La Camera Chiara 1/2015

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bimonthly newsletter

la CAMERA

CHIARA

1/2015


Š Efrem Raimondi. All rights reserved (cortese concessione dell’Autore)


Le balene non sono pesci* di Pico de Paperis

“...non ti dolga di tua poca dimora in questa piaggia trista e non ti caglia ch’ancor del quarto lustro non sè fora...” G. Leopardi, Appressamento della morte

Concetto inquietante o lapalissiano. Dipende, lo sanno anche i muri, da…lo Spazio di E-ME-REC** . Quasi offensivo per la sua evidenza, nel mondo superinformato di oggi. Ma cambia molto se invece di oggi questa affermazione “fosse” stata fatta 2000 anni fa. E non tirando a indovinare ma “guardandosi bene intorno”, diciamo. Come è stato. E molte cose che sembravano pochissimo tempo fa solo nostalgie irrazionali o cassandrate ora piano piano prendono corpo. Perché il sistema non si autoregola. Va avanti. E le Aziende Regine, in Fotografia ad esempio, continuano a sfornare nuovi modelli come biscotti (che spesso differiscono dai vecchi per particolari non certo astronomici, vedi Nikon circa 16 modelli in un paio di anni sempre in vendita) con il solo fine di far immalinconire i potenziali acquirenti (i fotografi) e renderli (o mantenerli) sempre insoddisfatti.. “..Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. (…anche se ormai le pubblicità sono piene di gente strafelice e sor-ridente, dal padrone del cane per la nuova scatoletta, alla macchina per il padre di famiglia con una prole rompicoglioni, a chi mangia gomma per congelare la compagna e uscire con gli amici, a chi mette un bischero con una caramellina in bocca su una carriola per fargli asciugare i panni stesi - NdR) Nel mio mondo nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma”*** Si ha un bel dire che le nuove generazioni stanno impadronendosi di una nuova consapevolezza e cioè che la vita è fatta di sostanza e non di apparenza. Ci hanno provato, quasi ultimamente, dopo il giovane ribelle Giudeo finito male (come era facile prevedere) un certo Erich Fromm nei mitici (?) anni ’70 e con più concretezza, forse, tale Noemi Klein negli anni 2000. Ma le nostre difese ormai sono


effetto rolling shutter

debilitate dal lungo e continuo martellamento. E abbiamo poche probabilità di uscirne. Certo, se si rallentasse un po’ questa folle corsa mentale che ci porta a correre anche in un treno fermo, contaminati da poco esaltanti esempi... “istituzionali” , forse potremmo vedere, almeno, alcune cose. Prendendo in considerazione, per esempio, certi riferimenti positivi a riguardo. Mi viene in mente per rispetto e affetto (il migliore, quello non richiesto) il “mondo fotografico” di Efrem Raimondi e i suoi risultati globali. A prescindere dal mezzo usato. Dallo smartphone al banco ottico. Certo, il Mito, (per me Lo E’) come tutte le medaglie, ha il suo rovescio. Ormai anche Lui, qualche volta, sembra faccia come Razzi quando imita Crozza che imita Razzi. :-) Ma come dimenticare la sua “impronta uno”? Un Capolavoro di Pensiero tradotto dalla Sua mente, chissà?, al momento con un iPhone, magari nemmeno ultimo modello (eh eh). Ma si dirà che Lui non è certo un Fotografo della domenica (attento alle feste, Efrem?…) e che si tratta di un “Interprete”. Uno che “traduce” realtà in immagini per lavoro e quindi a sua volta una Sirena del sistema. Forse. Ma chiedeteGli se si preoccupa del rolling shutter e del micromosso causato da otturatore con prima tendina elettronica e dai fotositi e relative microlenti ormai troppo fitti in sensori di capacità impensabili (in 18 anni da 0,28 a 36-80 Mb!!). Vi guarderà col Suo modo un pò obliquo, estraniato, pensando che non parliate a Lui. E Il titolo del prossimo articolo sul Suo Blog sarà magari “SEI QUELLO CHE FOTOGRAFI, NON COME” e continuerà a “tradurre” i parti della Sua mente in icone, con qualsiasi mezzo gli capiti sottomano. E la gente ad apprezzarle e..capirle. C’è da meditare, non credete?

*Historia animalium - Aristotele 384-322 aC **Saggi di linguistica generale - R. Jakobson 1896-1982 ***Lire 26.900 (euro 13,89) – F. Beigbeder 1965


Q COME CULTURA

demoni sotto la pelle

attraverso gli occhi di antoine d’agata e anders petersen di Alessandro Pagni

Antoine D’Agata & Anders Petersen, self-portrait

unfototipo.com

“Amami quando lo merito meno, perché sarà quando ne ho più bisogno”

(Caio Valerio Catullo, trovata dentro a una nota marca di cioccolatini)

Il tempo è qualcosa che scivola fra le dita come acqua. Il più delle volte lo spendiamo male, restando con espressione ebete a guardarci dietro, a valutare la portata delle cose fatte, per darci eventualmente, compiaciute pacche sulle spalle. Ma quel ri-considerare è solo tempo buttato via, mentre altro in questo preciso momento ci sta scorrendo sotto i piedi e fra i capelli. Certe vite sembrano dirci qualcosa, certe storie quasi ci fanno rabbia, vorremmo condannarle o rifiutarci di prenderle in considerazioni, voltando gli occhi altrove, perché sanno abbattere le recinzioni che inconsciamente abbiamo tirato su attorno al nostro bel

giardino, curato con attenzione maniacale. Ma ogni volta torniamo sui nostri passi, tirati per la manica da qualcosa di molto simile a un desiderio, all’attrazione cieca e morbosa per un altro corpo. Fino a dover ammettere che non possiamo evitare di farci i conti.La prima volta che sono entrato in collisione con le fotografie di Antoine D’Agata è stato a Reggio Emilia, durante l’edizione 2008 del Festival della Fotografia Europea, precisamente all’interno dell’Ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario. La sensazione palpabile, passando lungo quei corridoi monocromatici, scanditi da robuste porte spalancate su sedimentazioni di drammi


©Antoine D’Agata1955

Brassaï, Colonna Morris, 1933

passati, era che quelle fotografie, nel vuoto del tempo, avessero una voce, tutt’altro che remota. Trovo che fosse una scelta seducente, accostare l’inutile compito di contenere il furore di vivere deputato a quel luogo, con l’incontenibile, spasmodica ricerca di limiti da valicare, del controverso fotografo francese. Nato a Marsiglia, Antoine lascia la Francia

nel 1983, approda a New York nel 1990 dove studia al Center of Photography. Fra gli insegnanti trova anche Nan Goldin e Larry Clark, due sguardi altrettanto naufraghi nei gorghi insidiosi di esistenze spinte ai limiti, da cui apprende un approccio fotografico che svilupperà ulteriormente in senso radicale, nella propria documentazione esistenziale. Torna in Francia nel 1994 e dopo una pausa


©Antoine D’Agata Man Ray, 1930

William Klein, Minigang, Amsterdam Avenue, New York, 1954

di quattro anni dalla fotografia, pubblica i suoi primi libri De Mala Muerte e Mala noche, seguiti nel 2001 da Hometown che vince il premio Niepce e dal 2003 al 2005 Vortex, Insomnia, Stigma, Manifeste. Nel 2004 la consacrazione con l’ingresso in Magnum Photo. L’approccio di D’Agata è qualcosa che va oltre la ponderazione e il progetto fotografico, la sua è una continua indagine, sulla propria pelle, dei limiti che si possono valicare e la fotografia è un registratore non del tutto fedele di questi confini, per il modo in cui intende lo scatto, per la scelta di non mantenere il controllo su cosa accade e neppure su come questo viene bloccato dall’apparecchio, che per la penombra e la casualità, non può congelare il movimento in modo attento e vigile, ma si lascia prendere, manipolare, trascinare dentro come un occhio lisergico ebbro degli odori e delle scie luminose che i corpi emanano. Non conta chi scatta la fotografia, non conta l’autorialità, la paternità,


©Antoine D’Agata

solo la disgregazione, la dimenticanza di sé, e le immagini prodotte ci mostrano corpi tirati indietro e poi spinti di nuovo avanti dalla risacca dell’otturatore in posa lunga: un moto ondoso di linee, dove il significato si scopa il significante, fino a rendere i corpi impalpabili come impressioni. Il centro di tutto è il movimento, l’azione, i continui passaggi come pennellate, da vivere fino a sbranare se stessi, senza un prima e tanto meno un dopo, senza un futuro; come fosse una performance senza pubblico, più vicina

alla body art che alla fotografia, se intendiamo la prima nel senso più personale e deviato del termine. La volontà di “salvare” queste esperienze tramite il medium fotografico non è cosa da poco, è una scelta precisa e consapevole, perché implica la presenza all’interno dell’evento che si vuole raccontare, implica un coinvolgimento minimo necessario da cui non si può prescindere: significa esporsi insieme ai propri soggetti (prostitute, drogati, individui ai margini della società) e instaurare un dialogo.


©Antoine D’Agata

Ma Antoine D’Agata, senza indugio, si spinge ben oltre e questo dialogo lo instaura fra pari, calandosi negli abissi in prima persona, diventando immagine, diventando lui stesso evento che osserva e non soppesa, che racconta con gli occhi annebbiati di chi lo vive. Una scelta senza mediazioni la sua, dove sesso e droga diventano cura e perdizione al contempo, diventano mezzi, al pari di quello fotografico, per descrivere qualcosa di sciaguratamente prossimo all’amore. Qualcosa di spaventosamente struggente: afferrare la vita e stringerla al petto in ogni istante, come fosse un’unica incredibile giornata che sta volgendo al termine e non possiamo riavvolgere il nastro, farla tornare al principio. W. S. Burroughs, ne Le città della notte rossa dice qualcosa che il fotografo di Marsiglia sembra essersi fatto tatuare nell’anima: «Noi sappiamo che una passione divorante può produrre sintomi fisici… febbre… perdita di appetito… anche reazioni allergiche… e poche sindromi sono più ossessive e potenzialmente


©Antoine D’Agata ©Antoine D’Agata

autodistruttive dell’amore». Quello che hanno fatto personaggi di questo calibro (lo stesso Burroughs), è amare così rabbiosamente la vita da tuffarcisi dentro con il piglio di chi ha una sola possibilità per assaporarla e sa che una seconda volta non potrà trovarsi nella stessa acqua, nello stesso fiume (Pánta rêi! Pánta rêi! Pánta rêi!), da qui il bisogno che l’arte (provate a chiamare tutto questo in modo diverso se siete in grado), la forma espressiva scelta, vada a coincidere con la propria esistenza combinandosi.Un altro romantico distruttore di se stesso, che vorrei accostare ad Antoine D’Agata (tanti altri sarebbero facilmente avvicinabili, nell’approccio di calarsi fisicamente dentro al momento, come i già citati Clark e Goldin, ma anche la Arbus e Araki) è un fotografo stupefacente che ho scoperto fin troppo tardi, vista la sua importanza. Anders Petersen, classe 1944, svedese, erede della cifra stilistica di Christer Strömholm, ne riscriverà i dettami, liberandosi da qualsiasi pretesa di estetismo, per raccogliere un’enorme corpus di immagini tanto taglienti nella forma quanto seducenti nella loro condizione di tracce di sensazioni irripetibili, provate sulla pelle. Comincia a fotografare in un caffè di Amburgo (il nostro Ugo Mulas lo farà al Bar Jamaica, presso l’accademia di Brera), il Café Lehmitz, entrando in contatto intimamente con le esistenze che lo popolano, spesso outsiders (come per altri fotografi che ho citato), prostitute, ubriachi, fenomeni da baraccone; e questo imprinting segnerà fortemente il suo sguardo, cercando le proprie verità interiori, negli anni a venire, in altri soggetti come questi, nei detenuti, nei malati psichiatrici, scoprendo un senso di vicinanza stupendo verso questi


©Anders Petersen, Close Distance, 2002

soggetti, sentendosi il più delle volte a casa. Quello che lo accomuna ad Antoine D’Agata è certamente il bisogno di “essere dentro” la situazione che racconta, non solo di osservarla, ma di viverla in prima persona come parte, se non della scena, di ciò che immancabilmente va a influenzare la scena. La pretesa di invisibilità del fotografo, come quella di oggettività della sua documentazione, viene totalmente sconfessata a favore di un guardare complice, solidale, rivolto agli altri per comprendere soprattutto sé stessi. La differenza sostanziale con d’Agata è la scelta di mantenere il timone delle proprie

emozioni, di non perdere totalmente la lucidità per avere coscienza di ciò che va registrando e quindi per non tradire la fiducia dei suoi interlocutori. I suoi lavori si collocano sul confine fra il racconto introspettivo e una finestra sugli altri: conoscere se stessi attraverso l’altro (mentre d’Agata sembra voler diventare l’altro, sembra voler scomparire nell’altro, come il poliziotto infiltrato della narcotici diventato un “fantasma” gelatinoso capace di inglobare dentro di se i criminali che interroga, raccontato da Burroughs nel delirio de Il pasto nudo). Le sue fotografie sono giorni, ore, pensieri sfuggenti, sono un bagaglio da cui non si può


©Anders Petersen, Cafe Lehmitz 1967-1970

©Anders Petersen, Soho, 2011 ©Jan Saudek, L’alluce, 1991

separare, qualcosa fissato sulla pellicola, perché resti con noi a ricordarci quel senso presunto che abbiamo dato al nostro respiro. Il suo bianco e nero è senza compromessi, inconfondibile e onnipresente, capace di confondere luoghi e periodi di una vita sempre a contatto stretto con “l’altro”. Da Roma a Venezia, da Soho a Parigi, da una prigione a un ospedale psichiatrico, dai caffè stranieri alle strade che conosce a memoria, tutto sembra raccontare la stessa cosa, lo stesso luogo, la stessa stagione: “la famiglia dell’uomo” è un unico amalgama, senza differenze, non è rassicurante come ce la raccontava Steichen, o incoraggiante come Life in a Day (operazione prodotta da Ridley Scott nel 2010) e neppure immersa in uno scenario apocalittico come Koyaanisqatsi (di Godfrey Reggio) ma, semplicemente, triste, sola, imbarazzata per ciò che ama, sempre disperatamente volta a quello che non ha. In un mondo senza Dio, fatto di continui attimi perduti, finire con una finta parabola mi sembra una contraddizione irresistibile, quindi concedetemi questa favoletta che tutti conoscerete benissimo e che


©Anders Petersen, Paris, 2006

©Anders Petersen, Prison, 1984 ©Anders Petersen, St Etienne, 2005

dedico ai fotografi in questione. Quando la rana incontrò lo scorpione che le chiedeva di trasportarlo sull’altra sponda del fiume, rimase interdetta e dubbiosa, non riusciva a fidarsi. Lo scorpione cercò di rassicurarla su quanto fosse insensata la sua paura, perché se lui l’avesse punta sarebbe morto affogato. La rana decise di fidarsi ma a metà strada lo scorpione non poté fare a meno di pungerla. Prima di morire lei gli chiese il motivo del suo gesto assurdo e lui rispose che non poteva fare altrimenti, che quella era la sua natura. Ecco, questo è il punto. Ascolto: Nine Inch Nails, Closer


INDOVINA CHI VIENE?

Carlo LORENZETTI e Gabriele DONATI Ospiti a La BOTTEGA il 6 Marzo 2015

the abyss: tutto un altro mondo

legenda:

P = Pico DE PAPERIS C = Carlo LORENZETTI G = Gabriele DONATI

di Pico de Paperis fotografie o fate le fotografie perché vi piace andare sott’acqua? G: Io personalmente un po’ tutte e due. Facevo già il fotografo, la subacquea è iniziata dopo. Grande amore, grande passione per il mare e la voglia di cimentarmi, provare questa disciplina e unire le conoscenze fotografiche che avevo per poter riprendere e fotografare l’ambiente. Ad essere sinceri è stato più una rivalsa nei confronti di mio fratello Marco che non mi dava spazio in niente (sorride). Ho pensato: “fo qualcosa che te non fai e voglio vedere… vedrai non mi ci metti bocca!” P: certo lui non ha certo tempo per andare sott’acqua, correndo sempre….eh eh.. E te, Carlo, perché?

CARLO & GABRIELE: UNA VITA DA...SUB Arrivo puntuale. Un must, per un personaggio disneyano, eh eh. Gabriele e un ometto moro con gli occhiali e gli occhi attenti, acutissimi (il suo bimbo) è gia nel negozio di Carlo. Mi accoglie con il suo bel sorriso e andiamo ne La Bottega per parlare un pò. Siamo in giacca a vento, sciarpa e guanti. Carlo viene con una maglietta a pieno fisico. Beato lui.. Non perdiamo tempo. Ci conosciamo. Quindi attacco subito: P: Ecco, ma voi andate sott’acqua per fare le

C: Diciamo che il mio approccio è stato completamente diverso. Io venivo dalla passione per la montagna. Poi mi sono liberato da una serie di impegni che avevo, ho provato ad andare sott’acqua ed è stata una esplosione di passione. Perché è un ambiente che difficilmente si riesce a conoscere finchè, appunto, non ti ci immergi. Quando lo fai riesci a vedere colori, vita e panorami che sembrano extraterrestri. Da lì la passione che mi ha portato ad andare avanti fino a raggiungere il grado di istruttore e in contemporanea anche la passione di portar fuori da sott’acqua dei colpi di occhio, delle immagini che altrimenti rimarrebbero soltanto in testa. Io ho una piccola macchinetta in JPG compatta, con cui riesco comunque a tirar fuori degli scatti discreti. Spesso la porto dietro e durante le esplorazioni o gli accompagnamenti e immersioni meno impegnative mi piace scattare



Gabriele DONATI

qualche fotogramma di quello che si riesce a vedere sott’acqua. Per portare fuori delle emozioni. Perché sennò puoi raccontare tutto quello che vuoi, ma se non porti qualcosa fuori non puoi dimostrarlo. P: È come quando vedi una bella ragazza, ognuno ne dà l’interpretazione che vuole. La fotografia consente di dire “ a me questa qui non piace!” C: Certo. E la fotografia può servire a coinvolgere anche gli altri. Io posso raccontare ciò che voglio della subacquea, ma se ti faccio vedere una animale o una cosa particolare come nelle foto di Gabriele, si può far anche incuriosire le persone. Molti a volte ti chiedono: ma questa roba è sott’acqua? G: spesso ti chiedono: ma qui da noi c’è questa roba? La prima domanda ce ti fanno è: ma quanti metri l’hai fatta? P: come se bisognasse sempre andare a 100 metri! C: nella nostra associazione c’è appunto lo spazio per imparare ad andare sott’acqua a tutti i livelli e imparare a fotografare per condividere G: ci sono anche varie discipline, ovviamente. Varie specializzazioni. Ed abbiamo gli istruttori idonei e certificati per ogni disciplina.


Carlo LORENZETTI

P: certo dobbiamo parlare di fotografia, ma credo che questa passione prenda molto tempo. Vi dovete allenare? Andate con le bombole? C: l’allenamento è relativo. Parlo dal punto di vista strettamente subacqueo. Quella che è la preparazione per andare sotto e fare anche le foto G: ci possono andare anche i disabili… voglio dire che non è necessario essere degli atleti… C: ci vuole un minimo di preparazione. Più mentale che fisica.. G: cioè sapere quello che stai facendo e quello che vai a fare. C: però è una cosa alla portata di tutti e di tutte le età. Ci sono persone con oltre 70 anni. Persone che a volte si diminuiscono qualche anno pur di venire con noi. Per la parte fotografica ci vuole invece un po’ più di attrezzatura, un po’ di occhio e conoscenza. P: quella non si inventa, la natura lì non ti aiuta. G: sicuramente devi conoscere l’ambiente e il tipo di immersione che andrai a fare perché la scelta dell’ottica dipende anche da quello. Se hai una compatta il discorso cambia, certo. Ma se vai con una reflex devi prima conoscere il tipo di immersione, il luogo, e le opportunità e possibilità che quel luogo ti offre per fare una scelta e decidere “vado per fare questo”. Capita che ti prepari per fare una foto ambiente e magari trovi qualche altra cosa, la foto della vita che avresti potuto fare con la macro…


P: e certo lì non è che cambi l’obiettivo!... G: diciamo che la preparazione è fondamentale… i fotografi famosi hanno un pool di accompagnatori con più macchine che consentono loro di cambiare. Tutto dipende dal livello. P: te allora non hai mai fotografato con la pellicola sott’acqua? C: io no. G: io sì. Velvia 50. La pellicola più dura e con i colori più saturi della Ilford. P: ...e passando al digitale sei stato avvantaggiato? G: netto miglioramento. Passaggio epocale. Prima di tutto perché non dovevi più lesinare gli scatti. P: certo. Però hai un full frame? Altrimenti per i grandangoli come fai? G: all’inizio avevo la D70 e le ottiche dedicate, il 10-24. La prima digitale sott’acqua è stata la D70S. ora ho la 800 full frame. Ed ho portato anche la D3X. Grandangolo utilizzato il 16 , 14-24 sempre Nikon.


P: e te per la sensibilità come fai? Hai un “flashettino”? oppure fotografi “dove arrivi”? C: diciamo che la luce è fondamentale sott’acqua. Qualsiasi tipo di macchina che porti, senza un minimo di illuminazione non ti permette di ottenere praticamente niente. Quindi la mia macchina ha un suo piccolo flash incorporato che mi permette di fare delle cose discrete. La stessa macchina con un piccolo flash esterno fa già un salto di qualità notevole. P: certo, più volume, tridimensionalità. C: poi nel mio caso, io faccio prevalentemente immersioni tecniche, quindi quando scendo ho diverso materiale tecnico subacqueo da portarmi dietro e la mia scelta è quella di non mettere flash esterni perché mi ingombrerebbero troppo per il tipo di immersione che vado a fare. Mentre per fare la fotografia più semplice sei più libero e riesci a gestirti meglio. P: spiegami meglio. C: la subacquea è a vari



livelli. C’è la subacquea ricreativa dove si scende con la singola bombola, massimo 40 metri ed hai un tempo limitato per fare la tua immersione. P: a 40 metri devi fare poca decompressione? G: dipende da quanto ci stai. Puoi anche non farla… C: mentre quando si scende un pò più giù, oltre 40 metri, allora servono 2 o 3 bombole dietro, decompressione… P: ma te vai molto giù? Perché la fotografia… C: si e no. Io porto la GoPro e la telecamera in testa per filmare. P: però non c’è colore. C: sì, io allora uso un’altra tecnica: ho un caschetto con 2 lampade a luce diffusa e riesco a compensare la luce che non c’è e il flash della macchinetta. P: ma te vedi a 2 o 3 metri? G: no no, la visibilità ce l’hai... P: a me davano fastidio le bombole... G: dipendeva da come erano riempite, la tecnica è cambiata. C: certo sia per la subacquea che per la fotografia subacquea. Una continua evoluzione P: ma te hai lo scafandro per la macchina? G: lo scafandro di alluminio e tutti gli accessori dedicati. P: raccontami un po’ la differenza tra l’uso del flash e la luce continua. Con la luce continua devi portare più roba? G: praticamente monti una lampada sopra…


P: ...te fai tutto da solo senza aiuti? G: Purtoppo si. A volte nelle competizioni viene usata la modella che serve però più da coreografia per avere il fattore umano. Ma se si trovasse qualcuno disponibile, non manca certo la voglia! P: ma te preferisci flash o luce continua? Capisco che può sembrare una domanda stupida, ma… G: dipende dal tipo di fotografia che devi fare P: controlli meglio la luce continua? GP: puoi controllare meglio la luce continua, ma se devi fare controluce occorre il flash alla massima potenza, altrimenti perdi la bellezza della parte più illuminata che verrebbe insolarizzata. Avresti il buco bianco senza bilanciamento. D’altro canto l’illuminazione flash rende troppo meglio (la potresti fare con due lampade ma non sarebbe lo stesso). Con due flash puoi regolarli per avere più tridimensionalità e con le lampade sarebbe più difficoltoso. Diciamo che un piccolo faretto in luce continua serve per aiutare l’autofocus piuttosto che per illuminare la scena. Per la scena sono meglio i flash. P: uno o due? G: due flash o tre, addirittura. Volendo ho anche un cavallettino per posizionarli. Flash subacquei. Si possono volendo, però, anche scafandrare quelli “normali”.Io per mia scelta ho i flash subacquei. P: di solito quanto dura una vostra escursione subacquea? Quale è la differenza tra voi? C: se si tratta di una escursione ricreativa è uguale perché dipende dalla durata della bombola. Vai giù ma la scena cambia continuamente, G: fondamentale per arrivare a fare una fotografia di livello è la padronanza della tecnica smisurata. Te programmi la foto che devi fare, però non sempre la


trovi. Di conseguenza devi essere aperto e flessibile a cogliere l’occasione e riprendere quello che ti si presenta P: è proprio un reportage G: certo, con l’apertura mentale necessaria, perché scendi convinto di fare una foto ed è proprio la volta che non la fai. È cambiata la condizione e ti trovi nel pallone perché non sai più quello che fare. P: la differenza tra i nostri mari e gli altri? G: nei nostri mari la vita inizia da 20 metri in giù, mentre in quelli tropicali è da zero a 20 metri. P: quindi ci sono anche più colori? Gabriele: per ovvi motivi: P: ma i nostri fondali sono più belli? C: come conformazione io preferisco i nostri. G: dipende da dove vai. A 30 – 40 metri da noi trovi le rocce e nei mari tropicali i coralli duri. Ma il colore non c’è più. Comunque il mare è il posto più bello. Occorre la disponibilità a cogliere la bellezza dove è P: da Follonica in là C: a volte si possono trovare i cavallucci in posti impensabili anche vicino a noi P: i cavallucci ci sono sempre meno vero? Prima l’Adriatico era pieno. Come le stelle marine a Punta Ala. G: parlando con Francesco un nostro amico subacqueo ci ha detto che ultimamente la situazione non è peggiorata. C’è stata una grande razzia negli anni ’70. Ora c’è molta più consapevolezza e rispetto. Prima andavano sott’acqua e se non portavi qualcosa a casa era come non aver fatto l’immersione, ora è cambiata la situazione. Non ti viene neanche in mente di portare via qualcosa.



G: per dire, all’Argentario c’è uno scoglio chiamato del corallo, dove da 10 anni a questa parte la dimensione dei rami è raddoppiata. Dieci anni fa la gente andava con i picchetti e potava tutto. Poi l’associazione è legata all’università di Siena. Siamo andati spesso insieme a fare i campionamenti anche nella zona del parco Montecristo, Giannutri, Gorgona e Capraia. Nelle zone interdette alla navigazione e alla balneazione. Anche come Associazione siamo molto attivi. Anche l’Università si è avvalsa di nostre immagini. P: il rapporto con la natura per chi va sott’acqua è stupendo. Nel senso una persona migliora sé stesso e migliora la natura C: non solo esiste proprio un corso di biologia... G: quando vai sotto devi sapere dove vai e cosa è quello che vedi e se sai cosa stai guardando lo apprezzi anche di più.

la foto digitale per me....Ecco, ma voi pensate che la fotografia rimanga la migliore forma di espressione? G: secondo me sono due cose diverse! Il filmato è affascinante perché riesce a riportare in vivo quello che succede, ma l’emozione che ti da lo scatto fotografico il video non te lo da. Con il video avremo un ulteriore appiattimento. P: in teoria non ci sarebbe nemmeno bisogno di andare giù, basterebbe trainarlo dalla barca…la fotografia è un’altra cosa, la fotografia è tua, il filmato è della macchina. G: la nostra associazione è affiliata alla FIPSAS come disciplina vengono fatti anche i campionati italiani di fotografia subacquea e anche noi come club (associazione subacquei senesi) organizziamo ogni anno un concorso fotografico che vale per il Gran Premio FIPSAS.

P: è più bella la flora o la fauna?

P: questo è tuo figlio? Quando comincerai a far immergere anche lui?

C: secondo. Di solito vanno di pari passo.

G: la FIPSAS lo consente da 14 anni in poi.

P: e te, Gabriele, cosa preferisci?

P: quindi le candeline dei 14 anni le porti in acqua?

C: tutti e due

G: comunque prima è necessario fare il corso necessario. Noi utilizziamo la piscina in Piazza d’armi, con istruttori qualificati da febbraio a giugno e rilasciamo brevetti validi in tutto il mondo. Perché per andare sott’acqua con le bombole, in qualsiasi parte del mondo ti presenti, c’è bisogno di un brevetto obbligatorio.

G: se vogliamo essere sinceri ogni volta che finisci una immersione le prima cosa che dici è più facile sia: ho visto un dentice! Piuttosto che: ho visto una gorgonia. Nell’immaginario collettivo il pesce è quello che colpisce di più anche perché è forse quello più raro. Più difficoltoso da vedere e dà più soddisfazione. P: per sintetizzare: fotografia e filmato. Voi come vi ponete?. Si dice che nel giro di poco tempo la fotografia vada a sparire… G: per me sono due cose diverse P: è chiaro che il filmato è più impersonale. Così come

P: sarebbe utile anche per andare in apnea, credo. G: sì, però quelli sono altri corsi....(noblesse oblige NdR)


gli inventori e i primitivi

senza controindicazioni: photostory in pillole di Costanza Maremmi

Vorrei ritagliare un piccolo spazio, all’interno delle nostre proiezioni mensili, in tema fotografico, per occuparci di un aspetto fondamentale del medium a noi caro:le sue origini. Troppo spesso ci si approccia alla fotografia carichi di preconcetti e convinzioni se non sbagliate, quantomeno ridicole. Tutto questo è da imputare,

come in altri aspetti cruciali della nostra vita, alla mancanza di un supporto, di una base da cui muovere i nostri passi, e questa base il più delle volte si chiama storia.Qualsiasi disciplina, quasliasi corso e manuale che si rispetti, ha come incipit l’origine del nome della materia trattata e i doverosi “cenni storici”. Perché senza sapere da dove veniamo è impossibile


CINEMA & FOTOGRAFIA alla Bottega il 20 febbraio 2015

conoscere la direzione del nostro cammino. L’occasione ce la danno il canale televisivo franco-tedesco Arte e il Centre Pompidou di Parigi, che hanno confezionato un prodotto (trasmesso su LaEffe) squisitamente divulgativo e accattivante, ricco di animazioni ma tutt’altro che banale: delle pillole di Storia della Fotografia, dove poter comprendere come ciò che oggi diamo per scontato viene da molto lontano e per decenni si è portato dietro falsi miti, ancora oggi oggetto di feroci discussioni (uno su tutti il pretenzioso binomio fotografiaverità).L’idea è quella di alternare, nelle nostre proiezioni, grandi nomi, grandi opere biografiche, nuovi spunti a queste incursioni nel passato del medium.Le prime due pillole che vi propongo rappresentano il grado zero della pratica fotografica, come potete immaginare già dai titoli: Gli inventori e I primitivi. Non resta che augurarvi “buona visione!”.


TIZIANA NANNI


NONSOLOFACEBOOK foto di Tiziana NANNI

Tiziana NANNI

Una di “quelli” che mi incantano di Gigi Lusini Non lo so se sono creativo. Forse mi sono sprecato troppo nel lavoro (:-!!!) ma facendo qualche volta “outing” mi viene da confessare in una ristretta cerchia di amici, che mi sono “buttato via”. Molto. Nessuno può mettere in dubbio le mie profonde conoscenze tecniche e la mia familiarità, sempre più rara (e inutile??) con la Signora. Ma, tranne qualcosa di reportage social e di Palio (rieccolo..madooonna...) mi rendo conto che io non ho dato alla Suddetta per quanto ho ricevuto. Pur essendo uno stimato narratore sconfinante nell’affabulazione, mentre con la penna ho scomodato i sonni di Farmer e Lovercraft, con le immagini non ho mai troppo sconfinato nell’onirico, nel “dark” come dico affettuosamente a Ale&Cos per prenderli in giro. Carenza di coraggio? Consapevolezza di limitazioni di linguaggio o semantica? Ma chi? IO? Il Lusini? Ma è così. Se avessi una macchinetta che materializza non dico le mie eculubrazioni mentali, ma...basterebbero i miei sogni (meravigliosi, movimentati, metafisici, da far impallidire Les Humanoides Associés e il loro Metal Hurlant) se trasportati in concetti visivi, foto insomma, dai.., diventerebbero dei best sellers. Altro che Peter Lik o Andreas Gursky. Il problema che io sono schiavo di quel poco o tanto che so fare ...ho paura. Si, ho paura per me. Di buttar fuori foto “imperfette” (che Kazzo vorrà dire?). Lo so bene. Non ci posso fare (quasi) niente. E niente brucia più della verità. O di qualcosa che gli assomiglia molto. L’uomo ha bisogno di certezze, non di verità, ha

doverosa nota: le “impressioni” sulle fotografie di tiziana, (ale e gigi) sono state “volutamente” scritte “sulle” fotografie viste qua&là sul web e non dopo la lettura delle sua autopresentazione (richiesta e gentilmente fornita). le foto sono state democraticamente scelte da gigi

detto Bertrand Russel...E in tutto questo, Tiziana NANNI cosa ci incastra? Guardate Voi! Orazioni. Discorsi. Balbettii. Sprazzi di luce. Ombre. Silenzi. Voci. Presenze accennate o palesi. Assenze dolorose. Frasi troncate o troppo geometricamente esaustive. Materiali. Forme. Colori. Non colori. Nero e bianco. Bianco e nero. Nascondini ed esibizioni. Atmosfere più che icone. Cibo per la mente, “oltre” gli occhi. MEDIA FREDDISSIMI. Tutto determinato da una volontà di esprimere, rappresentare, estrarre ostinatamente il proprio magico mondo interiore. Con forme che non hanno bisogno di una perfezione mediata perché la contengono interiormente. SONO perfezione. Perché in ogni segno, in ogni nero, in ogni linea, ritrovi un linguaggio antico “tutti e nessuno” come dice Guglielmo da Baskerville del “vocabolario del “dolciniano” Salvatore. E, dico io, per me, riuscendo ad affascinarci. Come nelle “manìe” di Samuele Bianchi, Alessandro”Jedi” Pagni e, perché no? nelle cose più riuscite di Stefano Fantini. Ma tutti in modo diverso. Perché “diversi” e diversamente impegnati, coscientemente o no (non ci interessa, dopotutto) a farci vedere chi e come sono. Dentro. Dove conta. Dove le differenze sono meno annacquate dalle convenienze e dai condizionamenti, di ambiente e di genere. Come, dite Voi? Facile? Guardate queste immagini di Tiziana. E “se non La capirete, allora il problema sarà...vostro..”* A Lei,... non potrà importarLe di meno. Di sicuro, non lo fa per noi.......................................:-))) * inverso di: Parole agli intellettuali - F. Castro1961 (segue)


Il silenzio che “fa” la luce di Alessandro Pagni

Guardo le foto di Tiziana Nanni e mi trovo in un luogo che conosco., Dove il tempo del “dover” fotografare e tantomeno “l’imperativo” di dover essere fotografo, non esiste. Il suo tempo, che poi è il mio tempo, è (o quantomeno a me sembra) il tempo del gioco, del gioco adulto, segnato da piccole dolci malinconie, che non si dimentica di sé, che non cerca l’oblio dell’euforia; ma si guarda dentro con la fragile, desaturata, tenera paura, di indagare il proprio corpo, quando nessuno lo osserva, col timore di trovarci qualcosa di sbagliato.

Io qui ci metterei i Sun Kil Moon, gli Sparklehorse, Vic Chesnutt, ma questa è una considerazione personale.

Sembra che il tempo sia infinito eppure sottile, prossimo allo strappo: non ci sono concorsi, letture portfolio, pubblicazioni (cose che poi ci sono in realtà, o è auspicabile che ci siano, ci possono essere anche solo per darsi piccoli traguardi, ma questo dopo, in un secondo momento, non come motivo del fotografare, semmai come pretesto), c’è il silenzio che “fa” la luce (e l’ombra suo sempiterno contraltare) in certe fotografie e la sensazione di guardare un filmino in Super 8 muto dei nostri genitori, dove tutto si muove come un balletto onirico e la musica, che a orecchi esterni manca, è quella che solo inconsciamente inseriamo noi.

Gigi mi chiede di visionare queste foto e lo fa di proposito, mi conosce, sa che questo è l’impiego della fotografia che prediligo, quello sguardo apparentemente “egoista” che serve in realtà come soglia, da attraversare per entrare nel mondo. Sa che questo è il genere di fotografia con cui mi ha conosciuto, che è il tipo di fotografia che mi ha portato a Siena e mi ha fatto stringere il legame più importante della mia vita.

Pose lunghe, doppie esposizioni, pellicole e polaroid rimaneggiate, sdoppiarsi, moltiplicarsi, dividersi e spezzarsi in due, in tre, in mille “io”. La fotografia non serve solo a farsi chiamare “fotografo”, a farsi ammirare, ad attirare occhi su di te, serve anche a guardarsi, nell’angolo più nascosto e a non avere paura di trovare cose stranianti, ambigue e a volte imbarazzanti o semplicemente tristi, semplicemente “nostre”.

Quel modo di fotografare che credevo lo irritasse, che chiamava ironicamente”dark”, ma che in realtà capiva, senza bisogno di aggiungere troppe parole.



(segue da G.Lusini(

Un Grandissimo, Vero, Ferdinando Scianna, che grazie all’Amico Francesco Bottai ho avuto il piacere di conoscere e di “fotografarci insieme” in uno “scambio“culturale di impressioni (grande, ragazzi, grande) mi disse che le mie foto erano perfette, Troppo perfette e..gelide. E “trasparivano” palesemente la voglia di piacere. Per la loro esteriorità tecnica. E non per il contenuto, scelto solo in base al previsto appeal finale. Una bomba. Non passa giorno che non mi passi davanti questa “sentenza”, E niente brucia più della verità. O di qualcosa che gli assomiglia molto. L’uomo ha bisogno di certezze, non di verità, ha detto Bertrand Russel... Ecco. Queste cose di Tiziana Vi sembrano più certezze o...Verità?








CIMETTOLAFIRMA

Due righe :) Ho sempre saputo di aver bisogno di un mezzo per riuscire a comunicare con me stessa, “liberarmi” da stati d’animo, paure, ansie, e tutto ciò che vive nell’intimo di una persona. Ho frequentato l’Istituto d’Arte nella sezione di pittura, trovavo fantastico riuscire ad esprimersi con i colori e con i pennelli; purtroppo, però, non sono riuscita quasi mai a sentirmi pienamente soddisfatta da ciò che realizzavo, c’era troppa discordanza con quello che avevo in testa, ed era frustrante non riuscire a riconoscermi in ciò che dal concetto si trasmutava in dipinto, o disegno. Mancava sempre qualcosa, e con il tempo ho capito che mancavo io. Non mi vedevo. Dopo le scuole superiori, a causa di pesanti vicende familiari , purtroppo non ho continuato gli studi, ed ho avuto l’esigenza primaria di trovare subito un lavoro. Per quasi 15 anni ho svolto così diverse attività, dall’operaia, all’impiegata, seppellendo ed abbandonando letteralmente qualsiasi altri sogni e velleità. Poi, un giorno, di circa cinque anni fa, attraverso una serie di coincidenze e casi fortuiti, son venuta in possesso di una macchina fotografica : da quel preciso istante ho capito che quella sarebbe stata la mia voce, e continuo a scattare non solo perché nel frattempo la Fotografia è diventata anche la mia professione, ma perché so che riesco ad esprimermi profondamente solo così, attraverso questo mezzo. C’è una frase che mi accompagna da un pò, che riassume perfettamente il senso di tutto il mio cammino: “Si è sempre in tempo, dove si è destinati”. Su di me posso dire che sono molto curiosa e che mi emoziono spesso. Mi piace usare la mia immaginazione, creare connessioni, e andare oltre l’aspetto in superficie. Penso che questo sia inevitabilmente presente nelle mie immagini. Per me la fotografia è più un “sentire” che un “vedere”, perciò quello che cerco costantemente è provare sensazioni e sentimenti, immergermi nell’anima delle cose, nella loro bellezza, ma più spesso in quello che c’è dietro, nel profondo. Sono molto attratta dai riflessi, dalle presenze/assenze, dai vuoti, dalle zone d’ombra; in molte mie fotografie sono presenti questi elementi, per me imprescindibili. L’ombra, ad esempio, ha un forte valore simbolico, quello di esaltare la luce: è necessaria, affinché la luce risplenda ancor più viva. Credo che sia per questo che ne sono tanto affascinata, così come lo sono più dell’interiorità dei soggetti che fotografo, rispetto al loro aspetto esteriore: è importantissimo per me andare oltre quello che semplicemente “vedo”, ed aspettare che si crei un’empatia e un’alchimia con il soggetto, (o con il luogo) che ho di fronte. T.N. http://tizianananni.tumblr.com/


!??!

CERINI DI TECNICA

“...non ti dolga di tua poca dimora in questa piaggia trista e non ti caglia ch’ancor del quarto lustro non sè fora...”

G. Leopardi, Appressamento della morte

pellicola? chi era costei...? .2 di Chenz II

bdi.siena@gmail.com

E’ strano, o almeno sorprendente, come tutto passi velocemente. E non si deve nemmeno dare la colpa a questi tempi che fagocitano tutto. Un certo Eraclito l’aveva affermato circa 2500 anni fa “panta rei” ricordate? Ma, dal punto di vista amatoriale, nella forma più alta (e se volete anche la legenda di amatoriale: aggettivo qualificativo di coloro che non si servono della Fotografia (solo) per lavoro ma per trovare un “passatempo” culturale impegnativo e divertente, senza restrinzioni o obblighi “temporali”) i rumors che sorgono qua e là dicono che è sempre più alto l’interesse dei “nativi digitali” per la foto che oggi viene tristemente denominata analogica (mentre esisate una sola Fotografia, e quella con la pellicola è molto molto logica). Per non parlare per gli irriducibili superstiti adoratori di quella Dea che qualcuno ha chiamato molto appropriatamente quanto lievemente “nastro d’argento”. Pur con tutte le barriere “commerciali” legate a questa disciplina vintage. Lascio però volentieri al freddo e puntiglioso (e un pò a senso unico non trovate?) collega Pico de Paperis la trattazione e le critiche dall’interno del sistema digitale. Noi qui ci occupiamo di tecnica. Spicciola, elementare o anche Alta, se vi pare. Ma, riprendendo il filo, è sorprendente come un breve prologo introduttivo su Pellicola & Dintorni di qualche mese fa, abbia scatenato una simpatica e eccitante caccia (richieste numerose) all’Analogico. Varie mail ci sono arrivate in tal senso


per non parlare di ruichieste “disperate” di Corsi di Foto in Pellicola e Camera Oscura. Prendo quindi la palla al balzo e approfitto di un piccolo Bignamino che ho buttato giù per una carissima coppia di Amici ND (nativi digitali) per una Introduzione Elementare alla Pellicola e il suo uso. Questo sconosciuto “nastro d’argento”, racchiuso in barattoletti metallici ancora più misteriosi. Eccola:

UNA PELLICOLA PER ELENA

elementi di base sull’uso delle pellicole a cura di gigi lusini / gennaio 2015

PIANO DELL’....OPERA (EH EH EH) Cari Ragazzi, “iniziare” qualcuno alla Fotografia, quella di una volta, almeno per Voi, è una delle cose più eccitanti che un vecchio amante possa fare. Parlare della Sua Amata Compagna di una vita. Specie in una società e in un momento in cui il...”valore dei valori” sembra aver perso significato e fascino.Ma bando al romanticismo, sennò non arriverò mai in fondo. Quindi, dopo una breve e DOVEROSA PREMESSA (1), passeremo subito a (2) FARSI PELLICOLA, (3) COSA OCCORRE!! (4) SVILUPPO: SOLO PERSONALIZZATO. E infine (5) STAMPA OTTICA O SCANSIONE? QUESTO è IL PROBLEMA. Mi rendo conto che è presunzione affrontare questi temi, rigorosamente scientifici, in maniere divulgativa e “amichevole”. Ma è buona cosa NON spaventare l’aula (eh eh). Incominciare a piccole dosi e poi...chi vivrà vedrà. Se poi uno entra nel tunnel.. Cominciamo allora?


1) DOVEROSA PREMESSA Abbiamo detto: mai fare i paragoni e riferimenti con La Fotografia Digitale. Semmai qualche volta può essere utile fare..il contrario. Anche se chiunque può affermare che la Teoria è comune, la Pratica è spesso veramente “diversa”. Infatti, per cominciare, mentre per selezionare e cambiare la sensibilità di un sensore (il cui debole è rappresentato dalla EFFETTIVA ESTENSIONE DEL SUO CAMPO LINEARE) BASTA CAMBIARNE LA TENSIONE APPLICATA, (questa prendetela alla buona, eh.. e per saperne i limiti basta andare in Internet):

invece per lavorare con LA PELLICOLA, bisogna per prima cosa conoscerla. Bene. Ve la presento? ECCOLA


2) FARSI PELLICOLA Per LAVORARE con la Pellicola, la migliore se non l’Unica maniera è ENTRARE nella SUA MENTALITA’. Della Pellicola, intendo. ESSA infatti ha una SUA PRECISA PERSONALITA’. Per Tipo e Sensibilità. Mi piace paragonarla alle immense differenze che intercorrono fra Donna e Donna. E pensare di TRATTARLE tutte alla stessa maniera è sbagliato e controproducente. SE MI SI PASSA IL TERMINE. EH EH. E’ buona cosa trattarle OGNUNA COME MERITA. Ecco quindi

LA PELLICOLA È opportuno a questo punto accennare in maniera telegrafica, data la elementarietà dell’argomento, alla PELLICOLA, personaggio fondamentale. Le pellicole (negative B.N. o NEG: COLORE O COLORDIA) si possono suddividere più o meno in 4 gruppi che sono: L M H1 H2 Bassa sensibilità 25

media sensibilità 32 - 100

alta sensibilità 125 - 400

altissima sensibilità oltre 500

Vediamo subito: bassa, media e alta rispetto a cosa? L’unità di misura della pellicola (sensibilità) si esprime in ISO ex ASA* e i valori indicativi che sono di uso universale, hanno un senso solo riferendosi al fatto che una pellicola di sensibilità ad esempio di 200 ISO è il doppio sensibile rispetto a una da 100 ISO e viceversa. Niente di più semplice. Il fatto che oggi si tenda a chiamare gli ASA con la sigla ISO non cambia niente. Sono in pratica la stessa cosa. Più interessante è accennare il tipo di “funzionamento”. La pellicola è oggi un supporto di un materiale non infiammabile, triacetato, K-estar, ecc., avvolto dentro un contenitore che la protegge dalla luce.


*E’ praticamente la stessa cosa,ma espressa con due sigle diverse.ASA sta per American Standards Associaton,l’ente americano di

standardizzazione delle misure, ed era una delle due scale della sensibilità usate allora,assieme alla tedesca DIN,che è l’ente tedesco simile,che però usava criteri diversi,una scala a valori logaritmici,dove il raddoppio della sensibilità era indicato con valori a salire di 3,partendo da 15 Din,pari a 25 ASA,18 Din-50 ASA,21 Din pari a 100 ASA e cosi via,con alcuni valori intermedi tipo19-64 Asa,22-125 Asa,23-160 Asa 26-320 Asa.-Fino agli anni ‘90 sulle confezioni di pellicola c’era sempre la doppia scala ASA-DIN. Poi attorno agli anni 90,mi sembra,si passò all’attuale ISO,International Organization for Standardization,scala adottata in quasi tutti i paesi e non solo per la sensibilità fotografica.Cera una terza scala,la Ghost,ma era usata solo nei paesi del blocco Sovietico

La pellicola vista in sezione molto ingrandita si può schematizzare così:

Strato antigraffio:

per palesi motivi

Emulsione:

gelatina animale derivata da ossa, corna, ecc. contenente sali di argento (in granuli) sensibili alla luce.

Supporto:

vedi sopra (triacetato, K-estar ecc)

Strato antialone:

per evitare “ritorni” di luce dal retro pellicola letali per la nitidezza.


MECCANISMO DI AZIONE I granuli di argento colpiti dalla luce (fotoni) si “attivano e formano (inutile approfondire troppo in questa sede “iniziale”) una immagine latente proporzionale alla quantità di luce ricevuta. Un successivo passaggio “rivelatore” in un bagno chimico, detto comunemente sviluppo, trasformerà l’immagine latente in un’immagine detta “negativo” perché le parti annerite saranno proporzionali alle luci del soggetto ripreso (questo anche nelle diapositive, 1° sviluppo). Un passaggio successivo in un bagno chimico detto fissaggio arresterà questo processo di annerimento al punto giusto (?!) e sciogliendo i granuli non colpiti dalla luce, lascerà la trasparenza del supporto (i neri del nostro soggetto). GRANA E SENSIBILITA’


2) COSA OCCORRE RICORDA: LA MISURAZIONE, DIRETTA O INCIDENTE CHE SIA, NON E’ QUASI MAI L’ESPOSIZIONE OTTIMALE L’ESPOSIZIONE Ogni pellicola nella sua sensibilità indicata o comunque prefissata, avrà una Sola e Unica ESPOSIZIONE E per una specifica situazione luminosa. Avremo sempre, quindi, la condizione:

E = i

x

t

dove i = intensità luminosa direttamente comandata dai diaframmi t = durata dell’esposizione direttamente comandata dai tempi si vede benissimo che per avere E costante all’aumento di i dovrà corrispondere una diminuzione di t e viceversa. Ricordiamo l’esempio dell’acqua per riempire esattamente lo stesso recipiente.


N.B.: E = i x t vale per un arco di tempi da circa 1 secondo a circa 1/1000 di secondo. Fuori da questo arco si intenderà E = i x (t + n) dove (t + n) si deve trovare in apposite tabelle fornite dalle ditte, dove viene indicato l’aggiustamento, pellicola per pellicola, non essendo più valido il rapporto di reciprocità (non reciprocità).


I SENSORI DIGITALI NON HANNO QUESTA “DEBOLEZZA” mentre per ESPOSIZIONI MOLTO LUNGHE soffrono del difetto dei BURNED PIXEL (NdR) Ritornando comunque alla nostra situazione “normale” di E = i x t, per stabilire E ci sono 2 possibilità: a) sistema misurazione luce interno (esposimetro della fotocamera) b) sistema misurazione luce esterno (esposimetro “a mano”) Entrambi i sistemi, con un semplicissimo mezzo elettrico tarato, reagente alla luce, ci danno il giusto valore di esposizione E per la pellicola che stiamo usando nella situazione luminosa (soggetto) che vogliamo “riprodurre fotograficamente”. Unico problema, essendo 2 i fattori in gioco (i e t), sarà quello di stabilire per i nostri scopi un fattore e adattare l’altro affinchè il rapporto risulti costante (la nostra E). Avendo per esempio una E che ci darà le seguenti combinazioni per la sensibilità prefissata: t

8

15

30

60

125

250

500

1000

f

32

22

16

11

8

5,6

4

2,8

si tratta di decidere quale coppia tempo/diaframma serve


meglio ai nostri scopi. E qui il discorso comincia a diventare interessante. Infatti, a meno di combinazioni creative che dovremo vedere in un secondo tempo, mentre è abbastanza immediato decidere che per un’auto che corre sarà meglio adoperare la coppia 2,8/1000 o al massimo 4/500, è indubbiamente interessante avere dei riferimenti più precisi per quanto attiene a paesaggi, oggetti inanimati, case, alberi, ecc. (oltre che a persone non obbligatoriamente impegnate in una finale olimpica dei 100 metri). Altri fattori intervengono. Ci limiteremo ad indicare quelli praticamente più importanti. TIPO DI FOCALE USATA Il tipo di focale usata necessita di attenzione al tempo d’uso. Infatti, usando un termine venatorio, più si adoperano obiettivi spinti e “più stretta” sarà la rosata. I movimenti (dell’operatore e della fotocamera nello scatto) causeranno infatti facilmente danni alla nostra immagine che malgrado una esposizione esatta la renderanno inaccettabile per problemi di “mosso” (micro o macro importa poco). Una regola molto approssimata suggerisce di adoperare per una certa sicurezza almeno un tempo “simile” alla focale della lente usata (ad esempio pe run 50 mm – 1/60, per un 28 mm – 1/30, per un 200 mm – 1/250). Ma chi ricerca la qualità non sempre ottiene risultati accettabili se non passa almeno al tempo successivamente più veloce. Provare per credere. Inutile, ma sempre meglio, ricordare di adattare i diaframmi per ottenere lo stesso rapporto E. KENZ II bdi.siena@gmail.com

segue......


25 GENNAIO 2015

Uscita Bottega/Circolo di Confusione

NOTA:..che la fotografia possa essere un “fake” (come direbbe Jedi Pagni) lo dimostra la foto in fondo-pagina, dove quello che sembra un baldanzoso condottiero era stato da poco recuperato col...defribillatore. :-))) PdP

Iesenia RADI

“Checco” MARTORELLI

Stefano CAIROLA

...le (brrrr)foto venute dal freddo


...OH QUANTA BELLA GENTE

IL PROGRAMMA I più calorosi Auguri de La Bottega dell’Immagine ai “cugini” del nuovo

CIRCOLO di CONFUSIONE GB nato in data 10 febbraio 2014 “Boulevard du Temple”, Daguerre, 1838 - Parigi

...a tante “altre”cose belle insieme... BdI

febbraio - aprile 2015

LOGO A.S.S.

6 FEBBRAIO

20 FEBBRAIO CINEMA & FOTOGRAFIA

GLI INVENTORI E I PRIMITIVI senza controindicazioni: photostory in pillole a cura di Costanza MAREMMI

6 MARZO

Daniela CAPPELLI - India 2015

PROIEZIONE delle Foto dell’uscita “polare” congiunta (BdI & CCGB) a Roccatederighi e Sassoforte del 25 gennaio 2015 (pag. a lato)

Incontro con l’Autore:

I SUB Carlo LORENZETTI e Gabriele DONATI (A.S.S.)

THE ABYSS: tutto un altro mondo 20 MARZO

Daniela CAPPELLI e i suoi reportages dalle parti più povere del mondo: India 2015: un mondo negli occhi dei bimbi

la CAMERA CHIARA - NewsLetter del Circolo Culturale La Bottega dell’Immagine di Siena. Redatto in proprio - Feb. 2015


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