Beesness Summer 17

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Periodico di informazione bimestrale – luglio/agosto 2017

Anno VII - N° 3  2017 € 3,90

DANIEL FONTANA Intervista al primo Ironman italiano

VALENTINA MARCHEI Cambiare prospettiva porta al successo

FOOD E INNOVATION Intervista a Marco Gualtieri

PEPSI Intervista a Mauro Porcini



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ANDIAMO AL MASSIMO... Le scorse settimane ho seguito il sensazionale concerto di Vasco Rossi al Modena Park e mi è venuta in mente la canzone “Vado al massimo”, scritta dal rocker nel 1982. Come lui, anche noi di Beesness ci sentiamo “al massimo”: miglioriamo, senza sosta, la nostra rivista di numero in numero, ampliando gli orizzonti in termini di contenuti, di argomenti e di rubriche. Apriamo questo numero con l’intervista a Daniel Fontana, il rinomato triatleta professionista con due olimpiadi all’attivo e primo in Italia ad aver vinto una gara del circuito Ironman: ci comunica la passione e la tenacia necessarie per eccellere in uno sport così impegnativo, riuscendo a conciliare l’attività sportiva con la vita familiare. Seguendo il suo esempio, Massimo Leonardi da quattro anni pratica in modo amatoriale questo sport, portando avanti contemporaneamente la professione di commercialista. Sempre in ambito sportivo, da non perdere le interviste esclusive a Linus, che ci racconta come è nata la sua passione per la corsa, ed a Valentina Marchei, campionessa olimpionica di pattinaggio sul ghiaccio. Abbiamo poi coinvolto Mauro Porcini, senior vice president e chief design officer di Pepsi, che con il suo percorso dimostra come, per rimanere al passo con i tempi, anche i colossi del beverage debbano avere un approccio design oriented. Marco Gualtieri, fondatore di Seed&Chips, ci racconta come è riuscito a realizzare il suo sogno di avere Barack Obama come testimonial al suo evento a Milano. Ed è proprio l’innovazione la chiave di volta dei protagonisti di questo numero di Beesness. Come Ivan e Masa che negli anni Novanta hanno lanciato il finger food; o Ivon Chouinard, fondatore della californiana Patagonia che puntava alla produzione di capi di abbigliamento con il minor impatto ambientale possibile o, infine, al caso di Lululemon, un brand diventato “case history” grazie al coinvolgimento delle community di clienti e collaboratori. Buone vacanze estive da parte di tutta la redazione, con l’augurio che si possano realizzare i vostri desideri professionali. Vi aspettiamo a settembre con un nuovo numero di Beesness, che avrà come focus principale la filiera del vino. Giovanni Bonani Direttore Responsabile


Indice

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SPORT ECONOMY

Daniel Fontana e Massimo Leonardi Due Ironman a confronto Valentina Marchei Cambiare prospettiva porta al successo

16 Linus

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Runner sociale

FOOD

Food e innovation Come chiavi del futuro

24 Ivan e Masa

Eleganza e raffinatezza senza tempo

26 America Graffiti

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Cucina americana, qualità italiana e rock’n’roll

DANIEL FONTANA E MASSIMO LEONARDI L’esperienza e le aspirazioni di un atleta-manager e di un manager-atleta che sognano di continuare a praticare il triathlon il più a lungo possibile.

DESIGN

Pepsi Quando il design firma l’innovazione

FASHION

Patagonia Il business dell’outdoor diventa sostenibile

36 Lululemon

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Quando la “community” costruisce un business U-Boat Tra i protagonisti dell’edizione centenaria di Baselworld 2017 Milano Moda Graduate La fucina dei designer del futuro

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VALENTINA MARCHEI

Come la digital economy Sta cambiando l’universo del lusso

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DIGITAL ECONOMY

58 Big Data

Le strategie di successo Su Instagram Da zero a 170 milioni di euro In 5 anni, grazie ad Instagram Creare uno store online I 10 passi che Boraso consiglia per realizzare un efficace eCommerce business plan

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FOOD & INNOVATION

LAVORO

L’assistente virtuale Una professione 4.0 in ascesa Ecco le professioni digital più richieste Come uscire dalla zona di comfort E cercare il proprio posto nel mondo

LA NOTA LEGALE

Come ridurre le imposte Innovando la propria azienda


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ARTE

MyTemplArt Innovazione tecnologica e arte

66 Coniugare arte e design

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Gli arredi di Boffetto un esempio unico

IMPRESE

Zamperla Attrazioni da favola

70 Investimenti di-vini

Il nettare degli dei come investimento

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FRANCHISING

Mondadori retail È il franchising il modello che fa la differenza

76 32° Salone Franchising Milano

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A ottobre la fiera leader in Italia

CENTRI COMMERCIALI

Carrefour Le strategie per crescere in un mondo sempre più digitale

82 Neuromarketing

Shopping experience e neuromarketing

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Doppia Esposizione Doppia intervista tra Direttori Creativi

TURISMO

Ventuno cugini E un patto di sindacato alla prova della quarta generazione

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PEPSI

Ospitalità A 5 stelle

SAVE THE DATE Un’estate A tutto festival

Coming soon Appuntamenti fieristici da mettere in agenda

34 PATAGONIA

56 L’ASSISTENTE VIRTUALE

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MYTEMPLART

88

OSPITALITÀ A 5 STELLE


Sport Economy

Daniel Fontana e Massimo Leonardi Due Ironman a confronto di Marcella Ciappi

L’esperienza e le aspirazioni di un atleta-manager e di un manager-atleta che sognano di continuare a praticare il triathlon il più a lungo possibile

Daniel Fontana è il rinomato triatleta professionista con due olimpiadi all’attivo ed è stato il primo in Italia ad aver vinto una gara del circuito Ironman. Massimo Leonardi è un giovane commercialista milanese che divide le sue giornate tra ufficio e allenamenti. In questa intervista leggerete del loro legame con il triathlon. Daniel, com’è nata questa passione per il triathlon? Per caso. Quando avevo 6 anni ho iniziato a fare nuoto in un piccolo paese della Patagonia, in Argentina, e per varie

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ragioni a 15 anni ho dovuto smettere. Per colmare questo vuoto mi sono avvicinato al triathlon, di cui conoscevo l’esistenza perché un mio amico lo praticava e perché avevo visto un documentario sull’Ironman delle Hawaii. Stiamo parlando dei primi anni ‘90 in Argentina, dove non c’erano internet o giornali quindi non sapevo molto su questo sport. Ad ogni modo ho iniziato presto a fare qualche gara e me ne sono innamorato. Poi ho capito che avevo del talento, che

ero abbastanza portato per questo sport e ho incominciato a competere anche a livello internazionale. Quando poi il triathlon è entrato nel circuito olimpico, con le Olimpiadi di Sidney, è stata una vera e propria voragine che mi ha travolto.

soprattutto nei momenti di recupero. Infatti ci vuole tanto tempo per allenarsi ma altrettanto tempo per recuperare. Questo è il segreto! L’errore che fanno alcuni amatori è di andare in over-training.

Quando questa passione è diventata anche il tuo lavoro?

Come pianifichi il tuo calendario delle gare?

È stata una transizione perché il mondo del triathlon non è fatto solo di professionisti, come succede invece in altri sport. Quindi, pur avendo una grande dedizione per il triathlon, mi sono laureato in economia. La svolta c’è stata nel 2002 quando sono arrivato in Italia e ho deciso di investire tutte le mie energie per partecipare alle Olimpiadi. Mi sono così qualificato per Atene 2004 e poi per Pechino 2008.

La mia forza, oggi che non sono più giovanissimo, non è tanto la potenza fisica ma un bagaglio molto grande di esperienze e risultati più e meno buoni. Quindi la scelta degli allenamenti, la programmazione delle gare e soprattutto il conoscere bene me stesso mi permette di fare dei programmi agonistici e di cambiarli in corso d’opera a seconda di come funzionano.

Com’è la tua giornata-tipo? Dipende dai periodi, ma in generale ho una giornata molto piena. Incomincia molto presto: mi sveglio alle 5.40 poi faccio nuoto, bici e un po’ di corsa. Vivo a Como e mi alleno a Milano, nella società DDS. Come riesci a conciliare la tua attività con la tua vita privata? La mia famiglia è spesso insieme a me,

Hai scritto anche un libro “Dimagrire di corsa”. Cosa ti ha ispirato? È un libro che parla soprattutto di motivazione. Un piccolo manuale per chi vuole avvicinarsi alla corsa, allo sport e mangiare meglio. Parla di storie molto diverse, di persone che sono riuscite a raggiungere degli obiettivi che non avevano mai neanche pensato di sognare. È stato un enorme successo, un best seller. Una bella collaborazione con Mondadori ed Elena Casiraghi di Enervit. Sei il primo italiano ad aver vinto una gara del circuito Ironman e l’anno scorso hai vinto la seconda. Quali sono le caratteristiche che ti hanno permesso di raggiungere questi traguardi? Soprattutto la costanza di seguire un programma di allenamento molto impegnativo durante tutto l’anno. La tenacia di continuare a confrontarsi con gli altri atleti, di superare difficoltà molto grandi come infortuni o problemi di salute e di aspettare il momento giusto da sfruttare al massimo.

“La mia forza è questa: riuscire a dare tutto nei momenti importanti e avere la pazienza di aspettarli”. luglio/agosto 2017

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Hai anche rappresentato l’Italia alle Olimpiadi di Pechino. Che cosa ha significato per te? Le altre gare le può fare chiunque mentre alle Olimpiadi può accedere solo un gruppo ristretto di persone. È molto difficile qualificarsi e ci vogliono diversi anni di preparazione quindi, soltanto il fatto di essere lì a rappresentare la mia bandiera, è una grande soddisfazione. Non avrei mai sognato di poter arrivare a questi livelli. Il solo fatto di trovarmi lì è stato per me un grande traguardo.

“Se uno crede in quello che fa, il tempo lo trova, anche se è costretto a sacrificare altri interessi”.

immaginati di superare. Questo rende un Ironman a tutti gli effetti. La parte negativa è che a volte, forse anche per una comunicazione sbagliata, si è portati a sottostimare questi sforzi. Un errore molto grande. Affrontare questi eventi impreparati è sbagliato, così come praticare il triathlon in modo ossessivo piuttosto che per divertirsi. Ci sono stati dei momenti nei quali hai pensato di fermarti? Come hai reagito? È successo molte volte, in particolare quando sono stato operato al tendine d ’Achille o quando mi sono sentito messo un po’ da parte dalla Federazione, dopo una frustrazione molto grande. Mi hanno spinto a reagire il fatto di vivere con serenità, di concentrarmi sulle cose importanti, di avere delle ambizioni nel lunghissimo termine e di essere consapevole di dare tutto. Quali sono i tuoi progetti attuali?

Tra tutte le competizioni sostenute qual è stata particolarmente significativa? Quando sono diventato vice campione mondiale a Clearwater, in Florida, nel 2009. Non so se è stato il risultato più importante, ma emotivamente è stata una gara molto significativa perché venivo da tantissimi problemi. Quel giorno tuttavia sono riuscito ad affrontare tutto facilmente. Credo sia stato uno dei momenti più alti della mia carriera. Com’è il tuo rapporto con il pubblico? Più che altro c’è un rispetto per quello che ho fatto e riesco a comunicare. È un rapporto molto sereno, non mi sento un idolo indiscusso. Cerco di trasmettere quello che ho imparato e di far rivivere agli altri quello che ho vissuto io. Quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi del triathlon per chi si avvicina a questo sport? Il triathlon è una metafora della vita perché se ci si impegni, si costante, si ha pazienza e si è motivati, si riesce ad andare oltre limiti che mai ci si sarebbe 10

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Finire questa stagione con il campionato mondiale alle Hawaii, che si svolge proprio dove tutto è nato negli anni ‘70. Per me riuscire a essere lì a 42 anni dà un senso a tutto il 2017.

Massimo, com’è nata la tua passione per il triathlon? È nata abbastanza casualmente quando ho smesso di giocare a calcio per varie vicissitudini. Ho deciso infatti di dedicarmi prima alla corsa e successivamente al triathlon, tramite un caro amico sardo. Da lì è cominciata l’avventura, con anche il nuoto e la bici. Come riesci a conciliare la pratica di questa disciplina con il tuo lavoro? Questa è una grande sfida dal punto di vista lavorativo. Prima di tutto credo che l’attività fisica sia un fattore positivo e fondamentale anche per un’attività professionale come la mia, che prevede molte ore in ufficio ed elevati carichi di tensione che lo sport aiuta a scaricare. Com’è una giornata-tipo? Solitamente la mattina nuoto un’ora e poi vado in ufficio. A volte, in prepara-

Cosa sogni per il tuo futuro? Sicuramente una vita vincolata allo sport perché sento la responsabilità di trasmettere e insegnare quello che ho imparato grazie a tante fatiche ed errori. Avere sempre obiettivi ambiziosi e cercare l’eccellenza, aiutando anche gli altri con attività sociali. Il triathlon è una disciplina faticosa ma appassionante che dà (non regala!) grandi soddisfazioni anche a livello amatoriale.

Massimo Leonardi, commercialista full time, che si dichiara un grande amante dello sport, si è avvicinato prima al calcio, giocando a buoni livelli, per poi approdare al triathlon. Il triathlon è una disciplina faticosa ma appassionante che dà grandi soddisfazioni anche a livello amatoriale. Massimo Leonardi, che si dichiara un grande amante dello sport, considera il triathlon uno sport estremamente gratificante.

Massimo Leonardi


zione delle gare, sono necessari due allenamenti giornalieri e quindi vado anche in bici di sera e corro in pausa pranzo. Ci sono stati dei momenti nei quali hai pensato di abbandonare il triathlon e di dedicarti ad altri sport meno impegnativi? No. Sono un neofita perché sono solo quattro anni che pratico il triathlon e sono nel pieno dell’euforia. Questo sport mi piace molto e non ho nessuna intenzione di smettere. A chi ti ispiri? Ho avuto modo di conoscere Daniel Fontana e credo che sia la massima espressione del triathlon qui in Italia. È lui il mio punto di riferimento sportivo. Hai avuto degli istruttori durante il tuo percorso sportivo? Non ho un allenatore personale. Ho ricevuto dei consigli da vari amici che si allenano con me. Chi pratica il nostro sport tende spesso a pubblicare i propri allenamenti anche attraverso i social network e, di conseguenza, c’è un confronto quotidiano. Quali sono le caratteristiche distintive dei professionisti, rispetto agli amatori? Alcune gare le facciamo insieme ai professionisti quindi vediamo anche come si preparano. I loro allenamenti sono esasperanti, a volte, dal punto di vista fisico. Daniel Fontana in alcuni periodi si allena

l’approccio a questo sport: da dilettante, io lo pratico per divertirmi, un professionista deve ottenere anche dei risultati. Che cosa invece vi accomuna? La passione per lo sport sicuramente. Chi pratica triathlon non può non essere innamorato di quello che fa. Sono infatti talmente tanti i sacrifici da affrontare che se non ti piace è da pazzi… Ogni giorno si riesce a trovare uno stimolo nuovo, ci si può allenare in tanti posti diversi… E poi questi tre sport sono così diversi l’uno dall’altro che non annoiano mai. Ritieni che il triathlon sia prevalentemente una disciplina individuale che favorisce l’introspezione o piuttosto un momento di condivisione?

fino a quattro volte al giorno. Il triathlon è il suo lavoro. Il mio è un altro. Inoltre un professionista in un certo senso corre più rischi e, a volte, si trova a trascurare degli infortuni che invece l’amatore può recuperare con più calma. È un po’ diverso tutto

È uno sport di condivisione. Gli allenamenti sono talmente impegnativi che, solitamente, preferisco non farli da solo. Tendenzialmente anche i professionisti si allenano tanto in gruppo perché aiuta anche a rendere di più, così come a consolidare amicizie e confronti in vista di una gara. Partecipare a una gara è sempre

un’occasione per fare anche un viaggio con gli amici. Tra le vittorie le competizioni che hai affrontato, qual è stata particolarmente significativa? La prima gara di Ironman nel 2015 è sicuramente quella più significativa per me perché avevo il timore di non riuscire neanche a finirla, avendola preparata in poco tempo. Ha rappresentato una svolta nel mio percorso e mi ha dato una motivazione in più. Quali sono i suoi progetti attuali? Inseguire nuove avventure e fare nuove gare di triathlon. Ora mi sto allenando con i miei amici per l’Ironman di Klagenfurt, gara tra le più famose del circuito, che si svolgerà in Austria a luglio. Cosa sogna per il suo futuro? Voglio continuare a fare il commercialista, ma il triathlon è per me una componente fondamentale di cui non vorrei mai fare a meno. Sogno di gestire bene il mio tempo e di continuare a divertirmi. luglio/agosto 2017

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Sport Economy

Valentina Marchei Cambiare prospettiva porta al successo di Patrick Abbattista

Beesness incontra la campionessa di pattinaggio sul ghiaccio che dal singolo si è appena reinventata un futuro, ricco di medaglie, in coppia con Ondrˇej Hotárek. Tenacia, duro lavoro, nuovi ritmi, empatia e capacità di dare fiducia al partner alla base dei traguardi raggiunti 12

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Beesnees incontra Valentina Marchei, campionessa di pattinaggio artistico sul ghiaccio, un curriculum stratosferico alle spalle e in attesa di partecipare alla sua seconda Olimpiade, quella di Pyeongchang 2018 (Corea del Sud), dopo Sochi 2014. Utilizzare lo sport come elemento di paragone e confronto per il business, non solo è un’utile metafora per facilitare la comprensione di certe dinamiche di impresa, ma incredibilmente motivazionale. La storia di Valentina Machei poi è peculiare visto che nel 2014, Valentina è passata dal gareggiare nel singolo alla coppia, affiancandosi ad Ondrˇej Hotárek, altra figura storica del pattinaggio arti-

stico italiano e internazionale. Una scelta per nulla scontata, nata quasi per caso. Una di quelle decisioni che, per chi è abituato a gareggiare a livelli così alti, sembra contro intuitiva e, di sicuro, non trova l’appoggio del pubblico per una serie di ragioni. La prima, il rischio di non ottenere risultati degni della carriera che si ha alle spalle. Entrambi, si sono rimessi in gioco quando la maggior parte degli atleti sceglie di dedicarsi ad altro. Nonostante questo, Valentina e Ondrˇej hanno dimostrato che si possono ottenere risultati straordinari se si lavora sodo a un progetto comune.


Cos’è cambiato nel passaggio da singolo a coppia? Quali sono stati i principali effetti sull’approccio al suo lavoro? Prima, le responsabilità erano tutte nelle mie mani. Se fallivo, fallivo da sola. Se cadevo, mi rialzavo da sola. Quindi, ero abituata ad auto-motivarmi, a stringere i denti da sola. Improvvisamente, ho trovato Ondrˇej con il quale condivido gli stessi valori, la stessa voglia di fare. E in più è una fonte di motivazione ulteriore. Allo stesso tempo, gareggiare in coppia ha significato condividere le responsabilità, e non è stato facile per me essendo abituata, fino ad allora, a controllare tutto. Ho dovuto imparare il compromesso con me stessa. Molti pensano che in coppia si debba trovare il compromesso con l’altro, ma prima c’è quello interno. Sono diventata molto più paziente, ho imparato a lasciar andare parte delle responsabilità, a fidarmi ciecamente. Delegare le responsabilità richiede anche smettere di controllare, è questa la parte più difficile. Anche perché non puoi entrare nella sfera dell’altro, altrimenti non può fare quello che deve. Per fare un esempio, io soffro di vertigini. Con lui, ho zero paura. E lui, è a suo agio perché mi dice cosa deve fare e io mi limito ad eseguire. Mi guida, sa che mi fido. Se ci sono giornate in cui Ondrˇej è particolarmente stanco, è lui a dirmi che certi allenamenti è meglio non farli. Serve onestà intellettuale, visto che in certi esercizi rischio letteralmente la vita.

Questo, per me, significa conoscere i propri limiti e rispettare chi lavora con te. Riconoscere quand’è il momento di fermarsi. E quelle volte in cui ho rischiato di cadere, si è sempre buttato sotto per proteggermi mostrando un estremo rispetto e premura.

In questo modo siamo riusciti, con un grande risultato, a conquistare la nostra qualificazione per la Corea e a prenotare un altro posto per una seconda coppia italiana.

Come avete affrontato l’infortunio alla mano capitato a Ondrˇej Hotárek, a pochi giorni dai Campionati Mondiali?

All’inizio era più un’idea nata per le esibizioni. Lui aveva smesso di pattinare ed era assistente dalla mia allenatrice. Io volevo continuare nel singolo ed ero super motivata. Ma miglioravo molto velocemente. Per questo, ci siamo detti “proviamoci” contro tutto e tutti, specie i pronostici. Con questa scelta, siamo usciti dalla Nazionale, gli sponsor ci hanno un po’ lasciati a piedi. Anche gli allenatori avevano espresso i loro dubbi. Imparare una nuova disciplina dopo 20 anni che fai altro, non è facile. Tuttavia, siamo entrambi molto cocciuti. Sentivamo che poteva funzionare. Questo ci spingeva avanti. Pensare al futuro ci eccitava. Certo, ci è servita molta umiltà per ripartire da zero. Ma abbiamo centrato gli obiettivi: il prima il Campionato Italiano, poi le posizioni sempre più alte nelle gare internazionali. Sono gli obiettivi comuni che ci hanno tenuti uniti. Ognuno, poi, può farlo per ragioni diverse e in modi diversi, ma lo scopo deve essere lo stesso. Se gli obiettivi sono comuni, ognuno può andare per la sua strada in un progetto unico. Noi facciamo allenamenti diversi.

Abbiamo reagito cambiando il metodo di preparazione. Ci siamo concentrati sulle visualizzazioni, seguendo le indicazioni del nostro mental coach che ci affianca da tre anni. In base al ruolo che hai nel programma dell’esibizione, puoi adottare varie tecniche e modi per visualizzare. Ognuno lavora a modo suo, l’allenamento è fatto su misura. Ma nonostante questo, si lavora per un obiettivo comune.

Essere in coppia ti ha fatto cambiare obiettivi di vita o di carriera?

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Per noi, questi Mondiali sono stati l’insegnamento più prezioso nella nostra carriera sino a qui. Abbiamo imparato almeno che anche se succede qualcosa di brutto, in realtà tutto è ancora possibile e, soprattutto, che servono umiltà e coraggio per stravolgere completamente l’approccio che non funziona più, in modo da arrivare allo stesso obiettivo, come se non fosse successo nulla, per aggirare l’ostacolo.

“Molti pensano che in coppia si debba trovare il compromesso con l’altro, ma prima c’è quello interno”.

Cosa farai dopo il quadriennio che vi siete dati? Ora non riuscirei a fare l’allenatrice, ma sarebbe stupido non mettersi al servizio dei più giovani. Intanto, devo completare il mio percorso di laurea. Comunque, mi piacerebbe lavorare a livello organizzativo, manageriale. Portare in giro le realtà sportive, farle conoscere. Portare in giro la nostra esperienza, i nostri valori. Voglio che la nostra storia non sia solo ricordata per le medaglie; vorrei far

passare il concetto che per essere degli atleti eccellenti non servono medaglie Olimpiche. Con la nostra esperienza, noi siamo diventati atleti completi. È proprio vero che il percorso ha in sé un significato che va oltre il risultato finale. Le nostre vittorie le abbiamo costruite sul percorso, giorno dopo giorno, e non durante la singola esibizione del campionato. Quando sei giovane, ti crei l’esperienza, ma a 20 anni non la sai usare come a 30, 35. L’hai ripetuta, rifatta più volte, quindi la maturità ti aiuta a farne un uso migliore. Che rapporto hai con i social media? I social sono un mezzo potente per traghettare messaggi e valori. Per questo noi atleti dobbiamo usarli per diffondere questi valori, per continuare ad alimentare il fuoco nei giovani e la loro voglia di mettersi in gioco, di iniziare nuove disci-

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pline sportive. Sta a noi dare l’esempio e spingerli sulla direzione giusta. Grazie ai social, possiamo raccontare alle persone come funziona il nostro mondo, cosa succede dietro le quinte. Molti, infatti, danno per scontato di non poterci arrivare, si demotivano. E invece è bene che vedano l’impegno e la motivazione che ci mettiamo ogni giorno, perché tutto dipende da questo, dal duro lavoro e dall’ambizione. Purtroppo, mi viene quasi da dire che alcuni giovani sono più abituati a inseguire gli influencer anziché i loro sogni. Pochi che hanno il coraggio di uscire fuori dal gruppo, perdendo di vista quello che vogliono fare davvero. Il nostro compito è quello di stimolare i sogni dei più giovani o di spingere quelli più grandicelli a fregarsene dell’età, perché non c’è scritto da nessuna parte quando bisogna iniziare e quando smettere, è tutto nella nostra testa.



Sport Economy

Linus Runner sociale di Marcella Ciappi

“Run like a Deejayâ€? è il motto che si legge sulle maglie da gara della Deejay Ten, corsa che prevede sport ma anche divertimento, musica e intrattenimento alla portata di tutti. Un evento nato per caso e diventato ormai un appuntamento imperdibile per gli appassionati di corsa, amatoriali e non, di ogni etĂ .


Ciao Linus, quando e come ti sei avvicinato al mondo delle corse? Ho cominciato per caso, a conferma che “ricevere guai è ricevere fortuna”. Mi sono rotto il crociato giocando a calcio, il medico mi ha detto di correre senza inseguire un pallone e la mia vita è cambiata. La Deejay Ten mi è venuta in mente il capodanno prima, correndo la San Silvestre Vallecano a Madrid. Quindicimila persone per dieci chilometri con la stessa maglia. Adesso noi ne facciamo trentamila... Questa passione ti ha portato a scrivere anche un libro: “Parli sempre di corsa”. A chi consiglieresti di leggerlo? A tutti quelli che sono in quella meravigliosa fase dell’innamoramento per la corsa. Meglio se non più ragazzini. Perché non è un libro tecnico ma di formazione. E perché tutti ci si possono rivedere. Partito dalla Stramilano, sei arrivato a competere persino alla New York City Marathon, maratona per eccellenza. Cosa vorresti raccontare di questa esperienza oltreoceano? Ho corso 11 volte la Maratona di New York. La prima, devastante, chiusa in 4 ore e mezza. Che lezione. Poi sono arrivato fino a 3.29’, nel 2010. Bellissima, ma terribilmente impegnativa. Nella corsa, ma anche (soprattutto!) nel “prima”. Mediamente

ci si sveglia alle quattro del mattino per partire alle dieci, con un freddo che vi raccomando. Ma ne vale la pena! Come ti stai allenando per la prossima edizione? Purtroppo non credo correrò più una maratona, i miei tendini non reggono tutti i chilometri necessari per preparala. Ne ho finite più di venti, credo sia sufficiente. Chi ti piacerebbe invitare a correre con te? Mi accontenterei di mia moglie, che avrebbe il fisico per andare fortissimo ma per ripicca nei miei confronti ha sempre finto di odiare la corsa...

La Deejay Ten – storia e numeri “Rilassata e positiva”: così Linus, direttore artistico e conduttore di Radio Deejay, descrive l’atmosfera della Deejay Ten, la corsa non competitiva sulla doppia distanza (5 e 10 km) che coinvolge appassionati da tutta Italia. Linus ha lanciato la Deejay Ten a Milano nel 2005 per festeggiare il proprio compleanno, organizzando una corsa di 10 chilometri sul percorso che abitualmente

Per quale motivo chi non pratica questo sport dovrebbe assolutamente iniziare a farlo? Perché fare sport fa bene e, fra tutti quelli che si possono fare, la corsa è il più naturale, istintivo e democratico. Dovunque ci si trova basta un paio di scarpe e una città sconosciuta di colpo vi si apre davanti. Non posso non chiederti qual è la tua playlist da gara. Cosa ascolti? Io sono un runner “sociale”, corro sempre in compagnia, dunque è difficile che io ascolti musica. Quando lo faccio però cerco sempre l’effetto random, quello di non sapere che canzone arriverà dopo...

sceglieva per allenarsi, con partenza e arrivo sotto casa sua. Un invito che ha coinvolto ben 2.000 persone! Da allora la Ten è diventato un appuntamento fisso per tutti gli amanti della corsa in città e una vera e propria festa con un’affluenza sempre maggiore. Dopo i 20.000 partecipanti del 2014, 30.000 runner hanno reso la Deejay Ten Milano 2016, la nuova edizione dei record, con partenza da piazza del Duomo e arrivo all’Arena civica Gianni Brera. Testimonial d’eccezione è stata la campionessa olimpionica giamaicana Elaine Thompson, vincitrice dei 100 e dei 200 metri a Rio e tra gli altri sono intervenuti anche La Pina e il Trio Medusa, colleghi di Linus. Il successo incredibile dell’edizione milanese potrebbe addirittura essere superato il prossimo 8 ottobre. Le quattro edizioni del 2017 sono le seguenti: Bari – 5 marzo – 10.000 partecipanti Firenze – 14 maggio – 15.000 partecipanti Milano – 8 ottobre Roma – 19 novembre luglio/agosto 2017

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Food

Food e Innovation Come chiavi del futuro di Laura Lamarra

Intervista a Marco Gualtieri, fondatore di Seeds&Chips, il primo salone internazionale dedicato alle aziende e startup digitali che stanno innovando nella filiera agroalimentare

Appena rientrato dall ’Eat Forum di Stoccolma e in partenza per gli Usa, riesco a catturare l’attenzione di Marco Gualtieri, fondatore di Seeds&Chips, che mi accoglie nel suo ufficio di Corso Sempione in Milano con il suo inconfondibile stile modesto ed af fabile. L’imprenditore è reduce dal successo planetario di Seeds&Chips - The Global Food Innovation Summit, che nell’edizione dello scorso maggio tenutasi in Fiera a Milano, ha visto come testimonial di grande prestigio il 44esimo Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, accolto in una sala conferenza gremita di giornalisti e personalità di spicco provenienti da tutto il mondo.

cibo e dell’innovazione tecnologica non è ancora, di fatto, cosi ampiamente diffusa e sentita. Ero fortemente intenzionato ad organizzare un evento su tale tema, asset strategico per lo sviluppo economico planetario, con una personalità di rilievo che consentisse al sistema Paese di accreditarsi a livello internazionale. Ho scritto a Sam Kass, chef-consigliere della Casa Bianca, trasmettendogli il mio sogno di portare Obama all’evento di maggio. Dopo pochi giorni, mentre ero in riunione con i miei collaboratori, è giunto, con mio grande stupore, l’assenso del Presidente. In studio non ci credeva nessuno”.

Il Summit è stato il coronamento di un sogno?

“Sguardo ai giovani, innovazione, sicurezza alimentare, contenimento dei disequilibri alimentari nel mondo, sosteni-

“La comprensione della vera rilevanza del 20

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Perché proprio Obama per parlare di food innovation?


di contatti specie in Usa. Ma le esperienze non finisco qui.” Poliedricità e dinamismo sembrano caratterizzare il suo operato, sono questi i fattori che la conducono al food? “La vita è movimento continuo, l’innovazione segue e tenta di anticipare il f lusso vitale. Cosi nel 2006, la mia indole pionieristica e le casualità rappresentate da amici che mi hanno chiesto di supportarli nella realizzazione di alcuni progetti legati al food, mi hanno portano alla stesura di una parte della candidatura di Milano all’Expo 2015. Ritenevo che sarebbe stata un’occasione unica di valorizzazione delle eccellenze italiane nel mondo a condizione che la legacy creata venisse portata avanti nel tempo. Su questo filone di pensiero ho

bilità, riduzione degli sprechi, big data e tracciabilità nel settore agroalimentare, alcuni dei concetti chiave di Seeds&Chips, sono sempre stati al centro della politica del Presidente. Provo inoltre molta empatia nei confronti di un persona dotata di grande lucidità e competenza, a cui si uniscono purezza, convinzione e tenacia. Spontaneità e umanità sono state ancor più palesi la sera prima dell’evento. Di fronte ad una mia punta di preoccupazione, in quanto nulla era stato programmato nel pieno rispetto della modalità auspicata da Obama, non dimenticherò mai le parole del Presidente: “domani andrà benissimo e sai perché? Sono 20 anni che mi occupo di temi di innovazione e cibo, semplicemente domani lo faremo davanti a tanta gente, per proseguire con azione concrete dopo l’evento. Prima però ti devi riposare”. L’innovazione nel food non è tuttavia all’origine dei suoi trascorsi professionali. Come è approdato a Seeds&Chips? “Da sedicenne mi sono occupato dell’organizzazione di eventi benefici della Lega Italiana per la lotta contro i tumori, presso la società del Giardino di Milano,

“Una piattaforma di crescita e confronto, un’occasione eccezionale per giovani, imprenditori, startupper, e non solo in cui presentare le principali novità in ambito tecnologico, di prodotto e di funzione in un settore essenziale come quello del cibo”. un’esperienza che si è rivelata un’ottima palestra formativa nel mondo del sociale e della raccolta fondi. Sono poi passato, durante il liceo, alla gestione di abbigliamento personalizzato per la nautica, trasformando in business una delle mie grandi passioni, la vela. Nel 1997 ho iniziato l’entusiasmante avventura di TicketOne, studiando una serie di servizi a supporto del turismo straniero in Italia e del miglioramento qualitativo dell’ospitalità. La privatizzazione dei servizi aggiuntivi dei principali musei italiani, consentita dagli interventi legislativi, mi ha condotto all’informatizzazione partendo dal settore museale di Firenze. In parallelo ho portato avanti Netcomm, consorzio del commercio elettronico in Italia, ho lanciato una casa di moda, ho gestito iniziative di valorizzazione turistica in ambito di trasporto aereo, grazie a cui ho intensificato la mia rete

ideato un format sul cibo “Seed&chips”, la cui prima edizione è avvenuta a due mesi dalla cerimonia di apertura di Expo2015. Una piattaforma di crescita e confronto, un’occasione eccezionale per giovani, imprenditori, startupper, e non solo in cui presentare le principali novità in ambito tecnologico, di prodotto e di funzione in un settore essenziale come quello del cibo ”. A proposito di cibo, quali sono gli ingredienti imprescindibili affinché un progetto possa essere di suo interesse e a cosa non può rinunciare? “In primis ad un buon caffè, (sorride), poi alla libertà di pensiero e di azione, specie se volta ad enfatizzare la bellezza di Milano e del Paese nel mondo. Innovare e valorizzare le nostre eccellenze sono dei must ed ho già in serbo molte altre sorprese”. luglio/agosto 2017

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White Bakery è un concept di ristorazione unico, originale, innovativo. Dopo la rapida successione di aperture in forma diretta, che ha portato l’azienda a sperimentare la formula in ben cinque locali di proprietà e a consolidarne i risultati economici, è oggi in fase di lancio il progetto franchising. Tutto nasce dalla volontà di raccontare l’American Style in un contesto completamente diverso come quello mediterraneo, unendo spunti, sensazioni, immagini ed emozioni che scaturiscono dell’esperienza professionale statunitense del fondatore. Ma in America un White Bakery non c’è. Il format è differente da quello di ogni altra bakery, diner, pasticceria o ristorante, americano o europeo, perché fonde in un melting pot di suggestioni e rimandi la cultura gastronomica italiana e quella americana. Il successo è stato immediato,

fin dall’apertura del primo locale a Pescara nel 2011, perché chi entra per la prima volta in un locale White Bakery non può fare a meno di rimanere colpito dall’atmosfera calda, vivace e accogliente che si respira. White Bakery è un eccezionale luogo d’incontro, trasversale per occasioni di consumo e tipologia di clientela. Un menu dolce e salato dagli elevati standard qualitativi, sempre sorprendente e vario, permette a consumatori di ogni genere di vivere una fantastica esperienza in ogni momento della giornata. Dal punto di vista imprenditoriale, ciò consente una continua rotazione dei coperti lungo

tutto l’arco della giornata, aumentando il potenziale di redditività dell’iniziativa. White Bakery oggi sta valutando candidature altamente qualificate con le quali condividere l’esperienza produttiva, la competenza nel retail della ristorazione e nel franchising maturate negli anni. Si tratta di un know-how evoluto, di un sistema “chiavi in mano” che non richiede all’affiliato alcuna esperienza nel settore. Al di là della capacità di investimento richiesta, a partire da 400 mila euro, il franchisor seleziona imprenditori con “una marcia in più”. Per gestire con successo un White Bakery servono infatti uno spiccato spirito imprenditoriale, passione e attitudine per il settore della ristorazione, cultura dell’accoglienza, propensione al contatto con il pubblico, capacità di problem-solving e di team-working. L’azienda è pronta a costruire una rete di locali affiliati insieme a investitori singoli e multiunit in ogni area del territorio nazionale.

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www.whitebakery.it


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Food

Ivan e Masa Eleganza e raffinatezza senza tempo di Alessia Portelli

I pionieri del bello. L’eccellenza milanese del catering on demand, nata negli anni ’90, racconta gli esordi e progetta un futuro all’insegna della cura e della raffinatezza

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Siamo negli anni ‘90 in una Milano che, sulla scia della Milano da bere, si apre a nuovi confini ed orizzonti, sorprende e seduce nelle atmosfere dei più noti ed esclusivi salotti meneghini. È in questi anni che, da un sodalizio di raffinato equilibrio di stili, mediterraneo e orientale, Ivan e Masa approdano ai più alti livelli del catering on demand. La costante ricerca e modernità, ha reso Ivan e Masa tra i più noti precursori del finger food, inteso come vera e propria arte. Un viaggio sorprendente tra le emozioni di nuovi sapori e ricercati piatti abbinati secondo regole di conoscenza, creatività e armonia. Ne è un esempio il loro finger sandwich con capperi di Salina e aneto. Un successo sempre attuale nato da un’idea di 30 anni fa. Tra le loro cre-

azioni le composizioni di Edamame freschi, i mini pancakes di salmone marinato all’aneto e coriandolo in grani, crema acidula ed erba cipollina; la purea di patate violette, caviale di salmone, erba cipollina e cetriolo e, per finire, mini risi al salto con zafferano in stigmi, mandorle e peperoncino. Solo per citarne alcuni esempi. Quella di Ivan e Masa è una formula che si afferma con dedizione, lavoro intenso ed estro e che non scorda mai le buone maniere. Un sofisticato passaparola ne decreta, da sempre, il successo. Ad ognuno il suo evento customizzato. L’incontro con Ivan rievoca una Milano per bene. Cosa potete raccontarci dei vostri esordi? Gli anni ‘90 hanno segnato un passaggio


importante, dalla semplice ristorazione si passa al concetto di catering, più esclusivo e d’avanguardia. In quegli anni a Milano, Lalla Jucker era la regina indiscussa degli eventi. Non c’era cena importante senza il suo servizio di alta cucina. Guardavamo a lei e al suo lavoro con molta stima e ammirazione. Il nostro riconoscimento è arrivato quando, a seguito di un contest per un esclusivo galà milanese, abbiamo vinto noi rispetto a Lalla Jucker che, in seguito, ci ha definiti suoi adorati e unici rivali.

valori. Le persone hanno iniziato a guardare solo al prezzo a discapito della qualità e del servizio. Persino chi poteva continuare a permettersi servizi esclusivi, si rivolgeva a società che offrivano il prezzo più basso. Un prosperare della non cultura. Un livellarsi a tutto. Iniziava la società del low cost. Noi invece continuiamo a rivolgerci a una clientela molto elitaria, proponendo il bello e tenendo fede ai valori di sempre. Manteniamo da sempre le tradizioni dell’educazione e del savoir faire. Com’è la vostra organizzazione lavorativa?

Abbiamo presentato un modo rivoluzionario di fare cucina, unendo la filosofia fusion a quella mediterranea e portando il finger food, le monoporzioni, agli eventi. Nel 2000 il grande sogno, l’apertura del Reve Cafè, in Via della Spiga a Milano. Un locale dove potevamo esprimere e mostrare a una clientela, piuttosto selezionata, l’arte culinaria di ispirazione fusion.

A livello lavorativo siamo piccoli, nel senso che abbiamo una struttura snella, ma facciamo cose da grandi. Lavoriamo per eventi da 8 o da 1500 persone con la stessa cura e dedizione. Io e Masa siamo gli organizzatori, poi abbiamo uno staff di cuochi fissi e camerieri per ogni evento. Per noi l’ospite è sempre al centro. Si vive dei clienti e della loro piena soddisfazione. L’arte di ospitare ci riporta a riti e modi di una volta, che devono essere mantenuti e tramandati. Ad esempio, si dice “si accomodi” e non “siediti”,” benvenuto” e non “ciao”, ci si rivolge dando del “lei” con rispetto, educazione e discrezione. Il nostro principale obiettivo è quello di mantenere la clientela ed espanderla: nessun cliente deve essere per alcun motivo allontanato o costretto ad andarsene e a non ritornare. A quel punto sapremo, con certezza, di essere degli eccellenti padroni di casa. Il successo allora, continuerà e crescerà sempre di più.

Oltre a essere food and event consulting, proponete anche un Ivan e Masa lifestyle sui social. Che utilizzo fate degli strumenti social? Abbiamo una pagina Facebook dove proponiamo, a scadenza settimanale, “i consigli di Ivan e Masa”. Ciò che mi è sempre piaciuto del “nostro catering” è quella passione, quel trasporto emotivo nella presentazione e nella descrizione dei piatti. Super specializzato nello specifico. Sono instancabile nel comunicare... Su FB e Instagram abbiamo la possibilità di aprirci a un pubblico più ampio, ma chi ci segue è una clientela molto elitaria. Ci rivolgiamo a una categoria di persone che hanno buon gusto e credono a cose vere come la cultura e l’estetica. Siamo stati, e lo siamo ancora, dei pionieri del bello.

Dagli esordi ad oggi, come si è evoluto il business del catering? Nel 2008 con la crisi abbiamo riscontrato un vero e proprio capovolgimento dei

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Food

America Graffiti Cucina americana,

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America Graffiti è una catena di ristoranti in stile Usa anni ’50, diffusa soprattutto nel Centro-Nord Italia, che ha appena inaugurato il 64° locale. Il concept, vincitore del premio come miglior format al Foodservice Award Italy 2017, si ispira ai tipici diner americani e viene declinato in due versioni: Diner Restaurant, tavola calda statunitense con servizio al tavolo come quelle che i viaggiatori incontrano lungo la mitica Route 66, e Fast Food, con ristorazione veloce e senza servizio al tavolo. Volendo sintetizzare i principali tratti distintivi della catena ci sono sicuramente la varietà del menu, l’ambiente anni ’50, un eccellente rapporto qualità/ prezzo, una atmosfera coinvolgente e

divertente. Entrare in un America Graffiti significa fare un tuffo nei favolosi anni cinquanta, una guest experience unica fatta di suoni, colori, luci e sapori. Questo perché dietro ad America Graffiti c’è una storia. È la storia di un cuoco rockabilly romagnolo, Riccardo La Corte (aka Big Boss) appassionato di Rock’n’Roll, dei favolosi anni ‘50 e di buona cucina. Nel 2008, dopo diverse esperienze nella ristorazione, decide di aprire insieme alla moglie Cinzia il suo locale ideale, aiutato anche dall’imprenditore Stefano Landi con cui ha condiviso tanti viaggi negli States. Il locale, con il pavimento a scacchi, i divanetti bianchi e rossi, jukebox d’epoca e tanti cimeli e memorabilia dei viaggi


in America, ospita live musicali e diventa luogo di incontro e di raduni per appassionati di auto e moto americane che arrivano anche da fuori regione. In pochissimo tempo Riccardo deve raddoppiare la superfice del locale e insieme a Stefano nel 2010, in risposta alle tante richieste, decidono di strutturarsi dando vita al Franchising coinvolgendo nell’avventu ra Fabio La Cor te, f ratel lo d i Riccardo, già manager in una grande azienda. Da un locale a conduzione familiare si passa ad un modello di business replicabile. Nel 2015 decidono di entrare a far parte della compagine societaria Giordano e Gian Maria Emendatori, fondatori e proprietari dell’azienda MEC3. America Graffiti è quindi la storia di una passione da cui nasce un’idea di ristorante che fa dire Gee (esclamazione americana informale degli anni ’50 che esprime entusiasmo, sorpresa e stupore.

America Graffiti l’ha riscoperta e la ripropone a tutti i suoi fan #gee!). Cucina americana, qualità italiana e rock’n’roll, sono gli ingredienti del successo di America Graffiti, che sin dalla sua origine ha puntato sulla ricerca di prodotti di alta qualità; la scelta delle materie prime viene fatta in maniera molto accurata e scrupolosa, tutte le preparazioni sono di facile esecuzione e vengono eseguite al momento. Anche la scelta delle nuove location è oggetto di attente analisi e ricerche, se per il format Fast Food sono ideali le food court di centri commerciali e le multisale, per il format Diner Restaurant si guarda a strade di grande passaggio, parcheggi adatti ad ospitare comitive di motociclisti, raduni di auto e moto americane, e si scelgono anche location di prestigio che per loro natura ospitano grandi eventi sportivi e musicali come Torino Area12 proprio accanto allo Juventus Stadium, lo stadio di San Siro a Milano o l’autodromo di Imola. Per un franchisee entrare in America Graffiti oggi significa unirsi a una rete solida e affidabile con un’ampia offerta di servizi interamente gestiti a livello centrale dai nuovissimi Headquarters da uno staff di oltre 30 persone che si occupano di marketing e comunicazione, ricerca e sviluppo, logistica e ovviamente della formazione del personale dei locali

in apertura ma anche dei corsi di aggiornamento. Per rispondere all’esigenza di formazione continua, nel 2012 è nata America Graffiti Academy, divisione deputata alla formazione teorica e pratica degli staff dei locali con l’obiettivo di trasmettere il knowhow aziendale, garantendo lo stesso livello di servizio e qualità. Il supporto ai nuovi licenziatari inizia già in fase di selezione del personale e continua a locale avviato. A fine 2016, con l’inaugurazione della nuov a sede, h a n no preso i l v i a i Franchisee Open Day, giornate dedicate all’incontro con potenziali nuovi licenziatari, ai quali viene proposta una full immersion nel mood anni ‘50 negli Headquarters di Forlì dotati di aula polifunzionale e show cooking. America Graffiti Franchising prevede di chiudere il 2017 con un fatturato complessivo di circa 80 milioni di euro, con 6 milioni di clienti serviti e 4 milioni di hamburger grigliati.

Per il 2018, anno in cui ricorrerà il decimo compleanno di America Graffiti, l’azienda si pone l’obiettivo di raggiungere il traguardo di 100 locali aperti in tutta Italia, puntando in particolare modo al CentroSud e arrivando a raggiungere quota 2.000 dipendenti. Altro obiettivo 2018 è l’apertura del primo ristorante America Graffiti all’estero. luglio/agosto 2017

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Design

Pepsi

Quando il design firma l’innovazione di Patrick Abbattista

Beesness incontra Mauro Porcini, senior vice president e chief design officer della multinazionale americana. Il manager spiega le caratteristiche chiave di questa nuova figura professionale e il suo valore aggiunto 30

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Beesnees incontra Mauro Porcini, senior vice president e chief design officer di PepsiCo per parlare di innovazione e, in particolare di Design Thinking e approccio Design Oriented. Il manager è infatti il primo a ricoprire questa professionalità chiave nel colosso del beverage a stelle e strisce e ne spiega le caratteristiche fondamentali e il valore aggiunto. Come è avvenuto l’incontro con PepsiCo? Sono entrato in azienda cinque anni fa, in un periodo in cui le grandi corporation stavano cercando di capire come affrontare i mercati in uno scenario completa-

mente nuovo. In particolare, l’esigenza di PepsiCo era quella di costruire e sviluppare i propri brand attraverso nuovi percorsi, realizzando processi innovativi differenti. La visione di questo nuovo approccio era promossa attivamente dai vertici aziendali a iniziare dall’a.d. Indra Nooyi. Si erano resi conto che avevano bisogno di portare in azienda un designer che fosse in grado di guidare l’innovazione, e quella scelta cadde su di me, anche perché ero già chief design officer da circa dieci anni in 3M. La mia esperienza pregressa si incastrava bene in questo nuovo scenario: costruire una


cultura del design partendo da zero, consapevole delle tipiche problematiche che possono esserci in un’azienda di quelle dimensioni. All’inizio, non sapevamo esattamente che forma avrebbe preso questa collaborazione all’interno di PepsiCo o quante persone avremmo portato a bordo. Ma sapevamo che servivano nuove competenze e soprattutto un nuovo mindset, che potesse espandere le attuali capacità dell’azienda. Un mindset che fosse focalizzato sulle persone, consumer centric, e che facesse leva sugli strumenti tipici delle comunità del design con lo scopo di creare esperienze uniche e rilevanti per i consumatori a contatto con i nostri brand. Quello che sicuramente mi ha aiutato, oltre alla mia esperienza in 3M, è stato il fatto che non fossi il tipico designer. Prima di allora, infatti, avevo ricoperto più ruoli, ero stato imprenditore e avevo sviluppato competenze traversali in ambito design. Tutto ciò mi permetteva di avere una visione ampia sulle cose, un approccio olistico alla strategia aziendale dove il design era, ed è, il punto focale. Chi è il chief design officer e in che modo ci si può preparare per ricoprire questo ruolo? Il chief design officer (cdo) è qualcuno che comprende a pieno l’azienda e la sua complessità, dal marketing all’ambito, capisce le persone. Abbiamo una tendenza naturale a chiederci cosa desideri la gente e come, eventualmente, tradurre queste “aspettative” in prodotti tangibili

ed esperienze memorabili. Quello che ci guida è fare qualcosa di straordinario per le persone. Vogliamo realizzare brand, prodotti o servizi che migliorino la vita dei consumatori. Il nostro ruolo in azienda può essere considerato come quello di facilitatori tra il business e la società. Lavoriamo per tradurre ciò che è rilevante per le persone in ciò che è rilevante per l’azienda.

“Il chief design officer (cdo) è qualcuno che comprende a pieno l’azienda e la sua complessità, dal marketing all’ambito, capisce le persone”. Per fare questo, utilizziamo le nostre abilità di disegnare, fare prototipi, creare, accelerare e facilitare il processo di innovazione all’interno dell’azienda. Il cdo incarna queste competenze e attitudini, e deve avere una visione complessiva del business così da poter interloquire con le diverse funzioni aziendali in maniera costruttiva, avendo sempre in mente l’interesse del consumatore. In che modo un’azienda misura le performance del chief design officer? È un tema complesso e comunque, a mio giudizio, occorre porsi un limite temporale minimo di tre anni per valutare l’impatto di una simile professionalità sulla struttura e sulla crescita aziendale. luglio/agosto 2017

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Volendo, comunque, citare le metriche principali: • Impatto sulla relazione con i consumatori, ovvero in che modo migliora la conversazione con i clienti sia a un livello B2B che B2C a beneficio di entrambi (di cosa si parla, quali insights si ottengono…) • Consumer engagement, ovvero come i consumatori reagiscono alle iniziative aziendali (aumento dei commenti, delle richieste…). I social media sono un ottimo

“Quello che cerco nei designer è un approccio olistico, trasversale”. luogo in cui fare queste analisi • Impatto sull’innovazione, che si traduce in un numero di lanci di successo ottenuti • Impatto sul valore del marchio • Produttività, per esempio la riduzione dei costi logistici oppure l’aumento esponenziale del fatturato a fronte di investimenti minimi, marginali, sulla qualità dei prodotti. Allo stesso modo, i tempi che intercorrono tra l’innovazione e il suo lancio sul mercato, con lo scopo di ridurli. Tuttavia, per quante metriche si utilizzino, la verità è che quando un’azienda offre valore ai propri consumatori grazie a un approccio design oriented, diventa evidente la differenza di risultato che si è prodotta. Si percepisce un cambio di reazione e di interazione con i propri clienti.

con gli obiettivi aziendali. Quello che cerco nei designer è un approccio olistico, trasversale, per questo li spingo sistematicamente a fare esperienze diverse, anche in ambiti per cui non hanno studiato o non si sono ancora formati. Qui in PepsiCo abbiamo diversi profili: industrial designer, graphic designer, experience designer, interior designer. A tutti è richiesto di fare qualcosa che

Quali sono le figure chiave per implementare una design vision? È un mix variegato di professionalità. Qui in PepsiCo, per esempio, siamo circa 170 persone su diversi design centers (New York City, Dallas, Chicago, Londra, Città del Messico e Mosca) e sono rappresentate oltre 35 nazionalità differenti. Dovendo dare un primo punto, è molto importante inglobare nel team quanta più diversità possibile. Personalmente, ho bisogno di persone che considerino il design come leva strategica per far crescere il business, quindi non una competenza fine a se stessa, ma una professionalità integrata 32

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vada al di là della propria area di specializzazione. Solo in questo modo possiamo costruire esperienze complete che si esprimono in tutti i touch point che ci mettono a contatto con le persone, sia nel mondo digitale che in quello fisico. Una delle aree chiave è rappresentata dalla

parte design innovation & strategy, ovvero quella che può davvero cambiare le regole del gioco guidando l’innovazione e anticipando i bisogni futuri. Lo fa studiando i trend, la società, facendo prototipi innovativi, e via dicendo. Su quali figure si concentrerebbe per rendere design oriented anche le piccole e medie imprese? Se fossi in una piccola azienda cercherei di identificare quanto prima figure di questo tipo, capaci di utilizzare il design come leva strategica per l’innovazione e al tempo stesso preparate sotto più punti di vista. Ora, per fare un esempio pratico. Ipotizziamo che un’azienda possa assumere fino a quattro designer. Quelli che porterei dentro sono: una figura strategica, descritta sopra, che sappia fare da coordinatore tra i designer e il resto dell’azienda, comprendendo a pieno il mercato di riferimento. A seguire, prenderei un industrial designer, un graphic designer e un esperto digitale. Se l’azienda può permettersi solo la figura strategica, allora potrà lavorare con esper ti esterni, freelance, scelti e coordinati dal chief design officer. Chiaramente, più si è piccoli e più è necessario far convergere le professionalità, ma questo non limita il potenziale dell’azienda se, con la giusta figura a monte, crea collaborazioni di valore sul mercato.



Fashion

Patagonia

Il business dell’outdoor diventa sostenibile di Marcella Ciappi

“Non si fanno affari su un pianeta morto” è la frase dell’ambientalista David Brower, che Yvon Chouinard, fondatore di Patagonia, azienda leader dell’abbigliamento outdoor, ama citare…

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Yvon Chouinard ha iniziato la sua attività producendo attrezzi per l’arrampicata. È stato osservando il degrado della roccia conseguente all’utilizzo dei chiodi da arrampicata, che il giovane imprenditore ha iniziato a chiedersi se fosse possibile ridurre al minimo l’impatto ambientale nello svolgimento delle proprie attività. Attualmente l’azienda produce capi d’abbigliamento per la montagna, per lo sci, lo snowboard, il surf, la pesca a mosca, la canoa e il trail running, a livello internazionale e con una netta inclinazione per la semplicità, la funzionalità e la sostenibilità. Sono svariate le iniziative ambientali ideate e promosse da Patagonia e dal suo fondatore nel corso degli anni e hanno posizionato l’azienda come un vero e pro-

prio pioniere in questo settore. “1% For The Planet – Give back to blue”, ad esempio, rappresenta un’alleanza tra imprese che s’impegnano a donare almeno l’1% dei loro ricavi netti annuali a organizzazioni ambientaliste in tutto il mondo. La sua convinzione di base è che la salute e il benessere di tutti provengono dall’ambiente, che le imprese devono essere responsabili di un cambiamento positivo e che “…possiamo lasciare questo grande pianeta blu meglio di come l’abbiamo trovato”. “The Footprint Chronicles” invece misurano e descrivono l’impatto ambientale di alcuni capi d’abbigliamento, con l’obiettivo di offrire la massima trasparenza possibile sulla sua catena di produzione per agevolare la riduzione dell’impatto


socio-ambientale negativo creato dai suoi prodotti. A partire dalla stagione autunno/inverno 2014, l’intera collezione di capi con imbottitura in piuma è realizzata in piuma 100% tracciabile: significa che ogni singola piuma può essere fatta risalire a oche e anatre che non sono mai state sottoposte ad alimentazione forzata, né a spiumaggio da vive. Questo è possibile grazie al Traceable Down Standard, che offre la massima garanzia di equo trattamento degli animali nel settore dell’abbigliamento. Patagonia ha inoltre sviluppato nuovi materiali e nuove tecnologie. Ad esempio, sono state prodotte delle giacche in fleece da bottiglie di plastica riciclata e, in una fase successiva, delle giacche in fleece dalle giacche in fleece usate. Un’altra innovazione applicata ai tessuti è il trattamento Polygiene, per il controllo permanente degli odori, che impiega cloruro d’argento ricavato da argento riciclato al 100%, a sua volta derivato da applicazioni fotografiche e industriali. Dal punto di vista del ciclo di vita dei prodotti, il trattamento Polygiene offre una serie di vantaggi ambientali: i prodotti trattati con questa tecnologia possono essere lavati a basse temperature e con minore frequenza, perché possono essere indossati più a lungo tra un lavaggio e l’altro. Il ruolo educativo di Patagonia, in risposta alla moderna ossessione dei consumi e della crescita, è emerso anche quando, con la campagna “Don’t Buy This Jacket”, ha chiesto ai suoi clienti di non comprare i propri prodotti a meno che non fosse strettamente necessario, incoraggian-

doli a comprare capi di seconda mano (a marchio Worn Wear) o a farne a meno. Sul sito compare addirittura la sezione delle guide iFixit che descrivono come

effettuare la manutenzione dei prodotti e come si possono riparare eventuali danni. “Worn Wear” è diventato un tour europeo, che incoraggia le persone a non gettare via i propri capi solo perché rotti

o strappati, grazie a un laboratorio sartoriale completo di macchine da cucire industriali. Personale specializzato offre riparazioni gratuite di cerniere, alette delle zip, bottoni, tessuti bucati o lacerati, di qualunque marchio. “Creare un prodotto in grado di durare nel tempo e che possa essere riparato – ha dichiarato Rose Marcario, amministratore delegato di Patagonia – è il primo e più importante passo verso una concreta limitazione della nostra impronta ambientale”. Lo scopo è quello di evitare di generare le emissioni di CO², la produzione di scarti e di rifiuti e il consumo di acqua associati ai cicli produttivi del settore tessile. Controlli specifici determinano le condizioni di lavoro e la retribuzione di ogni persona lungo tutta la catena di produzione e la più recente novità in questo senso è la prima collezione di costumi da bagno confezionata in stabilimenti certificati Fair Trade. Dall’estate 2017 infatti, per ogni capo della linea Swim&Surf realizzato, Patagonia verserà un bonus in denaro che i lavoratori potranno utilizzare direttamente per migliorare la propria qualità della vita. Questa certificazione richiede inoltre che gli stabilimenti dimostrino di essere conformi a un severo standard di regole ambientali e sociali in grado di garantire condizioni di lavoro eque e sicure. “Realizzare il prodotto migliore, non provocare danni inutili, utilizzare il business per ispirare e implementare soluzioni per la crisi ambientale” è da sempre l’obiettivo di questa azienda californiana che ha rivoluzionato il business dell’abbigliamento outdoor.

luglio/agosto 2017

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Fashion

Lululemon

Quando la “community” costruisce un business di Fabrizio Valente

La catena canadese di abbigliamento sportivo diventa una “case history” stimolando, anche attraverso la creazione di gruppi dedicati, clienti e collaboratori a migliorarsi attraverso lo sport da praticare insieme gratuitamente e a realizzare i propri desideri 36

luglio/agosto 2017

Lululemon è una catena canadese di abbigliamento sportivo presente in 12 Paesi con oltre 350 negozi, diventata un “case history” di successo grazie alla sua capacità di coinvolgere clienti e dipendenti attraverso community sportive, e non solo, dedicate. Molti dei suoi negozi infatti ospitano lezioni di yoga gratuite, spostando gli espositori dei prodotti per creare spazio. Quasi tutti i negozi sono il punto di ritrovo e di partenza per gruppi di running, molto apprezzati in particolare dalle donne che possono così dedicarsi a questa attività anche la sera evitando i rischi che può comportare il correre da sole. Il prodotto e il brand


diventano, in questo modo, il simbolo di appartenenza della cliente e di riconoscimento del gruppo. Le relazioni consolidate stimolano anche la raccolta di feedback dalle clienti sui prodotti, con dozzine di suggerimenti sulle bacheche nelle aree dei camerini. Lululemon inoltre sceglie e supporta donne che corrono facendole diventare “ambasciatrici” del brand e fornisce in cambio forniture gratuite di prodotti. Non vengono scelte necessariamente atlete professioniste, ma donne con cui è più facile il processo di identificazione: ad esempio runner amatoriali che ottengono buoni risultati alle maratone. Queste ambasciatrici diventano testimonial che ispirano le clienti, fornendo feedback e suggerimenti sui prodotti ricevuti. Nata nel 2000, Lululemon nel 2015 ha inaugurato il concept hub sulla Quinta

strada di New York, un flagship store che dispone di un ampio piano interrato dedicato ai clienti (con wi-fi, caffè gratis, poltrone a dondolo di design) e alle attività, ad iniziare dai corsi di yoga in primis. Nel dicembre 2016 Lululemon ha aperto il suo primo negozio per uomini in Canada, The Local, che funge più da ritrovo locale che da negozio. The Local ha un’area con posti a sedere, una grande caffetteria che offre caffè gratis e un tavolo da ping-pong per il relax. Da tempo inoltre Lululemon stimola sia le clienti che i collaboratori a impegnarsi in programmi di auto-miglio-

ramento e di auto-realizzazione. Nei negozi sono infatti spesso presenti comunicazioni relative a questi progetti. A giudizio di Kiki Lab ed Ebeltoft Group “Lululemon dimostra che oggi per il successo nel Retail bisogna andare oltre i prodotti. L’azienda sprona clienti e collaboratori a impegnarsi, sia fisicamente per garantirsi un corpo in forma, sia mentalmente per riuscire a raggiungere gli obiettivi che ognuno vuole darsi. Grazie alle community di clienti e collaboratori, questi stimoli positivi vengono amplificati e rinforzati dai messaggi che gli utenti si scambiano fra di loro”.

“Il prodotto e il brand diventano, in questo modo, il simbolo di appartenenza della cliente e di riconoscimento del gruppo”. luglio/agosto 2017

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Fashion

U-Boat

Tra i protagonisti dell’edizione centenaria di Baselworld 2017 di Laura Lamarra

Beesness incontra Italo Fontana, ideatore e designer nell’orologeria di alta gamma, per farsi raccontare le origini e il futuro delle sue creazioni

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luglio/agosto 2017

Immancabile la presenza di Beesness alla cerimonia di apertura della centesima edizione di Baselworld, ove ogni anno, produttori, rivenditori, esperti ed appassionati di orologeria e gioielleria di alta gamma si danno appuntamento. Grandi passi sono stati fatti dal debutto nel 1917, in un modesto angolo dedicato al settore all’interno della fiera campionaria Muba. Alla presenza di oltre 4400 operatori stampa, TV, radio e media digitali, Sylvie Ritter, managing director di Baselworld, introduce le principali novità di questo show mondiale del lusso, tra cui le due nuove aree site nella hall 1 “Les Ateliers” per i produttori indipendenti di orologi e il “Design Lab” per designer rinomati e brand giovani e ambiziosi. Su una lussuosa superficie di 141mila mq, deliziati dalla bellezza del contesto, cam-

miniamo dalla hall 1 dei global brands e dallo spazio “Les Atelier”, in cui orologi leggendari si affiancano a realizzazioni di piccoli orologiai che hanno l’opportunità di farsi conoscere; alla hall 2 dove i brand internazionali trovano piena espressione; sino alla hall 3, ove pietre e perle preziose cedono spazio ai national pavilion siti nella hall 4. Come in un museo, respiriamo la preziosità delle opere d’arte ma non solo; lo studio continuo in innovazione, stile, meccanica di precisione e l’attenzione alla combinazione sinergica di estetica iconica e di lavorazioni tecniche sempre più ricercate, in risposta alle esigenze di confort e portabilità dei consumer, trasudano dai 220 marchi di alto prestigio esposti. Ne sa qualcosa Italo Fontana, ideatore e designer di U-Boat e Welder al quale chie-


diamo un assaggio della sua creatività. “Nel mio operato ho sempre cercato di accostare alla più fine artigianalità italiana, un iconico design ed una ricerca che si concentra sui materiali e sulle prestazioni. Per U-BOAT, ho puntato su un orologio, in edizione limitata a soli 300 esemplari, in grado di raggiungere i 1001 metri di profondità, con un vetro zaffiro alto 6 millimetri ancorato ad una cassa in titanio e alla ghiera attraverso solo 4 viti, ghiere in tungsteno indistruttibili, vetri in anatolite che cambiano colore istantaneamente quando sottoposti a luce artificiale, accanto a pezzi in bronzo di distintiva manifattura. Per Welder, invece, ho introdotto Moody, un orologio con vetro fotocromatico che cambia colore a seconda dell’angolo in cui viene colpito dalla luce e capace di modificare il mood della giornata.” Quanto di Italo si riflette nelle sue creazioni? “Molto. L’orolog io U-Boat, app en a descritto, rispecchia la mia grande passione per le immersioni. È progettato per resistere alle rigorose esigenze del subacqueo professionale. Welder invece riflette la mia attenzione all’influenza del contesto esterno. L’ispirazione mi viene dal vivere, dal viaggiare, dall’incontro con culture e persone diverse. Punto a creazioni che si distinguano, anticipatorie di mode, che suscitino emozione e nel contempo rispondano in modo originale ad esigenze concrete”. Cosa l’ha resa anticipatore di trend e inventore di soluzioni geniali?

“Voglio essere libero di creare senza censure. Io stesso a volte rimango meravigliato dalle mie intuizioni che seguo con coraggio e decisione. Quando 18 anni fa ho realizzato il primo orologio di grandi dimensioni, non sono mancate perplessità e battute ironiche: è un orologio per chi non vede bene, o una sveglia da polso, o un orologio rubato dal campanile di una chiesa? Riscontri che sono stati una fantastica dimostrazione di essere riuscito a suscitare stupore e a non passare inosservato. Il tempo inoltre è galantuomo e mi ha dato ragione: da lì in poi l’orologeria in generale si è spostata su dimensioni più grandi. È stato arduo farsi strada nel mondo partendo da una realtà come Lucca? “Lucca è la mia terra d’origine, luogo che adoro e in cui vivo e U-boat è un’azienda familiare. Le difficoltà non sono mancate. Ora siamo noti in tutto il mondo grazie alla validità dei prodotti e a persone come lei che mi danno la possibilità di raccontarmi. Siamo stati i primi a brevettare i cinturini vintage, che ora anche i marchi più blasonati hanno, a produrre l’orologio invecchiato a mano e il meccanismo che consente di cambiare l’ora senza usare le unghie”.

“A settembre farò un evento a Lucca, invitando tutti i clienti esteri, in particolar modo giapponesi e americani. Voglio che vivano lo splendido contesto, il vino e i prodotti della mia terra”. “A settembre farò un evento a Lucca, invitando tutti i clienti esteri, in particolar modo giapponesi e americani. Voglio che vivano lo splendido contesto, il vino e i prodotti della mia terra, a cui sono affezionato e che cerco di esportare anche in fiere come Baselworld, e nel contempo il lancio del mio nuovo modello. Un orologio che, pur conservando l’identità U-Boat, è meno spesso ed indossabile elegantemente sotto lo smoking in una serata di gala.”

Menti come la sua sono sempre al lavoro. Ha già pensato a come stupirci nuovamente? luglio/agosto 2017

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Fashion

Milano Moda Graduate

La fucina dei designer del futuro di Patrizia Saolini

La manifestazione, giunta alla sua terza edizione, è ormai uno degli appuntamenti più attesi della settimana della moda di Milano e offre ai nuovi talenti la possibilità di sfilare di fronte a buyer e operatori internazionali

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luglio/agosto 2017

L’eccellenza delle scuole di moda italiane sfila a Milano, con il patrocinio della Camera Nazionale della Moda Italiana, con Milano Moda Graduate, una passerella che valorizza la creatività dei giovani talenti internazionali freschi di diploma. La manifestazione, giunta alla sua terza edizione è ormai uno degli appuntamenti più attesi della settimana della moda di Milano e offre ai nuovi talenti, la possibilità di sfilare proponendo le loro creazioni a un pubblico selezionato di buyer e operatori del fashion. Tra i giovani premiati, in effetti, potrebbe esserci il “Giorgio Armani” o la “Miuccia Prada” del futuro. “Organizziamo questa competizione per stimolare le scuole

di moda e gli studenti, ma l’obiettivo è essere sinergici” ha dichiarato in merito Carlo Capasa, Presidente della Camera Nazionale della Moda, che con l’occasione ha ricordato il grande impegno dei soci di CNMI; l’apertura e la disponibilità ad accogliere i nuovi talenti. La passerella ha inaugurato la Fashion Week uomo primavera estate 2018, confermandosi uno degli appuntamenti più attesi del calendario milanese. La manifestazione ha avuto luogo lo scorso 16 giugno scorso presso la Fabbrica del Vapore che, per una volta, è diventata il palcoscenico della premiazione dei nuovi fashion designer internazionali. A coronare la sfilata, anche un’esibizione statica allestita nella sala adiacente la


sfilata, per le eccellenze stilistiche di altri corsi di accessories design, styling, comunicazione, marketing, product management, visual merchandising, retail management, sartoria e modellismo. Ben sette i finalisti in passerella scelti fra ventotto scuole di moda italiane in lizza per il CNMI Award, il premio che la Camera Nazionale della Moda Italiana riserva al più promettente dei giovani talenti. In giuria: Carlo Capasa, Presidente di CNMI e Renzo Rosso Presidente della giuria MMG 2017 e Ceo di OTB Group, ma anche Remo Ruffini Chairman e Ceo di Moncler ed altri illustri nomi fra cui Andrea Batilla, Sara Sozzani Maino, Lucio Vanotti, Anna Zegna e Jacopo Etro. Ad aggiudicarsi il CNMI Award di Milano Moda Graduate 2017 è stato Alberto Furlan dell’Università Iuav di Venezia, che ha portato in passerella una collezione uomo con dettagli volutamente incompiuti, maniche oversize e un alternarsi di camicie dalle tonalità accese e completi bicolori. In finale per la collezione total look anche Tritti Tarkulwaranont della Domus Academy; Hu Xin dell’Istituto Marangoni; Nicholas Fedele dell’Istituto Europeo di Design; Alessio Rossi dell’Accademia del Costume; Ma Yanrong dell’Istituto Marangoni ed Eros Tolentino dell’Istituto Europeo di Design. Sono stati inoltre assegnati sei premi per i finalisti delle altre specialità: Tea

La passerella ha inaugurato la Fashion Week uomo primavera estate 2018, confermandosi uno degli appuntamenti più attesi del calendario milanese. Righini ha vinto uno stage da Salvatore Ferragamo per la categoria accessories design; Giorgia Sparavigna ha vinto uno stage da Next Agency per la categoria communication; Martina Ceccherini Nelli ha vinto uno stage da Tomorrow Consulting per la categoria fashion marketing; Manuel Sinopoli ha vinto uno stage nel Gruppo Zegna per la categoria styling; Ma Yanrong ha vinto premio di

Mac Cosmetics; Eros Tolentino ha vinto un’intervista su Vogue Talents. In concomitanza della fashion week maschile di Milano, CNMI ha colto l’occasione per annunciare i dati relativi al mercato della moda uomo del primo trimestre 2017. Dai numeri emersi, si evince una crescita superiore alla media del settore, tra il 4% e il 5%, sostenuta dalla ripresa delle esportazioni, superiori al 5%. Il mercato italiano ha infatti registrato una crescita intorno al +1% e, per quanto riguarda i mercati esteri, l’export italiano verso i Paesi Europei ha registrato un +7%. Quelli più significativi per la moda italiana risultano essere la Germania (+13%), il Regno Unito (+22%), il Belgio (+11%) e la Spagna (+9%). L’esportazione verso la Francia, seppur meno consistente rispetto agli altri Paesi, ha comunque registrato un incremento del +3,5%. L’export verso il mercato extra UE ha avuto un andamento diversificato: in crescita verso l’Asia (+11%) con un picco nella Corea del Sud (+28%) e Hong Kong (+20%), più contenuto verso il Giappone (+3,5%) e la Cina (+2,3%). Un buon risultato si è registrato in Russia con un +21%. Moderato invece l’export verso gli Usa (1,6%) e in leggero calo quello verso gli Emirati. luglio/agosto 2017

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Fashion

Come la digital economy Sta cambiando l’universo del lusso di Ugo Perugini

Per McKinsey il 68% delle vendite in negozio è influenzato dalle informazioni che vengono raccolte attraverso il canale digitale


Nel lusso quello che conta è l’attenzione alla qualità del prodotto, al gusto del cliente e alla personalizzazione della vendita. E la digital economy sta portando numerose e innovative soluzioni a questa principale esigenza. La distribuzione in formato digital Ai canali distributivi tradizionali, ad esempio, da qualche tempo, si è infatti aggiunto il canale digitale tramite i siti gestiti dall’azienda stessa o inseriti in piattaforme dedicate. Se si valuta la produttività collegata ai costi degli spazi fisici (cioè ai metri quadrati che offre un negozio, e alle spese connesse a questo tipo di gestione), oggi non è più possibile non tenere conto della grande opportunità offerta dai canali digitali per l’incremento delle vendite. Per tre motivi soprattutto: • La forza propulsiva dell’immagine che può essere veicolata con questi mezzi

• La tempestività e la esaustività delle comunicazioni che è possibile trasferire ai visitatori • L’ampia disponibilità delle informazioni che il sistema è in grado di racco-

gliere dal cliente finale, anche lui diventato ormai multi-channel. Anche per queste ragioni, in futuro, la distribuzione attraverso i canali digitali è destinata ad incrementare ulteriormente. Secondo gli esperti, nel 2025 si assisterà a un incremento del 20% delle crescite legate al canale digitale. I motivi sono semplici: i minori costi fissi (arredi, affitti, personale dei negozi...); lo sviluppo sempre più avanzato di soluzioni per smartphone che renderanno l’esperienza dello shopping ancora più semplice, immediata e diretta; un rapporto sempre più diretto con i clienti. Un numero sempre maggiore di consumatori già oggi dichiara di usare piattaforme digitali per effettuare i propri acquisti (con le app che fotografano i codici a barre dei vari prodotti) per avere informazioni riguardo ai tipi di modelli, ai prezzi, alle prestazioni, alle qualità, alle garanzie. I negozi hanno già preso le loro contromisure e molti di essi, come noto, offrono accesso wi-fi gratuito. Ma c’è di più. Anche le campagne pubblicitarie si sono evolute diventando sempre più specifiche. Molte aziende usano i codici QR (Quick Response Code) per dare informazioni più dettagliate ai clienti e indirizzarli ai propri siti e incoraggiare anche l’acquisto on line. In un rapporto continuo, definito “seamless”, cioè senza interruzioni. Il 68% delle vendite in negozio, secondo

una ricerca McKinsey, è influenzato dalle informazioni che vengono raccolte attraverso il canale digitale. E le opportunità che si offrono alla clientela sono davvero tante. Se il prodotto che il cliente cerca non è presente in negozio può ordinarlo sul sito e ricevere il prodotto a casa. Oppure il cliente, comodamente da casa, può ordinare il prodotto e andare a ritirarlo presso il negozio con ovvie ricadute di cross-selling. La personalizzazione e la connettività diffusa richiede attenti modelli di gestione Fantascienza? Assolutamente no. Ormai è quotidianità. Questa trasformazione offre ai consumatori una esperienza di acquisto trasversale su canali diversi che però deve tenere conto di politiche commerciali e di marketing sempre più integrate, se vuole funzionare a dovere. Cosa che, considerate le numerose variabili in gioco, può non essere semplice. Altrettanto, è necessario che l’organizzazione dell’azienda si adegui con rapidità alle nuove soluzioni digitali, offrendo al personale tutte le possibilità per utilizzare nel modo migliore e più coerente le tecnologie a disposizione, insieme a una attenta gestione della clientela, dei suoi bisogni e delle sue necessità. Senza mai dimenticare che in cima a tutto c’è la soddisfazione dell’utente e la sua fedeltà al marchio. luglio/agosto 2017

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IL TUO SPAZIO DI

BELLEZZA

SVIZZERA

IL TUO SPAZIO DI

BELLEZZA


Digital Economy

Le strategie di successo Su Instagram di Giancarlo Donadio

Tutte le regole da seguire per guadagnare con il social delle immagini. Un influencer con almeno 100mila follower può chiedere fino a 5mila dollari a foto e, se si superano i 7 milioni di follower, la cifra sale a 150mila.

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luglio/agosto 2017

Con una sola foto postata sul profilo Instagram possono guadagnare fino a 150mila dollari. Sono gli influencer, un termine che si riferisce a quei personaggi del web in grado di influenzare, attraverso i social network, le preferenze di acquisto di una nicchia di consumatori. I brand hanno già da tempo capito il loro valore e li usano per le rispettive campagne pubblicitarie, oppure chiedendo loro di realizzare contenuti di promozione originali. Il social delle immagini, grazie alle sue caratteristiche, è una delle piattaforme che si presta di più a ospitare influencer. Instagram infatti ha un pubblico di under 35, proprio quello che i brand vogliono intercettare. Senza considerare che sono oltre 600 milioni gli utenti che la piattaforma ha, complessi-

vamente, raggiunto nel 2017. Stefano Guerrera, 29 anni, ha 174mila follower. Si è fatto conoscere con una pagina Facebook, “Se i quadri potessero parlare” che gli ha dato grande notorietà. Su Instagram si occupa di lifestyle, ma non rientra in una specifica categoria: «Influencer è un termine che in italiano suona male. Fa pensare all’influenza e quindi a una malattia. Oppure a una sorta di burattinaio che fa fare agli altri quello che vuole. In realtà non è così. Un influencer offre dei contenuti di valore alla sua community. Ed è autentico, la gente non è stupida e se ne accorge se fingi». Guerrera spiega a Beesnees come funzionano le dinamiche che legano gli influencer ai brand. Di solito sono le stesse


aziende o agenzie di comunicazione a cercarli. La prima collaborazione è quasi sempre a titolo gratuito, l’azienda regala il prodotto alla persona che, a sua volta, lo posta con magari abbinato un codice sconto per gli utenti. Sugli acquisti realizzati mediante il codice sconto, l’influencer può guadagnarci una percentuale, di solito il 5%. «Ho collaborato con grandi brand come McDonald’s. Prediligo lavorare in progetti di ampio respiro al posto che per singolo post. Quando sponsorizzo un contenuto lo confesso ai miei utenti e scelgo solo quei prodotti che penso offrano qualità alla mia community. Non c’è nulla di vergognarsi a promuovere qualcosa in cui si crede. Dopotutto sono persone contente

di seguirmi e lo saranno anche quando lavoro». Guerrera svela inoltre come quello dell’influencer sia un vero e proprio lavoro full time, un impiego che può richiedere anche quattro ore al giorno per rispondere agli oltre 300 messaggi quotidiani. «Ci sono poche regole per riuscire che, tuttavia, in pochi rispettano. Occorre essere veri e non acquistare mai fan. Con l’impegno può riuscirci chiunque. Internet in questo è un mezzo molto democratico» conclude l’influencer. Diverso è il caso di Brahmino, nome d’arte di Simone Bramante, fotografo 38enne. È un influencer di prima generazione, su Instagram dal 2010, oggi ha 847mila follower. Scatta con un iPhone, i soggetti sono perlopiù esseri umani immersi in contesti urbani o paesaggi naturali. Lavora soprattutto con brand americani e un suo progetto può costare anche 5mila dollari: «Partire tra i primi mi ha dato dei vantaggi. Ho iniziato quando c’erano pochi che facevano foto di qualità. Con il tempo hanno iniziato a chiamarmi alcuni brand che apprezzavano il mio lavoro. Con loro non ragiono mai a singolo post, bensì a progetto». Per le sue collaborazioni Bramante gira il mondo dall’Europa, all’Africa fino agli Stati Uniti. Per Bramante sono poche le regole da seguire per avere

successo come influencer: «Devi avere una tua coerenza stilistica e raccontare la tua vita e il tuo lavoro con autenticità, creando ottimi contenuti. Se il contenuto è forte funziona» conclude l’influencer. Non ci sono solo fotografi ed esperti del lifestyle, su Instagram ogni nicchia di mercato è ben rappresentata e ciascuna ha i suoi influencer di riferimento. I più fortunati, quelli nelle cui tasche entrano più soldi, sono modelli e modelle che possono guadagnare anche 434 dollari per post, seguiti dai fotografi (385 dollari) e dagli esperti nell’ambito del food (326 dollari). I dati sono stati tratti dalle analisi effettuate su 500 top influencer di Instagram da influence.co, società che si occupa di mettere in contatto brand con personaggi influenti dei social media. Anche se il numero di follower non svela il valore reale dell’influencer (visto che potrebbe essere gonfiato da acquisti illeciti di follower) esistono tuttavia delle statistiche che possono essere tenute in considerazione come parametri di riferimento. Secondo lo studio di Captiv8, altra azienda che fa da intermediaria tra brand e influencer, chi ha un numero di follower compreso tra i 100 e i 500mila può guadagnare fino a 5mila dollari, mentre chi supera i 7 milioni può portare a casa anche 150mila dollari.

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Digital Economy

Da zero a 170 milioni di euro In 5 anni, grazie ad Instagram di Alessia Portelli All renderings courtesy of OPA

Sono molti i casi di aziende nate su Instagram e che, oggi, fatturano svariati milioni di euro (o dollari). Come hanno fatto? Da dove sono partite? Beesness ha intervistato Patrick Abbattista, esperto di marketing e fondatore di DesignWanted, un web magazine sul design che in un anno e mezzo ha raggiunto i 320.000 follower su Instagram diventando un punto di riferimento nel settore. 50

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Partiamo dalla fine e in modo diretto: si possono fare soldi con Instagram? E in che modo? Si, si possono fare soldi con Instagram, e anche molti. Da quando ho iniziato a usarlo professionalmente, mi sono reso conto delle sue grandi potenzialità. Ho parlato con diverse persone per capire in che modo monetizzassero i loro account, e le possibilità sono davvero tante. Per esempio, c’è chi, acquisita una certa audience, vende post sponsorizzati. Questa è la formula più comune, ma non la più redditizia. Con Instagram si possono creare un brand e un’azienda partendo da zero. Un esempio eclatante è stato Daniel Wellington, società Svedese che fa orologi. Grazie al social, è arrivata a fatturare oltre 100 milioni di euro in appena 5 anni. Altri ancora sfruttano le affiliazioni promuovendo prodotti e info-prodotti attraverso la loro pagina.

Insomma, con una buona dose di fantasia, Instagram può davvero diventare una gallina dalle uova d’oro, ma questo non significa che ci si possa improvvisare. Servono competenze, uno studio costante, tempo e obiettivi chiari. Ti occupi di digital marketing e so che circa un anno e mezzo fa hai anche lanciato un tuo progetto denominato DesignWanted. Di cosa si tratta e perché, tra i vari social, hai scelto proprio Instagram per partire? Esatto. Mi occupo di marketing e comunicazione da oltre 10 anni, con focus sul digital da circa 5. Insieme al mio team, ho realizzato progetti web per conto dei miei clienti che hanno raggiunto diversi milioni di visitatori e, soprattutto, di euro. In tutti i casi, partendo da zero, quindi senza brand altisonanti alle spalle. Ho sempre creduto che un buon consulente debba mettersi in gioco in prima persona, testando quello che


professa sulla propria pelle, per questo ho sempre fatto anche l’imprenditore. DesignWanted - un web magazine sul design - è stata la conseguenza naturale di questo mio approccio. Mi serviva un canale che mi permettesse di costruire in breve tempo una community a cui ‘vendere’ il mio progetto. Fu così che, quasi per caso, parlai con un amico di Instagram e mi convinsi che potesse essere il trampolino di lancio giusto. Non richiedeva soldi, ma solo capacità e dedizione. In un anno e mezzo, ho raggiunto un’audience di 320mila seguaci, diventando un punto di riferimento nel settore del design, su scala internazionale. Secondo te, in che modo un’azienda può e dovrebbe utilizzare Instagram per espandere il proprio business? Instagram si presta perfettamente a mostrare i brand in una veste più quotidiana, più vicina agli utenti. Spesso, quando parlo con i clienti, mi rendo conto che non percepiscono le community nel giusto modo. Parlano dei ‘fan’ come di entità astratte, ma in realtà sono persone che ripongono la propria fiducia nel marchio perché questo condivida valore con loro. Se ciò accade, allora la community ti premia interagendo con i tuoi post, acquistando i tuoi prodotti e attivando un passaparola positivo. Instagram non fa eccezione. Cambia il modello di comunicazione, ma la logica è la stessa. Serve a raccontare i prodotti, l’uso che ne fanno i clienti e via dicendo. Insomma,

Instagram, purché l’azienda sia pronta a sperimentare e, soprattutto, a strutturarsi per gestirlo in modo appropriato. Quali sono i principali errori da evitare su Instagram?

per svelarsi al pubblico ed essere un po’ più ‘umani’. Cosa significa gestire Instagram in modo professionale? Significa capire che un social non può essere gestito dallo stagista ‘perché è giovane e sicuramente lo sa usare’, ma deve essere affidato a chi di mestiere fa il social media manager, o lo specialist su un canale particolare. Personalmente, spendo ore e soldi per la mia formazione, e così fanno le persone con cui collaboro. Internet è in continua evoluzione, i social idem. Cambiano le regole del gioco, cambiano gli algoritmi. Se non si è costantemente sul pezzo, non è possibile fare un lavoro decente. Per avere una gestione efficace di Instagram, serve un piano di lavoro specifico, che sia misurabile. Come detto, può portare vendite; ma un conto è una vendita casuale, un altro è il flusso di vendite che si può stabilire grazie ad un approccio serio e strutturato. Qual è la funzione di Instagram nello scenario complessivo dei social network? Qual è la sua specificità e come comunica con gli altri canali? Nel corso dell’ultimo anno è decisamente esploso. Rispetto a Facebook, il reach organico è molto più alto e la sua struttura comunicativa diversa, più immediata e semplice. Si presta perfettamente a tutto ciò che è visuale, quindi ideale per i settori del Design, Turismo, Moda e simili. Tuttavia, con l’arrivo delle ‘storie’ (post che durano 24 ore e poi scompaiono), ha allargato le proprie possibilità di comunicazione e interazione. Dal mio punto di vista, qualunque settore può trovare la propria formula su

I classici errori sono: 1) post messi a caso, senza una vera strategia editoriale; 2) uso degli hashtag sbagliato, puntando su quelli più utilizzati e non sulla propria nicchia; 3) mancanza di regolarità e interazione. Pertanto, è necessario risolvere i punti sopra per iniziare a farsi notare su Instagram in modo profittevole. Quali, invece, i principali consigli che puoi dare a un’azienda? Primo: pensare a Instagram non come un canale per teenager, ma un vero e proprio

“Non richiedeva soldi, ma solo capacità e dedizione. In un anno e mezzo, ho raggiunto un’audience di 320mila seguaci, diventando un punto di riferimento nel settore del design, su scala internazionale”. asset aziendale per costruire la propria community e, di conseguenza, aumentare le proprie vendite. Secondo: assoldare un professionista, un Instagram specialist o growth hacker, come si chiamano in gergo, ovvero qualcuno che approcci il mezzo a) con competenze, b) con cognizione di causa, c) con una visione ampia sulla strategia aziendale. Terzo: allocare un budget sufficiente per ottenere risultati tangibili, il che significa prevedere il costo del professionista da un lato e un eventuale budget promozionale dall’altro. Solo così sarà possibile lavorare per trasformare la presenza su Instagram in un valore aggiunto nella strategia digital globale. luglio/agosto 2017

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Digital Economy

Creare uno store online

I 10 passi che Boraso consiglia per realizzare un efficace eCommerce business plan La redazione

Quanto è importante definire un business plan prima di lanciare un eCommerce? Boraso, prima agenzia di Conversion Marketing in Italia, lo definisce come strumento fondamentale in quanto consente di individuare punti di forza e di debolezza del progetto e quantificare tempi e investimenti per realizzare l’idea imprenditoriale 52

luglio/agosto 2017

L’eCommerce può rappresentare un’opportunità concreta per qualsiasi tipo di realtà imprenditoriale e, a prescindere dalle dimensioni, una precisa e attenta pianificazione è il segreto per realizzare un business di successo. È quindi necessario, per la progettazione di un eCommerce, coinvolgere, sin dai primi passi, tutte le funzioni aziendali e condividere insieme, ogni attività prevista, al fine di evitare l’insorgenza di problemi in fasi più avanzate. Quindi, per realizzare uno store online, prima di scegliere la piattaforma, i gateway di pagamento e le modalità di delivery deve essere realizzato un eCommerce business plan, ovvero lo strumento che fornisce chiare indicazioni rispetto alla fattibilità e redditività dell’idea

imprenditoriale. eCommerce Business Plan: cos’è Il business plan è un documento che descrive in modo quantitativo e qualitativo le strategie future dell’azienda e le azioni da intraprendere per metterle in atto. Nasce come strumento estremamente flessibile, poiché è utilizzabile sia per la valutazione di attività economiche ancora da avviare, sia in organizzazioni aziendali già esistenti, nonché nelle situazioni di crisi. Gli obiettivi che possono essere ricercati attraverso il Business Plan sono, peraltro, molteplici. È opportuno realizzare un documento, con dettaglio mensile di costi e ricavi, necessario a: • Identificare tutte le voci di costo, con


“Piano finanziario. Questa parte del business plan cerca essenzialmente di dare risposta ad una serie di domande chiave: quanto costa avviare l’impresa descritta nel business plan? Quali sono i piani di ammortamento dei macchinari e a quanto ammontano?” distinzione tra fisse e variabili. • Stimare i ricavi, sia con ipotesi cautelativa che ottimistica. • Pianificare le attività di marketing online, completo di investimenti e fatturato atteso su base mensile. eCommerce Business Plan: cosa deve contenere? In un eCommerce business plan non deve mancare la descrizione di questi elementi: 1. Executive Summary: è la parte più importante del business plan. Questa sezione introduce il documento stesso, consentendo a chi legge di farsi un’idea precisa del progetto di business. E’ opportuno inserire semplici argomenti chiave: una descrizione dell’azienda, la mission, il management, il mercato di riferimento e la potenziale clientela, il marketing e le

vendite, i competitor, i piani finanziari e le stime. 2. Company Summary: questa sezione è dedicata alla descrizione della società con lo scopo di presentarne caratteristiche, peculiarità fino ad arrivare, se presenti, a informazioni generali come: il tipo di società e data di costituzione, cambiamenti societari di natura giuridica ecc.. È a questo livello del business plan che sono presentati gli obiettivi che si intendono raggiungere. 3. Prodotti e servizi: questa parte del documento si focalizza sulla descrizione e le caratteristiche distintive dei prodotti o servizi che l’azienda intende promuovere. Dovremmo quindi essere presentate: le finalità, le attrattive e le evoluzioni di ogni item che sarà venduto. 4. Analisi di settore: consente di delineare lo scenario in cui l’azienda opera e di andare a definire vantaggi competitivi, fattori di successo e principali criticità. 5. Analisi di mercato: questa indagine consente di acquisire conoscenze rispetto all’ambiente in cui l’impresa andrà a posizionarsi. Analizzare i fattori che veicolano le scelte di acquisto dei consumatori e che impattano su budget e investimenti. 6. Strategia di marketing: ovvero le linee guida da seguire per raggiungere gli obiettivi definiti. Per definire al meglio il percorso, è importante considerare le leve del marketing mix: prodotto, prezzo, punto vendita e promozione.

7. Management Summary: indipendentemente dal tipo e dalla grandezza di un’azienda, sono le persone che fanno la differenza. Infatti, una buona idea di business, se mal gestita, può fallire. In questa sezione devono essere inseriti i requisiti che deve possedere il team per raggiungere precisi obiettivi. 8. Piano operativo (web plan): esprime nei dettagli sistemi e modalità di realizzazione dei del progetto. Come per tutto il business plan anche in questa sezione si cercherà di essere chiari, logici e accurati nella descrizione, senza però cadere eccessivamente nel tecnicismo. 9. Piano finanziario: questa parte del business plan cerca essenzialmente di dare risposta ad una serie di domande chiave: quanto costa avviare l’impresa descritta nel business plan? Quali sono i piani di ammortamento dei macchinari e a quanto ammontano? 10. Exit Plan: è tanto importante quanto l’avviamento di progetto. È opportuno pianificare con uno sguardo a lungo termine. Questa strategia aiuterà a sollevare il tuo business e a ridurre le perdite ancora prima di cominciare. Conclusione Oggi si hanno a disposizione molteplici soluzioni e strumenti in grado di analizzare i dati e rispondere al meglio ai comportamenti di uno specifico target. L’eCommerce marketing plan secondo Boraso, è una delle chiavi per delineare al meglio i confini e i traguardi di business. Senza un chiaro e preciso piano strategico infatti potrebbero essere inficiati obiettivi di vendita, proprio per via di una scorretta lettura del profilo del proprio eCommerce, ancora prima di iniziare. Altre informazioni e risorse sul tema le trovate all’indirizzo www.Boraso.com

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Lavoro

L ’assistente virtuale Una professione 4.0 in ascesa di Isabella Biava

La spiega a Beesness Mary Tomaso che ha introdotto in Italia questa nuova realtà, fondando poi un’associazione nazionale.

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Mary Tomaso, imprenditrice poliglotta di origini calabresi racconta a Beesness come è riuscita a introdurre in Italia una nuova professionalità, quella dell’assistente virtuale, coniugando il mondo dei free lance con le crescenti e molteplici necessità aziendali di un mondo imprenditoriale in profondo cambiamento. L’imprenditrice si è avvicinata a questa professionalità particolarmente innovativa in Argentina dove, nel 2006, si era trasferita con il marito.

sociazione degli assistenti virtuali in Argentina, dove era già una professione affermata. Decisi così di frequentare il corso organizzato dall’associazione, che durò 6 mesi e che mi aprì le porte di quella che è la mia attuale professione. In poco tempo iniziai a lavorare come free lance, forte delle conoscenze acquisite in passato che qualificarono e aumentarono le collaborazioni con svariate aziende italiane e straniere.

Perchè ha pensato all’idea di assistente virtuale?

Come nasce l’idea del corso e successivamente della creazione dell’associazione italiana assistenti virtuali?

Nel 2009 venni a conoscenza dell’as-

Nel mercato italiano la figura di assi-


scoraggiarsi al primo fallimento, ma conservando sempre un atteggiamento proattivo. Ultimo consiglio, ma forse il più importante: formazione continua per stare al passo con l’evoluzione del settore, che è veloce e non aspetta noi. Che progetti ha per il futuro?

stente virtuale non esisteva. Nei tre anni di attività da free lance ho quindi creato il primo corso in italiano di assistenti virtuali proprio con l’idea di introdurre questa professione nel mio Paese. Il corso, oltre a fornire le basi necessarie per intraprendere la professione, doveva fornire al cliente un alto livello di professionalità e di garanzie, poi rafforzato dalla creazione dell’associazione italiana assistenti virtuali. Ho infatti fondato l’associazione in collaborazione con due ex studenti con l’obiettivo di dare alla professione una maggiore visibilità e, soprattutto, un riconoscimento formale. Di cosa si occupa esattamente un’assistente virtuale?

in cui opera. In altre parole, maggiore produttività a costi più bassi di una regolare assunzione. Quali consigli darebbe a chi volesse intraprendere questa professione? Il primo consiglio è di avere ben chiaro che si tratta di un’attività imprenditoriale. Ciò significa lavorare continuamente alla ricerca di nuove opportunità e nuovi clienti e, quindi, curare la presenza online in maniera coerente e continuativa, per farsi conoscere e acquisire autorevolezza. Il secondo consiglio è dare continuità al proprio percorso, senza

Attualmente sto lavorando a un’idea che ho maturato grazie alle competenze acquisite con l’esperienza da assistente virtuale e grazie alla collaborazione della sinologa Elisa Ferrero. Si tratta di un corso di cinese on line per principianti, prima fase di un progetto molto più ampio che porterà alla realizzazione di una piattaforma di servizi per le aziende orientata agli scambi con la Cina. Gli altri progetti riguardano ancora nuovi corsi di specializzazione per assistenti virtuali sulla piattaforma assistentivirtuali.org. Per questi non mi fermo mai!

“In alcuni casi si tratta addirittura di un vero e proprio project manager, che segue un progetto lungo tutto il percorso di realizzazione”.

I servizi offerti spaziano dai lavori tradizionali di segreteria, gestione della posta e dell ’agenda, organizzazione viaggi, ricerche su internet, trascrizione e redazioni di documenti fino all’ambito della digital marketing strategy, con la gestione dei social media, la creazione di contenuti, il seo, il calendario editoriale e la creazione di siti web. In alcuni casi si tratta addirittura di un vero e proprio project manager, che segue un progetto lungo tutto il percorso di realizzazione, incaricandosi di trovare gli specialisti a cui affidare le singole fasi. I vantaggi per un’azienda sono molti, a partire dalla possibilità di trovare il professionista adatto per quel progetto specifico o quella particolare fase di progettazione, indipendentemente dalla zona geografica luglio/agosto 2017

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Lavoro

Big Data

Ecco le professioni Digital più richieste di Giancarlo Donadio

I professionisti a cui non mancherà mai lavoro: esperti, analisti e creatori di piattaforme web per la raccolta dei Big Data sono e saranno sempre di più i lavori più ambiti nel mondo digital

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Vincono i dati: esperti, analisti e creatori di piattaforme web per la raccolta dei Big Data sono e saranno sempre di più i lavori più ambiti nel mondo digital. D’altronde, l’International Data Corporation (IDC), azienda di consulenza specializzata in market intelligence, stima che già nel 2016 il giro d’affari per le imprese che operano nei Big Data e nel business analytics abbia toccato i 130 miliardi di dollari. Non solo. Da qui al 2020, il mercato dovrebbe superare i 200 miliardi, con un cagr (tasso annuo di crescita composito) dell’1,7%. In questa prospettiva è bene cercare di capire quali saranno le figure professionali più ricercate dai datori di lavoro nell’immediato futuro. Tanto più che, secondo Modis, ramo di Adecco dedicato specificamente all’Ict, il 22% delle offerte di lavoro nel digital in Italia resta, già oggi, scoperta.

VINCONO I DATA Sono due le statistiche a riguardo, targate Usa che, in qualche modo, prefigurano ciò che succederà in Europa e in Italia. La prima è di CareerCast, sito di job placement dedicato a specifiche nicchie di mercato che ha stilato una classifica delle 200 professioni più ricercate nel 2017. Nella Top 10, sono tre le professionalità dedicate all’ICT. Al primo posto si posiziona il Software engineer, ingegnere del software, con un salario medio annuo di circa 100mila dollari. La richiesta di ingegnere del software crescerà del 17% nel corso dell’anno. Al secondo posto si trova il Data scientist, definito dall’economista Hal Ronald Varian come il lavoro più sexy del futuro. Il professionista nel data scientist si dedica all’analisi dell’enorme quantità di dati che viene prodotta e raccolta dai nostri prodotti hi-tech: computer


“L’International Data Corporation (IDC), azienda di consulenza specializzata in market intelligence, stima che già nel 2016 il giro d’affari per le imprese che operano nei Big Data e nel business analytics abbia toccato i 130 miliardi di dollari. Non solo. Da qui al 2020, il mercato dovrebbe superare i 200 miliardi”. e smartphone soprattutto, ma anche sensori di ogni tipo, che consentono anche agli oggetti “tradizionali” di comunicare con il web (Internet of Things, per intenderci). È esperto in statistica, matematica, fisica, ma anche di economia. Ha tra le sue capacità principali la conoscenza di Data Mining e Machine Learning. Il salario medio è di 111mila dollari e la richiesta negli Usa per una simile professionalità è salita del 16%. Chiude il podio l’Information security analyst, l’analista della

sicurezza informatica di un’azienda. L’eco mediatica suscitata dal recente attacco ransomware WannaCry, che ha colpito 45mila computer in 74 Paesi al mondo, avrà di sicuro effetti sugli investimenti nel settore della sicurezza informatica per le aziende, gli enti pubblici e i privati. Questa figura professionale si occupa proprio di pianificare e portare avanti tutte le misure di sicurezza necessarie per proteggere i sistemi informatici del committente e il suo salario medio si attesta sui 90mila dollari. L’analista della sicurezza informatica registra una crescita del 18% tra i profili più ricercati. Andando nello specifico sul digital, CompTIA, la principale associazione mondiale che raccoglie professionisti e aziende del mondo hi-tech statunitensi, ha stilato la classifica dei 10 principali profili più ricercati dalle imprese Usa nel 2017. Al primo posto, troviamo anche qui il Data scientist. A seguire, completano il podio gli ingegneri entry-level di diverso profilo e gli UX (User Experience) Designer, che si occupano invece di progettare e realizzare gli elementi grafici delle interfacce utenti per app e siti web. IN ITALIA Come evidenziato dalla statistica di Modis, le posizioni digital aperte nel nostro Paese continuano a crescere, malgrado la carenza di professionalità adeguate. EasyHunters, startup mila-

nese specializzata in ricerche di personale, conferma anche per l’Italia il trend favorevole sui Big Data. Più in dettaglio il Data Scientist è tra le professioni più ricercate in assoluto, non solo nell’IT. A questi si affianca il responsabile delle vendite online, figura specializzata in marketing o in economia, che si occupa dell’inventario, della vendita e delle promozioni via e-commerce e profili più ‘tradizionali’ come il consulente fiscale, il direttore acquisti e l’addetto alle gare della Pubblica Amministrazione. Hays Italia, multinazionale specializzata in recruiting e HR, ha invece analizzato i profili richiesti dai datori di lavoro italiani con un focus specifico sul mondo dei Big Data. Al primo posto, ancora una volta, i Data Scientist. Seguono i Data Architect, “architetti” che creano le infrastrutture necessarie per immagazzinare e gestire i dati raccolti; gli Insight Analyst, che utilizzano gli strumenti di analisi statistica per elaborare i cosiddetti insight, le principali informazioni emerse dai dati raccolti; il Big Data Engineer, che raccoglie, archivia e trasforma i dati per facilitarne l’analisi, attraverso database come NoSQL e MongoDB; lo sviluppatore software, con specifiche competenze sulla creazione e l’utilizzo di piattaforme per l’analisi dei dati.

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Lavoro

Come uscire dalla zona di comfort E cercare il proprio posto nel mondo di Isabella Biava

Barbara Ripamonti, general manager di un luxury lodge in Kenya, racconta a Beesness come ha rivoluzionato la sua vita passando dall’ufficio a Milano alla savana


Da impiegata in provincia di Milano a general manager di un luxury lodge and conservancy in Kenya. Realizzare i sogni è possibile anche quando non si ha chiaro quali siano. Basta credere in se stessi, come ha fatto Barbara Ripamonti, hotel manager e fotografa quarantenne che racconta a Beesness il suo percorso appassionato e la ricerca della felicità. “Avevo 20 anni, guardavo fuori dalla finestra del mio ufficio chiedendomi cosa ci fosse dietro l’arco alpino che vedevo in lontananza e sognando di esplorare il mondo. A volte da soli non riusciamo ad andare oltre al sogno, ci serve una piccola spinta ed è stato il mio capo di allora ad aiutarmi, da vero leader, a trovare la mia strada.” Com’è stata la tua prima esperienza all’estero? Ero stata selezionata come animatrice in un villaggio turistico. Non era ciò che sognavo ma sapevo di essere sulla strada giusta. Fu difficile perché i miei genitori non mi appoggiarono e non avere la loro approvazione mi tolse sicurezza. Rientrai in Italia prima del previsto. E quindi ti sei arresa? Non proprio. Continuai a lavorare per la stessa agenzia come assistente congressuale e accompagnatrice di gruppi incentive, ma rimaneva inappagato il desiderio di esplorare il mondo. Fu una vacanza in Kenia e l’incontro ravvicinato con la natura dell’Africa a farmi provare quel senso innato di appartenenza che mi ha portato qui dove sono ora. Feci un viaggio in Overland con degli amici

partendo dal Sudafrica, attraversando Namibia, Botswana e Zimbawe. Durante questo viaggio mi innamorai. Un grande amore che mi fece ritornare in Sudafrica dove ho vissuto una meravigliosa avventura personale e professionale per due, intensi, anni. Lavoravo accanto al mio partner accompagnando gruppi: lui era la guida, mentre io cucinavo per il gr uppo e aiutavo nella gestione quotidiana. Era un lavoro stancante organizzare e cucinare ogni giorno per 20 o 30 persone, smontare e rimontare la tenda e occuparsi della sicurezza e del benessere dei partecipanti. Allo stesso tempo è stato un periodo incredibilmente emozionante, immersa com’ero nella natura selvaggia africana, con l’uomo che amavo e con persone diverse provenienti da ogni parte del mondo. Era ogni volta un’avventura unica e entusiasmante. Come finì quell’esperienza? La storia d’amore era giunta al termine e poi stava diventando molto complicato rinnovare i permessi di lavoro, che sono difficili da ottenere in Sudafrica. In quei due anni ero riuscita a eludere il problema grazie alle mie continue uscite dal Paese in occasione dei tour. Dopodiché, anche questa soluzione non fu più percorribile. Rientrai in Italia, ma ero cambiata. Dopo pochi mesi partii quindi per la Giamaica, diretta a un piccolo bed and breakfast dove aiutavo il proprietario a gestire la struttura, dalla contabilità, all’assistenza clienti e all’operatività. Sicuramente l’esperienza in Africa mi aveva formata dal punto di vista dell’organizzazione e della gestione dei clienti, mentre la parte contabile mi era familiare grazie all’esperienza d’ufficio dei miei inizi a Milano. È stato quindi facile trasferire le mie conoscenze nel lavoro in Hotel, che avrebbe poi contribuito alla mia ulteriore crescita professionale. Anche la Giamaica è stato un grande amore durato 5 anni.

smo era in forte calo, a causa della generale instabilità economica di quel periodo e, di conseguenza, l’indotto professionale. Colsi allora l’opportunità offertami da un amico di gestire un campo tendato in Tanzania. Iniziai come assistente e finii per sostituire il general manager. Fu un passaggio naturale, così il mio cambio a un nuovo lodge, 6 anni dopo. Anche in quell’occasione cercavo nuovi stimoli e li trovai in Kenya nella conservancy di lusso che gestisco da 3 anni. È una meravigliosa proprietà alle porte del Masai Mara, una delle zone di maggiore interesse del Kenya e forse dell’East Africa. Qui gestisco uno staff di 30 persone e l’operatività giornaliera e mi assicuro che l’hotel mantenga l’alto livello di servizio che vogliamo offrire ai nostri clienti. Sono felice, nonostante le difficoltà che una donna al comando incontra in una società tanto culturalmente diversa come quella dei Masai per i quali la donna non ha alcun valore. Per questa ragione è raro trovare donne sole alla gestione di una realtà simile. È una bella sfida. Ti senti soddisfatta e realizzata o hai degli altri sogni ancora incompiuti? Non rimpiango nulla della mia vita, sono molto orgogliosa delle decisioni prese, dei successi e pure degli sbagli. Ma ho ancora un sogno nel cassetto: trovare il mio angolo di mondo dove aprire la mia guest house e prendermi cura dei clienti. Sono sicura che anche questo sogno diventerà realtà al momento giusto.

Ma poi sei tornata in Africa. Durante quegli anni ho scoperto le mie potenzialità e capacità organizzative e di leadership. In Giamaica la situazione lavorativa si stava deteriorando. Il turi luglio/agosto 2017

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La nota legale

Come ridurre le imposte Innovando la propria azienda di Alessia Portelli

Importanti novità nel panorama delle agevolazioni fiscali, che ogni imprenditore dovrebbe conoscere per cogliere l’opportunità di innovarsi

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Abbiamo chiesto a Stefano Brunello, partner dello studio BonelliErede, di spiegarci le agevolazioni fiscali “Industria 4.0” Dal vostro punto di vista, come si approcciano le aziende italiane all’innovazione? In base alla nostra esperienza, le aziende italiane si trovano in un contesto molto particolare: anche se dispongono di marchi forti e conosciuti, spesso dal punto di vista tecnologico sono ancora un po’ indietro rispetto ai competitor internazionali. Notiamo, in generale e al di là di casi specifici, una scarsa propensione all’innovazione ed alla ricerca, che invece - ad oggi - sono tra i più importanti fattori di successo.

In cosa consiste l’“Industria 4.0”? È definita dagli economisti come una vera e propria nuova rivoluzione industriale in atto (per precisione la quarta, dall’inizio della storia del mondo industriale), che si basa sulle nuove tecnologie disponibili. Come ha risposto il Legislatore a questa rivoluzione? Il Governo nel 2016 ha varato un vero e proprio piano “Industria 4.0”, per sostenere il processo di trasformazione delle imprese italiane che desiderano cogliere questa opportunità. Uno dei pilastri di questo piano consiste nell’introduzione di nuove agevolazioni ed incentivi di carattere fiscale. Oggi, finalmente, credo che possiamo dire di avere un sistema


Cosa puo’ fare un’azienda per approcciarsi all’Industria 4.0?

chiaro e completo di incentivi dalle grandi potenzialità e il cui ottenimento è molto semplice. Di quali incentivi stiamo parlando? Il set di incentivi è davvero variegato: misure che consentono di dedurre ammortamenti fino al 250% del costo del bene “innovativo” acquistato (parliamo dell’iper/super ammortamento), possibilità di ottenere crediti d’imposta per le spese sostenute di ricerca e sviluppo (fino al 50% di queste spese), incentivi sui finanziamenti ottenuti per l’acquisto di beni innovativi, etc. Può farci qualche esempio? Facciamo un semplice esempio concreto: assumiamo che una azienda decida di automatizzare il proprio magazzino, acquistando una struttura automatizzata ed il relativo software. In questo caso, il bene acquistato ed il software potranno beneficiare del c.d. iper-ammortamento. Pertanto, assumendo per semplicità che la spesa effettiva per acquistare il nuovo magazzino sia di 100, l’impresa potrà dedurre ammortamenti fiscali su un costo incrementato del 150%. In sostanza, paga 100, ma deduce 250, con un sensibile risparmio fiscale. Sottolineo un aspetto fondamentale: non è necessario presentare particolari richieste o autorizzazioni all’Agenzia delle Entrate: il contribuente calcola il beneficio (con alcune formalità interne) e ne gode direttamente indicandolo nella dichiarazione dei redditi. Voi che, come Studio, assistete molti vostri clienti in operazioni di acquisizione di altre aziende, ritenete che questi incentivi possano avere un impatto anche in operazioni di questo tipo?

sarà decisamente inferiore rispetto all’esborso di cassa preventivato. Che tempi ci sono? Per portare a termine il progetto innovativo beneficiando delle agevolazioni, è bene iniziare in tempi stretti. Ad oggi, infatti, le norme su Iper/super ammortamento valgono per investimenti effettuati, al massimo, fino a fine luglio 2018 (avendo pagato almeno il 20% di acconto entro la fine del 2017). C’è più tempo invece per il credito ricerca e sviluppo, di cui si può beneficiare per spese sostenute fino al 2020.

Prima di tutto deve decidere, in termini generali, in quali ambiti desidera innovarsi e, pertanto, quali investimenti desidera effettuare. Ciascun investimento dev’essere poi esaminato in dettaglio, per verificare se possa o meno beneficiare degli incentivi fiscali di cui sopra. È proprio in questa fase che risulta fondamentale il supporto che possono dare esperti fiscali come noi di BonelliErede. Il nostro approccio è molto concreto: da un lato, insieme all’impresa e ai tecnici coinvolti nel progetto, esaminiamo in dettaglio ciascuna tipologia di investimento, per verificare, in ottica costruttiva, la sussistenza di tutti i requisiti per ottenere i benefici fiscali. Dall’altro lato, elaboriamo uno studio che evidenzia in modo esplicito l’effettivo risparmio fiscale che può essere ottenuto dall’impresa. È in questo modo che il cliente percepisce in termini evidenti il valore aggiunto del nostro supporto.

“Oggi, finalmente, credo che possiamo dire di avere un sistema chiaro e completo di incentivi dalle grandi potenzialità e il cui ottenimento è molto semplice”.

Sicuramente. Gli incentivi possono essere una leva importante anche per operazioni di acquisizione di aziende italiane e, come professionisti, stiamo stimolando ed assistendo i nostri clienti proprio in questo senso. Infatti, ipotizzando di acquistare una azienda che si desidera innovare in termini di “Industria 4.0”, l’investimento effettivo, al netto delle agevolazioni fiscali, luglio/agosto 2017

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Arte

MyTemplArt Innovazione tecnologica e arte di Laura Lamarra

Beesness incontra Gianni Pasquetto, fondatore della start up che punta sulla valorizzazione territoriale, culturale e artistica

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Nel contesto bucolico della campagna veronese incontriamo, al tavolo di lavoro attorniato da opere d’arte, Gianni Pasquetto, il fondatore di MyTemplArt, start up innovativa nata nel 2013 e in espansione nel settore della valorizzazione del patrimonio artistico e culturale. A cosa dobbiamo MyTemplArt? “Ho un lungo trascorso professionale nell’Ict, specie nel circuito Ibm, e sono appassionato di opere d’arte. MyTemplArt nasce dalla volontà di unire queste componenti identitarie in un dialogo armonioso capace di valorizzare la ricchezza artistica e culturale del Paese, con indubbie ricadute

sul territorio anche in termini di indotto turistico.” Può illustrarci come il connubio tecnologia e arte conduce ad una valorizzazione? “L’innovazione tecnologia è driver di sviluppo a supporto, e non a depaupera-


zione, dell’operosità e dell’estro umano. L’arte, intesa in senso ampio, come ciò che suscita emozione e interrogativi, declinata nelle molteplici forme ed espressioni, dalla scultura, alla pittura, ma anche alle collezioni di moda, di auto d’epoca, di gioielleria di alta gamma etc, è interpretata in MyTemplArt come nucleo centrale generatore di valore per la collettività. La piattaforma è per l’utilizzatore uno “scrigno” delle proprie opere d’arte, di un patrimonio informativo impreziosito da una bibliografia scientifica completa e dettagliata, dalla catalogazione digitale, dai servizi di geolocalizzazione, autentica, valorizzazione dell’opera e divulgazione. Funzionalità che supportano in modo completo ed agevole tutti i processi gestionali e accrescono il valore dell’opera e di chi ne ha la paternità. La valenza educativa dello strumento inoltre è stata colta anche dagli atenei con cui stiamo collaborando nell’ambito di master sull’arte.” In un’epoca orientata ai social networks come risponde MyTemplArt? “Le funzionalità descritte riflettono solo in parte le potenzialità dell’applicativo. La valorizzazione artistica ha luogo anche mediante il plus della “rete”, dell’agevole condivisione, in un ambiente cloud sicuro, delle informazioni tra gli attori presenti in MyTemplArt: artisti, collezionisti, gestori di musei e di fiere, fondazioni, appassionati d’arte, critici, maison di moda, realtà aziendali di varia natura proprietarie di collezioni corporate ecc. Ognuno può dialogare facilmente e senza necessità di altri supporti, con chi desidera, condividendo solo ciò che ritiene. Le app, i collegamenti ai propri social networks e le vetrine pubbliche, accompagnate da iniziative promozionali, fanno di MyTemplArt uno strumento di grande visibilità anche sul mondo esterno internazionale. La migliore testimonianza di ciò va tuttavia chiesta agli utilizzatori”. Raccogliamo l’invito di Gianni Pasquetto e chiedo a due fruitori di MyTemplArt di svelarcene i segreti. “Affidabilità, miglioramento continuo, interazione e condivisione agevole e

performante sono solo alcuni dei punti di forza di questa soluzione innovativa” sostiene Alex Pinna, scultore ligure dalla carriera trentennale che nelle sue opere riproduce la dimensione giocosa, i concetti di forza, equilibrio, dualità e contrasto. “MyTemplArt mi è giunta come un angelo, salvandomi dalla difficoltà di memorizzare l’apparato bibliografico e la movimentazione delle opere. Il servizio di autentica, in assenza di standard, diviene

MyTemplArt, uno “scrigno” delle proprie opere d’arte, di un patrimonio informativo impreziosito da una bibliografia scientifica completa e dettagliata, dalla catalogazione digitale, dai servizi di geolocalizzazione, autentica valorizzazione dell’opera e divulgazione.

un plus a garanzia della valorizzazione del proprio operato e a contenimento del rischio di furti e falsi, vero problema del settore. La bravura di un artista e il valore di un’opera si vedono nel tempo. Nell’arte occorre essere maratoneti non velocisti e anticonformisti, portatori autentici della propria contemporaneità. MyTemplArt è un supporto ottimale per questo”. Proseguiamo il viaggio di interconnessione della filiera dell’arte con la testimonianza di Maelström Art Gallery, nota galleria meneghina. “Nata a inizio 2010, per la selezione e promozione di talentuosi artisti, offre uno spaccato rilevante dell’arte contemporanea, nel suo creativo oscillare tra figurativo ed astratto, disimpegnato e concettuale, ed un servizio di art advisory molto avanzato. Sentivamo l’esigenza di irrobustire la catalogazione e l’archiviazione con l’uso di un software più innovativo ed efficace e di avere un magazzino delle opere monitorato con una semplice videata e sempre aggiornato per ridurre i tempi gestionali. MyTemplArt si è dimostrato molto utile anche per lo scambio di informazioni tra artista, gallerista e altri fornitori. La semplicità d’uso è ciò che colpisce. L’interazione è immediata, ha luogo con un semplice click. L’attuale mondo dell’arte, quale asset strategico di sviluppo per il Paese, dovrebbe essere meno autoreferenziale consentendo a tutti di accedere ai dati delle singole opere, proprio il percorso intrapreso da MyTemplArt”. luglio/agosto 2017

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Arte

Coniugare arte e design

Gli arredi di Boffetto: un esempio unico di Ugo Perugini

Il fondatore, Gilberto Candeloro: “La bellezza e la qualità del made in Italy non possono essere fermate dai muri”

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Gilberto Candeloro, ingegnere con una grande passione per il design, l’architettura e l’artigianato, ha fondato Boffetto Form to Furniture per dare concretezza ai suoi sogni: produrre arredi e complementi di alta gamma che si distinguessero per la componente artistica unica e originale. Per Candeloro, la bellezza di un mobile e di un arredo, deve poter esprimere, oltre all’eleganza propria del design e all’accuratezza tecnologica e artigianale della fattura, anche il fascino intrinseco e il valore fortemente simbolico di un’opera d’arte. Per far questo ha chiesto ad alcuni artisti di lavorare fianco a fianco con architetti e design perché da questa collaborazione

fra visioni e sensibilità diverse, potessero scaturire progetti di arredo unici nel loro genere, nei quali fosse possibile cogliere il senso del bello. Ne sono originate opere di grande qualità, come nel progetto 99 ARTInDESIGN, in cui Candeloro ha cercato di mettere in pratica concretamente queste idee, perseguendo la coerenza del messaggio tra opera d’arte e progetto del design e realizzando mobili a tiratura limitata (99 esemplari) che sono veri e propri capolavori. A questo innovatore nel settore dell’industria del mobile, vorremmo porre alcune domande per approfondire quella che possiamo chiamare una nuova filosofia dell’arredo.


Una delle grandi risorse del nostro Paese è la creatività e il design. Qualcuno tuttavia inizia a intravedere una certa crisi n dovuta a una carenza di idee innovative. Lei cosa ne pensa? Questo straordinario Paese è stato ed è l’essenza stessa della creatività, dell’innovazione e dell’invenzione in quasi tutti i settori. Ma, in questo paradigma di passaggio tra il XX e il XXI secolo che, impropriamente, continuiamo a chiamare crisi, ha perso la consapevolezza e il coraggio di quello che è stato, di quello che è o che potrà essere. Dobbiamo recuperare l’abilità di far confluire la creatività nell’innovazione, coniugando forma e funzionalità in oggetti di pura bellezza, capaci di rimanere nella memoria e di sfidare il tempo. Lei crede all’importanza del dialogo e della collaborazione creativa e ideale tra designer e artista, e che un’opera autentica di design possa nascere solo da questa stretta simbiosi tra due modi di interpretare la realtà. In questo scenario, come è stato possibile armonizzare tecnologia, razionalità, usabilità, con bellezza, fantasia, estro creativo, gusto estetico trovando un giusto equilibrio? La parola magica è: contaminazione. Contaminazione che, originandosi creativamente da una forma, colleghi l’arte al design, il design alla tecnologia, la tecnologia all’innovazione di processo, all’ingegneria di prodotto e ai materiali avanzati. L’armonia sorge sì dai solisti, ma anche da una solida orchestrazione di competenze tra loro complementari. Molto importante nella ricerca portata avanti dalla Boffetto sono anche i materiali utilizzati, da acciaio, legno, marmo, pietra, solid surface... Anche in questo ambito sembra prevalere l’aspetto “contaminazione”, cioè la capacità di far dialogare materiali tradizionali con materiali innovativi. Quanto conta e che ruolo ha avuto e ha nel suo progetto questo tipo di sperimentazione? Nell’era del digitale occorre pensare a progetti complessi, per poi declinarli in

segmenti semplici da integrare. Bellezza, qualità e innovazione devono camminare di pari passo. I materiali avanzati, capaci di aggiungere valore all’insieme, bellezza delle superfici alla bellezza della forma e performance impossibili per alcuni materiali tradizionali, non sono altro che strumenti nelle mani sapienti del direttore, dei solisti e degli orchestrali capaci, attraverso questi strumenti perfettamente accordati, di garantire un’armonia che non suoni distonica. Boffetto è presente alla Fiera del Mobile a Milano. Come sta andando il settore del mobile di qualità? Quali le prospettive nei mercati esteri? Le politiche protezionistiche di Donald Trump possono

La bellezza di un mobile e di un arredo deve poter esprimere, oltre all’eleganza propria del design e all’accuratezza tecnologica e artigianale della fattura, anche il fascino intrinseco e il valore fortemente simbolico di un’opera d’arte. impensierire i nostri imprenditori? Boffetto ha, tra i suoi punti di forza, un grande team, capace di costruire in breve un progetto vincente e una solida reputation. La Fiera del Mobile è la terza kermesse internazionale presenziata in pochi mesi con un lusinghiero successo. Gli oggetti di arredo, di design e di arte, piccola nicchia di mercato, crescono più della media del settore di riferimento, e si esportano in molti paesi del mondo, siano essi di prima, seconda o terza fascia. Certo che le politiche di Trump, tese a costruire nuovi muri, non facilitano la penetrazione di quei mercati. Ma ogni tentativo di costruire muri da 4 metri incentiverà qualcuno a realizzare scale da 4,5 metri atte a scavalcare muraglie fisiche o virtuali. La bellezza e la qualità, quindi i valori veri del made in Italy, non possono essere fermate dai muri. luglio/agosto 2017

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Imprese

Zamperla Attrazioni da favola di Ugo Perugini

Quando la tecnologia scatena l’adrenalina. Beesness ha incontrato Alberto Zamperla, numero uno di un gruppo che, con le sue giostre, è presente perfino in Corea del Nord.

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Zamperla è una delle più belle realtà imprenditoriali italiane. Ha un fatturato annuo di 70 milioni di euro, 200 dipendenti ad Altavilla Vicentina, dove c’è la direzione, e quasi 500 nelle aziende del gruppo con sedi in tutto il mondo dalla Russia alla Cina, dalle Filippine alla Corea del Nord. L’azienda si occupa di progettazione e realizzazione di attrazioni per parchi giochi. Tra i suoi clienti può vantare la MCA Universal Studios, la Warner Bros, la Six Flags, la Paramount e, naturalmente, la Disney. Zamperla è un’azienda famigliare nata nel 1966 quando Antonio Zamperla, padre di Alberto, iniziò l’attività. Oggi Alberto, numero uno dell’azienda, è in prima linea e continua a viaggiare in tutto il mondo

per portare la sua “valigia di sogni” e offrire alla gente la possibilità di divertirsi con le incredibili attrazioni create dall’impresa. Ed è già è già in pista la nuova generazione: il figlio Antonio jr è il General Manager dell’azienda. Il livello di competitività italiana rispetto ad altri Paesi è molto basso. Esistono vie d’uscita a questa situazione? Certo, dovremmo innanzitutto essere tutti un po’ più orgogliosi di essere italiani e meno inclini a piangerci addosso, imparando a curare le nostre ferite in casa anziché sbandierarle ai quattro venti a livello internazionale. Purtroppo come imprenditori paghiamo pegno non solo per tutta una serie di “magagne” italiane


un confronto con Cà Foscari, sotto la direzione scientifica del Prof. Bagnoli: siamo partiti dall’analisi dello stato attuale dell’azienda e delle sue strategie per proporre una ridefinizione condivisa della missione o identità aziendale, evidenziando, ancora prima dell’importanza di “come” fare i prodotti, il “perché” farli. All’estero, per fortuna, il Made in Italy continua a piacere e la sua Azienda ne è una dimostrazione. Quali sono le qualità che caratterizzano le nostre imprese?

alle quali ha già accennato, ma anche per una “immagine Paese” estremamente fragile e traballante. Sulla fuga dei cervelli all’estero, lei, tra l’altro ha suggerito una defiscalizzazione salariale per le piccole e medie imprese. Può chiarirci la sua idea? Ritengo la fuga dei cervelli uno dei mali italiani più recenti ma non per questo meno preoccupanti, trattandosi delle risorse umane più giovani e qualificate per la formazione delle quali il nostro sistema scolastico ed universitario spende cifre considerevoli, risorse intellettuali che vengono catturate come frutti maturi da altri paesi senza sostenerne i costi formativi e approfittando dell’ottima preparazione fornita dal nostro sistema educativo. Al contempo le piccole e medie imprese, spesso molto innovative, trovano oggettive difficoltà per effetto della loro dimensione strutturale e finanziaria a definire, finanziare ed organizzare progetti di ricerca. Perché allora non formulare un progetto che preveda un pacchetto di norme fiscali e di agevolazioni sui percorsi burocratici, per favorire aziende e Università nell’elaborare e perseguire progetti di ricerca e innovazione con-

divisi, impiegando i giovani ricercatori universitari che avrebbero così la possibilità di impiego in Patria e l’opportunità di conoscere imprese innovative e progettuali? Nel nostro Paese è difficile fare ricerca e spesso poco conveniente. Sappiamo che in azienda avete predisposto una cattedra dell’innovazione. Di cosa si tratta? Sul tema dell’innovazione di contenuto abbiamo già avviato da un paio d’anni

Siamo un Paese che cresce al rallentatore nonostante gli sforzi degli imprenditori, soprattutto quelli delle Pmi, troppo spesso lasciati soli a contrastare un mercato sempre più competitivo ed internazionale. Molto possiamo fare noi imprenditori investendo in ricerca e innovazione e spogliandoci di una innata tendenza all’individualismo e settorialismo per fare sistema tra settori diversi ma altrettanto se non di più deve fare lo Stato. L’Italia ha una ricchezza, una diversità, una capillarità di risorse ed energie immediatamente riconoscibile da chi viene dall’estero. C’è molta domanda di “italianità” nel mondo e noi dovremmo essere capaci di rispondere esportando in ogni occasione non il singolo prodotto ma il “sistema Italia” con le sue diversità eno-gastronomiche, imprenditoriali, e culturali di regioni e città.

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Imprese

Investimenti di-vini di Cinzia Meoni

Il nettare degli dei può costituire una valida idea di investimento alternativo. Future, Borsa e bottiglie: come fare per investire nell’oro a elevata gradazione

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Bevanda degli dei, status symbol e investimento alternativo dalle interessanti prospettive di crescita, sempre che utilizzato con moderazione. Il vino può essere decisamente redditizio anche per un piccolo risparmiatore e, come diceva Gianni Agnelli, male che vada si può sempre berlo. Sui giornali, ciclicamente, si favoleggia degli investimenti in vino. Secondo uno studio di Mediobanca, un euro puntato nel 2001 sulle cantine produttrici di Ornellaia e di altri nobili vini, quindici anni sarebbe quintuplicato, lievitando fino a 5,4 euro (lo stesso investimento sulle borse mondiali si sarebbe tradotto in una crescita a 1,6 euro). La tentazione è, comprensibilmente, forte. Gli esperti

finanziari suggeriscono comunque di usare una certa prudenza per i “passion investment” e di destinarvi non oltre il 10% del portafoglio. COME INVESTIRE IN VINO Si possono seguire almeno tre strade, comprare singole bottiglie, acquistare quote in fondi di investimento che raccolgono capitale per scommettere sul settore e, infine, puntare sui titoli azionari delle aziende del comparto. Esiste, in teoria, anche un altro sistema per investire nel vino, quello di puntare sugli “en primeur”, una sorta di contratti futures (ma si tratta di singole iniziative e non di un mercato regolamentato) che consentono di scommettere sulla rivalutazione del vino comprando


bottiglie di vino pregiato che, tuttavia, saranno consegnate a una data stabilita, di solito dopo qualche anno. COSTRUIRE UNA CANTINA PREZIOSA Acquistare singole bottiglie come forma di investimento alternativo può essere divertente, ma occorre ricordandosi sempre che anche il miglior vino può trasformarsi in aceto. Gli esperti suggeriscono alcuni accorgimenti come controllare la provenienza da cantine certificate e da grandi annate; preferire vini longevi e con recensioni positive e, ovviamente, curare la conservazione. Qualche nome? I grandi Chateaux francesi (Lafite, Margaux, Mouton-Rothschild, Latour, Petrus) o tra gli italiani il Sassicaia, il Brunello Biondi Santi, l’Ornellaia, il Tignanello, il Solaia…Ma un passion investment è prima di tutto il piacere della scoperta. FONDI DI-VINI Servono generalmente almeno 10mila euro come biglietto di ingresso nel gotha del vino e si pagano commissioni salate per godere dei servizi di blasonati sommelier in grado di scovare le migliori annate. Ma può valerne la pena e, se si esce dal fondo, generalmente, si può chiedere di essere liquidati in bottiglie. Tra le realtà, spesso di diritto straniero, che sono proliferate negli ultimi anni ci sono: The wine investimenti fund, il Wine growth fund, il The vintage wine fund; il VintHedge Italian Wine Growth Fund, il NoblesCrus. Altri, come Pioneer Progetto Italia (fondo mobiliare chiuso destinato a investitori qualificati), investono invece in minibond di aziende vinicole. Altri ancora, come il

Con Masi nelle possessioni Serego Alighieri Un tuffo nella storia in un’oasi di pace. È questa l’offerta delle Possessioni Serego Alighieri (gruppo Masi), tenuta acquistata da Pietro Alighieri (figlio di Dante) in Valpolicella e che oggi, 21 generazioni dopo, continua a produrre vino. Non solo. Oggi si può perfino alloggiare, organizzare feste o eventi di team building nella terra degli eredi del sommo Poeta. La foresteria della tenuta Serego Alighieri, immensa proprietà con una villa del XIV-XVI secolo, può essere un ottimo punto di partenza per scoprire gli anni veneti del Sommo Poeta (1313-1318… gli anni del “Paradiso”), esplorare Verona e il suo territorio, lago di Garda compreso, godere del ricco cartellone estivo della città scaligera equamente suddiviso tra l’Arena Opera Festival e gli spettacoli al Teatro Romano, e visitare le cantine dell’area. Per chi non potesse soggiornare, è comunque possibile organizzare una visita alla tenuta Possessioni Serego Alighieri che, se abbinata alla degustazioni di sei vini, costa tra i 30 e i 40 euro.

March Vini Cante (fondo equity global) hanno una presenza sull’intera filiera del vino e dei distillati. AZIONI AD ALTA GRADAZIONE Sui listini esteri la scelta è decisamente molto ampia (Diageo, Lvmh, Constellation Brands, Vranken Pommery, Lanson Bc…). I prezzi non sono particolarmente economici: in media le aziende trattano a circa 17 volte gli utili e 2,7 volte le vendite, prezzi molto più vicini a quelli vantati dai titoli del lusso che da quei multipli presentati dalle aziende alimentari. Ma si sa: l’alcol non passa mai di moda sia negli anni di “vacche magre” sia negli anni di “vacche grasse”. Ancor di più se l’alta gradazione è brandizzata e sostenuta negli scaffali e in Borsa da marchi

che evocano uno stile di vita privilegiato. A Milano, sull’Aim, sono quotati due i titoli del settore su cui vale la pena accendere un faro: Italian Wine Brands (ovvero GiordanoVini e Provinco Italia), presente nella produzione e nella distribuzione di vini in Italia e all’estero (il 70% del giro d’affari di IWB è generato oltre confine) e Masi Agricola, un gruppo con una redditività (margine operativo lordo) al 24% del fatturato a che vanta un investor club aperto anche ai risparmiatori retail in possesso di almeno mille titoli Masi per avvicinare gli investitori al mondo del vino e farli partecipare a esperienze “sul campo”, o meglio… in cantina. luglio/agosto 2017

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Franchising

Mondadori Retail Ăˆ il franchising il modello che fa la differenza di Maria Grazia Franzè

Il rafforzamento dell’insegna e del marchio, la continua offerta di cultura e emozioni: queste le strategie


«Un modello di catena come la nostra è in grado di offrire una serie di economie di scala, efficienze e servizi» sono le parole di Francesco Riganti, direttore marketing Mondadori Retail, che ha esplicitato la mission di questo network di librerie definendolo “luogo di aggregazione”.

dio tecnico, fornitura di arredi, conto economico previsionale, accordi quadro con banche e fornitori, definizione assortimento, campagne marketing e

Quali i format e il tasso di vendita del libro? Mondadori Retail gestisce 600 store, con tre diversi format - Megastore, Bookstore e Point - e serve ogni anno oltre 20 milioni di clienti. Quattro i canali di vendita: punti vendita diretti, in franchising con 550 store affiliati, web e bookclub. Il libro rappresenta oltre il 75% del nostro fatturato, a cui si affiancano altre categorie merceologiche. Quali sono le strategie per ampliare il mercato? È fondamentale la “contemporaneità”, ovvero la capacità di misurarsi e relazionarsi con un cliente che muta e che è presente in modo “fluido” su più canali, al fine di offrire al nostro pubblico una sorta di “agorà” dei tempi moderni.

promozionali, supporto eventi, assistenza commerciale presso il punto di vendita e da sede, con un customer service dedicato, senza tralasciare la formazione con

l’offerta di Mondadori Academy. Quale il rapporto tra il franchisee e l’e-commerce nei Mondadori Store? Il digitale offre nuove opportunità di business e intercetta nuovi clienti. La strategia multicanale diventa la chiave di volta e la tecnologia un abilitatore di soluzioni e servizi che integrano il fisico con l’online e che sono parte di un processo di acquisto sempre più articolato. Per tale ragione abbiamo sviluppato una serie di servizi che consentiranno di comprare o prenotare online e ritirare in store (pick up point), di ricevere un libro a casa acquistato online e di poterlo rendere in negozio, di poter ricevere a casa in 24 ore un libro non disponibile in libreria, grazie a una piattaforma che integra il magazzino dell’online e del fisico e che guarda la disponibilità dei magazzini terzi degli editori.

Perché aprire un Mondadori Bookstore? Perché la nostra proposta di affiliazione è a 360 gradi: ricerca e selezione della location, layout curato dal nostro stu luglio/agosto 2017

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Franchising

32° salone franchising Milano A ottobre torna con tante novità la fiera leader in Italia per il mondo del franchising Questo 2017 promette di essere un anno ricco di importanti novità per il Salone Franchising Milano. Prima fra tutte, la nascita di RDS Expo (frutto della joint venture tra Rds&Company e Fandango Club), che insieme a Fiera Milano diventa l’organizzatore ufficiale del Salone milanese. La neo società ha l’obbiettivo di trasformare la fiera leader per il mondo del franchising, non solo in uno degli eventi business più importanti nel panorama italiano, ma anche in un grande evento di Retail Show che regali un’esperienza indimenticabile ad espositori e visitatori. Vanno in questa direzione le principali novità di questa 32° edizione. RE.START-SMART UP YOUR BUSINESS Un talent show dedicato a tutti coloro che hanno un’idea innovativa per il retail ma non hanno le risorse per realizzarla. A giudicare i progetti una giuria di esperti e personalità del mondo del commercio e del retail: • Mario Resca, presidente di giuria e presidente Confimprese 76

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• Alessandro Ravecca, presidente di Federfranchising • Carlo Carollo, Consumer & Devices Leader Microsoft Italia • Paolo Lazzarin, AD di LEGO Italia • Luca Maganuco, managing director di MULTI Italy • Annalisa Monfreda, direttore di Donna Moderna • Nikolas Musikas, AD di Gamestop • Matteo Percassi, AD di Percassi food&beverage • Elena Sacco, direttore della Scuola di Comunicazione di IED • Enrico Sassoon, direttore di Harvard Business Review Italia. «Nel DNA di Percassi - afferma proprio l’AD di Percassi food&beverage - ci sono l’innovazione e la capacità di cogliere nuove sfide. Oggi insieme a Salone Franchising Milano e a Campus Fandango Club iniziamo un percorso che porterà alcune persone a realizzare i propri sogni imprenditoriali. Mettiamo a disposizione il know-how e l’esperienza di una realtà internazionale come la nostra perché siamo convinti che iniziative come questa abbiano un enorme valore, tanto economico quanto culturale per il nostro paese». I migliori progetti verranno valutati dalla giuria e premiati con un evento live durante la prossima edizione di Salone

Franchising Milano. SHOW ENTERTAINMENT SUL PALCO DELLA F-TALK Oltre alla confermata anima business, il palco della F-Talk e F- School diventerà un luogo di show e intrattenimento allo stato puro, che manterrà vivo l’interesse dei visitatori per tutta la durata dell’evento e che gli espositori 2017 potranno utilizzare come vetrina per i propri prodotti. Sfilate, show cooking e tanto altro animeranno le giornate del Salone, garantendo una cassa di risonanza senza precedenti a tutti i brand che vorranno assicurarsi uno slot sul palco. FUTURE STORE Salone Franchising Milano ogni anno ha tra le proprie mission il racconto della direzione in cui si stanno evolvendo i negozi, che anno dopo anno prediligono sistemi commerciali e distributivi innovativi e tecnologici. Nel 2017 SFM non solo lo racconterà, ma lo farà toccare con mano, grazie al Future Store: un prototipo di negozio del futuro, in cui tecnologia ed innovazione la faranno da padrone e che promette di essere una delle attrazioni più interessanti della 32° edizione del Salone. Il 32° Salone Franchising Milano si terrà nella confermata location di Fieramilanocity il 12-13-14 ottobre 2017. Per info e informazioni: www.salonefranchisingmilano.com





Centri Commerciali

Carrefour

Le stategie per crescere in un mondo sempre più digitale di IKN Italy

Ne parliamo con Federica Palermini head of brand, communication & digital innovation del colosso della distribuzione francese

Incontriamo Federica Palermini head of brand, communication & digital innovation di Carrefour in vista della 17esima edizione di Forum Retail, il più grande evento in Italia dedicato ad approfondire Innovazione, Ispirazione Interazione del settore retail che si svolgerà a Milano dal 30 novembre al 1° dicembre. E con l’occasione cerchiamo di capire meglio le direzioni intraprese colosso della gdp francese per intercettare un pubblico sempre più attento e digitale. Chi è e quali sono le caratteristiche del consumatore digitale di Carrefour del 2017? Il consumatore Digitale Carrefour ha tra i 25 e i 64 anni, con una prevalenza di sesso femminile (per il 65%). Questo quadro rappresenta sia l’utente social

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che strettamente web. È poi interessante notare come sulla rete social la fascia di età superiore ai 55 sia raddoppiata rispetto al 2015. La caratteristica principale è la passione per la cucina, seguita da viaggi e film, la tecnologia, l’home decor e il fitness. Quali iniziative avete preso per potenziare la brand reputation e fortificare il posizionamento nel mercato della grande distribuzione? Se un tempo il posizionamento era incentrato su leve di prezzo/promozione, oggi probabilmente questi elementi non sono più ritenuti sufficienti. I brand si raccontano secondo un posizionamento sempre più valoriale e sempre meno commerciale, emozionale e ingaggiante, capitalizzando sulla costruzione di un rap-


porto di fiducia col consumatore. Tutte le nostre iniziative di comunicazione sviluppate negli ultimi anni perseguono questo ambizioso obiettivo. Carrefour Italia realizza Gente di Carrefour che vuole, appunto, raccontare l’azienda. Gente di Carrefour propone tutte le persone che girano intorno al grande ecosistema Carrefour, dai dipendenti ai clienti fino ai fornitori, come testimonial. Persone che ci mettono la faccia e diventano protagoniste per un giorno, attraverso la loro verità e con le proprie passioni. Quali caratteristiche possiede la vostra comunicazione? Il consumatore è divenuto sempre più attento, consapevole e connesso integrando contenuti of f line e online e generando nuovi modelli di consumo. Il nuovo consumatore è craft consumer, consum-autore e consum-attore e ricopre un ruolo sempre più attivo nel suo rapporto con il brand. Quel soggetto in grado di reperire gli stimoli e i messaggi trasmessi ogni volta che entra in contatto con uno dei nostri touchpoint, in un sistema integrato e omni-

La nostra strategia di comunicazione non pone più al centro il cliente, ma la persona. canale, di elaborarli e di restituirli sulla rete, influenzando il mercato. La nostra customer journey è fluida con l’obiettivo

di costruire e rilasciare un’esperienza di valore, gratificante, ingaggiante. Questa strategia poggia su tre asset principali: 1. codice comunicativo dedicato e declinato in base al mezzo 2. trasparenza e real time secondo un percorso di ascolto 3. interazione e relazione Le influencer campaigns hanno potenziato la brand awarness e la comunicazione digitale con i consumer? Carrefour ha affermato negli ultimi anni collaborazioni con personaggi noti come Frank Matano e The Jackal, costruendo con l’uso dello storytelling webserie in grado di promuovere italianità, sostenibilità e qualità. I social network hanno ribaltato le regole del gioco e le aziende devono

Scott Cook: “Un marchio non è più quello che l’azienda comunica ai consumatori, ma quello che i consumatori raccontano del marchio”. adeguarsi. Per diventare rilevanti è necessario individuare quello che il brand vuole dire e quello che la gente dichiara di voler ascoltare. I consumatori oggi vogliono che si parli con loro e non a loro, in un rapporto di trasparenza e reattività in grado di costruire nello strato del cervello più profondo una relazione di fiducia solida. I risultati raggiunti hanno soddisfatto le vostre aspettative? ...e poi what’s next? Uno dei KPI social maggiormente rappresentativi per noi è l’engagement rate. Lavoriamo molto sull’efficacia delle nostre produzioni in termini di interazioni tra utenti con l’obiettivo di tracciare i risultati economici per sviluppare, sul business, dinamiche più ampie di entertainment marketing dove le leve di comunicazione si innestano su leve di dinamica commerciale. L’influencer è così rilevante che raggiunge un’utenza considerevole in modo naturale e organico. luglio/agosto 2017

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Centri Commerciali

Neuromarketing di Vincenzo Russo, Professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing presso la IULM di Milano

Guidare i comportamenti creando esperienze piacevoli: shopping experience e neuromarketing

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I luoghi di vendita sono sempre più ricchi di stimolazioni sensoriali. Luci, colori, profumi sono sempre più usati per rendere più gradevoli le esperienze di acquisto. Oggi i consumatori cercano prodotti di qualità, e spesso gli elementi “collaterali” e di contesto aiutano a rendere più gradita un’esperienza di consumo, avendo anche un effetto sulla percezione del prodotto. In questo ambito si inseriscono gli studi neuroscientifici che hanno spiegato ancora più approfonditamente l’effetto delle stimolazioni ambientali sui comportamenti di acquisto. Grazie alle neuroscienze il paradigma di studio del consumatore è profondamente cambiato: da “macchina pensante che si emoziona”, oggi il consumatore deve essere inteso come “macchina emotiva che pensa”. Questa nuova visione del consumatore e del suo funzionamento cerebrale sottolinea ancora di più il ruolo degli elementi di “contorno”

sui vissuti e sulle azioni delle persone. Le prime ricerche in quest’ambito risalgono agli anni Cinquanta, con gli studi sulla diffusione di profumi all’interno di un punto vendita. Questa stimolazione sensoriale ha sempre avuto la forte capacità di influenzare i comportamenti del consumatore, innescando particolari reazioni emotive, suscitando ricordi e influenzando i comportamenti. La percezione e l’interpretazione degli odori è un fenomeno molto complesso che coinvolge una serie di risposte biologiche e psicologiche, oltre alla memoria. L’olfatto è il senso più correlato alle reazioni emotive, in quanto il bulbo olfattivo è direttamente connesso al sistema limbico, la sede delle emozioni negli esseri umani (Wilkie 1995). Gli stimoli olfattivi, infatti, vengono processati direttamente dall’Amigdala e tramutati all’istante in sensazioni, provocando un immediato aumento delle sensazioni posi-


tive e un giudizio migliore sul prodotto e sulla permanenza all’interno dei locali. Tali processi avvengono prevalentemente in maniera inconsapevole perché il profumo viene elaborato dal Sistema Limbico, legato a memoria ed emozione, senza il diretto coinvolgimento della corteccia cerebrale. Per questo motivo le tecniche di neuromarketing risultano molto efficaci per misurare l’effetto che hanno le stimolazioni sensoriali. Il neuromarketing, infatti, riesce a misurare l’impatto emotivo senza che sia coinvolta la parte razionale del consumatore. La ricca e potente natura dell’olfatto umano è solo un esempio delle potenzialità del marketing sensoriale. Si pensi alle potenzialità dell’uso di colori, di luci, di esperienze tattili che possono essere usate per rendere gradevole e emozionale l’esperienza di consumo nei luoghi di vendita. Attraverso tecnologie in grado di misurare direttamente l’emozione è possibile misurare qualsiasi attivazione, anche quella inconsapevole, e avere un’oggettiva valutazione dell’efficacia comunicativa ed emozionale di uno stimolo. Attraverso l’uso di un Eye Tracker portatile è possibile misurare il movimento oculare e il numero di fissazioni durante la fase di esplorazione dello spazio di vendita o di un prodotto. Con un Elettroencefalogramma (EEG) si può valutare la valenza (positiva o negativa) dell’attivazione emozionale e lo stress cognitivo provato nel guadare una particolare area del campo visivo. Al contempo la misura della sudorazione delle mani e del battito cardiaco ci permette di valutare l’intensità emozionale provocata dalla stimolazione. La sincronizzazione dei dati provenienti dai diversi strumenti

permette di avere una chiara misurazione dell’emozione provata dal consumatore e, quindi, la valutazione dell’efficacia comunicativa. Grazie alla collaborazione con Tradelab, società leader nello studio dei processi di acquisto in retail e all’azienda di comunicazione Canali & C. abbiamo svolto una prima ricerca sulle reazioni di un gruppo di consumatori all’interno di due Centri Commerciali. La ricerca è stata presentata in occasione dell’evento “Dove va lo shopping” che si è tenuto il 3 maggio. La ricerca si è focalizzata sulla FOOD COURT in due centri commerciali (Auchan Cesano Boscone e ELNÒS Shopping di Roncadelle di Brescia). Grazie all’analisi dei neuromarketing è stato possibile individuare le aree “buie”, cioè gli ambiti poco visibili dello spazio analizzato e gli elementi comunicativi funzionali o poco efficaci. Un’analisi svolta non solo con Eye Tracking per misurare gli elementi visivi attrattivi, ma anche con un EEG per misurare il grado di engagement. Con un misuratore di sudorazione delle mani si è anche rile-

Le tecniche di neuromarketing risultano molto efficaci per misurare l’effetto che hanno le stimolazioni sensoriali. Il neuromarketing, infatti, riesce a misurare l’impatto emotivo senza che sia coinvolta la parte razionale del consumatore. vata l’intensità emotiva provocata. Si tratta di una metodologia ormai indispensabile per valutare l’impatto emotivo della comunicazione ma anche dell’organizzazione degli spazi. Un modo per misurare ciò che è sempre stato molto difficile valutare: l’ingaggio emotivo. Così se nel lontano fine Ottocento John Wanamaker, pioniere nel mondo del marketing, aveva ragione nel dire che “Metà dei soldi che spendo in pubblicità sono del tutto sprecati… ma non so quale sia quella metà”, oggi il neuromarketing contribuisce a confutare questa frase, offrendo informazioni molto più precise sull’efficacia della comunicazione, riducendo il rischio di sprecare gli investimenti pubblicitari con soluzioni di comunicazione poco efficaci o progettando spazi e ambienti poco funzionali all’esperienza di acquisto. luglio/agosto 2017

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Centri Commerciali

Doppia esposizione Due creativi pubblicitari seduti ad un tavolo, una rovente giornata estiva e un drink per rinfrescarsi. Raffaele Manfredi e Loris Meloni – direttori creativi di Canali&C. – si intervistano a vicenda, interrogandosi sul passato, presente e futuro della comunicazione nel Retail Real Estate… e non solo!

LORIS VS. RAFFAELE L.M.: Come è cambiata negli anni la comunicazione del mercato RRE? R.M.: Quando, ahimè diversi anni fa, ho iniziato a fare questo lavoro, i Centri Commerciali erano considerati da molte Agenzie clienti poco prestigiosi, a cui riservare “le briciole”. Creativi junior, poche idee, campagne tutte uguali con le signorine sorridenti che fanno volteggiare gli shopper nell’aria. Nel tempo la situazione è cambiata, anche grazie alla nascita dei maximall o degli outlet con centinaia di negozi… e con budget molto appetibili! Diciamo che il mercato ha capito l’importanza di andare oltre gli stereotipi. C’è più cultura di comunicazione e di marketing, oggi, nel Retail Real Estate. Più attenzione alle ricerche, alle tendenze internazionali, ai new media. L.M.: Quali sono le idee che funzionano di più? R.M.: Difficile dare una risposta univoca. Diciamo che i nostri interlocutori (Proprietà, Società di Gestione, Comitati, ecc.) sembrano sempre più disposti ad “osare” con la creatività perché sono consapevoli che

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oggi, per colpire un target sovraccarico di messaggi e immagini di ogni tipo, occorre anche avere coraggio. Ciò che vedo è che le campagne più efficaci sono quelle smart, rispettose dell’intelligenza del target, capaci di creare un dialogo, strappare un sorriso, emozionare. L.M.: E i testimonial? Quanto possono fare la differenza? R.M.: Il grande nome fine a se stesso non aggiunge nulla, mentre funzionano i testimonial “cuciti su misura” sul prodotto. Per fare un esempio, due anni fa abbiamo rilanciato il Centro Commerciale Auchan Napoli con una grande campagna che aveva per protagonisti gli Arteteca, coppia comica di Made in Sud, vere star a Napoli. È stato un successo perché i testimonial – oltre ad essere molto famosi - veicolavano in modo forte e naturale i nuovi valori del Centro: napoletanità, contemporaneità, famigliarità, allegria. L.M.: Sai indicarmi qual è la fase del lavoro che preferisci? R.M.: Io sono copy di estrazione quindi rimango particolarmente legato al mondo


della parola. Trovare spunti verbali efficaci continua a divertirmi, ma nel tempo il mio ruolo si è spostato verso una dimensione da un lato più strategica e dall’altro più relazionale. E anche questo mi piace.

RAFFAELE VS. LORIS

L.M.: Cosa ha portato il lavoro della Canali&C a essere riconoscibile?

L.M.: Fin da subito l’ho affrontata come fosse una sfida. È un settore che creativamente ha delle potenzialità immense e come dici tu è un mondo. Quindi per un creativo riuscire a immaginare e poi a costruire davvero nuove strade, credo sia il massimo. Un esempio su tutti: pensa a quante cose si potrebbero fare con i negozi sfitti.

R.M.: Mi ricollego alla prima risposta. Credo che Canali&C. – che ha vissuto una crescita straordinaria in un lasso di tempo relativamente breve – sia stata premiata dal mercato perché è stata la prima a dare dignità e valore al marketing e alla comunicazione del Retail Real Estate. Abbiamo sempre cercato di portare qualità e innovazione in questo mondo ed evidentemente ci siamo riusciti. Questo ha creato anche uno “stile Canali”, una riconoscibilità che è legata alle persone che lavorano nel nostro team, ma soprattutto ad una filosofia, ad un approccio visionario e coraggioso. L.M.: Quanto conta la definizione di un brief “condiviso” con il cliente nella riuscita di una campagna? R.M.: Io dico sempre “brief chiari, amicizia lunga”, quindi conta tantissimo! Il cliente ci dà le informazioni di partenza, i numeri, gli obiettivi, i desiderata in termini di valori e identità. Poi tocca a noi tradurle in un agency brief che guidi il lavoro di tutti, creativi e non. Una volta che questo brief è approvato dal cliente, il territorio su cui muoversi è delimitato in modo piuttosto preciso. Così si esce dalla logica del “mi piace/non mi piace” e ci si sposta su quella del “è giusto/è sbagliato”. Non esistono campagne belle o brutte, solo campagne giuste o sbagliate. L.M.: Quanto incide la tua precedente vita da rockstar sul tuo lavoro? R.M.: Non essendo mai stato una rockstar, non incide affatto! In compenso la musica continua ad essere una delle mie grandi passioni e quando riesco a portarla dentro il lavoro che faccio, sono felice. Ad esempio quando scelgo la musica di un video e, vedendo l’editing, mi rendo conto che sì, funziona. L.M.: Gin lemon o vodka redbull? R.M.: Screwdriver!

R.M.: La tua storia nella comunicazione del RRE è ancora relativamente giovane: com’è stato entrare in questo mondo? Cosa ti ha colpito di più?

R.M.: Quali sono dal tuo punto di vista i trend di comunicazione di questo mercato, oggi? L.M.: Se guardiamo anche i big internazionali la tendenza è quella di avvicinarsi sempre più al mondo della moda, soprattutto ai redazionali fashion. Rispetto ad alcuni anni fa la comunicazione è molto migliorata e si riconoscono di più le campagne dei vari Centri Commerciali. R.M.: Dal presente al futuro: cosa vedi in arrivo? Come comunicherà domani il RRE? L.M.: Le nuove tecnologie hanno avvicinato il consumatore al Centro che a parer mio sta diventando sempre di più simile a un’emittente televisiva. C’è un marchio (riconoscibilità), ci sono dei valori (linea editoriale), degli eventi (programmi) in diverse ore (palinsesto) e un target che può scegliere. Di conseguenza vedo molta più velocità e dinamicità nei messaggi e nella forma dei contenuti. Il target sceglierà sempre più cosa vorrà vedere. Un po’ come sta succedendo con i canali satellitari e i programmi on demand. R.M.: Lo scenario competitivo in cui si muove oggi uno Shopping Center in Italia è sempre più sfidante: come può la comunicazione fare la differenza? L.M.: La differenza la fanno i valori di marca. Il nostro scopo è riuscire a dare un’anima al brand, attraverso il potere della creatività. Passare dal convincere il pubblico a coinvolgere credo sia la carta vincente. R.M.: La rivoluzione digitale continua e, gradualmente, cambia anche i punti di

“Abbiamo sempre cercato di portare qualità e innovazione in questo mondo ed evidentemente ci siamo riusciti”. riferimento per chi fa il nostro lavoro. Quali opportunità possiamo cogliere in tal senso? L.M.: Con i social si tende a voler essere ovunque e subito senza capire realmente le potenzialità del mezzo. Il risultato è che si vedono contenuti uguali su tutti i mezzi creando così poca sorpresa. La novità potrebbe proprio essere quella di utilizzarli strategicamente in base alle loro diverse potenzialità, per dare visibilità e pensiero. R.M.: Hai una… campagna nel cassetto? Un’idea a cui sei particolarmente affezionato e che non hai ancora realizzato? L.M.: Prendo spunto da tutto, dagli articoli di cronaca che a volte sono più sorprendenti dei film, alle fotografie sui social in particolare instagram. La cosa di cui sono più innamorato restano comunque i video musicali. R.M.: Anche la street art è una grande fonte di ispirazione per te… L.M.: La street art ha influenzato il mio lavoro fin dall’inizio. Se mi sono avvicinato alla pubblicità è stato proprio grazie alla street art. Lo studio delle font, i colori, le forme, l’effetto sorpresa e gli spazi sono tutte regole anche del nostro mestiere. Ho scelto questo lavoro quando ho iniziato a dipingere da adolescente. R.M.: Essere buddista ti aiuta a superare i momenti “antizen” di cui è costellata la vita di un creativo pubblicitario? L.M.: Moltissimo. Partire dalle persone, capendo che tutti sono unici e preziosi, è indispensabile nel nostro lavoro. R.M.: Fabri Fibra o Ghali? L.M.: Marracash tutta la vita. luglio/agosto 2017

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Turismo

Ventuno cugini E un patto di sindacato alla prova della quarta generazione di Cinzia Meoni

La società prevede per il 2018 l’apertura di un nuovo parco termale in partnership con il Comune di Caramanico, un progetto da (almeno) 1,7 milioni di euro. Enzo Vaccarella, erede della famiglia fondatrice, ne parla con Beesness.

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A Caramanico Terme, piccolo borgo sull’Appennino abruzzese, l’oro è (anche) potabile ed è gestito da oltre cent’anni dai Masci, 21 cugini appartenenti alla terza generazione della famiglia del fondatore, a cui fa capo il 60% del capitale della Società delle Terme spa. Il gruppo, la principale impresa dell’area, genera 11 milioni di euro di fatturato l’anno grazie a quattro distinte realtà (La Réserve, le Terme di Caramanico, le Terme di Popoli e l’Hotel Terme Maiella) e alle oltre 300 persone impiegate. BEESNESS ne ha parlato con Enzo Vaccarella, tra proprietari della società, responsabile della gestione delle Terme di Caramanico e direttore de La Réserve, paradiso del benessere psico-fisico immerso nella riserva naturale

del Parco Nazionale della Majella. L’oro liquido per la Società delle Terme ha nomi molto evocativi e dai poteri miracolosi: l’acqua sulfurea antinfiammatoria e antiossidante “La Salute” e l’acqua oligominerale “Pisciarello”, che sgorgano copiose in questo minuscolo paese medioevale dalle case in pietra. “Le origini della società risalgono a fine ‘800 quando Filippo Masci, da cui discendo, il dottor Pietrangeli (i cui eredi sono ancora nel capitale con il 20% circa ndr) e altri imprenditori locali, intravidero delle possibilità di uso curativo dell’acqua. Raggiunsero quindi un accordo con il comune per l’utilizzo dell’acqua, a fronte della costruzione di uno stabilimento termale in grado di portare benessere


all’area” racconta Vaccarella. La vera svolta dimensionale per La Società delle Terme si ha tuttavia a fine anni Settanta grazie a un accordo stretto con la Sanità Nazionale dalla seconda generazione che, nel frattempo, era succeduta nella proprietà e nella gestione del gruppo. È proprio con la seconda generazione (sette fratelli tra cui Annamaria, madre di Enzo Vaccarella) che si fa strada l’idea che la riabilitazione termale e la medicina preventiva costino meno allo Stato rispetto agli interventi ex post. Su questa intuizione si è finora fondato il business della Società delle Terme che, come spiega Vaccarella, guarda con fiducia al prossimo traguardo: i 12 milioni di fatturato. L’orizzonte futuro del gruppo è tuttavia ancora più ambizioso. Da qualche tempo infatti La Società delle Terme sta esplo-

rando le potenzialità di due dei trend più redditizi del nuovo Millennio: la commercializzazione di una linea cosmetica ad hoc “i Puri” e la proposta di una alimentazione sana attraverso la scienza della nutraceutica con la collaborazione dottor Corrado Pierantoni. Non solo. Per il 2018 è prevista l’apertura di un parco termale con 4 piscine (tra un anno sono attese le prime due vasche) in partnership con il Comune di Caramanico che ha già finanziato i primi 1,1 milioni di investimenti (sono previsti altri 600mila euro). “Il parco termale sorgerà su un’area compresa tra La Réserve e le Terme che cederemo al comune di Caramanico per la realizzazione del progetto con la speranza di gestirlo al meglio. Il parco risponde all’esigenza di promuovere un turismo anche leisure alla portata di chiunque” spiega Vaccarella, secondo cui una simile struttura avrà come effetto quello di ampliare la potenzialità turistica del territorio, senza mettere a repentaglio le strutture già esistenti. A giudizio del manager infatti: “In questo modo potremmo completare la nostra offerta che potrà declinarsi sul wellness a cinque stelle La Réserve, oasi di benessere specializzata in trattamenti di gamma elevatissima, sul turismo propriamente termale presso lo stabilimento delle Terme di Caramanico dove possiamo garantire un’ospitalità a tre stelle plus nell’Hotel Terme Maiella e, infine, su un parco termale che potrà diventare un polo di attrazione anche giornaliera per tutti gli amanti del wellness”.

Caramanico Terme Caramanico Terme è un piccolo paradiso immerso nel Parco Nazionale della Majella dove conf luiscono acque termali miracolose, acque sulfuree e acque diuretiche che aiutano a depurare l’organismo dalla frenesia quotidiana. Acque in cui immergersi, da bere, da inalare e alla base di prodotti mirati che, sapientemente applicati, purificano e rigenerano la pelle. La Réserve, oramai da vent’anni, è un luogo ideale per dedicare tempo a se stessi a contatto con una terra ricca di acque e di fanghi dalle proprietà terapeutiche, di verde e di aria pura. Qui rigenerarsi è facile come respirare tra piscine termali affacciate sulla valle dell’Orfento, percorsi spa, trattamenti benessere (dal nuovo drenante integrato “pride” fino al trattamento facciale “staminal green” che, in nove passaggi, toglie almeno cinque anni dal viso) e l’attenta cucina della brigata di Antonello De Maria che, sotto l’occhio vigile del dottor Corrado Pierantoni, propone la tradizione abruzzese rivisitata in chiave salutista per una perfetta rémise en form.

Nei prossimi anni infine le novità potrebbero arrivare anche sotto il profilo corporate. Attualmente infatti il controllo del gruppo passa dai 21 cugini legati, con quote paritetiche, da un patto di sindacato che vincola le scelte di voto, ma non, finora, i passaggi di quote e del testimone. Ma la numerosa quarta generazione già si affaccia all’orizzonte e, anche in vista dei progetti di sviluppo, non si esclude la possibilità di aprire il capitale a investitori finanziari terzi. luglio/agosto 2017

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Turismo

Ospitalità A 5 stelle

di Cinzia Meoni

Come adeguarsi a nuovi trend, nuovi clienti e alle crescenti aspettative. Lo spiega a Beesness Heinz E. Hunkeler direttore di due delle perle dell’Engadina: il Grand Hotel Kronenhof di Pontresina e il Kulm Hotel St Moritz.

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Gestire due hotel cinque stelle superior a pochi km di distanza l’uno dall’altro nella patria del turismo d’èlite non è banale. Occorre differenziare l’offerta, ritagliare delle identità marcate per ogni singola struttura e, ovviamente, essere sempre pronti a soddisfare ogni recondito desiderio dei propri clienti. Ne parla a BEESNESS Heinz E. Hunkeler che, dal 2013, cura la direzione strategica e operativa di due delle perle dell’Engadina: il Grand Hotel Kronenhof di Pontresina e il Kulm Hotel St Moritz, strutture pioniere del turismo in quota in questa valle svizzera assolatissima e dal freddo pungente, che mantiene la neve perfetta per gli sciatori fino a fine aprile e offre in estate paesaggi riposanti e aria pura per tutti coloro che vogliono scappare dall’afa cittadina. Gli hotel, fondati da imprenditori locali nell’800,

fanno capo al gruppo AG Grand-Hotels Engadinerkulm della famiglia di armatori greci Niarchos che, negli ultimi 10 anni, ha investito più di 85 milioni di franchi per rinnovare il Kulm Hotel, destinandone 35 al Grand Hotel Kronenhof di Pontresina nel solo 2007 per la costruzione di una spa da 2mila metri quadrati firmata da Justus Dahinden. Come mantenete redditizi due hotel a cinque stelle superior a così breve distanza l’uno dall’altro? Le due destinazioni, nonostante i pochi km di distanza che separano St Moritz da Pontresina, sono decisamente differenti tra loro, così d’altro canto gli ospiti dei due hotel e gli stili di vacanza ricercati. St Moritz è la città glamour e cosmopolita che ha dato origine agli sport invernali,


mentre Pontresina è un borgo tranquillo dalla forte tradizione montana. Le due strutture si rivolgono quindi a un pubblico differente con offerte declinate su distinte esigenze, seppure sempre a cinque stelle. Quali sono i vostri mercati di riferimento? I mercati chiave sono quello svizzero e quello italiano, in particolare Nord Italia, seguiti a ruota dalla Germania. Sono poi in aumento gli ospiti nord americani e, soprattutto in estate, i clienti medio orien-

In vacanza in Engadina L’Engadina è un vero e proprio paradiso per gli amanti degli sport all’aria aperta, a poco più di un paio d’ore d’auto da Milano. Ancora meglio, potendo scegliere, è arrivare in Engadina con i l leggenda r io Ber n i na Express, che tra Tirano a Coira offre 80 km di panorami mozzafiato. Dal tardo autunno alla primavera il protagonista assoluto è lo sci nei tre comprensori che delimitano la valle (Corviglia, Corvatch e Diavolezza per oltre 350 chilometri di piste) e con un’offerta di 180 km di circuiti di fondo. In estate l’Engadina e i suoi 400 km sentieri sono il regno della mountain bike, con cui è possibile raggiungere il Passo Suvretta e il Passo Smuggler che scende sino a Poschiavo. Sono infinite le possibilità di escursioni a piedi, mentre il fiume Inn è perfetto per il rafting, la canoa o la pesca e sul Lago Silvaplana si praticano vela, windsurf e il kitesurf, grazie al potente vento Maloja e alle forti correnti termali. Da non perdere infine le escursioni in carrozza o a piedi nella Val Roseg, ai piedi del ghiacciaio.

tali, mentre è in calo il mercato giapponese. Iniziamo infine a registrare interesse anche da parte dei brasiliani. Quali sono i nuovi trend nell’ospitalità a cinque stelle che riscontrate nelle vostre strutture? Sono in aumento i giovani imprenditori rispetto ai cosiddetti “old money” (persone che godono di ricchezze accumulate nel corso delle generazioni ndr) e anche gruppi di ospiti multigenerazionali dove il progenitore viaggia con figli e nipoti. Anche per questo puntiamo molto sui servizi destinati ai più piccoli, i “Very Important Kids”. È in crescita, infine, il turismo d’affari e incentive. Come sono cambiate le vacanze in montagna nel corso del tempo? Oggi si prenota molto più sotto data rispetto a qualche tempo fa e si decide in base al meteo. Non solo. Le vacanze si sono in media accorciate e riscontriamo un forte interesse per i weekend lunghi. Come gestite le strutture in modo da continuare a mantenere vivo l’interesse degli ospiti? Prima di tutto investiamo costantemente almeno il 10% del fatturato annuo negli hotel per mantenere elevati gli standard di ospitalità. Nelle ultime due stagioni invernali, ad esempio, abbiamo destinato 7 milioni al Kulm e 3,5 al Kronenhof per il restyling rispettivamente di 26 e di 13 camere ad opera di Pierre-Yves Rochon. È poi fondamentale adattare i nostri servizi alle esigenze degli ospiti che oggi, rispetto a qualche anno fa, chiedono spa attrezzate, più tecnologia e una maggiore scelta

di ristoranti all’interno di una singola struttura. Tutto questo, ovviamente, nel rispetto della tradizione che contraddistingue il Kronenhof, gioiello dell’architettura neo barocca svizzera tutelato dal ministero dei Beni Culturali, e il Kulm, dove è appena stato completato il restauro del Pavillon, memoria storica di St Moritz e oggi sede del Kulm Country Club. Un’operazione da 11 milioni di franchi. Ritenete che la ristorazione sia la chiave del successo delle vostre strutture? Sì. Nell’ultimo periodo uno dei nostri fattori di forza è stato proprio la diversificazione dell’offerta nella ristorazione. Lo scorso anno il Sunny Bar del Kulm ha proposto, ad esempio, la cucina peruviana, divenendo subito molto popolare. Non solo. Con il Kulm Country Club abbiamo dato spazio ad un nuovo concetto di ristorazione “pop up”: in cucina infatti si sono intervallati chef stellati come Daniel Humm, Nenand Mlinarevic e Mauro Colagreco, dando agli ospiti e ai residenti una scelta sempre differente. Quali sono i prossimi progetti all’orizzonte per le due strutture? Abbiamo in programma un vasto programma di riammodernamento delle camere del Kulm Hotel per l’estate del 2018 per oltre 10 milioni.

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Save the date

Un’estate A tutto festival di Cinzia Meoni

Da luglio a settembre 2017

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14 giugno - 31 luglio, Lucca Lucca Summer Festival. Dalle 21.30. Biglietti da 39 euro.

23 giugno - 27 agosto, Verona L’Arena Opera Festival. Biglietti per la prima a partire da 25 euro. Ore 21.

Giunto alla sua 20° edizione, il Lucca Summer Festival porta il meglio della musica naziona le e i nter naziona le nelle piazze di una delle città più suggestive della Penisola: Piazza Napoleone, all’interno del centro storico di Lucca. Il Festival prende il via il 14 giugno con il concer to dei Green Day. Attesi, tra gli altri, l’8 luglio Ms Lauryn Hill; il 9 luglio Ennio Morricone “The 60 yea rs of music tou r”; i l 15 luglio Robbie Williams, il 28 luglio Luis Fonsi (i l ca nta nte del tor mentone “Despacito”); il 21 luglio il Volo, il 23 luglio Kasabian e il 31 luglio, in chiusura, i Pet Shop Boys.

La 95° edizione propone 48 serate tra cui cinque titoli d’opera e tre serate di gala. Da non perdere la nuova edizione del Nabucco di Giuseppe Verdi che porterà l’opera in pieno Risorgimento italiano e l’innovativa Aida de La Fura Dels Baus.

6 - 31 luglio, St. Moritz

10° Festival da Jazz. Orari e prezzi diversi. Una località di montagna famosa per la sua bellezza paesaggistica e la sua ospitalità, una location prestigiosa, un’atmosfera magica: tutto ciò fa di Festival da Jazz un evento davvero speciale, che



riunisce a St Moritz artisti di assoluto rilievo internazionale che si esibiscono al Dracula Club, ambiente raccolto ed esclusivo ideale per favorire un feeling immediato fra musicisti e pubblico. Ai concerti al Dracula Club si aggiungono gli appuntamenti al Miles Davis Lounge del Kulm Hotel e quelli gratuiti sulla terrazza dell’Hotel Hauser e sul Muottas Muragl, per oltre 50 eventi musicali complessivi.   7 luglio - 31 agosto, Trentino I Suoni Delle Dolomiti. Orari diversi. Concerti gratuiti. Ventiquattro appuntamenti gratuiti ambientati su palcoscenici naturali incantevoli: prati, conche, palcoscenici naturali che accolgono musicisti provenienti da tutto il mondo che si esibiscono in ogni genere musicale, dal jazz alla classica, dalla world music alla canzone d’autore. Oltre ai concerti delle 13, l’edizione 2017 propone due concerti all’alba, un trekking e un nuovo progetto speciale, un festival nel festival, la Campiglio special week, per animare cime e fondovalle assieme ad importanti musicisti internazionali. Il festival prende il via con Magie d’archi in alta quota, i 12 violoncellisti dei Berliner Philarmoniker, al rifugio Fuciade in Val di Fassa, che eseguiranno brani da Boris Blacher, Julius Klengel, Astor Piazzolla, José Carlia.   14 - 18 luglio, Barolo Collisioni. Prezzi diversi a seconda dell’evento. Il Festival agri-rock si celebra nel cuore delle Langhe, un territorio ideale dove apprezzare un emozionante scenario naturale e i piaceri della buona tavola che da sempre contraddistinguono l’area. Collisioni, la grande festa popolare di letteratura e musica in collina, vede la partecipazione ogni anno di tanti scrittori e musicisti provenienti da tutto il mondo. In arrivo tra le colline piemontesi il 15 luglio Daniele Silvestri, Carmen Consoli e Max Gazzè; il 16 luglio i Placebo; il 17 luglio Robbie Williams e il 18 luglio Renato Zero. I concerti hanno luogo nella piazza principale del paese, un anfiteatro naturale circondato dalle vigne storiche 92

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dei cinque “grandi crus” del vino Barolo. Oltre alle star della scena musicale italiana e internazionale, per quattro giorni il paese diventa un palcoscenico che ospita dibattiti con premi Nobel, scrittori, giornalisti, attori, in un’atmosfera informale, di dialogo costante con il pubblico.

14 luglio, Torre del Lago

Puccini Festival. Dalle 21.15. Biglietti da 19,5 euro. La 63° edizione del Festival del più moderno compositore d’Opera prende il via il 14 luglio con la Turandot e prosegue proponendo i grandi classici pucciniani fino a fine agosto. In calendario: La Rondine, La Boheme, La Tosca e Madama Butterfly. Tra un’opera e l’altra il mare della vicina Viareggio costituisce un’attrazione irresistibile.

del mondo voluta da Fabio Zaffagnini si trasferisce da Cesena al tetto d’Europa, in Val Veny, dove, in uno scenario mozzafiato, darà vita a una due giorni a base di musica e iniziative rock.

10 - 22 agosto, Pesaro

Rossini Opera Festival. Orari e prezzi diversi a seconda dell’evento. La 38° edizione del Rossini Opera festival di Pesaro sarà inaugurata da La siège de Corinthe diretta da Roberto Abbado e con un allestimento de La Fura dels Bauls. In cartellone anche “la Pietra del Paragone”, “Torvaldo e Dorliska”, “Stabat Mater”, oltre a diversi concerti. Gli appuntamenti possono essere un’occasione per avventurarsi alla scoperta della regione e del suo mare: la stessa Pesaro è non solo città d’arte e natura (con l’oasi di San Bartolo), ma vanta una bandiera blu per il suo mare incontaminato.

Agosto, Salento

La Notte della Taranta. Orari diversi e concerti gratuiti.

21 luglio - 14 agosto, Macerata

M acer ata Oper a Fest i va l a l l o Sferisterio. Dalle 21.00. Biglietti da 25 euro. Diretto da Francesco Micheli, il Festival prende il via il 21 luglio con la Turandot. Macerata, nell’entroterra marchigiano, of fre poi l ’oppor tunità di esplorare percorsi d’arte e avventurarsi in itinerari enogastronomici particolarmente gustosi.

28 - 29 luglio, Courmayeur

Rockin’ 1000. Dalle 15. Biglietti da 19,5 euro. Dopo aver fatto sognare il mondo con l’interpretazione di “Learn to fly” del 2015 (versione che ha convinto i Foo Fighters a prevedere una tappa romagnola nel loro tour), la rock band più numerosa

Per tutto agosto il salentino sarà pervaso dal Festival della Taranta, festival itinerante dedicato alla valorizzazione ed al recupero della pizzica salentina, giunto ormai alla sua 20° edizione. Come da tradizione il festival si chiuderà a il 26 agosto a Melpignano. Il concerto di chiusura quest’anno sarà diretto dal maestro concertatore Ludovico Einaudi.

3 - 21 settembre, Milano - Torino

MiTo. Orari e biglietti diversi.

Centoquaranta concerti (di cui 69 a ingresso gratuito) nelle due città danno vita all’undicesima edizione della MiTo che, quest’anno, si ispira alla natura. Tra i direttori Semyon Bychkov, Riccardo Chai l ly, M i k ko Franck, Gianandrea Noseda e Daniele Rustioni. Tra le orchestre, la Gustav Mahler Jugendorchester, protagonista dei concerti inaugurali, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, l’Orchestra del Teatro Regio di Torino e l’Orchestra Filarmonica della Scala. Da non perdere le giornate dedicate ai cori, il 9 settembre a Milano e il 10 a Torino.


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aspettatevi tanto. Federico Buffa - Germano Lanzoni - Marco Montemagno - Giuseppe Brugnone - Daniele Cassioli Paolo Milanoli - Cosmano Lombardo - Giuliano Ambrosio - Matteo Sarzana - Daniele Radici e tanti altri...

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Save the date

Coming soon di Cinzia Meoni

Gli appuntamenti fieristici da mettere in agenda per non perdere opportunità di aggiornamento, crescita, business, networking.

22 - 24 luglio, Mare d’Amare Fortezza da Basso, Firenze Organizzatore: Toscana d’Amare srl Contatti: Tel +39 055 703975 Web: maredamare.eu Mare d’Amare è l’anteprima europea del Beachwear di Alta Gamma giunta oramai al suo decimo anniversario. L’evento permette di cogliere in anticipo le novità più importanti che caratterizzeranno le collezioni mare dell’anno che viene.   20 - 26 agosto, Meeting per l’amicizia tra i popoli Fiera di Rimini Contatti: Tel 0541 783100 Web: meetingrimini.org   1 - 3, Ambrosetti Forum Villa d’Este, Cernobbio La partecipazione è prioritariamente riservata ai membri dell’Ambrosetti Club COS’È “Lo scenario di oggi e di domani

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per le strategie competitive”. Il forum, nato nel 1975, è un appuntamento noto a livello internazionale e richiama capi di Stato e di Governo, Ministri, imprenditori, manager, premi Nobel ed esperti di tutto il mondo che si confrontano sui temi di maggiore impatto per l’economia globale e la società nel suo complesso. CHI NON DEVE PERDERSELO Imprenditori, vertici dei maggiori gruppi nazionali e internazionali, politici o aspiranti tali, economisti. Se si ha l’opportunità, saltare l’appuntamento sarebbe un delitto.   1 - 3 settembre, Fiera di Sant’Alessandro, Bergamo Fiera di Bergamo - Organizzazione Ente Fiera PromoBerg Contatti: Tel +39 035 3230911 Web: bergamofiera.it La Fiera di Sant’Alessandro è uno dei maggior appuntamenti dedicati alla zootecnica, all’agricoltura e all’equitazione.


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6 - 7 settembre, Farete Fiera di Bologna Contatti: Tel +39 051 6317322 Web: farete.confindustriaemilia.it Farete è un evento nato nel 2012 che si propone come “meeting point delle imprese”, un luogo di incontro, una vetrina e un’occasione concreta per sviluppare opportunità di business.   8 - 10 settembre, Birrafacendo Lingotto Fiere (Padiglione 1), Torino Contatti: Tel +39 393 3302632 Birrafacendo è la prima fiera dell’Homebrewing, ovvero della birra fatta in casa, artigianale, e si pone l’obiettivo di diventare il punto di incontro tra coloro che operano nel settore.   9 - 11 settembre, Rimini Arte Fiera di Rimini – Organizzazione Nord Est Fair Contatti: Tel +39 049 8800305   9 - 17 settembre, Fiera del Levante Fiera di Bari Contatti: Tel +39 080 5366; 329 359396 (salone dello shopping); . +39 080 5366; 398 359396 (salone dell’edilizia abitativa); +39 080 5366; 315 398396 (salone dell’arredo) Web: fieradelelvante.it L’evento, giunto ormai alla sua 81° edizione, è considerata la fiera “Campionaria di settembre”. Grazie alla ‘Borsa degli affari’, la Fiera promuove i contatti fra espositori del mercato centromeridionale, del sud est euro-

peo e, in generale, dell’area mediterranea.   9 - 17 settembre, Salone del Camper Fiere di Parma Contatti: Tel +39 0519961 Web: salonedelcamper.it Il Salone del camper è la seconda più importante manifestazione europea del caravanning e del turismo en plein air.   15 - 18 settembre - HOMI, il salone degli stili di vita Fiera di Milano, Rho Contatti: Tel +39 02 49971 Web: homimilano.com Il salone è interamente dedicato alla persona, agli stili di vita e agli spazi. Si tratta di una nuova idea di fiera da scoprire che ruota intorno alla “casa a 10 dimensioni”. CHI NON DEVE PERDERSELO Interior designer, architetti, fornitori e buyer concentrati nel mondo dell’arredo per la casa in tutte le sue declinazioni.   15 - 18 settembre, CosmoBike Fiera di Verona Segreteria Organizzativa: Veronafiere Cosmobike Show Contatti: Tel +39 045 8298019 Web: cosmobikeshow.com CosmoBike è la principale fiera dedicata al mondo delle due ruote, da quelle tradizionali “muscolari”, citybike o mountain bike, alle innovative bici elettriche fino alle fat bike Quello della bici p un business trasversale e in costante crescita e con appassionati pronti a spendere cifre anche importanti per migliorare le proprie prestazioni. L’evento richiama oltre 10mila operatori professionisti e più di 60mila visitatori.  17 - 20 se t tembre, T heM ic a m , Esposizione Internazionale della calzatura Fiera di Milano, Rho Contatti: Tel +39 02 43829 Web: themicam Il Micam è una delle principali manifestazione fieristica internazionale dedicata alle calzature. Si svolge due volte l’anno, solitamente a marzo e a settembre, quando vengono presentate, rispettivamente,

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le future collezioni autunno-inverno e primavera-estate. L’evento riunisce i più importanti espositori, produttori, buyer nazionali e internazionali del settore. I numeri sono particolarmente interessanti: 1600 espositori provenienti da 30 Paesi e 35mila visitatori professionisti.   17 - 20 settembre, Mipel - The Bagshow Fiera di Milano, Rho Contatti: Tel +39 02 584511 Web: mipel.it Mipel TheBagShow rappresenta l’evento internazionale più importante dedicato alla pelletteria e all’accessorio moda e si propone come una vetrina prestigiosa per le aziende di settore.   22 - 25 settembre, TheOne Milano Mufur, Mipap Viale Scarampo, Milano Contatti: Tel +39 02 76993315 Web: theonemilano.com   20 - 26 settembre, Milano Moda Donna Primavera/Estate 2018 Contatti: Tel +39 02 7771081 Web: cameramoda.it Milano Moda Donna è l’evento il principale organizzato da Camera Nazionale della Moda Italiana. Con i suoi due appuntamenti all’anno e una rete di migliaia di operatori del settore coinvolti, le sfilate della collezione donna sono il momento più atteso dal fashion system internazionale. Milano ospita più di 170 sfilate e presentazioni promuovendo le maison che hanno reso celebre il Made in Italy nel mondo e supportando i nuovi talenti che fanno del mondo della moda un ambito in continua evoluzione.   22 - 25 settembre, WHITE Via Tortona 27, Milano Contatti: Tel. +39 02 3459278 Web: thewhiteshow.it   23 - 25 settembre, Super - di Pitti Immagine The Mall, Piazza Lina Bo Bardi, Milano Contatti: Tel +39 055 3693241 (Accessori); +39 055 3693434 (abbigliamento) Web: pittimmagine.it


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