2016 - n. 2 Presenza betharramita

N SP UM EC ER IA O LE

CONGREGAZIONE DEL SACRO CUORE DI GESÙ DI BÉTHARRAM APRILE/GIUGNO 2016

Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art.,I, comma 2, DR BA

2 PRESENZA BETHARRAMITA

DOSSIER:

BÉTHARRAM D'ITALIA

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TRENT’ANNI DI

«PRESENZA» di ROBERTO BERETTA Quest’anno «Presenza» compie trent’anni; la nostra rivista infatti è nata esattamente nel secondo trimestre 1986. In redazione abbiamo pensato come rendere solenne questo piccolo anniversario, che comunque fa ragguardevole l’avventura di questo periodico: nessuna pubblicazione betarramita italiana ha infatti raggiunto tale longevità.

La risposta è venuta spontaneamente da una cartelletta in cartoncino rosso, rinvenuta in modo quasi casuale nell’archivio della (ex) provincia italiana oggi vicariato - dei Preti del Sacro Cuore. All’interno era riposto un lungo dattiloscritto, in cui è raccontata la cronaca degli eventi della «Bétharram d’Italia»; e quale modo migliore dunque per festeggiare il compleanno della nostra rivista, se non riprodurre e completare quella storia, che documenta proprio la «Presenza» dei figli di Michele Garicoits nella nostra Penisola?

L’autore delle pagine ritrovate è padre Arnaldo Guerra, una figura in un certo senso «leggendaria» per i betarramiti italiani. Nativo di Talamona (So), classe 1926, aveva fatto la professione religiosa a Roma appena un giorno dopo il tragico 8 settembre 1943, in pieno marasma di guerra; poi era divenuto prete nel giugno 1949 e aveva esplicato la sua funzione di professore, predicatore, economo praticamente in tutte le residenze italiane: Colico, Albiate, Lissone, Monteporzio… Fino alla morte avvenuta a Castellazzo di Bollate nell’aprile 1991. Di padre Guerra colpivano subito la carica umana e la simpatia esplosiva: era un amante della vita in tutte le sue espressioni (compresa la caccia!) ed era dotato di un grande senso dell’umorismo, che esercitava volentieri sia in comunità sia nel gruppo delle «sue» vedove, cui prestava assistenza spirituale. Ma non per questo padre Guerra era una personalità superficiale.

editoriale

Verso la fine della sua vita, essendo testimone negli anni Ottanta della decadenza numerica della congregazione, decide di fissare sulla carta la storia della provincia italiana, a futura memoria dei tempi «eroici» e dei sacrifici compiuti dai padri della sua generazione perché la «Bétharram italiana» nascesse e fiorisse.

E infatti nelle 90 pagine del dattiloscritto che ci ha lasciato, colmo di piccole cronache e di ingenui punti esclamativi, si nota l’orgoglio di appartenere alla famiglia di san Michele e d’altra parte anche il rincrescimento perché - almeno apparentemente - la sua diffusione in Italia non era stata secondo le promesse.

Riportiamo ora qui il manoscritto, del tutto inedito, con le integrazioni necessarie per una maggior precisione storica (padre Guerra a volte andava «a memoria»…) nonché omettendo alcune parti eccessivamente minuziose, soprattutto sugli spostamenti dei religiosi da una casa all’altra.

Padre Guerra si ferma all’inizio degli anni Novanta (è morto appunto nel 1991) e di lì continuiamo noi, attingendo principalmente all’archivio costituito da questa stessa rivista: nella quale sono registrati i principali avvenimenti della «Bétharram italiana» nell’ultimo trentennio. Nonostante sia inevitabile l’andamento cronachistico di questa storia, spesso intessuta da eventi che possono apparire minimi o addirittura trascurabili, siamo convinti che non si tratti soltanto di una compilazione sterile e tutto sommato interessante unicamente per pochi «patiti».

Quella racchiusa in questo fascicolo - che eccezionalmente ma volentieri abbiamo dovuto arricchire di parecchie pagine, perché il contenuto ne debordava - è invece la narrazione del tentativo di un numero limitato ma comunque significativo di persone (finora i betarramiti italiani sono stati in tutto circa 150) di costruire in poco più di un secolo una propria strada sia per essere fedeli al carisma di un prete francese vissuto intorno alla metà dell’Ottocento, sia per rispondere alla forte evoluzione della Chiesa durante il Novecento.

Crediamo in questo modo di fare un servizio ai tanti che amano i betarramiti italiani, ma anche di porre una piccola pietra per la documentazione di come una piccola congregazione (talvolta l’analisi delle realtà minori aiuta meglio a comprendere anche i macro scenari…) ha contribuito alla crescita della Chiesa italiana, continuando così la fermissima convinzione che padre Guerra mostra ad ogni pagina: bisogna ricordare la storia da cui siamo venuti, per dirigere meglio il nostro futuro. Quale esso sarà.

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BÉTHARRAM D’ITALIA, RICORDATI DEL TUO PASSATO «Filii sanctorum sumus». «Con i nostri orecchi abbiamo udito, i nostri padri hanno raccontato le opere meravigliose che hai compiuto ai loro giorni» (Salmo 43). L’adagiarsi nel passato può essere comodo per non camminare dentro la storia, ma anche liberarsi o non rifarsi alla propria storia può portare a costruire sulla sabbia. Oggi infatti c’è molta vitalità, sete di novità, sempre nuove idee, nuove proposte ed esperienze che si accavallano, ma mancano di unità, di continuità, di chiarezza, di progresso. C’è una crescita disordinata, confusa, molta cronaca e poca storia. Non bastano quindi gli entusiasmi di un momento, gli slogan, le intuizioni o le volontà politiche: ci vuole fedeltà alla propria storia. Dobbiamo chiederci: i betarramiti italiani che cosa sono stati e cosa sono adesso, come avrebbero potuto essere e come devono essere. Queste pagine vogliono appunto rispondere a domande del genere partendo dalle radici, dalle origini… su su fino ad oggi. Chi non ha la memoria del passato, non ha speranza del futuro e il presente diventa un caos.

Memoria storica è ricordare le origini, il cammino, i trionfi e le sconfitte, le difficoltà e le crisi, gli arresti e le recessioni, le promesse e le speranze… e le attese! E’ ricordarsi dei rifondatori: le loro lotte e fatiche e gioie e sofferenze; è ravvivare lo spirito sorgivo del Sacro Cuore dove sgorgò l’istituto betarramita. Per questo motivo ho inteso rinfrescare la memoria betarramita italiana, per darle nuovo slancio. Tanti anni possono portare stanchezza e crisi. Si tratta invece di recuperare le forze vitali di Bétharram nella Chiesa per il mondo d’oggi. Non è possibile che grandi valori del passato debbano cadere in un istante, essere cancellati con un colpo di spugna, così alla leggera, senza rimpianti né funerali… Il passato, il suo ricordo, gli esempi devono essere ancora vivi oggi come sono viventi san Michele Garicoits e tutti quelli che ci hanno preceduto. La Bétharram del cielo è più viva di noi ed è con noi per darci coraggio, perseveranza, entusiasmo: «Avanti sempre» nel nostro stile betarramita, nella Chiesa e nel mondo d’oggi.

Arnaldo Guerra betarramita, 7 aprile 1985, solennità della Pasqua

1904: espulsi dalla Francia, tre preti del Sacro Cuore emigrano nel Nord Italia, sponsorizzati da un santo come don Guanella. E in pochi anni si conquistano il cuore della gente.

L’INVASIONE DEI «FRANCESI» IN

VALTELLINA

di ARNALDO GUERRA I preti del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram furono presenti in Italia molte volte, soprattutto a Roma, per i rapporti con la Santa Sede circa il proprio istituto, le regole e i processi di beatificazione dei propri santi. Nel settembre 1904 padre Jules Saubat, che studiava nella capitale, al momento di congedarsi ebbe l’offerta inattesa di assumere la rettoria della chiesa degli Angeli Custodi in via del Tritone. Ma siamo sempre nel campo di una presenza «da stranieri», come quella dell’ambasciatore di uno Stato estero. Un «segno», anzi «il segno» manifesto che Bétharram doveva mettere radici in Italia venne solo nel 1904 e in modo strano. Le vie della Provvidenza sono infinite!

Dunque: Justin-Emile-Louis Combes, uomo politico anticlericale pur essendo uscito dai seminari, presidente del Consiglio francese e ministro degli Esteri, oltre alla rottura dei rapporti con la Santa Sede e alla separazione totale della Chiesa dallo Stato, emanò leggi inique contro tutte le associazioni religiose: o rinnegare le proprie scelte di scuola cattolica, o andare in esilio. Quattro dei col-

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legi betarramiti di Francia furono chiusi e i padri francesi seguirono la via dell’esilio: chi in Belgio, chi in America… altri approdarono in Italia. Come arrivarono proprio in Valtellina e chi furono? Fu don Luigi Guanella (oggi santo), fondatore dei Servi della Carità, che li accolse. Forse si trovava a Roma, nella sua opera di Monte Mario, quando venne a sapere di questi padri e a lui si rivolse il francescano francese padre Pierre Baptiste Gimet, che aveva studiato nel collegio betarramita di Moncade e che accompagnò in Italia i primi due religiosi del Sacro Cuore, padre Armand Audin e padre Léon Marque. Don Guanella, dopo essere stato tre anni con don Bosco, fu incaricato di trovare un posto in Valtellina per l’opera dei salesiani e finì così vicario a Traona (So) dove, alla morte del papà e con quanto gli avevano liquidato i fratelli come eredità, acquistò per 2310 lire dal Comune parte del locale convento francescano. Quando don Guanella fu poi nominato parroco a Olmo e poi vicario a

Pianello Lario, la proprietà venne ceduta a don Carlo Gusmeroli, prete nativo di Tartano; ma nel 1904 don Guanella scrisse all’arciprete di Traona don Giovanni Battista Tam: «Caro arciprete, ricevo lettera dal Belgio, in cui mi si annuncia la venuta di due sacerdoti religiosi del Sacro Cuore ad abitare codesto mio convento il giorno 2 agosto. Giovedì corrente settimana o al massimo lunedì settimana prossima verrò ad osservare di comune accordo quid faciendum». Anche il nuovo proprietario si dice d'accordo: «Ben volentieri metto a disposizione della comunità la mia casa e la mia chiesa al convento di Traona», anche perché don Guanella aveva esplicitato: «Si tratta di una piccola comunità francese non mendicante (era importante dirlo!, ndr); il vescovo vedrebbe volentieri».

In seguito lui stesso darà ordini per preparare la cucina e sistemare la latrina e altre opere urgenti, «certo che i nostri ospiti e il sottoscritto risponderanno alle spese. Dirò anzi - continuava - che la venuta di questi sacerdoti religiosi del Sacro Cuore sono per essere una vera benedizione sia a questa parrocchia come a tutta la provincia di Sondrio. Anche se la Signoria Vostra avrà qualche seccatura per qualche mese mentre si metteranno a posto, ne avrà poi in compenso per sé medesimo e per il suo popolo vantaggi spirituali e materiali. Si faccia dunque animo e si disponga a riceverli a braccia aperte e a dar loro il benvenuto

di cuore». Dopo una prima ispezione nel giugno 1904 dell'assistente generale della congregazione, padre Vignau, a metà agosto quei due primi betarramiti, in compagnia di fra Gimet (il quale li accompagna dal pure vescovo di Como), dopo aver preso il battello fino a Varenna e poi il trenino da Varenna a Traona , «sotto un cielo di fuoco» giunsero a Traonà - così pronunciava padre Marque e non ci fu verso di correggerlo, mentre padre Audin parlava discretamente l’italiano. Ma era già il 14 agosto, vigilia dell’Assunta (così risulta dagli archivi). Padre Marque scrive quello stesso giorno: «L'uomo principale della Provvidenza nella nostra fondazione in Italia mi sembra don Guanella... Ci ha preso sotto la sua protezione ed ora ci guida lui stesso». Infatti sarà proprio lui a presentare al parroco e ai fedeli «i cari religiosi che la violenza aveva esiliato», durante la messa «cantata in buon gregoriano» del giorno di san Rocco (16 agosto). Anche in seguito, verrà spesso a trovarli e farà loro varie proposte perché fondassero una fattoria agricola e un noviziato, o una casa di missionari per tutta la Valtellina (si offrirà anche di comprare il terreno adatto), o anche trasformassero la chiesa del convento in santuario.

Di padre Marque non ho trovato granché, solo dal necrologio risulta che morì nel 1917, quindi non vecchio (era nato nel 1858): forse in guerra? Padre Audin (1877-1943) avrebbe fatto voto di non perdere tempo; si racconta che, rientrando a Traona una notte già tarda con un confratello, affrettasse il passo senza occuparsi del compagno che lo seguiva perché «doveva ancora fare la visita al Santissimo Sacramento»… La sua vita è piena di sante

1904-1911

ingenuità! I betarramiti si mettono all'opera: confessioni, predicazioni, aiuto ai parroci, catechesi; in poco tempo si conquistano la stima sia del clero sia del popolo. Arrivarono in seguito anche altri, di cui non finisco di scoprire i nomi: altri 6 sacerdoti e un fratello, una vera colonia betarramita.

Ci fu padre Etienne Domecq (1875-1949), che poi passò a Roma nel 1912, nel 1914 venne chiamato sotto le armi e morì a La Puye stimatissimo cappellano delle Figlie della Croce, rimpianto da tutti.

Due padri Lacau, Jean e Jean-Marie; quest’ultimo (1877-1951) lasciò Traona nel 1907, perché lo troviamo a Roma per studi teologici e poi consigliere generale; l’altro (1874-1940), dottore in diritto canonico, fu autore del famoso «Prezioso tesoro delle Indulgenze», considerato il «passaporto per il cielo». Quindi padre Jean Maximilien Tucou (1855-1943), di cui leggo un ricordo: «Cappellano della Porziuncola (così veniva chiamato il convento di Traona, ndr) passava ore e ore al confessionale. Mentre i suoi quattro confratelli si disperdevano nei paesi vicini, lui ogni domenica predicava alla gente che accorreva in massa».

Inoltre padre Rémi Mouyenn, che dovette lasciare il collegio di Orthez e divenne «il più rinomato betarramita di Traona»; è sepolto a Roma e accanto a lui giace padre Jean Bergez, anche lui reduce di Traona, poi fondatore del seminario di Betlemme e addetto alla rettoria della chiesa dell’Angelo Custode a Roma. Infine si parla di fratel Armand Proucel, che era organista. Tutti costoro lasciarono un profondo e duraturo ricordo; ancora negli anni Quaranta gli abitanti di Traona parlavano

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di padre Stefano, padre Giovanni, padre Armando, dicevano che erano uomini di grande zelo e preghiera, capaci di tener lontana la grandine e scacciare le formiche e i bruchi, invasori incalliti delle case e dei campi. La gente non esitava a percorrere notevoli distanze pur di poter ascoltare i «padri francesi», anche se al dire del paese «sapevano meglio il dialetto che non l’italiano». Quando nel 1911 i betarramiti dovettero ripartire (le leggi francesi erano cambiate), gli abitanti si sollevarono per farli restare; viene scomodato persino il Vaticano per impedirne la partenza. Monsignor Alfonso Archi, vescovo di Como, scriverà al superiore generale: «Mi dispiace tanto che i suoi padri lascino il convento di San Francesco a Traona. Sono sempre stati esemplari e di grande aiuto nel ministero in tutta la diocesi. Tutti i parroci dei dintorni esprimono il loro profondo dispiacere». L’unica cosa che risuscì ad ottenere è che padre Lacau e fratel JeanMarie rimanessero ancora qualche mese, fino all’ottobre. Nella vita di padre Bergez si legge: «Alla loro partenza lasciarono un grande rimpianto», eppure erano lì soltanto da 7 anni. Solo con la promessa che sarebbero tornati con forze più giovani la gente si acquietò. Sembrava una promessa profetica che poi si avverò: arrivarono infatti i betarramiti italiani in massa e con forze più giovani.

Si comincia nel 1928 con 7 bambini a «Cà Bepin», una casa privata nella frazione Villatico. In pochi anni si costruisce il seminario, che però rischia di essere subito travolto dai debiti. Lo salva «la Provvidenza».

COLICO: L’EPOPEA DEGLI INIZI I «padri francesi» avevano ormai lasciato la Valtellina, ma due giovani italiani, Giovanni Bisio e Giuseppe Acquistapace (quest’ultimo dopo l’esperienza a Colico tornerà in Argentina, dove era stato da novello prete, e poi in Uruguay, dove morirà a 58 anni nel 1942), erano stati inviati nel seminario betarramita sfollato in Belgio, poi a Betlemme e Nazareth per la teologia, infine ordinati sacerdoti nel 1915 a Mendelu, in Spagna.

Don Giovanni Comitti, parroco di Villatico di Colico - un buon papà che noi chiameremo confidenzialmente «il nonno» perché fu veramente il nonno della fondazione italiana - in occasione di un pellegrinaggio a Lourdes si imbatté in questi due sacerdoti, reduci da varie esperienze, e vedendo queste fresche energie pensò: perché non rinnovare nei miei paesi quel fervore che hanno lasciato a Traona i preti del Sacro Cuore venuti dalla Francia? Detto fatto, si

interessò, prese a cuore la faccenda e trovò una povera ex osteria dietro la chiesa, «Cà Bepin», per raccogliere i primi 7 piccoli seminaristi. Come racconta uno del secondo gruppo dei primi aspiranti betarramiti italiani di quel tempo, «accompagnati dallo zio Giuseppe sabato 8 dicembre, festa dell’Immacolata, entrammo nella casa apostolica presso la chiesa di Villatico, già però aperta dall’11 febbraio di quell’anno 1928. Fui accolto a braccia aperta da padre Bisio, tipo nervoso ma con cuore di mamma. Mi attendevano già 6 apostolini: due di Rho, Zappa Silvio (morirà nel 1938 a Betlemme, a soli 21 anni) e Uboldi Alberto; due di Piantedo: Gobbi Lino (poi divenuto passionista) e Rossotti Enrico; uno di Melegnano, Marzani Giuseppe e con me un altro di Isolaccia, Giovanni Trameri (divenne procuratore e poi superiore generale della congregazione)». Ho voluto nominarli tutti perché sono stati i primi seminaristi italiani.

Padre Bisio aveva pensato di stabilire il seminario proprio a Traona, sui luoghi dei primi betarramiti, invece la provvidenza lo condusse ad affittare

1928-1932

«Cà Bepin», una residenza privata a Villatico di Colico. La vita era semplice e dura: svegli alle 5 del mattino, poi studio fino alle 6.30, seguito dalla messa. Le lezioni erano tenute dai due padri; nel pomeriggio ancora studio e il rosario; l’ora del riposo era fissata alle 21. Le passeggiate rimarranno le stesse per molti anni e si limitavano a recarsi in montagna alla chiesetta di San Rocco oppure al lago o al torrente Perlino o all’Inganna o al Forte di Fuentes. In refettorio c’era la lettura tutti i giorni, tranne la domenica e le feste. Le vacanze estive duravano circa un mese e mezzo, ma anche a Natale e a Pasqua si andava a casa qualche giorno. Già nel luglio 1929, per mancanza di posto, 5 apostolini furono trasferiti in Francia a Bétharram, accompagnati da padre Bisio. In settembre arrivarono i nuovi, dalla Valtellina, dal lago e persino un sardo: in tutto 9 piccoli seminaristi. Nel 1930 arrivarono dall’America anche padre Cirillo Lazzeri, originario di Semogo, anche lui reduce dagli studi in Belgio e in Terrasanta, e fratel Marino Deldegan, organista. Toccò a padre Lazzeri dirigere la nuova opera e studiare anche il progetto per una nuova costruzione, per la quale volle ricopiare il modello del seminario di Santa Teresa del Bambin Gesù esistente a Rosario, in Argentina.

Fu comprata metà della proprietà della signora Marietta Canclini in località Campione di Villatico. Così si esprimeva la pergamena ricordo della posa della prima pietra: «Oggi, giorno 24 maggio 1931, festa della Pentecoste… con gran concorso di popolo il vescovo monsignor Alessandro Macchi benedice solennemente la prima pietra angolare

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dell’erigendo seminario». La processione era partita dalla chiesa parrocchiale di Villatico, sulla porta centrale una grande scritta augurava ogni bene e prosperità per la futura opera. Il capomastro Elvezio Corti si buttò nell’impresa anima e corpo, si lavorò alacremente trasportando i sassi dalla vicina Inganna, il torrente del paese; dall’Adda veniva convogliata la sabbia.

Tutti collaboravano febbrilmente. Incredibile fu quando il 2 ottobre dello stesso anno, festa degli Angeli custodi e vigilia della patrona della casa santa Teresina, in soli 4 mesi, la casa era ultimata! L’assistente generale padre Suberbielle vi poteva celebrare la messa. Ecco come l’Eco di Colico ne parla: «La mattina del 3 ottobre il sole si levava alto sull’imponente e tetro monte Legnone, e saliva trionfante… Le campane di San Bernardino suonavano a distesa… Il curato, uomo d’immensa fede e di un cuore grande, ha voluto questa festa, mentre a padre Lazzeri sembrava impossibile, c’era troppo disordine ancora. “Come? - insisteva il curato - la cappella è pronta, è la festa di santa Teresina, si dovrà forse lasciar partire il superiore senza dargli la gioia di inaugurarla? Mai più”… Era presente anche il commissario del governo signor Rizzi. Padre Suberbielle augurò ogni bene: “Che Bétharram d’Italia cresca!”».

Ma ecco invece le difficoltà: la casa arrischiò di essere chiusa fin dalle origini.

«Sorgono difficoltà non poche ed aspri dibattiti con l'ingegnere e il costruttore», si trova scritto nel diario di casa. Cos’era capitato? Nel 1932 il progettista e direttore dei lavori negò di aver ricevuta la sua parte, ben 62.000 lire di quel tempo! Eppure le matrici di pagamento erano lì ad indicarlo.

Il vescovo non volle sostenere i padri (perché?), allora padre Lazzeri e il signor Corti si recarono tempestivamente a Bétharram per far presente il fatto. I superiori furono comprensivi, ma se il debito rimaneva era impossibile sostenerlo: si decise di vendere la casa come ospedale e col ricavato pagare il grosso debito e rifondere le spese a Bétharram. Quale disastro! Padre Acquistapace scrisse persino a Pio XI. Ma da Roma fu inviato con pieni poteri padre Jules Saubat (chi l’ha conosciuto sa quale uomo deciso era: fu scelto persino dai Papi per sistemare conventi di suore); ordine dall’alto: vendere per pagare i debiti e quindi tutti dovevano andarsene. Così padre Bisio andò a Mendelu in Spagna, padre Acquistapace in Argentina. E padre Cirillo? Fu talmente amareggiato da questa mazzata che lasciò la congregazione, a cui però rimase affezionato fino alla morte avvenuta nel 1963; andò a Tartano dal fratello don Remigio, che diede molte vocazioni a Bétharram, e lasciò scritto nel suo testamento: «La mia anima a Dio e il mio cuore alla scuola apostolica e alla congre-

gazione dei preti del Sacro Cuore, che io amo sempre di tutto cuore anche se circostanze particolari mi hanno fatto scegliere un’altra strada».

Poi inaspettatamente arrivò la grazia. Il superiore generale, padre Hippolite Paillas, decise che Bétharram d’Italia non poteva perire. «Faremo sacrifici tutti, ma sosterremo l’opera!». Inviò così padre Hippolite Hounieu, con esperienze in America e in Spagna (morirà a Roma come maestro dei novizi), severo ed esigente ma con cuore infantile e spirito mistico. Piaceva alla gente di Villatico per le sue prediche mezzo spagnole: molti uomini erano stati emigranti in Argentina. Con lui padre Angelo Cerutti, figlio di italiani residenti in America Latina; i parroci del vicinato si comportarono con stima e amore: Antonio Parravicini prevosto di Colico, detto «lo zio», il parroco di Olgiasca don Eugenio Fontana chiamato «il vescovo» per il suo stile liturgico, il bravo anziano don Pietro Conca, parroco di Laghetto Piona e il buon papà confessore straordinario don Guglielmo Triana di Piantedo. Tutti santi nel paradiso betarramita…

Ci fu dunque un periodo nel sorgere di Bétharram in Italia che poteva segnarne la fine. Molti confratelli francesi l’avrebbero lasciata colare a picco, dopo tante fatiche e sacrifici per crearla. Ma il superiore generale e non so chi altro, superando ogni ostacolo, stabilì che ad ogni costo non si doveva recedere.

Nella Nef (la rivista della congregazione, ndr) d’inizio 1932 si trova così l’auspicio: «Auguro buon anno a tutte le case sparse in tutto il mondo, compresa anche la nostra cara Italia».

1928-1932

L’espansione dei betarramiti italiani è subito promettente: nuovi ed entusiasti sacerdoti pronti a partire per l’America e per la Cina, coraggiosi fondatori di opere che faranno la storia

I PRIMI FIORI SULLA PUNTA DEL LAGO

D’ora innanzi Bétharram italiana è nel cuore della casa madre. D’altra parte nel 1931 su 76 seminaristi minori in Francia, di cui 54 francesi, ben 15 erano italiani… In più ce n’erano altri 5 a Colico, che nel 1933 diventano 13 con superiore (per breve periodo) padre Cerutti e nel 1935 salgono a 16, mentre responsabile è padre Vitaliano Sauré: un buon papà, tutto dedito ad acquistare indulgenze: teneva un quadernetto con annotati i milioni e milioni di anni di indulgenze acquistati…).

Superato un tracollo finanziario che minaccia tutta la congregazione (se fosse avvenuta prima, la Bétharram d’Italia sarebbe certamente sparita), «l’Italia - scrive ancora la Nef - non chiede che di vivere e prosperare». Ed avviene proprio così: tante bocche da sfamare, però «la c’è la Provvidenza».

Il programma per far fronte ai tempi è riassunto in uno slogan di tre parole: economizzare, produrre e - se necessario - mendicare.

Nel 1936 lascia Colico il francese Sauré, diretto alla chiesa dei Miracoli a Roma, ma il superiore è sempre un francese: Hounieu. Sopraggiungono freschi di ordinazione padre Virginio Del Grande

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(originario di Cerchiate di Rho) e padre Enrico Mainetti di Tartano; il primo vi resterà molti anni, quasi fino alla morte, mentre il secondo già l’anno successivo partirà per l’America. A sostituirlo arrivano due altri novelli: padre Luigi Spini da Tartano (anche lui destinato poco dopo alla missione) e padre Giuseppe Airoldi da Arese.

Padre Peppino, che seguirà i seminaristi fino al 1952 quando sarà chiamato a fondare l’opera di Lissone, merita una menzione speciale, perché fu il buon padre della Provvidenza che non aveva vergogna di stendere la mano per i suoi «figli» e mendicava veramente, lo fece per tutta la vita. Aveva una devozione particolare per la «sua» Madonna, ne era quasi geloso perché tutti gli anni voleva andare a Lourdes, e terminava le prediche sempre con un riferimento al cielo, al paradiso.

Ci sono veramente delle belle figure nella storia betarramita italiana!

Quando da Talamona arrivai a Colico come

piccolo seminarista, il 1° settembre 1937, la casa contava ben 35 «apostolini»: in due anni soltanto erano raddoppiati. Bétharram in Italia era fiorente, con 4 sacerdoti in servizio in patria (nel 1938 si era aggiunto anche il cugino di padre Virginio, Alessandro Del Grande); erano ormai diversi anni che la Penisola dava alla congregazione una media di tre preti, giovani e valide forze distribuite nel mondo: così padre Severino Fognini, ordinato nel 1937, sarà il primo betarramita missionario italiano in Cina, seguito nel 1939 dal novello prete Gioacchino Spini. Ricordo la visita che il nuovo superiore generale, padre Denis Buzy, fece a Colico dall’11 al 15 novembre 1938; e ricordo il discorso declamatorio (si era al tempo del fascismo, non si dimentichi!) del seminarista Silvio Calzoni. Nella successiva Nef il superiore così si esprimeva circa la casa italiana: «Grazie agli sforzi eroici, l’opera di Colico sembra ormai uscita totalmente dalle difficoltà: essa è adulta e non domanda

che di vivere, crescere, svilupparsi». Appena dieci anni erano passati dalla «Cà Bepin» di Villatico (1927-28) a questo risultato. Arrivano anche le prime vestizioni di novizi: Silvio Calzoni, Davide Sartirana (che sceglierà poi la vocazione di fratello laico e morirà giovane in un incidente d’auto), Luigi Gusmeroli e Vittore Simonetti, a loro volta fratelli di altri due seminaristi che diventeranno betarramiti illustri: Celestino Gusmeroli e Ireneo Simonetti. Tutto sembra andare a vele spiegate, ma… la seconda guerra mondiale è ormai alle porte.

Prima è toccato ai fratelli spagnoli, presi nella guerra civile, poi alla persecuzione maoista in Cina (dove i betarramiti contano tre martiri), quindi ai francesi: nei primi tempi della guerra già due betarramiti - in Francia anche i preti sono obbligati all’arruolamento - cadono al fronte. Il 10 giugno 1940 anche noi apostolini e i padri, esterrefatti, ascoltiamo il proclama della dichiarazione di guerra fascista in appoggio a Hitler, colpendo alle spalle proprio la Francia patria di Bétharram: per fortuna in Italia c’è l’esenzione dal servizio militare per i seminaristi, altrimenti ci saremmo trovati

1933-1942

faccia a faccia coi confratelli d’oltralpe. Il 13 giugno il diario ufficiale di Colico annota: «Giorno fatidico. La scuola apostolica si vede costretta a chiudere le sue porte agli apostolini per mancanza di mezzi finanziari. L’Argentina che ci mandava soccorso ogni due mesi, dal gennaio non si è fatta più viva». Così si decide di anticipare le vacanze e mandare a casa gli studenti.

I contatti col mondo sono tagliati. La Nef confessa: «Siamo senza notizie circa i nostri fratelli di Colico». A Bétharram sono convinti che la residenza italiana abbia chiuso. Filtra qualche lettera dall’America, dalla Palestina dove la casa di Nazareth è stata requisita e i seminaristi maggiori sono internati nel cosiddetto «campo n. 10» che era poi la residenza dei salesiani (la Palestina era protettorato britannico, quindi gli italiani erano considerati nemici, ndr). Proprio in Palestina muore, per febbre encefalica a soli vent’anni, il seminarista Adriano Orsenigo; viene sepolto a Betlemme, presso l’altro giovane italiano Silvio Zappa, deceduto pochi anni prima.

Nel dicembre 1944, sempre a Betlemme, scompare di tisi anche il giovanissimo (26 anni) sacerdote Ercole Corti: di origini bergamasche, aveva appena 9 mesi di messa e dal 1936 mancava dall’Italia.

Colico però non muore, anzi gli apostolini sono ben 35; ai due padri Del Grande e a padre Peppino si sono aggiunti padre Luigi Fondrini, tartanese, e padre Giuseppe Bataini, di origini egiziane, che è il professore un po’ di tutte le materie e che avrà un posto speciale nella storia betarramita italiana.

I 7 novizi invece, non potendo più ormai recarsi né

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in Terrasanta né in Spagna come prima era d’uso per tutta la congregazione, nel gennaio 1941 vengono trasferiti a Roma nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli in piazza del Popolo (i betarramiti l’avevano ricevuta nel 1915, «in cambio» di quella degli Angeli Custodi demolita per far posto a una ristrutturazione urbanistica dell’Urbe) sotto la direzione di quell’Hyppolite Hounieu che già li conosceva per essere stato superiore a Colico.

Conviene ricordarne i nomi: Edoardo Colombini (poi lasciò per ragioni di salute), Luigi e Celestino Gusmeroli, Pierino Donini, Anselmo Ghezzi, Clemente Albusceri, Ireneo Simonetti; c’era anche un fratello che rimase poi diversi anni nell’Istituto, Luigi Modesto Gusmeroli. I primi tre - alla presenza delle Figlie della Croce, delle suore di San Giuseppe e di quelle del Buon Pastore - celebrano la loro vestizione il 23 gennaio di quell’anno, dando ufficialmente inizio al noviziato italiano; gli altri arrivarono a settembre. Le prime professioni - i voti temporanei di castità, povertà, obbedienza - con cui si conclude il noviziato vengono pronunciate il 10 marzo 1942.

Le percentuali di quelli che arriveranno al sacerdozio sono alte: 6 su 7 per il primo ciclo, 2 su 3 per il secondo, 5 su 6 per il terzo.

Padre Bataini inneggia all’opera di Colico, che «nonostante la guerra germoglia e fiorisce in modo straordinario».

Tanta fame e un po’ di paura: il seminario di Colico, posto in una zona cruciale per nazifascisti e partigiani, vive le sue avventure.

«Eppure non abbiamo mandato a casa nessuno»…

I TEMPI DURI DELLA

Ma nel settembre 1942 a Colico gli apostolini sono scesi a 30 e la casa deve ospitare anche i seminaristi di teologia, che non possono più espatriare in Francia o in Terrasanta. Bisogna coltivare i campi disponibili per ricavare da mangiare, come annota il libro della casa alla data 15 settembre 1942: «Quest’anno la raccolta delle patate è stata straordinaria per la nostra proprietà, 74 quintali!»; oppure padre Peppino o padre Alessandro con grosse valigie devono scendere in scomodi e pericolosi viaggi fino a Rho per racimolare al mercato nero un po’ di granaglie per la minestra, come testimonia lo scritto del 28 ottobre: «Si va in cerca di riso a Cerchiate (luogo natale di padre Del Grande, ndr) per poter vivere, perché in casa è rimasto ormai poco o niente».

La guerra si fa più serrata, più vicina, più pericolosa: siamo sotto i tiri dei fascisti e dei partigiani, tra sabotaggi e rappresaglie… La comunità si trova tra due fuochi: in città i nazifascisti, sul monte Legnone i partigiani, che a volte scendono al calar

GUERRA

della notte e si tengono nascosti sul sentiero sotto la proprietà. Dove finiremo? Perquisizioni in casa di prima mattina, con studenti e preti ammassati in un locale sorvegliato da sentinelle: anche soltanto un paio di cannocchiali possono destare sospetti. E d’altra parte non si può negare ospitalità ora al parente di un religioso, ora a un ebreo.

La peggio tocca al parroco, il buon «nonno», che viene messo al muro per essere fucilato dopo che gli è stato trovato in casa il caricatore di un mitra (in realtà l’avevano lasciato i fascisti, perché in canonica accoglieva tutti) e fu salvato in extremis da un capitano che è cappellano militare. Povero «nonno»: lo portarono via in corteo con un militare che sventolava un drappo rosso come segno di tradimento e dovette fuggire fino alla fine della guerra, mentre in casa sua si installarono i fascisti.

Verso gli ultimi tempi i tedeschi cercavano rifugio nella ritirata verso nord. E’ capitato che arrivarono con un macchinone, scesero degli ufficiali, all’entrata guardarono in alto e incontrarono la statua di santa Teresina che li osservava; girarono i tacchi e se ne andarono senza dir nulla… La patrona vegliava su di noi: Deo gratias. Qualche tempo dopo però, in agosto, un colonnello, un maggiore,

1942-1945

un capitano e un sergente fascisti decidono di occupare la nostra casa; noi siamo in ansia, in attesa angosciosa: la casa potrebbe poi essere bombardata dagli Alleati, che ormai hanno cominciato a mettere la Valtellina nel mirino. Per fortuna non si sono più visti, hanno trovato di meglio altrove.

I fatti sono molti: la frazione Laghetto fu incendiata, molte case distrutte, ci furono rastrellamenti con 73 baite di poveri contadini bruciate a Sommafiume, uomini deportati in Germania e non più tornati, qualche fucilazione sommaria di innocenti… Qualche notte si trascorre fuori, si va a dormire nelle stalle. Vi fu però anche un soldato nazista, fratello benedettino, che veniva ad ascoltare la messa e a portarci del buon pane di segale, carne in scatola, uova: era una gran provvidenza, con tutto quel razionamento di viveri. Tornò ancora dopo la guerra: con alcuni giovani andava a Roma in bicicletta per l’anno santo 1950.

Ormai però siamo verso la fine. Gli Alleati sospettavano che la Valtellina fosse il passaggio delle truppe tedesche in fuga, perciò aiutati dai partigiani e con i bombardamenti pensavano di affrettare la fine del conflitto. Il primo mitragliamento è il 9 gennaio 1945. Gli aerei arrivavano di solito nel primo pomeriggio ed erano 4; li avevamo persino battezzati: Picchio che tira diritto, Antonio fa il pandemonio (era il mitragliatore…), quindi Ar-

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turo che martella duro (lanciava le bombe) e l’ultimo senza nome osservava l’opera compiuta. Talvolta si abbassavano anche a mitragliare la povera gente nei campi. Il primo giorno pensavamo a un bellissimo spettacolo offertoci nel cielo: scendevano in picchiata e risalivano veloci, si giravano su se stessi col giro della morte… Eravamo usciti a vedere, quando si sentì il crepitio della mitraglia e ci inchiodò esterrefatti!

Correvamo a raccogliere i bossoli che cadevano copiosi nella nostra proprietà. Mitragliavano autobus, treni; bombardavano stazioni, ponti; risalivano e ridiscendevano la valle. Il 29 gennaio si susseguirono varie ondate, avemmo solo il tempo di prendere qualche libro e di raggiungere, ai piedi del monte Legnone, alcune abitazioni amiche.

Complessivamente caddero 8 o 10 bombe sulla stazione: una donna morta, 5 tedeschi dilaniati, parecchie case distrutte, vagoni sforacchiati, strade sottosopra, pali divelti, vetri rotti anche a casa nostra. Quella notte - particolarmente gelida - fu deciso che avremmo dormito fuori casa, mentre i più grandi facevano il turno di vedetta per dare l’allarme in caso di altre incursioni perché a Colico non c’erano sirene. Se non hanno

lanciato bombe sulla nostra casa è perché sapevano che non c’erano né fascisti né tedeschi. Per precauzione però in quel periodo fino a metà febbraio e poi ancora in marzo durante il giorno fuggivamo nelle case vicine o in cima al paese, o in casa parrocchiale, dove trovavamo molti fascisti e facevamo lezione alla bell’e meglio; a mezzogiorno i più grandi passavano a portare il pranzo. «Nonostante queste difficoltà concludeva padre Bataini - non abbiamo rimandato nessun seminarista».

Anzi la casa diventò il rifugio un po’ di tutti: il dottor Polti e la sua famiglia (9 persone), il capomastro ospitato nel parlatorio.

Un giorno, attraverso il richiamo dell’altoparlante posto sul campanile della chiesa di Colico, fummo obbligati a radunarci tutti nella piazza sul lago. Ricordo ancora quando il capitano fascista Cis (forse un nome di battaglia), battendoci le mani sulle spalle, diceva: «Spalle buone per la Germania!». Penso adesso cosa ci sarebbe successo, noi incapaci e inabili in tutto, mai usciti dai confini betarramiti…

Gli Alleati si stavano comunque avvicinando, perché le incursioni diminuirono e si stava preparando l’ultimo attacco.

L’11 aprile l’equipaggio di un bombardiere alleato, colpito, si lanciò col paracadute e assistemmo a quell’acrobatica manovra nel cielo: credevano di essere in Svizzera, ma solo uno venne catturato.

Il 19 aprile un’azione partigiana uccise un incolpevole operaio che stava lavorando agli ordini dei tedeschi per riparare la linea ferroviaria. Il 27 aprile i nazifascisti puntarono i cannoni del forte di Fuentes contro Colico, per far saltare le case del paese; ma per fortuna non ordinarono il fuoco.

Arrivò alla fine il trionfo dei partigiani, con l’arresto del Duce non lontano da noi, a Dongo sulla sponda opposta del lago il 28 aprile 1945.

Nel cancello del seminario entra Franco, un giovane vicino, che scarica il mitra in aria e grida «Liberi, liberi! Siamo liberi!».

In casa nostra vengono rinchiusi una ventina di poveri soldati tedeschi, bravi papà che a noi davano le gallette, e altrettanti ufficiali fascisti (molti vennero passati per le armi); vennero internate persino una dozzina di ausiliarie, donne al servizio dei fascisti: in piazza a Colico vennero rasate a zero al suono della banda e tornarono da noi vergognandosi molto. Il 30 aprile la nostra casa ospitava oltre 120 persone, tra betarramiti, suore, ospiti e prigionieri, senza contare le sentinelle.

Tutto sembrava finito, ma la ricostruzione doveva costare molti sacrifici.

1942-1945

LA BÉTHARRAM D’ITALIA VUOLE CRESCERE Sono ormai a tutti noti i difficili primordi riguardanti la fondazione dell'opera di Colico: essi avrebbero potuto travolgerla sul nascere (1932-1935), se non fosse stata ispirata dal Sacro Cuore e voluta dal Fondatore.

Sono inoltre noti i consensi da essa suscitati nei dintorni. Ma il vanto dell'opera è di appartenere a Bétharram. In essa inoltre s'insegna con grato amore ad amare Bétharram. La presente pur breve relazione intende illustrare con serena obiettività il recente passato, l'attuale situazione, nonché le future prospettive dell'opera. Il superiore generale poté rilevare personalmente, nella sua visita del 1937, che essa lasciava ben sperare e, nel 1945, che essa aveva raggiunto un soddisfacente sviluppo grazie alla benevolenza divina e alla protezione della Vergine del Bel Ramo.

Lo stato del personale e quello economico costituiscono l'oggetto di questa prima parte. Il personale comprende gli apostolini, i novizi, gli scolastici e i padri. Nel 1936 la Scuola apostolica contava 18 apostolini. Ad essi, nel 1937, se ne aggiunsero altri 16, e 12 nel 1938. Per le ristrettezze economiche si dovette limitare a 7 la media annuale delle iscrizioni; ridotta successivamente a 3 negli anni 1940-1942. Il numero complessivo degli apostolini, dal 1936 al 1945, fu di 85 unità: non si tiene conto ovviamente di quelli rimasti solo per un certo tempo (da alcuni mesi ad un anno), e di quelli accettati in prova.

Il numero di quelli che non hanno perseverato, ritirandosi prima o dopo il noviziato, su 85, tocca le 29 unità (un terzo circa). La media delle defezioni, a dire il vero modesta, scenderà sensibilmente a partire dal 1939 al 1945: su 39 candidati, infatti, solo 7 non hanno proseguito (meno di un quinto). Per la prima volta alla fine dell'anno scolastico 1945-46 i nostri studenti hanno sostenuto l'esame di Stato, con esito positivo da parte di 14 su 21: i rimandati (in una sola materia) hanno poi rimediato nella sessione di ottobre.

Gli apostolini nel corso dell'anno 1946-47 sono complessivamente 39, dei quali 15 nuovi: l'ultima classe annovera 5 aspiranti novizi. Sono 7 i novizi che, in ottobre 1946, hanno iniziato l'anno di prova a Balarin in Francia: tre di essi hanno ultimato il biennio filosofico.

Con l'approvazione di Bétharram abbiamo aperto uno scolasticato (1942) per accogliervi i neo-professi provenienti da Roma, nonostante le non poche incombenti difficoltà, sorretti unicamente dall'amore all'Istituto e dalla certezza di essere finanziariamente sostenuti (ciò che si verificherà con ritardo e solo in parte). Gli scolastici, inizialmente 5, diventeranno 11 alla fine del secondo anno (1943-1944), raggiungendo il numero di 16 nel quarto anno (19451946). Attualmente sono 18, distribuiti in cinque classi (biennio filosofico e i primi tre anni del corso teologico).

Fu indubbiamente inadeguato il numero dei padri negli ultimi trascorsi anni. All'inizio dell'anno 1942-1943 essi erano 5, uno dei quali impegnato a tempo pieno nei rapporti con l'esterno, dovendosi tenere i contatti con le autorità civili per l'approvvigionamento. Si aggiunga il

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ministero da soddisfare, richiesto dalle parrocchie circonvicine, essendo molto apprezzata la nostra collaborazione da parte di parroci. Furono quindi solo quattro i Padri a sostenere l'onere scolastico degli scolastici e degli apostolini: una gravosa incombenza che si protrasse per ben 4 anni, con l'unico obiettivo di mantenere Bétharram a Colico e di servirne gli ideali.

Non è erroneo affermare che, dopo la Provvidenza, fu grazie al nostro prodigarci se l'opera si salvò negli anni 1940, 1943 e 1945, avendo dovuto essa umanamente fallire per la precarietà della situazione economica: solo l'attaccamento a Bétharram garantì la sua sopravvivenza. Basti dire che per provvedere il necessario si arrivò a mettere a repentaglio la vita, sfidando mitragliamenti e bombardamenti. Ancora oggi ci chiediamo come si poté evitare la bancarotta. La prima strategia usata fu quella del «razionamento» relativo ai viveri, al vestiario, al materiale scolastico, al riscaldamento: un razionamento tanto più giustificato quanto meno erano le riserve.

Per alcuni anni ci privammo persino del vino a tavola: solo dopo due anni ci fu servito e unicamente la domenica. La carne costituiva un lusso settimanale. Nel corso di questo trimestre (fine 1946), grazie ad una offerta, siamo riusciti ad acquistare alcuni manuali per gli apostolini e per gli scolastici. Si aggiunga, con le restrizioni, il calo delle entrate: ministero, funerali, vendita del tabacco e di una parte dello zucchero in cambio del pane, offerte dei benefattori. È stato giocoforza smaltire l'esiguo capitale messo da parte lungo gli anni per l'erigenda casa delle suore e la progettata tettoia del cortile: i nostri ragazzi sono costretti ad ammassarsi, in caso di pioggia, nei ristretti corridoi della casa. Ma l'emergenza continua e tende ad acuirsi di giorno in giorno; diminuendo le entrate, diminuiscono le riserve, e per di più i prezzi si fanno sempre più proibitivi. All'infuori delle modeste rette pagate dal nostri apostolini, nessun'altra risorsa, a partire dal mese di maggio 1945, può garantire il nostro domani. Va rilevato che le spese farmaceutiche incidono non poco sul bilancio: le privazioni imposte dall'emergenza rischiano di compromettere seriamente la salute dei nostri giovani scolastici.

La generosità degli amici benefattori, purtroppo, non è più in grado di venirci incontro. Noi continuiamo a sollecitarli. Ma le ristrettezze economiche non hanno risparmiato nessuno. Si cerca di sopravvivere. Ma con quale fatica! Ora più di prima. Più dopo la guerra che durante la guerra. Più nel 1946 che nel 1945. E sicuramente più domani che oggi.

Aumentano le privazioni. Anzi, si acuiscono. I nostri studenti, mancando il pane, dissotterrano le castagne dalla neve. Per 70 persone sono insufficienti 5 litri di latte. I nostri scolastici sono in uno stato di denutrizione che fa temere per la loro salute. Manchiamo praticamente di riscaldamento. E talora con punte di freddo che toccano i 15 gradi sotto zero. Alcuni scolastici pernottano fuori casa. Non disponendo di una residenza propria, le suore occupano alcuni

locali destinati ai ragazzi. Gli accorgimenti usati per fronteggiare l'emergenza possono da un momento all'altro risultare vani. Dovremmo quanto prima rinnovare il vestiario degli scolastici, disponendo essi di abiti piuttosto dimessi. «Tirare avanti» in queste condizioni risulta davvero impossibile!

Il problema (riteniamo) non è quello di tirare avanti, di «vegetare», di sopravvivere a carico dell'Istituto, come prima della guerra: noi intendiamo svilupparci, raggiungere il traguardo di una soddisfacente efficienza. Se non avessimo gli scolastici, adibiremmo diversamente i locali (e l'avremmo già fatto durante la guerra), mettendoli a disposizione di studenti esterni, dando così il via a un collegio in Italia. Le domande non mancherebbero, non essendoci nei dintorni un collegio religioso. Il problema non l'abbiamo affrontato prima della guerra, non disponendo di un organico abilitato. L'obiettivo nostro è che Bétharram s'instauri in Italia.

Avremo 5 sacerdoti fra un anno e mezzo, 13 fra tre anni, 21 tra cinque. E se dovessero essere prelevati, tutti o quasi, è indubbio che l'opera di Colico «vegeterà» e continuerà a incidere sul bilancio della cassa generale.

In sintesi: ci occorrono soggetti italiani, sia in vista delle opere scolastiche che di quelle missionarie, indispensabili come mezzo di propaganda. E' inoltre fuor di dubbio che un eventuale espatrio dei nostri religiosi pregiudicherebbe il reclutamento: le famiglie ci affidano con sempre maggior difficoltà i figli, non potendo noi prospettare loro una fondata speranza di rivederli un giorno, dopo alcuni anni passati all'estero. Ci necessitano quindi i mezzi per svilupparci, almeno fino a quando le nostre opere potranno vivere in autonomia, così da non dipendere più finanziariamente da Bétharram. Ora ci è indispensabile l'aiuto. E' sull'America che noi contiamo. Non siamo intenzionati, va da sé, a dipendere in modo passivo e assistenziale da Bétharram. Lo sviluppo stesso dell'opera e il crescente numero di vocazioni costituiranno una garanzia sicura. per fare fronte anche alle necessità della Congregazione d'America. E' questa, pur sintetica, l'esposizione relativa alla nostra opera di Colico. A nome dei padri e dei fratelli d'Italia esprimo con compiacenza l'auspicio che si attui presto lo sviluppo di Bétharram in Italia. E' Bétharram che tende la mano a Colico e vuole che si attui quanto prima la diffusione del S. Cuore in Italia, come è già avvenuto altrove.

Bétharram non è per noi solo un nome amatissimo e veneratissimo. Bétharram è il nome di una famiglia alla quale dobbiamo e vogliamo procurare in Italia, come nelle altre parti del mondo, un'intensità di vita, nonché un sempre più crescente sviluppo, in linea con le grandi aspirazioni del Fondatore. Siamo convinti che l'opera di Colico è l'opera di Bétharram, come l'opera di Bétharram è quella della Chiesa e del Sacro Cuore. A Colico abbiamo vissuto la povertà, e vogliamo continuare a viverla. E' grazie alla povertà e all'unione tra i membri della comunità che l'opera di Colico è sopravissuta e si è sviluppata. Pur volendo continuare a vivere nella povertà, vogliamo nel contempo uscire dalla miseria, in contrasto con la povertà religiosa e con ogni possibilità di crescita.

Alessandro Del Grande relazione letta a Bétharram durante il Capitolo generale, gennaio 1947

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DA NORD A SUD, 110 ANNI DI TRASLOCHI APOSTOLICI Traona (So)

residenza: 1904-1911

Roma

chiesa Angeli Custodi: 1904 - 1915 chiesa Santa Maria del Popolo: 1915 parrocchia Santa Rosa da Viterbo: 1962 - 2006

Monteporzio Catone (Ro)

seminario: 1953 - 1987 casa-famiglia Villa del Pino: 1992 -

Colico (Lc)

seminario Santa Teresina: 1928 - 1956 collegio Sacro Cuore 1946 - 2003 casa Cornelio: 2003 -

Albiate (Mb)

seminario: 1947 - 1972 residenza Madonna del Bel Ramo: 1972 -

Lissone (Mb)

parrocchia Sacro Cuore: 1952 -

Albavilla (Co)

seminario San Giuseppe: 1955 - 1986 casa di accoglienza: 1998 - 2010

Gravedona (Co) Valsolda (Co) Albavilla (Co) Montoggio (Ge)

scuola Tre Pievi: 1957 - 1975 santuario della Caravina e varie parrocchie: 1960 - 2003 centro Betarramita: 1967 santuario: 1967 - 1968

Orvinio (Ri)

parrocchia San Nicola: 1967 - 2009 casa estiva delle Pratarelle 1972 - 2014

Bormio (So)

rettoria Sant’Ignazio: 1968 - 2016 liceo scientifico Alberti: 1968 - 1989

Teggiate (So) Busto Arsizio (Va) Pozzaglia Sabina (Ri) Montorio in Valle (Ri) Bema (So) Albonico (Co) Castellazzo di Bollate (Mi) Frascati (Roma) Giussano (Mi) Ponte a Elsa (Fi) Montemurlo (Pt) Pracchia (Pt) Premosello Chiovenda (Vb) Niem (Centrafrica)

casa di vacanze 1971 pastorale del lavoro: 1973 - 1991 parrocchia San Nicola: 1973 parrocchia Santo Stefano: 1973 parrocchia San Bartolomeo: 1975 parrocchia di San Sebastiano: 1975 parrocchia San Guglielmo: 1976 residenza 1977 pastorale parrocchiale: 1977 - 1983 parrocchia Santo Stefano e altre: 1978 parrocchia Sacro Cuore e altre: 1980 varie parrocchie: 1982 - 1987 parrocchia Santa Maria Assunta: 1983 - 1991 missione: 1986 -

Bouar (Centrafrica)

parrocchia Nostra Signora di Fatima: 1996 centre Saint-Michel: 2010 -

Milano

parrocchia Sant’Ilario: 1986 - 2015

Sala Baganza (Pr)

casa di formazione: 1987 - 1998 parrocchie Barbiano e Baganza 1999 - 2003

Vergiate (Va) Mariotto (Ba) Bitonto (Ba) Parma Bouar

residenza 1988 - 1989 parrocchia Santissima Addolorata: 1988 - 2010 parrocchia Ss. Sacramento: 2000 - 2011 parrocchia Sant’Andrea in Antognano: 2003 centre Saint-Michel: 2010 -

Albiate, Albavilla e Lissone al Nord, Monteporzio Catone presso Roma… La vitalità della giovane realtà italiana è esplosiva. Una primavera che promette di dare molti frutti

LE FONDAZIONI DEL BOOM Si riprende con 6 novizi a Roma e 19 studenti in teologia a Colico, perché - pur se avevamo il passaporto col timbro del nuovo re (per poco) Umberto II - a causa del rientro degli ebrei in Israele ci fu negato il permesso di trasferirci laggiù. Alcuni devono adattarsi a dormire nella vicina casa della Marietta, perché gli apostolini sono più di 30 e non c’è spazio; anzi, la casa ospita persino il primo collegiale: Dionigi Castelli di Rho; diventato ragioniere e impiegato di banca, nel 1994 - già padre e nonno - sarà ordinato diacono permanente. Nasce proprio allora infatti la scuola anche per i laici: la media verrà autorizzata dal ministero nel 1951 e durerà sino al 1995, portando alla licenza migliaia di alunni, la superiore per geometri parte invece nel 1967 e in trent’anni diploma 643 giovani; gli alunni conosceranno una crescita esponenziale che porterà negli anni Settanta a una media di 250 iscritti, di cui oltre 100 residenti in collegio, con un ricambio di 60-70 unità l’anno.

Il 1947 è un anno particolare per tre importanti avvenimenti per i betarramiti italiani. Anzitutto al Capitolo generale partecipa per la prima volta un religioso italiano, padre Alessandro Del Grande, all’epoca superiore della casa di Colico. Poi le grandi feste per la canonizzazione del fondatore, introdotta nel 1899, che avviene il 6 luglio sotto Pio XII: tutti i seminaristi maggiori si recano a Roma.

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Terzo: il 26 settembre avviene l’entrata ufficiale dei primi 20 studenti di teologia nella nuova residenza di Albiate, in Brianza, nella storica villa Tanzi ribattezzata Scolasticato San Michele, che sarà la sede del seminario maggiore e dall’anno seguente anche del noviziato. Inoltre a fine maggio per la prima volta 9 studenti di teologia italiani avevano ricevuto gli ordini minori in patria, nel Duomo di Como, poi a luglio altri giovani indossavano la veste a Colico: ormai si è pronti per la grande espansione. Padre Amedée Brunot, storico della congregazione, commenta: «Felice Bétharram d’Italia!

Ne siamo quasi un po’ gelosi».

Nell’agosto di quell’anno, in effetti, il superiore generale scrive sulla Nef: «Siamo alla vigilia di un’esperienza decisiva e cruciale. Bisogna che riesca bene! Noi vogliamo la suddivisione dell’istituto in province nazionali e vogliamo: 1) che formino un corpo unico e che si guardi ai superiori e ai Capitoli generali; 2) che le province siano occasione di sviluppo di Bétharram nel mondo, mantenendo la nostra identità».

Passa poco tempo e nel settembre si dichiara: «Portiamo ufficialmente a conoscenza di tutti i membri della congregazione che

l’Istituto è d’ora in poi suddiviso in due province, Francia e Argentina, e in tre viceprovince: Italia, Inghilterra e Sudamerica (Uruguay, Paraguay, Brasile) e una missione dello Yunnan (Cina)».

E’ un passaggio storico: per crescere, i betarramiti italiani avevano bisogno d’autonomia. Nasce persino una piccola rivista, «La carriola», per tenere collegate le due case di Albiate e Colico: il titolo significa che dentro ci può stare di tutto, anche le barzellette, ma è un vocabolo usato anche dal fondatore («En avant toujours, tirez la cariole!»). Il giornalino durerà fino al 1950, per lasciare poi il posto al più dignitoso «Bel ramo» che uscirà fino al 1963.

Il superiore generale di ritorno dalla Palestina visita le case italiane: «Quale vitalità!

Che speranza per questa provincia, che per ora comprende solo la scuola apostolica di Colico con collegiali e lo studentato San Michele di Albiate. Colico conta una quarantina di apostolini e Albiate 24 scolastici e 3 padri. Presto si aggiungerà anche padre Marco Gandolfi, che sta prendendo il dottorato in teologia a Roma e presto avremo 6 novelli sacerdoti che hanno fatto tutto il seminario in Italia. Si pensa che ogni anno Albiate possa dare dai tre ai 4 sacerdoti; potranno così aprire un collegio e dare aiuto all’America e alla missione in Cina. Rendo pubblica testimonianza ai padri Virginio e Alessandro Del Grande che col loro spirito di povertà, di semplicità, di generosità ci

hanno portato a questi traguardi».

Ad Albiate i fondatori sono tre: padre Peppino Airoldi (che sostituisce padre Virginio, rimasto solo poco tempo), padre Bataini e padre Fondrini (proprio ad Albiate si manifestano le avvisaglie della malattia polmonare che non lo lascerà più fino alla morte), raggiunti nel 1948 da padre Alessandro col doppio incarico di superiore provinciale e maestro dei novizi. I chierici vanno a fare pratica nei vari oratori dei dintorni e si prestano per i funerali portando a casa qualche offerta preziosa per mantenersi (all’epoca vigevano ancora le «classi»: le esequie erano tanto più importanti quante più tonache si vedevano nel corteo…). Anche Colico, sotto il nuovo superiore Giovanni Trameri, si allarga con una lunga tettoia per riparare i ragazzi nei giorni di pioggia, aggiunge una casetta per le suore e il guardaroba e progetta l’innalzamento di un piano (il diario di comunità il 6 ottobre 1948 riporta: «La casa è piena a scoppiare. La sola prima media conta una trentina di iscritti»), che però si

1946-1952

compirà di fatto solo nel 1955.

L’Italia dà ancora missionari: padre Luigino Gusmeroli parte per la Cina, da sempre suo sogno, poco più tardi Ireneo Simonetti e un altro Luigi Gusmeroli, si imbarcano per il Brasile, seguiti nel 1949 dal novello sacerdote Giovanni Orlandi e ancora un anno più tardi - da Andrea Antonini. Le ordinazioni si susseguono abbondanti di anno in anno: due nel 1949, 4 nel 1950, ancora 4 nel 1951.

Il seminario maggiore acquista una fisionomia sempre più solida: mentre padre Bataini torna in Francia, il corpo professorale conta ben 7 sacerdoti betarramiti, tutti italiani; Albiate è ormai il centro della vitalità betarramita nel nostro Paese, alla fine della sua attività di seminario nel 1972 avrà sfornato 60 sacerdoti su 120 chierici passati per le sue mura. Il superiore generale sulla Nef del 1948 esulta: «E’ il tempo del boom». Padre Fondrini aggiunge: «Sotto il segno della Provvidenza la vice-provincia italiana è in marcia verso un avvenire che si annuncia bello, pieno di magnifiche promesse coi suoi 40 apostolini, 6 novizi e 24 scolastici e circa 20 padri».

Il 13 maggio 1951 il giovane Luigino Gusmeroli, appena 28 anni, muore annegato in un fiume dopo soli due anni in Cina. Aveva scritto: «Voglio essere vittima per la missione»; di lì a poco comincerà la tragedia degli arresti e delle espulsioni dei missionari betarramiti; il veterano italiano padre Fognini riesce a scappare per tempo in Birmania, Gioacchino Spini invece sarà l’ultimo ad andarsene nel marzo 1952, insieme al primo vescovo betarramita Lucien Lacoste e a suor Albina, sorella di padre Trameri. Molti dei reduci dalla Cina cominceran-

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no una nuova missione nel nord della Thailandia, dove hanno lavorato anche 6 missionari italiani - 4 dei quali tuttora attivi.

Ad Albiate le bocche da sfamare sono molte e ci si arrangia come si può. Passeranno alla storia le mentine al fluoro del dentifricio Clorodont: scolastici e padri, 35 persone, sono impiegati ogni sera per mesi a inscatolare - al ritmo di 20.000 scatolette al giorno (il record singolo è 18 scatolette in un minuto!) - le caramelline che poi saranno allegate al tubetto di dentifricio, un contratto trovato da padre Airoldi e che aiuta molto ad arrotondare il bilancio; il futuro prete Celeste Perlini è l’anima dell’iniziativa, provvede anche a portare a destinazione il prodotto finito a bordo di un triciclo a pedali e in tre mesi si raggiunge il primo milione, una manna per pagare i debiti.

Altro avvenimento importante: si mette piede in quel di Lissone, grande centro del mobile presso Monza. Ad andarci per primo è padre Airoldi, seguito da Gioacchino Spini reduce dalla Cina e da parecchi altri: Giacomo Ghislanzoni (ordinato insieme a Renato Antonini dal vescovo Lacoste ad Albiate nel 1953), Mario Bulanti, Marco Soroldoni, Ireneo Simonetti, Arnaldo Guerra… Il loro compito - per il momento - è aiutare nella pastorale dell’unica parrocchia del popoloso centro; poi l’intenzione sarebbe quella di aprire una scuola secondaria come a Colico. Ma noi sappiamo che sarà altrimenti.

Quasi per caso arriva anche un santuario: quello della Caravina nei luoghi dello scrittore Fogazzaro sul lago di Lugano. E’ il cardinale stesso di Milano, Montini, ad affidarlo ai betarramiti

UN POSTO PER LA

MADONNA

L’Italia è sempre meglio considerata anche a Bétharram. Padre Trameri lascia Colico, dove superiore diventa padre Calzoni, e agli inizi del 1953 assume a Roma l’incarico di procuratore presso la Santa Sede - in pratica il collegamento tra Vaticano e congregazione; parteciperà al Capitolo generale insieme a due altri italiani, padre Alessandro e padre Silvio. Viene nominato il nuovo superiore della vice-provincia in «miracoloso progresso»: si tratta di padre Marco Gandolfi, che terrà l’incarico per ben 16 anni, fino al 1969.

Nel settembre 1953 padre Alessandro (poco dopo sostituito da Angelo Pessina) conduce il primo gruppo di novizi a Monteporzio Catone, nei Castelli romani, in una panoramica dimora storica della famiglia Borghese, fondata addirittura nel 1648 e nota come «Villa del Pino» per il maestoso e trisecolare pino marittimo che la decora - almeno fino alla sua morte, avvenuta l’anno seguente. La villa era stata donata (secondo altre fonti fu invece acquistata) a padre Saubat nel 1929 da un ufficiale fran-

cese e per un certo periodo negli anni Quaranta era servita come noviziato delle Figlie della Croce o addirittura affittata a privati.

Continua la preoccupazione di trovare un nuovo seminario minore, poiché il collegio laico di Colico ha avuto anche l’approvazione statale e conta ormai 67 alunni (contro 37 apostolini); si tenta una separazione fisica tra i due corsi, ma non può che essere una soluzione provvisoria: tra l’altro, se i seminaristi troveranno altra sistemazione, il collegio del Sacro Cuore potrà ospitare anche 100 alunni. Occorre urgentemente una nuova «scuola apostolica» e la si trova ad Albavilla (Co), in una vasta e panoramica villa di origini addirittura cinquecentesche; padre Alessandro, che aveva seguito a Monteporzio i novizi in qualità di «maestro», viene richiamato al Nord per esserne il superiore e l’anima: cosa che farà per 40 anni fino alla chiusura della casa stessa. Ma chi varca il cancello in quel 1955 incontra barricate di mattoni e sabbia: si lavora per adattare la casa alla nuova funzione e si continua anche quando inizia l’anno scolastico, tanto che gli studenti di II e III media devono tornare provvisoriamente a Colico e ad Albavilla restano solo 11 «pionieri», in una casa aperta a ogni

1953-1961

vento e dove l’acqua per lavarsi al mattino gelava nelle bacinelle. Siamo intanto nel 1955 e Albiate continua a sfornare sacerdoti; ora tocca ai padri Lino Illini, Egidio Zoia, Antonio Cattaneo e Celeste Perlini. I betarramiti italiani superano ormai la trentina, così suddivisi: ad Albiate, col superiore Gandolfi, ci sono Celestino Gusmeroli, Angelo Petrelli, Enrico Mainetti, Ernesto Colli, Esterino della Valle e il novello Celeste Perlini; a Colico il superiore padre Silvio con Giovanni Gavazzi, Virginio Del Grande, Mario Bulanti, Renato Antonini, Delfino… Deboli; a Lissone con padre Airoldi abitano Arnaldo Guerra, Ireneo Simonetti, Gioacchino Spini; a Monteporzio il superiore è padre Angelo Pessina contornato dai confratelli Luigi Fondrini e Anselmo Ghezzi; nella neo-fondazione di Albavilla infine ben 8 religiosi: padre Alessandro con Enrico Gusmeroli (rientrato in patria dopo un decennio in Argentina), Giorgio Aggio, Mario Soroldoni, Piero Donini, Giovanni Duca, Lino Illini, Egidio Zoia. Nomi che agli affeziona-

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ti del piccolo mondo betarramita diranno più di qualcosa. Ma non ci si ferma certo a compiacersi dei progressi compiuti. Di lì a poco a Lissone la comunità può trasferirsi dai locali posticci della prima residenza (casa Arosio) a Villa Sant’Angelo, una bella abitazione messa a disposizione dal benefattore ricco industriale Angelo Cagnola: il quale donerà anche il terreno per costruire una nuova chiesa alla periferia della città.

Il commendator Cagnola scompare nel 1956, praticamente insieme al prevosto don Gaffuri: un altro Angelo che è stato uno dei più insigni amici di Bétharram nella località brianzola. Ai betarramiti viene offerta pure la gestione della scuola media Tre Pievi di Gravedona, sulla sponda del lago di Como opposta a quella di Colico; Pierino Donini e Giovanni Gavazzi sono i primi inviati ad occuparsi dei 60-80 allievi che la frequentano.

Il 28 aprile 1957 l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini benedice la prima pietra della chiesa di Lissone, che lui stesso vuole intitolata al Sacro Cuore anche in occasione del centenario dell’istituzione della festa liturgica dello stesso; non stiamo nemmeno ad elencare tutte le autorità presenti quel giorno, l’evento è stato annunciato persino alla radio nazionale.

Il discorso del futuro Paolo VI fu come sempre preciso e cordiale: «Chiamandola prima pietra, vuol dire ultima». Anche il primo camion di materiale arriverà nel cantiere proprio il giorno del Sacro Cuore: la provvidenza (grande devozione del fondatore padre Peppino) è sempre puntuale!

Il 1958 è l’anno del passaggio di Bétharram italiana da vice-provincia a provincia; il decreto uscirà dal Capitolo generale nel luglio di quell’anno e sarà proclamato ufficialmente il 14 ottobre: quanta strada è

stata compiuta! Il primo Consiglio provinciale è costituito da padre Gandolfi (superiore), Alessandro Del Grande (assistente), Clemente Albusceri (economo), Celestino Gusmeroli (consigliere), Angelo Petrelli (consigliere segretario).

Ad Albiate si vende parte del parco e col ricavato si costruiscono due grandi saloni per gli studenti, oltre a una tettoia per i giorni di pioggia. Albavilla scoppia di salute: 45 piccoli seminaristi, di cui 17 nuovi, 8 padri, 2 suore. Anche Colico deve rifiutare alcuni alunni, perché ha già raggiunto il tetto massimo di 110 (per il momento). E’ da ricordare la «grande missione» della città di Milano, proclamata dal cardinale Montini, nella quale anche i betarramiti sono mobilitati per predicazioni in ogni genere di luogo: officine, carceri, ospedali…

Ormai la Bétharram italiana è troppo avanzata ed estesa per poterne seguire dettagliatamente tutte le opere. Lissone fatica a portare avanti la nuova chiesa: quasi sempre molti promettono aiuto, però poi si tirano indietro. Nel 1959 il superiore

1953-1961

provinciale stesso si trasferisce nella nuova parrocchia, proprio mentre si smantellano le impalcature e appare la mole cilindrica del tiburio in cemento: «Dev’essere una bella chiesa - commenta la gente -; moderna, s’intende!». Anche Colico non molla con le costruzioni: ora è la volta di un nuovo corpo su tre piani che comprenderà la palestra, il refettorio, aule, la sala professori, uffici e stanze; ai betarramiti già residenti, si aggiungono i padri Lino Gurini e Marco Soroldoni per seguire gli ormai 180 collegiali, di cui 155 interni.

Il fratello maggiore di quest’ultimo, padre Mario, inizia sulla rivista della provincia «Bel Ramo» la pubblicazione della vita romanzata del fondatore san Michele Garicoits, sotto l’accattivante titolo «Sarei diventato un assassino». La rivista ha ormai 10 anni di vita, sembra in pieno rigoglio ma durerà solo altri tre anni e poi chiuderà - pare per motivi finanziari. Tuttavia lo scolasticato di Albiate inizia le pubblicazioni di “In cordata”, che durerà un po’ di più: fino al 1966. Il superiore generale padre Joseph Mirande compie la visita canonica in Italia ed ammira ad Albavilla la cappella decorata di fresco da padre Marco Soroldoni; ad Albiate invece gli affreschi dell’annunciazione sono del pittore Franco Vasconi. Anche parecchi missionari italiani in America Latina tornano volentieri a vedere da vicino questa provincia che fa tanto parlare di sé: tra gli altri Angelo Bernasconi, Paolo Negroni, Carlo Gusmeroli, Lino Illini. Arriva ancora un’altra fondazione: il santuario della Vergine della Caravina, sul lago di Lugano, con annesse alcune piccole parrocchie della Valsolda (Cressogno, Albogasio con Oria, Puria con Dasio,

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Castello, Loggio con Drano); mancava proprio un posto per la Madonna, dopo due intitolati al Sacro Cuore (Colico e Lissone), uno a San Giuseppe (Albavilla) e uno a san Michele (Albiate).

Avviene così. Padre Guerra - all’epoca impegnato a Lissone - si trova a Milano in Duomo per una funzione religiosa, incontra monsignor Ennio Bernasconi (che all’epoca era prevosto della basilica di Sant’Ambrogio ma prima era stato molti anni anche lui a Lissone) il quale gli chiede se per caso è presente anche padre Airoldi; alla risposta affermativa, lo fa chiamare e gli dice: «Vorrei affidare a voi il santuario della mia fanciullezza» (era infatti nativo di Porlezza, in Valsolda). Se ne parla subito col superiore Gandolfi e poco dopo sono già pronti i nomi dei fondatori: Giorgio Aggio, Virginio Del Grande, Ermanno Rasero e il fratello laico Fiorenzo Trivelli. Il cardinal Montini invia la benedizione e il ringraziamento. Viene ventilato un nuovo impegno anche in Piemonte, precisamente a Pontestura, ma poi si soprassiede. Finalmente la chiesa del Sacro Cuore in Lissone può essere inaugurata: nel giorno del Sacro Cuore, il 9 giugno 1961, il prevosto la benedice solennemente, poi il giorno dopo il cardinale Montini procede al rito di consacrazione: coi nomi dei santi e le loro reliquie, nell’altare c’è pure quella del fondatore. Ovviamente primo parroco è nominato padre Giuseppe Airoldi.

I primi anni Sessanta sono quelli del Vaticano II, ma per i betarramiti italiani anche quelli del primo Capitolo nazionale. La famiglia cresce, ma conta anche i suoi primi lutti.

NEL VENTO DEL

CONCILIO

Un lutto colpisce la provincia: l’8 ottobre 1961 muore improvvisamente padre Virginio Del Grande, una figura storica di Bétharram in Italia; solo 3 mesi prima aveva festeggiato il 25° di sacerdozio ed era diventato superiore della comunità della Caravina, lasciando Colico: un passaggio traumatico che non pochi vedranno tra le cause del suo malore. Sarà rimpiazzato a Colico da Livio Borghetti (che ci rimmarrà 40 anni) e sul lago di Lugano da Enrico Gusmeroli, già missionario per quasi un decennio in Argentina. Lo stesso anno muore anche Bambina Gorgia, la buona mamma che ha dato ben 4 figli (i Soroldoni: Mario, Marco, Ezio e Graziano) alla congregazione, oltre a una figlia divenuta suora.

Le scuole betarramite continuano a crescere: gli apostolini di Albavilla raggiungono il numero record di 62 (nei 35 anni di attività della scuola saranno circa 300 i suoi studenti: 39 sono diventati religiosi betarramiti, altri 5 in altre congregazioni o preti diocesani), a Colico gli iscritti sono addirittura 200. Siamo alla vigilia di un avvenimento che si profila come il maggiore del secolo per la Chiesa: il Concilio Vaticano II,

iniziato sotto la spinta dello Spirito e la semplicità innocente di Giovanni XXIII. E’ una speranza per tutti, un’apertura di visuale mai sospettata, ardita.

Anche Bétharram e la provincia italiana ne trarranno grandi frutti. E nell’aria ci sono già anche i preparativi per il centenario della morte di san Michele Garicoits, avvenuta nel 1863; al sacerdote scrittore don Giovanni Barra è stata commissionata una interessante e popolare biografia del fondatore, che uscirà col titolo “Atleta di Dio” con l’introduzione dell’arcivescovo Montini.

«La provincia italiana non ha mai finito di meravigliarci», scrive il superiore generale padre Mirande sulla Nef all’inizio del 1962, commentando l’ennesima nuova fondazione.

Si tratta di una parrocchia sulla via Cassia a Roma, presso le Figlie della Croce, la parrocchia di Santa Rosa da Viterbo con circa 5000 abitanti; già si fa il nome di Pierino Donini, al momento superiore a Gravedona (che ormai arriva intorno agli 80 studenti), come primo parroco betarramita, insieme a Carlo Ruti. Sarà il potente cardinale Giusto Traglia a presiedere la presa di possesso, tessendo l’elogio dei betarramiti che ha conosciuto soprattutto quand’era in Vaticano nella Congregazione dei Riti come «avvocato del diavolo» (la parte di «accusa» nei processi di canonizzazione) per le cause

1962-1967

di Garicoits e suor Giovanna Bichier des Ages, cofondatrice delle Figlie della Croce.

Lissone ha evidentemente aperto una strada, che appare più che mai fiorente: all’équipe nella città brianzola si sono aggiunti i giovani padri Angelo Pajno, liturgista e musico, Giulio Forloni, Angelo Bianchi e fratel Luigi Giorgetti, mentre si sta lavorando alla costruzione della canonica e del complesso parrocchiale. Proprio a Lissone il superiore generale vuol radunare i superiori di tutte le case italiane al termine della sua visita nella Penisola, nel giugno 1962.

Il 1963 è l’anno del centenario della morte di san Michele, celebrato ufficialmente ad Albiate da un intervento dell’onorevole democristiano brianzolo Vittorino Colombo e da un discorso celebrativo di don Felice Milanese, autore del volume «Si può ancora essere cristiani?». Per l’occasione il miglior conoscitore del fondatore, padre Pierre Duvignau, viene in Italia a predicare gli esercizi spirituali ai confratelli. E’ anche l’anno della morte del papa Buono e dell’elezione di Paolo VI, grande amico di Bétharram, dove era anche stato in pellegrinaggio l’anno precedente passando per recarsi a Lourdes; a Milano gli succede il cardinale Giovanni Colombo, altra figura amica che conosceva Bétharram.

La fioritura italiana continua: i novizi a Monteporzio sono ben 8, forse il numero più alto mai toccato. Il 30 marzo 1964 si apre il primo Capitolo provinciale italiano: una data fondamentale, perché è in queste occasioni che si rovesciano tutte le idee, i problemi e i travagli che poi contribuiscono a formare il volto della comunità. E’ bene perciò

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ricordare i partecipanti, insieme ai 5 padri che costituivano il Consiglio (già prima nominati), divisi in «superiori» e «inferiori» (!), una coppia per ogni zona di provenienza: Airoldi, Calzoni, Angelo Pessina, Zoia, Fondrini, Ezio Soroldoni; in tutto 11 partecipanti. La Nef alla fine del Capitolo scriverà: «Sono state discussioni franche, serie e caritatevoli». Secondo la relazione di padre Zoia l’attenzione è stata rivolta soprattutto al tema urgente della formazione dei giovani; si chiede l’elezione di un «vocazionario» (un addetto alla ricerca di vocazioni, appunto), nel caso coadiuvato da un confratello, e si ritiene opportuno un direttorio per la scuola apostolica, mentre si boccia l’idea di un pre-seminario per i bambini di quinta elementare. Tra le altre questioni discusse: la richiesta di riconoscimento della provincia come ente giuridico da parte dello Stato, la pubblicazione di una nuova rivista che sostituisca «Bel Ramo», l’opportunità che i giovani sacerdoti possano continuare gli studi anche dopo l’ordinazione fino a conseguire la laurea. Per l’appunto in quell’anno ci sono 4 nuove ordinazioni; Antonio Canavesi, Giuseppe Lietti, Gianluigi Spiller e Domenico Canciani (gli ultimi due lasceranno poi il sacerdozio). A Monteporzio, dove padre Fondrini malgrado la salute precaria inizia il secondo triennio di «maestro» (ma dovrà poco dopo essere ricoverato in sanatorio a Sondalo), entra in

noviziato anche un già anziano (54 anni) contadino valtellinese: fratel Nicola Cantoni, esempio di pazienza, umiltà, preghiera e semplicità nonché laboriosità fino alla morte, avvenuta nel 1980 alla Caravina.

L’estate 1964 porta una terribile tragedia ai betarramiti italiani: la morte per annegamento nel lago di Lugano di padre Ezio, a soli 34 anni; lui che aveva scritto una poesia sulla morte «dagli occhi verdi», dolce e attraente figura di sacerdote e religioso, da non dimenticare. La provincia italiana dovrà sopportare anche altre disgrazie, come la prematura scomparsa a Lissone nel giugno 1967 di padre Renato Antonini, 38 anni, e gli incidenti d’auto in cui soccomberanno padre Esterino Della Valle (1969) e fratel Davide Sartirana (1970).

Il 1965 si distingue per un evento singolare: i novelli sacerdoti sono 5, ma ben 4 diventeranno missionari; a parte Ennio Bianchi, l’unico «domestico», Arialdo Urbani va prima in Thailandia e poi in Africa, Alberto Pensa in Thailandia, Luigi Speziale per una vita in Terrasanta, Mario Zappa in Centrafica (dopo un paio di decenni trascorsi da formatore in Italia). Padre Mario Soroldoni, musicista, è anche scrittore: pubblica «Un diavolo in collegio» (una specie di Gian Burrasca cattolico) e «Cristo non si vende», meditazioni in pillole. E’ difficile seguire la girandola di cambiamenti di residenza dei vari religiosi: ogni anno la com-

posizione di molte comunità cambia, segno di vitalità ma forse anche di improvvisazione. Dal Brasile rientrano due italiani: Andrea Antonini, destinato a Monteporzio, e Giovanni Orlandi, a Lissone.

Proprio a Lissone il 12 giugno 1966 il cardinale Colombo consacra la chiesa del Sacro Cuore: un vero trionfo. La casa di Colico viene ancora ampliata con una nuova ala a due piani. Ad Albavilla si mettono gli occhi su villa Dubini, bella casa contigua al seminario: nel 1967 alla morte dell’unica anziana abitante si decide di acquistarla per collocarvi un gruppo di missionari; la residenza assume il nome di Centro Betarramita e ha come superiore padre Angelo Pessina, avvicendato al seminario minore da padre Davide Villa. Alla Caravina, superiore Giorgio Aggio, il santuario rilanciato ospita molti pellegrinaggi, quasi uno al giorno nella bella stagione, e per la prima volta si radunano tutti i malati della zona per la benedizione sul modello di Lourdes. Si tenta la gestione anche di un altro santuario, quello delle Tre Fontane a Montoggio, sulle montagne in provincia di Genova: padre Gavazzi è nominato rettore, insieme ai padri Guerra e Albino De Giobbi, ma l’esperimento dura soltanto 8 mesi… L’avventura era nata a Bétharram, dove il provinciale padre Gandolfi aveva incontrato il parroco di Montoggio in pellegrinaggio: «Questo santuario assomiglia al mio - aveva detto il sacerdote - mi piacerebbe darlo ai betarramiti». Il sogno era bello, ma per diverse circostanze burocratiche e nonostante la gente si fosse affezionata alla piccola comunità, non fu poi possibile portarlo a compimento. Peccato!

1962-1967

L’ORGOGLIO DI ESSERE BETARRAMITI Pensare adesso come si viveva in comunità negli anni '50, sembra di essere lontani anni-luce, pur potendo notare una certa continuità e pur dovendo convenire che ora non saremmo così, se allora non fossimo stati come eravamo.

In Albiate e dintorni, si diceva al nostro arrivo: «Sono arrivati i frati!». Ben presto però ci si accorse che questi frati, che si facevano chiamare padri, perché frati non erano e dei preti non avevano la parrocchia, erano persone di una categoria che non si conosceva. Alcuni erano sacerdoti e prestavano servizio nelle parrocchie per predicazione, confessioni, conferenze, altri chiamati anch'essi padri, nonostante la loro giovane età (dai 18 ai 25-26 anni) - facevano di tutto. Si era all'epoca dei preti-operai in Francia e alla fine di una guerra disastrosa. Si vedevano questi giovani padri lavorare, indossando una veste, facendo da muratori, falegnami, elettricisti, imbianchini, idraulici. Ma poi all’occasione diventavano diaconi, assistevano ai funerali, facevano il catechismo all'oratorio, si prestavano alle varie funzioni nelle parrocchie, organizzavano dei presepi che erano una meraviglia.

Si facevano notare anche perché praticavano lo sport (calcio, pallavolo, tennis da tavolo) con una certa grinta e un minimo di classe. Si vedevano camminare e/o pedalare in giro per i paesi vicini per vendere i biglietti della lotteria, o per presentare la merce confezionata, come si direbbe ora, a part-time. La povertà era veramente la loro prerogativa. Lo si vedeva anche dal loro modo di vestire molto dimesso, dall'abitare una casa senza riscaldamento, dal loro viaggiare quasi sempre a piedi o con qualche bicicletta regalata! Questo era ciò che appariva all'esterno. Poi i tempi sono mutati! Pur con tanti disagi e lavori per sopravvvere, si viveva bene in comunità. La provvidenza non è mai mancata e sarebbe impossibile fare l'elenco di quelle persone di cui la provvidenza si è servita e alle quali va ancora oggi il nostro ringraziamento più sincero. La solidarietà regnava fra tutti, l’allegria non mancava, la carità ci univa saldamente e si era contenti di essere dei «Padri di Albiate», anche se poi all’esterno non ci conoscevano neppure con i nostri nomi propri. Quante lezioni di teologia imparate sugli appunti scritti a mano, perché non c'erano i testi! E che dire della biblioteca, composta di qualche libro «ereditato» da chissà chi, ma che, ben presto, sarebbe diventata rispettabile? Certo non mancavano momenti di tensione! Il cambio di mentalità tra le generazioni - padri, scolastici, docenti, alunni - per noi era accentuato anche dal fatto che i padri avevano vissuto il loro periodo di formazione lontani dall'Italia; quindi mentre ci comunicavano un'esperienza che spaziava al di fuori dei nostri confini e favoriva saldi rapporti con la casa-madre di Bétharram e le altre case dell'Istituto sparse per il mondo, talvolta la realtà della Chiesa in Italia non veniva

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focalizzata completamente. Inoltre il passaggio dalla guerra al periodo della ricostruzione era per noi anche il passaggio dall'infanzia all'adolescenza e giovinezza dell’Istituto in Italia. Si diventava in breve tempo vice-provincia e poi provincia religiosa, legata sempre all'intera Congregazione, ma indipendente per quanto riguardava l’amministrazione.

Albiate dava i suoi frutti: i giovani, ďŹ nito il seminario e diventati preti, partivano per le altre case dell'Istituto che si venivano costituendo in Italia; altri poi partivano oltre confine per le altre case della Congregazione: Cina e Thailandia, Brasile e Uruguay.

Ovunque andassero, questi giovani betharramiti portavano il loro entusiasmo di consacrati per la causa del Signore; entusiasmo che avevano accumulato nella casa di Albiate; e Albiate, per mezzo loro, veniva conosciuta nel mondo intero.

Egidio Zoia, betarramita, Castellazzo

La contestazione studentesca coglie la Bétharram italiana nel pieno della sua crescita: 60 suoi religiosi hanno meno di cinquant’anni e non sono certo insensibili alle nuove istanze nella società e nella Chiesa

IL SESSANTOTTO È DEI GIOVANI Intanto siamo nei pressi del Sessantotto e si vedono i primi segni del declino di vocazioni: i seminaristi maggiori, che si sono trasferiti a Monteporzio per seguire i corsi delle università pontificie a Roma, sono soltanto 3. Le ordinazioni sono anticipate a dicembre per Ugo Donini (grande missionario, dal 1970 tra i Karen della Thailandia), Alessandro Paniga e Francesco Radaelli; la cerimonia si svolge a Santa Rosa a Roma e l’attenzione è rubata dalla troupe tv e dagli ospiti che sono venuti a vedere padre Radaelli, all’epoca calciatore promettente del Frascati e in parola per il Milan: persino l’Osservatore Romano titola «Dal football all’altare». Gli amici del Milan, in testa Gianni Rivera, gli offrono il calice della prima messa: rivestito in legno e con lo stemma della squadra!

Il 2 luglio 1968 a Floirac, in Francia, si raduna per la prima volta la Commissione interprovinciale preparatoria al Capitolo generale: si tratta di «aggiornare» le Costituzioni della congregazione secondo le indicazioni del Concilio appena concluso; i membri sono 11, due gli italiani: i padri Angelo Petrelli e Lino Gurini.

Si profila un’altra fondazione, stavolta in Valtellina e precisamente a Bormio: un liceo scientifico

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e linguistico. La comunità - superiore Clemente Albusceri, economo Carlo Gusmeroli, componenti Angelo Bianchi, Ennio Bianchi, Graziano Soroldoni, Domenico Canciani - si installerà nella vecchia caserma Pedranzini, che prima ancora era un collegio dei Gesuiti (anno 1619) con annessa la bella chiesetta di Sant’Ignazio. Subito padre Duvignau non si lascia sfuggire l’occasione per un articolo sulle analogie tra «le Regole gesuitiche e le nostre».

Ed ecco proprio negli ultimi giorni dell’anno e poi fino al 10 febbraio 1969 il II Capitolo provinciale, radunato ad Albavilla con ben 10 partecipanti in più rispetto a quello di 5 anni prima: oltre al Consiglio, ci sono i superiori locali (Angelo Pessina, Giorgio Aggio, Dionigi Illini, Lino Gurini, Davide Villa) e i membri eletti suddivisi per specialità (formazione, scuola, parrocchie, missioni). Secondo le indicazioni della Commissione interprovinciale, ci si concentra sulla riforma delle Costituzioni.

Se c’è un’osservazione da fare (ma vale in genere per tutte queste riunioni) è questa:

non ci si interroga prima sulle proposte del precedente Capitolo, per vedere che cosa si è realizzato o no, e perché, e se si poteva fare di più, eccetera, per dare una certa continuità al cammino.

Comunque il Capitolo generale del 1969 sforna le nuove Costituzioni e la Nef dedica ben 8 numeri a pubblicarne il testo. Ma la grande novità è che per la prima volta il superiore generale non è francese, bensì italiano: padre Giovanni Trameri. Eredita un Istituto ancora stabile. I betarramiti dal 1958 al 1969 sono leggermente calati: da 503 a 494, ma i preti tra loro sono aumentati (da 352 a 372); anche i seminaristi maggiori sono in diminuzione: da 78 a 66. In quanto all’età, i giovani prevalgono in Italia e in Argentina; però quest’ultima ha solo 48 religiosi, noi ben 102! Siamo secondo subito dopo la Francia, che ne conta 207. Gli spagnoli sono 51, gli inglesi 27, 22 il Paraguay e 16 il Brasile.

Peraltro l’Italia non smette di dare forze alle missioni: per esempio nel 1969 fratel Fiorenzo Trivelli parte per l’Argentina,

dove per 5 anni lavorerà a Entre Rios con padre Attilio Trabucchi, valtellinese che si trovava in America latina fin dagli anni Cinquanta. In un tragico incidente stradale muore a soli 42 anni padre Esterino Della Valle, insieme a lui anche una ragazza che viaggiava sull’altra vettura. Era l’uomo della cultura: dottore in lettere moderne, compaesano e compagno inseparabile di padre Ernesto Colli nonché fratello dell’altro betarramita padre Giorgio, aveva scritto una monografia storica sulla basilica romanica di Agliate (in Brianza) che ancora oggi quella usata dai visitatori.

A breve distanza dal precedente, cioè nel febbraio 1970 e sempre ad Albavilla, si svolge il III Capitolo provinciale sotto il nuovo superiore padre Celestino Gusmeroli (padre Gandolfi ha infatti lasciato la carica e anche Lissone, è salito alla Caravina dove darà ancora prova delle sue doti di grande organizzatore). Bisogna porsi il problema dell’applicazione delle nuove Costituzioni e lo fanno tre Commissioni di lavoro: apostolato, formazione, amministrazione. Nasce anzi il Consiglio di provincia, che (in analogia all’appena costituito Consiglio di congregazione) allarga il Consiglio provinciale con i presidenti delle tre Commissio-

1968-1974

ni. L’aria del Concilio ha proprio portato voglia di partecipazione e corresponsabilità…

La festa di san Michele (14 maggio) del 1970 è caratterizzata da un evento che poteva finire in tragedia: il crollo di un’impalcatura all’interno della chiesa di Santa Rosa da Viterbo, proprio alla fine della messa cui avevano assistito 37 bambini di una terza elementare; nessun ferito, nonostante le 8 travi cadute da 12 metri d’altezza. Il parroco don Pierino Donini non esita a vederci l’intervento miracoloso del fondatore. Il 19 gennaio 1972 muore a Lissone padre Peppino Airoldi, 64 anni, una delle figure storiche più rappresentative di Bétharram in Italia. Il generale Trameri lo ricorda: «A Colico è lui la Provvidenza, ad Albiate è lui la Provvidenza, a Lissone è lui la Provvidenza, o meglio lui e la Provvidenza e la sua Madonna. Il cardinal Montini, che lo conosceva personalmente, diceva di padre Giuseppe: “Ecco un prete capace di trasportare le montagne. Ditegli che non lo dimenticherò mai!”». A Lissone gli succederà come parroco nientemeno che il provinciale padre Celestino.

Intanto Mario Soroldoni produce un altro libro:

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«C’è ancora bisogno di prediche?» e padre Fondrini deve subire l’ennesima operazione. Sulla Nef appare un interessante «giro nella Provincia italiana» del letterato padre Amedée Brunot; non gli sfugge proprio niente e termina lusinghiero: «Quale varietà nei ministeri e, per fortuna, anche nei caratteri. Il ramo betarramita d’Italia è più fiorito del ramo manzoniano del lago di Como»…

Ma siamo già al IV Capitolo provinciale, al Centro betarramita di Albavilla negli ultimi giorni di dicembre 1972, presenti 21 religiosi. Nella relazione di padre Zoia si trovano riassunti i propositi: maggiore fraternità, più attenzione alle persone (spesso dimenticate in funzione delle opere, del servizio da svolgere), rispetto delle personalità durante la formazione, inserimento nelle Chiese locali, possibilità di interscambio tra le varie comunità. Padre Celestino esce rieletto per altri 4 anni, mentre padre Davide Villa sarà maestro dei novizi

pur restando superiore del seminario e padre Celestino Perlini comincia il suo lungo impegno da economo provinciale.

E le missioni? In Thailandia la vecchia quercia Fognini comincia ad essere intaccata dall’artrite; dovrà essere operato alla gamba. Il giovane Arialdo Urbani è invece superiore della residenza di Chieng Mai con Carlo Luzzi economo e Raimondo Perlini; fratel Tobia Sosio si trova a Katiola in Costa d’Avorio, dove sarà poco dopo ordinato prete. In quel 1972 il giovane Angelo Recalcati parte per l’Argentina; si trova tuttora in Sudamerica, avendo soggiornato anche in Uruguay, Brasile e Paraguay.

Nel 1973 sulle montagne intorno alla Caravina càpita un grave incidente a un betarramita di origini lissonesi: si tratta di padre Enrico Mariani, sacerdote da soltanto 3 anni; mentre sta verificando un percorso escursionistico dove avrebbe dovuto accompagnare una comitiva dell’oratorio, cade in un dirupo e - nonostante

le ricerche scattate subito dopo l’allarme - viene ritrovato soltanto la mattina seguente. Le conseguenze sono un forte trauma che lo lascia semiparalizzato e quasi privo della parola, ma non del forte carattere e della presenza di spirito: che eserciterà con i confratelli durante le sue lunghe permanenze a Monteporzio e ad Albavilla. Nel gennaio 1974 muore a Rosario padre Angelo Bernasconi, insigne professore e direttore d’anime, dal 1924 in Argentina: con padre Paolo Negroni è stato il pioniere betarramita italiano in Sudamerica; lo «sostituisce» dall’Italia il giovane Gian Carlo Monzani. Qualche mese più tardi, il 21 ottobre, alla Caravina dove si era rifugiato da qualche tempo muore padre Silvio Calzoni: aveva 53 anni appena ma la sua attivissima vita di insegnante ed educatore si era molto ridotta da quando nel 1967 a Colico (di cui era stato anche superiore) venne colpito da una paresi.

Secondo una statistica del 1974, i betarramiti italiani sono 67, di cui 61 preti; la maggior parte ha tra i 26 e i 50 anni, solo 7 hanno superato la soglia dei 59.

1968-1974

Dalla Lombardia alla Toscana, è il periodo in cui le nuove fondazioni dei figli di san Michele si incentrano sulle parrocchie, che ormai (insieme alle scuole) sono il loro campo di maggior impegno

L’AVANZATA DEI

CAMPANILI

Finalmente nel 1974 rinasce una rivista betarramita italiana, dopo 10 anni di silenzio completo: il titolo è «Sintonia», porta il motto evangelico «Ut unum sint» ed è diretta da padre Mario Soroldoni; peccato si tratti soltanto di 4 fogli, che comunque andranno avanti con uscite irregolari per un decennio. La novità principale del primo numero è la costituzione del Centro betarramita in «sede provincializia»: i padri Guerra e Lietti si trasferiscono ad Albiate, dal 1972 non più casa di formazione ma di apostolato «volante» diretto soprattutto ai giovani (oltre che sede di alcune associazioni locali: Cai, Avis, pescatori…), e padre Pessina va alla Caravina per lasciare posto a 6 altri religiosi e 12 seminaristi che frequenteranno il liceo a Como, i primi anni al collegio Gallio e poi al seminario diocesano.

Altra fondazione nel 1973 a Busto Arsizio (Va): il «poeta» padre Giacomo Ghislanzoni, il più giovane Luigi Castelli e Aurelio Riva (poi sostituito da Guido Pradella) costituiscono una comunità aperta soprattutto al mondo del lavoro e della scuola.

Piccole parrocchie sono pure quelle prese in carico nel Lazio: si tratta di Pozzaglia Sabina (padre Antonio Canavesi e dal 1978 per un ventennio

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Dionigi Illini) e Montorio in Valle (Giovanni Orlandi fino al 1976, poi Luigi Spini e quindi Ermanno Rasero); poco lontano, alle Pratarelle di Orvinio, padre Pierino Donini ha fondato dal 1973 una colonia estiva, intitolandola a san Michele. In quel di Lissone si è ormai stabilizzata una bella comunità (Angelo Pajno, Franco Cesana, Francesco Radaelli, Giordano Sala) di cui il primo assume la responsabilità di parroco.

A Bormio Albusceri è sempre preside del liceo con Marco Soroldoni superiore della comunità e Ireneo Simonetti (che ha appena scritto un saggio storico con documenti inediti sulla fine del dominio grigione nella zona nel 1797) rettore della chiesa di Sant’Ignazio, anche Ennio Bianchi - oltre a tenere circa 300 cineforum, che radunano talvolta 800 spettatori a serata - scrive di storia locale, precisamente il dramma «Processo alle streghe», ispirato ai numerosi roghi di presunte streghe in Valtellina. La comunità, completata da Angelo Bianchi e fratel Marcello Piciollo cuoco-sacrestano, ha subìto una scossa

con il referendum sul divorzio nel 1974, in occasione del quale padre Canciani (che poi lascerà il sacerdozio, come più oltre il confratello Graziano Soroldoni) si è pronunciato pubblicamente per l’inopportunità della consultazione abrogativa. L’alta Valtellina ospita comunque per la prima volta due ordinazioni sacerdotali, e sono quelle di due betarramiti: Sergio Salacrist e Fedele Bormetti, ambedue destinati alla missione, mentre il lissonese Mario Giussani riceve gli ordini in Terrasanta, dove ha studiato Sacra Scrittura.

Al Capitolo generale del 1975 gli italiani sono la delegazione più consistente: ben 7 su 23. Ne esce eletto come decimo superiore generale il franco-maltese Pierre Grech, che si porta a Roma padre Gandolfi come assistente e padre Mario Zappa (superiore a Monteporzio) come membro del Consiglio. Anche in Italia cambio al vertice: il provinciale Celestino Gusmeroli passa a fare anche il maestro dei novizi alla Caravina, lascerà a fine 1977 la carica maggiore a Davide Villa. I betarramiti italiani lasciano

definitivamente Gravedona e l’ultimo residente padre Enrico Gusmeroli assume la piccola parrocchia di Bema, presso Morbegno, imitato da Mario Bulanti che fa lo stesso ad Albonico, sopra Colico.

Dove il collegio marcia a gonfie vele sui 250 iscritti tra medie e geometri.

Nel 1976 viene offerta ai betarramiti la piccola parrocchia di Castellazzo di Bollate (Mi), nella speranza (poi mai realizzatasi) che si sviluppi urbanisticamente; ci vanno i padri Giovanni Orlandi e Aurelio Riva (per il mondo del lavoro), più tardi raggiunti da Egidio Zoia (per l’apostolato nella scuola), Giulio Forloni, Giacomo Ghislanzoni, Ernesto Colli... Si tenta anche un’esperienza a Frascati (Roma) e un’apertura di parrocchia a Giussano (Mi), in un quartiere che promette di espandersi, con padre Carlo Antonini e il «novello» Aldo Nespoli, di origini proprio giussanesi: i betarramiti vi lavoreranno vari anni ma il progetto non andrà a buon fine.

Alla visita canonica del generale, nel marzo 1977, la situazione della provincia è la seguente: 70 sacerdoti, 5 fratelli, 13 seminaristi maggiori, 4 novizi; due scuole «laiche» oltre ai seminari, due santuari e ben 12 parrocchie. Il tutto senza con-

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teggiare l’apporto dato alle missioni. Scrive l’economo generale, francese: «Sono stato molto impressionato dalla giovinezza di questa provincia: i padri vanno dai 30 ai 50 anni… Che la provincia italiana possa restare l’ala in cammino della congregazione!».

L’anno 1978 inizia con una brutta notizia: la morte di padre Giuseppe Bataini, un religioso che merita una menzione particolare in questo contesto anche se non è di origine italiana; era stato il formatore di una generazione di sacerdoti, professore in una miriade di materie, ed era rimasto finché la provincia non seppe fare da sé. Per un caso viene rimandato in Italia dalla Palestina, dove risiedeva, al manifestarsi della malattia, per curarsi; e invece l’operazione non riesce. I due fratelli, me-

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dici di fama mondiale, mandano un aereo appositamente per portarlo a Parigi, ma il religioso vi muore il 9 gennaio.

A marzo, nella casa per ritiri di Eupilio presso Erba, si svolge il VI Capitolo provinciale, caratterizzato soprattutto dall’insistenza sullo spirito comunitario in tutti i suoi aspetti: preghiera, apostolato, povertà. Di lì a poco Albavilla inaugura la rinnovata cappella interna, opera materiale di fratel Bepi Pozzi con le vetrate del pittore e architetto Francesco Radaelli. Durante l’estate - la stessa in cui scompare Paolo VI - muore la signorina Rita Sironi, che aveva dedicato la sua vita come cuoca tuttofare ad Albavilla; una mamma per tutti,

quasi gelosa dei padri, che voleva stimati: «Quanti anni sei stata con noi e ci hai donato tutto…». Si delinea una nuova opera pastorale in Toscana, nella diocesi di San Miniato (Pt) e precisamente a Brusciana di Empoli, Ponte a Elsa e Canneto; i prescelti all’apertura sono Franco Cesana (parroco), Mario Giussani e Luigi Castelli, ma il parroco «storico» sarà dal 1990 in poi Tiziano Molteni, che peraltro vi risiede dal 1981.

Nel tempo a coadiuvarlo si susseguono in molti (Andrea Antonini, Giuseppe Lietti, Carlino Sosio, Angelo Riva), ma soprattutto padre Albino De Giobbi; anche le parrocchie servite variano, a Ponte a Elsa e Brusciana si aggiungono Pianezzoli, Isola e Roffia.

Padre Celestino Gusmeroli si è trasferito a Morbegno come cappellano dell’ospedale.

Alessandro Paniga diventa invece superiore a Monteporzio e responsabile della formazione dei seminaristi di teologia.

Proprio a Monteporzio nel 1979 passa a miglior vita il primo è più anziano missionario, padre Severino Fognini da Tartano, classe 1911, per quarant’anni prima in Cina e poi in Thailandia: «Quale sofferenza lontano dalla sua missione!».

Anche padre Arialdo Urbani ha lasciato la Thailandia e, dopo una breve esperienza in Brasile, è partito per la Costa d’Avorio: nemmeno quella però sarà la sua destinazione definitiva. Dal 1977 padre Tobia Sosio è impegnato in una nuova fondazione a

Puerto Stroessner, nel Paraguay della dittatura; lo raggiunge, ma per breve tempo, il novello Angelo Riva. Non per nulla il Consiglio di congregazione dice della provincia italiana: «Continua ad essere generosa circa i bisogni dell’istituto, anche se bisognerà vegliare sulle vocazioni, trovare animatori e fare contratti più chiari con i vescovi». Viaggio al contrario invece per padre Paolo Negroni, che dall’America latina - dove si trova dal 1935 - torna prima a Roma (parrocchia di Santa Rosa), poi a Lissone.

Proprio Lissone nell’autunno 1979 diventa sede del noviziato italiano, con «maestro» padre Romano Martinelli reduce dalla Terrasanta: la scelta di una vivace parrocchia, invece di un luogo tranquillo di meditazione e silenzio, è un segno che si intende incarnare la formazione dei futuri religiosi in un contesto più vicino alla vita, quella reale e quella pastorale. Il VII capitolo provinciale (gennaio 1981) si concentra sull’ambito della vita spirituale - studio e traduzione delle opere di spiritualità betarramita, incontri comunitari e intercomunitari, riconciliazione, identità del carisma e sulla situazione delle opere. L’ultima delle quali (1980) è un’ennesima parrocchia: Montemurlo, sempre in diocesi di Pistoia, 13.000 abitanti senza contare le frazioni Bagnolo e Fornacelle (che nel 1988 diventeranno a loro volta parrocchie). Parroco designato è Albino Trameri, affiancato da Mario Giussani e Tiziano Molteni (più tardi arriveranno Mario Longoni e Clemente Albusceri). Si può ancora dire che «Bétharram d’Italia cresce»…

Ma sono le vocazioni il grande problema e non soltanto per i betarramiti.

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DOVREMMO ESSERE PIÙ POVERI Richiesto dai superiori, vorrei dare semplicemente la mia esperienza personale riguardo alla preghiera e alla povertà. Non intendo affatto giudicare o condannare i miei confratelli; voglio soltanto, lo ripeto, dire quello che sono venuto imparando con la mia esperienza di vita religiosa dalla mia entrata in congregazione fino ad oggi.

Il mio desiderio di portare aiuto alle vocazioni sacerdotali e di voler essere un cristiano fervente e, meglio ancora, avendo sentito la chiamata del Signore di essere religioso, mi ha portato a far parte di questa congregazione che ho avuto modo di conoscere bene alla Caravina, pensando di trovarmi in essa a mio agio, dal fatto che già praticavo la preghiera ma che volevo scoprire maggiormente, Infatti ero stato colpito da Mt 6, 6s: «Tu, invece, ritirati, quando preghi, nella tua stanza, chiudi l'uscio e prega il Padre tuo che è presente nel segreto...».

Volevo davvero vivere la vita di preghiera e l'unione con Dio. Dico la verità, ho trovato un po' di delusione entrando in congregazione, quasi di scoraggiamento. Pensavo tra me e me al passo di Isaia 42, 3s: «Non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dall'esile fiamma». A me pareva che il mio «stoppino», già così esile, voglio dire la mia preghiera, venisse come spento. Ho trovato anche delusione per il fatto della poca cordialità da parte di alcuni padri. Cordialità che pure esiste tra le persone del mondo, avendo io personalmente sperimentato durante i miei anni di lavoro in varie città, con varie ditte e con vari operai. Logicamente, tutte queste persone avevano grande diversità di idee e differenza di carattere, ma malgrado certi bisticci passeggeri, eravamo però in cordialità fra noi. Ora io dico: se questa cordialità esiste fra la gente del mondo, perché non dovrebbe esistere nelle nostre comunità? Non siamo forse i predicatori dell’amore e i portatori dell’amore nel mondo?

Questo non è certo un incoraggiamento per coloro, giovani o meno, che vogliono dedicare la loro vita al servizio materiale della comunità, com’è il mio caso. Non basta dire, infatti, che il lavoro è preghiera; io credo invece dalla mia esperienza personale che è la preghiera che trasforma il lavoro in preghiera e in canto di lode. A sua volta la preghiera si trasforma in cordialità con i propri confratelli. Volendo alimentare lo stoppino dell’esile fiamma della preghiera, penso sia cosa buona avvicinare il nuovo soggetto, appena entra in congregazione, per poterlo aiutare nel migliore dei modi possibile a svilupparsi spiritualmente nella sua vita di preghiera, invece di bloccarlo con antiquate pratiche spirituali e religiose. Anche se il nuovo arrivato è semplice e ignorante, culturalmente parlando, dovrebbe essere trattato come un figlio di Dio, responsabile delle proprie azioni e come essere ragionevole.

Alla fine delle mie riflessioni sulla preghiera, vorrei fare un suggerimento ai responsabili: perché non fissare almeno un incontro annuale fra i fratelli, per pregare assieme e per discutere dei nostri problemi? Passando alla povertà religiosa, come io l’ho trovata entrando, e come tuttora è praticata nelle nostre comunità, a mio avviso, non mi sembra lo sia da veri religiosi. Penso al passo di Mt 5,48: «Voi dunque siate perfetti come il vostro Padre Celeste è perfetto». Se noi vivessimo da poveri e fossimo meno attaccati ai beni, in modo che la gente del mondo, avida

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di ricchezze e di godimento, vedesse che noi lavoriamo disinteressatamente e distaccati dalle cose di quaggiù e che tutti insieme vivessimo in stato di povertà, ne sarebbe vivamente colpita e potrebbe comprendere meglio i beni soprannaturali e celesti infinitamente più preziosi di quelli materiali. Così anche la gente del mondo si persuaderebbe a volgere i suoi desideri a quei beni e a cercare di acquistarli.

Dovremmo usare le cose necessarie e utili con moderazione, evitando lo spreco; voglio dire: dovremmo usare le cose della comunità come se fossero proprie.

La mia esperienza infatti mi dice che le cose personali sono molto custodite con tutte le necessarie precauzioni. Questo è cosa buona, ma così bisognerebbe trattare anche le cose non personali, ma comunitarie, perché anch'esse sono nostre; anzi dovremmo custodirle più ancora, perché non solo servono a noi, ma perché servono ai nostri fratelli. Secondo me questa è una cosa importante, perché ognuno di noi non deve pensare a se stesso soltanto, ma deve essere preoccupato degli altri, prima di sè. Tanto più che non si crede alla sincerità della povertà, se non la si vive con austerità e modestia di mezzi.

Se si fa così, si diventa automaticamente segno evangelico di povertà per gli altri, e si cammina così sulla via della povertà di Cristo. Questo, poveramente e semplicemente, è quello che mi dice la mia esperienza della preghiera e della povertà.

Giuseppe «Bepi» Pozzi, fratello laico betarramita, Capitolo provinciale 1978

«Molto attiva, ma bisognosa di approfondimento»: così il superiore generale dopo la visita alla provincia italiana. I nuovi ingressi sono al lumicino e le defezioni non sono state irrilevanti. Siamo a un giro di boa.

ANNI OTTANTA

TRA LUCI E OMBRE Colico, che naviga sempre intorno ai 250 alunni, prepara per il 1981 le solenni celebrazioni del 50° di fondazione: è pur sempre lei la casa-madre dei betarramiti italiani! Partecipa il direttore dei lavori dell’epoca, cavalier Elvezio Corti, e sfilano moltissimi ex alunni; discorso ufficiale di padre Giovanni Trameri.

Il 1981 si apre però con la scomparsa dell’ultimo sopravvissuto dei fondatori della casa, padre Giovanni Bisio, peraltro primo come iniziatore dell’opera nella famosa «Cà Bepìn» della vicina Villatico. Figura leggendaria nei suoi 87 anni, pacchetto di nervi sempre in ebollizione… E’ anche l’anno del Capitolo generale, al quale gli italiani sono ben 8: un terzo del totale! Padre Davide viene confermato provinciale, con un significativo ringiovanimento del suo Consiglio: Tarcisio Giacomelli economo, Francesco Radaelli (che è anche maestro dei novizi), Giacomo Spini (che è pure superiore dello scolasticato a Monteporzio), Angelo Bianchi.

A ottobre 1982 muore un altro dei pionieri, padre Luigi Fondrini, 67 anni di cui gli ultimi 15 trascorsi quasi sempre in camera sua ad Albavilla: sempre sofferente nella sua vita, ma sempre sorriden-

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te; sacerdote di sentimenti fini e di buona cultura, generoso nel poter scrivere per gli altri. Padre Anselmo Ghezzi lo ricorda in versi: «In tua limpida penna un cuore grande, un’anima cortese». Si allarga la presenza in Toscana, con 6 parrocchie collocate intorno a Pracchia, sempre in diocesi di Pistoia; si spostano Guido Pradella, Albino De Giobbi, Carlo Sosio, ma l’esperienza durerà solo fino al 1987 per l’impossibilità di realizzare una reale comunità divisi tra tante piccole località (Pontepetri, Campo Tizzoro, Ligacci, Orsigna) .

Antonio Canavesi è in Terrasanta come supervisore dei lavori di ristrutturazione della casa di Betlemme. Padre Aurelio Riva si prepara invece a partire per il Brasile. Nel settembre 1983 padre Martinelli comincia il suo lungo soggiorno a Bormio come rettore della chiesa di Sant’Ignazio; nello stesso periodo viene a mancare, nella sua terra natale di Tartano, padre Carlo Gusmeroli: dopo un lungo lavoro in America, per 25 anni valido aiuto in diverse case italiane.

Nel 1984 padre Villa presenta le dimissioni (nell’aprile 1987 assumerà la responsabilità del noviziato) e gli succede Francesco Radaelli, che nel 1986 lascia Lissone per stabilirsi ad Albiate: da allora in poi residenza ufficiale del responsabile dei betarramiti italiani. Si prepara un’altra fondazione a Premosello Chiovenda (Vb), nell’alto Piemonte; parroco padre Giulio Forloni e vice Luigi Gusmeroli e Giordano Sala (lascerà però il ministero dopo poco più di un anno).

L’VIII Capitolo provinciale, celebrato tra dicembre 1984 e febbraio 1985, tenta di prendere atto di luci e ombre della situazione chiedendosi «dove andiamo?». Si propende a non accettare più troppo facilmente parrocchie: c’è il rischio di lasciar perdere altri importanti apostolati. Da un atteggiamento di ossequioso ascolto delle richieste dei vescovi, che sembrava rientrare nell’idea di padre Garicoits («Mai dire di no»), ci si ferma ad ascoltare noi stessi; dall’attenzione alle opere e alla risposta generosa ma talvolta troppo precipitata alle chiamate altrui, si rivolge l’attenzione alle persone, ai soggetti delle opere: le vocazioni non vengono assegnate dai superiori, anche se accompagnate dalle loro benedizioni, ma si scavano dentro di noi. Non è cosa da poco…

Il 1985 è il 150° della congregazione: età critica! Anche in Italia il numero di religio-

si e aspiranti è in forte regresso (ad Albavilla sono rimasti solo 8 piccoli seminaristi). Per fortuna i padri italiani sono ancora abbastanza giovani. Ma per esempio ad Albiate, dove ai primi tempi abitavano una quarantina di persone, adesso ne risiedono solo 6 o 7 e si comincia a parlare di vendere per costruire una casa più piccola; si opterà poi per una ristrutturazione come casa di accoglienza e in un’ala residenza provincializia. A novembre nella sua Bema spira padre Enrico Gusmeroli, pochi giorni dopo i confratelli danno l'ultimo saluto a fratel Luigi Angiolini, un bergamasco che ha trascorso 30 anni di vita religiosa ai Miracoli a Roma.

Il 20 gennaio 1986 è la volta di padre Enrico Mainetti, reduce da Buenos Aires ma ormai residente da un quarantennio ad Albiate, e il 18 aprile di un altro tartanese, padre Luigi Spini; un’impressionante sequenza tragicamente completata il 21 agosto dal trapasso di Gioacchino Spini, pure lui di Tartano, per oltre un quarto di secolo operoso nel santuario della Madonna dei Miracoli a Roma: in 7 anni, 7 defunti betarramiti provenienti dallo stesso paese.

Intanto proprio per il 150° della congregazione anche in Italia cominciano i timidi balbettii dei laici betarramiti, altrove meglio sviluppati, con incontri nella varie zone geografiche sulla spiritualità di san Michele. Finalmente a giugno 1986, dopo tentativi faticosi, sofferti, talvolta disorientati, si giunge a dar vita alla nuova rivista betarramita italiana, il trimestrale «Presenza», direttore formalmente padre Gandolfi e redazione fissata a Monteporzio: i betarramiti sono e devono essere

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appunto una «presenza». Bétharram non è morto, Bétharram si rinnova! I betarramiti si presentano e ripetono «Eccomi!», come nel 1856 per l’America Latina (ancora vivente il fondatore), come nel 1922 per le missioni in Cina e poi in Thailandia.

E infatti non ci si ferma: proprio in quell’inizio anno 1986 si accetta la proposta del cardinale Carlo Maria Martini di assumere la parrocchia di Sant’Ilario al Gallaratese, un quartiere popolare alla periferia di Milano: zona assai «difficile», si dice, con 12.000 abitanti e la chiesa ancora da costruire; l’incarico va a padre Angelo Pajno - sostituito a Lissone da padre Gandolfi come amministratore temporaneo - con Pietro Felet, che si insediano a settembre; dal 1988 Guido Pradella sarà il nuovo parroco. Piero Trameri diventa incaricato delle missioni, Ernesto Colli parte per l’Uruguay, mentre la vigilia di Natale Arialdo Urbani inaugura tutto solo una missione nel villaggio di Niem, 5000 anime in Centrafrica; sarà raggiunto poco dopo dall’infaticabile «jolly» Canavesi e nel 1988 fratello (in due sensi: di sangue e di religio-

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ne) Severino Urbani: avremo una missione betarramita tutta italiana in Africa! Più o meno nello stesso periodo entra come postulante tra i betarramiti il giovane medico lissonese Tiziano Pozzi: nessuno ancora lo sa, ma sarà uno dei «pilastri» della futura missione, insieme al quasi coetaneo padre Beniamino Gusmeroli.

Il IX Capitolo, svoltosi a Gussago (Bs) a fine 1986, mostra però tutta la preoccupazione per le vocazioni che mancano (si discute del destino del seminario di Albavilla), la formazione permanente da rilanciare e l’apostolato e la missionarietà da non dimenticare. Il provinciale Radaelli fa una disamina spassionata della situazione, non pessimista ma realista: il presente non è del tutto roseo, un po’ sotto tutti gli aspetti; è però possibile intravedere speranze per il futuro.

L’emergenza vocazioni è il problema principale. A settembre 1987 si decide di tra-

sferire la casa per gli studenti di teologia da Monteporzio a Sala Baganza presso Parma, per usufruire delle lezioni del locale seminario saveriano; superiore della nuova casa Giacomo Spini, coadiuvato da padre Enrico Frigerio. Dal 1989 la stessa residenza ospita anche il noviziato.

Il nuovo superiore generale, l’inglese Terence Sheridan, dichiara a «Presenza»: «Guardo alla provincia italiana con ammirazione e gioia; è numerosa e giovane e piena di talenti; ha veramente uno spirito missionario. In questo momento ha bisogno di esaminarsi con fiducia, non deve temere eventuali cambiamenti. Sono sicuro che sarà come un pilastro per il nostro futuro». Poco oltre, durante la visita apostolica, corregge un poco il giudizio: «Molto attiva, ma bisognosa di approfondimento». Troppo ottimista? In realtà sappiamo che i nuovi ingressi sono al lumicino e le defezioni di sacerdoti non sono state irri-

levanti: circa il 10% del totale. Il 9 novembre 1987 a Triuggio (Mb) si tiene l’assemblea generale della provincia, forse la seconda in tutta la storia: sono presenti più di 50 religiosi; una giornata assai positiva, che mostra una realtà disposta a «muoversi». Si insiste infatti sui «progetti», ma anzitutto sul «progetto personale» come parte integrante di quello comunitario, e questo all’interno del piano pastorale della Chiesa locale e in quello della congregazione.

Un’importante novità è l’apertura al Sud: nel 1988 su invito dell’arcivescovo Mariano Magrassi nasce una nuova comunità a Mariotto, paese agricolo di 1600 anime in provincia di Bari; gli incaricati sono Aldo Nespoli, Natale Re e il «novello» Graziano Sala.

Ad Albiate si tenta di impiantare «Il cenacolo», un centro vocazionale di cui si occupano Alessandro Paniga (eletto anche nel Consiglio generale) e il giovane Aldo Camesasca. Si avvia invece alla chiusura la comunità di Bormio, almeno per la parte che si occupava del liceo, ormai divenuto

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statale e allargatosi a ragioneria e scuola alberghiera (resta invece ai betarramiti fino al 2015 la rettoria della chiesa di sant’Ignazio, anzi dal 1990 in poi la comunità si costituirà di tre persone: oltre a padre Martinelli, anche Celestino Gusmeroli come cappellano della casa di riposo e in successione Damiano Colleoni, Tarcisio Giacomelli, Guido Pradella, Celestino Perlini, tutti con funzione di ministero nelle parrocchie della valle). Padre Ennio Bianchi dalla Valtellina tenta il passaggio a Bologna per lavorare con i religiosi dehoniani nelle loro riviste; di lì si trasferirà qualche mese più tardi a Montemurlo, dove per 7 anni regge l’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Pistoia, collabora con il settimanale diocesano e fonda una radio locale. A Vergiate (Va), presso il Villaggio del Fanciullo, apre per breve tempo una piccola comunità, con Giacomo Ghislanzoni ed Ercole Ceriani.

Nel 1988 si rilancia pure la parrocchia di Lissone, con il nuovo parroco Celestino Perlini (proveniente dalla Palestina) e i suoi vice Mario Longoni e Lino Illini. Si dedica una certa attenzione anche alla formazione permanente: nel 1988 i religiosi frequentano corsi di aggiornamento divisi per fasce d’età. L’anno si chiude con una disgrazia: il grave incidente d’auto in cui incorre padre Angelo Pessina, che dopo due mesi di coma non può riprendere la funzione delle gambe e si ritira nella casa di riposo di Solbiate, dove dal 2003 è cappellano il betarramita Alessandro Paniga; sarà lui ad assisterlo fino alla morte, avvenuta nel gennaio 2008. Anche Marco Soroldoni è gravemente ma-

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lato (morirà nel 1991).

Il X Capitolo provinciale «le nostre ricchezze e povertà» è una continuazione del precedente, sempre puntato sulla missione dei betarramiti nella Chiesa: si svolge a Fornovo di Parma all’inizio di gennaio 1990 dopo ampia preparazione, con ben 10 collegi che propongono i temi di discussione e molte voci nuove, tanto che gli anziani si sentono un po’... messi da parte. Ma c’è fermento e voglia di rinnovamento, si punta sulla vita comunitaria e sull’animazione giovanile, soprattutto si vuole andare verso gli ultimi, ovvero incontro alle povertà emergenti nella società, secondo anche gli indirizzi dei vescovi italiani nel senso di «evangelizzazione e testimonianza della carità». E infatti già nel marzo 1990 a Sala Baganza si aderisce all’iniziativa della «Tenda di Abramo», una casa per 18 immigrati offerta dalle suore Figlie della Croce e di cui i betarramiti sono responsabili insieme all’associazione di volontariato «Parma per gli altri».

Saremo fedeli alle nuove segnalazioni dello spirito? Lo scrittore Ortega y Gasset sostiene che «una civiltà tramonta quando ripudia il proprio passato».

E la Scrittura: «Richiamate alla memoria i primi tempi… non abbandonate la fiducia, per poter raggiungere la promessa…

Non siamo uomini che indietreggiano» (Ebr 10, 32).

LA VITA IN UNA RIVISTA Il primo numero porta la data «II trimestre 1986» e in copertina, come da copione, la foto della facciata del santuario di Bétharram. «Presenza» si presenta così, come trimestrale di «notizie e informazioni della Provincia italiana dei preti del Sacro Cuore di Gesù», nel 150° della fondazione della congregazione.

All’interno, il primo editoriale del provinciale Francesco Radaelli spiega le ragioni del periodico: «Non vuole essere una rivista in più che viene ad appesantire il campo editoriale già tanto ricco presente nelle nostre comunità e famiglie, ma vuole essere semplicemente un servizio di informazione interno alla nostra Provincia, uno strumento conoscitivo della nostra spiritualità, un mezzo di unità tra noi che operiamo nella Chiesa italiana e i padri che svolgono il loro apostolato in Paesi di missione».

In effetti, nell’austero bianco-e-nero delle appena 16 pagine, la rivistina affronta da subito la presentazione delle comunità betarramite italiane (e non solo) e le esperienze di singoli religiosi, ma anche temi piuttosto impegnativi: che cos’è un carisma, il sacerdote, consacrazione religiosa, sposi cristiani… L’impianto sembra marcatamente vocazionale: numerosi infatti gli articoli in cui i giovani postulanti o appena ordinati parlano della loro scelta. Le immagini sono quasi sempre di momenti di vita delle varie case religiose.

La redazione è fissata a Monteporzio Catone, dove ci sono gli studenti della congregazione, e anche la stampa è eseguita a Frascati; a fine 1988 però la rivista segue gli spostamenti della casa di formazione e si fissa a Sala Baganza (Pr), di conseguenza anche la tipografia sale a Parma. La figura di direttore responsabile viene affidata fin dagli inizi a padre Marco Gandolfi: forse l’unico ad essere ancora iscritto all’apposito albo dei giornalisti fin dai tempi del «Bel Ramo»; ma la responsabilità è affidata a Giacomo Spini.

C’è comunque un’attenzione anche ai laici. Ad essi, per esempio, è dedicato interamente il terzo numero del 1988; peccato solo che tutti gli articoli siano firmati da preti… Ma anche negli anni successivi il tema ritorna, seguendo un po’ il ritornello che altre nazioni nell’istituto eseguono già da tempo: condividere il carisma coi laici, aprirsi ai laici, eccetera. A fine anni Ottanta si intensificano gli articoli sulle «nuove povertà» e sul volontariato: chiaro indice che la provincia si sta orientando verso scelte di frontiera nel servizio agli ultimi, immigrati, malati di aids, senzatetto. Gli anni Novanta vedono un intensificarsi dell’impegno di padre Ennio Bianchi, al quale sono affidati corposi editoriali su temi teologici ed ecclesiali; appaiono peraltro anche le firme di Alessandro Paniga e dei più giovani Pietro Villa, Pier Paolo Nava (bibbia), Roberto Cornara (storia betarramita). Nel marzo 1996 «Presenza» annuncia un rinnovamento: «Una periodicità più agile (si prevedono 10 numeri l’anno), argomenti anche di varia attualità svolti con un… piglio più svelto, più sciolto». L’occasione è data dal secondo centenario della nascita del fondatore, che ricorre nel 1997: «La nostra rivista - recita l’editoriale - vuole diventare in questa occasione storica, un mezzo per fare conoscere più armonicamente profondamente la nostra spiritualità, la nostra storia, le nostre opere»; da cui contenuti «pensati come “itinerari” per fare conoscere la congregazione». Lo sforzo è apprezzabile e si nota nella lunghezza, molto accorciata, degli articoli. A metà 1997 un

numero speciale e doppio della rivista è interamente dedicato al bicentenario della nascita (e al 50° della canonizzazione) del fondatore, nonché al centenario della morte di padre Auguste Etchecopar, il terzo superiore generale e «secondo fondatore» della congregazione.

Subito dopo però le pubblicazioni vengono sospese; come mai? Il motivo lo spiega padre

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Piero Trameri nell’editoriale del numero di febbraio 1998: «Dopo alcuni mesi riprendono le pubblicazioni. Il silenzio è stato dovuto a varie cause: le celebrazioni del Bicentenario della nascita di san Michele (1997) hanno impegnato i padri, la ricorrenza ha portato alla stesura di alcuni opuscoli sulla figura e la dottrina del nostro Fondatore, vi è stata l’elezione di un nuovo Consiglio provinciale, al quale è stato richiesto di ripensare sia i contenuti che la periodicità della rivista».

In effetti le novità cominciano dalla copertina, adesso interamente a colori; il fascicolo, sempre una trentina di pagine, promette periodicità bimestrale. Ma il capitolo ha richiesto soprattutto un ripensamento nelle modalità di comunicazione, dunque si annunciano più notizie dalle comunità e dalle missioni, oltre che approfondimenti della dottrina di san Michele. Passano comunque pochi anni e il nuovo millennio si apre con altri rinnovamenti per la rivista «Presenza», annunciati fin dalla prima pagina del primo numero del 2001: editoriale affidato a Roberto Beretta (il primo è un curioso «Elogio dei lavori domestici»…), ex alunno diventato giornalista; più spazio ai laici; una rubrica biblica (la terrà il nuovo coordinatore editoriale padre Pierpaolo Nava, che è appunto biblista di formazione) e una vocazionale; articoli su «problemi sociali, culturali economici, etici». Insomma, il periodico sembra voler uscire dal recinto un po’ angusto del bollettino strettamente religioso. Nel 2002 la redazione si sposta ad Albavilla, dove si trovano due dei principali redattori, Ennio Bianchi (per i testi) e Angelo Riva (per la grafica), betarramiti che tengono le redini anche del giornale cattolico della zona di Erba «La Piazza». L’attenzione ai laici si rafforza con una serie di corposi (in tutto la rivista sale a una quarantina di pagine) inserti dedicati interamente a loro: «I laici sono invitati a “prendere il largo”… I laici sono chiamati ad essere protagonisti della nuova evangelizzazione». In realtà il progetto si interrompe a metà in quanto nel 2003 si verifica un’altra «rivoluzione», che trasforma completamente le copertine (da allora opera di padre Ercole Ceriani, che nel 2006 diventa anche l’art director della rivista) e modifica radicalmente anche la grafica e i contenuti del periodico: nel centenario della presenza betarramita in Italia, infatti, si ritiene indispensabile investire di più anche sull’immagine di «Presenza». Quasi contemporaneamente, il 4 marzo, muore padre Gandolfi, storico direttore responsabile, e si decide di affidare anche giuridicamente l’incarico a Roberto Beretta, che lo assume dal primo numero del 2005. Il mandato è chiaro: trattare la rivista come qualunque altra «opera» betarramita. Dunque non tanto (o soltanto) uno strumento di informazione «interno» alla congregazione e alla sua cerchia, ma anche un mezzo di formazione più ampiamente cristiana. Il nuovo taglio è difatti immediatamente visibile dall’impostazione dei dossier, che pur con l’inserimento di articoli che riguardano anche i betarramiti - affrontano temi generali come la parrocchia, la famiglia, il denaro, la comunicazione, gli anziani… La rivista diventa poi stabilmente trimestrale e con una foliazione di 64 pagine, esattamente come oggi. Si avvicendano varie rubriche: liturgia con padre Angelo Pajno, arte sacra con Ercole Ceriani, «Favole e parabole» di padre Pietro Villa; nelle pagine dal 2008 viene anche inserito il foglietto dei «betarramiti oranti», ovvero una proposta di preghiera comune in unione spirituale in una sorta di «monastero invisibile».

I 150 RELIGIOSI ITALIANI DI BÉTHARRAM

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Nome

Religiosi defunti Luogo e data di nascita

Luogo e data di morte

Zappa Silvio Orsenigo Adriano

Rho (Mi) 1917 Milano 1919

Betlemme (Terrasanta) 22 giugno 1938 Betlemme (Terrasanta) 8 giugno 1939

Acquistapace Giuseppe

Gerola (So) 1884

Montevideo (Uruguay) 9 febbraio 1942

Corti Ercole

Valtesse (Bg) 1918

Betlemme (Terrasanta) 10 dicembre 1944

Gusmeroli Luigino

Tartano (So) 1923

Dju-Ku-Lah (Cina) 13 maggio 1951

Del Grande Virginio

Cerchiate di Rho 1909

Caravina 8 ottobre 1961

Soroldoni Ezio

Rho (Mi) 1932

Caravina 22 luglio 1964

Antonini Renato

Rho (Mi) 1929

Lissone 5 giugno 1967

Della Valle Esterino

Laghetto Colico 1927

Arosio 26 ottobre 1969

Sartirana Davide

Rho 1921

Colico 29 novembre 1970

Airoldi Giuseppe

Arese (Mi) 1908

Lissone 19 gennaio 1972

Bernasconi Angelo

Olgiate Comasco 1893

Rosario (Argentina) 24 gennaio 1974

Calzoni Silvio

Stazzona (Co) 1921

Caravina 24 ottobre 1974

Fognini Severino

Tartano (So) 1911

Monteporzio 28 aprile 1979

Cantoni Nicola

Trepalle (So) 1905

Caravina 4 settembre 1980

Bisio Giovanni

Buenos Aires 1894

Monteporzio 4 febbraio 1981

Fondrini Luigi

Tartano (So) 1915

Albavilla 13 ottobre 1982

Gusmeroli Carlo

Tartano (So) 1913

Tartano 24 agosto 1983

Negroni Paolo

S. Stefano Ticino 1906

Lissone 26 aprile 1985

Gusmeroli Enrico

Tartano 1913

Bema 5 maggio 1985

Angiolini Luigi

Bedulita (Bg) 1914

Roma 17 novembre 1985

Mainetti Enrico

Tartano 1910

Albiate 20 gennaio 1986

Spini Luigi

Tartano 1911

Caravina 22 aprile 1986

Spini Gioacchino

Tartano (So) 1915

Tartano 21 agosto 1986

Trabucchi Carlo

Zermez (Ch) 1913

Barracas (Argentina) 25 agosto 1990

Guerra Arnaldo

Talamona (So) 1926

Castellazzo 24 aprile 1991

Soroldoni Marco

Rho (Mi) 1929

Albavilla 24 ottobre 1991

Albusceri Clemente

Rho (Mi) 1924

Montemurlo 15 settembre 1994

Soroldoni Mario

Rho (Mi) 1927

Milano 30 settembre 1994

Illini Lino

Isolaccia (So) 1929

Lissone 8 marzo 1997

Illini Dionigi

Isolaccia (So) 1929

Isolaccia 21 maggio 1997

Orlandi Giovanni

Rho (Mi) 1925

Castellazzo 23 novembre 1998

Aggio Mattoni Giorgio

Gera Lario (Co) 1926

Como 3 maggio 1999

Gavazzi Giovanni

Talamona (So) 1928

Solbiate 21 marzo 2001

Piciollo Marcello

Roma 1927

Roma 14 luglio 2002

Gusmeroli Luigi

Tartano (So) 1922

Solbiate 7 dicembre 2002

Bormetti Fedele

Semogo (So) 1948

Semogo 7 luglio 2003

Gandolfi Marco

Bormio (So) 1919

Lissone 4 marzo 2004

Cattaneo Antonio

Rho (Mi) 1931

Albavilla 23 novembre 2005

Simonetti Ireneo

Cavaion (Vr) 1924

Morbegno 2 gennaio 2006

Ghezzi Anselmo

Lesmo (Mi) 1924

Lesmo 24 marzo 2007

Del Grande Alessandro

Cerchiate di Rho 1914

Albavilla 25 marzo 2007

Gusmeroli Celestino

Tartano (So) 1925

Seveso 31 luglio 2007

Ghislanzoni Giacomo

Domaso (Co) 1929

Castellazzo 25 settembre 2007

Pessina Angelo

Lainate (Mi) 1926

Solbiate 27 gennaio 2008

Gurini Lino

Isolaccia (So) 1931

Colico 26 giugno 2008

Trameri Giovanni

Isolaccia 1916

Roma 9 gennaio 2009

Donini Pierino

Ardenno (So) 1923

Roma 25 gennaio 2009

Petrelli Angelo

Talamona (So) 1927

Solbiate 12 aprile 2009

Angelelli Dante

Roma 1911

Brumadinho (Brasile) 6 ottobre 2009

Lino Illini Pozzi Giuseppe

Isolaccia 1916 Castello Valsolda (Co) 1938

Passa Quatro (Brasile) 20 luglio 2011 Solbiate, 29 dicembre 2013

Religiosi in attività Nascita

Luogo di nascita

1926

Antonini Andrea, Rho (Mi)

1927

Petrelli Angelo, Talamona - Duca Giovanni, Talamona (So)

1928

Colli Ernesto, Villatico di Colico - Bulanti Mario, Talamona (So)

1930

Perlini Celestino, Desco (So)

1931

Zoia Egidio, Cabiate (Mi) - Antonini Carlo, Rho (Mi) - Pajno Angelo, Dervio (Co)

1932

Villa Davide, Cabiate (Mi)

1933

Borghetti Livio, Rho (Mi) - Rasero Ermanno, Bugiallo di Sorico (Co)

1934

Luzzi Carlo, Talamona - Pradella Guido, Semogo - Martinelli Romano, Isolaccia - Cesana Franco, Carate Br. (Mi)

1935

Forloni Giulio, Passirana (Mi)

1936

Trameri Albino, Isolaccia - De Giobbi Albino, Regoledo di Cosio (So) - Canavesi Antonio Rho (Mi)

1937

Bianchi Angelo, Passirana (Mi) - Perlini Raimondo, Campovico (So) - Ruti Carlo, Roma

1939

Lietti Giuseppe, Rho (Mi) - Urbani Arialdo, Isolaccia (So) - Speziale Luigi, Tartano

1940

Bianchi Ennio, Casorezzo (Mi) - Pensa Alberto, Lierna (Co) - Zappa Mario, Triuggio (Mi)- Riva Aurelio, Triuggio Trivelli Fiorenzo, Bene Lario (Co) - Urbani Severino, Isolaccia

1941

Mariani Enrico, Lissone (Mb)

1942

Donini Ugo, Desco di Morbegno - Radaelli Francesco, Rho (Mi) - Paniga Alessandro Morbegno (So)

1945

Monzani Giancarlo, Colnago (Mi) - Franchi Giuseppe, Cislago (Mi) - Nespoli Aldo, Giussano (Mi)

1946

Recalcati Angelo, Sovico (Mi) - Felet Pietro, Vittorio Veneto

1947

Trameri Piero, Isolaccia (So) - Colombo Mario, Cornate d’Adda (Mi) - Giacomelli Tarcisio Isolaccia (So)

1948

Sosio Tobia, Semogo (So)

1949

Giussani Mario, Lissone (Mb)

1950

Spini Giacomo, Tartano (So)

1951

Ceriani Ercole, Passirana di Rho (Mi)

1952

Re Natale, Pogliano (Mi) - Molteni Tiziano, Carugo (Co) - Riva Angelo, Triuggio (Mi)

1953

Longoni Mario, Albiate (Mb) - Riva Antonio, Paina (Mi)

1954

Sosio Carlo, Semogo (So) - Vismara Maurizio, Carate Brianza (Mb) - Frigerio Enrico, Anzano del Parco (Co)

1956

Camesasca Aldo, Besana Brianza (Mb)

1957

Motta Massimo, Monza

1958

Villa Pietro, Peregallo di Lesmo (Mb) - Manzolini Emilio, S. Mamete Valsolda (Co)

1959

Sala Graziano, Calò (Mi) - Mantegazza Claudio, Saronno (Mi) - Pozzi Tiziano, Lissone

1960

Colleoni Damiano, Giussano (Mi)

1961

Locatelli Alessandro, Caslino d’Erba (Co) - Beniamino Gusmeroli, Tartano (So)

1962

Sala Angelo, Desio (Mb)

1968

Limonta Gianluca, Erba (Co)

1978

Panzeri Simone, Albiate (Mb)

Gli italiani che hanno emesso i voti perpetui nella congregazione dei Preti del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram sono in tutto 153; 52 sono i defunti, di cui 45 sacerdoti e 7 fratelli. Il primo è stato padre Giuseppe Acquistapace, che ha pronunciato i primi voti a Betlemme nel 1910. Nove di loro sono morti all’estero.

69 sono i betarramiti italiani viventi: 65 sacerdoti e 4 fratelli laici; 55 sono all’opera in Italia e 14 all’estero.

Nonostante la crisi vocazionale, il vicariato d’Italia è tuttora la realtà betarramita con il maggior numero di sacerdoti. L’età media è di 70 anni.

Durante la loro storia di 110 anni, 5 religiosi italiani sono usciti dalla congregazione per incardinarsi in altre realtà diocesane e religiose. Altri 18 invece hanno lasciato il sacerdozio e 3 lo stato di fratelli laici, per un totale di circa il 15% dei professi. Infine altri 6 sono stati dispensati dai voti perpetui mentre erano ancora studenti.

Riprendiamo il filo della storia dei betarramiti italiani seguendo la continuazione realizzata da padre Alessandro Paniga fino al 1995 e quindi le pagine della nostra stessa rivista, «Presenza».

CASA-FAMIGLIA: APERTURA ALLA CARITÀ di ALESSANDRO PANIGA Termina qui lo scritto di padre Arnaldo Guerra (che muore nel marzo 1991). Testimone dei tempi «eroici» del boom, ha visto con una certa amarezza ma senza mai perdere la speranza il lento declino numerico e d’età della «Bétharram d’Italia». Il suo è un racconto alle volte un po’ cronistico ed entusiasta, ma nell’insieme rende molto bene l’idea dello sviluppo della congregazione nel nostro Paese.

A fine agosto 1990 Colico accoglie i 70 partecipanti ad EuroBétharram, quattro giorni di incontro tra i religiosi betarramiti d’Europa; Ennio Bianchi tiene la relazione introduttiva sui cambiamenti in corso nella società, cui si aggiungono i dettagli delle varie situazioni nazionali. Poi si esprimono i 4 superiori provinciali; per l’Italia, padre Radaelli constata che Bétharram non è uscita dal Nord dove è nata, dimostrando difficoltà a sradicarsi e fare progetti più universali. Un altro difetto è l’individualismo, che si manifesta nell’attività vissuta in modo personalistico e non comunitario: «Il

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futuro è un cammino di rinnovamento interiore più che l’apertura di nuove opere».

Tuttavia altre opere si fondano. E’ il caso, nel 1992, della casa-famiglia per malati di Aids a Monteporzio Catone, nell’ex seminario ormai libero da qualche anno e appositamente ristrutturato: un altro segno concreto di attenzione della provincia alle «nuove povertà». Il 16 marzo la nuova casa si apre ai primi ospiti. Oltre al pioniere Mario Longoni ad accoglierli ci sono Giulio Forloni, Anselmo Ghezzi e il giovane fratello laico Claudio Mantegazza: i betarramiti italiani guardano all’opera con grande interesse ma anche con una certa preoccupazione, la vedono come un segno forte di partecipazione ai bisogni dell’epoca, tuttavia l'entità dell'impegno (anche economico) dell'istituto non è cosa da poco. Parallelamente nasce l’associazione laicale «Il Mosaico», destinata a supportare ma anche allargare le attività della casafamiglia; la prima iniziativa è un incontro pubblico con la popolazione, per spiegare e cercare di sfatare i molti pregiudizi e le

paure che circondano l’Aids «peste del secolo». E i soci crescono tanto rapidamente che si sente il bisogno di organizzare già a settembre la prima festa nazionale del «Mosaico», con arrivi da tutt’Italia.

Sempre a settembre viene inaugurata la nuova chiesa di Sant’Ilario a Milano; finalmente viene abbandonato il prefabbricato cui tutti erano affezionati ma che presentava numerosi difetti; è pronto anche il centro parrocchiale, in cui il vicario Maurizio Vismara può avviare l'oratorio. Da non dimenticare pure, nell’estate, il primo «pellegrinaggio betarramita» italiano a Lourdes e Bétharram, con partecipanti da Toscana, Emilia e Lombardia, e il corso di Teologia della vita religiosa tenuto dai betarramiti di Albiate.

L’XI Capitolo provinciale si svolge in due sessioni tra dicembre 1992 a Brescia e agosto 1993 a Colico: l’approfondimento è dedicato alla formazione (iniziale e permanente), alla propria identità di religiosi, alla missione e al ridisegno dei campi d’apostolato attraverso i «progetti comunitari», alla comunicazione. La «sorpresa» del capitolo generale di aprile, però, è più forte: un altro italiano, il secondo nella storia betarramita, viene scelto come superiore di tutto l’istituto; si tratta di Francesco Radaelli, già provinciale della Penisola; assistente generale è Giacomo Spini.

Al suo posto in Italia diventa responsabile Piero Trameri e in quello stesso anno le

due comunità «storiche» di Betlemme e Nazareth entrano a far parte della provincia. Bétharram dello Stivale conta in tutto una settantina di religiosi (di cui 5 fratelli) più una ventina all’estero, ma solo 3 seminaristi - uno, Roberto Cornara, diventa prete proprio nell’aprile 1992 a Milano Sant’Ilario - un novizio e un postulante, divisi in 21 comunità.

Per puntare di più sulle vocazioni nell’estate 1993 viene organizzata a Teggiate (casa di vacanze in Valtellina) una settimana di aggiornamento per i religiosi che lavorano nella pastorale giovanile; un’altra settimana dedicata ai superiori di comunità si tiene presso Brescia. Graziano Sala, incaricato della Pastorale giovanile diocesana di Bari, partecipa con un gruppo alla Giornata mondiale della Gioventù a Denver; Aldo Camesasca conduce un campo-scuola di volontariato in Albania.

Nell’autunno giungono a Sala Baganza per un prenoviziato tre giovani indiani: Britto, Jose e Thomas (saranno raggiunti qualche mese più tardi da Xavier e Biju Paul); si tratta di una scelta obbligata, visto che questi studenti hanno completato i corsi in patria e non sono ancora stati concessi ai betarramiti i permessi per costruire laggiù una residenza.

Il nuovo indirizzo della provincia mira nettamente a rinfrescare la formazione personale e approfondire la fraternità, ricostituendo un clima di famiglia: da cui anche l’organizzazione di assemblee generali come quella del 3 e 4 gennaio 1994 a Triuggio sui temi della vita consacrata e in preparazione del Sinodo sullo stesso argomento, e quella dal 28 al 30 dicembre del medesimo anno a Casaglia (Mb) sullo stato delle comunità per rinnovarle

1991-1995

attraverso un «progetto provinciale». Ugualmente si organizzano incontri intercomunitari quadrimestrali tra i religiosi dispersi nel Centro e Sud Italia. Nell’estate 1994 Teggiate ospita un corso di aggiornamento per i religiosi più giovani.

Sempre nel 1994 Mario Longoni finisce al «Maurizio Costanzo Show» a parlare di Aids, ma non è una bella esperienza: troppa spettacolarizzazione del dolore. Il cardinale Martini visita Puria, in Valsolda, accolto dal superiore padre Pajno e dal parroco Antonio Riva per celebrare il 400° della cupola edificata dal grande architetto Pellegrino Tibaldi, e ne approfitta per incitare i betarramiti a realizzare nelle piccole parrocchie circostanti un esempio di «unità pastorale»: nuovo metodo che si cerca faticosamente di introdurre nella diocesi ambrosiana. A Niem il dispensario - unico presidio sanitario in un vasto raggio - cresce anche grazie alle suore infermiere indiane e italiane Francescane del Sacro Cuore di Gemona e di numerosi volontari, i villaggi visitati da padre Arialdo sono ormai una ventina e 6 le scuolette finanziate grazie a decine di «adozioni a distanza» dall’Italia; entro fine anno - centenario dell’evangelizzazione del Centrafrica - sarà consacrata la chiesa in muratura del villaggio capoluogo, con le luminose vetrate dell’immancabile padre Radaelli. Sempre in missione, ma all’altro capo del mondo cioè in Thailandia, padre Alberto Pensa inaugura nel centro Sacra Famiglia di Ban Pong «Ban Konthip», letteralmente «Casa Mani di Fata», una scuola laboratorio per formare e dare lavoro alle ragazze delle tribù di montagna che altrimenti rischierebbero di finire sfruttate in vari modi in città.

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Nel 1995 la congregazione comincia la sua presenza stabile in India e proprio un italiano, Enrico Frigerio, è incaricato di guidare la prima comunità di aspiranti a Bangalore. Padre Frigerio, grazie anche alla sua conoscenza dell’inglese, già nel 1991 aveva accompagnato il superiore generale in India, in visita ad alcuni aspiranti betarramiti che studiavano in seminario con ragazzi di altre congregazioni. Ora invece Bétharram, aiutata dalle suore del Carmelo Apostolico (quelle di santa Miriam) e dalle Ancelle di Maria (fondate dal compagno di Garicoits padre Cestac), apre Shobhana Shaaka («Bel Ramo») una casa veramente sua e ordina il primo betarramita indiano: padre Xavier Ponthokkan.

Nella primavera 1995 l’associazione Il Mosaico organizza ad Albavilla «Aids: il tempo si è fatto breve», il terzo convegno di studio e approfondimento su temi culturali legati alla cura e basato questa volta su un documento di lavoro destinato a diventare la «carta fondamentale» della casa-famiglia di Monteporzio (e non solo).

A Colico nasce l’associazione ex alunni, che subito contribuiscono a un micro-progetto agricolo per la missione betarramita del Centrafrica. In estate si svolge invece un itinerario di ricerca vocazionale per giovani in Terrasanta, con padre Natale Re; appena pochi mesi prima la provincia ha festeggiato l’ordinazione dei padri Gianluca Limonta e Pierpaolo Nava.

L’Italia betarramita si guarda allo specchio, conta le forze e soprattutto si interroga sul futuro. Troppo spesso l’attivismo delle «opere» ha fatto dimenticare lo scavo nelle profondità dell’ideale.

ALLA RICERCA DI

NUOVE STRADE di ROBERTO BERETTA Tra settembre e ottobre del 1995 si svolge la visita canonica in Italia del nuovo generale; padre Radaelli la conclude con un documento di diagnosi e raccomandazioni in cui spiccano la richiesta di analizzare gli impegni di ministero, «che in alcuni casi si presenta molteplice, vario, ma anche dispersivo e assillante, a scapito della vita fraterna e dell’identità dell’opera», in vista di un’analisi realistica sul futuro proprio e della comunità in cui si vive, «progettando eventuali alternative» anche in base alle necessità della Chiesa locale e del territorio. Occorre una «presenza che i laici avvertano come “religiosa betarramita”».

Il 7 ottobre 1995 il cardinale Camillo Ruini consacra la nuova chiesa di Santa Rosa da Viterbo a Roma, dopo un’attesa di oltre trent’anni (la parrocchia è del 1962) e celebrazioni tenutasi nella cappella prestata dalle suore Figlie della Croce. La nuova struttura è su 4 livelli: chiesa a pianter-

reno, sopra uffici, aule e abitazione dei preti. La celebrazione coincide casualmente con il 72° compleanno di padre Pierino Donini, il parroco che ha retto la fatica della costruzione.

L’anno seguente 1996 si celebra a Sestri Levante il XII Capitolo provinciale: una verifica delle forze delle comunità italiane, tra ricchezze e povertà: «Il campo volante sognato da san Michele Garicoits quasi due secoli fa ha ancora un contributo specifico da offrire alla Chiesa e al mondo»? Tra le istanze più sentite: la stesura dei progetti comunitari, lo slancio verso una pastorale straordinaria e di frontiera, l’attenzione ai religiosi malati, il sostegno alle comunità di Terrasanta, l’apertura ai laici (anche attraverso la creazione di un’apposita associazione): «Il futuro dipende in gran parte dal rapporto che in questi anni si cercherà di instaurare e di costruire con loro». Quest’ultimo è un ritornello che torna ormai molto spesso sulle pagine della rivista, ma senza trovare un’incisività decisiva.

A 10 anni dall’apertura della missione centrafricana, nel settembre 1996 ai betarramiti italiani viene affidata la parrocchia di Nostra Signora di Fatima

1996-1998

nella cittadina di Bouar, a una settantina di km da Niem; parroco è padre Beniamino Gusmeroli, che si occupa di sistemare la chiesa, ricostruire la casa e aprire un centro giovanile comprensivo di laboratori. A coadiuvarlo col titolo di superiore arriva dall’Italia padre Mario Zappa, 54 anni, una vita nella formazione dei seminaristi: si occupa anche lì di insegnare nel locale seminario e di allevare possibili giovani religiosi.

Per l’estate i padri Camesasca e Colleoni lanciano un campo-scuola itinerante di netta impronta betarramita: l’idea è girare in 6 giorni tutte le comunità del nord, da Sala Baganza alla Caravina, incontrando i religiosi e dando un tema a ciascuna tappa. Castellazzo celebra i vent’anni di presenza betarramita: gli abitanti, invece di crescere come si pensava, si sono dimezzati dai 400 iniziali ed Egidio Zoia, Giovanni Orlandi e Giacomo Ghislanzoni hanno dovuto ripensare la loro funzione.

Il cardinal Martini, in visita nel 1991, ha indicato un nuovo compito: «Impegnarvi con assoluta priorità nella formazione interiore sia dei vostri

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parrocchiani, sia di molti altri del territorio circostante (come) richiamo per persone che cercano guide e condizioni adatte per momenti di riflessione, scuola di preghiera, discernimento vocazionale, confessione, direzione spirituale, esemplari celebrazioni eucaristiche, corale recitazione delle ore». Fornacelle invece, frazione di Montemurlo, essendo in piena espansione demografica e urbanistica, celebra il 14 settembre la posa della prima pietra della chiesa.

L’anno dopo, 1997, è quello dell’attesissimo secondo centenario della nascita del fondatore. Dopo la professione religiosa, a Monteporzio, del thailandese Paul Subancha (che ha trascorso nella casa-famiglia due anni di volontariato) e il «cammino di avvicinamento» per i laici in vari incontri tra Albiate, Albavilla e Sala Baganza (per i religiosi il raduno è il 1° e 2 aprile ad Eupilio), si svolgono le numerose iniziative della commemorazione. Solennizzato in tutte

le comunità l’anniversario del 14 maggio, ma il clou è tra luglio e agosto a Bétharram: prima una settimana per i religiosi, poi il meeting di una settimana tra tutte le realtà laicali nazionali ispirate a Garicoits, quindi il pellegrinaggio dei giovani, collegato alla Giornata mondiale della Gioventù a Parigi.

«Si spera ora che il cammino intrapreso sia continuato con perseveranza - scrive Ennio Bianchi su Presenza -. I laici lo desiderano: molti di loro hanno chiesto che gli incontri di spiritualità betarramita continuino, perché li hanno trovati stimolanti per la loro vita cristiana».

Sull’onda dell’iniziativa, infatti, a Montemurlo si costituisce il Gruppo San Michele, tra laici che desiderano approfondire il carisma del fondatore.

Proprio nella cittadina toscana a dicembre 1997 è inviato come parroco Guido Pradella, cui nella parrocchia Sant’Ilario al Gallaratese subentra con la stessa funzione padre Carlo Antonini - reduce da 23 anni di insegnamento della religione in un liceo scientifico a Erba; il cambio della comunità milanese è completato da Damiano Colleoni, che sostituisce Maurizio Vismara destinato a Roma Santa Rosa (dove nella primavera 1998 si svolgerà una grande missione popolare con ben 45 predicatori in preparazione del Giubileo), mentre Luigi Gusmeroli garantisce la continuità. A Fornacelle, una delle parrocchie aggregate

alla comunità di Montemurlo (l’altra è Bagnolo, con parroco padre Giuseppe Franchi), padre Mario Giussani marcia a tappe forzata verso la costruzione della nuova chiesa - si è celebrato prima in una cappella privata, poi in un locale in affitto - per la quale ha anche inventato una lotteria «al contrario», il «Gratta e perdi» (la cifra non viene erogata, ma al contrario va versata), che ha suscitato interesse persino in televisione.

Mentre la casa di Albiate ha appena celebrato il 50° di esistenza, l’associazione «Il Mosaico» collegata alla casa-famiglia di Monteporzio si dà uno statuto che permetterà l’apertura di una sede anche a Milano; si ipotizza la possibilità di iniziare attività anche al nord (nelle carceri? Come prevenzione nelle scuole?), ma legami si stringono pure con le altre realtà betarramite della Toscana e della Puglia.

Nasce anche l’Armetta, un laboratorio in cui i malati di Aids abbastanza autosufficienti possono impegnare le loro risorse creative.

L’ex Centro betarramita di Albavilla (ora denominato Comunità San Michele) ospita le 8 vocazioni rimaste - tra cui un giovane della Giordania - poiché è stata determinata la chiusura della residenza di formazione di Sala Baganza; in Emilia resta però ancora per qualche anno una comunità betarramita impegnata nelle parrocchie di Felino e San Vitale Baganza.In Centrafrica Beniamino Gusmeroli è nominato responsabile della Commissione diocesana «Giustizia e Pace»: un settore, quello dei diritti umani, in cui c’è parecchio da fare; a Niem, grazie alla presenza del volontario

1996-1998

odontotecnico Angelo Sala, si apre anche un ambulatorio da dentista.

Il 1° maggio 1998 inizia quella che vorrebbe essere una felice iniziativa: la «festa in famiglia» dei betarramiti italiani, in cui celebrare anniversari di professione e ordinazione sacerdotale dei vari religiosi; la prima casa prescelta è Colico. Un paio di mesi più tardi, medesima location, il generale padre Radaelli raduna tutti i superiori delle comunità d’Europa: un’occasione se non altro di condivisione e apertura d’orizzonti. Il 1° dicembre invece l’ex seminario San Giuseppe di Albavilla, chiuso ormai dal 1986, si presenta architettonicamente rinnovato (su progetto di padre Ercole Ceriani) e «riciclato» in casa di accoglienza con una trentina di camere per gruppi, convegni, incontri di spiritualità, corsi di aggiornamento, eccetera; un notevole investimento, che tuttavia a distanza di una

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decina d’anni non si rivelerà completamente riuscito per le difficoltà di gestione.

Il 6 dicembre la parrocchia Santa Rosa da Viterbo vive un evento epocale: la visita pastorale di Giovanni Paolo II nella chiesa costruita da padre Donini, con annesso ampio complesso parrocchiale per i 10.000 abitanti del quartiere sulla via Cassia; lo accolgono il parroco Vismara e i suoi nuovi aiutanti Roberto Cornara e Gianluca Limonta.

Una squadra giovane per un’attività ben avviata: centro di ascolto, gruppi di preghiera, scout, compagnia teatrale, coro, scuola materna e nido, gruppo escursioni, oltre alle normali attività pastorali e di oratorio. E nella primavera 1999 parte anche la missione riservata al mondo del lavoro.

Creano gruppi nazionali, vengono invitati ai Capitoli, lanciano iniziative e organizzano incontri… Ma la marcia dei laici betarramiti è ancora molto lenta: soprattutto nello Stivale

I PRIMI (TIMIDI) DEI LAICI Nella nuova casa di Albavilla, ormai divenuta «Centro di spiritualità e formazione», si svolge a fine 1998 il XIII Capitolo provinciale, sul tema «Una famiglia aperta al futuro»; sul tavolo anche la revisione della presenza in alcuni luoghi e la destinazione di altri: «Occorre rivitalizzare con apporti nuovi, qualificati, sensibili alle domande del nostro tempo, le opere esistenti». L’incontro italiano prepara il capitolo generale dell’aprile 1999 a Roma, cui per la prima volta partecipano da protagonisti anche alcuni laici; ne esce - oltre alla riconferma di padre Radaelli per altri 6 anni - la «rivoluzione» della suddivisione dell’istituto in tre grandi aree linguistico-geografiche, chiamate Regioni; le province scompaiono, o meglio saranno chiamate vicariati, e l’Italia viene inserita nella Regione San Michele che raccoglie tutte le comunità d’Europa (eccetto l’Inghilterra), Africa e Terrasanta. La seconda sessione del Capitolo provinciale, nell’aprile 2000, recepirà infatti le novità, decidendo di privilegiare

PASSI

l’apostolato delle famiglie e dei giovani; viene anche creata una «Commissione laici» con tre religiosi e tre laici.

La festa di san Michele (14 maggio) 1999 è solennizzata dall’ordinazione sacerdotale del secondo betarramita indiano, padre Anthony Britto, che verrà seguito a settembre dal confratello Biju Paul; termina anche il primo noviziato effettuato in terra d’India: il tutto grazie alle cure di padre Frigerio, che commenta sobrio: «Insomma c’è vita». A Bangalore arrivano anche due seminaristi thailandesi (anche in Thailandia nello stesso 1999 vengono ordinati i primi due betarramiti locali) e di fronte all’abbondanza di vocazioni si decide l’apertura di un’altra casa a Mangalore. Ma pure ad Albavilla ci sono professioni religiose: i candidati sono tre stranieri, due giordani e un palestinese che hanno completato il noviziato in Italia; altri tre sono già pronti a sostituirli.

All’inizio del nuovo millennio, i betarramiti nel mondo sono 330, di cui 254 preti; nella provincia italiana - che comprende anche Terrasanta e Centrafrica - sono un’ottantina (l’ultimo, padre Massimo Motta, viene ordinato proprio nel

1999-2003

giugno 2000) distribuiti in 20 case. Il santuario della Caravina, di cui è rettore padre Cesana, viene inserito tra le chiese giubilari della diocesi di Milano. Sempre in ambito giubilare, sono diversi - e spiccano Graziano Sala e Carlo Sosio - i betarramiti che partecipano con i rispettivi gruppi giovanili alla Giornata mondiale della Gioventù a Roma. A Ponte a Elsa padre Tiziano Molteni inaugura la nuova chiesa, progettata dal generale (e architetto) Francesco Radaelli. A Mariotto in Puglia la comunità si «sdoppia» per assumere anche la parrocchia del Santissimo Sacramento alla periferia di Bitonto (Ba): una realtà completamente diversa, di città, con una chiesa moderna e il centro parrocchiale ancora in costruzione.

Alle soglie del nuovo millennio padre Radaelli ha appena terminato la visita canonica alla provincia italiana e proprio nel gennaio 2001 traccia ai confratelli la sua linea in un incontro ad Albavilla: i religiosi italiani sono preparati e di valore, ma devono imparare ad agire più comunitariamente, in base a progetti condivisi; occorre essere più esigenti nella scelta dei campi d’azione e nella preparazione specifica richiesta: serve una formazione permanente; bisogna essere più aperti alla condivisione coi laici, finora limitata alle «solite» conferenze con cui il sacerdote di turno istruisce i semplici credenti. Lo stesso generale pochi giorni prima aveva incontrato una quarantina di laici provenienti dai luoghi dove i betarramiti sono presenti per significare in modo esplicito la nuova attitudine della congregazione nei loro confronti, ipotizzando anche la nascita della figura del «laico

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associato», una forma giuridica che addirittura coinvolgerebbe in qualche modo i laici nelle comunità stesse: «Si tratta ormai di un cambio di mentalità: questa è la linea».

Nell’aprile 2001 si verifica un cambio di provinciale: dopo 8 anni a padre Piero Trameri subentra padre Paniga. Il suo proposito: «Promuovere una spiritualità della comunione. Ogni nostra comunità è chiamata a essere la casa e la scuola della comunione». Subito però si dimostra urgente un «profondo discernimento comunitario sulle opere in cui si è impegnati, in vista di decisioni che rispettino le necessità della Chiesa e la natura del nostro carisma»: che cosa mantenere e cosa chiudere, in vista dell’invecchiamento dei religiosi italiani?

Paniga vuol fare sul serio: a settembre presenta un progetto provinciale quadriennale in cui insiste anche sulla «disponibilità» e la «mobilità» dei religiosi.

Sullo sfondo c’è sempre il «problema» (ma non era una chance?) dei laici, cui nonostante tutto non si riesce a dare una collocazione. Il 1° maggio, nella consueta festa degli anniversari a Colico, c’è spazio anche per loro: Luigi Pirovano, Anna Dellavedova e Irene Belloni presentano un primo abbozzo di «linee programmatiche», una sorta di minimo comun denominatore per potersi dire laici betarramiti; si decide anche di inviare un questionario a religiosi e

laici per avere un’idea più chiara delle situazioni locali. Dal 2 al 4 novembre è proprio l’Italia, ed esattamente Albavilla, ad ospitare il secondo incontro internazionale del laicato betarramita, con una trentina di partecipanti da 4 nazioni: gli italiani ascoltano interessati le esperienze delle altre nazioni, dove il laicato cristiano è senz’altro più emancipato. L’occasione si ripeterà nel luglio 2002 a Bétharram, dove si tenta di stendere una sorta di «statuto» del laico betarramita; quell’anno stesso gli italiani rispondono con una serie di incontri itineranti nella varie case betarramite del Nord e «a due voci» (un religioso e un laico) che si esprimono sullo stesso argomento, intorno al titolo «Essere umani alla maniera di Dio».

Sempre nel 2002 un altro laico, l’odontotecnico Angelo Sala, dopo 5 anni di lavoro come volontario nella missione di Niem-

Bouar chiede di entrare tra i betarramiti come fratello; durante l’estate il primo giovane centrafricano, Narcisse Zaolo, emette i suoi voti temporanei.

Si celebra il decennio della casa-famiglia di Monteporzio: in questo periodo ha ospitato ben 59 persone, di cui 41 sono state accompagnate fino alla morte (si era in tempi in cui non erano ancora stati sperimentati i potenti farmaci antiretrovirali che ora consentono sopravvivenza ben più lunghe). Villa del Pino è stata molto attiva anche con iniziative di sensibilizzazione, convegni, eventi culturali, corsi di formazione, interventi nelle carceri, partecipazione ai coordinamenti nazionali e internazionali…

Il 22 settembre 2002 una lunga processione accompagna la salma di padre Giuseppe Airoldi, fondatore e primo parroco del Sacro Cuore a Lissone, che a 30 anni dalla scomparsa viene traslata nella chiesa da lui stesso costruita; il parroco Davide Villa detta l’epigrafe sulla lapide: «Vieni, padre, la casa che hai costruito di accoglie». A Roma

1999-2003

invece muore fratel Marcello Piciollo, storica presenza di cuoco e tuttofare in varie comunità (Colico, Bormio, Monteporzio, Roma). In dicembre si spegne anche padre Luigi Gusmeroli, tartanese il cui ministero si è diviso in due parti: vent’anni in Brasile nelle case di formazione dei seminaristi e quasi il doppio in Italia, tra Premosello, la Caravina e Sant’Ilario a Milano. Padre Frigerio lascia l’India e si trasferisce in Inghilterra, nella parrocchia betarramita di Leigh, anche per tenere i legami tra le nazioni betarramite anglofone. Il 2003 si apre con un nuovo provinciale, Graziano Sala, che nell’assemblea generale dei religiosi italiani in febbraio ad Albavilla si presenta insieme al suo Consiglio: il vicario Giulio Forloni, gli assistenti Pietro Villa, Roberto Cornara e Pietro Felet, il segretario Angelo Pajno, l’economo Mario Colombo. Subito dopo comincia un giro di visite in tutte le comunità italiane, preludio di alcune decisioni importanti e inevitabili. Tre sono le novità dell’anno quanto alle residenze: anzitutto si restituisce la Caravina alla diocesi, dopo 43 anni. «Andar via costa - scrive Carlino Sosio, uno dei religiosi della comunità, trasferito a Milano - 43 anni di presenza non sono un gioco, sono un patrimonio acquisito giorno dopo giorno attraverso l’impegno e la responsabilità. Ma siamo convinti che il bene fatto rimarrà per sempre».

A Colico invece si inaugura Casa Cornelio (dal cognome di Achille e Ines, due coniugi benefattori), una piccola residenza che sostituisce il grande collegio, chiuso l’anno precedente e quindi ceduto al Comune, per non lasciare del tutto la culla della

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provincia betarramita italiana; i religiosi continueranno infatti il loro apostolato in vari ministeri nella zona, tra cui Albonico dove padre Mario Bulanti è parroco fin dal 1965. A Parma si assume la parrocchia di Sant’Andrea in Antognano, una bella chiesa moderna nel quartiere universitario (9000 studenti) a sud della città; il 14 dicembre fanno l’entrata ufficiale il parroco Giacomo Spini e il confratello Angelo Bianchi. Miriam Mazzoleni, per gli italiani, partecipa all’incontro dei laici betarramiti mondiali in Costa d’Avorio. Il noviziato viene trasferito a Betlemme, per gli aspiranti italiani, francesi e africani insieme.

In luglio muore ad appena 55 anni padre Fedele Bormetti, carismatico missionario dal 1976 nella parrocchia di Atlantida, in Uruguay, e quindi a Martin Coronado in Argentina.

A Lissone arriva padre Antonio Riva, vocazione adulta con esperienze prima come economo in Terrasanta e poi come parroco alla Caravina; il suo ruolo diventa quello di un «precursore» della comunità pastorale (unità di parrocchie) perché non presta servizio al Sacro Cuore bensì nelle altre chiese della città. La casa-famiglia di Monteporzio apre un «appartamento di sgancio», per preparare il reinserimento sociale di ex ospiti autosufficienti e in grado di vivere con una certa autonomia; resterà aperto fino al 2009.

SIAMO FIGLI DI PROFETI Il futuro di Betharram sarà profetico, oppure non ci sarà nessun futuro. Papa Francesco lo ha detto ai superiori generali molto chiaramente riferendosi a tutta la vita consacrata: «La radicalità evangelica non è propria solo dei religiosi: è richiesta a tutti. Però i religiosi seguono il Signore in modo speciale, in modo profetico. Questa è la priorità che ora ci è richiesta: essere profeti come Gesù ha vissuto su questa terra… Un religioso non deve mai rinunciare alla profezia». Lo ripete nella «Lettera ai Consacrati» e lo ha ribadito in altre occasioni.

Il profeta è semplicemente un uomo di Dio, che si è incontrato con lui, Gesù risorto, vive per lui, testimonia la sua presenza e la manifesta con le sue parole. Il profeta è colui che ha esperimentato che «conoscere Gesù è il più bel regalo che una persona possa ricevere; averlo incontrato è la cosa più bella che ci è capitata nella nostra vita, e farlo conoscere con la nostra parola e con le nostre azioni è la nostra gioia» (Documento di Aparecida, 29). Tutto questo è vero. Per continuare a essere profeta bisogna coltivare questa esperienza con la meditazione quotidiana della parola di Dio, nella celebrazione della riconciliazione e dell’eucaristia e nella pratica delle opere di misericordia.

Il profeta betharramita è un uomo che non vive per se stesso, ma per Gesù e per gli altri, e vive l’antropologia del Vangelo: «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane da solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserva per la vita eterna» (Gv 12,24-25). È l’opzione per questa antropologia a giustificare il suo stile di vita obbediente, povero e casto. E anche questo è molto vero: ascoltando e dando valore al ruolo dei superiori, invece di essere autonomo; condividendo le risorse invece di usarle secondo i propri gusti; mettendosi in un atteggiamento di servizio e non di dominio nei confronti degli altri, ricercando le proprie comodità. Il profeta betharramita sarà fraterno o non sarà profeta, seguendo le stile di Gesù con i suoi discepoli che prima e dopo l’annuncio del regno, degli esorcismi e della cura dei malati, trovava il tempo per stare a tu per tu con il Padre. Come i discepoli, il profeta betharramita condividerà la sua esperienza missionaria, la sua vita, la sua preghiera, l’azione di Dio in lui e negli altri e i beni che riceve. Tutto questo con semplicità, con un atteggiamento di rispetto e di servizio, con responsabilità e perdono, che sono valori della stessa antropologia evangelica. Vivendo con questo stile, unito a Gesù e ai fratelli, avrà una particolare sensibilità per le cose che riguardano Dio e in un dialogo fraterno farà il discernimento della volontà di Dio nella vita quotidiana e nei segni dei tempi.

La vita del profeta betharramita e delle comunità, grazie al loro stile di vita fatto di gesti concreti, irradieranno voglia di vivere, entusiasmo, gioia, speranza … e susciteranno curiosità tra le persone che li vedono vivere e si sentiranno attratti da questo stile di vita. Il profeta betharramita, poi, dovrà rendere ragione della sua speranza con umiltà e mitezza,

annunciando: sono così da quando ho incontrato Gesù e ho scoperto il suo amore; mi ha cambiato la vita e mi sono innamorato delle beatitudini.

Bétharram abbraccia il futuro con speranza perché non è un’opera voluta dagli uomini ma dal Sacro Cuore di Gesù, che «l’ha concepita e formata» e continua ad amarla perché grazie allo spirito missionario che l’ha sempre caratterizzata, in questi ultimi 10 anni ci ha donato 55 ordinazioni sacerdotali e 5 religiosi-fratelli e in questo momento ci chiama a offrire il carisma ai giovani in Vietnam. Bétharram abbraccia il futuro con speranza perché, con questa mentalità profetica, tra i 246 religiosi di voti perpetui e i 26 di voti temporanei, siamo in molti a meditare la Parola di Dio ogni giorno, a vivere con serietà i voti, a sforzarci di vivere la fraternità evangelica e a realizzare la missione con una spiritualità profetica e con gioia.

Bétharram abbraccia il futuro con speranza perché siamo in molti anche a essere innamorati della bellezza del carisma lasciatoci dal nostro padre san Michele Garicoïts e siamo decisi a proporlo con la nostra testimonianza e con la parola ad altre persone che sono in ricerca.

Bétharram abbraccia il futuro con speranza perché ci sono molti laici che, attratti dal nostro stile di vita, si lasciano contagiare e vogliono condividere con noi la spiritualità e la missione del carisma di san Michele. Bétharram abbraccia il futuro con speranza perché ci sono molte persone: vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, laici, uomini, donne, anziani, adulti, giovani e bambini che ci conoscono, ci danno fiducia, hanno conosciuto Gesù grazie a noi e pregano sempre perché siamo fedeli alla nostra vocazione.

Bétharram abbraccia il futuro con speranza perché una schiera di testimoni, incominciando dal nostro padre san Michele Garicoïts, santa Maria di Gesù Crocifisso, padre Augusto Etchecopar, ci precede, ci accompagna e intercede per noi perché vivendo il Vangelo sulla terra ci incamminiamo verso l’incontro con Dio e con loro in cielo.

Gaspar Fernández Pérez, superiore generale, ottobre 2015

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La presenza dei betarramiti nella nostra Penisola compie cent’anni: un periodo da celebrare, ma anche l’occasione per fare un bilancio e per progettare una ripartenza «diversa»

L'EREDITÀ DI UN SECOLO

Il 2004 si svolge sotto il segno del centenario della presenza betarramita in Italia; tra le varie iniziative programmate sotto lo slogan «Dal cuore la vita. Ricordare il passato, progettare il futuro», spicca l’incontro a Traona nel giorno preciso (16 agosto) dell'arrivo dei preti del Sacro Cuore dalla Francia e a fine settembre una grande festa con i laici ad Albavilla. Ma numerose sono le iniziative: la lampada votiva tenuta accesa durante l’anno da tutte le comunità italiane, il restyling del periodico «Presenza» (che pubblica a puntate la storia dei betarramiti nella Penisola), una mostra storica itinerante, il saluto ufficiale dell’arcivescovo di Milano cardinale Dionigi Tettamanzi che elogia la «presenza attiva» della congregazione per oltre 60 anni nella sua diocesi, la staffetta con tanto di fiaccola da Traona a Lissone...

E’ anche l’occasione per fare il punto sul secolo di attività. Padre Sala sulle pagine della rivista si chiede: «Cosa vogliamo farne della presenza di Bétharram in Italia?

Abbiamo ricevuto una grande eredità. Ci è

stata consegnata a costo di grandi fatiche e anche di sofferenze… Abbiamo bisogno di ripartire da una forte passione e amore per Bétharram». Temi ripresi a dicembre nel XIV Capitolo provinciale ad Albavilla, al quale per la prima volta partecipano anche alcuni laici; tra gli auspici da portare avanti ci sono anche l’apertura a «nuove forme di presenza e di evangelizzazione» nonché a «comunità miste (religiosi e laici)» o almeno a tempi comuni di preghiera e incontro nelle varie comunità o a progetti temporanei di condivisione della vita e della missione. Sono pure da favorire le esperienze nei Paesi di missione.

Nel gennaio 2004 c’è una nuova ordinazione sacerdotale, quella di Romualdo Airaghi, celebrata a Milano Sant’Ilario dove è arrivato anche padre Livio Borghetti. Un mese dopo si festeggiano ad Albavilla i novant’anni del «decano» d’Italia, padre Alessandro Del Grande: gli inizi e il futuro che si toccano. Intanto padre Davide Villa lascia la parrocchia di Lissone a Maurizio Vismara (sostituito a sua volta a Roma Santa Rosa da Emilio Manzolini e Antonio Canavesi) e torna come superiore ad Albavilla. Il superiore di Monteporzio, Mario Longoni, ritira il premio «Samaritano» del vicariato

2004-2007

di Roma per l’assistenza ai malati di Aids, mentre «Il Mosaico» progetta un’altra opera alla periferia di Roma: una struttura di pronta accoglienza per sieropositivi detenuti o extracomunitari, per la quale c’è già anche il nome di Jonathan Mann, grande esempio di precursore nella lotta all’aids.

Il cardinale Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano, visita la casa-famiglia di Monteporzio nel 50° di fondazione e la elogia come «fiore all’occhiello per la famiglia betarramita in Italia».

Lo stesso presule è un amico dei betarramiti: ha appena firmato un volume in cui commenta da par suo le opere (vetrate e mosaici) di cui il generale padre Radaelli ha disseminato la Terrasanta.

A fine 2004 si tiene ad Albavilla il capitolo provinciale: «Il centenario ci ha restituito la freschezza e la vivacità della nostra famiglia religiosa betarramita italiana - scrive il responsabile Graziano Sala -. Ci ha fatto vedere che il cammino compiuto ha lasciato segni indelebili e promesse che, raccolte, possono portare frutto… Le domande che sono ritornate spesso ci hanno richiamato ad accettare le sfide sul futuro, a non essere consumatori di eventi, ad accettare le provocazioni che vengono poste davanti a noi».

Ad aprile il Capitolo generale (cui ha partecipato per la prima volta anche una laica italiana, Miriam Mazzoleni), pochi giorni dopo il conclave da cui uscirà papa Benedetto XVI, elegge il nuovo superiore: è lo spagnolo-argentino padre Gaspar Fernandez Perez; suo vicario è l’italiano Enrico Frigerio, reduce da Inghilterra e India. Padre Radaelli, lasciando l’incarico, compie il suo bilancio

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in un’intervista: «Il mio primo obiettivo è stato creare nell’istituto un clima di casa, per questo ho insistito nel cambiare la definizione di “congregazione” in quella di “famiglia”…. Oggi la famiglia mi appare un po’ a due velocità e se non stiamo attenti può crearsi una frattura tra il vecchio continente e i Paese emergenti. E poi basta col clericalismo, la Chiesa è fondata su una pluralità di vocazioni! Purtroppo l’Italia forse è anche la nazione che, per i suoi trascorsi storici e la sua realtà sociale, è ancora la più clericale di tutte».

Il 18 settembre si celebra con un raduno degli ex allievi il 50° della casa di Albavilla; dal 1955 al 1985 vi sono passati circa 350 «apostolini», di cui 50 divenuti preti.

La festa riesce grandiosa, con la presenza di parecchie decine di «ex» e delle loro famiglie: mostra fotografica formato «amarcord», messa celebrata dall’ex superiore «storico» padre Villa e dal super-decano padre Del Grande (che saluta commosso i «suoi ragazzi»), poi pranzo e assemblea dei ricordi e delle proposte.

Il 2006 si apre con la seconda parte del Capitolo provinciale, ad Albavilla, per recepire su scala italiana le decisioni del Capitolo generale; il centro della discussione è la «comunità in missione», ovvero la presa in carico di opere che siano vissute non individualmente ma come impegno collettivo.

Sullo sfondo i soliti problemi delle vocazio-

ni (organizzare week end per giovani in ricerca), della formazione (anche quella dei superiori!) e dei laici (si studia tra l’altro la costituzione di un’associazione o federazione di gruppi locali e nasce un apposito «Ufficio laici», che si dà il nome simbolico di Vel@ - Vocazione di Essere Laico, composto da Giovanni Guarnieri, Roberto Beretta e Miriam Mazzoleni). Nasce anche, a cura di padre Angelo Riva, www.betharram.it: il primo sito internet dei betarramiti italiani.

A metà 2006 la provincia, cui è sempre collegata la Terrasanta, celebra l’ordinazione dei primi due betarramiti giordani: Eyad Bader e Butrus Alhijazin; tutt’e due

vantano lunghe esperienze formative nelle comunità del nostro Paese e andranno nel 2008 a fondare la prima residenza betarramita in Giordania, precisamente a Zarqa; parroco Elia Kurzum, altra vecchia conoscenza dell’Italia. A Betlemme sta trascorrendo un anno di formazione teologica anche fratel Angelo Sala, ex dentista che si sta preparando a fondare in Centrafrica un centro di cura a domicilio per malati di Aids e che per questo ha trascorso un periodo pure nella casa-famiglia di Monteporzio. Sempre in ambito palestinese, padre Pier Paolo Nava, betarramita esperto di Bibbia, pubblica l’unica grammatica di aramaico biblico disponibile nello Stivale.

Il 18 giugno 2006 viene riconsegnata alla diocesi di Roma la parrocchia dedicata a Santa Rosa di

2004-2007

Viterbo e il motivo è sempre quello: il calo delle vocazioni. «Viviamo - spiega il provinciale padre Graziano Sala - in anni in cui siamo chiamati a non disperderci, ma a spenderci. Le Chiese locali non hanno più bisogno (se non in minima parte) di presenze che suppliscano in luoghi diversificati.

Quello che oggi è richiesto è offrire il proprio della vita religiosa, cioè la vita di comunione nella missione… Forse in negativo risultano in modo eclatante chiusure di opere, ma in positivo rimane il desiderio non di sopravvivere, non di conservarci, ma di continuare a spenderci in un servizio che la Chiesa chiede».

Nello stesso periodo Lissone celebra il 50° di presenza betarramita, il 45° di apertura al culto della chiesa del Sacro Cuore e il 40° della sua consacrazione; la messa commemorativa è concelebrata dai 5 parroci (su 7) viventi e l’amministrazione comunale dedica al fondatore, padre Giuseppe Airoldi, la piazza del sagrato. Anche Sant’Andrea in Antognano festeggia un anniversario, il ventesimo di dedicazione della chiesa, dove però i betarramiti sono presenti soltanto da tre anni; l’anno seguente si inaugurerà anche la cappella universitaria, dove padre Gianluca Limonta sarà impegnato a tempo pieno come assistente spirituale.

Le parrocchie sono ormai da tempo il principale campo di apostolato dei betarramiti italiani e il 2007 vede il loro primo raduno nazionale, in ottobre ad Albavilla, presenti una settantina di partecipanti e il superiore generale - che subito dopo inizia la sua prima visita canonica alla provincia.

Purtroppo manca il decano d’Italia, padre Ales-

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sandro Del Grande, 93 anni, che è morto all’inizio dell’anno ad Albavilla, dove viveva nella comunità del Centro.

In estate è stato ordinato sacerdote una delle ultime vocazioni italiane, padre Simone Panzeri di Albiate. Il generale Gaspar Fernandez chiede maggiore entusiasmo e la disponibilità a rivedere il senso di alcune presenze, soprattutto nelle parrocchie.

Prosegue il progetto per un Centro di terapia anti-Aids in Centrafrica, anzi sul posto si reca padre Longoni (responsabile della casa-famiglia di Monteporzio Catone) per studiare e consigliare le soluzioni migliori; Monteporzio invece, in occasione del 15° di fondazione, ospita un convegno di tutte le case alloggio italiane e poco dopo saluta per sempre padre Anselmo Ghezzi, il sacerdote-falegname-cacciatore-giardiniere che nella residenza laziale ha trascorso quasi 35 anni ininterrotti.

Muoiono anche l’ex superiore provinciale Celestino Gusmeroli, malato da tempo, e Giacomo Ghislanzoni, il prete-poeta che amava l’esperienza ecumenica di Taizé e incantava Castellazzo con le sue prediche.

Secondo un censimento realizzato per l’assemblea provinciale dell’ottobre 2007, i betarramiti italiani - comprese però la Terrasanta e il Centrafrica - sono 81, divisi in 18 comunità (di cui 9 parrocchie) e con un’età media di poco più di 65 anni, ma un terzo risulta parzialmente inabile.

Una nuova suddivisione dell’Istituto, per dare più risalto alla collegialità delle scelte. Il Nord ricco del pianeta è povero di vocazioni, il Sud (India, Thailandia, Africa) invece è in piena espansione. E l’Italia?

LA STAGIONE DEI

2008: tra aprile e maggio si svolge il pellegrinaggio dei laici betarramiti italiani a Lourdes e Bétharram. 150 persone provenienti dalle varie località in cui sono presenti i preti del Sacro Cuore raggiungono i luoghi del fondatore sui Pirenei e ne riportano un simulacro della Vergine di Bétharram che viene poi fatto pellegrinare in tutte le comunità betarramite italiane, anche per stimolare una preghiera a favore delle vocazioni religiose; per molti è un’occasione «forte» di conoscenza della storia e del messaggio di san Michele.

Il 26 giugno muore padre Lino Gurini, storico direttore (dal 1967) del collegio di Colico. Durante l’estate si svolge un’altra esperienza significativa: gli esercizi spirituali per laici e religiosi tenuti da Paola Bignardi, già presidente dell’Azione cattolica nazionale. Alla rivista «Presenza» viene stabilmente allegato il piccolo inserto «Ora», che propone schemi di preghiere mensili ispirate a brani biblici e testi betarramiti: l’intento è costituire una sorta di «monastero invisibile» che si raduni in comunione spirituale ogni giovedì. Ma ci sono anche iniziative più pratiche: in novembre un

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VICARI

convegno a partire dalla domanda «Dove si nasconde l’Aids?» segna l’apertura della nuova sede del Mosaico Lombardia, che dopo Milano e Albiate trova casa a Lissone.

Il 2009 è l’anno della effettiva «regionalizzazione», ovvero della diversa suddivisione della congregazione stabilita già nel Capitolo generale di 10 anni prima; spariscono le province nazionali e arrivano i vicariati, il ruolo dei superiori locali non si ferma alle proprie comunità ma collegialmente assume la direzione della vicarìa stessa attraverso la partecipazione di diritto al Consiglio, e così via con lo stesso metodo ai livelli superiori. Si cerca in questo modo una maggior collegialità nelle scelte. L’Italia inizialmente viene suddivisa in due Vicariati, Nord e Sud, guidati rispettivamente da Piero Trameri e Aldo Nespoli (superiore regionale l’ex provinciale Graziano Sala), ma l’esperimento dura poco per i numeri ridotti degli effettivi e nel 2011 si tornerà dunque a un’unica realtà per tut-

ta la Penisola.

A gennaio scompare a 92 anni padre Giovanni Trameri, un curriculum betarramita a tutto tondo: membro del primissimo gruppo di apostolini a Villatico di Colico nel 1928, poi superiore a Colico nel 1948, procuratore generale della congregazione nel 1953, quindi primo superiore generale non francese dal 1969, ma soprattutto dal 1953 alla morte (per ben 55 anni!) rettore della chiesa dei Miracoli a Roma. Pochi giorni dopo muore anche padre Pierino Donini, che di Trameri era grande amico, dopo essere stato per 35 anni parroco a Santa Rosa sempre a Roma. Il giorno di Pasqua un'altra dipartita «romana», quella di padre Angelo Petrelli, ultimamente ricoverato nel cronicario di Solbiate: dal 1969 al 1982 era stato infatti impiegato nella Segreteria di Stato vaticana, per poi trascorrere un’altra ventina d’anni in Terrasanta. Infine in ottobre muore anche un’altra vecchia quercia italiana, sebbene

trapiantata da sempre in Brasile: si tratta di padre Dante Angelelli, 98 anni, in America Latina da oltre 70, parroco, educatore, poeta, musicista e architetto progettista praticamente di tutte le chiese betarramite brasiliane.

In settembre si celebra a Montemurlo la seconda festa nazionale delle parrocchie betarramite italiane: «Dalla crisi alla speranza. Quando sono debole, è allora che sono forte». Una cinquantina i laici partecipanti (tra cui anche due rappresentanti dei gruppi di preghiera e delle Famiglie Cristiane separate che hanno trovato casa presso il santuario betarramita dei Miracoli a Roma), ospitati direttamente nelle case delle famiglie della parrocchia, hanno ascoltato e discusso le relazioni e le testimonianze, tutte imperniate sul concetto di «crisi» (economica, religiosa, vocazionale…) come opportunità di cambiamento, addirittura di conversione. Sempre a Montemurlo, ben 130 attori dilettanti partecipano alla riduzione teatrale delle «Cronache di Narnia», opera fantasy dello scrittore inglese C.S. Lewis dal chiaro sapore cristologico nonché grande passione del parroco

2008-2010

Alessandro Locatelli.

In Centrafrica si moltiplicano le iniziative di padre Beniamino Gusmeroli, parroco di Nostra Signora di Fatima nella città di Bouar (la terza della nazione) ma soprattutto inesauribile promotore di sviluppo soprattutto in ambito agricolo; a lui, in quanto referente della Caritas diocesana, si devono un programma per la diffusione dei pozzi di villaggio, la «banca delle sementi» (che presta arachidi, riso, cipolle da seminare a chi non ne ha), lo sviluppo delle cooperative e la più importante Fiera agricola annuale di tutta la regione.

Nel giugno 2010 sempre a Bouar si apre ufficialmente il Centre Saint Michel, comunità di cura non residenziale per malati di Aids: un progetto lungamente studiato e preparato, un’esperienza

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innovativa per la poverissima nazione africana. Ne assume la responsabilità fratel Angelo Sala, in comunità con padre Mario Zappa e coadiuvato da una dottoressa missionaria laica italiana come supervisore medico; vari volontari europei, due suore italiane delel Infermiere di San Carlo, alcuni seminaristi africani si avvicenderanno poi affiancandolo nella gestione dell’iniziativa, che si rivelerà sempre più efficace e provvidenziale (nel 2015 sono stati trattati circa 750 malati).

In quello stesso 2010 padre Francesco Radaelli (le cui opere in mosaico e vetrata, realizzate soprattutto in Palestina, sono così apprezzate dal cardinale Carlo Maria Mar-

tini da usarle per illustrare alcuni suoi libri religiosi) conduce in Terrasanta un gruppo di una quarantina di laici betarramiti italiani, facendo tappa nelle case gestite dalla congregazione. Ciò nonostante la «Vel@ fatica a prendere il vento», come titola immaginificamente la rivista del vicariato a significare le difficoltà - nonostante gli sforzi prodotti - di trovare un posto e un ruolo per i laici nella famiglia betarramita della Penisola; le iniziative nazionali hanno buon esito (in novembre per esempio si svolge una due giorni di spiritualità a Fornovo sull’Appennino, e poi nella parrocchia betarramita di Sant’Andrea in Antognano a Parma, con una cinquantina di presenze), però manca la realtà di una presenza quotidiana.

Le difficoltà sono peraltro anche del clero: a giugno 2010, dopo 22 anni di presenza da apripista, i betarramiti lasciano tra molti rimpianti la parrocchia della Santissima Addolorata a Mariotto, preludio di un più completo ritiro dal Sud (che avverrà l’anno seguente con la riconsegna dell’altra parrocchia del Santissimo Sacramento a Bitonto, sempre in diocesi di Bari). Tra l’una e l’altra località in quattro lustri si sono avvicendati - oltre al trio «storico» Aldo Nespoli, Graziano Sala e Natale Re - diversi altri per periodi decisamente più brevi: Antonio Cattaneo, Albino Trameri, Roberto Cornara, Romualdo Airaghi, Si-

mone Panzeri. Ristrutturazione pure per l’ex seminario minore di Albavilla, per il quale dal 1998 si era tentata con fortuna non eccessiva un’esperienza di casa di ospitalità e centro di spiritualità: da giugno 2010 la struttura viene presa in carico dalla cooperativa sociale comasca «Varietà», che vi ospiterà lungodegenti da malattie psichiatriche.

La comunità religiosa si trasferisce di conseguenza nell’adiacente e più piccola residenza San Michele, mantenendo i suoi compiti di predicazione e ministero itinerante nelle parrocchie dell’Erbese. Dove lavora anche padre Ercole Ceriani, architetto al quale sono affidati gli importanti progetti delle cappelle e dei «luoghi del silenzio» in tre nuovi ospedali lombardi.

Lissone - prima parrocchia betarramita italiana - si prepara invece a celebrare il mezzo secolo di fondazione (1961) con un bel pacchetto di novità: l’inaugurazione del nuovo complesso oratoriano, due libri (uno dedicato alla storia della comunità e un altro alle artistiche vetrate della chiesa) e una mostra fotografica, l’ingresso a ottobre nella comunità pastorale cittadina - nella quale peraltro già dal 2003 lavora a tempo pieno il betarramita padre Antonio Riva - e il contemporaneo cambio di parroco, con padre Alessandro Locatelli che sostituisce Maurizio Vismara. In 50 anni nella città brianzola si sono avvicendati 8 parroci e ben 44 religiosi, quasi la metà di tutti i betarramiti italiani! Anche la comunità di Montemurlo si inserisce nel contesto di una nuova unità pastorale, nel suo caso tutta betarramita in quanto costituita dalle parrocchie di Bagnolo, Fornacelle e del capoluogo.

2008-2010

Freschi reduci del 150° della morte del fondatore, i betarramiti rilanciano ovunque la loro presenza in forme nuove. E anche a casa nostra si investe: nella comunicazione e nello spirito di famiglia

UN ANNO PER

MICHELE

Nel gennaio 2011 si celebra a Bétharram il primo capitolo della Regione San Michele, quella che comprende l’Italia insieme a Francia, Costa d’Avorio, Centrafrica e Terrasanta, in preparazione al Capitolo generale del maggio successivo a Betlemme; che approva la nuova «Regola di vita» (dove la congregazione non è più definita «dei preti del Sacro Cuore» ma semplicemente e significativamente «del Sacro Cuore»…) e dal quale esce riconfermato il generale Gaspar Fernandez, con ben tre italiani (su 5) nel Consiglio generale: Enrico Frigerio come vicario, Graziano Sala quale economo, Tobia Sosio consigliere per le missioni. Nuovo superiore regionale è invece il francese Jean-Luc Morin (si presenta a novembre durante la prima assemblea del vicariato d’Italia), mentre altri tre italiani sono i superiori dei vicariati della regione: Aldo Nespoli per l’Italia, Tiziano Pozzi in Centrafrica, Piero Felet in Palestina; quest’ultimo a fine anno riceverà anche la prestigiosa nomina di segretario della Conferenza dei vescovi latini delle regioni arabe.

A luglio muore in Brasile padre Lino Illini, 94 anni, di cui ben 64 trascorsi in America Latina. In settembre Lissone accoglie la terza festa nazionale dei laici betarramiti, intitolata «Perché io valgo»:

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un’altra riuscita occasione di incontro e dibattito. La rivista «Presenza» apre una rubrica dedicata specificamente ai giovani, affidandola alla lissonese Ilaria Beretta.

La casa-famiglia di Monteporzio promuove una mostra fotografica del grande fotoreporter Vittore Buzzi con 60 immagini scattate a Villa del Pino; la prima sede della rassegna è Villa Glori di Roma, in occasione di un convegno internazionale sull’Aids.

Viene inoltre pubblicato il volume «Le cure amorevoli. La filosofia della cura di Villa del Pino». Sono due modi prestigiosi per festeggiare nel marzo 2012 l’anniversario di fondazione: in vent’anni, la struttura ha ospitato 80 persone malate accompagnandone 64 fino alla morte; non nasconde però le sue difficoltà - soprattutto economiche, a causa del ritardo nel pagamento dei contributi da parte della Regione - a mantenersi, tanto che il fondatore padre Longoni parla apertamente della possibilità di concludere l’esperienza.

Luglio 2012 segna invece il centenario dell’incoronazione della Vergine di Bétharram, ovvero il rito con cui la statua del

santuario pirenaico è stata adornata dalla corona donata dal papa Pio X. Per l’occasione in Italia si organizza una «peregrinatio Mariae» nelle varie residenze betarramite con una riproduzione della statua in grandezza originale, quindi una bella delegazione italiana - tra cui il neonato gruppo di giovani «Betharr-Amici» - raggiunge la casa-madre della congregazione per partecipare alle celebrazioni secolari; durante le quali si assiste alla «sorpresa» della Madonna di Bétharram ospitata per il rosario nella basilica superiore di Lourdes…

A Lissone, dove c’è stato un avvicendamento del parroco (è arrivato Giacomo Spini, Alessandro Locatelli si è trasferito con identica qualifica a Milano Sant’Ilario) ha sempre più successo la mostra allestita all’inizio di dicembre dal locale gruppo missionario: non la “solita” vendita di oggetti, ma il tentativo - che piace soprattutto ai bambini, accompagnati in visita dalla scuola - di “entrare” in un aspetto della vita del terzo mondo: la scuola, l’agricoltura, la salute, il lavoro… Sempre a Lissone Mario Grugnola, ingegnere in pensione nonché laico betarramita, presenta il suo volumetto di «Linee di spiritualità dei padri betharramiti»; è solo l’antipasto della ciclopica impresa di traduzione italiana dei tre volumi delle 600 Lettere di San Michele, che saranno pubblicate sul sito internazionale della congregazione per il 150° della

morte del fondatore.

Che per tutto l’Istituto è il grande evento del 201314, con la proclamazione di un «anno micheliano» sotto il titolo «Dal cuore di Cristo al cuore del mondo». Molte e varie le iniziative previste in tutte le nazioni dove sono presenti i betarramiti, anche un concorso per disegnare il logo dell’anniversario. In Italia si segnalano la messa dei laici celebrata in San Luigi dei Francesi a Roma, una mostra itinerante con immagini professionali dei luoghi di Bétharram, il convegno ad Albiate dei betarramiti impegnati nella pastorale sanitaria, la partecipazione del gruppo dei «BetharrAmici» alla Giornata mondiale dei giovani a Rio de Janeiro (Brasile) preceduta da una visita alle comunità betarramite locali, una sorta di «gemellaggio» tra i laici betarramiti di Castellazzo e Montemurlo.

All’inizio del 2013 nasce anche l’associazione onlus che raduna vari volontari e collaboratori e che dovrà ereditare la gestione della casa-famiglia di Villa del Pino. Nasce anche l’Associazione Missionaria Culturale Internazionale, in acrostico «Amici», ovvero la onlus di sostegno alle opere missionarie dei betarramiti italiani, che pubblica un omonimo giornale on line: è il naturale sviluppo della cosiddetta Procura delle Missioni, sede ad Albavilla, retta da padre Piero Trameri con l'apporto di fratel Severino Urbani e poi del laico Giovanni Parolari.

E a proposito di missioni: il Centrafrica è scosso dall’ennesimo golpe, stavolta con invasione di truppe mercenarie; inizia un’epoca di instabilità estrema, mascherata da conflitto tra islamici e cri-

2011-2016

stiani, che non è ancora terminata e che condiziona pesantemente tutte le attività della popolazione e anche quelle dei betarramiti italiani. Che più volte subiscono la brutta esperienza di «visite» notturne a scopo di rapina.

Un altro missionario italiano, padre Angelo Recalcati da un trentennio in America Latina, viene nominato superiore di una nuova residenza «di frontiera» a Tacuarembò, nel nord dell’Uruguay: un bel segno di speranza e di apertura della congregazione, anche perché la missione sarà gestita da religiosi delle tre nazioni betarramite del Sudamerica. Il penultimo giorno del 2013 si svolgono ad Albavilla i funerali di Giuseppe Pozzi, universalmente noto come fratel Bepi: un religioso laico che con il suo lavoro indefesso e tuttofare e il suo sorriso ha segnato la storia dei betarramiti ditaliani, soprattutto alla Caravina (di cui era originario), a Monteporzio (dove con il collega Fiorenzo Trivelli era il deus ex machina della vigna) e infine ad Albavilla.

2014: nasce BetAgorà, la «piazza» multimediale dei betarramiti italiani; un po’ editrice, un po’ redazione, un po’ organizzatrice di eventi, un po’ archivio, un po’ animazione… Di fatto un investimento di risorse, umane ed economiche, per far conoscere e valorizzare il patrimonio di esperienze e di vita del vicariato italiano. La sede è ad Albiate, l’incaricata è Ilaria Beretta, le prime iniziative consistono nella stampa di un’antologia di lettere del fondatore (edizione curata da padre Ercole Ceriani, che la illustrerà anche in una serie di incontri durante la Quaresima 2015), la creazione di un sito Internet vicariale (anche questo partirà a metà 2015), la compilazione di una biblioteca betarramita che raduni tutta la produzione lette-

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raria realizzata nel tempo dei religiosi italiani e infine - sotto Natale - la prima «festa degli auguri» che raduna ad Albavilla una categoria piuttosto negletta: i familiari e parenti dei religiosi betarramiti italiani.

Un altro segnale nel settore della comunicazione è l’introduzione del colore in tutta la rivista «Presenza»: a partire dal 2015 una novità molto gradita ai lettori. Ma nello stesso anno BetAgorà si fa apprezzare per la pubblicazione - con l’editrice milanese Ancora - del volume di poesie di padre Ezio Soroldoni (scomparso tragicamente nel 1964) nonché per l’organizzazione a Roma del convegno dei betarramiti che lavorano nella pastorale dei santuari. L’occasione è il centenario di presenza dei preti del Sacro Cuore nella chiesa dei Miracoli in piazza del Popolo, nella capitale: anniversario che viene grandiosamente celebrato in aprile con una serie di manifestazioni culturali e religiose molto partecipate.

Durante l’anno, contro tutte le previsioni negative e la crisi generata dalla guerra, in Centrafrica padre Tiziano Pozzi comincia la costruzione di una nuova sala operatoria per il suo ospedale-dispensario, che in vent’anni è diventato uno dei principali centri di salute della zona: la speranza è dotare la regione di una struttura che può salvare molte vite. In Thailandia invece padre Alberto Pensa, il cui centro educativo per giovani funziona ormai a gonfie vele, inaugura una chiesa di villaggio intitolata a Sant’Ambrogio: come quella del suo paesello natale, Lierna sul lago di Como. In

America latina muore ancor giovane padre Bruno Ierullo, nato in Italia nel 1943 ed emigrato da bambino con la famiglia in Argentina; lì si è fatto betarramita, diventando anche in successione rettore di due collegi e superiore provinciale.

Intanto la casa-famiglia di Monteporzio, dopo 22 anni di gestione betarramita, passa nelle mani della cooperativa sociale Centro per l’Autonomia di Roma, che d’ora in poi si assumerà gli oneri economici dell’opera. I padri però restano a Villa del Pino, sia fisicamente come abitazione, sia nell’impegno accanto ai malati di Aids.

Chiusura completa, invece, per Sant’Ilario al Gallaratese: i betarramiti rendono alla diocesi ambrosiana la parrocchia, che hanno retto dal settembre 1986, costruendovi anche la nuova chiesa; i fedeli pongono una targa in segno di gratitudine. Eccoci infine arrivati all’oggi, dopo una lunga cavalcata di ben 112 anni (1904-2016). Non sappiamo se l’estensore della prima parte di questa storia, padre Arnaldo Guerra, sarebbe contento di vederla concludersi con la chiusura di una residenza: lui che in tutto il suo dattiloscritto non si trattiene mai dal sottolineare entusiasmo dell’espansione dei «tempi d’oro», grazie all’impegno e al sacrificio dei «pionieri». Tuttavia le vicende betarramite italiane degli ultimi anni appaiono anche da queste pagine tutt’altro che rassegnate o moribonde. C’è tanta vita, invece, e sta manifestandosi; magari in modi inattesi e diversi da quelli preventivati, e tuttavia non meno reali.

2011-2016

80

PREGHIERA BETARRAMITA O san Michele, che sei stato in terra il perfetto imitatore del Sacro Cuore nella sua sottomissione alla volontà del Padre e nel suo eroico amore verso gli uomini, insegnaci ad abbracciare con tutto il cuore questa volontà sempre saggia e benefica e ad impegnare nel servizio dei nostri fratelli l'immensità della carità.

Fiduciosi nel tuo aiuto e nell'intercessione della Madonna di Bétharram, vogliamo offrirci sull'esempio di Gesù, ripetendo come lui e come te incessantemente: Padre, eccomi senza indugio, senza riserva, senza rimpianto, per amore.

Amen

SOMMARIO 3

TRENT’ANNI DI «PRESENZA» - ROBERTO BERETTA

5

BÉTHARRAM D’ITALIA, RICORDATI DEL TUO PASSATO - ARNALDO GUERRA

6

L’INVASIONE DEI «FRANCESI» IN VALTELLINA - ARNALDO GUERRA

9

COLICO: L’EPOPEA DEGLI INIZI

12

I PRIMI FIORI SULLA PUNTA DEL LAGO

15

I TEMPI DURI DELLA GUERRA

18

LA BÉTHARRAM D’ITALIA VUOLE CRESCERE - ALESSANDRO DEL GRANDE

21

DA NORD A SUD, 110 ANNI DI TRASLOCHI APOSTOLICI

22

LE FONDAZIONI DEL BOOM

25

UN POSTO PER LA MADONNA

29

NEL VENTO DEL CONCILIO

32

L’ORGOGLIO DI ESSERE BETARRAMITI - EGIDIO ZOIA

34

IL SESSANTOTTO È DEI GIOVANI

38

L’AVANZATA DEI CAMPANILI

42

DOVREMMO ESSERE PIÙ POVERI - GIUSEPPE «BEPI» POZZI

44

ANNI OTTANTA TRA LUCI E OMBRE

49

LA VITA IN UNA RIVISTA

52

I 150 RELIGIOSI ITALIANI DI BÉTHARRAM

53

RELIGIOSI IN ATTIVITÀ

54

CASA-FAMIGLIA: APERTURA ALLA CARITÀ - ALESSANDRO PANIGA

57

ALLA RICERCA DI NUOVE STRADE - ROBERTO BERETTA

61

I PRIMI (TIMIDI) PASSI DEI LAICI

65

SIAMO FIGLI DI PROFETI - GASPAR FERNÁNDEZ PÉREZ

67

LA STAGIONE DEI VICARI

72

L'EREDITÀ DI UN SECOLO

76

UN ANNO PER MICHELE

81

PREGHIERA BETARRAMITA

Le foto di questo numero sono scatti storici tratti dall'album di famiglia dei preti betarramiti italiani.

In una storia così ampia e movimentata come quella della congregazione in Italia, è inevitabile incorrere in qualche errore od omissione non voluta. Ce ne scusiamo fin d'ora con gli interessati e li invitiamo a mandare in redazione le loro osservazioni, aggiunte e correzioni.

Presenza Betharramita.

N. Aprile/Giugno 2016 Trimestrale di notizie e informazioni della Vicaria Italiana della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram Registrazione del Tribunale civile di Milano n. 174 11 marzo 2005 Redazione: Via Italia, 4 / 20847 Albiate (MB) Tel. 0362 930 081 Fax 0362 930 057 E-mail: betagora@betharram.it Direttore responsabile Roberto BERETTA Redazione Ilaria BERETTA Ricerca Immagini e Copertina Ercole CERIANI Impaginazione e Grafica www.grfstudio.com Spedizione in Abbonamento Postale art. 2, comma 20 C. Legge 662/98 MILANO Stampa Pubblicità & Stampa s.r.l.

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