VISIONE E PASSIONE

ADVENTURE LINE: la linea che completa la collezione GIVI BIKE per i possessori di gravel che amano viaggiare leggeri.
Basta chiudere lo sportello dell’auto, girare la chiave dell’accensione e diventiamo persone diverse: intolleranti, irascibili, aggressive. Nel traffico cittadino, poi, questi terribili sentimenti si esasperano ancora di più. Gli stop and go, i semafori, le code, le frenate improvvise, quello che attraversa sulle strisce e siamo convinti (sbagliando) di avere noi la precedenza. Ma come sarebbe la nostra vita se in città ci fosse un limite di velocità a 30 all’ora? Impazziremmo. Macché. Tutto il contrario. Lo spiega bene Giovanni Iozzia nel suo articolo a pagina 84. Portare a 30 chilometri orari il limite di velocità nei centri urbani è una proposta che ancora oggi divide l’opinione pubblica. Ma da Olbia a Londra, chi l’ha adottata, ne sperimenta i benefici: meno traffico e incidenti, tempi di percorrenza invariati. In città già viaggiamo con medie spesso inferiori ai 30 orari, eppure, nonostante la maggior parte degli spostamenti non superino i 5 chilometri percorsi, si pensa di arrivare prima usando la macchina. Nella City le collisioni con bici e pedoni sono diminuite del 36% e quelle con morti o feriti gravi del 25%. A Bruxelles più sicurezza non ha causato ritardi. E i ciclisti sono aumentati del 20%.
La riduzione della velocità da 50 a 30 chilometri non è una novità, visto che si tratta di un intervento urbanistico previsto già dal 1995. Ma finora era limitata a poche strade o in piccoli comuni, mentre adesso si discute di rallentare in gran parte della rete viaria delle città anche delle più grandi. A dare il là è stata Milano, dove in gennaio il consiglio comunale ha approvato un ordine del giorno che impegna la giunta a decidere interventi già a partire dal 2024. Staremo a vedere.
Intanto l’Unione europea ha varato una nuova strategia ciclistica con l’obiettivo di raddoppiare i chilometri percorsi entro il 2030, investire nelle ciclabili e sostenere la produzione di bici ed e-bike. Una scelta che, oltre a potenziare il made in Ue, offrirà nuove opportunità al mezzo milione di lavoratori dell’automotive che presto saranno in esubero. E infatti c’è una luce in fondo al tunnel. Secondo Conebi, la Confindustria europea dei produttori di biciclette, nel 2025 saranno prodotti in Europa componenti per 6 miliardi di euro mentre nel 2030 saranno vendute 30 milioni di bici, muscolari ed elettriche.
Anche il Parlamento europeo dà una mano: ha esortato tutti i paesi d’Europa a puntare sulla mobilità in bicicletta, approvando una Risoluzione dal titolo evocativo: Cycling strategy. “Il testo chiede alla Commissione una strategia che porti, entro il 2030, al raddoppio del numero di chilometri percorsi in bici”, scrive a pagina 13 Anna Donati, portavoce dell’Associazione mobilità dolce. “Un invito forte a tutti gli Stati membri a sviluppare infrastrutture, servizi e sostenere politiche industriali che mettano al centro il settore della bicicletta. Propone di proclamare il 2024 come anno della bicicletta, che speriamo diventi realtà”.
IL CARNEVALE DEL FANGO di / FILIPPO CAUZ /
LA REGINA DEI PRATI di / ANGELO DE LORENZI / 38
NUOTA, PEDALA E CORRI (TUTTO L’ANNO) di / DARIO NARDONE / 40
LIBERA E SPETTACOLARE di / ENRICO SALVI / 42
SEMPRE GIOVANE di / FULVIO DI GIUSEPPE / 44
SAPORE D’IMPRESA di / STEFANO SCACCHI / 46
SPIRITO D'ABRUZZO di / ANGELO DE LORENZI / 54
RITORNO A CASA di / FRANCESCA CAZZANIGA / 58
CAMPIONE IN TUTTO di / MARCO PASQUINI / 62
LAIGUEGLIA, OLTRE IL LAIGUEGLIA di / LUCA GREGORIO/ 64
CICLOTURISMO DOC di / MARZIA PAPAGNA / 66
VIAGGIO AL CENTRO DEL MONDO di / LUCA GREGORIO / 70
SULLE TRACCE DI OVIDIO di / ENRICO SALVI / 72
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PEDALANDO IN SICUREZZA |
MUOVENDOCI CRESCIAMO di / MATTEO RIGAMONTI / 76
REGALATE BICI, NON TELEFONINI di / MASSIMO BOGLIA / 78
DENTRO LA LEGGE di / FEDERICO BALCONI / 80
| CITTÀ IN MOVIMENTO OLTRE L'IDEOLOGIA di / GIOVANNI IOZZIA / 84
PRIMA LA BICI di / FEDERICO GUIDO / 88
LA MAPPA DEI PRODUTTORI DI CARGO BIKE di / MARZIA PAPAGNA / 90
UN MONDO DA SCOPRIRE di / MARZIA PAPAGNA / 92
DALLA PRESSIONE, UNA SCINTILLA di / GIACOMO SPOTTI / 94
Anno 4 / N°12 / SPRING Aprile-Giugno 2023
Trimestrale per vivere in movimento.
Registrazione al Tribunale di Milano: il 24/06/2020 al numero 58.
Editore BFC Media Spa Via Melchiorre Gioia, 55 – 20124 Milano
Tel. (+39) 02.30.32.11.1 info@bfcmedia.com
Presidente Denis Masetti
Amministratore delegato
Marco Forlani
Direttore responsabile
Alessandro Rossi
Video content editor Valerio Gallorini
Coordinamento redazionale
Matteo Rigamonti rigamonti@bfcmedia.com
Cycling writers Filippo Cauz, Luca Gregorio
| CICLO ECONOMICO
UNITA E A PEDALI di / FULVIO DI GIUSEPPE / 98
LA VETRINA DEI SOGNI di / GIOVANNI IOZZIA / 102
| BIKE LIFE |
LIBRAI SU DUE RUOTE di / GIOVANNI IOZZIA / 110
SCATTI A 360° di / LEONARDO SERRA / 114
INNOVATIVI NEL PROFONDO di / GIOVANNI IOZZIA / 104
AL VOSTRO SERVIZIO di / FABIO FAGNANI / 106 76
Contributors Federico Balconi, Alessia Bellan, Massimo Boglia, Francesca Cazzaniga, Angelo De Lorenzi, Fulvio di Giuseppe, Anna Donati, Fabio Fagnani, Federico Guido, Giovanni Iozzia, Rolando Lima, Riccardo Magrini, Dario Nardone, Marzia Papagna, Marco Pasquini, Pietro Pisaneschi, Enrico Salvi, Stefano Scacchi, Giacomo Spotti, Leonardo Serra, Marco Tonelli
Art director Marco Tonelli
Impaginazione rustbeltgarage@gmail.com
Project manager Alberto Brioschi brioschi@bfcmedia.com
Emanuele Cordano cordano@bfcmedia.com
Marketing Marco Bartolini bartolini@bfcmedia.com
UNA BICICLETTA PER DUE di / MARZIA PAPAGNA / 116
IN FUGA CON CLASSE di / ALESSIA BELLAN / 118
TECH È BELLO di / ALESSIA BELLAN / 122
LEGGERE SUI PEDALI di / FILIPPO CAUZ / 128
BIKE PLAYLIST ARTISTICA di / MARCO TONELLI / 129
IL CICLISMO TI RENDE MAGRO ALLE ORIGINI DEL TALENTO di / RICCARDO MAGRINI / 130
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Foto di Copertina Tommy della Frana (Per gentile concessione di Fantini Group)
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ORGANIZZA I TUOI GIRI IN BICI, CREA IL TUO GRUPPETTO
E YOU’LL NEVER RIDE ALONE!
Uscire di casa e salire in auto è un’abitudine talmente consolidata da oscurare tante domande. Siamo sicuri che sia sempre la scelta migliore per raggiungere la nostra destinazione? È economicamente la più conveniente quando ci muoviamo da soli, come accade nella maggior parte dei casi? È coerente con le crescenti preoccupazioni per la qualità dell’aria che respiriamo? Abbiamo seriamente valutato le alternative a disposizione?
Le risposte più razionali stanno cambiando il mercato, soprattutto per effetto delle diverse sensibilità delle nuove generazioni, a partire dalle grandi città dove l’uso è sempre più diffuso rispetto al possesso. Ci siamo abituati allo sharing e con la condivisione compriamo un servizio: quel che conta è avere la possibilità di scegliere il modo più intelligente per spostarsi da un punto A al punto B. Chi si muove non lo sa ma è l’affermazione di un nuovo modello di business che fra gli addetti ai lavori viene definito Maas, cioè Mobility as a service. È una delle voci anche del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) la mobility as a service: ci sono soldi per sviluppare in tre città progetti di mobilità intelligente e integrata, che prevede la possibilità di passare in modo fluido da un mezzo all’altro secondo le esigenze, magari pagando con una sola app.
Le tecnologie digitali sono la premessa necessaria, ma non sufficiente. La smart mobility è una miscela complessa di investimenti infrastrutturali, scelte normative, incentivi pubblici e offerte di mercato. Nelle città, ad esempio, andrebbero incoraggiati i comportamenti virtuosi, andando oltre la logica dei bonus che finanziano l’acquisto di un mezzo piuttosto che un altro. Un ruolo importante giocano le aziende che, per raggiungere i loro obiettivi di sostenibilità, sono sempre più impegnate a monitorare e governare il modo in cui si muovono le loro persone.
La mobility as a service, in mano ai mobility manager, può accendere una piccola rivoluzione: il passaggio dall’auto aziendale al budget di mobilità. Si è cominciato in Belgio poco prima della pandemia e adesso il modello si sta diffondendo anche nelle aziende italiane. Come? Mettendo a disposizione dei dipendenti una cifra, magari equivalente alla rata per l’auto, per acquistare il servizio di mobilità che serve o che è preferito: dal biglietto di un mezzo pubblico a una bici in sharing. Cambia la logica del benefit: il budget di mobilità diventa una forma di welfare sostenibile e dalle quattro ruote si passa a un ventaglio di possibilità. Che, forse, pian pianino ci aiuterà a liberarci dalla schiavitù psicologica dell’auto.
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Il Parlamento europeo esorta tutti i paesi d’Europa a puntare sulla mobilità in bicicletta, approvando una Risoluzione dal titolo evocativo: Cycling strategy. Il testo chiede alla Commissione una strategia che porti, entro il 2030, al raddoppio del numero di chilometri percorsi in bici. Un invito forte a tutti gli Stati membri a sviluppare infrastrutture, servizi e sostenere politiche industriali che mettano al centro il settore della bicicletta. Propone di proclamare il 2024 come anno della bicicletta, che speriamo diventi realtà.
Un piano articolato, quello approvato, in 17 punti che guarda a un “ecosistema ciclistico” che comprende produzione, vendita, turismo, salute e sport e che già oggi impiega un milione di persone in Europa. Un settore in ottima salute, che nell’ultimo anno (dati Eurostat) ha prodotto 13,5 milioni di biciclette, l’11% in più dell’anno precedente, riportando molte filiere produttive in Europa. Basti pensare al colosso Bianchi che di recente ha deciso di investire 40 milioni di euro per riportare la produzione a Treviglio in una nuova fabbrica 4.0.
Purtroppo, l’Italia “non è un paese per bici”, come ci ha ricordato un recente e documentato dossier della campagna Clean Cities, con Legambiente, Fiab e Kyoto Club, con numeri e dati sugli scarsi investimenti. Il confronto tra le città italiane e quelle europee ci vede sempre in fondo alla classifica: c’è molto da fare e recuperare nel nostro Paese.
Negli ultimi anni qualcosa è cambiato anche in Italia: dal 2015 sono state assegnate risorse, nel 2018 il Parlamento ha approvato la legge n. 2 per la mobilità in bicicletta, nel 2022 il ministro Giovannini ha varato il Piano nazionale per la mobilità ciclistica. In totale sono circa 800 milioni la somma di investimenti ordinari e Pnrr destinati a ciclovie urbane e ciclovie turistiche, che le principali città e le regioni stanno attuando. Per le ciclovie turistiche è stato adottato un Sistema nazionale con dieci grandi itinerari, per connettere l’Italia da nord a sud, tra cui Vento, Ciclovia del Sole, Ciclovia Adriatica, Tirrenica e quella della Magna Grecia, la ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, il Grab a Roma.
L’Alleanza mobilità dolce (Amodo), una rete di 29 associazioni per la mobilità attiva e il turismo slow, monitora questi progetti di ciclovie turistiche, chiedendo di accelerare la realizzazione: alcuni sono approvati, altri sono in corso gli affidamenti che fanno sperare che nel giro di tre-cinque anni diventino realtà, creando un vero beneficio per gli spostamenti in bicicletta ed il cicloturismo nel nostro Paese.
Con l'edizione primaverile di aprile-giugno 2023 fanno dodici numeri di BIKE Smart Mobility, più sinteticamente BIKE, il magazine per chi ama “vivere in movimento”, come recita il motto che compare sotto la testata. Qui vogliamo celebrare questa ricorrenza riproponendovi tutte e dodici le copertine del magazine, (quattro numeri per anno,
uno per stagione, primavera, estate, autunno e inverno), tra ceo, sportivi, persone dello spettacolo e famiglie che hanno fatto la storia della bicicletta in Italia, della mobilità sostenbile, di ieri e di oggi e che ancora ne scriveranno le prossime pagine, tra innovazioni e successi.
DAL MONDO DELLA BICICLETTA
E DELLA SMART MOBILITY
Il Wes riparte a maggio da Breglio sul Roia. La nuova stagione di Coppa del mondo di cross country elettrico ha scelto, per il tradizionale round monegasco che apre la stagione, un nuovo tracciato che si sviluppa all'interno del sito storico dei Grimaldi di Monaco in Costa Azzurra. Affacciata
delle tappe del Wes su di un avvincente percorso montano, perfetto per esaltare le caratteristiche delle mountain bike elettriche della competizione organizzata da World e-bike series. Soddisfatto il sindaco di Breglio, Sébastien Olharan, convinto che “il Wes rappresenta un'opportunità unica per
Sarà Palangkaraya, in Indonesia, a ospitare l'edizione 2023 dei Campionati del mondo Uci di mountain bike eliminator, organizzati da City Mountainbike, e in programma per il 15 di ottobre. La prova assegnerà le maglie iridate che ora indossano, dopo averle conquistate a Barcellona, la nostra Gaia Tormena, sempre più regina della disciplina (è la terza iride per lei), e il francese Titouan Perrin-Ganier. La stagione di Coppa del mondo di questa spettacolare disciplina di gare a eliminazione in città si apre, invece, il 21 maggio a Sakarya, in Turchia, per chiudersi proprio a Barcellona il 30 settembre.
BANCA MEDIOLANUM IN AZZURRO PER ALTRI
TRE ANNI: È LO SPONSOR PIÙ LONGEVO DEL GIRO
Rinnovata per tre anni la sponsorizzazione, avviata nel 2003, da parte di Banca Mediolanum della classifica del Gran premio della montagna al Giro d’Italia, che trova il suo simbolo del primato nella maglia azzurra di miglior scalatore. “Sono davvero felice che questa storia prosegua ancora”, ha dichiarato Massimo Doris, ad di Banca Mediolanum. “Siamo molto affezionati a questa maglia – ha aggiunto – e chi merita di indossarla dimostra una forza d’animo e un coraggio unici. Mi piace ricordare che coraggio significa con il cuore, significa mettercela tutta sfidando l’incerto e mettendo da parte le paure. La forza d’animo poi permette di affrontare le situazioni più difficili. Questi sono i valori che legano Banca Mediolanum al mondo del ciclismo e al Giro d’Italia. Sono le caratteristiche che devono avere i campioni che si contendono la nostra maglia azzurra”. E domenica 21 maggio, con partenza dall’headquarter di Basiglio, si terrà la 2° edizione della pedalata in ricordo di Ennio Doris: arrivo intermedio a Cassano d’Adda e traguardo a Bergamo sull’arrivo di tappa del Giro.
Grazie alla collaborazione tra BIKE Channel e Fantacycling è nata la Coppa Italia by BIKE: già disponibile sull’app di FantaCyclcing, è una lega speciale dedicata alle gare italiane. Iniziata con il Trofeo Laigueglia, proseguirà fino al Lombardia. I fantamanager possono sfidarsi in 15 corse che si disputano in Italia, valevoli sia per il World tour sia per le Pro series.
Squadre composte da nove corridori per ogni gara e scambi illimitati con budget da 250 fantamilioni per costruire il miglior team possibile. Al primo classificato un invito a partecipare al Club del Fantacycling, più un completo BIKE per le uscite in bicicletta. Al secondo un abbonamento annuale a Forbes Italia, al terzo abbonamento annuale a L’Espresso
Archiviata l'edizione 2023 del Giro delle Fiandre e quella della Parigi-Roubaix, gli appassionati di classiche del nord, forse non lo sanno, ma possono pedalare nelle "Fiandre", anche stando in Italia, più precisamente nelle "Fiandre Trevigiane". Per di più senza l'assillo di tempi, classifiche e agonismo. Questa è infatti l'idea della Ronda Fiandre Trevigiane, una semplice, ma impegnativa,
pedalata cicloturistica che parte il 16 aprile presso la Scuola enologica Isiss Gb Cerletti di Conegliano, Treviso. La Ronda prevede un centinaio di chilometri da percorrere, con 1500 metri di dislivello, 15 muri e 19 sterrati, pedalabili anche con bici da corsa, e oltre 21 chilometri totali di strada bianca. Percorsi che poi vivono tutto l'anno. Per informazioni e ulteriori dettagli c'è il sito: Laronda.cc.
Il 2023 prende la forma delle due ruote a pedali. Sono numerosi gli appuntamenti fieristici a tema bici in calendario per questo nuovo anno. E c’è solo l’imbarazzo della scelta, tra eventi che hanno superato il secolo di anzianità e rassegne più giovani ma già consolidate. Su Bikechannel.it, accessibile dall’homepage, abbiamo pubblicato una selezione dei più importanti appuntamenti dell’anno tra sport, cicloturismo, festival e smart mobility. Di tanti BIKE è stato in più di un’occasione media partner, come nel caso dell’Italian Bike Festival. Proprio per valorizzarli al meglio abbiamo deciso di offrire un calendario, a cura della redazione di Bikechannel.it, che non vuole essere esclusivo ma ragionato e che verrà aggiornato con costanza.
Un'occasione da sfruttare anche in termini di opportunità di welfare aziendale. Si chiama Smanapp ed è un'applicazione di sicurezza stradale basata sulla gamification che ricompensa gli automobilisti per la loro guida responsabile. Mission
cattive abitudini di cui, purtroppo, spesso a pagare il conto più salato sono gli anelli più deboli della strada, come pedoni e ciclisti. Smanapp si rivolge anche alle aziende, per coinvolgere i dipendenti in una sfida: aumentare la sostenibilità sociale e
È
Li avevamo scoperti, per la prima volta, all'Italian bike festival del 2021. Bcpod è nata, tra Monza e Milano, con l'obiettivo di mettere a disposizione, attraverso soluzioni modulari e in sharing, box costruiti per custodire biciclette, e-bike, monopattini e proteggerli da furti e atti vandalici. Innovativi contenitori ermeticamente chiusi, i Bicipod sono attrezzati per contenere anche caschi e indumenti, in ottica, per esempio, bike to work, e sono adattabili al contesto ambientale dove sono inseriti. Prenotarli è semplice, tramite app o portale web. Come per un normale parcheggio custodito, si paga solo a consumo. Un'idea originale che ha ricevuto l'attestato di brevetto per invenzione industriale dal titolo “Modulo di contenimento e protezione condiviso per mezzi di trasporto di micro-mobilità”.
Il nostro Pietro Franzese, volto e anima di Unconventional Travellers, il format di Bike Channel dedicato ai viaggiatori non convenzionali, insieme a Emiliano Fava, ha attraversato in due mesi tutti gli Stati Uniti d’America: sono partiti il 19 gennaio dal Golden Gate Bridge di San Francisco e sono arriviati il 15 marzo a Key West, punto più a sud degli Stati Uniti continentali pedalando 6mila chilometri senza alcun supporto. Dalle temperature gelide della California (fino a -8° sperimentati in tenda in una valle parallela alla costa) al caldo umido dell'entroterra della Florida,
passando per tempeste di sabbia nel deserto diSonora e per le paludi della Louisiana. “Gli Stati Uniti sono davvero giganteschi, te ne accorgi solo quando ci pedali”, osservano. Lo scopo del viaggio? Raccogliere fondi per la onlus Plastic Free che si occupa da anni di pulire spiagge e parchi pubblici dai rifiuti plastici ma anche di insegnare alle future generazioni l'importanza del rispetto per l’ambiente. In due mesi di viaggio Fava e Franzese hanno raccolto materiale per un docufilm che uscirà nei prossimi mesi.
Sport, natura e cultura nel cuore del Mediterraneo.
Monta in sella ad una bike e scopri Malta: itinerari a picco sul mare, città che raccontano millenni di storia e siti patrimonio UNESCO.
Scarica le guide e ascolta i podcast di VisitMalta
DESIDERAVA VINCERE AL GIRO D’ITALIA E AL TOUR DE FRANCE, CI È RIUSCITO NON DA ATLETA PROFESSIONISTA MA DA SPONSOR.
VALENTINO SCIOTTI RACCONTA LA SUA PASSIONE PER IL CICLISMO E L’AVVENTURA DI FANTINI, LA GRANDE BOUTIQUE DEL VINO
CHE PORTA NEL MONDO I PRODUTTORI LOCALI DEL MEZZOGIORNO
Sogni e visione non mancano affatto a Valentino Sciotti, ma nemmeno il fiuto per intuire come realizzarli. Ciclista professionista, è vero, non è riuscito a diventarlo, ma il classe 1960 che è ceo di Fantini, il gruppo del vino da lui fondato, nato nel 1994 a Ortona, in Abruzzo, per opera sua e di due soci, Camillo e l’enologo Filippo Baccalaro, non ha perso ambizioni e passione. Quando ha tempo pedala ancora, su strada e fuoristrada, ed è comunque rientrato in gruppo, negli anni Duemila come co-sponsor di Lpr e Lampre con Farnese (il precedente nome dell’azienda), in seguito con le squadre italiane Vini Fantini e Vini Zabù, oggi con la sponsorizzazione di due team di assoluto rilievo nel World tour: la Israel-Premier Tech di Froome e Pozzovivo, di cui Fantini Group è partner da quattro anni, e la soprendente Intermarché-Circus-Wanty di Girmay e compagni sempre con il brand Vini Zabù.
Quando lo raggiungiamo al telefono, casualmente nel giorno del suo onomastico, Sciotti sta per partire alla volta del Ruanda, dove la compagine israeliana che sostiene deve inaugurare una ciclabile nell’ambito The fields of dreams, un progetto per aprire le porte dello sport a tanti ragazzi nel primo paese africano che ospiterà, nel 2025, i mondiali di ciclismo. Occasione anche per un paio di appuntamenti, locali, di lavoro. Perché tra i più di novanta mercati in cui il gruppo è presente non ce ne
sono di piccoli e la prospettiva è quella di ingrandirsi ulteriormente. “Non si diventa grandi se si va forte solo in pianura e in discesa”, ci dice subito, commentando con una metafora ciclistica l’analisi di un osservatorio che per il vino italiano prevede, nel 2023, un calo del fatturato del 16%. “Bisogna saper essere anche scalatori e questo sarà senza dubbio un anno da scalatori”, prosegue il ragionamento, “ma quando arrivano le salite c’è sempre qualcuno che stacca tutti e vince. E a noi non piace correre per perdere”.
A preoccupare le aziende del vino sono l’aumento dei costi di produzione, non soltanto quelli legati all'energia, e una congiuntura internazionale che, tra guerre e inflazione impazzita, contribuisce a erodere redditi e capacità di spesa, minacciando i consumi, specie quelli non primari, un po’ in tutto il mondo. Ma il 2022 di Fantini si è chiuso, oltre che con un’ottima vendemmia, a 93 milioni di fatturato (nel 2021 erano stati 91) e oltre 24 milioni di bottiglie. “Nella scelta necessaria tra tutelare marginalità e abbassare la qualità, non abbiamo avuto dubbi: abbiamo imboccato la prima strada e siamo andati ampiamente oltre ogni previsione”, ci spiega Sciotti. Anche l’ebitda è incoraggiante: “Siamo sopra il 20%, un dato importante perché riflette l’apprezzamento del mercato che ci identifica come produttori di qualità, ribadendo la nostra forza nel rapporto qualità/prezzo”.
È l’originale modello della più grande “boutique winery” d’Italia, che punta sulla diversificazione territoriale attraverso produttori consociati in aree differenti e che ha reso possibile tutto questo. “Quando siamo partiti – ricorda Sciotti – ci chiamavano ‘i tre sognatori’: non avevamo né un vigneto, né una linea di imbottigliamento, non una cantina e nemmeno una lira in tasca”. Ma già sapeva che il loro modello di crescita poteva essere per certi aspetti analogo a quello dei “grandi ristoratori che affittano l’immobile con tanto di cucina e, partendo da ingredienti di altissima qualità e mettendoci una grande capacità di trasformazione, realizzano piatti unici”. Oggi il gruppo Fantini, che dal 2020 è stato acquisito dal fondo Platinum Equity, riunisce dodici realtà enologiche del Sud e Centro Italia tra Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna, oltre alla Toscana. Il mercato di riferimento è soprattutto l’horeca, che è “la collocazione a noi più congeniale per identità storica ed è soprattutto lì che punteremo le nostre fiches”, e la gran parte dei ricavi proviene dall’estero: soprattutto Germania, Svizzera, Canada, Olanda, Belgio e Giappone, ma non solo.
Con lui in azienda lavorano, oltre ai 21 giovani enologi che selezionano le uve all’origini, agli agronomi, a due consulenti di assoluto rilievo che li guidano, anche le due figlie, Alessia, nell’assistenza alla rete commerciale, e Giulia, marketing manager, ma solo dopo essersi fatte le ossa all’estero. Perché la famiglia per Valentino è importante, come le radici nella sua terra, l’Abruzzo, che ama e che quest’anno ospita la grande partenza del Giro d’Italia. Lui non lo ostenta, ma ha avuto un ruolo importante, quasi da sherpa nel renderla possibile, contribuendo al dialogo tra istituzioni e organizzazione con uno strategico incontro nel clima familiare e raccolto del resort Borgo Baccile di Vini Fantini. La prova a cronometro inaugurale, la prima delle tre tappe abruzzesi in programma il 6,7 e 8 maggio, “parte a due passi da casa mia e arriva a pochi metri dal mio ufficio”, sorride con la soddisfazione di chi sa di aver contribuito non a soddisfare un capriccio, ma a qualcosa di buono per l’intero territorio. E perché Sciotti di ciclismo è sinceramente
appassionato, lui che si emozionava per le gesta dei mai domi grimpeur Battaglin e Visentini.
Tra i “momenti più belli della mia esperienza da sponsor”, ricorda in primis quando, nel 2009, Petacchi ha vinto la seconda tappa consecutiva al Giro d'Italia, a Valdobbiadene, indossando la maglia rosa. “Per me, che avevo sempre diviso i miei interessi tra vino e ciclismo, ci ho visto un segno premonitore”. Un altro momento importante, sempre con Petacchi, è arrivato l'anno successivo, quando Alejet alzò le braccia al cielo per la seconda tappa vinta al Tour de France, a Reims, proprio davanti allo stabilimento della casa vinicola Taittinger: “Io ci ho visto l'ennesimo segno del destino, dove le mie passioni si sono incrociate di nuovo ai massimi livelli e dove il ragazzo sognatore, che sembrava aver fallito il sogno Grande Boucle, se ne è riapprorpiato, in modo del tutto inaspettato, da sponsor. In questi due esempi c'è la storia del realizzatore di sogni che sono sempre stato”.
Ma se gli chiedi qual è la vittoria più bella è allora che Sciotti ti soprende davvero: “Il momento più incredibile è stata la vittoria di Damiano Cima al Giro d'Italia del 2019 quando, con un team oggettivamente inferiore a tutti gli altri (la Nippo-Vini Fantini, ndr), ho seguito tutta la gara e ogni sera cercavo di motivare tutti i ragazzi raccontando la storia della mia vita di realizzatore di sogni impossibili e li invitavo a credere sempre nel fatto che Davide potesse di nuovo battere Golia”. Ebbene quel giorno, ricorda il ceo-ciclista, “a Giro quasi finito, c’era una tappa piatta, destinata ai velocisti, ed era l’ultima occasione per noi: spiegai ai ragazzi che mai come allora occorreva crederci e provare da lontano, con una fuga di quelle che sono destinate a finire a poco dall'arrivo, per lasciarci almeno la consolazione di una lunga visibilità nella diretta televisiva”. Qualcosa andò storto per gli inseguitori e, in un finale al cardiopalma, Cima vinse per qualche centimetro sugli inseguitori. “Davide aveva battutto tutti i Golia del gruppo e io avevo avuto il segno divino che mi diceva di continuare sempre a inseguire i sogni!”.
LE GESTA SPORTIVE CHE PIÙ LO EMOZIONANO SONO QUELLE IN CUI DAVIDE BATTE GOLIA, COME LA VITTORIA DI DAMIANO CIMA AL GIRO DEL 2019
A confermare il legame che Sciotti ha con la sua terra, l’Abruzzo, testimonia anche la rinnovata attenzione del gruppo per la sostenibilità. “Sono nato in campagna ed è qui che ho imparato a rispettare e proteggere la natura”. Non è un caso che, proprio lungo la Costa dei Trabocchi, l’impegno di Fantini abbia portato alla realizzazione di vigneti biologici a strapiombo sul mare. Quest’anno, infatti, andranno a regime i filari nelle Riserve Naturali di Punta Aderci (dove c'è uno dei più bei trabocchi d’Abruzzo e si coltivano uve Pecorino e Montepulciano) e Ripari di Giobbe (50 km più a nord, sempre Pecorino). E, più lontano dal mare, una decina di chilometri nell’entroterra, la gemma Tenuta Cantalupo, a Notaresco, borgo medievale in provincia di Teramo, 10 ettari di vigneto a spalliera che rientrano nel progetto Fantini-Qualità e vengono utilizzati sia per produrre Opi, un bio ovviamente 100% Montepulciano d’Abruzzo Colline Terramare Docg, sia la nuova ammiraglia della casa, Three Dreamers, un rosso da uve biologiche appassite dedicato proprio alla visione enologica dei tre sognatori che hanno creato Fantini. Senza dimenticare che presto lo stabilimento d’imbottigliamento a Ortona opererà al 70% con energia pulita a rinnovabile, grazie a un nuovo grande impianto fotovoltaico e che, a fine anno, verrà presentato anche il Bilancio di sostenibilità, che s’aggiunge alla certificazione Equalitas, già ottenuta, sulla sostenibilità della filiera vitivinicola.
“NON SI DIVENTA GRANDI SE SI VA FORTE SOLO IN PIANURA E IN DISCESA, BISOGNA SAPER PEDALARE ANCHE IN SALITA”/©Foto Courtesy Fantini Group/
LO SCONTRO VAN DER POEL-VAN AERT, LE IMPRESE
DI VAN EMPEL, VAN ANROOIJ E NYS, MA SOPRATTUTTO
UNA GRANDE FESTA DI GIOIA E RESPONSABILE FOLLIA.
ECCO TUTTI I COLORI DEL MONDIALE DI CICLOCROSS
Il pittore fiammingo Hieronymus Bosch nacque a ‘s-Hertogenbosch, attuale capoluogo del Brabante Settentrionale, a metà del quindicesimo secolo. A quei tempi la bicicletta era ancora ben lontana dall’essere inventata e quindi dal diventare strumento di trasporto, piacere, competizione e festa, ma c’è da scommettere che, se fosse già esistita, sarebbe entrata stabilmente nelle visioni del maestro fiammingo.
Nel corso del primo fine settimana di febbraio, ad esempio, il pittore avrebbe trovato grande ispirazione spostandosi di un centinaio scarso di chilometri da casa, fino a Hoogerheide, perché a guardare ciò che è andato in scena in quei campi, soprattutto nel pomeriggio di domenica, sembrava proprio di trovarsi in un dipinto di Bosch. Lungi dal dare allo scontro tra Mathieu van der Poel e Wout van Aert un’aura di giudizio universale (alla fine ha vinto il primo), né di attribuire alle imprese di Fem van Empel, Shirin van Anrooij o Thibau Nys valori sacri, ma il contorno in cui tutto ciò si è consumato è qualcosa che va oltre il concetto di festa, lo sublima in un carnevale fuori stagione che sembra davvero sfuggire a ogni logica.
Il tifoso del ciclismo è una figura strana, si sa. È gente pronta a trascorrere ore (talvolta notti) sul ciglio di una strada di montagna per veder transitare una corsa per pochi minuti. Ma quando ci si spinge a Nord, tra Fiandre e Paesi Bassi, questa stranezza acquisisce dimensioni diverse. È diversa nei numeri ed è diversa nell’intensità. Sui numeri è facile fare i conti: domenica pomeriggio al mondiale di Hoogerheide c’erano circa 40mila persone, per quanto una cifra esatta non sia stata comunicata e forse non è nemmeno facile da stabilire in un am-
biente caotico come quello del ciclocross. Ma i numeri detti da soli valgono poco, perché per comprendere la dimensione reale di questa folla bisognerebbe infilarci i piedi, le mani, il naso. Hoogerheide ha una conformazione favorevole al pubblico, è un circuito infossato, nel quale dal rettilineo di partenza si può quasi dominare con la vista i campi sottostanti, si può cogliere l’ultima salita con la coda dell’occhio e ammirare l’estenuante sforzo dell’ascesa lungo la scalinata. Affidandosi alle macchie colorate delle maglie si può persino intuire le vicende della corsa dai passaggi sui punti o dagli scorci tra gli alberi nel bosco. Tutto ciò, però, nel caso della rassegna iridata, andrebbe coniugato meglio al condizionale, perché la condizione che scombina ogni carta è la folla in festa.
Arrivando a Hoogerheide già sabato mattina c’era un fiume di persone che fluiva lungo ogni stradina del paese. Dalle piste ciclabili ai parcheggi (sterminati, Hoogerheide è connessa alle principali città soltanto da una corriera), dai supermercati alle friggitorie, e infine dentro e intorno al circuito. Una fiumana colorata e spensierata, in cui si mischiavano bandiere del Belgio, dei Paesi Bassi, delle Fiandre, ma anche di singole regioni, vicine e lontanissime: c’erano calorose delegazioni delle province britanniche così come della Galizia. E poi i veloclub, ognuno con i suoi colori, e i fan club, che raramente sono dei corridori più titolati, basti pensare che i più corposi al mondiale erano quello di Toon Vandebosch (proveniente dal confine belga, a pochi chilometri di distanza) e di talenti imberbi fiamminghi come Fleur Moors e Wies Nuyens, entrambi in gara addirittura a livello juniores.
IMMERSO TRA I CAMPI DEL BRABANTE SETTENTRIONALE IL CIRCUITO DI HOOGERHEIDE È UNO STADIO NATURALE: HA OSPITATO 40MILA APPASSIONATI TRA BIRRE E CORIANDOLI
Non è un elemento casuale: il ciclismo a queste latitudini è una faccenda davvero locale. E se a livello massimo si nota da un mondiale che è organizzato e dedicato al capostipite dei Van der Poel, a livello più basso ce ne si rende conto da come interi villaggi si mobilitino per il proprio “campione” locale, anche se non ha ancora vinto nulla di importante, e forse mai lo vincerà, per quanto arrivare a correre una rassegna iridata sia già un risultato di alto livello.
Ma se il piano del tifo si comprende e si spiega in qualche modo logico, quello della festa, come sempre capita quando il ciclismo raggiunge queste lande, sfugge ad ogni controllo. C’è chi si è travestito da squadra di supereroi e chi ha distribuito magliette a righe tipo Wally, chi ha assemblato figure in cartone che ritraevano corridori in gara o amici rimasti a casa, c’erano uomini-birra e uomini-tigre, pupazzi in cartapesta con la maglia di campione nazionale e cani imbandierati, c’erano cappelli a forma di biciclette, di elefanti, di uccelli, di verdure e parrucche di ogni colore, c’erano spettatori arrampicati sugli alberi e altri che non hanno mai preso troppe distanze dal bancone del bar o dalla consolle del dj. E birra, a fiumi, dalle prime pedalate del mattino fino a oltre l’imbrunire. E per quanto
nei tendoni della festa volassero vassoi in cartone e qualche mattacchione si lanciasse a torso nudo nei cassonetti, per quanto al termine di quell’ultima – ormai celebre – volata, l’aria si sia riempita di un boato da stadio e di coriandoli e birre lanciate in cielo, a Hoogerheide come in qualsiasi altra occasione non si è mai visto uno screzio, un litigio, un momento di tensione.
La festa si fa festeggiando, si celebra diffondendo felicità. Gioia e follia. È la magia del ciclismo fiammingo, ma è contagiosa, e chiunque è pronto ad adottarla. L’immagine di chiusura del mondiale di Hoogerheide ha il volto di Felipe Orts, gran talento spagnolo insoddisfatto del suo 19° posto al traguardo della gara più importante dell’anno. Era un risultato che giustificava una delusione, una chiusura nel camper o direttamente in albergo, e invece il contagio era inevitabile, e il mondiale si chiude con Orts che si infila nel tendone, si arrampica fino al palco del dj e da lì si lancia in un folle stage diving, per poi raggiungere i suoi tifosi con cui proseguire le danze fino alla chiusura. Un richiamo inevitabile anche per gli atleti di primo piano. D’altronde bastava ammirare l’umanità tutto intorno, come se fosse un magnifico quadro.
Tante le storie nascoste dietro le quinte della rassegna iridata di Hoogherheide, come quella che vi abbiamo raccontato su Bikechannle.it che ha come protagonista Felipe Nystrom, atleta costaricense, caso quasi unico nella storia del ciclocross. Doppiato al quinto giro ha chiuso il suo mondiale in
38esima posizione: "Sono esausto - ha detto -, ma se dovessi rifare tutto già domani non ci penserei un istante. La stanchezza non conta, quando puoi offrire al pubblico qualcosa per cui gioire e fare festa".
STAGIONE DA INCORNICIARE PER L’ESPERTA
CICLOCROSSISTA BRIANZOLA REBECCA GARIBOLDI
CHE, FRA UNA VITTORIA E L’ALTRA, HA TROVATO
IL TEMPO PER LAUREARSI. MA ASSICURA:
“VOGLIO CONTINUARE A PEDALARE”
“È stata una stagione positiva, sono davvero soddisfatta e credo che il lavoro delle ultime stagioni abbia ripagato”. Così Rebecca Gariboldi, classe 1996. “Ma a 26 anni non mi sento un’atleta arrivata. Penso di pedalare ancora e di ottenere dei risultati”. L’atleta del team Cingolani Specialized, è ormai un’esperta ciclocrossista. Negli ultimi mesi la biker si è accorta del cambio di passo: “Ho fatto grandi miglioramenti – racconta a BIKE – grazie ad allenamenti migliori per quantità e qualità, e devo molto anche al mio preparatore, Giovanni Gilberti, che mi segue da cinque anni”.
Rebecca ha iniziato a pedalare a sei anni nella categoria G1 dei Giovanissimi per la Lissone Mtb. Nel 2013 arrivò la sua prima affermazione di valore aggiudicandosi il titolo tricolore di Ciclocross nella categoria junior (17-18 anni). “Sì, ho iniziato presto, ma non mi sono mai spremuta, ho corso soprattutto per divertirmi. Così credo di essere ancora integra come atleta e di poter continuare ad alti livelli in un ciclismo diventato sempre più esigente perché niente è ormai lasciato al caso”.
Quest’anno, in effetti, i risultati sono arrivati e ha finito in bellezza una stagione ricca di soddisfazioni. A Middelkerke in Belgio, dove si è svolta l'ultima prova del Superprestige, Rebecca ha chiuso nella top ten dimostrando di avere ancora forza e concentrazione. La biker brianzola è sta-
ta la regina incontrastata in Italia delle corse sui prati aggiudicandosi la classifica generale del Giro d’Italia Ciclocross nella categoria Donne Open con largo vantaggio sulla seconda classificata, la friulana Romina Costantini (Gs. Sorgente Pradipozzo).
L’atleta lissonese ha certificato il suo trionfo con la vittoria nella sesta e ultima prova svoltasi a Gallipoli (Lecce). Gariboldi si era imposta in precedenza sui traguardi di Sant’Elpidio a Mare (terza tappa del Giro disputata il 16 ottobre) e Follonica (quarta frazione – 30 ottobre).
Ma nel mondo di Rebecca non c’è spazio solo per il ciclismo. “Le mie due grandi passioni sono i viaggi e la buona cucina”. La biker lissonese fidanzata con Davide Martinelli (figlio di Anna e Beppe Martinelli, tecnico carismatico del ciclismo professionistico), lo scorso novembre ha infatti concluso il suo corso di laurea in Marketing e mercati globali all'Università di Milano-Bicocca con una tesi dal titolo Mobilità sostenibile: il successo di Specialized, azienda leader nel settore biciclette. “Vivere di ciclismo per noi ragazze che ci dedichiamo principalmente al ciclocross o alla mountain bike è impossibile e quindi mi sono voluta costruire un percorso parallelo che è stato molto impegnativo e che ho affrontato con lo stesso impegno con il quale affronto le gare. È stato come giocare a Tetris, per inserire ogni impegno, ma ce l’ho fatta!”.
Rebecca dopo la laurea ha continuato a correre e i risultati non sono mancati. Prima il 24 dicembre a Lurago d’Erba, dove ha bissato il successo il 28 dicembre nella gara di San Francesco al Campo (Torino). Vincente anche a Seregno, al Trofeo Città di Seregno-Memorial Lainati nel giorno dell’Epifania. A gennaio 2023 Rebecca era stata protagonista anche al Trofeo mamma e papà Guerciotti disputatosi a Cremona sul percorso disegnato da Vito Di
Tano all’interno del Parco del Po Maffo Vialli. Protagonista assoluta a livello nazionale, non dimentichiamo il secondo posto agli Assoluti a Ostia dietro a Silvia Persico, ha detto la sua anche fuori dall’Italia; dodicesima ai campionati europei di Namur in Belgio agli inizi di novembre, prima a Schneisingen in Svizzera. Le prossime sfide? “Da maggio a luglio parteciperò a qualche gara su strada per prepararmi al meglio alla stagione di ciclocross”.
LA STAGIONE 2023 DELLA TRIPLICE SI PROSPETTA ESALTANTE, DOPO UN 2022 CHE GIÀ HA SEGNATO UNA SPLENDIDA RINASCITA
POST-PANDEMICA DI TUTTO IL MONDO TRIATHLON
Dopo un 2022 già simbolo di rinascita post-pandemia, il mondo della triplice freme. Dando uno sguardo al calendario della stagione 2023 si segnalano, innanzitutto, due appuntamenti in terra sarda marchiati World Triathlon, la federazione mondiale, in cui ci saranno in palio punti importanti per la qualifica alle Olimpiadi di Parigi 2024: a Cagliari, a maggio, per il secondo anno consecutivo, si svolgerà la World Triathlon Championship Series, mentre a ottobre ci sarà l'ormai classico appuntamento di Coppa Mondo ad Arzachena.
Passiamo agli appuntamenti del fratello “minore” della triplice, "corsa-bici-corsa": a marzo inizio stagione con i Campionati europei di duathlon sprint a Caorle, a settembre invece Riva del Garda ospiterà la rassegna continentale di cross duathlon e anche di cross triathlon. Torna poi a Imola, all'inizio di aprile, la due giorni dei Campionati Italiani di duathlon sprint, individuali e a squadre, all'interno dell'autodromo. Uno spettacolo unico, imperdibile!
Così come è molto atteso il ritorno dei titoli Tricolori di duathlon classico in quel di Quinzano, due settimane dopo.
Doveroso passare in rassegna anche il trittico Tricolore giovanile, che nella passata stagione ha riscosso grande successo e ha registrato una grandissima e scatenata partecipazione del sempre più numeroso settore dedicato alle nuove leve: all'autodromo di Magione gli italiani di duathlon ad aprile, a giugno Aquathlon a Montesilvano, infine a metà luglio l'attesissimo appuntamento con il triathlon, anche in versione staffetta mista, a Lovadina di Spresiano.
Saranno invece solo due gli appuntamenti "pallinati": a inizio maggio l'Ironman 70.3 Jesolo, a metà settembre l'Ironman Italy Emilia-Romagna di Cervia, il più grande evento multisportivo targato Ironman al mondo! Saltato invece l'appuntamento Mdot al Forte Village, ma qualcosa bolle in pentola... Anche la Challenge Family nello Stivale perde per il 2023 un evento: non si disputerà infatti lo storico Challenge Riccione, mentre è confermatissimo il Challenge Sanremo che celebrerà a settembre la sua seconda edizione.
Rimaniamo sulla lunga distanza e citiamo innanzitutto il mitico Elbaman, la gara italiana long distance più longeva e amata, organizzata egregiamente nello splendido contesto dell'Isola d'Elba. Saranno poi tre anche per questa stagione i triathlon full distance "estremi": avventure incredibili si vivranno con la conquista dei traguardi a Campo Imperatore con eagleXman, a Passo Paradiso con Stonebrixiaman e a Livigno con Icon!
Un poker da applausi quello che ripropone il marchio più famoso di cross triathlon al mondo: si comincia con Xterra Lago di Garda a Toscolano Maderno a fine maggio, quindi un mese dopo tutti in Abruzzo per l'iconico Xterra Lake Scanno, quindi
l'appuntamento iridato di fine settembre a Molveno, Trentino, con l' Xterra World Championship e per chiudere si andrà di nuovo nell’Isola del triathlon, a Castiadas, per la seconda edizione dell' Xterra Sardegna.
Tanta qualità e cura proposta dalla Federazione italiana triathlon per i suoi Campionati Italiani: torna il triathlon medio all'Ironlake di Barberino di Mugello a fine maggio, quindi tricolori Assoluti ed Age Group ad Alba Adriatica un mese dopo; inizio luglio, a Taranto per i titoli dell'Aquathlon e infine, a inizio ottobre, la grande festa del Triathlon event Cervia, il più amato e partecipato, su distanza sprint con i titoli individuali, la Coppa crono e la "fast&furious" staffetta mista!
Dando poi un ulteriore sguardo al calendario italiano, tra le gare più amate non si può non citare innanzitutto il Triathlon Internazionale di Bardolino, il più longevo (prima edizione nel 1984!). E poi ancora Andora, Cesenatico, Ledroman, Deejay Tri... Senza scordare i circuiti Adriatic Series, TriO Events, Follow your passion, Trofeo Magna Grecia e tantissime altri eventi inseriti nel sempre più ricco calendario della Fitri.
Dulcis in fundo parliamo ancora di multidisciplina con il sempre più praticato SwimRun: a settembre l'Italia ospiterà ancora una volta il campionato del mondo, i titoli iridati saranno assegnati nel mitico evento Aquaticrunner Grado-Lignano che ha dato i natali al movimento in Italia. Per visionare il calendario completo degli eventi www.mondotriathlon. it/calendario.
* Triatleta, giornalista e speaker, Mondotriathlon.it
RIPARTONO LE COMPETIZIONI IN DISCESA DI DOWNHILL ITALIA CHE SU BIKE CHANNEL RACCONTA I SEGRETI DI UNA DISCIPLINA IN FORTE CRESCITA CHE ATTRAE SEMPRE PIÙ GIOVANI E TERRITORI
Torna in pista e su Bike Channel Downhill Italia, per una stagione 2023 che punta a confermare il trend di crescita degli ultimi anni. Su tutti i fronti: tecnico, organizzativo, ma anche turistico, considerando le località che ospiteranno Coppa Italia e Campionato italiano.
Il downhill come disciplina è sempre più paragonabile allo “sci alpino della bicicletta”, non soltanto perché una delle specialità dello sci si chiama proprio downhill, discesa libera, ma soprattutto perché la stagione 2023 di Downhill Italia si legherà a doppio filo con località storiche della Coppa del mondo di sci. Questo è uno dei tanti aspetti di una stagione che vedrà sei appuntamenti, uno in più rispetto al 2022: per la Coppa Italia si parte il 13/14 maggio a Caldirola (Al), passando per Cortina d’Ampezzo (10/11 giugno), Madesimo (24/25 giugno), Borno (8/9 Luglio), i Campionati Italiani a Prali (To) il 22/23 luglio e la chiusura della stagione a Bormio il 26/27 agosto.
Il format di gara, invece, ricalca quello dei weekend motoristici: giovedì e venerdì con la pista, che tra sassi, paraboliche e alberi ha una durata di tre/ quattro minuti di pura adrenalina, già pronta per chi volesse provarla liberamente. Il sabato dedicato alle prove cronometrate ufficiali, che determinano l’ordine di partenza della gara. Domenica mattina ultime prove libere e dal primo pomeriggio le manche di gara.
“L’obiettivo della stagione è migliorarci ascoltando le esigenze dei rider e delle località che stanno crescendo anche grazie al downhill”, spiega a BIKE Riccardo Tagliabue, che insieme a Davide Messora
è il principale volto della Sport Inside, organizzatrice della Downhill Italia. Un legame a doppio filo con il turismo, perché “l’attività estiva di montagna sta diventando molto importante per le varie comunità, porta i ragazzi a fare sport estivo in montagna – aggiunge –. “A fine 2022 uno degli obiettivi era di aprirci a certe località ed è stato centrato, quest’anno avremo cinque prove di Coppa Italia, ma abbiamo dovuto dire di no a molte più richieste. In più abbiamo aperto a località come Bormio e Cortina, dalla grande ricettività e abituate a ospitare eventi sportivi dai grandi numeri di seguito”. Un’asticella che si vuole alzare su tutti i fronti, anche quello tecnico, che a sua volta coinvolge lo sport di base (con praticanti amatoriali e sempre più ragazzi in gara, oltre quattrocento nella scorsa edizione) e la spettacolarità delle gare. Anche qui la chiave è il dialogo con i territori per la preparazione delle piste: “Abbiamo l’importante obiettivo di rivedere le piste in Italia, perché nel resto d’Europa si stanno diversificando: noi vogliamo piste più larghe e sicure e ci stiamo lavorando”, afferma Tagliabue. “Sicurezza e spettacolarità che vanno di pari passo, perché più gli atleti sono veloci più bisogna essere in sicurezza”.
Un percorso in cui BIKE fa da sparring partner, con una programmazione televisiva ad hoc su Bike Channel (canali 222 di Sky, 259 DTT in HbbTV e 60 DTT tasto rosso). Da aprile fino a settembre tutti i venerdì sera alle 21:30 un approfondimento con i protagonisti, mentre nei weekend di gara la domenica sera è previsto uno speciale di mezz’ora sulle competizioni.
GIUNTO ALLA 76ESIMA EDIZIONE IL GRAN PREMIO LIBERAZIONE CONTINUA A SFORNARE I CAMPIONI DI DOMANI. AGONISTICAMENTE SI FA IN SEI, DAI GIOVANISSIMI AGLI UNDER, DONNE COMPRESE, PER UN EVENTO CHE, OLTRE AGLI SPORTIVI, COINVOLGE LE FAMIGLIE CHE A ROMA SI GODONO LA CITTÀ RICORANDO IL SENSO DEL 25 APRILE
Settantasei volte Liberazione, il “Mondiale di primavera” che si intreccia con la storia e sforna i campioni di domani. Tre giorni di eventi con un villaggio della bicicletta ad accesso libero, ricco di stand, animazioni e iniziative coinvolgenti. Dal 23 al 25 aprile Roma torna capitale del ciclismo, ospitando uno degli appuntamenti internazionali più attesi e longevi: il Gran premio Liberazione. Come in quel 25 aprile 1946, in una Roma ancora ferita dalle macerie e provata dalla guerra, il percorso si snoderà attorno alle Terme di Caracalla.
“Portare avanti la tradizione di questa manifestazione storica”, spiega Claudio Terenzi, presidente del Team bike Terenzi, organizzatore dell’evento, “è allo stesso tempo un onore, per l’importanza del significato che il Gran premio della Liberazione porta con sé, ma anche un impegno: sentiamo più di tutti il valore di ciò che questa gara rappresenta. Una storia che ha visto al via alcuni tra i più grandi campioni del ciclismo italiano e internazionale e che ha nel suo albo d’oro nomi di pregio assoluto come quelli di Gianni Bugno, Dimitri Konyshev, Matthew Goss e Matteo Trentin, oltre a piazzamenti sul podio di stelle come Francesco Moser, Mario Cipollini, Michael Matthews, Sonny Colbrelli, Simone Consonni e Alberto Bettiol”.
“Ciclicamente unico”, come recita il claim del Gp, il Liberazione “ospita il futuro” e, agonisticamente, si fa in sei. I migliori atleti nazionali delle categorie Giovanissimi, Esordienti, Allievi e Juniores si sfideranno sulle strade della Capitale, ma sarà imperdibile anche la sfida al femminile che nelle precedenti edizioni ha visto fronteggiarsi atlete del calibro di
Letizia Paternoster e Marta Bastianelli. E poi, la storia: in sella gli Under 23 Elite, i migliori atleti del panorama internazionale si sfideranno nella classica del ciclismo giovanile, per conquistare il podio di Roma.
Competizione, ma non solo. Il Gp propone anche la Bike4fun, pedalata eco-archeologica pensata per le famiglie, per gli amanti dell’attività motoria all’aria aperta, ciclisti urbani, romani e turisti. Un’occasione di festa e di promozione della bicicletta come mezzo di trasporto, strumento di benessere psicofisico e occasione di socialità. E ancora, in programma una mostra fotografica, con immagini storiche delle edizioni precedenti e progetti di educazione stradale, in collaborazione con il Miur, destinati alle scuole.
A fare da cornice all’evento, il Villaggio della bicicletta: stand, area test, didattica, musica, percorsi bambini, animazioni, food & beverage, per animare una manifestazione che nell’ultima edizione – tra partecipanti e spettatori – ha coinvolto oltre 50mila persone, rappresentando pertanto un importante indotto economico per il territorio.
“Il Liberazione è un evento nel quale lo sport incontra la storia, l’inclusione, la cultura e la solidarietà e che prescinde dalla singola gara sportiva per diventare qualcosa di più”, conclude Terenzi. “È una tre giorni dedicata a grandi e piccoli, con il mondo della bicicletta al centro di tutto per coinvolgere soprattutto le famiglie. Roma diventerà il centro del mondo sportivo per un evento che guarda con affetto al suo passato ma ha grandi ambizioni per il futuro”.
HA SOLO TRE ANNI DI VITA MA HA GIÀ RACCOLTO
L’APPREZZAMENTO DI CENTINAIA DI ISCRITTI. COSÌ
LA DUOMO-STELVIO TRASFORMA, IN UNA CALDA
GIORNATA DI LUGLIO, GLI AMATORI IN MODERNI EROI
Il ciclismo diventa epica pura quando non sono in palio premi, trofei, maglie rosa o gialle, ma la voglia di realizzare un’impresa eroica nella sfida con le proprie forze in combinazione con la distanza e la salita. Una delle massime trasposizioni di questo approccio limpidissimo allo sport (ma forse anche alla vita in generale) è la Duomo-Stelvio, una magnifica follia sportiva ideata nel 2021 da due appassionati di Milano: l’imprenditore Fabrizio Beyerle e l’avvocato Massimo Bonomi, compagni di pedalate del Team 100.1.
La loro idea è lunga 230 chilometri con un dislivello da tappone dolomitico: dai 120 metri della partenza a Milano, in Piazza Duomo, ai 2.758 del Passo dello Stelvio. Tutto in una giornata di luglio: dall’alba al tramonto. L’edizione zero andata in scena il 24 luglio 2021. Il prossimo 22 luglio scatterà il terzo atto di questa creazione ciclistica che avrebbe tutto per diventare una classica del circuito dei professionisti. “Abbiamo consegnato a tutti una medaglia di legno perché contava completare il percorso senza classifiche e tempi”, spiega Beyerle che dal debutto di due anni fa ha già testato emozioni degne di un romanzo in questa giornata dalla pianura alla Cima Coppi. Il video dell’ultima edizione riprende un commovente tandem formato da un ciclista non vedente insieme alla sua guida, capaci di scalare le ultime rampe fino alla cima dello Stelvio, sfiniti e felicissimi. Due anni fa in cima è stata fatta addirittura una proposta di matrimonio. Dopo aver scollinato, uno dei partecipanti si è aperto la cerniera della maglietta tecnica esibendo una t-shirt bianca con la scritta: “Mi vuoi sposare?”, in ginocchio davanti alla fidanzata che era lì
ad aspettarlo. Impossibile ovviamente dire di no di fronte a un gesto simile, al termine di uno sforzo colossale.
A luglio dell’anno scorso qualche partecipante ha conquistato lo Stelvio sotto la grandine. In molti sono arrivati al buio: l’ultimo nel 2021 ha dato l’ultima pedalata per scollinare alle 23:45 dopo quasi 18 ore in sella. I primi impiegano circa nove ore con una media eccezionale. Il migliore dell’edizione 2022 si è presentato a ritirare il pacco gara alle 19:30 di venerdì dopo essere appena arrivato in stazione Centrale da Ancona, è partito alle 6 del sabato e alle 15 era già sullo Stelvio. Gli organizzatori hanno voluto ridurre i possibili tempi di percorrenza introducendo un limite nel passaggio a Bormio controllato dal tappetino che rileva i tempi. In caso di transito presso quel cancello intermedio prima delle 17 è possibile proseguire fino al valico, altrimenti è obbligatorio fermarsi. Un accorgimento adottato per impedire che chi non ha un allenamento adeguato tenti comunque la salita sfinendosi in modo eccessivo. Ma già raggiungere Bormio in bicicletta da Milano non è impresa da poco: 200 chilometri fino a 1.200 metri di altitudine lungo la bellissima ciclabile del Sentiero Valtellina. “Le espressioni dei volti in cima sono meravigliose. Avevano negli occhi qualcosa di indescrivibile”, raccontano gli organizzatori che hanno voluto due ambulanze al seguito oltre a sei moto-staffette per scortare i corridori (non capita spesso in queste manifestazioni) e hanno predisposto una segnaletica da corsa professionistica, quattro ristori e il 'Pizzocchero party' a Bormio, sollievo gastronomico dei ciclisti il sabato sera.
dopo la sfacchinata.Tanti piangono di gioia al traguardo. A luglio del 2021 gli iscritti sono stati 396, cresciuti a 450 dodici mesi dopo. “Non ci dispiacerebbe andare oltre quota 500, a febbraio eravamo già 200”, racconta Beyerle che ha coinvolto nell’organizzazione nella parte finale l’Us Bormiese. I prossimi partecipanti potranno passare da Lecco e percorrere la sponda orientale del Lago,
tragitto che non era stato possibile nel 2021 quando i debuttanti della Duomo-Stelvio, per motivi burocratici legati ad alcune autorizzazioni, sono stati chiamati ad allungare ulteriormente la distanza pedalando lungo la sponda occidentale del Lago di Como fino a toccare i 256 chilometri totali. Dettagli di un capolavoro di epica ciclistica.
PEDALARE IN LIBERTÀ: PERSONE E PERCORSI
SARÀ LA PRIMA DONNA ITALIANA IN AMMIRAGLIA AL GIRO D’ITALIA: GIÀ PROFESSIONISTA VINCENTE (5 CORSE ROSA E 3 GRANDE BOUCLE)
FABIANA LUPERINI È TRA I DIRETTORI SPORTIVI DELL’ESORDIENTE TEAM CORRATEC E PROMETTE: “IN FUTURO SAREMO SEMPRE DI PIÙ”
C'è un filo rosa lungo quasi cent’anni che lega due donne nella storia del Giro d'Italia. Il primo capo è fissato nel 1924, il secondo in questo 2023. Le due donne sono Alfonsina Strada da Castelfranco Emilia, Modena, e Fabiana Luperini da Cascine di Buti, in provincia di Pisa. Tra le squadre invitate da Rcs a prendere parte alla prossima Corsa Rosa, oltre a Eolo-Kometa, Green Project-Bardiani Csf-Faizanè e Israel-Premier Tech, c'è anche il Team Corratec che fa il suo esordio al Giro dopo essere passato professional proprio quest'anno. Una prima volta per la squadra italiana che ha il suo cuore in Toscana e che tra i direttori sportivi insieme a Serge Parsani e Francesco Frassi annovera anche una delle atlete più vincenti del ciclismo italiano (cinque Giri e tre Tour, tanto per ricordare le vittorie più illustri) nonché la prima atleta professionista ad aver vinto sul Monte Zoncolan: Fabiana Luperini.
Il 6 maggio, nella Costa dei Trabocchi in Abruzzo, salendo sull'ammiraglia della Corratec Luperini stabilirà un altro record: diventerà la prima donna italiana a guidare una squadra maschile al Giro d'Italia. “All’inizio non ci avevo fatto troppo caso. Sono contenta di poter dare un esempio e permettere un’apertura per altre donne. Credo che in futuro
la presenza femminile sarà sempre maggiore”, è il pensiero di Luperini che rinvia al termine della stagione qualsiasi valutazione di questa esperienza. Una donna in ammiraglia al Giro non è una novità, nel 2021 c’era Cherie Pridham sull’auto della Lotto Soudal, ma ancora fa notizia. “Finora ho trovato un clima positivo, sono stata accolta bene”, commenta Luperini: “Conosco molti direttori sportivi, siamo più o meno coetanei e abbiamo corso nello stesso periodo. Ho trovato tanto rispetto, credo anche per i miei trascorsi da sportiva”.
Negli ultimi anni, la popolarità del ciclismo femminile è cresciuta notevolmente e le corse trovano sempre più spazio nei palinsesti televisivi. “Era quello che tutti speravano”, prosegue Luperini: “Il fatto che le gare femminili siano state affiancate a quelle principali maschili è stata una bella svolta: ha fatto aumentare l’attenzione intorno al movimento. Il ciclismo femminile quando ci sono atlete valide in corsa è spettacolare quanto quello maschile. Ci sarà sempre un gap tra i due, ma ultimamente è stato molto accorciato. Prima la distanza tra ciclismo femminile e maschile era maggiore. Ognuno aveva il proprio calendario e capitava raramente di incontrarsi prima del mondiale. Erano proprio due mondi a parte”.
Un mondo del quale Fabiana Luperini ha fatto e continua a farne parte. Qual è il ricordo più bello da atleta? “Ce ne sono stati tanti, uno particolare è la vittoria del quinto e ultimo Giro d’Italia a dieci anni dal precedente e a tredici dal primo, dove ero ancora una bambina. Nel 2008 ero un’atleta ormai matura, abituata alle corse e ricordo con soddisfazione che presi la maglia rosa sul Monte Serra dove abito”. Fabiana e tutte le altre professioniste in bicicletta hanno avuto una coraggiosa capostipite.
Alfonsa Rosa Maria Morini, emiliana di nascita, in paese veniva chiamata "la matta". Aveva nove fratelli e una passione sfrenata per la bici che la portava a sfidare i maschi. Trasferitasi a Milano sposò Luigi Strada e come regalo di nozze, invece della canonica collana di perle, chiese una bici da corsa. Il marito, che purtroppo "matto" fu ritenuto davvero e finì i suoi giorni in un manicomio per esaurimento nervoso, l'accontentò e lei iniziò a gareggiare.
Il Giro del 1924 resta storico per due motivi. Boicottato dalle grandi case costruttrici di biciclette, fu corso interamente da "isolati" ossia dai corrido-
ri senza squadra, poveri diavoli che gareggiavano per portare letteralmente la pagnotta a casa. Tra di loro, c'era Alfonsina Strada che divenne la prima (e finora unica) donna a correre il Giro con gli uomini. Arrivò ultima, a più di un giorno di distanza dal vincitore Giuseppe Enrici, formalmente fuori corsa per essere giunta oltre il tempo massimo a Perugia dopo otto tappe. Fu il direttore della Gazzetta dello Sport, Emilio Colombo, a fare pressioni per mantenerla in corsa riconoscendo la valenza dell'impresa.
Lungo la strada trovò gente che la insultava oppure che la incitava. Durante un giorno di riposo, alcuni sostenitori le fecero pervenire una busta con 500 lire (500 euro di oggi): lei spedì metà soldi al marito in manicomio e l'altra metà in convento alle suore che accudivano sua nipote. I giornali la chiamavano il Diavolo in gonnella, lei ribatteva che la sottana non l'aveva mai portata. Sulla bici si sentiva libera e le sembrava di volare. Correva per questo, Alfonsina Strada, e per vedere gli uomini sbuffare alle sue spalle preoccupati che i giornali il giorno dopo scrivessero che una donna li aveva superati.
NON C’È SOLO LA CICLOVIA DEI TRABOCCHI NELLA REGIONE
CHE OSPITA LA PARTENZA DEL GIRO D’ITALIA: TRA PESCARA, TERAMO E VASTO, I CONTENUTI AGONISTICI SI MESCOLANO A PAESAGGI UNICI E SUGGESTIONI STORICHE. L’ARRIVO DI CAMPO IMPERATORE SUL GRAN SASSO
Sarebbe stato contento e orgoglioso Vito Taccone, incandescente, sanguigno e generoso corridore degli anni ’60, di questo avvio del Giro d’Italia dal suo Abruzzo. Sono quattro le frazioni del Giro edizione 106 che toccheranno il territorio abruzzese con la cerimonia di apertura dedicata alla presentazione delle squadre in programma a Pescara il 4 maggio, per una settimana di eventi. Le prime tre tappe della corsa, dal 6 all’8 maggio, più la numero 7 del 12 maggio, con uno degli arrivi più belli di quest’anno: quello di Campo Imperatore, sul Gran Sasso.
Il primo appuntamento agonistico è con la cronometro individuale di 18,4 km da Fossacesia Marina ad Ortona, per un avvio che è già da cartolina. Tra filari di ulivi, la prima località di partenza si trova sulle colline e si affaccia sulla Costa dei Trabocchi. Qui gli appassionati locali di ciclismo ricordano Alessandro Fantini, originario proprio di Fossacesia, che in carriera vinse sette tappe al Giro d’Italia, due al Tour de France e arrivò secondo a quasi otto minuti nella tappa da tregenda con l’ascensione del Monte Bondone al Giro del 1956. Destino tragico per Fantini: al Giro di Germania nel 1961 cadde sul traguardo di Treviri durante la volata e
non si risvegliò più. Un monumento nella sua città lo ricorda.
La partenza dalla Costa dei Trabocchi è l’occasione per conoscere l’omonima pista ciclabile che si estende da Ortona a Vasto, che per molti è la più bella via verde vista mare d'Italia. Il trabocco è diventato un po’ una “bandiera”, il simbolo della zona: si tratta di un un’antica macchina da pesca strutturata come una grande palafitta protesa sul mare e ancorata al suolo attraverso grossi pali di robinia incassati sugli scogli, che si spinge a sfidare il mare anche fino a cinquanta metri dalla riva e svetta dal pelo dell’acqua fino a sei metri.
La seconda frazione muove da Teramo a Vasto, l’Adriatico abruzzese in tutto il suo splendore. La città che ospita la partenza della tappa è di antico lignaggio. Fondata dai Fenici, fu sottomessa dai Romani: ci sono monumenti da visitare e la cucina tipica da provare. La tappa è adatta ai velocisti. Il percorso è ondulato nella prima parte. I corridori seguiranno la costa con alcune escursioni all’interno per scalare Silvi Paese, Chieti e Ripa Teatina. Finale lungo la costa per preparare la volata sul lungomare.
Nella terza frazione, da Vasto a Melfi, si inizia a salire. Primo tratto abruzzese completamente pianeggiante, i corridori punteranno verso Puglia e Basilicata. È ancora tutta pianura sino a Foggia e poco oltre. La prima salita serve per arrivare ai laghi di Monticchio nel cuore della Riserva del Vulture, che hanno preso il posto di quello che, un tempo, era il cratere di un vulcano, il Monte Vulture. Panorama decisamente suggestivo. Il valico è posto ai 705 metri sul livello del mare. I corridori dovranno salire ancora sino agli 858 metri del valico la Croce, poi discesa, si attraverserà Rionero in Vulture. Ancora circa diciassette chilometri per arrivare al traguardo. Quindi la risalita finale fino al traguardo di Melfi.
La settima tappa, come accennato all’inizio, prevede il ritorno in Abruzzo per affrontare il temutissimo arrivo sopra i 2mila metri a Campo Imperatore sul Gran Sasso d’Italia (2135 metri) con partenza da Capua. Dopo un lungo avvicinamento si scala la salita di Roccaraso e il Piano delle Cinque Miglia prima di una lunghissima discesa fino ai piedi del
Gran Sasso. La salita sino a Campo Imperatore è lunga quasi 45 chilometri, spezzata da un falsopiano.
Il Giro, oltre che presentare molti temi agonistici, sarà una grande vetrina per la regione che ospita le tappe iniziali come ha ricordato fra l’altro l'assessore al Turismo Daniele D'Amario nella presentazione allestita all'interno dello stand alla Borsa italiana del turismo svoltasi nel mese di febbraio a Milano: “È per noi motivo di orgoglio – aveva detto – dare il via alla grande partenza del Giro d’Italia, l’evento ciclistico più amato dagli italiani. Ospitare questa importante competizione sportiva ci offre la possibilità di promuovere tutta la sorprendente ricchezza della nostra regione, che trova nella varietà paesaggistica del proprio territorio il suo punto di forza: la montagna a due passi dal mare”. L’Abruzzo conta in effetti circa settanta percorsi Bike Friendly che si sviluppano attraversando paesaggi costieri tra natura selvaggia, siti archeologici, antiche mura e pregiati filari. Per molti cicloamatori potrebbero essere una graditissima scoperta.
SETTANTA PERCORSI BIKE FRIENDLY SI SVILUPPANO SUL TERRITORIO
ATTRAVERSANDO PAESAGGI COSTIERI, NATURA SELVAGGIA, SITI ARCHEOLOGICI, ANTICHE MURA E PREGIATI FILARI.
PER MOLTI CICLOAMATORI POTREBBE
ESSERE UNA GRADITISSIMA SCOPERTA
DOPO 13 ANNI DI PROFESSIONISMO E TANTISSIME VITTORIE
PETER SAGAN HA DECISO DI PORRE FINE ALLA SUA CARRIERA
MA NON È UN ADDIO: TORNA AL SUO PRIMO AMORE, LA MTB, PER PUNTARE A PARIGI 2024 E DEDICARE PIÙ TEMPO AL FIGLIO
Il 19 gennaio 2010 Peter Sagan debuttava tra i professionisti con la maglia della Liquigas, una settimana prima di compiere vent’anni. Alla Vuelta a San Juan, la corsa argentina “donde todo empieza” (da cui tutto inizia), la sera del giorno di riposo, il campione slovacco ha fatto esplodere la notizia bomba. Sul calar del giorno, peraltro quello del suo 33esimo compleanno (il 26 gennaio), circondato dai “suoi” uomini più fidati (tra cui Gabriele Uboldi e Giovanni Lombardi, i suoi due punti di riferimento) Sagan ha spiegato di voler dedicare più tempo al figlio Marlon, che ha cinque anni e si è potuto godere poco il papà costretto a viaggiare tanto per lavoro, e tornare a divertirsi (e divertirci) con il suo primo amore: la mountain-bike.
“Ho iniziato con la mtb seguendo mio fratello poi dopo due anni ho cominciato anche su strada”. Il tre volte campione del mondo ha deciso di chiudere la sua avventura nel mondo delle due ruote come l’aveva cominciata a nove anni: nel fuoristrada, puntando fin da ora ai Giochi Olimpici di Parigi 2024 nel cross country. “Il momento è arrivato. Fin da quando avevo 20 anni ho sempre pensato che mi sarei ritirato intorno ai 30, anche se ritiro non è la parola giusta per quello che mi aspetta”, ha affermato Sagan. “Continuerò ad essere presente nel mondo del ciclismo, solo in modo diverso. Magari l’anno prossimo tornerò qui in Argentina con la maglia della Nazionale slovacca. Ho voluto
dare questa notizia alla prima corsa dell’anno perché è giusto che i tifosi sappiano le mie intenzioni. Continuerò a essere tra di voi e a divertirmi con la bicicletta. Gli ultimi due anni sono stati difficili per me, ma non ho preso questa decisione per questo e anche se nel frattempo dovessi vincere, non cambierò idea. Non è per una questione di prestazione, ma dipende da ciò che voglio per me. Nella mia vita il ciclismo non è tutto. Il mio sogno nel cassetto? Avere una vita tranquilla, vivere bene e crescere mio figlio”.
Peter Sagan ha voglia di concentrarsi anche su altro e quando gli chiediamo quale sia la sua paura più grande risponde: “Perdere le persone che amo”. A conferma della sensibilità di un campione di questo sport che da ora vorrebbe essere un po’ più Peter e meno Sagan. Dal 2021 veste i colori del team TotalEnergies ma ricorda ancora quello che forse è il rimprovero più duro che gli abbiano fatto. “Quando sono passato professionista il primo anno con la Liquigas, ero un ragazzo di 19 anni e in ritiro in Toscana con la squadra a colazione mangiavo il pane, le brioche e il cappuccino. Per me era una normale colazione prima di allenamento. Lo staff continuava a guardarmi fino al giorno in cui mi hanno tolto queste cose. Non mi hanno mai sgridato però mi hanno detto di evitare di mangiare queste cose”.
L'ANNUNCIO NEL GIORNO DEL 33ESIMO COMPLEANNO ALLA VUELTA A SAN JUAN:
“IL CICLISMO NON È TUTTO, SOGNO UNA VITA TRANQUILLA PER POTER CRESCERE MARLON”
Con le sue imprese ha cambiato quella che da sempre è l’immagine un po’ retorica del ciclismo: sport fatto solo di fatica, sacrificio e sofferenza. Peter l’ha portata un po’ più in là, con la giusta dose di divertimento e allegria, diventando di fatto ispirazione per molti. Insomma: sacrificio e fatica sì ma spensieratezza, piacere e divertimento. Anche se, occhio a fargli aspettare qualcosa o qualcuno, perché è il miglior modo per fargli perdere la pazienza.
In tredici anni di carriera nella massima categoria è riuscito a stravolgere la frontiera della bicicletta fino a diventare il Sagan che tutti conosciamo: “Di tutti questi anni mi restano tanti ricordi” ha detto Peter ai microfoni di Bike Channel. E ha aggiunto:
“È stata un’esperienza di vita, una scuola, il ciclismo mi ha dato tanto e mi ha insegnato la disciplina. Ci sono stati momenti felici e altri che lo sono stati meno. La maggioranza sono comunque, e fortunatamente, positivi. Se ripenso al Peter bambino gli direi di ricordarsi da dove è venuto e di continuare a fare le cose a modo suo. Io ho cominciato a correre in Slovacchia e oggi a casa torno poco, solo per i Campionati nazionali, a Natale e una settimana a fine stagione. La mia vita, rispetto a tredici anni fa, non è cambiata più di tanto: devo sempre essere in forma e allenarmi. Nel contempo è cambiata sì con la nascita di mio figlio Marlon. Da quando sono papà, ho molte più responsabilità ed è questo il regalo più bello che la vita potesse riservarmi”.
Vita di casa e Slovacchia, se ne ricorda anche quando gli chiediamo com’è il Peter casalingo: “Se mi piace cucinare? Se ho il tempo e gli ingredienti sì, ma il mio punto debole è fare la spesa. Ammetto di non avere un piatto preferito perché non mi piace mangiare sempre la stessa cosa. Quando sono in Slovacchia mangio perkelt, che sono tipo degli gnocchi con sugo di pollo e paprika dolce, e hulusky, che sono sempre una sorta di gnocchi con formaggio tipico e pancetta grigliata. Cosa non deve mai mancare nel mio frigo?
Bella domanda, è sempre vuoto”. Tornando al ciclismo e alla domanda se si riconosce in quello di oggi, la risposta sembra avere un’accezione totalmente positiva: “Il ciclismo in questi anni è cambiato tantissimo. È diverso il modo di correre in gruppo e i materiali si sono sviluppati. Il livello in gruppo si è alzato molto, prima quelli che andavano forte erano i leader delle squadre, oggi interi team vanno forte”.
Nel corso della sua carriera Peter ha vinto di tutto (121 le vittorie ad oggi) tra cui tre Campionati del Mondo consecutivi (Richmond 2015, Doha 2016 e Bergen 2017). “Tutti e tre i Mondiali sono speciali, senza il primo non c’è il secondo e senza il secondo non c’è il terzo. Tutti e tre hanno la stessa emozione. La gara più bella del mondo? Quella che vinci (dice ridendo ma poi specifica, ndr) sicuramente il Mondiale”. Ci sono poi il Giro delle Fiandre nel 2016 e la Parigi-Roubaix del 2018, dodici tappe vinte al Tour de France, quattro alla Vuelta e due al Giro, sette maglie verdi, una ciclamino e diciassette successi al Giro di California, giusto per citare altri successi. È l’unico a vincere dal 2010 almeno una corsa World Tour per ogni stagione. Sono dei risultati incredibili, dei traguardi resi quasi facili e naturali dal Sagan sereno a cui siamo sempre stati abituati.
Come ultima domanda gli chiediamo se ricorda tutte le gare che ha vinto. Lui sorride: “Assolutamente no, ma se dovessi riguardare i video mi tornerebbero in mente tutte le emozioni”. Non ha una strada su cui preferisce pedalare perché “non mi piace pedalare sempre nello stesso posto”. Conferma sia così anche quando è ora di scegliere il posto per le vacanze. Gli piace cambiare anche se “nel ciclismo invece il mio posto preferito per l’altura è andare nello Utah”. Un ragazzo mai scontato né banale. Un riferimento inimitabile in gruppo, anche a 33 anni compiuti. “Cosa direi ai giovani di oggi che si vogliono avvicinare al ciclismo? Buona fortuna, niente di più”.
VITTORIO ADORNI È STATO MAGLIA ROSA NEL ’65 E IRIDATO
A IMOLA BATTENDO I BELGI. DIVENTA PRESENZA FISSA IN TV
SENZA SMETTERE DI CORRERE, POI SALE IN AMMIRAGLIA
E AIUTA L'UCI A IMMAGINARE IL CICLISMO DEL FUTURO
L’immagine di Vittorio Adorni, scomparso alla vigilia di Natale 2022, va oltre quella del semplice ciclista anni ‘60. È un uomo di sport in senso moderno, oltre le figure dei giganti (Coppi, Bartali, Magni…) che l’hanno preceduto. Fin da giovanissimo instaura rapporti sociali importanti, come ad esempio con il giornalista Bruno Raschi e l’industriale Pietro Barilla. Non solo il fisico che si tempra nelle corse, ma anche una mente lucida e previdente. Ai suoi esordi ha modo di confrontarsi con personaggi come Learco Guerra, che gli offre il primo contratto da professionista nella Vov (1961) o come Fiorenzo Magni (general manager della Philco, 1962), o ancora Alfredo Binda (Cynar, 1962).
E stringe rapporti con i fratelli Salvarani, con la cui squadra vince il Giro d’Italia 1965.
Di bella presenza e sempre sorridente Adorni “buca” anche lo schermo. Sa parlare e argomentare: il palco del Processo alla Tappa di Sergio Zavoli è il suo salotto dopo tappa (anche quando dopo aver pedalato in montagna e sotto la neve si trattiene più d’ora al microfono).
Nel 1968 approda alla Faema, squadra italo-belga, insieme al Campione del Mondo Eddy Merckx. In ammiraglia Marino Vigna. I due italiani riescono, con intelligenza e tanta pazienza, a indirizzare la strategia di corsa dell’esuberante belga. Merckx conquista il Giro d’Italia quell’anno e Adorni è secondo.
Nella stessa stagione a Vittorio viene offerto di presentare una trasmissione televisiva, Ciao Mamma, in compagnia di Liana Orfei. Il ciclista ha anche in mente il Mondiale, che quell’anno si disputa in Italia, a Imola. Con grande dedizione riesce a coniugare gli allenamenti con la registrazione delle puntate in Rai, arrivando preparato all’appuntamento iridato. Qui dimostra, ancora una volta, grande maestria tattica, sfruttando le lotte intestine tra belgi ed entrando nella fuga che poi, in solitaria, lo porterà a tagliare per primo il traguardo. Una volta terminata la carriera agonistica, nei primi anni ‘70, anche in macchina saprà gestire situazioni e strategie di corsa. Per due anni guida la Salvarani (dopo l’uscita di Luciano Pezzi) e poi per un anno la Bianchi-Campagnolo (con Marino Basso Campione del Mondo e Felice Gimondi).
Per 20 anni si siede accanto ad Adriano De Zan, mettendo a disposizione la sua competenza come commentatore sportivo (il primo nel suo genere). Conclude questa esperienza come spalla di Davide De Zan, il figlio di Adriano, raccontando le primissime imprese di Pantani (inizio anni ‘90).
Adorni però ha ancora molto da dare e trova posto nella Commissione tecnica dell’Uci, che per molto tempo è stata la casa di Alfredo Binda. Partecipa alla rivoluzione del calendario ciclistico che porterà al World Tour. Accetta la carica di presidente del Panathlon e poi viene eletto come assessore al Comune di Parma. Dice di lui Beppe Saronni: “Vittorio è stato un buon politico, aveva grandi doti di mediazione, è stato un fine diplomatico”.
* Oltre a curare il blog Inbarbaallebici.wordpress.com collabora con Biciclette d’Epoca e nell’ambito dell’omonimo format tv su Bike Channel interviene con approfondimenti e curiosità
LA CASA DEL TROFEO CHE DA SESSANT’ANNI INAUGURA LA STAGIONE
DELLE CORSE IN ITALIA È MOLTO DI PIÙ CHE UN LUOGO DI MITI DELLO SPORT:
BORGO UNICO DA SCOPRIRE TRA SAPORI E TRADIZIONI, ARTE E CULTURA
Laigueglia, provincia di Savona. Meno di un paio di migliaia di residenti. Uno dei borghi più belli d’Ita lia. È dove ogni inizio marzo si apre la stagione del grande ciclismo italiano, con il Trofeo Laigueglia, da quest’anno sotto l’organizzazione “doc” di ExtraGi ro. Giunto alla sua 60esima edizione, la prima nel 1964 fu conquistata da Guido Neri.
Sul lungomare che sfiora la Baia del sole, hanno poi vinto, nel corso del tempo, campioni del calibro di Bitossi, Dancelli, Zilioli, Merckx (che alloggiava sempre all’Hotel Splendid del fondatore del Lai gueglia, Angelo Marchiano), Baronchelli, Saronni, Gavazzi, Bartoli, Museeuw, Di Luca, Ballan e Poz zato, unico a fare tris. L’eroe di quest’anno, vinci tore in un freddo, piovoso e ventoso primo giorno del mese (non accadeva dal 1987), è un ragazzo francese di Grenoble, Nans Peters, che in pal marès vanta già una tappa al Giro d’Italia e una al Tour de France.
Pedalare su queste strade non è come farlo in un posto qualunque. Nella piazza dove è posta la partenza c’è il famoso Muretto dei ciclisti, con i nomi di decine e decine di corridori che al Laigueglia (ma non solo) hanno lasciato il segno. Un’idea del padrone di casa, Bruno Zanoni, l’ultima maglia nera al Giro d’Italia, bergamasco di Nembro che in questa località ha scelto di vivere e ha trovato l’amore. Laigueglia è un borgo-bomboniera, dove respirare l’essenza della Liguria e dove sbizzarrirsi in bicicletta. Un buon punto di partenza è l’Hotel Mediterraneo (bike hotel con rifugio per le biciclette e personale super cordiale), da cui si può cominciare, come ha fatto il sottoscritto, per provare il circuito conclusivo del Laigueglia dei professionisti (che i pro fanno quattro volte nel finale di gara).
Sono poco meno di 12 chilometri con subito il duro strappo di Colla Micheri (1,9 km all’8,5% di pendenza media), picchiata su Andora (patria dell’ex-pro Mirko Celestino, oggi ct della nazionale di mountain bike), Capo Mele (nel senso inverso rispetto alla Milano-Sanremo) e ritorno a Laigueglia. In zona però sono due istituzioni anche la salita del Testico (versante nobile da Alassio, più morbido da Andora) e quella di Paravenna (6,5 km al 6%), ma percorrendo l’Aurelia si può serenamente arrivare a Imperia e poi imboccare la salita della Cipressa (5,6 km al 4%), primo snodo cruciale della Milano-Sanremo, per gustarsi meglio l’aria di mare e affrontare un tratto dal sapore mitico. A proposito di sapori: questa parte di Liguria è terra di specialità gustose. Tra i migliori posti dove scoprirle c’è l’Antica Osteria La Sosta, nome scelto in omaggio alla sosta che qui fece Papa Pio VII nel 1809 dopo l’esilio in Francia), e dove oggi Daniele e Stefania, oltre ad accogliervi con sorriso ed eleganza, vi delizieranno il palato con alcune chicche tipiche come
Laigueglia, che nei mesi estivi arriva a contare quasi 10mila presenze, è anche un centro ricco di arte e storia, come confermato dalla sontuosa Chiesa di San Matteo, in perfetto stile barocco ligure, e fra le tre più grandi di tutta la Regione. Terra di ottimo olio e buon vino (vivamente consigliato un salto alla tenuta Vignamare a Colla Micheri), Laigueglia, che dal 1805 al 1815 fu sotto dominio francese, propone anche tre eventi imperdibili: la festa di San Matè (fine settembre), la rievocazione storica dello Sbarco dei Saraceni (inizio agosto) e l’appuntamento musicale Percfest, il festival jazz internazionale per percussionisti che si tiene ogni anno la seconda settimana di giugno.
DA BAROLO ALL’ISOLA DI BERGEGGI, ATTRAVERSANDO LE LANGHE
E LA LIGURIA PIÙ AMENA: TRA DEGUSTAZIONI DI ROSSI SELEZIONATI,
TOME PIEMONTESI E DOLCI DI NOCCIOLA. E POI UN TUFFO NEL MARE.
CRONACA DI DUE GIORNI ALL’INSEGUIMENTO DI GUSTO E AVVENTURA
Dalle Langhe al mare, con Barolo come punto di partenza. Diamo il via a un viaggio che ci farà scoprire il ponte di storia, sapori e bellezza che unisce il Piemonte e la Liguria in un itinerario disegnato a più mani da quattro guide cicloturistiche riconosciute dalla Regione Piemonte, Monica, Attilio, Camillo e Claudio (Dodo) dell’associazione Outdoor TraMontieMare. Ben due anni di lavoro per un progetto frutto della loro amicizia e delle grandi passioni che li accomunano: la bici, che Monica più degli altri utilizza anche in gara per la migliore performance, e il territorio, che tanto amano e valorizzano anche attraverso i loro vini e agriturismi. Il tour (135 chilometri totali) è quasi del tutto immerso nella natura: vigneti, boschi, laghi, sentieri nascosti e poco battuti. Andarci soli, senza una traccia, è sempre difficile. Per cui lasciamoci guidare ascoltando chi queste zone le conosce come le sue tasche, una bella pedalata tra degustazioni e visite.
Si parte dal castello di Barolo, che domina l’orizzonte delle Langhe, e dalla pregiata selezione di vini locali dell’enoteca di questo piccolo centro. Circondati dai vigneti, in uno scenario romantico, si prosegue verso i piccoli borghi Monforte d’Alba e Dogliani dove la collina diventa via via più sel-
vaggia. Prima di proseguire, a Dogliani, ci fermiamo per una merenda in piazza Umberto I, vicino al Duomo. Si raggiungono poi Farigliano e Belvedere Langhe, dove è d’obbligo fermarsi per una foto di rito alla panchina gigante dell’architetto Chris Bangle, un’enorme panca viola tra le prime costruite in Italia per il progetto Big Bench Community Project, che valorizza luoghi particolarmente suggestivi fuori dalle rotte più spesso percorse dai turisti. La foto, prima di rimettersi in sella, è un bel modo per salutare i vigneti patrimonio mondiale dell’umanità e che fino ad ora ci hanno fatto compagnia.
Quando iniziamo a prendere quota i noccioleti di produzione della tonda gentile delle Langhe lasciano il posto ai boschi. Siamo a circa 750 metri, a Murazzano, nel cuore dell’Alta Langa, una delle città principali della zona definita “scudo e chiave del Piemonte” per la sua posizione strategica. La sua torre di pietra alta 33 metri ne è la prova. La sosta a Murazzano è l’occasione ideale per un meritato pranzo. Se Dogliani è conosciuta per il suo rosso, il Dolcetto, qui è il formaggio – anzi il toma – a fare gli omaggi di casa. Insieme al Murazzano Dop, alla fine della pausa pranzo, ci concediamo l'assaggio della crema di nocciole locale, naturalmente tonda gentile.
Intanto il panorama si prepara a cambiare. Abbiamo già incrociato grandi prati e greggi che adesso ci aiutano a perdere quota fino ad arrivare in uno dei luoghi teatro delle battaglie di Napoleone: San Michele Mondovì, in cima al Colle della Bicocca di San Giacomo. Entriamo nel Santuario di Vicoforte, affacciato sulla Valle Monregalese, per fare visita alla cupola ellittica più grande del mondo, alta 74 metri. Il Santuario di Vico è anche sede di tombe reali. In questo contesto tra sacro e profano ci aspetta la luce del sole che tramonta in una visione che rimarrà impressa nella memoria.
Si riparte il secondo giorno da Vicoforte, non lontano da Mondovì, con l'obiettivo di decidere se è meglio ottimizzare i tempi, e procedere spediti fino a Savona, oppure prolungare il viaggio ancora di un giorno. In un caso o nell’altro, già al confine tra le due regioni i paesaggi cambiano notevolmente: dai boschi di castagneti ben ordinati passiamo a una zona più selvaggia e incontaminata. Il fondo stradale è sterrato, non ci sono grandi difficoltà tecniche, se non diversi saliscendi per 1.700 metri complessivi di dislivello.
Si attraversa Castelnuovo di Ceva per raggiungere la Liguria, con una tappa al santuario del Deserto di Millesimo. Riprendiamo la statale e dopo quattro chilometri raggiungiamo il Lago di Osiglia. Siamo arrivati in provincia di Savona, nella Liguria più segreta, quella che non tutti conoscono. Da questo momento in poi gli alberi ci accompagneranno quasi fino al mare, la loro ombra nel periodo estivo è un grande sollievo. Si sale per una strada sterrata per raggiungere la Colla di San Giacomo, dove s'incontra l'Alta Via dei Monti Liguri, incrociando un percorso pedonale per trekking che da Ventimiglia arriva a La Spezia, un piccolo pezzo di verde prima della discesa.
In direzione Spotorno, percorriamo, infine, un sentiero naturale molto affascinante adatto a tutti i biker, il terreno ha una leggera pendenza che ci farà assumere una posizione quasi obliqua. Il profumo del mare è vicino. Da lì a pochi passi il profilo dell’Isola di Bergeggi sarà il premio finale di questa avventura. L’arrivo, con un tuffo nel Mar Ligure e l’idea del treno che ci riporterà indietro, è molto emozionante.
GIÀ LUOGHI D’ALLENAMENTO IDEALI PER QUANTI HANNO FATTO LA STORIA DEI NOSTRI SUCCESSI SPORTIVI, MONTECATINI E DINTORNI SONO SEMPRE DI PIÙ META
ELEGGIBILE PER CHI VUOLE TRASCORRERE QUALCHE GIORNO DI RIPOSO TRA BENESSERE E BUONA CUCINA
I ciclisti della zona chiamano questa parte della Toscana “il centro del mondo”. Montecatini, Lamporecchio, Casalguidi, San Baronto, Fucecchio. Più annessi e connessi, tipo Monsummano Terme o Cantagrillo. È stata la terra di Franco Ballerini, indimenticabile campione ed ex ct della Nazionale tragicamente morto mentre era impegnato in un rally sulle strade di casa. È la terra di Riccardo Magrini e Andrea Tafi, di Luca Scinto e Giovanni Visconti. Ed è stata il teatro di tanti allenamenti di un certo Vincenzo Nibali quando da ragazzino approdò alla Mastromarco. Insomma, poter pedalare su queste strade ti fa davvero sentire al centro del mondo ciclistico. Colline con strappi impervi. Borghi arroccati. Profumi e colori della Val di Nievole. Il Monte Serra all’orizzonte. L’Abetone più o meno a portata di mano.
Montecatini, storica città termale, è un’ottima base per trascorrere due o tre giorni di qualità. In cui pedalare, divertirsi e mangiare bene. Consiglio spassionato. Prenotate al rinnovatissimo Palazzo Belvedere. Struttura elegante, col giusto mix fra antico e nuovo, impianto Spa di livello, cucina ricercata e accoglienza super, con il buon Simone che da queste parti chiamano Il visionario tanto è sempre stato all’avanguardia. Senza trascurare la posizione. Perfetta, perché sistemato a due passi dal parco delle terme e proprio ai piedi della strada che porta a Montecatini Alto, una chicca vera e da cui poter ammirare una splendida vista sulla piana. Avviso ai ciclisti: sia questo versante che quello delle vigne (passando da Nievole) sono estremamente pedalabili e corti (3 chilometri circa). In bici ci si può sbizzarrire. Se si vuole scaldare la gamba si può pedalare in semi-pianura verso Padule di Fucecchio e trovare comunque strade poco battute dal traffico. Altrimenti se, come il sottoscritto, amate salire e fare dislivello, da Montecatini parte il luna park. A una manciata di km c’è l’impennata che porta a Monsummano Alto. Parliamo di 2,5 chilometri, ma con pendenza media del 10,2 e punte al 15-16%. Uno strappo non per tutti, ma che vi ripagherà con un panorama da togliere il fiato dal castello diroccato.
La salita simbolo della zona è ovviamente il mitico San Baronto (Santo patrono dei ciclisti toscani, di cui si trova un monumento in cima all’ascesa), che si può affrontare da almeno tre versanti principali: da Vinci (12 km al 3% e punte al 10%), da Lamporecchio (4,5 km al 6,8%) e da Casalguidi (6,4 km al 4,6%). Già solo facendo su e giù da questa “salita-istituzione” potete tornare a casa con un buon dislivello nelle gambe. Il giro classico, o meglio l’anello classico per tornare a Montecatini prevede il passaggio da Cantagrillo (dove è doverosa la foto sotto il murales dedicato a Ballerini) e quindi la salita dei papi (4,4 km al 5% ma con 1.500 metri che vi faranno bruciare le gambe e pendenze abbondantemente sopra il 10%).
Come detto, facendo base a Montecatini, sarebbe un delitto anche non testarsi sulla salita del Goraiolo: al bivio della città alta, basta prendere a sini-
stra per Marliana e poi Femminamorta e si arriva al passo. Sono 12 chilometri a 4,6% di media che non vi metteranno mai in soggezione ma vi daranno la possibilità di ammirare scorci da favola mentre pedalate. Sulla strada, magari annotatelo per la cena della sera, merita una tappa il ristorante La Baita, gestito dal mitico Sandrino e dove si può gustare la miglior carne rossa della zona, oltre al clima conviviale e alla bellezza del luogo. Montecatini ha trovato quindi una nuova collocazione per i cicloturisti. Non più solo città termale, ma punto di snodo per meravigliose pedalate. Che vi faranno sentire, appunto, al centro del mondo.
LA CICLOVIDIA È UN ANELLO CICLOTURISTICO CHE SI SNODA
A SULMONA, CENTRO DI STORIA, ARTE E CULTURA, ALLA SCOPERTA
DELLA VALLE PELIGNA E DEL PARCO DELLA MAJELLA
Un anello perfetto per il cicloturismo pedalando attraverso 2mila anni di storia, arte, natura e tradizioni. Siamo a Sulmona, cittadina fondata in età preromana nel cuore dell’Abruzzo, sede di un viaggio che tocca storie ed epoche diverse, attraverso un percorso fatto appositamente per viverle, nel nome di uno dei suoi simboli. È la Ciclovidia, che prende il nome di Publio Ovidio Nasone, il poeta romano celebre per le elegie amorose, nato qui nel 43 a.C. È dal bimillenario della sua morte, nel 2017, che si pensò a un tracciato, lungo circa 22 km, interamente nel territorio di Sulmona, fatto di strade interpoderali, tratti di piste ciclopedonali e persino ztl, che permette di pedalare in sicurezza alternando tratti immersi nel verde ad attrazioni storico-culturali.
Su misura di cicloturista già dalla partenza, la Ciclovidia prende le mosse dalla stazione ferroviaria, per un punto di accesso che consente lo scambio bici/treno. Procedendo in senso orario, verso la frazione Badia, si torna indietro di sette secoli, alla scoperta di un personaggio descritto da Dante nell’Inferno come “colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Sia l’Abbazia di S.Spirito a Morrone – sede oggi del Parco Nazionale della Majella – sia, con una deviazione più arroccata, l’Eremo Celestiniano di S. Onofrio, sono stati entrambi opera di Pietro da Morrone, che da Celestino V rifiutò il papato quattro mesi dopo la sua incoronazione e vi si rifugiò. Dall’Eremo, si gode una splendida vista sulla Valle Peligna e su tutte le montagne che la circondano, mentre nella zona sottostante emergono i resti del Santuario di Hercules Curinus, uno dei più importanti luoghi di culto dell’epoca romana, dedicato ad Ercole.
Scendendo dal Morrone, in località Fonte d'Amore, ci si tuffa nella storia contemporanea: qui sorge, infatti, il campo di internamento di Sulmona n. 78, uno dei più grandi d’Abruzzo, che ha operato fin dal luglio 1940 ed è ancora ben conservato in quella che, ed è importante ricordarlo, è una città decorata al valore militare e insignita della medaglia d'argento per la lotta partigiana durante la Seconda guerra mondiale. Arrivando in città attraverso sentieri interpoderali lontani dal traffico, invece, si torna nel Medioevo: al centro storico si accede attraverso Porta Napoli, varco costruito nel 1338 ricavato nella cinta muraria, e percorrendo la via principale (corso Ovidio) si arriva a Piazza Garibaldi. Contorniata dall’acquedotto medievale costruito durante il regno di Federico II, vi hanno luogo rievocazioni storiche e religiose come la “Madonna che scappa” nel giorno di Pasqua e la Giostra Cavalleresca, che risale alla metà del XIII secolo. Proseguendo per il corso, limitato alle auto, si possono visitare la statua dello stesso Ovidio e la chiesa della Santissima Annunziata, un mix di stili (tardo gotico, rinascimentale e barocco) a seguito della ricostruzione dopo il forte terremoto del 1706. Prima di rientrare alla stazione si possono gustare i caratteristici confetti e visitare il Museo-fabbrica Pelino, una storia nata nel maggio 1783 e ancora viva dopo otto generazioni. La Ciclovidia, infine, si propone come anello “estensibile”: dal cicloturista che si vuole godere i paesaggi in tutta serenità al più avventuriero che può partire per mete naturalistiche come il Lago di Scanno, l’Oasi Wwf Sorgenti del Cavuto, la Riserva Naturale Regionale Monte Genzana e il passo San Leonardo in pieno Parco Nazionale.
I CONSIGLI DEGLI ESPERTI SU COME GUIDARE BICICLETTE
E MONOPATTINI ELETTRICI
DI REZZATO, L’ASSOCIAZIONE FONDATA DA STEFANO GHIDOTTI HA PRESENTATO TUTTE LE NOVITÀ PER LA STAGIONE 2023
Muovendosi crescono. Eccome. Nella capacità di gestire la presenza incombente della malattia. Nella consapevolezza di non essere soli ad affrontarla. Sono i "parkinsonauti", persone eccezionali accomunate, oltre che dall'essere state colpite da una sindrome degenerativa che affligge il 3 per mille della popolazione generale, circa l'1% di quella sopra i 65 anni, dalla passione per lo sport, la bicicletta e il triathlon in particolare.
Un manipolo di uomini valorosi allergici al divano e di donne indomite – c'è anche chi tra di esse ha riscoperto dopo anni il gusto di portare i tacchi –che si sono imbattuti, lungo l'impervia strada che da anni stavano percorrendo o si accingevano a percorrere, in Stefano Ghidotti, fondatore e presidente di Parkinson&Sport, blogger, mental coach, triathleta, "malato" non solo di parkinson ma soprattutto di sport.
Il 20 febbraio si sono dati appuntamento all'Univet Arena di Rezzato, Brescia, a chiusura del quartetto di appuntamenti che hanno inaugurato il nuovo anno di vita associativa, il sesto da quando Ghidotti ha deciso, come ama ripetere, che avrebbe "trasformato la sfiga in sfida". Di chi l’ha seguito molti sono accorsi per la serata intitolata 'Muovendoci cresciamo', che è molto di più di uno slogan. È il motto di chi ha scelto lo sport come stile di vita e antidoto per difendere il corpo, la testa e il cuore dall'attacco della malattia.
La serata, condotta dallo speaker Dario Nardone, era il quarto appuntamento della stagione, dopo il
webinar 'Non siete soli', la mezza maratona di Bergamo di Follow your passion e quella di Verona. Per l'occasione sono stati presentati il docufilm Malati di sport (realizzato con il sostegno del Lions Club Romano di Lombardia e la regia di Jay Ferreira), il programma sportivo 2023 e il nuovo sito internet. Strumenti importanti, non solo per far conoscere le attività di Parkinson&Sport, ma anche per tendere una mano a chiuque abbia bisogno. Sono accorse centinaia di persone che col parkinson si trovano a fare i conti ogni giorno: in prima persona o al fianco di affetti e familiari che ne portano il segno. Proprio come il padrone di casa, Paolo Portesi, generoso titolare dell'azienda ospitante, specializzata in occhiali professionali nonché incubatrice di innovazioni per l’occhialeria nell’epoca dell’intelligenza artificiale. C'erano, tra gli altri, anche i campioni dello sport: l'atalantino e azzurro Giorgio Scalvini, il paratleta d'acciaio Carlo Calcagni, già elicotterista e paracadutista della Folgore, e, in collegamento, il “Signore” della Roubaix Sonny Colbrelli e il campione della triplice Michele Sarzilla. Con tanto di asta benefica delle maglie di ciascuno e performance finale di una commossa Luisa Corna che ha cantato la sua (e di Fausto Leali) Ora che ho bisogno di te e Te voglio bene assaje
A documentare la serata è accorso Bike Channel, che ha dedicato uno speciale con interviste – tra cui quella al vicepresidente Acsi Emiliano Borgna –che potete rivedere sul sito Bikechannel.it.
UN’IDEA DA RISCOPRIRE NEL SUO VALORE PIÙ PROFONDO, SOPRATTUTTO NELL’EPOCA DIGITALE. PERCHÉ IL GUSTO DELLA
PEDALATA ALL’ARIA APERTA INSEGNA MOLTO: DESIDERIO DI CONOSCERE, PIACERE DI STARE INSIEME E CAPACITÀ
DI ASCOLTARE, NON SOLO IL PROPRIO CORPO. VALORI PREZIOSI ANCHE PER CHI SOGNA DI DIVENTARE, UN GIORNO, CORRIDORE
Come sempre, in primavera, parchi cittadini e piste ciclabili si popolano di bambini e ragazzi che scorrazzano sulle loro biciclette. Tra di loro, sicuramente, c’è anche chi si appassionerà allo sport del ciclismo. Fino a scegliere di praticarlo. Facciamo una premessa: non necessariamente diventeranno tutti campioni, ma senza dubbio intraprendere questo sport può contribuire a insegnare a chiunque come guidare la bici in sicurezza.
Negli ultimi anni sono inoltre proliferate le discipline praticabili in contesti protetti, come ciclodromi o piste di pump track, ed è in grandissima espansione il mondo della mountain bike, così come quello del ciclocross, discipline che notoriamente consentono di pedalare lontano dal traffico e sono propedeutiche a ogni tipo di attività su due ruote. Chiaramente per un genitore sapere che il proprio figlio si allena su strada, con il concreto pericolo del traffico, può far sì che i ragazzi vengano indirizzati ad altre discipline. A meno che in famiglia non ci sia già la passione per il ciclismo e allora il discorso è diverso. Cominciare da questo tipo di discipline può rivelarsi prezioso per sviluppare un concetto di guida corretta e sicura, anche laddove ciò non si riveli propedeutico al ciclismo agonistico.
In ogni caso, è sempre fondamentale affidarsi a persone qualificate ed esperte, tecnici che siano in grado di insegnare ai ragazzi come condurre la bicicletta. È un punto dirimente anche per chi vuole praticare il ciclismo come sport: saper guidare un bambino o un ragazzo delle categorie giovanili in maniera proporzionata al suo livello sia fisico sia mentale è enormemente importante. E avere la fortuna di incontrare un tecnico competente può essere la chiave di volta di una carriera. Eppure non è sempre così: in quanti alle corse dei giovanissimi si atteggiano da direttori sportivi professionisti! Con il rischio di pretendere risultati il più delle volte fini a sé stessi. Non è un caso, infatti, che, raramente, chi vince un campionato italiano da esordiente ha poi un futuro da professionista.
Certo, la competizione è essenziale nell’agonismo, ma il risultato a lungo termine, più che ai risultati, è strettamente correlato alla qualità del lavoro svol to negli anni delle categorie giovanili. Ed è qui che, purtroppo, si verifica ancora troppo spesso una strana tendenza a voler bruciare le tappe, pretesa che contribuisce a determinare, peraltro, in molti casi, l'abbandono prematuro di potenziali talenti.
Mentre la bici è e deve sempre restare divertimen to: questa è la prerogativa fondamentale per far sì che un giovane si appassioni alle due ruote, quale che sarà il suo futuro sportivo.
Regalate dunque biciclette, non tablet o telefonini! Tornate a fare come si faceva una volta, magari alle cresime e alle comunioni, visto che siamo in pe riodo. Sarà per molti la possibilità di scoprire, non solo la versatilità della bici, ma anche la possibilità di intraprendere uno sport che può trasmettere
valori importanti, non ultimi corretta alimentazione, gioco di squadra e capacità di ascolto reciproca. Una dote, quest’ultima, che sembra quasi in via di estinzione…
La tecnologia è importante, ci mancherebbe! Figurarsi, poi, nel ciclismo, ma c’è un tempo per tutto. Quando l’atleta sarà formato, si potrà entrare anche nello specifico dell’uso (non abuso) di ciclocomputer e finanche misuratori di potenza che però, se utilizzati precocemente, possono diventare un’arma a doppio taglio: Se da una parte il piccolo ciclista si allena con dati scientifici ottimizzando il lavoro, dall’altra rischia di perdere di vista la qualità del gesto tecnico e la capacità, appunto, di sapersi ascoltare e ascoltare il proprio corpo. Sarebbe un po’ come imparare una poesia a memoria, recitarla anche alla perfezione, ma non capire nulla di quello che si è detto. E non è quello che vogliamo.
IL CODICE DELLA STRADA PARLA ANCORA DI VELOCIPEDI MA RESTA
IL PRIMO STRUMENTO A TUTELA DELLA SICUREZZA DEL CICLISTA ED È IMPORTANTE CONOSCERLO, ANCHE VOLESSIMO AGGIORNARLO
In attesa di un intervento del legislatore che aggiorni le regole per tutelare i ciclisti, in particolare chi fa sport e ha diritto ad allenarsi in sicurezza – oltre all’adozione di misure come: manutenzione, ciclabili, zone delimitate su vie di grande percorrenza, zone 30 –, è sempre bene imparare a conoscere quelle vigenti, pretendendone il rispetto. Così facendo calerebbero gli incidenti, anche quelli con conseguenze gravi. Ecco qualche spunto di riflessione suggerito dalla lettura del codice della strada che, ricordiamolo, parla ancora di “velocipedi”.
Partiamo dal tema più dibattuto, dalle aule di giustizia ai bar: la fila indiana. La norma la impone ai ciclisti che procedono lungo la carreggiata e dunque va rispettata. È risaputo però che nei paesi più amici della bici come Spagna, Regno Unito e Irlanda i ciclisti possono viaggiare in coppie o per coppie di file parallele. E c’è più di un motivo: il sorpasso comporterebbe meno rischi richiedendo la metà del tempo rispetto alla fila indiana; l’automobilista sarebbe più chiaramente costretto a rallentare per attendere condizioni cautelari; due ciclisti in parallelo poi sono più visibili di un gruppetto in fila. Una situazione che porta a non azzardare alcun sorpasso quando lo spazio è risicato, come invece rischia di avvenire quando i ciclisti procedono in fila indiana.
A proposito di sorpasso, in assoluto la manovra responsabile del maggior numero di incidenti gravi a danno dei ciclisti, la legge impone cautela all’automobilista con lo scopo di assicurare un sorpasso in sicurezza, obbligandolo a tenere una distanza di sicurezza considerando la minore stabilità e probabilità di ondeggiamenti e deviazioni da parte del ciclista. Prima del sorpasso del ciclista l’automobilista deve sempre valutare la presenza di condizioni di sicurezza. Vietato sempre il sorpasso in prossimità di curve, dossi e in ogni altro caso di scarsa visibilità. Questa norma, con l’avvento della legge sull’omicidio stradale, lascia presumere che, in caso di urto del ciclista in fase di sorpasso, l’automobilista non abbia adottato le misure richieste, con relativa imputazione della colpa.
C’è poi un falso mito da sfatare relativamente all’attraversamento delle strisce pedonali, ovvero che il ciclista non potrebbe farlo pedalando. Ma non è sempre così. L’ha chiarito il ministero dei Trasporti con un parere che interpreta la norma: “I ciclisti possono attraversare in sella alla bicicletta, salvo vi sia intralcio con pedoni”. È solo allora che la bici va portata a mano. I ciclisti in pratica sono assimilati ai pedoni che attraversano e possono dunque pedalare sulle strisce; gli automobilisti sono ugualmente tenuti a rallentare concedendo la precedenza. Il ciclista, insomma, può stare sulla bici con diritto di precedenza al pari del pedone. Perlomeno quando non c’è alta densità di persone. Quando c’è la ciclabile, invece, è obbligatorio percorrerla? Situazione più complessa e argomento spesso oggetto di ricorsi a multe illegittime. Il fatto è che, ad oggi, la norma non tiene conto di due fattori: le pessime condizioni delle piste, specie per chi pedala con bici da corsa; l’incompatibilità della pratica sportiva con tante ciclabili pericolose per promiscuità, cattiva manutenzione, errata progettazione. L’obbligo comunque non sussiste per le ciclopedonali, ma eventualmente solo per le ciclabili, ovvero le piste riservate esclusivamente ai ciclisti. Domanda: ma ce ne sono? Va precisato che in caso di incidente non c’è nessuna esimente per l’automobilista né presunzione di colpa per il ciclista per il solo fatto che non fosse sulla ciclabile. Venendo a norme di più semplice interpretazione, mezzora dopo il tramonto è obbligatorio l’utilizzo di bretelle retroriflettenti o giubbotto ad alta visibilità. Quanto a luci e campanello, devono esserci sempre, anche di giorno. Lo smartphone o cellulare andrebbe posto, per la nostra sicurezza, nel taschino, ed estratto solo in caso di necessità, fermandosi prima. In ogni caso è consentito tenere un solo auricolare. Anche se a nostro avviso sempre meglio nessuno e pedalare concentrati.
* Avvocato e pubblicista, oltre a guidare lo Studio legale Balconi, con l'associazione Zerosbatti garantisce assistenza ai ciclisti in caso di incidente
PORTARE A 30 CHILOMETRI ORARI IL LIMTE DI VELOCITÀ NEI CENTRI URBANI È UNA PROPOSTA CHE ANCORA OGGI DIVIDE L’OPINIONE PUBBLICA.
MA DA OLBIA A LONDRA, CHI L’HA ADOTTATA, NE SPERIMENTA I BENEFICI: MENO TRAFFICO E INCIDENTI, TEMPI DI PERCORRENZA INVARIATI E ARIA PIÙ PULITA. QUALCHE EVIDENZA PER CAPIRE
Si sono sdraiati per terra, come strisce pedonali, per chiedere più città a 30 chilometri l’ora. È successo a Milano, Roma, Torino, Genova, Bologna per iniziativa del popolo della bici ma non solo, perché l’obiettivo è avere maggiore sicurezza per tutti, a partire da ciclisti e pedoni, e spazi urbani con una migliore qualità dell’aria perché non occupati solo da auto.
La riduzione della velocità da 50 a 30 chilometri non è una novità, visto che si tratta di un intervento urbanistico previsto già dal 1995. Ma finora era limitata a poche strade o in piccoli comuni, mentre adesso si discute di rallentare in gran parte della rete viaria delle città anche delle più grandi. A dare il la è stata Milano, dove in gennaio il consiglio comunale ha approvato un ordine del giorno che impegna la giunta a decidere interventi già a partire dal 2024. “È un atto di indirizzo politico che avevo condiviso con il sindaco Sala ed è stato approvato da tutti i consiglieri di maggioranza. Il prossimo passo è una delibera di giunta”, spiega Marco Mazzei, firmatario del documento e ciclo-attivista.
“Adesso c’è un dossier che prima non c’era – prosegue Mazzei –, il sindaco ha cominciato un percorso di condivisione con altre città europee come Parigi e Londra mentre altre grandi amministrazioni in Italia hanno manifestato il loro interesse: un gruppo di consiglieri della città di Roma, ad esempio, mi ha chiesto un incontro di approfondimento”. Il dibattito è aperto, un po’ ovunque. Olbia è stata la prima a istituire la Zona 30 nel 2021, ma solo dalle 22 alle 6 del mattino per ridurre l’inquinamento acustico. Bologna dovrebbe farlo dal prossimo giugno. Ci stanno pensando Genova e Salerno, Torino,
Pavia e tante altre città. Per diversi motivi. La velocità non è tutto, specialmente nelle città dove ormai è di fatto solo una pericolosa illusione. Secondo lo studio Global traffic scorecard (Gts), pubblicato ogni anno dalla società americana Inrix che misura il traffico in oltre mille città di cinquanta paesi, in Italia si va in media dai 14 chilometri l’ora di Palermo ai 24 di Milano passando dai 16 e dai 21 di Roma. Siamo già, quindi, ampiamente sotto i 30. Ma siamo un paese di motorizzati, con 665 auto ogni mille abitanti, superati in Europa solo dal Lussemburgo, secondo uno studio di Enea, e pensiamo sempre di fare prima sulle quattro ruote, anche se il 60% degli spostamenti abituali in città non supera i 5 chilometri.
Ridurre la velocità significa innanzitutto ridurre il numero delle vittime di incidenti stradali. Ogni anno in Italia sono 170mila e oltre il 73% avviene in città (dati Istat). A 30 chilometri orari lo spazio di frenata si riduce di circa la metà e l’impatto, quando avviene, è meno pericoloso. A Londra hanno anche le prove: secondo l’autorità locale per i trasporti che ha introdotto il limite di 30 chilometri nella zona centrale della città, le collisioni con ciclisti e pedoni sono diminuite del 36%, mentre quelle con morti o feriti gravi del 25%. L’obiettivo è portare a zero le vittime entro il 2041 (ora sono circa 4mila l’anno). La maggiore sicurezza si è vista già anche a Parigi e Bruxelles, dove il limite è stato introdotto nel 2021 ma i tempi di percorrenza sono rimasti gli stessi, per la tranquillità di chi teme un rallentamento della circolazione e di conseguenza delle attività nelle città.
IN CITTÀ GIÀ VIAGGIAMO CON MEDIE SPESSO INFERIORI AI 30 ORARI, EPPURE, NONOSTANTE LA MAGGIOR PARTE DEGLI SPOSTAMENTI NON SUPERINO I 5 KM PERCORSI, SI PENSA DI ARRIVARE PRIMA USANDO LA MACCHINA
Zona 30 significa anche un minore impatto ambientale. “A 30 chilometri orari il traffico diventa più fluido con minori frenate e accelerazioni e quindi con un minore inquinamento”, ha spiegato in diverse occasioni l’urbanista Matteo Dondé, convinto sostenitore delle città a velocità ridotta, che ricorda come la strada, tra carreggiata e parcheggi, è prevalentemente dedicata ad auto che per la gran parte del tempo stanno ferme o vengono usate da una sola persona per percorsi di pochi chilometri. Non si tratta quindi solo di ridurre la velocità ma di rendere le città più accoglienti per pedoni e ciclisti.
“C’è una forte correlazione fra Zona 30 e mobilità leggera,”, osserva Mazzei. “Nel momento in cui
avviciniamo la velocità dei veicoli a motore a quella dei veicoli leggeri la convivenza diventa possibile con interventi molto più semplici, veloci e meno costosi. Non dimentichiamo che uno dei motivi che frena l’uso della bicicletta in città è proprio la paura del traffico e di incidenti”. Tanto è vero che a Bruxelles dopo un anno di Zona 30 in città il numero di ciclisti è aumentato del 20%.
Siamo all’inizio di un grande cambiamento culturale. E a chi tenta di darne una lettura politica, basta ricordare che Olbia è diventata Zona 30 con una giunta di destra. All’inizio ci fu qualche lamentela. Adesso sono tutti contenti. Come potrebbero essere in tante altre città italiane.
CON I SINDACI DELLA BICICLETTA DELLA RETE BYCS ANCHE L’ITALIA
PROVA A SEGUIRE LE BEST PRACTICE DELLA MOBILITÀ SOSTENIBILE
EUROPEA, CERCANDO DI METTERE IN DIALOGO ISTITUZIONI LOCALI E SOCIETÀ CIVILE FAVORENDONE LA COMPRENSIONE RECIPROCA
Incentivare la mobilità sostenibile in Italia: l’esempio di BYCS e dei Sindaci della Bicicletta
Dal 2016, anno di nomina del primo bicycle mayor, la rete di Sindaci della bicicletta promossa dall’organizzazione no profit Bycs è andata progressivamente ampliandosi, costituendo di fatto un autorevole e vivace network in grado di incentivare la mobilità ciclabile. Basata ad Amsterdam, Bycs è nata con l’obiettivo di sensibilizzare e favorire, incoraggiando l’utilizzo delle due ruote, un cambiamento nelle modalità di spostamento delle comunità urbane. Una mission giunta anche in Italia.
Tre comuni, Firenze, Napoli e Roma, hanno deciso, in momenti diversi, di sposare questa causa, individuando una figura che, da “volto umano e voce della bicicletta in città”, potesse fungere da intermediario tra enti governativi e società civile, per intercettare le richieste e gli interessi della comunità, farsi promotore di idee e soluzioni atte a migliorare il panorama ciclabile locale, indurre sempre più persone a scegliere la bicicletta come mezzo di trasporto e, così facendo, stimolare un reale cambiamento della mobilità urbana.
Ad assolvere questo compito, finora, ci hanno pensato Jacopo Bardi a Firenze, Luca Simeone a Napoli e Francesco Iacorossi a Roma. Il primo, architetto, educatore e convinto sostenitore del turismo lento e responsabile, è stato eletto Sindaco della bicicletta a fine 2022 e, in queste vesti, si muoverà nel capoluogo toscano per far crescere il popolo del pedale e portare presso le istituzioni locali argomenti validi per innescare interventi concreti a favore dei ciclisti fiorentini.
Il secondo, direttore del Napoli bike festival e amante del ciclismo in tutte le sue sfaccettature, è stato nominato a gennaio. Nonostante il suo recente insediamento, dall’alto dell’esperienza ventennale maturata nel settore, ha subito individuato le criticità della mobilità ciclabile nel capoluogo partenopeo (pericolosità delle strade, livelli d’inquinamento atmosferico, mancanza d’infrastrutture adeguate) e le fasce di popolazione (pendolari urbani, bambini, abitanti meno abbienti delle periferie) su cui concentrare i primi interventi: operazioni che sono
state accompagnate da mobilitazioni e manifestazioni per chiedere, tra le altre, maggiore sicurezza sulle strade e sulle piste ciclabili, limitazione della velocità dei veicoli in città a 30 km/h e il ripristino della Ztl di Piazza Dante.
Oltre a ciò, per incoraggiare l’utilizzo della bicicletta tra i più giovani nel tragitto casa-scuola, Simeone ha anche reso nota la volontà di predisporre delle “strade scolastiche” sulla falsariga di quanto già fatto a Roma dal collega Iacorossi. Proprio quest’ultimo, ex rugbista, project manager della società Roma Servizi per la mobilità e primo cittadino della Bicicletta della capitale dal 2018, già nel 2021 ha fatto predisporre la messa in sicurezza e la pedonalizzazione di alcune strade nei pressi di centri scolastici in orari chiave, una misura pensata per avvicinare le nuove generazioni all’utilizzo della bicicletta al pari di progetti quali Desire (ideato per sensibilizzare i ragazzi su temi cardine quali la mobilità sostenibile e la sicurezza stradale) e Bicycle heroes (organizzato per aiutare i bambini tra i 10 e i 15 anni a prender consapevolezza dello spazio urbano che li circonda e dell’importanza della mobilità attiva).
Iacorossi, nei suoi anni da Sindaco della bicicletta, non si è limitato a rivolgersi ai più piccoli ma ha preso più in generale atto delle problematiche in essere a Roma e, mosso dalla volontà di invertire il trend e dar vita ad un cambiamento culturale e strutturale, ha coinvolto la città in alcuni progetti di respiro europeo. Su tutti Handshake (imperniato sulla collaborazione con Amsterdam e altre città che hanno fatto o vogliono fare della ciclabilità urbana un motivo di vanto) e Pasta (incentrato sulla promozione della mobilità attiva in quanto modo alternativo e innovativo di svolgere attività fisica nel quotidiano) che, in quest’ottica, hanno fornito spunti e input necessari per applicare, successivamente, nuove soluzioni (vedi, ad esempio, lo spostamento delle linee di parcheggio) e, in questo modo, mettere a disposizione dei cittadini negli anni una rete ciclabile non solo più estesa e capillare ma anche più sicura.
Dal disegno alla produzione, fino alla distribuzione in negozio, in Italia e all’estero. Ecco chi sono e dove si trovano gli artigiani italiani delle biciclette cargo. Una fitta rete di realtà in grado di progettare risposte alle diverse esigenze dell’utente relativamente al trasporto di persone, animali e cose. Questa mappa non vuole essere altro che un inziale e provvisorio censimento di piccole e medie aziende
Made in Italy che BIKE ha raccolto con l’aiuto di Riccardo Tavernari, di Irena Bike. Laboratori e officine che guardano al futuro per creare opportunità di trasporto sicuramente green, ma soprattutto innovative e utili a tutti. Per ulteriori segnalazioni scrivete a info@bikechannel.it e marziapapagna@ gmail.com.
Rinaldi Telai - Tirano (So) - https://rinalditelai.it/
Bicicapace - Milano - https://www.bicicapace.com/
Trikego - Arese (Mi) - https://trikego.com/it/
Veloe - Magenta (Mi) - https://veloe.eu/
Brezza - Vigevano (Pv) - https://www.ebike-brezza.it/it/
Cargobike.it - Crema (Cr) - http://www.catalogo.cargobikesystem.it/
Workbikegs - Bagnolo Cremasco (Cr) - https://www.workbikegs.com/
Pandabike - Treviso - https://www.panda-bike.com/
Sum Solutions - Mestre (Ve) - https://www.sumsolutions.it/
Tripla - Vicenza - http://tripla.bike/
Ronda Bike - Padova https://www.ronda.bike/bicicletta-elettrica-ronda-e-cargo/
Officine Recycle - Soliera (Mo) - https://officinerecycle.com/
Irenabike - Modena - https://www.irenabike.it/
Grazilla - Firenze - https://www.fabriga.it/it
Bcargo - Cerbaia (Fi) -https://www.bcargo.bike/
Trisbike - Galatina (Le) - https://www.trisbike.com/it/
RONDA
ULTIMA PUNTATA DEL VIAGGIO DI BIKE ALLA SCOPERTA
DELL’UNIVERSO ITALIANO DI PRODUTTORI DI CARGO BIKE:
DA SONDRIO AL SALENTO, TRA SOLUZIONI ARTIGIANALI E INNOVAZIONI CHE CONQUISTANO MERCATI VICINI E LONTANI
Una crescita lenta, ma consistente. In Italia la cargo bike è spesso sinonimo di delivery, ma negli ultimi anni anche da queste parti la visione comincia a diventare europea. Secondo l’indagine condotta da BIKE tra i produttori delle varie regioni italiane, la tendenza è in salita: il 92% dei produttori conferma la crescita delle richieste negli ultimi due anni. Al momento, seppur molto più contenuta rispetto al resto d’Europa, la produzione italiana conta più di 5mila pezzi all’anno venduti in maniera equa tra estero e Italia. Sulla tipologia d’uso, la richiesta arriva sia per la vita di tutti i giorni sia per il trasporto di prodotti. Più rari i casi di sharing in città, per lo più progetti in fase sperimentale. I laboratori sono diffusi prevalentemente nelle regioni settentrionali, a eccezione della Puglia. Lo mostra bene la mappa che precede questo articolo (a pagina 90-91): con Milano in testa, si fanno spazio la provincia di Modena, Padova, Pavia, Firenze, Crema e Cremona, Venezia e Sondrio. In fondo al tacco, Galatina, in provincia di Lecce.
Dal Salento riprende il viaggio di BIKE alla scoperta dell’universo cargo. Trisbike è una bici agile e compatta, con tre ruote basculanti e un design che richiama l’essenzialità della bicicletta tradizionale. L’attuale modello, in vendita nelle versioni muscolare ed e-bike, è il risultato di cinque anni di ricerca e sviluppo condotti da Alessia e Antonio, gli ideatori. Grazie al sistema di basculamento brevettato, Trisbike coniuga una sensazione di guida e una maneggevolezza del tutto simili a una bicicletta tradizionale. Funzioni smart come l’Easy Park e l’Easy Stop permettono di fermarsi e ripartire al semafo-
ro senza poggiare i piedi per terra e di parcheggiare Trisbike senza l’uso del cavalletto. Equipaggiata per trasportare anteriormente 50 kg, ha la peculiarità di mantenere il cassone e la piattaforma di carico paralleli al terreno anche in curva.
Tra le cargo Made in Italy più richieste all’estero c’è Bicicapace. Portapacchi e borsa bassi, una lunghezza contenuta entro i due metri e una coda posteriore con un cestello in grado di portare a spasso fino a tre bambini: è la fortunata Justlong, il modello di utility bike nato cinque anni fa e che ha portato il marchio milanese nelle strade – e nei garage – del Belgio e della Germania. Ma è molto probabile incontrarla anche a un semaforo in corso Buenos Aires, a Milano, dove Bicicapace vende il numero più alto di bici muscolari. Più recente la versione Pelican con il carico anteriore che arriva a sostenere 150 litri. Segni particolari: funzionalità e dimensioni contenute per consentire di pedalare facilmente anche a chi ha meno praticità con le cargo; in più il freno e il cambio nel mozzo sono fondamentali in termini di praticità e longevità.
“Ottimizzare la lunghezza e pensare a una modalità di carico integrata è stata la soluzione per affrontare le strade delle nostre città, ben diverse da quelle del Nord Europa”, spiega Francesco Lombardi, fondatore di Bicicapace. “È vero, le famiglie milanesi iniziano a mostrare maggiore interesse per questa tipologia di trasporto, ma bisogna fare cultura della bicicletta in Italia e creare iniziative reali a supporto delle famiglie, per far ricadere la scelta sulla bici invece che sullo scooter”.
A Tirano, quasi al confine con la Svizzera, c’è l'innovativa soluzione di Rinaldi Telai chiamata All mobility, studiata per bambini e ragazzi con disabilità fisiche. Carattere sportivo, design moderno, con due ruote anteriori e un sistema a doppio braccio indipendente per sfidare ogni tipologia di terreno, pavé o rotaie del tram. Anche qui la personalizza-
zione è garanzia di artigianalità. Vale e Gig sono le tipologie di cargobike disponibili. Da questo concetto di mobilità per tutti nasce il desiderio di Rinaldi Telai di progettare nuovi modelli per una mobilità libera e sicura da diffondere oltre i confini italiani. Il loro laboratorio, in provincia di Sondrio, è un continuo work in progress.
DIECI STUDENTI DI UN’ISTITUTO TECNICO IN PROVINCIA DI PIACENZA HANNO IDEATO THUNDERVOLT, BICICLETTA CHE PRODUCE ELETTRICITÀ SPINGENDO SUI PEDALI.
FINALISTI NAZIONALI ALLA FIRST LEGO LEAGUE CHALLENGE, SI ISPIRANO AL PRINCIPIO IN USO NELLE METRO DI LONDRA E TOKYO
Dalla pressione meccanica, l’energia elettrica. È l’idea alla base del prototipo, funzionante, di bicicletta dotata di sensori piezolettrici ideato da dieci studenti del Polo Scolastico Volta di Borgonovo di Val Tidone, provincia di Piacenza.
Il mezzo, a cui hanno lavorato cinque ragazze e cinque ragazzi (Andrei, Asia, Cristian, Damaris, Debora, Elena, Filippo, Leonardo, Pietro e Raimon), è in grado di produrre energia per accendere 37 led luminosi attraverso sensori piezoelettrici applicati lungo la circonferenza della ruota posteriore.
Il principio di fondo dell’intero progetto – che ha conquistato la finale nazionale della First Lego League Challenge (chiudendo al quinto posto) – non è quello della dinamo, che si alimenta col semplice movimento, ma è, appunto, la sola pressione, la forza di gravità dunque, che fa nascere la scintilla.
Il sistema utilizzato è infatti quello della “pressione elettrica” ovvero la capacità di alcuni materiali cristallini di creare una differenza di potenziale elettrico se sottoposti a stress meccanico. Già oggi i pavimenti piezoelettrici trovano applicazione, per esempio, nelle metropolitane, Londra e Tokyo in testa, dove migliaia di persone quotidianamente
sottopongono a stress meccanico queste particolari pavimentazioni grazie al loro semplice passaggio, producendo un quantitativo di energia di circa 1,400 kW al giorno, in grado di soddisfare il fabbisogno energetico dell’illuminazione a led e degli strumenti elettronici delle stazioni.
Gli studenti, che per la gara hanno scelto il nome ThunderVolt, hanno pensato di applicare lo stesso principio a un veicolo in movimento, portando, come detto, il prototipo di una bicicletta. Ma le applicazioni potrebbero estendersi ad altri mezzi di trasporto, partendo dai treni, con la possibilità di produrre quantità significative di energia elettrica. Al momento rimane solo un prototipo, per quanto interessante, alimentato da una bella idea soprattutto in chiave green e sostenibile. Il problema è che i sensori piezoelettrici producono energia a ogni pressione o stress ma smettono di produrne quando questa termina. La strada del futuro sarà dunque quella di capire in che modo questo tipo di produzione di energia elettrica potrà diventare più consistente. Sarà applicabile anche alle biciclette?
Vedremo. Intanto c’è chi muove i primi passi, anzi, colpi di pedale.
L’UNIONE EUROPEA HA VARATO UNA NUOVA STRATEGIA CICLISTICA
CON L’OBIETTIVO DI RADDOPPIARE I CHILOMETRI PERCORSI ENTRO
IL 2030, INVESTIRE NELLE CICLABILI E SOSTENERE LA PRODUZIONE DI BICI ED E-BIKE. UNA SCELTA CHE, OLTRE A POTENZIARE
IL MADE IN UE, OFFRIRÀ NUOVE OPPORTUNITÀ AL MEZZO MILIONE
DI LAVORATORI DELL’AUTOMOTIVE CHE PRESTO SARANNO IN ESUBERO
Si scrive risoluzione (storica), si legge rivoluzione (della mobilità). Diciotto punti per una “cycling strategy” con obiettivi ambiziosi. Al primo, è stata imposta anche una scadenza: raddoppiare il numero di chilometri percorsi in Europa entro il 2030. Un piano articolato, approvato dal Parlamento europeo per “sviluppare un'apposita strategia europea per la bicicletta”. Con le due ruote che vanno riconosciute “come un mezzo di trasporto a pieno titolo, sostenibile e produttivo”. Agli Stati Membri viene chiesto di “aumentare in modo significativo gli investimenti nella costruzione di infrastrutture ciclabili”, con l’invito a “integrare sistemi di biciclette elettriche e di bike sharing a prezzi accessibili nelle reti dei loro piani di mobilità” e, concetto sempre più diffuso, “a considerare la bici come una soluzione vitale dell'ultimo miglio nei nodi urbani”. Ma oltre a linee guida, indicazioni e suggerimenti, il documento affronta anche aspetti economici e finanziari. E così il Parlamento invita la Commissione a “sostenere la produzione di biciclette e componenti Made in Europe, colmando il divario di investimenti e stimolando il reshoring della catena di approvvigionamento, creando poli ciclistici e potenziando la formazione professionale legata all'industria”. In sostanza: riportare a casa la produzione. Un trend che in realtà è già in atto e proprio in Italia si assiste al rientro dei grandi marchi, seguendo la strada dell’innovazione. Sono vari gli esempi, come quello della Bianchi, storico produttore di bici di Treviglio, con il suo piano di rigene-
razione urbana e un investimento da 30 milioni di euro per realizzare un nuovo impianto produttivo e quadruplicare la produzione (da 250-300 bici al giorno a 1.000-1.500 pezzi) e incrementare il numero di dipendenti, portandolo a 250. Poi c’è chi, come Vittoria, azienda leader nella produzione degli pneumatici per biciclette, con la costruzione nei pressi di Bergamo del suo Bicycle tyre innovation centre. Oppure 3T, che già nel 2018 aveva deciso di portare dall’Asia in Italia la produzione dei suoi telai in carbonio.
Esempi che trovano ottime sponde anche in altre nazioni, per un fenomeno – il reshoring – che affonda le radici in contesti molto concreti e pratici. Innanzitutto la crisi delle catene di fornitura mondiali: l'attesa per la componentistica della bicicletta, nel 2022, era arrivata fino a 6 mesi. Si è poi registrato un aumento della domanda mondiale di bici e il commercio con l'Asia è apparso subito meno proficuo e redditizio: In un decennio, si è registrato un +170% nell'incremento dei salari in Cina nel settore manifatturiero e il costo per l’invio di container dalla Cina verso l’Italia ha registrato aumenti fino al 188%. Il percorso, pertanto, è stato inevitabilmente quello di riavvicinarsi a casa e ridurre l’import. Stando alle stime di Conebi, la Confederazione dell'industria europea della bicicletta, la previsione è di arrivare a 6 miliardi di euro di componenti prodotti in Europa nel 2025 e 30 milioni di bici ed e-bike vendute nel 2030.
6 MILIARDI DI EURO DI COMPONENTI
E VENDUTE NEL 2030 30 MILIONI
DI MUSCOLARI ED ELETTRICHE
/Bianchi investe 30 milioni di euro a Treviglio per un impianto produttivo che quadruplicherà la produzione e incrementerà il numero di dipendenti/
/Il centro innovativo di Vittoria per la produzione di pneumatici da biciclette nei pressi di Bergamo/
Per confermare le stime, però, sono necessarie agevolazioni e incentivi. Un aspetto affrontato nella stessa risoluzione del Parlamento Europeo, che “incoraggia gli Stati membri a ridurre le aliquote Iva per la fornitura, il noleggio e la riparazione di biciclette ed e-bike”. In Europa, un valido esempio è quello del Portogallo, che a novembre ha tagliato drasticamente l’Iva sulle biciclette dal 23 al 6%. Sul podio dei paesi leader della produzione in Europa – assieme a Italia e Germania –, il Portogallo punta sul fare rete e attrarre nuove imprese con Portugal bike value, progetto che si concretizza attraverso l'integrazione di imprese con poli tecnologici, università ed enti locali e ha contribuito incrementare, in soli cinque anni, la forza lavoro del 65%.
Numeri che sono destinati inesorabilmente a crescere, a tal punto che il mercato delle due ruote potrebbe “assorbire” quello delle auto. Clepa, l'Associazione europea dei fornitori automobilistici, ha incaricato PwC Strategy& di valutare l'impatto
di tre diversi scenari politici del Green deal tra i fornitori automobilistici in tutta Europa nel periodo 2020-2040. Secondo lo studio, si prevede che 501mila posti di lavoro di fornitori di automobili nella produzione di componenti per motori a combustione interna diventeranno obsoleti se la tecnologia verrà gradualmente eliminata entro il 2035. Di quel mezzo milione di posti di lavoro, molto probabilmente il 70% (359mila) andrà perso in soli cinque anni dal 2030 al 2035, evidenziando il periodo di tempo limitato per gestire i notevoli impatti sociali ed economici. Il paracadute per i lavoratori dell’automotive potrebbe essere proprio l’industria della bici, in particolare il mondo delle e-bike: l’aumento della richiesta di biciclette a pedalata assistita in Europa potrebbe infatti permettere a numerosi lavoratori, che hanno già maturato esperienza all’interno delle case automobilistiche, di ‘ricollocarsi’. Perché per un futuro a due ruote, ci vuole strategia.
PER CONFERMARE LE STIME DI CRESCITA DELL’INDUSTRIA SERVONO AGEVOLAZIONI E INCENTIVI. ECCO PERCHÉ
SU BIKE-ROOM TROVI L’ULTIMA BICLETTA DA STRADA CON CUI HA CORSO UNA LEGGENDA COME NIBALI. E PUOI ACQUISTARLA. MA È SOLO UNO DEI 90MILA PEZZI OFFERTI DAL “FARFETCH DELLA BICI”, UN E-COMMERCE DA 2,4 MILIONI DI FATTURATO (IN CRESCITA)
Hanno aperto il 2023 con l’ultima bici usata da Vincenzo Nibali al Giro di Lombardia: sette pezzi unici realizzati da Wilier Triestina. E ormai hanno una vetrina permanente dedicata alle due ruote dei professionisti, quelle dei team, che sono ricercate in tutto il mondo. “Bike-Room è pronto per diventare il marketplace di riferimento per l’alta gamma, il Farfetch della bici”, dice Matteo Maruzzi, 31 anni, ceo e co-fondatore della startup sul mercato dal 2020.
Farfetch è una piattaforma fondata da un portoghese a Londra per vendere online il lusso. Per il team di Bike-Room (con Maruzzi ci sono Denis Moretti, Simone Matrone e Piergiuseppe Isonni) la bici è come la moda e il design: un’eccellenza del Made in Italy che va sostenuta e portata nel mondo, dandole quello che ancora le manca: la tecnologia digitale. “Le condizioni di mercato sono cambiate e finalmente possiamo tornare alla nostra visione iniziale: una piattaforma tecnologica che metta in comunicazione produttori, distributori e negozianti con il pubblico di tutto il mondo che cerca la bici italiana che, a differenza della moda, è mal distribuita”.
Bike-Room nasce in Brianza, una delle culle italiane del ciclismo, dove vivono Maruzzi e l’amico Denis Moretti, che hanno già creato un’impresa per lanciare un brand premium di calzature Mande in Italy. Bazzicando il mondo della moda e delle piattaforme e-commerce, si rendono presto conto che non c’è nulla di simile per la bici. Ne parlano con Cristiano De Rosa, un marchio e una dinastia dell’agonismo su due ruote legato a miti come
Francesco Moser ed Eddy Merckx, che li incoraggia. “Cominciamo nel 2020 e dopo tre mesi di test scoppia il Covid: la domanda era altissima e i magazzini vuoti”, ricorda Maruzzi. “Qual era l’unico prodotto disponibile? L’usato. Quindi o pivotiamo (in gergo significa cambiare direzione, ndr) o moriamo. E quindi cominciamo a vendere bici usate, ma ricondizionate e certificate, sempre al massimo livello: basti dire che il responsabile della certificazione è Flaviano Frugeri, meccanico della Nazionale ciclistica”.
La bici di lusso online funziona. “Più costa, più la vendiamo velocemente, anche perché la nostra promessa è chiara: in due giorni spediamo a New York in una scatola appositamente costruita”. E i numeri lo confermano: nel 2022 il fatturato è cresciuto del 500% rispetto all’anno precedente, arrivando a 2,4 milioni, con vendite in 43 Paesi, “scontrino” medio 4.500 euro.
“Però non vogliamo essere venditori di biciclette, siamo una tech company, i miei soci sono tutti sviluppatori”, precisa Maruzzi. “Il nostro obiettivo è aiutare tutti gli operatori di un mercato ancora poco digitalizzato. Abbiamo creato noi un database di 90mila biciclette, così chi entra nella piattaforma trova già pronto la scheda prodotto, e stiamo lavorando per sviluppare un’app che permetta di fotografare e caricare la bici online in modo uniforme. Abbiamo fatto un gestionale per la bicicletta, che non esisteva, e che permette di fare business intelligence”. E da tech company adesso Bike-Room ha in programma un round milionario che le permetterà di andare sul mercato europeo.
PMI SPECIALIZZATA NELLA MOBILITÀ SOSTENIBILE
E NELLA ROBOTICA COLLABORATIVA, E-NOVIA STA
CONTRIBUENDO A FARE DI BICI, E-BIKE ED E-CARGO
PIATTAFORME DI SPERIMENTAZIONE DELLE SOLUZIONI
TECNOLOGICAMENTE PIÙ AVANZATE E PIONIERISTICHE
Perché le biciclette non possono avere gli stessi livelli di sicurezza e comfort di altri veicoli? Sospensioni intelligenti, ad esempio, o Abs come sulle auto? Se si applica la tecnologia, la risposta è: possono. E infatti e-Novia, pmi innovativa che dal 2015 lavora sulla mobilità sostenibile e sulla robotica collaborativa, con le sue soluzioni sta cambiando il concetto di sicurezza sulle due ruote, al punto da aver attirato l’attenzione di colossi internazionali come la giapponese Shimano.
Le biciclette diventeranno sempre più intelligenti, come tutta la mobilità. “Siamo nel pieno di una rivoluzione, abilitata da alcune innovazioni tecnologiche, e i veicoli saranno sempre di più piattaforme intelligenti e connesse”, spiega Vincenzo Russi, co-founder e ceo di e-Novia, che da fine 2022 è quotata in Borsa. “In otto anni di attività il nostro gruppo industriale ha sviluppato soluzioni che, integrando tecnologie elettroniche e meccaniche con l’intelligenza artificiale, hanno dato vita a nuovi paradigmi di utilizzo dei prodotti di mobilità”.
Quali sono questi nuovi paradigmi per la mobilità leggera, sostenibile e sicura? Le sospensioni miniaturizzate e adattive sviluppate da HiRide per le gravel, ad esempio: diventano parte del telaio e regolano la propria rigidità in base alle condizioni del terreno e i movimenti della bici. Insomma, raccolgono dati e li elaborano per rendere la pedalata più confortevole e sicura. “Nel campo della mobilità leggera si stanno riproponendo trend già noti nell’auto, dove il comfort è diventato una caratteristica sempre più ricercata in tutti i seg-
menti. La stessa cosa sta accadendo ora nei veicoli leggeri non inquinanti, bici in primis”, osserva Giulio Ferretti, general manager di HiRide. “I veicoli rigidi saranno sempre più un'eccezione e – almeno nelle fasce medio-alte di prodotto – vedremo l'affermarsi di sistemi innovativi con controllo elettronico”.
In casa e-Novia è nata anche Blubrake, startup che ha messo a punto il primo Abs per e-bike ed e-cargo bike, adottato da Shimano. “Il sistema nasce per rispondere alla forte domanda, sia da parte di chi pedala sia dei costruttori di e-bike, di maggiore sicurezza, che nel nostro caso si traduce in prevenzione di condizioni pericolose e incidenti”, dice Fabio Todeschini, ceo di Blubrake: “Prevenendo il bloccaggio della ruota anteriore, il sollevamento di quella posteriore e migliorando la stabilità e manovrabilità dei veicoli elettrici, l’Abs rende questi mezzi più sicuri e facili da usare, favorendone la diffusione”.
Si chiama deep tech l’ambito in cui opera e-Novia, la “tecnologia profonda” che arriva dalla ricerca e viene poi portata nel business. “Abbiamo applicato i sistemi di guida autonoma al settore dei veicoli professionali, come i trattori o le spazzatrici stradali, dando vita alle soluzioni pre-validate di robotica veicolare proposte da e-Shock”, conclude Russi. “E infine abbiamo disegnato nuovi modi per mettere in movimento le persone e le merci con Yape, il drone che effettua consegne di ultimo miglio efficienti e a basso impatto ambientale”. L’intelligenza degli algoritmi è in continuo movimento.
Dall’innovazione tecnologica alle nuove frontiere della mobilità sostenibile. È il passo che cinque anni fa ha deciso di compiere Datamatic, brand con cinquant’anni di storia nel mondo dell’informatica, lanciando Vivobike, divisione dedicata alla commercializzazione di e-bike e monopattini elettrici.
Dietro alle idee e ai progetti di Vivobike c’è Ignazio Catania, testa e cuore della divisione che sviluppa e gestisce: “Come sales marketing manager ho proposto all’azienda di creare Vivobike cinque anni fa. Il mercato era all’inizio. Dopo uno studio approfondito, abbiamo deciso di fare un investimento molto preciso”.
Attenzione, pragmatismo e visione sono le parole chiave che ne accompagnano l’operato: “Proponiamo solo mezzi elettrici”, sottolinea, “a motore e non muscolari; il primo segmento è quello delle e-bike e il secondo quello dei monopattini”. Il core business è pensato e sviluppato per l’Italia. Datamatic ha un giro d’affari intorno ai 500 milioni l’anno, mentre Vivobike ha chiuso il 2022 in netto miglioramento con un fatturato di circa dieci milioni.
Sharing o vendita? È il dilemma di molte delle aziende che si occupano della commercializzazione dei mezzi elettrici: “Il nostro focus è il consumatore finale”, prosegue Catania, “noi pensiamo e realiz-
ziamo i nostri prodotti per ogni tipologia di cliente. Abbiamo dei contatti nel mondo dello sharing, che stiamo valutando, ma al momento la nostra priorità è offrire una soluzione definitiva ai clienti”.
Vivobike è molto legata all’Italia, non solo perché l’ha eletta a primo mercato in cui operare, ma anche – e soprattutto – per avere scelto di assemblare interamente i mezzi in loco. Certo, i pezzi prodotti per l’assemblaggio non sono tutti Made in Italy, ma è una tendenza del mercato: “Tutto quello che possiamo fare in casa, lo facciamo. I costi si alzano, ma è un modo per avere il pieno controllo sul prodotto con l’obiettivo di migliorare la qualità. Se è vero che ad oggi molte parti meccaniche ed elettroniche sono di provenienza cinese, stiamo comunque valutando di aumentare quelle Made in Europe”, assicura Catania. La storia di Vivobike è tutta italiana, è vero, ma la sua nascita – in qualche modo – somiglia a quella di una delle tante aziende tech californiane: “Vivobike nasce a Comerio, vicino a Varese, nel mio garage; penso al prodotto, dall’inizio fino ai nostri clienti finali, prestando molta attenzione ai dettagli e alle esigenze che ognuno potrebbe avere, rendendolo un vero mezzo di trasporto a cui non si può rinunciare”.
verso i clienti e continuare a crescere”, conclude Catania. “Io mi aspetto un aumento del fatturato del 20%, anche grazie al mercato elettrico che è in forte espansione. Vivobike per noi non è solo un brand di prodotti, ma uno stile di innovazione, di pensiero, di visione”. CICLO ECONOMICO
/Ignazio Catania con alcuni modelli di Vivobike/
Dopo il grande successo ottenuto nelle 6 tappe del 2022, continua anche nel 2023, con ben 9 tappe, il viaggio di Forbes dedicato alla scoperta delle PMI, spina dorsale dell’Italia che cresce.
Un’occasione per confrontarsi su temi quali sostenibilità, innovazione, digitalizzazione, internazionalizzazione, welfare, accesso al credito e per creare relazioni professionali.
Il progetto è rivolto a imprenditori e manager che gestiscono PMI del territorio e alle grandi aziende che vogliono mettersi in contatto con loro.
STORIA DI BOOKDEALER, PIATTAFORMA DI E-COMMERCE
NATA A TORINO PUNTANDO SU CONSEGNE DI PROSSIMITÀ
SOSTENIBILI IN BICICLETTA. UN'IDEA DI QUATTRO AMICI
CHE HA DESTATO L'ATTENZIONE DEI GIGANTI DEL WEB
I libri arrivano a casa in bicicletta. È la scelta di sostenibilità di un progetto di e-commerce nato per aiutare le librerie indipendenti, quelle strette fra i grandi gruppi del settore e i giganti digitali come Amazon che quasi trent’anni fa nacque proprio per vendere libri. Si chiama Bookdealer la piattaforma creata da Leonardo Taiuti con due amici di sempre, due compagni di scuola: Daniele Regi e Massimiliano Innocenti. Tre quasi quarantenni ai quali si è poi unito Mattia Garavaglia, 35 anni, libraio a Torino, che è stato il primo a salire in sella per consegnare un libro diventando anche un caso di studio di Google, che l’ha ribattezzato The Bicycling Bookseller.
Leonardo fa il traduttore, come la moglie, e dal 2017 è anche editore con BlackCoffee, etichetta specializzata in testi nordamericani. Daniele è un avvocato e Massimiliano fa l’imprenditore nel settore dei servizi. L’idea di Bookdealer prende forma durante la pandemia del 2020. “In lockdown le librerie dovevano stare aperte, ma non avevano clienti”, ricorda Leonardo. “Quindi dovevano ingegnarsi per raggiungerli. Quelle che avevano una buona base potevano ricevere gli ordini via whatsapp o sui canali social. Per tutte le altre o quelle che non potevano puntare più di tanto sul pubblico di quartiere era un disastro. Cominciamo così a pensare qualcosa che potesse aiutare e aggregare
le piccole librerie indipendenti”.
Nasce così Bookdealer, che si presentata come “alternativa etica” ad Amazon. Che cosa vuol dire? “Il nostro obiettivo è fornire con la nostra piattaforma un servizio equiparabile a quello di Amazon per costi e velocità, aggiungendo il valore di una scelta sostenibile per il commercio di prossimità e per l’ambiente. La bicicletta diventa così una soluzione per consegne a emissioni zero ma anche per mantenere un rapporto diretto fra libraio e cliente, come se fosse dietro il bancone del suo negozio”.
La risposta è stata superiore alle aspettative: Bookdealer ha cominciato con 120 librerie iscritte, oggi sono 710 con 56mila utenti registrati di cui l’89% ha comprato almeno un titolo. “In due anni e mezzo abbiamo venduto 110mila libri, creando un indotto per le librerie di circa un milione e mezzo di euro”, precisa con orgoglio Leonardo, che guida un team di otto persone. “Chi ha usato il servizio bene ha visto crescere il fatturato anche del 10%”. I lettori non pagano nulla per la consegna, le librerie una percentuale su ogni ordine. E il 70 per cento delle consegne viene fatto su due ruote. “Non è un obbligo per le librerie, ma abbiamo spinto questa modalità che nessun corriere può offrire”.
GLI IDEATORI SONO UN VENDITORE DI LIBRI, UN TRADUTTORE, UN AVVOCATO E UN IMPRENDITORE.
ALL'INIZIO ERANO 120 LE LIBRERIE ISCRITTE, ORA SONO 710 PER OLTRE 50 MILA UTENTI ATTIVI
“Io recapito tutti i libri a piedi o in bici: questo conviene a me, ed è sostenibile. Dovessi fare le consegne in auto mi danneggerei, non starei nei costi”, dice Matteo Garavaglia della libreria del Golem di Torino. “Durante la pandemia andava in giro con la mascherina in bicicletta ed è stato il primo a ‘istituzionalizzare’ questo sistema di consegna”, ricorda Taiuti. “Da lui è partita l’idea di adottarlo, dove e quando le distanze lo permettono, anche per Bookdealer. Se lo fa lui e attira persino l’attenzione di Google, perché non farne la nostra principale modalità di consegna, il nostro tratto distintivo?”. E così i libri hanno cominciato a viaggiare su due ruote.
TREVIGIANO, APPASIONATO DI SPORT E AMATORE ROBERTO BRAGOTTO È FOTOGRAFO
E VIDEOMAKER CHE AMA LE SFIDE ALL’ARIA APERTA
Sportivo a tutto tondo e alla costante ricerca del punto di fuga. Roberto Bragotto, nato ad Asolo, cittadina in provincia di Treviso, si avvicina al mondo delle due ruote per una necessità fisica: dopo aver subito cinque operazioni alle ginocchia, infatti, trova nel ciclismo l’unica disciplina utile alla sua riabilitazione. Un percorso faticoso ma allo stesso tempo intrigante. È così, infatti, che scopre così quel senso di libertà e introspezione che solo una pedalata sa trasmettere.
La bicicletta è per lui strumento in grado di esaltare un’altra sua grande passione, quella di fotografo, che poi è anche la sua professione. Una forma d’arte che, grazie al ciclismo, stringe ulteriormente quel connubio magico e delicato tra esperienze all’aria aperta e sport. È così che Bragotto si ritrova sempre più spesso immerso nel tentativo di ritrarre ciclisti, scatti in cerca della perfezione e dell’emozione che trasmette la fotografia.
Questo approccio si riverbera fino sui suoi profili social, Youtube in particolare, dove Roby, con il suo canale, pubblica contenuti che spaziano tra le sue tante passioni, dal ciclismo allo snowboard passando per i motori, sempre mostrando la parte più autentica dello sport en plein air e trasmettendo la propria sensibilità, ponendosi ogni volta nuove sfide.
Anni di collaborazioni con diversi brand lo hanno portato in contatto, tra gli altri, anche con lo storico brand locale Wilier Triestina: accolto come fosse in famiglia, a due passi da casa, si rivela occasione unica per esprimere la bellezza di un territorio, oltre che possibilità esclusiva per un amatore di continuare a cioltivare la sua passione. Sono esperienze come questa, del resto, che consentono a Bragotto di affinare l’occhio rendendolo sempre più esperto e attento a ogni dettaglio che gira nel mondo delle bici.
Grazie alla collaborazione con Oakley il fotografo veneto trova uno stimolo ulteriore, che lo porta a fare snowboard con i piloti di MotoGp e a pedalare in compagnia di campioni del ciclismo come Daniele Bennati e Marco Aurelio Fontana. Amabassador e fotografo del marchio californiano, qui riesce ad allargare ulteriormente i suoi orizzonti lavorativi e personali, continuando a costruire una comunity di professionisti e atleti di diversi sport.
Piani per il prossimo futuro? In bici Bragotto vorrebbe raggiungere luoghi unici per scatti magici, situazioni dove raccontare gioie e drammi, con lo sguardo sempre rivolto avanti, alla linea di un orizzonte che gli piace immaginare vicino e luminoso.
STRAORDINARIAMENTE INCLUSIVO, IL TANDEM È UN MEZZO UNICO CHE CONSENTE A CHIUNQUE DI FARE SPORT, COME DIMOSTRANO DUE STORIE NATE DALL’ESPERIENZA DELLA CICLOFFICINA NASCOSTA
Due ruote moltiplicate per due. E forse anche di più. Facendo squadra e valorizzando l’inclusività. Il tandem è un mezzo straordinario, capace di rendere la bicicletta esperienza che unisce. La formula è la condivisione, chilometro dopo chilometro. Non ci sono solo fatica e divertimento, gambe che girano e consapevolezza di muoversi con le proprie energie, senza inquinare, ma molto altro ancora. Lo capiamo bene un sabato soleggiato di febbraio quando percorriamo il Naviglio Grande da Milano in direzione Trezzano per incontrare delle persone speciali, tra cui Giusi Parisi e Davide Valacchi, entrambi tandemisti, entrambi non vedenti. Il pretesto è un pranzo al volo prima della ripartenza: Davide, che di mestiere fa lo psicologo, sta attraversando la Lombardia con Diego per far conoscere la patologia Smith Magenis nel progetto di ricerca Oltre l’invisibile.
“Il tandem è l’unico mezzo, e sport, in cui posso dare un contributo attivo – dice Davide – sentendomi parte integrante dello spostamento. In più si pedala all’aperto: così il vuoto lasciato dalla mancanza della vista viene riempito”. I quattro pedali per Davide sono il regalo ricevuto dopo una malattia, da adolescente, e da allora non li ha più abbandonati rendendoli protagonisti della sua vita. Dopo il viaggio dall’Italia al Kazakistan, l’obiettivo per lui è attraversare il continente americano dall’Alaska fino alla Patagonia. “Con il tempo e la pratica – aggiunge – non migliora la velocità, ma di sicuro migliora la distanza. Anche se – e sorride – la salita rimane sempre inesorabile”.
Giusi, che di recente ha lanciato il progetto Ragazze InTandem, è arrivata a Trezzano con Chiara, guida e compagna di avventure ciclistiche, ciclomeccanica compresa. E pensare che tutto è partito da un post su Facebook nel 2022. “Ho scritto
un post per cercare una persona che volesse accettare questa sfida e condividere seriamente l’esperienza di viaggiare con me in tandem”, racconta Giusi. Da quello stesso post sono nate varie relazioni, tra cui l’amicizia con Davide Valacchi, e quella con Angelo, referente della Ciclofficina Nascosta di Milano, casa di Love Me Tandem, una flotta di sei tandem dedicati a ogni tipo di esperienza per gruppi di amici, famiglie, aziende.
“Quando Angelo mi ha detto che avrebbe messo a disposizione i suoi tandem ero felicissima, siamo da partiti da Milano verso il Parco di Monza. Nell’ultimo anno si sono susseguite una serie di viaggi e iniziative che mi hanno permesso di aprire la strada a persone che non lo avevano mai guidato”, continua Giusi. “Il tandem adesso è il modo che ho per andare in bici. Mi piace perché in sella non c’è una persona che porta a spasso un disabile. È una sfida che affrontiamo insieme”.
Il bello di pedalare in tandem, prosegue Giusi è che “senti il prato sotto i piedi, gli accenti diversi delle persone che incontri lungo la strada, gli alberi e il profumo del bosco; percepisci quasi tutto quello che c’è intorno ed è bellissimo”. E conclude: “Per questo voglio attivarmi e valorizzare l’esperienza del tandem: per dimostrare che non serve avere paura. Il rischio della caduta c’è in ogni caso, con o senza disabilità, chi va in bici ne è consapevole. Il ruolo della guida è importante, ma non per assumersi tutte le responsabilità, al contrario: il viaggio si fa in due e in coppia si condividono sia i rischi sia i momenti felici”.
Sono le 14.20, è passata un’ora e adesso è tempo di pedalare. Anche la fotografia è al volo, prima di salutarci. Tutte le persone e le realtà citate in questo articolo sono disponibili per dare maggiori informazioni sul tandem per le disabilità sensoriali.
COSÌ LUXURY BIKE HOTELS PROPONE METE E SOLUZIONI
ESCLUSIVE PER VACANZE E FINE SETTIMANA A PEDALI
SENZA DOVER RINUNCIARE AL GUSTO E ALLA QUALITÀ
Con l’arrivo della bella stagione si moltiplicano le occasioni per una gita fuori porta, anche in bicicletta. E per chi volesse pedalare lasciando a casa tende e sacchi a pelo, regalandosi invece una sosta di qualità, ampia è la scelta tra i cinquanta hotel del circuito Luxury Bike Hotels, che ha di recente registrato nuovi ingressi, tra cui Villa Appiani, in Lombardia, a Trezzo sull'Adda, appena fuori Milano, e Maison d’Enri, a Gallipoli, in Puglia. Gli hotel del circuito Lbh sono strutture ricettive di alta gamma affiliate in tutta Italia, apprezzate per la capacità di offrire servizi d’eccellenza e su misura per chi ama esplorare i territori in sella a una bicicletta. Una collezione che comprende hotel di lusso – castelli o dimore storiche, ville, borghi e relais, wine resort, wellness Spa – caratterizzati da servizi riservati a ciclisti e cicloturisti come: ricoveri sicuri per le bici, ciclofficine, ricariche per e-bike, noleggi, guide e accompagnatori esperti, indicazioni su percorsi local e itinerari culturali ed enogastronomici, tracce Gpx, lavanderia per abbigliamento sportivo, snack pomeridiani post uscita, massaggi sportivi, organizzazione transfer da e per aeroporto e delle bici al seguito, menù sportivi ed energetici, possibilità di portare le bici in camera.
Immersa nella campagna lombarda tra Milano e Bergamo, Villa Appiani è una dimora storica di grande fascino all’interno di una palazzina di fine
Settecento, incastonata tra le mura del piccolo borgo medievale di Trezzo sull’Adda. Cicloturisti e amanti delle due ruote di ogni livello trovano in Villa numerose attenzioni e servizi dedicati: le Bike Rooms posizionate a piano terra con affaccio diretto sul giardino per consentire un ingresso comodo in camera con la bicicletta, servizio di lavanderia rapido per l’abbigliamento tecnico, ricarica delle e-bike direttamente in camera e slow breakfast che guarda al gusto, al territorio e all’ambiente proponendo un concentrato di energia e benessere per un perfetto apporto nutrizionale prima di affrontare l’attività sportiva.
L’hotel è in posizione strategica per accedere alla pista ciclabile del Naviglio della Martesana che collega Trezzo a Milano, la Ciclovia dell’Adda (percorribile da Trezzo verso Lecco o verso Cassano d’Adda), la Ciclopedonale dei Colli di Bergamo, le piste ciclabili della Val Seriana e della Val Brembana; ma anche per visitare le bellezze del territorio, come il castello visconteo di Trezzo, le mura di Bergamo alta e l’affascinante sito Unesco del Villaggio Crespi d’Adda. Al ristorante La Cantina lo chef di Villa Appiani (affiliato all’Alleanza dei cuochi Slow food) propone una rivisitazione del gusto e della tradizione della cucina bergamasca e lombarda, con menu che rispettano le stagionalità delle materie prime e prodotti biologici a kilometro zero.
VOTATA ALLO SPORT E AL BENESSERE LA STRUTTURA DI VILLA APPIANI A TREZZO È PORTA D'ACCESSO IDEALE
ALLE CICLABILI DELLA MARTESANA, DELL'ADDA, DEI COLLI DI BERGAMO, DELLE VALLI SERIANA E BREMBANA
Nel cuore del Salento, in un parco di pini, palme e ulivi, Maison d’Enri è un boutique hotel ricavato dalla sapiente ristrutturazione di una villa di famiglia, dove un tocco di contemporaneità ha lasciato inalterata l’anima e la storia della dimora. La natura è la vera padrona di casa: le quindici camere, alcune con terrazze private, sono tutte affacciate sul verde e arredate con toni e tessuti che richiamano i colori della campagna salentina. La Maison regala momenti di relax e remise en forme nel centro benessere Nature House – anche massaggi sportivi – mentre l’offerta culinaria valorizza gli autentici sapori pugliesi, l’uso di materie prime dall’orto, dal frutteto e dal pollaio della tenuta e da piccoli fornitori locali.
Tra gli altri servizi dedicati: ciclofficina per manutenzione e ricarica, noleggio biciclette, bici in camera, laundry service, transfer con bici, tracce gpx e materiale informativo sugli itinerari oltre a un prezioso servizio di baby sitting.
Maison d’Enri è punto di partenza ideale per escursioni e tour in bicicletta (anche organizzati
dalla struttura, con la possibilità di accompagnatore) lungo i percorsi del Salento: da Gallipoli lungo la litoranea verso Finis Terrae, la luminosa Santa Maria di Leuca, o verso nord fino a Campomarino, attraversando le campagne profumate di sole con le vecchie masserie o raggiungendo la riserva naturale del Parco di Porto Selvaggio, con la pineta che arriva sulle rocce e il mare reso a tratti gelido e ancora più limpido dalle sorgive sotterranee. Oppure, ancora, l’itinerario ad anello del Salento, un coast to coast fra Ionio e Adriatico che tocca le città più belle e ricche di tradizioni: il barocco a Nardò, i pasticciotti e la taranta a Galatina, la cattedrale romanica e il racconto dei “turchi” a Otranto, le terme di Santa Cesarea.
Tante le esperienze per un soggiorno ricco di emozioni: il percorso aromatico con le erbe officinali locali, degustazioni di vini, yoga, workshop artistici (intreccio cesti di ulivo e giungo e cartapesta), corsi di cucina, tour sulla lavorazione dei latticini e molto altro. La struttura è inoltre pet friendly, con accoglienza gratuita e dog kit all’arrivo.
MAISON D'ENRI A GALLIPOLI
È LA BOUTIQUE DELL'OSPITALITÀ
DOVE RELAX E REMISE EN FORME
SONO IL FARO DI UN’ATTENTA
E SAPIENTE GESTIONE FAMILIARE
CAPI TECNICI E PERFORMANTI, STRUMENTI SOFISTICATI
E ACCESSORI FUTURIBILI SONO ORMAI INDISPENSABILI PER IL CICLISTA SMART CHE PEDALA IN SICUREZZA E COMODITÀ
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Perfetto per girare in città, con la bici o in monopattino, in totale sicurezza. Compatto, aerodinamico e certificato NTA, E-One Visor integra all'interno della calotta un sistema di led ricaricabili anteriori e posteriori per essere visibili in ogni situazione. Inoltre è dotato di lente rimovibile magnetica che protegge gli occhi da vento e insetti, senza compromettere la visuale.
€ 139 - briko.com
Per gli amanti degli sport di resistenza e dell’outdoor più estremo, Garmin rivoluziona lo sportwatch Enduro con il massimo dell’innovazione e una durata della batteria stupefacente: 150 ore con Gps attivo e fino a 46 giorni in modalità smartwatch, grazie al display con ricarica solare. Ultra resistente, dotato di una lente in zaffiro bombato per assorbire gli urti, è corredato da una cassa in fibra di polimero rinforzato. La tecnologia è naturalmente quella più all’avanguardia, dalle mappe outdoor preinstallate TopoActive gratuite con copertura multicontinente alla torcia a Led.
€ 1.099 - garmin.com
Una pratica gamma di custodie e supporti in nylon rinforzato con fibra di vetro, robusti e versatili, per agganciare e sganciare rapidamente lo smartphone al manubrio. Semplice ma rivoluzionario, dotato di sistema anti vibrazione e per assorbire gli urti, il kit si basa su un attacco a quattro linguette integrate. quadlockcase.com
Il capo tecnicamente più avanzato firmato Q36.5, una collezione di abbigliamento da gara pluripremiato in grado di migliorare le prestazioni, favorendo il mantenimento della temperatura corporea ottimale a 36.5°C.
Grazie all’impiego di materiali smart, è progettata per resistere alle temperature più calde e mantenere il fresco ben oltre i 20°.
€ 200 - q36-5.com
Uno speaker bluetooth portatile e robusto ma con un suono grande. Impermeabile, antipolvere, resistente alle temperature estreme, è dotato di cinturino resistente agli strappi. Il compagno ideale per affrontare ogni avventura con la colonna sonora giusta.
€ 129,95 - bose.it
Garantisce un'eccellente protezione della bicicletta durante il volo. Prodotta in Italia con materiale plastico antisfondamento Abs, si adatta a bici da corsa, gravel, ciclocross. Il disegno asimmetrico permette di accogliere bici con reggisella integrato.
€ 999 - sciconsports.com
Grazie alla microfibra Dryarn®, la più leggera sul mercato, le calze Strada 2.0 e Bubble di Alé sono calde, sottilissime e traspiranti, perfette alleate per pedalare alle temperature più rigide. La trama in Dryarn® lascia la pelle asciutta e fresca e crea un microclima costante.
€ 18,99 - alecycling.com
GOPRO HERO11 BLACK MINI
Una versione più compatta e leggera della fotocamera di punta del brand, la Hero11 è pensata per gli atleti e gli amanti dell’avventura alla ricerca di una GoPro facile da utilizzare grazie all’unico pulsante di registrazione, senza rinunciare alle prestazioni. La fotocamera ideale per le riprese in soggettiva, dotata del nuovo sensore 8:7 per la massima risoluzione, profondità di colore a 10 bit, livello di stabilizzazione e campo visivo senza eguali.
Da € 349,98 - gopro.com
GUANTI DE MARCHI REVO
I guanti Revo vantano il primo palmo tridimensionale, elastico, senza cuciture, una rivoluzione nella percezione di comfort della presa grazie all’innovativa Elastic Interface® Palm Technology, il cui design 3d è stato progettato secondo parametri antropometrici con il contributo del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova. Si adattano perfettamente all’anatomia della mano, migliorano la circolazione sanguigna, riducono l’indolenzimento del nervo ulnare e il formicolio alle dita.
€ 90 - demarchi.com
OCCHIALI KOO SPECTRO
Per gli appassionati di ciclismo e di triathlon, gli occhiali da sole KOO hanno una serie di lenti intercambiabili prodotte dal leggendario marchio Zeiss® con i materiali più resistenti e una tecnologia cromatica avanzata per una visibilità eccellente in tutte le condizioni di luce. I quatrro fori di aerazione riducono il rischio di appannamento al minimo.
€ 200 - kooworld.cc
La Porsche delle e-bike nel mondo della mobilità urbana per l’indiscussa qualità e raffinatezza delle sue creazioni, ovvero il brand svizzero Stromer. Con l’esclusiva vernice Ipanema Brown, cambio Pinion, la trasmissione a cinghia in carbonio Gates, ABS integrato e la batteria più potente, la ST3 Special Edition è una S-Pedelec eccezionalmente dinamica, ideale per l'uso quotidiano. Da € 9.100 - stromerbike.com
Primabici è un’innovativa linea di balance bike per bambini dal design accattivante creata da Dolomeet in collaborazione lo storico marchio Garelli. Senza pedali nè rotelle, i più piccoli (si può proporre già a partire dai 12/18 mesi) sviluppano l’equilibrio adottando una corretta postura e acquisiscono capacità psicomotorie in maniera facile e giocosa. Le geometrie di Primabici sono studiate per offrire il miglior comfort di guida, dal telaio con pedana integrata al manubrio con inclinazione regolabile.
Da € 149 - primabici.com
Personalizzabile e modulare, Zeus è la prima colonnina di ricarica smart e interattiva per qualsiasi tipo di e-bike e dispositivo elettronico. Prodotte in Trentino da Dolomeet, azienda che coniuga la passione per lo sport con la creazione di prodotti innovativi e progetti di crescita territoriale, tutte le soluzioni Zeus Charging Station sono adatte all'installazione in ambienti pubblici aperti a terzi ed equipaggiate con 24 attrezzi per attività di riparazione e manutenzione delle due ruote.
Da € 1.890 - zeuschargingstation.com
L’ESPRESSO INIZIA UNA NUOVA STORIA.
LE GUIDE DE L’ESPRESSO NELLE MIGLIORI LIBRERIE E SU AMAZON.
L’ESPRESSO. TUTTO CIÒ CHE ERA E TUTTO IL NUOVO CHE VERRÀ.
/ Mulatero editore, 352 p., 21 € /
In questo periodo in cui il ciclismo è tornato a contare su campioni fenomenali la tentazione è tornata forte; perché la storia di questo sport è lunga ed è impossibile non farci i conti. Così si prendono ragazzi poco più che ventenni e li si mette a confronto con campioni immortali, spesso senza badare alle conseguenze. Mai come oggi è utile riprendere in mano la storia di Frank Vandenbroucke, il cui talento spumeggiante andava veloce come scorrono le pagine del libro di McGrath, che è ripartito da Ploegsteert, suo paese natale, e ne ha seguito le tracce e gli incontri, tra vittorie e cadute, fino alla tragica morte. La vicenda di uno dei tanti “nuovi Merckx” issati troppo presto su un trono, e altrettanto velocemente scaraventati nella polvere.
PANTANI PER SEMPRE
/ Libreria Pienogiorno, 256 p., 18,50 € /
Il 2023 non è un anno qualsiasi per il ciclismo. In questi mesi si celebra un quarto di secolo dalla doppietta di Marco Pantani sulle strade di Giro e Tour. Venticinque anni sono tanti, un tempo ancora insufficiente per conoscere la verità sulla tragica fine di Marco, ma un tempo sufficiente perché ci siano nuovi appassionati di ciclismo nati addirittura dopo le imprese di Pantani. E se la prima lacuna contiuna a sembrare incolmabile, alla seconda ci pensa Davide De Zan, che di Pantani è stato narratore, amico e tifoso. Un libro che si aggiunge a una lista ormai ricca delle opere dedicate allo scalatore romagnolo, ma che ha dalla sua uno sguardo raro: quello dell'amicizia.
Sergio Barducci
RINCORSI DAL VENTO. STORIA DI UNA LUNGA AVVENTURA
SULLE STRADE DI ROMAGNA / Minerva edizioni, 224 p., 18 € /
Il 20 maggio del 1971 17 amici si incontrarono al Bar del Corso di Cesenatico per fare una pedalata a perdifiato sulle colline di Romagna: un massacrante su e giù senza un metro di pianura, un tappone alpino con vista sul mare. Fu così che iniziò la Nove Colli, la più importante Granfondo d'Italia (forse del mondo), ma che il giornalista Sergio Barducci racconta per quello che è: una lunga avventura. Tra le storie degli irriducibili, al via di ogni edizione, quelle di chi ha viaggiato mezzo mondo per arrivare fin qui, di chi ha corso per rilanciare la propria vita o una buona causa e di chi, anziché correre, ogni anno si mette una pettorina addosso per aiutare.
Una documentazione ricca e coinvolgente come meritava una storia così lunga.
Marco Tonelli è l'art director di BIKE (e molto di più). Quando pedala non ascolta musica, ma la musica ha sempre fatto parte della sua vita, come le due ruote del resto, bici e moto. Ecco dalle sue parole perché ha scelto questi venti brani:
1 / Saudade
LOVE AND ROCKETS
2 / How we operate
GOMEZ
3 / We’ve only just begun
THE CARPENTERS
4 / Toop toop
CASSIUS
5 / Pale clouded white
COCTEAU TWINS
6 / Tema d’amore
ENNIO MORRICONE
7 / Walking in the rain
FLASH AND THE PAN
8 / Seductive barry
PULP
9 / The sun ain’t gonna shine anymore
THE WALKER BROTHERS
10 / Evil ways
SANTANA
11 / Rough boys
PETE TOWNSHEND
12 / Shine
DAVE GAHAN & SOULSAVERS
13 / The carnival is over
DEAD CAN DANCE
14 / Soviet
ELECTRONIC
15 / The fashion
LIKE KNIVES
16 / Space age love song
A FLOCK OF SEAGULLS
17 / Metal
GARY NEUMAN
18 / Backdoor man
GIANTS
19 / Paris
GROOVE ARMADA
20 / Relax
THE GLOVE
1) “È il pezzo che più mi rilassa quando so che dovrò fare tanti chilometri in bici”.
2) “Quando lo ascolto immagino le salite di collina dove incontri continuamente strappi e poi ti godi la discesa... ma non sai cosa ti aspetta dopo!”
3) “Per quando pedali senza sentire la fatica, la mente vola ma devi stare attento a non rischiare…”
4) “Per quando sei appena uscito a fare un giro ma ancora non sai quanti chilometri vorrai fare e uno solo oppure cento non ha importanza... Toop Toop”
5) “Giornata uggiosa e fredda ma la voce di Elizabeth Fraser ti accompagna ai cancelli dell’Infinito”
6) “Pedali e padali, tanto che non sei più conscio di quello che stai facendo, come proiettato in quegli anni in cui… la tua bici solo sa. Poi ti si affianca un tipo strano, dice di chiamarsi Bebel, è un po’ guascone, pensi, ma lui se ne va sorridendo come solo lui sapeva fare!”
7) “Oggi è tutto perfetto: anche la pioggia!!!”
8) “No, no”
9) “Con il sole non temo la fatica: California arrivo!”
10) “Un sorso d’acqua e riparti subito a ritmo”
11) “Ahhh... è tutta salita, ma non mollare!”
12) “Quando le cromature brillano sotto i raggi del sole e lei ti chiede di andare”
13) “Ti fermi e ascolti, chiudendo gli occhi però”
14) “Quando la sveglia suona ed è ora di andare, ma il sole non si è ancora presentato. Fa niente!”
15) “Oggi ci sentiamo un po’ punk e ribelli”
16) “Una chitarra elettrica, l’assolo spinge a pedalare, sempre con quel ritmo a cadenza regolare”
17) “Di metallo è fatta e non teme la discesa”
18) “1979”
19) “Le Tour: il sogno continua”
20) “The End”
Tadej Pogacar non si ferma mai. A ottobre dello scorso anno aveva salutato con un successo, prestigioso, il suo personale bis al Giro di Lombardia. Per la nuova stagione è tornato in sella vincendo subito quattro corse nei primi sei giorni di gara del 2023: la Clásica Jaén Paraiso Interior e il tris di vittorie alla Vuelta a Andalucía Ruta del Sol con tanto di primato in classifica generale.
Con i risultati – e che risultati! Per lui a nemmeno venticinque anni due Tour e anche una Liegi – è riemerso, puntuale, il paragone con il Cannibale Eddy Merckx. È vero, anche Merckx era così e io me lo ricordo: prendeva tutto e non regalava niente. Corse “minori” per un atleta come il belga non ce n’erano, e sembra che sia sempre di più così pure per il giovane sloveno che, quest’anno, ha rinunciato a difendere il successo alla Strade Bianche per dare l’assalto alla Parigi-Nizza. Alla sua prima partecipazione.
“Quando corro lo faccio per vincere”, aveva detto Pogacar commentando proprio l’impresa dell’anno passato sulle crete senesi, dopo una fuga di oltre cinquanta chilometri in solitaria. E si diverte. Il fuoriclasse della Uae Team Emirates è infatti, in questo senso, un bellissimo “spot” per il ciclismo di oggi, dove, fortunatamente, i grandi inerpreti non
mancano: basti pensare ai Van Aert, Van der Poel, Alaphilippe ed Evenepoel. E vince, spesso, col sorriso. A dire il vero sorride anche quando, raramente, perde. Come all’ultima Grande Boucle, sconfitto da Vingegaard. L’unica volta che si è arrabbiato, al suo primo Fiandre chiuso “soltanto” ai piedi del podio, è stato più a motivo dell’inesperienza che altro. Ma a ritornerà a provarci, statene certi.
C’è una cosa, però, che dobbiamo mettere bene a fuoco quando parliamo di Pogacar. E per farlo non serve scomodare i paragoni con chi la storia del ciclismo l’ha già scritta né tantomeno provare a immaginare quando e come anche l’Italia potrà tornare ad avere un tale interprete, in grado di spaziare dai grandi giri alle classiche senza rinunciare a nulla. Se Pogacar è quello che è diventato, oltre al dono di un talento senza eguali, molto probabilmente lo deve anche a un fatto culturale: in Slovenia, il Paese da dove viene, lo sport, qualsiasi sport, dal ciclismo al salto con gli sci, è ancora vissuto genuinamente nella sua componente ludico-agonistica, specie a livello giovanile, senza pretendere tutto subito. Lì i ciclisti corrono per divertirsi e si divertono correndo, non solo quando vincono. Ricordiamocelo ogni volta che pensiamo di aver scovato un nuovo ‘Merckx’, un nuovo ‘Binda’ o il nuovo ‘Pogacar’.
* Ex ciclista, dirigente sportivo e commentatore tv per Eurosport
“Lighter than a cloud” “Lighter than a cloud”