La Camera Chiara 2/2015

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bimonthly newsletter

CAMERA

CHIARA

2/2015


contaminAzioni

Marco Solari :un’Esperienza da NON perdere!

Arch. Marco SOLARI, “tentacolare” Custode della memoria di SCARZUOLA, La Città Esoterica ...Enigmatica affascinante, piena di prospettiva e sempre nuova esattamente come la nostra storia. Architettura allo stato puro è come se lo spazio fosse stato confezionato su misura, qui si avverte fisicamente quello che Buzzi chiamava “il pensiero dell’insieme ordinato”, cioè il percorso intellettuale che ha ideato ogni dettaglio e lo ha reso esatto, insostituibile, come geometrie tridimensionali perfette, come sintesi della filosofia del progetto. La Scarzuola è un manifesto ideologico, quanto meno una dichiarazione di stile di serietà, sobrietà solidità, insomma, l’arte di essere e non sembrare. Con questa “città del pensiero” Buzzi è riuscito ha trasformare la segretezza in evidenza, la sicurezza in armonia, e rendere bello anche il poco comprensibile. Un circuito fatto di incastri dove si può vedere una parte di Paradiso che può essere l’uscita da un luogo buio verso una fonte

di luce che si scorgere un reticolo di rapporti spaziali che si trasforma in reticolo di rapporti umani. I locali vicinissimi, si compenetrano come in un condominio incantato di storia, pensiero e poca abitualità, come dire: se cercate il già visto avete sbagliato indirizzo. Bello, ma scomodo o, scomodo ma bello a secondo dei punti di vista., la prima salita indica il cammino dell’uomo verso la salvezza. L’impressione per chi entra è di grande armonia, in realtà non c’è niente di simmetrico, le pareti non soni parallele, colonne e pilastri sono diversi e persino i muri sembrano andare ognuno per conto suo. Dunque un disordine che si risolve in armonia nella quale c’è posto per ogni cosa comprese le bizzarrie della natura che piano piano si riprende tutto ciò che gli era stato momentaneamente tolto... Renato Nenci


“…più diventa tutto inutile e più credi che sia vero. E il giorno della fine non ti servirà l’inglese…” IL RE DEL MONDO – Franco Battiato

si fa presto a dire

PARLIAMO DI FOTOGRAFIA di Pico de Paperis

“ Oggi le persone sono così sole che, come Eva, pur di parlare con qualcuno, fanno amicizia col primo ignoto serpente che passa…..” Gigi Lusini

Affrontando qualsiasi argomento oggi non ci si deve preoccupare solo di essere chiari e precisi. Ma anche sempre più “mirati”. E’ anche vero che il citatissimo Jakobson l’aveva già detto nei “mitici” anni ‘60 che il Messaggio doveva essere confezionato “su misura” per il Destinatario, se il Mittente voleva che quello potesse afferrare il contesto e il significato della comunicazione. Ma chi potrebbe negare che il mondo sia sempre più diviso in DUE e che da sempre le COSE hanno dal “principio” avuto due facce? Dalla querelle primitiva fra Michele e Lucifero agli scritti esoterici e non del mio amico Aristotele. Dall’ormai universale duo Yin & Yang al dilemma “Barabba o Gesù chiamato il Cristo?” (con finale facilmente intuibile una volta tanto). Dalla simbologia bifacciale della Commedia di Dante ai vari livelli della simbologia dei “libri di pietra”, le Cattedrali e chiese, specie nel Medioevo. Addirittura la notissima favola di Pinocchio,

tradotta anche dal grande cinema di Walt Disney (!) è ormai accertato che “parli” in maniera molto diversa a lettori “diversi”. Tutto questo per aver ormai evidente che non si può adottare un linguaggio univoco per parlare di Fotografia (e certamente anche per definirLa) a Destinatari che


usata. E invece, grazie alle tecniche di comunicazione, “UNO” spessissimo viene convinto a “… dare una possibilità al nuovo che sembra avere veramente la voglia di fare davvero e determinazione di lavorare finalmente per il nostro interesse…”. Inutile nascondersi dietro ad un dito: i nostri Michele e Lucifero (????!!?) esemplari soggetti di due diversi filoni di comunicazione sono i Due Mattei: Renzi e Salvini. Titolari ormai, anche se non originali, ci mancherebbe, della Cattedra di Comunicazione Politica. Per presenze, se non per contenuti. Loro perseguono stili e sembrano trovare un minimo comun accordo (denominatore) solo davanti all’acquario trasparente quando a galleggiarvi sono “novelli gladiatori” (calciatori pagati a peso d’oro) o “raffazzonati aedi” (cantanti sanrenesi, passive pedine delle Major). Dobbiamo quindi ispirarci al genere principe della comunicazione, almeno in Italia, La Politica, in fin dei conti “amministrazione delle diversità”. Per ridurre sinteticamente a due grossi filoni i tipi di messaggio che vengono usati per la persuasione più diabolica che si sia sviluppata negli ultimi decenni: convincere la gente, la popolazione, a dare fiducia a personaggi da cui uno, nella vità “reale” non comprerebbe certo una macchina

metodologie completamente diverse ma i sondaggi sembrano confermare e premiare la loro efficacia. Almeno virtuale. Il

Matteo Rignanese, sicuramente vispo e furbino alla toscana (??!) per la sua comunicazione si rivolge ad un “segmento” moderato e benpensante. Pavido. Il magma trasversale italiano, da sempre insicuro e timoroso, che perdona la bugia evidente per il timore del salto nel buio (???!?) Del Caos. E la sua tecnica diretta, detta centrale, pur nella fretta e conseguente faticoso (da seguire) accavallamento degli annunci, si serve di contenuti chiari, ragionevoli e rassicuranti, (La CRESCITA!). Temi e argomentazioni registrabili razionalmente dal Destinatario. Il Matteo padano, certamente più rozzo per natura e anche per scelta, si rivolge ad un target più gastroenterico, altrettanto a modo suo benpensante, ma riferendosi a valori e simboli confusi (secessione e nazionalismo spudoratamente coabitanti) e per assurdo, universali. Gente che ha indossato per anni corna celtiche e fazzoletti e camicie verdi necessitano per essere “raggiunti” di una tecnica più folkloristica (indiretta) detta periferica, che usa felpe, magliette, foulard e slogan scarni e quando va bene stravaganti. Oggetti vagamente transazionali che costituiscono scientemente solo cornice, confezione di un discorso che spesso non ha bisogno nemmeno di contenuti chiari. Che anzi sovraccaricherebbero il potenziale ricettivo dei Destinatari di


TITOLO: ...il 56 fuji...!!!

orpelli inutili per menti manichee e abituate a ragionamenti tipo due+due. Una specie di tecnica diagonale facile per guidare menti pigre verso un miraggio di elementare sopravvivenza in una “popolazione” che, come la mafia, magari si ostenta credente ma che dovrebbe essere stigmatizzata per prima dalla Chiesa per la totale mancanza di umana solidarietà. In definitiva, una comunicazione colorita e squillante come una Matrice di Bayer per un Ricevente che come un sensore digitale “vede” solo e comunque in BN. Un bella capriola con carpiato per “tornare” alla Fotografia, non credete? Eh eh Ma per chi si occupa “caparbiamente” di linguaggio (Alla ricerca del Punctum perduto, ricordate?) non sfugge che ormai il popolo di coloro che usano gli strumenti atti a copiare o interpretare in qualche modo la realtà, come il popolo degli elettori politici, era, è e sarà sempre diviso in due. Forse non atavicamente al 50% come il “popolo delle urne” (nel risultato, non nella preoccupazione di partecipare ad un diritto dovere) ma ormai fra coloro che si interessano di immagini (come si vede faccio uno slalom verbale per non usare genericamente la parola Fotografi) ormai si è stabilito un crinale difficilmente valicabile. Un segmento (per generalizzare alla maniera dei sondaggisti) dalla tipologia che per usare una sineddoche, si potrebbe identificare nei gruppi “monomarca” aperti o chiusi, che servono solo per sottoporre (?), spesso ipocritamente, delle fotine cartolinesche e banalotte nella maggior parte (le eccezioni ci sono sempre ma non fanno statistica) ostentando dati tecnici (macchina, dati di scatto, lente usata) che servono solo a far saper al gruppo il grado e l’attualità del materiale usato. E più sono “rari” e costosi e più strappano like e gridolini di meraviglia e ammirazione da “colleghi” il cui livello è facilmente intuibile. Con miti che cambiano con le mode (mito attuale: il bokeh). Ora appunto vanno fortissimo le ottiche molto luminose, forse per un contrapporsi consapevole o meno alla anomala


©Alessandro Pagni -Ultima glaciazione 9

profondità delle APS, compatte e telefonini. Un obbiettivo luminoso ti fa “più bravo e “ammirato”(...il 56 fuji!). E questo fa figo, si sa. Nel tempo dei selfie. Anche se gli effetti pratici sono per lo più estetici, leziosi e inutili. Ma per chi pensa che le fotografie “belle” le fanno le macchine, capirete, è rilevantissimo avere l’ultimo modello e tutti i top di gamma. Dall’altro versante (segmento)…un altro mondo. Dove si parla di Fotografia come forma di espressione. Di comunicazione. Dove non importa il mezzo ma il fine. Nel nostro Magazine abbiamo ospitato gente come Alessandro Pagni, Tiziana Nanni, Nicola Pinna, utilizzatori della Fotografia. Per dire, raccontare e provocare qualcosa di più di un semplice e sprovveduto “WOW”. E potendo continueremo su questa strada. Confortati anche da quanto espresso in uno degli ultimi articoli sul suo Blog, da Efrem Raimondi (foto-filosofo che consideriamo uno dei nostri Mentore) in cui ha scritto: L’errore in cui OGGI spesso si incappa, è di pretendere una fotografia senza fotografo. E si vede. Perché fotografo definisce una persona che ha un’idea di fotografia. Non uno che fa fotografie. E più l’idea, l’architettura, è precisa più lo riguarda. E lo identifica. E anche questo si vede.** Ecco, come grande esempio di Metonimia, penso che questo possa bastare. I confini sono segnati. Quindi gira gira siamo tornati al dilemma iniziale: Michele o Lucifero Yin o Yang, Gesù Cristo o Barabba. Basta scegliere. Ma, mi raccomando. Siate convinti. Pensate che casino è venuto fuori dalla scelta emotiva di Barabba. Se il popolo avesse scelto il Figlio del falegname….sarebbe stata tutta un’altra storia, non credete? E allora un attimo di concentrazione, please, e poi…VIA: Sineddoche o Metonimia e ognuno per la sua strada. Accessori del Mercato con Mangiafuoco Re del Mondo o Esseri Pensanti e Responsabili (dei nostri “lavori”) con la Fata Turchina? Inutile restare nel mezzo al guado. Poi, se ci incontriamo, bene. Sennò, ….non dite che non ve l’avevo detto. :-) PdP

*sfocatura ottica derivata dal tipo di progettazione/costruzione dell’obbiettivo (che o è vintage recuperato da qualche mercatino oppure costa il triplo del corrispondente meno luminoso) **Bad Boys - Bad Photography Posted on 28 marzo 2015 E.R..............efrem raimondi blog


Q COME CULTURA

ryan mcginley:

la poesia gioiosa del nichilismo di Alessandro Pagni

©Ryan McGinley, Jonas Barn Snow Disco, 2008

unfototipo.com

C’è un momento esatto in cui una cosa improvvisamente prende vita, diventa di colpo necessaria e cresce trasformandosi in un progetto, un amore, un’amicizia o un’avventura da rievocare negli anni che verranno. Nella memoria, partiamo sempre da quel “fermo immagine”, per rivivere la vicenda che ne è scaturita: un film still

onirico (o lucido), che mette in moto un ingranaggio del nostro cervello e dà vita alla proiezione di un ricordo. Così certe fotografie si fermano in un angolo della nostra “soffitta” e lì restano in attesa, fino al momento in cui diventano l’innesco per qualcosa che anni dopo trova la strada per “significare”. Bathtub di Ryan


McGinley è una foto del 2005, che mi è capitato di vedere, non so bene dove, verso la fine del 2008, in un momento particolare della mia vita, in cui stava mutando la percezione di molte cose, fra cui le stesse idee che mi portavo a presso riguardo al mondo della fotografia. Questa immagine era transitata davanti ai miei occhi, rubandomi un respiro, non di più, per poi passare oltre e trovarmi a considerarla di nuovo in un secondo momento. Quanto è lungo il tempo di un respiro? Provateci. Pochissimo. Ma abbastanza per inciampare in un battito anomalo, che somiglia a un segnale, alla richiesta di fermarsi un secondo e prestare attenzione (“guarda bene” ci intimava John Szarkowski sulla copertina del catalogo della mostra The Photographer’s Eye ). Torniamo indietro allora a questo scatto.

©Ryan McGinley, Bathtub, 2005

Qui si condensa tutta l’essenza del giovane fotografo newyorkese, la sua dichiarazione di intenti, un affaccio sul suo pensiero, una finestra per noi e per lui forse uno specchio.

Una vasca piena d’acqua, che il bilanciamento ci fa intuire calda e il tempo lungo dell’otturatore rende i corpi scivolosi e leggermente rarefatti, morbidi come il vapore che si appiccica languido alle piastrelle. E quanta gioia c’è in questo intreccio giocoso di corpi che, neanche per un secondo, trasmette sentimenti torbidi. È un mondo che non ci appartiene e che vorremmo. Se voltiamo troppo in fretta pagina è solo perché non possiamo farlo nostro, e ci attraversa le tempie un sentimento di stizza, per questo grappolo d’uva troppo in alto per il nostro slancio fiacco. Niente è più reale di quelle risate così piene e rumorose, eppure niente è casuale, dalla citazione (voluta o meno) di The Dreamers (2003) di Bertolucci a quella linea sinuosa che parte dal piccolo morso che il giovane a destra lascia sul piede della ragazza sdraiata sui presenti, fino alla diagonale opposta che passa dalla sua bocca, evidenziandone la reazione. Mentre la selva di gambe e le teste divertite degli altri soggetti, scandisce il ritmo della scena. E tutto gocciola e guizza, andando a infradiciare i nostri pensieri. Nato nel 1977, Ryan McGinley, comincia a fotografare nel 1998 insieme all’amico Dash Snow, defunto artista talentuoso e controverso, con cui condivide l’iniziale e compulsiva passione per la Polaroid, dedicandosi entrambi all’aspetto privato e personale della pratica fotografica. Nel 1999, al 420 West Broadway di Manhattan, luogo culto dell’arte contemporanea americana, famoso per aver ospitato le gallerie di Leo Castelli e Ileana Sonnabend e ridotto a edificio in ristrutturazione, tiene la sua prima mostra da cui scaturisce il libro autoprodotto The Kids Are Alright. A venticinque anni (nel 2003), le sue opere vengono esposte al Whitney Museum of American Art: i suoi primi soggetti ruoteranno attorno ai writers, skaters e gay della zona bassa di Manhattan. In breve tempo passa dalla documentazione svelta e decisamente street dell’underground newyorkese alla costruzione di immagini ponderate e concepite con cura (dal 2006), scegliendo meticolosamente modelle


©Ryan McGinley, Marcel, Ann & Coley, 2007 ©Ryan McGinley, Dakota Hair, 2004

e locations: questa produzione verrà realizzata macinando miglia su miglia insieme a soggetti e assistenti, col fine di trovare i luoghi perfetti per i suoi concepts e investendo moltissimo in termini economici e di scatti. Nel 2007 viene insignito del Young Photographer Infinity Award dall’International Center of Photography di New York. Fra le molte cose sarà anche Photo Editor di Vice, imponendo in modo così marcato la sua attitudine, da conferire alle immagini selezionate per la rivista, l’impronta che l’ha resa così popolare. Nell’arco di pochi anni, pur evolvendosi a velocità vertiginosa, si


Le immagini che realizza, come un ponte attraverso cui gli altri possono raggiungerlo e comprenderlo, miscelano aspetti della sua vita con ciò che conosce, con tutto quello che la storia del medium fotografico gli ha insegnato. Quello che proviamo davanti a questi momenti di pura vitalità è problematico, perché inevitabilmente ci impone un confronto con la nostra esistenza: questa perdita di valori, questo rifiuto delle regole, questo egoismo così puro, hanno il sapore di una splendida liberazione, di un alleggerimento dai pesi imposti dalla nostra condizione di animali sociali

©Ryan McGinley, Matt (Scar), 2010

©Ryan McGinley, Sam (Ground Zero), 2001

©Ryan McGinley, Dash Bombing, 2000

fa conoscere per uno stile inconfondibile e innovativo che trova le sue radici nell’approccio “diaristico” di Nan Goldin, ma proiettato oltre, verso una ricerca formale ed estetica di ben altro genere. Quella che ci mostra non è la vita com’è, ma come la vorrebbe, come dovrebbe essere: un susseguirsi di esplosioni di luci, energia e assenza di paure. Il comune denominatore delle sue opere è la celebrazione della giovinezza al di fuori della società grigia e incasellatrice: se in un primo momento lo fa documentando l’underground della sua metropoli, negli anni successivi il suo stile perde questo carattere reportagistico, per diventare veicolo di un’idea di libertà senza confini (sensazione amplificata dai paesaggi di ampio respiro in cui si muovono i suo soggetti).


ŠRyan McGinley, Parakeets, 2010


©Ryan McGinley, Jessy, 2006

incorniciato dal finestrino di un autobus (così cinematografico in quel paesaggio sconfinato) mentre corre nudo, come uno spirito sfuggente e affamato di vita, un attimo qui e l’attimo dopo lontano, oltre l’orizzonte. Un’ultima fotografia ancora, il capolavoro Jonas Barn Snow Disco del 2008: “l’eterna luminosità di una mente immacolata” mi verrebbe

da dire, parafrasando il pensiero di Alexander Pope e il bel film di Michel Gondry, credo non ci sia un modo migliore per definire sia uno scatto del genere che, nella sua totalità, lo sguardo di questo grande fotografo. A chiusura delle considerazioni fatte, vorrei usare le parole di un altro spirito puro, Alda Merini, troppe volte incatenato e messo a tacere.

©Ryan McGinley, Alex (Hurricane), 2010

©Ryan McGinley, Tim (Black Eye), 2005

e da quel senso ultimo (della vita?) da dare a tutto ciò che facciamo, la cui sacralità e seriosità pareva inespugnabile. Non lo è. McGinley ci mostra un mondo sconsiderato e possibile, dove un attimo prima le ore passano febbrili, frenetiche, e un attimo dopo tutto rallenta, fino quasi a fermarsi, per considerare piccolezze infinitesimali che i suoi amici (che siano modelli reclutati o veri conoscenti, li chiama per nome e ce li fa percepire come tali), la sua gente, contempla con sguardo limpido e deliziosamente egoista. Penso a Jessy (2006), con gli occhi grandi, nel mezzo di un discorso intimo a due, con un interlocutore che non vediamo, ma che invidiamo per essere la destinazione di una richiesta che sembra uscirle dalle labbra; o Tim (2005), che ostenta come un giovane guerriero, il suo occhio nero, nel crepuscolo abitato da silhouettes, che assomigliano a lottatori e danzatori al contempo, presi da un’estasi tribale. Guardiamo Alex (2010), la forza devastante che frappone alla tempesta che lo sta investendo e ne racconta un’altra interiore; confrontiamolo con Tom (2010), con la sua fragilità delicata e lo smarrimento nello sguardo. Questa è la tribù di Ryan McGinley, la sua gente, il suo popolo, i suoi fratelli e sorelle, lontani da incombenze quotidiane, lontani da un tempo che se li divorerebbe, per sempre liberi e in salvo. Con quel nichilismo esistenziale così spensierato, quanto è bello guardarli e ammettere di detestarli per la loro noncuranza: come Coley (2007),


Il suo sperma bevuto dalle mie labbra era la comunione con la terra.

Bevevo con la mia magnifica esultanza guardando i suoi occhi neri che fuggivano come gazzelle. E mai coltre fu più calda e lontana e mai fu più feroce il piacere dentro la carne. Ci spezzavamo in due come il timone di una nave

che si era aperta per un lungo viaggio. Avevamo con noi i viveri per molti anni ancora i baci e le speranze e non credevamo più in Dio perché eravamo felici.

Alessandro “J” Pagni

ascolto: eels, mistake of my youth

unfototipo.com

©Ryan McGinley, Coley (Running Raimbow), 2007

La poesia è Il suo sperma, tratta da Clinica dell’abbandono (20032004) e credo si adatti bene a quella libertà, a quell’autodeterminazione senza rimorso che un po’ invidiamo agli uomini e alle donne di Ryan:


nonsolofoto

I MARAGNI (al completo)

da sinistra: Capperi, Alessandro “Jedi� Pagni, COStanza Maremmi e Daria illustrazione by Clizia Corti


CINEMA & FOTOGRAFIA alla Bottega il 10 aprile 2015

pittorialismo e nuova visione senza controindicazioni: photostory in pillole di Costanza Maremmi Continuano le pillole di Storia della Fotografia proposte da Arte e confezionate dal Centre Pompidou (trasmesse su LaEffe) con la regia di Stan Neumann. Questo bimestre ci occupiamo di due approcci alla fotografia, ancora giovane e entusiasta delle proprie possibilitĂ , se vogliamo opposti, ma entrambi caratterizzati da coerenti e


peculiari modi di guardare il mondo. Il primo, il Pittorialismo, porta avanti, come è naturale che sia per un’immagine bidimensionale con pochi natali alle spalle, quel dialogo difficile da abbandonare con la pittura. In questo caso portato avanti con particolari scelte di stampa (cianotipia, gomma bicromata), stratagemmi ottici (obiettivi che accentuano l’effetto flow

impalpabilità, ben lontani dalla precisione e dall’attendibilità che la pratica fotografica aveva promesso fin dagli esordi. Vedremo, nella veste di “pittori fotografici”, i futuri giganti del panorama fotografico Alfred Stieglitz e Edward Steichen, oltre ad altri grandi personaggi come l’italiano Guido Rey, i francesi Robert Demachy e Gustave Le Gray, o

e la sfocatura dell’immagine) e interventi di manipolazione successivi allo scatto, volti ad accentuare quel senso di evanescenza e

l’americano Frank Eugene. Unica grande assente di cui purtroppo il filmato non parla, per quanto riguarda la stagione romantica del pittorialismo,


CINEMA & FOTOGRAFIA alla Bottega il 10 aprile 2015

è l’inglese Julia Margaret Cameron, artista dalla grande sensibilità e dolcezza. All’opposto di tutto questo mondo rarefatto, così nostalgico e volto al passato, il secondo episodio, dal titolo Nuove visioni, ci catapulta verso il futuro dell’arte fotografica, verso un guardare smaliziato, sicuro di se nel distruggere ogni regola, nel prendere le distanze dalla pittura e guardare a un futuro in fermento. Pionieri di questa stagione irripetibile, tanto ricca di idee da essere ancora guardata e riprodotta all’infinito oggi, da ignari fotografi convinti di aver inventato qualcosa che, al contrario, compie ormai un secolo di vita, sono i membri delle più importanti avanguardie d’Europa come, László Moholy-Nagy e il Bauhaus tedesco del primo trentennio del ‘900 o Aleksandr Michajlovic Rodcenko e il Costruttivismo Russo dei primi venti anni del secolo scorso. Con questi personaggi le visioni si fanno nuove, i piani obliqui, lo sguardo punta in alto verso la grandezza opprimente o in basso verso la vertigine di un città che si sviluppa in altezza. Su tutte spicca la visione intrigante del tedesco Umbo, estremamente moderna e lungimirante, se pensiamo che le sue registrazioni di ombre proiettate sulla strada viste dall’alto, indagano il medesimo gioco ottico che è valso al fotografo Tomas van Houtryve un premio del World Press Photo 2015 per la sezione

Contemporary Issues con la serie Blue Sky Days. Si utilizzano doppie esposizioni, collages e montaggi fotografici, obiettivi estremamente dinamici e nuovi per il periodo, come il Fish Eye. Si celebra il progresso e l’uso della macchina, che diventa un modello da imitare: doppie esposizioni, richiami alla matematica e alla geometria, all’ingegneria, alla tecnica, il trionfo della linea retta. C.M.


Soci del FotoClub AVIS Taverne - Incontri su “Sistema Zonale & Digitale


INDOVINA CHI VIENE?

con la Natura nel...sangue Giacomo Pianigiani

di Gigi Lusini

una sera. dopo cena. con gli amici del fotoclub avis taverne..... (intorno ad un tavolo, stasera, sperando di non dimenticare nessuno - sennò perdonatemi - Il BOSS Stefano Nardi, Giacomo Pianigiani, Sandro Mattei, Roberto Zeppi, Simone Priori, Sara Nardi, Ivana Veneri, Luca Franci, Giulio Mazzini, Federico Collini‌ )


Giacomo Pianigiani Simone Priori

Gigi: Intanto GRAZIE a tutti gli intervenuti.. Ma soprattutto a Giacomo che per primo mi ha dato la sua disponibilità per un cammeo nella nostra Camera Chiara. E’ infatti grazie alle sue immagini sulla vs pagina FB che ho “notato” la sua, e la vostra, (anche se non a senso unico) predilezione per la foto naturalistica. E siccome non è un genere diffusissimo da noi (forse perchè richiede un minimo di impegno, se non di sacrificio) ho pensato che poi potreste venire tutti a farci una bella proiezione “corale” una sera a La Bottega. Poi conoscendovi meglio, dopo le serate “insieme” sul Sistema Zonale dove ho potuto apprezzare la Vs ospitalità e simpatia, ri-ospitarvi mi sembra proprio il minimo. Ma intanto parliamo un pò di questa....NATURA secondo il FotoClub Avis Taverne...:


Sandro Mattei


Ivana Veneri

Premetto che io non ho particolarmente la vocazione per gli animali. Piuttosto per le cose che si muovono. Spiego meglio. Siamo qui in questo flusso di elettroni che si chiama vita e si va avanti.Come un FIUME vediamo molte “cose”, spesso senza poterci fermare, e le cose più belle ci lasciano sensazioni “insoddisfatte”. Per me il Vento, l’Acqua e la Vita (strana) delle persone. Non la Mia Vita. Pensare di stare seduto 18 ore in aereo... mi butto di sotto! Pensare di stare fermo…. Mi affascinano i FLUSSI…. Gli uccelli che sono la copia del vento. Volano ma si lasciano anche portare dal vento. Il vento non si può fotografare, fotografo gli uccelli. Questa è la mia maniera di interpretare la Vita, la Natura...

Luca Franci

Ma parliamo delle Vostre Fotografie. Le ho viste. Sono belle. C’è una scelta in qualche modo. Sarete andati a cercare... Se uno decide di andare alle saline di Comacchio invece che al carnevale di Venezia, fa già una scelta di campo. Questo è l’inizio di una piccola discussione. Sarebbe bello se ognuno di Voi, (partendo da Giacomo, che farà da mentore, diciamo) si raccontasse un pò... Allora, Giacomo: la Natura perché? Sei un ex cacciatore? Giacomo: il motivo è che mi affascinano gli animali soprattutto quelli selvatici. Anche perché sono più difficili da riprendere. Un gatto spesso sta fermo. Un animale selvatico se ti sente se ne va. G: quindi è una caccia? Fotografi tutto quello che capita o vai con il capanno? Giacomo: è una caccia. Una caccia fotografica. E fotografo quello che capita. G: Invece Te, Sandro, per le foto che ci fai vedere, penso andrai con il capanno.... Sandro: Si. Io fo sia caccia itinerante che alle oasi Lipu e WWF o con il capanno in posti dove prima sono stato. A me piace anche tutto quello che


Sandro Mattei


Simone Priori

precede la fotografia. Andare a cercare un posto, richiamare gli animali con semi di girasole, andando lì una sera sì e una no a dare da mangiare nelle mangiatoie. Poi quando vedi che comincia ad esserci movimento, alzarsi una mattina alle 4, mettere il capanno lì (perché bisogna sempre capire che dalla parte di là c’è un essere anche se piccolino che ti vede e sente benissimo). Premetto che io fotografo solo gli uccelli. E poi mi piace anche lo studio di questi animali. Documentandomi sui libri, in internet, andando a vedere che animali sono, migratori, non migratori, come vivono, come si riproducono e così è nata questa passione per la fotografia degli uccelli. Ho le chiavi di un’oasi, ci posso andare quando voglio. E poi ho i miei posti, come i cacciatori , che tengo segreti…. G: (..e anche io mi comporto così nella pesca. Dopo una catastrofica esperienza in Val d’Aosta di pesca a mosca ho impiegato un anno di studio per passare a mosche “diverse”..)... quindi ci vuole un progetto? Sandro: Si. Almeno io fo così, come mi hanno insegnato altre persone esperte. Cercando il posto, un laghettino, cercando di vedere se c’è il Martin Pescatore. Se non ci sono pesciolini non c’è il Martin Pescatore (che pesca NdR).


Mattei: l’anno scorso nell’Oasi dove vado io a Sesto Fiorentino c’è stata la riproduzione, che in tutti questi anni non era mai successo. E c’è stata la possibilità di vederli nel nido, quando il maschio corteggiava la femmina e le portava i pesciolini. Insomma ci sono state molte situazioni interessanti e belline. Poi il Martin Pescatore è di suo un animale interessante, piccolo nelle dimensioni con una velocità pazzesca. G: anche io ho tentato di riprenderlo sul “mio” Lago di Pontecosi, in Garfagnana. Ma non è stato per niente semplice...Mahhh Voi altri? Chi di voi è la risposta meno professionale al Mattei? Quello che va lì e “do cojo, cojo..” Giacomo: io per esempio! Non ho molto tempo. Quando lo trovo prendo la macchina, vo in campagna, se capita fotografo, sennò no. Quasi sempre capita che quando non ho la macchina fotografica trovo qualche cosa di interessante. Mi sono capitati lungo l’Arbia due scoiattoli, sono stati un quarto d’ora davanti a me a rincorrersi e io non avevo la macchina fotografica. Ci sono riandato due volte e addio scoiattoli.... G: Altri?

Giulio Mazzini

G: ho visto tue foto veramente belle di Martin Pescatore


Giulio Mazzini

Ivana Veneri

Giacomo Pianigiani

Luca Franci


Giulio Mazzini

Simone: anche a me piace molto la fotografia naturalistica, intesa da come paesaggi, ambiente o animali. Non tanto gli uccelli per cui non sono portato. Però anche io come Giacomo per ora lo vivo come momento di svago, fare una passeggiata, portarsi dietro la macchina e se capita fotografare qualcosa. Poi ho avuto la fortuna di viaggiare un po’, andare in Africa, Australia, luoghi dove animali da fotografare ce ne erano… per me la fotografia è una divertimento G: quindi, riportare un’impressione dell’ambiente Simone: sì, diciamo che ci sono situazioni che mi piacciono molto vorrei farlo vedere anche agli altri. La bellezza di un ambiente, la bellezza di quel momento.

Sandro Mattei

Simone Priori

G: e come Mattei riesce a volte a beccare un martin pescatore, a te riesce “fissare” l’emozione che provi? Ce la rivedi nelle tue fotografie o no?


Sandro Mattei

Simone: io sì, non so se gli altri ce la rivedono. Perché sai uno quando fa la foto e dopo la riguarda, ricorda tutto. Mentre chi non c’è stato… G: ma la fotografia è dedicata solo a noi? Simone: No ma hai capito? L’approccio è diverso. Io non so se riesco a trasmettere.. Sara (moglie di Simone): Ma con il tempo ci sei riuscito, dai. Nelle prime volte no, ma con il tempo, direi proprio di sì.... G: E’ difficile noo? Quasi più difficile della specializzazione del Mattei. Lui ha focalizzato l’argomento, studia l’abitat, è proprio un cacciatore di immagini. Non ha tempo di ragionare di emotività. Ho visto foto di un airone che mangia un pesce… che non permettono quasi di stare a vedere cosa fotografi. La scena ti prende. Magari dopo... Te invece puoi camminare, spostarti. Devi rendere nella tua fotografia il calore, il canto degli uccelli, il fresco del vento, il caldo dell’aria... Quindi…è più difficile fotografare l’ambiente. Se “uno” fa una sola fotografia appena arriva per far vedere l’ambiente in cui fotografa, non è detto che si accontenti… E Voi altri? Giulio: a me la fotografia naturalistica non piace. La macro forse sì. Mi piace la fotografia


G: poi gli orari sono quasi impossibili….E parlando per esempio al femminile? Sara: le foto che io preferisco sono i ritratti. Faccio volentieri anche quelle di natura, non le escludo. Però mi piace più cercare e trovare dei particolari. Difficilmente faccio paesaggi “aperti”. G: il paesaggio è una delle cose più difficili del mondo. La vera foto di paesaggio è quella dove il Soggetto E’ IL PAESAGGIO STESSO. Meno facile di quanto sia a dirsi. (Al momento uno dei migliori paesaggisti al mondo per me è Massimo Vitali. Quotatissimo.. Però fotografa con una macchina 30x40 a lastre per minimizzare la “distorsione” prospettica. E quando vedi le sue fotografie ti viene da chiederti perché sono diverse dalle altre) Quindi te fai dei ritratti dentro la natura? Un po’ come Simone, cerchi l’anima della pecora? Sara: sì preferisco i particolari. Deve essere una cosa che mi deve piacere tanto. Io sono molto parsimoniosa nello scattare.

Giacomo Pianigiani

di architettura. Quindi quelle poche cose che ho scattato le ho fatte più per una questione di simmetria, la bellezza del disegno che ci poteva essere. Non ho la pazienza o l’interesse del Mattei.


Giacomo Pianigiani


Luca Franci

G: Brava! Scattare tanto non vuol dire mai scattare bene Sara: non come Kalaschnikov (Roberto)…… G: perché questo nome? Sara: perché quando comincia sembra una mitraglietta… G: (a Roberto) ma te fai foto di natura? Roberto: poco. Un po’ come loro, quando si va a giro se si trova qualcosa, allora sì. Non vado né a cercarli né studio prima. G: quindi avete al massimo un 200 o un 300 Roberto: sì un 300 G: e te Mattei hai un 600?

Luca Franci

Sandro: Beh, io ho un 200/400 Canon, il 500 e l’800 quando vado nei laghi dove le distanze aumentano. Ovviamente con il cavalletto. Federico: io fo molti paesaggi. Quello che si trova andando in giro. Adoro i riflessi… G: quindi più ambiente che flora e fauna? Ivana: anche io come loro. Fotografo quello che capita. G: ma quando andate nei posti, aspettate che le fotografie vengano da voi o dite ora fotografo solo gli uccelli, solo gli animali, solo le foglie? Vi commissionate un servizio o aspettate l’ispirazione volta, volta? Ivana: io fotografo quello che mi entra nell’occhio... Sara: anche quando siamo andati a Diaccia Botrona ero andata con l’idea di fotografare la natura che c’era intorno, nella palude. Perché sapevo che per gli uccelli non avevo né i mezzi né la voglia. Quindi ho iniziato con l’idea di fotografare la palude. G: quindi non un racconto per cui basta una fotografia Sara: una fotografia per un racconto è difficile... G: ma è il bello della fotografia, no? La sua peculiarietà. Non ci si riesce quasi mai, però…Spesso il difetto però è proprio quello di


Giacomo Pianigiani Sandro Mattei

non commissionarsi un lavoro quando si parte… Simone: però quando vai in un posto che non conosci, la prima volta che ci vai, è anche difficile commissionarsi qualcosa. Non sai cosa ti aspetta G: però ti capita spesso di fare molte fotografie che non servono a niente. Ed è buttato via. Ingegno buttato via. Non è che Mattei se va a martin pescatori, mentre aspetta, fotografi le lontre. Sì le vedrà anche, ma non può dedicarsi ad altro...La domanda era per capire la vostra metodologia. Va beh, scriveremo: poca ma piacevole metodologia. Eh eh E.... i vostri migliori risultati di foto di natura? Luca: una tigre al lago di garda Giulio: una farfalla su un ramo Stefano: io ne ho poche, non sono mai contento e in questo gruppo cerco di fare il coordinatore Giacomo: un’ape su un fiore con il polline addosso Mattei: tre gruccioni su un ramo. Un maschio che porta un animalino ad una femmina ed un altro che vola a una certa altezza anche lui con una vespina che sembra in attesa che sembra dire “fai alla svelta che poi ci provo anche io”


Sandro Mattei Ivana Veneri

Simone: io qualche foto dell’Africa. Ivana: io sono amante di Piazza del Campo. Invece stasera ho portato delle foto di un girasole con un’ape. Federico: un tramonto nella valle di Comacchio Roberto: io qualche lucertola e qualche farfalla nel giardino di casa

Giacomo Pianigiani

Sara: io un leone che sbadigliava G: nel giardino di casa :-) ? Sara: Nooooo… in Africa. E poi la cosa di cui vado orgogliosa è che siamo stati in Islanda e sono stata l’unica che sono riuscita a fotografare la Pulcinella di mare. G: Ecco, mi sembra che abbiamo fatto un bel ritratto di Gruppo. Possiamo dire che abbiamo messo su l’album di famiglia sulla Natura. Allora grazie a tutti. E...ci vediamo alla Bottega 22 maggio...Sarà una bella serata. GL


viaggiveri&virtuali

VVV

Si inaugura qui una nuova rubrica destinata ai Viaggi. Girare il mondo, lo sappiamo, è un pò il desiderio di tutti. C’è chi lo può fare, chi lo fa, chi non lo farebbe, realmente, per tutto l’oro del mondo. Ma, Salgari ce l’ha insegnato, per viaggiare qualche volta basta sedersi sulla nostra poltrona preferita. O anche nella scomoda sedia dell’ufficio. Il Nostro Socio Alessandro Boccini, Viaggiatore del corpo e della mente ci porterà ogni volta... dovo lo porterà l’aereo, la nave, l’auto, la sua mente, il suo cuore. Auguri, Alessandro. Facci sognare. Con immagini vere o...virtuali. E’ lo stesso.


VIAGGIVERI&VIRTUALI foto di Alessandro BOCCINI

Viaggiatori e Viaggi di Alessandro Boccini

Viaggio. Sono solo sei lettere ma che possono racchiudere svariati significati. E allora, cos’è il viaggio? Il rapporto fra l’uomo e il viaggio ha riempito milioni di pagine di libri dandogli significati ed emozioni estremamente diverse fra loro: scoperta, conoscenza, paura, gioia, timore, curiosità. Viaggio, nella lingua di Cicerone “viaticum”: ciò che è necessario portarsi dietro per mettersi in cammino. Il Sommo Poeta invece attribuisce al viaggio tutta la sua carica di apertura mentale, di abbandono di abitudini e chiusure al nuovo; “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” fa dire al suo Ulisse. Due modi diversi di vedere la stessa cosa, ma le sfaccettature possono essere ancora altre. Come London, Salgari, Stivenson, Hemingway e tutti gli altri che hanno fatto del viaggio materia di meravigliosi sogni ad occhi aperti per i loro lettori. E in alcuni casi anche per loro

stessi. Salgari ad esempio scrisse i suoi libri sulla Malesia senza uscire dalle quattro mura di casa (“Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli.”), testimoniando così la necessità profonda di andare altrove. Trovare un’alternativa,

viaggiare con la mente quando non è fisicamente possibile. E’ proprio in questa condizione che la mente è maggiormente predisposta e si attiva rendendo possibili viaggi incredibili, senza la necessità di muoversi da dove


si è. Basta trovare lo stimolo giusto e si è pronti per intraprendere una nuova avventura. E’ sufficiente lasciarla lavorare, far scorrere i pensieri e non limitarsi. Ma anche quando c’è da spostarsi fisicamente il viaggio comincia prima con la mente, con l’idea del viaggio stesso. Perché ci ha incuriosito la visione di una fotografia, di un film o la lettura di un libro. E non solo spostarsi nello spazio, viaggiare è anche spostarsi nel tempo. Scoprire luoghi fermi, bloccati e epoche lontane. Trovare spazzi naturali su cui il tempo ha lavorato e realizzato con pazienza mutamenti profondi. Oggi viaggiare è diventato estremamente più facile rispetto a pochi decenni fa. Ciò ha portato spesso a confondere il viaggio con lo spostamento. Ma se il primo

contiene e presuppone il secondo, non è detto che avvenga l’inverso. Il viaggio cambia qualcosa. Al ritorno a casa non si è mai gli stessi della partenza. L’importante è lasciarsi travolgere dal fiume di emozioni e sensazioni che portano a vedere le cose con occhi diversi. Il viaggio come apertura mentale, come possibilità che ci si da di abbandonare i soliti modi di pensare e le nostre convinzioni. Per accompagnare un viaggio (sia fisico e ancor di più se con la mente) un po’ di musica fa sempre comodo. Qui una breve playlist per cominciare a viaggiare: 1 - 2 Pigeons – Open doors 2 - A Toys Orchestra – Welcome to Babylon 3 - OLLA – The future

Alessandro BOCCINI


NONSOLOFACEBOOK foto di Nicola PINNA

NICOLA PINNA


Nicola PINNA

Poeta da “sempre”

di Gigi Lusini Ci sono compagni di scuola che hai frequentato per anni e appena li ricordi. Talvolta dimentichi anche il cognome (a scuola ai miei tempi il cognome “andava”). Nicola Pinna, per noi de “La Bottega” il Pinna, sembra un amico da sempre. Conosciuto per/e attraverso la fotografia, ha vissuto per un po’ di tempo l’aria della “Bottega”. E non deve avergli fatto male, se, tornato felicemente nella sua splendida terra natia, ha messo su una Bottega dell’Immagine a Santadi. Che sicuramente sarà un bel posto... (ma dove sono i brutti posti in Sardegna?). Come lo vedi, Nicola, (Nicolino, sembra all’anagrafe, a dimostrazione di una evidente ed errata cautela dei genitori), ti trasmette subito un’immagine di forza, interiore ed esteriore. Lo faresti, e lo fai, uno di quelli con capacità manuali e pratiche senza limiti. In grado di saper fare, e fare, di tutto. Dal cuoco al meccanico, dal guardiacaccia (:-) al pilota di aereo. Ma quando il Pinna portò a far vedere le sue prime foto, tutto di questa stima esteriore si squagliò di fronte ad immagini che forza ne avevano. Ma poetica. Se è vero che uno fotografa bene ciò che conosce e meglio ciò che ama, tutto l’amore di Nicola per la natura, gli animali, gli spazi, la gente, la libertà (quest’ultima è lo ammetto, una mia lettura, derivata appunto dal mio infinito amore per detta) veniva fuori come un ossimoro: FORZA LIEVE. Anche se oggi la terra è ancora più piccola di allora, quando Nicola ha lasciato le nostre crete in riva all’Ombrone, la distanza purtroppo non ci ha permesso di rivederci spesso. L’ultima volta, indimenticabile, in un incontro nella sua isola che grazie ad un suo consiglio si svolse non in un bar di paese, ma bensì in un luogo che ancora oggi sembra più un sogno che un ricordo: la spiaggia di Piscinas. Anche in questa “scelta” lui mise un pizzico della sua magica polverina. E ottenne il solito effetto di stupore che si prova dinanzi alle sue foto. Che non sono solo belle.. Oggi sono tanti a fare foto “belle”. Le SUE hanno, per me almeno, un pizzico di magia. Che il Pinna deve avere nel suo DNA. Poi c’è molto altro, la sua ricerca continua, la sua passione, un certo feticismo (che condivido) per l’oggetto fotografico. Le sperimentazioni… Ma tutto questo, provate a farci caso, si attenua se abbassate le vostre difese e vi fate possedere dallo spirito delle sue foto. Per questo, ritrovatolo fortunatamente su FB (non tutto vien per nuocere…), l’ho pregato di farsi ospitare nel nostro Magazine. E per questo lo invito a venire a portare un po’ di magia fotografica a Siena. Per lui “la Bottega” è sempre aperta. Chissà. Intanto Mago Nicola….sim sala bim. La buona luce per te è inutile, hai quella della tua magica,splendida terra...



NICOLA PINNA

Il tempo lungo dell’attesa di Alessandro Pagni

Tutto questo, a mio parere, ha qualcosa a che spartire con il modo che ha Nicola Pinna, di guardare le cose. Non solo perché De Andrè ha amato “l’isola dei quattro mori” almeno quanto la capitale ligure che lo ha visto nascere, ma perché alcune storie senza tempo non passano dalla carta stampata e dai volumi polverosi, ma si muovono attraverso linguaggi differenti.

bambino e poi ragazzo, hanno veleggiato fra il caldo torrido che invecchia i bassi cespugli nodosi e il senso immenso del volo, il gesto liberatorio di sporgersi da un finestrino con le braccia completamente spalancate, a fingersi gabbiano, airone e fenicottero. La poesia di Pinna è nelle sue radici, nella consapevolezza di un bagaglio millenario alle spalle, di popoli e racconti orali, che nell’inquadratura sembra liberarsi da qualsiasi zavorra, risultando comprensibile a pelle, a istinto e respiro. Le Janas e i sepolcri dei giganti, l’accabadora e la consapevolezza di una pietosa immediata morte come diritto umano inalienabile; sedimentazioni di culture e contaminazioni in quei silenzi, come se l’atto di contemplare sia il primo insegnamento che un sardo impartisce a suo figlio, prima ancora di farlo leggere, di farlo scrivere.

Di Pinna mi ha colpito il tempo lungo dell’attesa, il tempo in cui si manifestano gli spiriti della terra e a forza di spingere oltre lo sguardo, li puoi distinguere mentre danzano fra le rocce. Le pose lunghe delle notti dilatate nella sua Sardegna fatta di silenzi ancestrali e vento. Mia madre viene da quella terra e le mie estati, tutte le mie estati di

Di Pinna ho apprezzato questo, la persistenza dello sguardo, il bisogno di registrare attimi, perché in quegli attimi si nascondono insegnamenti, da trasmettere un giorno alla propria discendenza, ai propri nipoti. E più di tutto quella voglia, che i suoi scatti lasciano sulle labbra, di poter tornare un giorno, comunque, a casa.

Saper leggere il libro del mondo con parole cangianti e nessuna scrittura, cantava Fabrizio De Andrè in Khorakhané (A forza di essere vento), una poesia stupenda, ariosa e piena di luce, dove il cantautore genovese raccontava con quella straordinaria empatia che gli era propria, il modo di vivere del popolo Rom. Una canzone esatta nel cogliere l’essenza delle cose, precisa e sintetica come una buona fotografia.


ŠNicola Pinna - Sardegna Immaginaria

SARDEGNA IMMAGINARIA


SARDEGNA IMMAGINARIA

ŠNicola Pinna - Sardegna Immaginaria


ŠNicola Pinna - Sardegna Immaginaria


XI PINTARA LUXI PINTARA LU

©Nicola Pinna - Luxi pintara


ŠNicola Pinna - Luxi pintara


LOGUS DE JANS LOGUS DE J

©Nicola Pinna - Logus de janas


ŠNicola Pinna - Logus de janas


LIBERI

ŠNicola Pinna - Liberi


CIMETTOLAFIRMA

...oi

oi, Lusini, mi hai chiesto perché... perchè voglio fare concorrenza alla realtà, in fondo noi fotografi siamo davvero presuntuosi.... vogliamo far stupire il nostro interlocutore... quando invece siamo solo dei miseri fruitori...mi vien da dividere i fotografi e la fotografia in due categorie.... le fotografie belle e le fotografie belle per forza...una è quella dove la fotografia nasce da se è non ha bisogno della nostra interpretazione, l’altra lo deve diventare con moltitudini di stratagemmi-stregonerie. Mi piacerebbe appartenere a coloro che riescono a vedere la fotografia bella punto e basta, ma purtroppo soltanto pochi posso fregiarsi di tale appellativo, spero solo di rendervi cosa gradita nella visone dei miei “accrochi”... Nicola PINNA


IESE & CHECCO


SERATAINFAMIGLIA

Iesenia RADI e Francesco MARTORELLI

due di noi

Il titolo potrà sembrare presuntuoso, ma “due di noi” per la filosofia de La Bottega potrebbe bastare. Perchè comprende una serie di “qualità”, non solo fotografiche, che contraddistinguono degli esseri pensanti che hanno avuto minimo tre anni per decidere di far parte a pieno diritto di una comunità che anche per “missione” si occupa, discute, approfondisce, gli argomenti più disparati di cronaca, politica, immagini, cinema, musica. Sempre “oltre” alla Fotografia, si intende. Con la filosofia che “sei quello che fotografi e fotografi quello che sei”. Un’occasione allora per vedere nuove cose di Iese”mettappostoio” e Checco “checcivole”. Una delle coppie più dolci simpatiche e sorridenti in circolazione. Loro fotografano spesso a 4 mani anche se con caratterini molto diversi. Lui accomodantissimo, che sembra venire da un passato di senese ombroso e un pò “lezzo”. Lei, dolcissima, deve essere stata la Fatina di questa evoluzione. Ma se la guardate negli occhi, capite subito che...è meglio non dicuterci. Che dire delle loro Foto? Un aneddoto vale più di mille parole: l’ultima volta che hanno por-

tato le loro “creature”, un centinaio e passa, alla fine della proiezione è stato chiesto, e ottenuto, il BIS! Episodio unico e irripetuto. Le abbiamo riviste TUTTE fino a notte tarda. QUESTO PUO’ BASTARE, NON CREDETE?



da Lucca Comics con Amore... IESENIA RADI & FRANCESCO MARTORELLI


CERINI DI TECNICA

segue da C.C. 1/2015

PROFONDITA’ DI CAMPO

(segue da) pellicola? chi era costei...? .2 di Chenz II

PROFONDITA’ DI CAMPO Chiudendo i diaframmi si modifica la “qualità selettiva” dell’obiettivo che stiamo usando, con curve che genericamente (molto!!) possono rappresentarsi così: Chiudendo i diaframmi, si modifica la “naturale qualità selettiva (progettuale)” dell’obbiettivo che stiamo usando, ottenendo una resa con curve che genericamente (molto! :D) Es.: obiettivo 50 mm f 2 marca xy possono rappresentarsi così: Es: obbiettivo 50mm f2 marca xy


UNA PELLICOLA PER ELENA

elementi di base sull’uso delle pellicole a cura di gigi lusini / gennaio 2015

Vediamo come questo fatto, pure importante e che dobbiamo sempre tenere di conto, diventa di secondaria importanza di fronte a una esigenza che non è direttamente implicata nella ESPOSIZIONE in quanto tale, ma è IL FATTORE FORSE PIÙ IMPORTANTE DELLA FOTOGRAFIA CONSAPEVOLE E RAZIONALE: LA PROFONDITÀ DI CAMPO, appunto. In poche parole un obiettivo è costruito per mettere a fuoco un punto ben preciso (dove noi lo aggiustiamo) e tutto quanto si trova sul piano (parallelo alla pellicola) dove giace quel punto. Esempio A: vogliamo fotografare un albero e 2 panchine


Tutto il resto proprio per “qualità” di costruzione verrà riprodotto irrimediabilmente “sfocato”. Per risolvere questo problema bisogna “peggiorare” le qualità dell’obiettivo in modo da indebolire la sua rigidità e allargarne la “mentalità” (anche se, ripeto, con una certa rimessa in qualità assoluta) in modo da riprodurre la qualità di soggetti che ci interessano in un campo di qualità accettabile. Questo suicidio obbligatorio, quindi, compreso nel prezzo, si compie chiudendo i diaframmi quanto basta per avere una “profondità di campo”, appunto, che serva al nostro scopo.

È cosa basilare, ripeto, non eccedere troppo nelle chiusure, sia per contenere il decadimento qualitativo, sia per non “inquinare” il nostro messaggio che deve essere invece il più preciso. Infatti, meno elementi inutili riusciamo a mettere nel nostro documento visivo (fotografia) e più facile sarà la lettura del contenuto e quindi la comunicazione insita nel soggetto mostrato. Segue esempio: (indicativo)


Avremo così sfruttato la messa a fuoco non su un soggetto, ma su una distanza detta “iperfocale”. La distanza iperfocale non è qualcosa che possa definire l’obiettivo di per sé. Essa viene definita soltanto per un obiettivo chiuso ad un particolare valore di diaframma e varia se l’obiettivo viene chiuso ulteriormente. Quanto più si riduce l’apertura, tanto più corta diventa la distanza iperfocale. La distanza iperfocale ha questa proprietà: se un obiettivo è messo a fuoco sulla distanza iperfocale, allora la profondità di campo si estende dall’infinito fino a metà della distanza iperfocale (da Ottica Fotografica). Per chiarire ancora seguono le tabelle di iperfocale di 3 degli obiettivi più usati: 28 – 50 – 100 mm. NOTA: DATO CHE GLI OBBIETTIVI NON SANNO :-) SE SONO MONTATI SU MACCHINE A PELLICOLA O A SENSORE OGGI ESISTONO TABELLE CHE SI ADATTANO OTTICAMENTE A ENTRAMBI I SISTEMI

NOTA:..spesso oggi gli obbiettivi x digitale NON hanno scale della Profondità di Campo!!!



METODO “MODERNO”ANCHE ANCHE METODO DI DI CALCOLO CALCOLO “MODERNO” CON CON SMARTPHONE SMARTPHONE CON VARIE VARIE APP CON

COMEEE PERCHÉ PERCHÉ SI FORMA CAMPO: COME FORMALA LAPROFONDITÀ PROFONDITÀDIDI CAMPO: Quandosisi mette mette a fuoco di di unun minuscolo Quando fuoco un unpunto, punto,esso essohahalalaforma forma minuscolo cerchietto sul sensore o sulla superficie della pellicola. Il nostro occhio cerchietto sul sensore o sulla superficie della pellicola. Il nostro occhio hauna unacapacità capacità limitata limitata di a trasformare ha di discernere discernerei idettagli dettaglie etende tende a trasformare in punti anche piccoli cerchi che abbiano una circonferenza inferiore in punti anche piccoli cerchi che abbiano una circonferenza inferiore a un certo valore denominato “circolo o cerchio di confusione”. a un certo valore denominato “circolo o cerchio di confusione”. Storicamente il circolo di confusione aveva un diametro di 0,25 mm Storicamente il circolo di confusione aveva un diametro di 0,25 mm per stampe osservate da una distanza di 25 cm, ma con lo sviluppo per stampe osservate da una distanza di 25 cm, ma con lo sviluppo degli obiettivi a lunga focale e i sempre maggiori ingrandimenti delle degli obiettivi a lunga focale e i sempre maggiori ingrandimenti delle foto, lo si considera ora compreso tra 0,20 o 0,33 mm. foto, lo si considera ora compreso tra 0,20 o 0,33 mm.

!


NOTA BENE: PROBLEMI A SEGUITO DI ESIGENZE DI MOLTA PROFONDITA DI CAMPO, VELOCITA’ DI SCATTO, CHIUSURA O APERTURA DEI DIAFRAMMI, FONDAMENTALI COME ABBIAMO VISTO IN FOTOGRAFIA SU PELLICOLA, SI RITROVANO (SIMILI) CON GLI ULTIMI MODELLI DI CAMERE DIGITALI CON MOLTI MEGAPIXEL A CAUSA DEI FOTODIODI DEL SENSORE TROPPO FITTI CHE DANNO SVARIATI PROBLRMI PROBLEMI DI DEFINIZIONE E DI INGRANDIMENTO. DELLA SERIE...NESSUNO E’ PERFETTO..EH EH


UNA PELLICOLA PER ELENA

COSA OCCORRE.2

elementi di base sull’uso delle pellicole a cura di gigi lusini / gennaio 2015

A questo punto “sembrerebbe” di avere tutti gli elementi per passare alla RIPRESA. Ma, al solito, se la teoria non avesse bisogno della declinazione “umana”, basterebbe mandar fuori le macchine da sole…. (al massimo col…cavalletto). COSA OCCORRE.2 ma per una “grattatina” per Il problema è FONDAMENTALE, incuriosire, diremo che FRA IL DIRE diEavere IL FARE A questo punto “sembrerebbe” tutti gli (BENE) elementi perC’È passare alla RIPRESA. IL SISTEMA ZONALE. Una pietra miliare della Fotografia, Ma, al solito, se la teoria non avesse bisogno della declinazione misteriosissimo“umana”, e complicato i novizi e poi semplice basterebbeper mandar fuori le macchine da sole…. (ale ovvio una massimo col…cavalletto). volta conosciuto.* Il problema è FONDAMENTALE, ma per una “grattatina” per incuriosire, diremo che FRA IL DIRE E IL FARE (BENE) C’È * si consiglia caldamente di leggere: A. Adams “IL NEGATIVO” IL SISTEMA ZONALE. Una pietra miliare della Fotografia, Ed. Zanichelli. La Bibbia della per Botografia. misteriosissimo e complicato i novizi e poi semplice e ovvio una volta conosciuto.*

si consiglianon caldamente di leggere: ma A. Adams “IL NEGATIVO” La sintesi di una* BIBBIA è semplice, ci proviamo per arrivare Ed. Zanichelli. La Bibbia della Botografia. con consapevolezza all’ottenimento di un negativo “perfetto” La sintesi di una BIBBIA non è semplice, ma ci proviamo per arrivare per la stampa. Il tutto logicamente con tutte le premesse di con consapevolezza all’ottenimento di un negativo “perfetto” perdovute la stampa. con tutte le premesse di approssimazione adIl tutto unalogicamente sintesi frettolosa da Bignami approssimazione dovute ad una sintesi frettolosa da Bignami

(...segue) Tra l’altro il Sistema Zonale, una volta digerito, ci farà vedere sempre il mondo in una maniera diversa. Giusta. (provate senza il Sistema Zonale a “spiegare” la tonalità di “grigio” di un maglione rosso in ombra…).

bdi.siena@gmail.com


La “mitica” Scarzuola - PdP

Cerretaccio- “Checco” Martorelli

Uscite & Proposte di USCITE La Bottega/Circolo di Confusione

Il Programma delle Uscite Congiunte, diligentemente redatto e gestito da SuperGiulia BROGI, prevede “obbiettivi” di vario interesse, paesaggistico e naturale. I sopralluoghi, quasi sempre a cura di Pico de Paperis, son per evitare un salto nel buio alla...Compagnia. NOTA BENE: Tutti quelli che si volessero aggregare possono seguire via via le proposte sulle pagine FB de La Bottega dell’Immagine e del Circolo di Confusione

Le Biancane di Monterotondo - PdP

Aprile-Maggio 2015


Iese&Checco - Lucca Comics 2015

3 oct 1913-El Lissitzky - THE CONSTRUCTOR

...OH QUANTA BELLA GENTE

IL PROGRAMMA

aprile - maggio 2015 10 APRILE

CINEMA & FOTOGRAFIA

PITTORIALISMO E NUOVE VISIONI senza controindicazioni: photostory in pillole

a cura di

24 APRILE

PROIEZIONE delle Foto dell’uscita (BdI & CCGB) al Cerretaccio 25 gennaio 2015 + AGGIORNAMENTI DI POST PRODUZIONE a cura di

Costanza e Gigi 8 MAGGIO

DUEDINOI: Iesenia RADI e Francesco MARTORELLI presentano le loro immagini di

Giacomo PIANIGIANI

Lucca Comics 2014 22 MAGGIO

Incontro con l’Autore:

GLI AMICI DEL FOTOCLUB AVIS TAVERNE

presentano Con la Natura nel...sangue Animali grandi e piccoli la CAMERA CHIARA - NewsLetter del Circolo Culturale La Bottega dell’Immagine di Siena. Redatto in proprio - Apr. 2015


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