la base di tutto. Quando correvo, d’inverno, il riposo era riposo: a fine stagione avevamo almeno due mesi a disposizione in cui la bicicletta si utilizzava raramente, qualche “girata” al massimo, specie se non avevi la fortuna di risiedere al Sud o in località dai parametri climatici accessibili. Poi c’era chi faceva le Sei Giorni, ma per tutti gli altri, di bicicletta, se ne riparlava a gennaio. Non prima. Nel frattempo ci si dedicava alla corsa, al lavoro in palestra, alla ginnastica a corpo libero: questo succedeva cinquant’anni fa. A me piaceva anche sciare. Prima ancora, finita la stagione, i ciclisti tornavano semplicemente all’attività lavorativa che, solitamente, manteneva gli standard di fatica della pratica agonistica: tagliaboschi, muratori… e per molti era una scelta obbligata dettata anche dalle necessità economiche.
Poi è cambiato tutto. Anzi, c’è stata un’evoluzione in tutto: dai ritiri in località temperate, quando non addirittura esotiche, al calendario che dura tutto l’anno, correndo praticamente sempre e ovunque, dall’Argentina all’Australia, passando per i Paesi arabi. Oggi, insomma, i corridori non si fermano mai, i più fortunati hanno una o due settimane a stagiona conclusa, ma poi tornano subito in sella. Anche grazie al conforto dell’abbigliamento, sempre più tecnico e innovativo: basta una maglia intima e un giubbino invernale che di fatto si può pedalare con qualsiasi temperatura. Noi invece ci arrangiavamo come potevamo, dovevamo mettere la maglia della salute, la camicia che riparava dal vento, maglietta e maglione… sembravamo dei palombari, ma avevamo comunque freddo. Per non parlare degli standard qualitativi raggiunti da guanti e calze termiche.
Lo sport, poi – e da questo punto di vista il ciclismo
è all’avanguardia –, è diventato molto più scientifico di un tempo: si possono monitorare, non solo i parametri relativi alla prestazione atletica, ma anche l’alimentazione e persino il sonno, grazie a dispositivi che ci consentono di tenere tutto quanto sotto controllo. Una volta, invece, la preparazione era in tutto molto più empirica, si andava a sensazioni… si diceva, per esempio, che l’aria buona della montagna facesse bene, e non era sbagliato; anche io, quando tornavo da Cervinia, mi sentivo molto meglio, ma oggi sappiamo perché il lavoro in altura porta tanti benefici.
Quello che non cambierà mai, però, è l’importanza di sviluppare, da parte del corridore, la capacità di stare attento a tutto ciò senza venire schiacciato dal peso di tante piccole e grandi responsabilità. Infatti, quando sei con la squadra è tutto più facile, ma è a casa, quando sei solo, che un simile impegno si fa più difficile. Prendiamo, per esempio, la nutrizione: sai che devi recuperare un certo numero di calorie, ma sta a te scegliere l’alimentazione più corretta. Cipollini, per esempio, anche quanto si riposava, prestava un’attenzione assoluta alla colazione, al primo pasto della giornata, ed era un corridore capace di essere “leggero”, di staccare –qualcuno lo criticava anche per questo – ma poi, quando arrivava la Sanremo, lui si faceva trovare pronto. Ricominciava anche prima degli altri. E i due fenomeni sloveni di oggi, Pogacar e Roglic, sono allo stesso modo “campioni di leggerezza”, in grado di recuperare, di riposarsi, di stare con i propri cari per rigenerarsi e vivere con maggiore serenità di altri le tante responsabilità che la vita dello sportivo ti impone. Lo si percepisce anche dalle immagini in televisione Ed è qualcosa che non dobbiamo, mai, sottovalutare.
* Ex ciclista, dirigente sportivo e commentatore tv per Eurosport.