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Gli ingegneri della pizza
from Small Giants 2
by BFCMedia
Con un innovativo sistema di produzione dell’impasto, Fra Diavolo punta ad esportare il suo prodotto all’estero
di Andrea Salvadori
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Piani di sviluppo ambiziosi per Fra Diavolo, il format di pizzeria napoletana rilevato nel 2018 dalla holding del food KappaGroup di Mauro D’Errico e Gianluca Lotta. La catena retail che fonda il suo modello produttivo sull’ingegnerizzazione dei processi ha in programma nei prossimi anni l’apertura di diversi nuovi ristoranti - non solo in Italia la crescita del fatturato, della marginalità e un forte aumento del numero dei dipendenti. All’inizio del 2022 Fra Diavolo contava otto ristoranti. Un numero salito a 16 unità alla fine del primo semestre e destinato ad arrivare a 24 durante il 2022. “Il nostro piano industriale prevede poi l’inaugurazione di altri 16 locali nel 2023 per arrivare ad un totale di 40 ristoranti», spiega Gianluca Lotta, cofondatore di Kappa Group insieme a Mauro D’Errico dopo un’esperienza maturata insieme nella galassia Eataly.
Le città scelte da Fra Diavolo per la sua espansione sono capoluoghi di provincia con oltre 100mila abitanti e con un Pil procapite superiore ai 20mila euro. Milano in particolare dovrebbe passare dagli attuali cinque locali ad otto entro la fine dell’anno, mentre Torino da tre arriverà presto a cinque ristoranti. “Il prezzo entry level di una nostra pizza non scende sotto gli otto euro. Per questa ragione abbiamo deciso di non aprire nel Sud Italia, dove per ragioni concorrenziali avremmo pochi margini di sviluppo”. A livello di giro d’affari, dopo aver chiuso il 2021 con un fatturato di 5,1 milioni di euro (contro i 3,3 milioni del 2020), la società punta a 13 milioni nel 2022 e a 30 milioni nel 2023. Per quanto riguarda la marginalità, l’Ebitda toccherà quest’anno l’8% e salirà al 18% a fine 2023. Fra Diavolo dà lavoro attualmente a circa 230 dipendenti, considerando anche l’headquarter di Torino, dove sono state centralizzate le aree dedicate alla finanza e al controllo di gestione, l’amministrazione, il reparto marketing e le risorse umane, af-
fidate alla guida di un ex manager della Rolls Royce. Entro la fine del 2023, alla luce delle tante aperture messe in agenda dal gruppo, i dipendenti saranno compresi tra i 600 e i 650.
Il piano di sviluppo di Fra Diavolo può contare anche sugli importanti capitali ed asset immessi a seguito di un atto di conferimento nel veicolo neocostituito Fragesa srl da parte di Gesa srl, la società che controlla le catene Cioccolatitaliani e Bun Burgers, e dal fondo Mir Capital. I nuovi investitori detengono oggi il 51% del capitale, mentre Mauro D’Errico e Gianluca Lotta mantengono il restante 49% e la gestione operativa della società. Forte anche di questa nuova iniezione di risorse finanziarie, Fra Diavolo non guarda solo al mercato italiano, ma conta di avviare presto il piano di internazionalizzazione. “Qualche bandierina la isseremo probabilmente già nel 2023, ma non sappiamo ancora dove”, continua Gianluca Lotta.
Nell’ambito di questo progetto, la società avrà ora l’opportunità di sfruttare anche le sinergie con Gesa, che con la sua catena Cioccolatitaliani è già presente in otto mer-

cati: Qatar, Arabia Saudita, Bahrein, Kuwait, Marocco, Albania, Kosovo e Malta. “Il modello di business di Fra Diavolo all’estero sarà però differente: i locali non saranno gestiti direttamente, come avviene in Italia, ma saranno affidati a partner locali o in franchising”. Entro il 2025 la società dovrebbe così raggiungere i 70 punti vendita tra Italia e resto del mondo con un fatturato, secondo le previsioni del piano industriale, di 40 milioni di euro: “Un risultato che non escludiamo di raggiungere già nel 2024, con un anno di anticipo”.
La peculiarità del modello di business di Fra Diavolo è “il rivoluzionario sistema ingegnerizzato di produzione delle pizze, totalmente innovativo rispetto a quanto già esistente sul mercato. Le novità introdotte sono molteplici e riguardano tutti gli aspetti della produzione della pizza. Il processo è stato attentamente analizzato in ogni suo aspetto, per poterne valutare le criticità che non consentivano di renderlo facilmente replicabile ed esportabile”. Il nuovo processo è stato studiato da un pool di ingegneri, coadiuvato da tecnologi alimentari specializzati nella panificazione ed è stato strutturato in tre fasi. La prima, quella della produzione dell’impasto, avviene in una stanza centralizzata a Torino, dove la temperatura e l’umidità sono controllate e costanti. Da qui gli impasti vengono consegnati in tutti i locali della catena all’interno di celle frigorifere, sempre per preservare l’umidità e la temperatura prefissata. Una volta giunto a destinazione, l’impasto viene steso e condito, con l’ausilio di macchinari customizzati, per essere infine messo in un forno in grado di stabilire tempi e modi di cottura. “La standardizzazione della procedura di preparazione della pizza ci permette di semplificare il processo, di migliorare la vita dei nostri dipendenti, di recuperare efficienza produttiva e di velocizzare i tempi di preparazione e consegna, migliorando dunque il servizio per il cliente finale. Finalmente, la pizza italiana di qualità potrà così essere esportata ovunque nel mondo”.
Lo stesso approccio dedito alla qualità è stato utilizzato anche per i condimenti delle pizze, ricchi di ingredienti derivanti dai presidi slow food o, comunque, prodotti da aziende che rappresentano l’eccellenza del settore agroalimentare italiano. “Gli impasti che proponiamo sono tre: il classico, quello al carbone vegetale e il multicereali a basso contenuto di carboidrati, che è stato introdotto più recentemente. Una scelta quest’ultima definita per andare incontro alla nuova tendenza e offrire una pizza meno calorica”.

Tra le migliori 20 catene di pizzerie artigianali al mondo, nel design s’ispira allo stile vintage (foto in alto)









