BBQ4All Magazine numero 53 - Maggio 2023

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N°53/ANNO 5 - MAGGIO 2023

L'EDITORIALE DI GIANFRANCO LO CASCIO

COME SI PREPARA L’INSALATA PERFETTA SPECIALE INSALATE

Carne cruda alla Piemontese, Carpaccio alla Cipriani, Carpaccio di Roast Beef, Chorizo Salad, Insalata di Bollito, Insalata di Pollo Cinese, Pork Caesar Salad, Ribeye Salad, Steak Cobb Salad, Thai Beef Salad e tante altre ricette

CIRCOLO DEI GRILL MASTER:

SALUMI FATTI IN CASA? VEDIAMO COME

GASTRONOMICA-MENTE

L’ELEMENTO CRUNCHY DA ABBINARE ALL’INSALATA

LA RICETTA SCIENTIFICA

BACON FATTO IN CASA


Direttore Editoriale Rossella Neiadin

Redattore Capo Michela Bongiorni

Redazione

Enio Berton, Virgilio Brunetti, Tommaso Buccafurri, Nunzia Clemente, Roberto Dal Bosco, Salvatore Di Mento, Luca Gallozza, Marco Gerometta, Mariangela Ibba, Chiara Lo Cascio, Gianfranco Lo Cascio, Giancarlo Madonna, Riccardo Meniconi, Giovanni Minelli, Emiliano Nencioni, Elena Ninotti, Francesca Pappacena, Raffaele Persichetti, Andrea Spaggiari, Alessandro Trezzi, Carlo Trono, Alex Vasile, Caterina Vianello, Alberto Zonghetti, Marco Zorzan.

Realizzazione Grafica Impaginazione Carlo Trono Illustrazioni di Eleonora Castagna e Ozzy Bellesi Fotografie di Rossella Neiadin, Luca Gallozza, Tommaso Buccafurri, Elisa Giuli, Emiliano Nencioni

Supplemento al numero 6 di giugno 2023 del mensile Il Salvagente - Leader nei Test di laboratorio contro le Truffe ai consumatori

il Salvagente

Direttore responsabile Riccardo Quintili Vicedirettore Enrico Cinotti

I

Registrazione al Tribunale di Roma n° 212/1992 del 3 aprile 1992

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IN DI Editoriale

Per favore non chiamatela "insalatona" - come si prepara l'insalata perfetta

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Ricette

Steak Salad

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Carne cruda all'albese

18

Carpaccio alla Cipriani

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Carpaccio di eye round affumicato

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Chorizo salad

26

Insalata di bollito (che però non è bollito)

28

Insalata di gamberi, avocado e arance

30

Insalata di maiale

32

Nervetti in insalata

34

Bandanji salad

36

Polpo e patate

38

Pork Caesar Salad

40

Ribeye salad

42

Steak Cobb salad

44

Tartare di tonno agli agrumi

46

Yum Nua

48

Approfondimenti

Gastronomica-mente - Il mondo del croccante

50

Gastronomica-mente - E da bere? Tre cocktail infallibili

62

Il Circolo del Grill Master - Salumi fatti in casa

68

Il Circolo del Grill Master - Affumicare a freddo

68

Il Salvagente - Cornetti integrali, altro che light...

76

Il Salvagente - Basta un po’ di crusca e il gioco è fatto

79

Rubriche

La ricetta scientifica - La scienza del bacon affumicato fatto in casa

82

Seguo - Social Media Masochist

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BBQ4All Magazine

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Editoriale di Gianfranco Lo Cascio

PER FAVORE, NON CHIAMATELA

INSALATONA

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COME SI PREPARA L’INSALATA PERFETTA

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COS’È L’INSALATA GOURMET? L’insalata gourmet è un’insalata: 01. BUONA DA MORIRE. Riuscite a crederci? Un’insalata buona può e deve esistere. Vi nutrirete con un piatto sfizioso, saporito e appagante perché costruito con i criteri delle percezioni sensoriali. 02. SANA. Bilanciate la vostra alimentazione cestinando le cattive abitudini.

“Ricordare un’ottima insalata significa ricordare un’ottima cena. In ogni caso la cena perfetta include l’insalata perfetta.” G.Hellwanger

Questa è senza dubbio una frase che avrei potuto pronunciare anche io. L’insalata, idiosincrasia di molti, nemica giurata dei bambini e degli interstizi dentali, spesso la associamo ad un regime alimentare restrittivo e mortificante, ad un contorno banale a base di fogliame condito (male). Sbagliando.

04. EQUILIBRATA Ricaricate il metabolismo usando a dovere olio extravergine, cereali, legumi e proteine. Spegnete le fiamme della fame con un piatto sano e buono. 05. BENEFICA. Introducete nel corpo antiossidanti, minerali, vitamine e fitochimici, che sono nutrimento per il cervello, le ossa, la pelle, il sistema immunitario. Prendete tutto il buono di frutta e verdura crude. 06. CONSIGLIATA DAGLI ESPERTI. Sarete in linea con i consigli degli esperti che raccomandano l’apporto calorico bilanciato di tutti i nutrienti. Non si vive di sole mangiatoie di lusso o carnazza ignorante, eh. 07. INDICATA PER PERDERE PESO. È una potente alleata in caso di dieta ipocalorica. 08. APPAGANTE. È un pasto colorato, croccante e sfizioso. Sazia senza appesantire, e non vi lascia con quel senso di incompiuto in bocca. 09. RAPIDA. Cominciate a guardare il cibo quotidiano con occhi diversi, spostate l’attenzione dai pasti pronti (surgelati o non) a quelli buoni e che si preparano in dieci minuti.

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Esiste infatti una versione potenziata e persino gustosa del contorno più odiato di sempre, si chiama insalata gourmet.

03. SEMPRE APPLICABILE. Che si tratti del pranzo da portare in ufficio, un barbecue estivo, un aperitivo con gli amici, una cena in grande stile o un pranzo della domenica, con la formula magica che sto per rivelarvi riuscirete a creare insalate adatte a ogni occasione.

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Per assemblare una vera insalata gourmet, e per formulare infinite ricette, basta seguire poche fondamentali regole.

Erbe aromatiche. Inutile elencarle tutte, aggiunte all’insalata, basilico, prezzemolo, origano fresco e maggiorana danno aroma e sapore.

Fate attenzione a queste quattro macro-categorie:

Da fiore Cavolfiori, broccoli, cavoletti di Bruxelles, cavolo cappuccio, verza, carciofi e asparagi. Alcuni devono essere necessariamente cotti e raffreddati nel ghiaccio per mantenere un bel colore verde brillante. Personalmente adoro la julienne di cavolo cappuccio crudo.

01. SENSORIALE. La nostra insalata può dare stimoli chimici, termici, meccanici, dolorosi, chemestesici ed emozionali. Gli stessi elementi che veicolano il senso dell’UMAMI. 02. SALUTISTICO. La nostra insalata fornisce fibre, vitamine, sali minerali, antiossidanti, tutti elementi che garantiscono la massima efficienza del nostro organismo. 03. NUTRIZIONALE. La nostra insalata è equilibrata nel rapporto tra carboidrati, proteine e grassi, tutti elementi che garantiscono un pasto bilanciato. 04. GOURMET. La nostra insalata è prima organoletticamente buona, poi tutto ciò che vogliamo rappresentare.

GLI INGREDIENTI DELL’INSALATA GOURMET Consiglio di partire da quelli fondamentali per poi aggiungerne altri una volta acquisita una certa dimestichezza. Alla fine vi svelerò dei piccoli trucchetti, apparentemente banali ma di grande impatto. ORTAGGI Sono tantissimi, hanno sapori decisi e consistenza perlopiù croccante. I diversi tagli permettono di variarne la percezione. A foglia Cicorie propriamente dette, l’indivia belga e i tutti i tipi di radicchio. Un contributo di sapore importante per la nota amaricante più o meno intensa.

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Indivie. La riccia, la scarola e la belga per intenderci. La prima ha foglie frastagliate e sapore pungente. Si usa in abbinamento ad altre insalate, quasi mai da sola. La scarola si presta a essere cotta.

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Lattughe. Assumono la forma a cappuccio, come la trocadero e l’iceberg, o a coste, come la lattuga romana oltre a quelle da taglio. Molto croccanti ma dal sapore delicato.

Da frutto Pomodori, melanzane, peperoni, zucchini, zucche, cetrioli e avocado. Crudi, alla piastra, al vapore o appena sbianchiti e poi raffreddati. Possiedono un sapore spiccato e distintivo. Da fusto Sedano e finocchio. Gusto deciso e consistenza croccante, oltre a una componente aromatica molto forte. Da radice Carote, barbabietole, rape, ravanelli, daikon e sedano rapa. Vagamente dolci, aggiungono croccantezza, sapore e note pungenti (soprattutto ravanello e daikon). Da tubero Patata, patata dolce, topinambur, zenzero. (che è un rizoma, più tubero che radice). Estremamente versatili. FRUTTA Aggiunta all’insalata la frutta dà un tocco di stile e sapore. Fresca, in piccoli pezzi da masticare, affettata o tagliata a fiammiferini. Aggiunge dolcezza e acidità a supporto delle percezioni sensoriali. UMAMI Alcuni ingredienti apportano una forte carica di sapore, potremmo dire che parlano ad un "volume" alto. Anche in piccole quantità fanno deflagrare le papille gustative, controparti utilissime per i vegetali meno gustosi. Ce ne sono tanti, ma possiamo provare a classificarli. Occhio alle dosi, ricordate che apportano carboidrati, proteine e grassi. Formaggi stagionati o erborinati Gorgonzola, Roquefort, Feta, Caprini, Parmigiano Reggiano 30/60 mesi, pecorini, tome. Un patrimonio


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aggiungere tagliati a piccoli pezzi che saporiti come sono impennano la curva del gusto. Funghi Se coltivati, si tagliano a lamelle sottili e si aggiungono crudi o appena scottati. I funghi selvatici, come i porcini, hanno una carica di sapore esplosiva, deliziosi da crudi. ELEMENTO CROCCANTE Serve a fornire percezioni meccaniche di contrasto. Vivacizzano l’insalata e la rendono golosa. Crostini Cubetti di pane anche integrale, tostati in padella o al forno, insaporiti con una goccia di olio extravergine. Un bocconcino che scricchiola sotto i denti equilibra la consistenza morbida dei cubetti di mozzarella, anche di bufala. Attivazione di più recettori = Maggiore intensità sensoriale.

spesso italiano che dà un’identità unica al piatto. Stimolano la salivazione e non annullano gli altri sapori. Variate anche la forma: briciole, petali, scaglie o fiammiferi. Salumi Selezionate il meglio: speck, culatello, il migliore prosciutto crudo o cotto. Qualche etto non rovina il patrimonio ma concentra gusto e sapidità come poco altro. Legumi Fagioli, ottimi i borlotti e i bianchi di Spagna, ceci, fave, lupini, piselli. Cotti ma ancora un po’ tenaci. Scolati, asciutti e sgranati aggiungono sapore e consistenze diverse. Apportano carboidrati, proteine, acido folico e ferro.

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Sottoli e sottaceti Funghi, olive, peperoni, melanzane, carciofini, ortaggi grigliati, tonno e pomodori secchi. Cercate il prodotto giusto, anche di nicchia se serve, ne basta poco per ricavare una potenza gustativa unica. Con il tono acido, i sottaceti contrastano il sapore delle insalate, provate e fatemi sapere.

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Prodotti conservati nel sale Olive nere e verdi, capperi, acciughe, alici, uova di trota o simili, bottarga. Aroma e picco sapido. Da

Fettine sottili di pane tostato Interagiscono con il piatto, le portate alla bocca con le mani, le mordete, le usate come palette sulle quali poggiare gli ingredienti. Affettate il pane, lo mettete su una placca spennellato con un velo d’olio, aggiungete qualche erbetta e strofinate appena un pezzetto di aglio, poi via in forno per qualche minuto. Buonissimo! Verdura e frutta disidratata Come prima, mettiamo in forno le fette così le


asciughiamo. Si disidratano trasformandosi in elementi croccanti di forte identità gustativa. Utili per dare consistenze diverse agli ingredienti, per esempio, possiamo tagliare dei cubetti di mela e aggiungere delle fette di mela disidratata, stesso tema, sapori diversi. Frutta secca Mandorle, nocciole, noci, pistacchi, anacardi, semi di sesamo, eccetera. Carica energetica, proteica ma grassa, quindi meglio non esagerare: bastano 4/5 anacardi tostati per aggiungere sapore e contrasto. DRESSING Definirlo condimento sarebbe riduttivo, nemmeno vinaigrette o citronette è appropriato. Il dressing è un concentrato di tecnica e conoscenza che decreta il successo di un’insalata. Vedrete come cambia il risultato.

TIPS & TRICKS DA MAGO Vi svelo qualche trucchetto per aggiungere ulteriore magia al vostro piatto. Per gli ortaggi: Tagliateli a fette sottili, zucchini, melanzane e peperoni ma anche asparagi, coste di bietola, zucca, cipolle, fagiolini, fave e piselli nel baccello, procuratevi una piastra in ghisa e scottateli a fuoco violento per un minuto, solo da un lato. Le sostanze termolabili saranno in parte conservate e le verdure quasi cotte ma ancora croccanti vi stupiranno. Per la frutta: Caramellata in padella per concentrare e intensificare il sapore. Ad esempio: affettate una mela, sporcate il polpastrello di succo di limone e strofinatelo sulla superficie della fetta. Poi ripetete sporcandovi il dito di zucchero semolato. Fate passare qualche minuto. L’acidità del limone scinde lo zucchero in glucosio e fruttosio, due zuccheri riducenti che aiutano la Reazione di Maillard, inoltre l’acido citrico è un anti-ossidante naturale che non fa annerire la mela. Centrifugate la frutta e unite un pochino di succo di limone per mantenere il colore contrastando l’ossidazione. Aggiungete il centrifugato di frutta per intensificare il sapore.

Per i sottoli e sottaceti: Vanno sgocciolati bene sulla carta assorbente prima di aggiungerli all’insalata. L’eccesso d’olio è superfluo. Non sbilanciamo la quantità di grassi del dressing caricando calorie inutili, no? Se preferite un gusto più delicato, mettete i sottaceti a bagno per 10 minuti in acqua fredda con un po’ di sale. Perderanno un po’ di carica acida nel liquido per effetto dell’osmosi e le verdure, specialmente le cipolline, risulteranno più gradevoli. Personalmente amo l'acidità spiccata. Per i funghi secchi: I funghi secchi hanno un intensissimo potere Umami perché l’essiccatura ne concentra la forza. Aggiungete al dressing l’acqua tiepida usata per farli rinvenire, così rinforzate il gusto. Per la frutta secca: Questo è un grande trucco e molti lo conoscono già; tostare la frutta secca in padella fa emergere in superficie gli olii essenziali. Il gusto cambia completamente e il contrasto di temperatura aggiunge un altro elemento sensoriale

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Per i salumi: Essiccate delle fette sottili in forno; vi dice niente il profumo dello speck affumicato e croccante da

mangiare alla fine, magari con le mani? L’essiccatura concentra sì il sapore ma anche la sapidità, per cui regolate di conseguenza la quantità di sale. Usate i salumi anche in una mousse. Prosciutto e mortadella si prestano alla perfezione. Emulsionate dei cubettini di prosciutto di Praga, dall’aroma affumicato, in un mixer con dell’acqua bollente. Spalmatene un cucchiaino su una fetta di pane tostato e accompagnate l’insalata.

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Burro Burro di Cacao Olio di Palma Olio di Oliva

Carboidrati

Saturi

Monoinsaturi

Olio di Mandorle

Semplici

Olio di Soia Olio di Mais

Poliinsaturi

Olio di Girasole

Grassi

Insaturi

Margarina

Grassi Idrogenati

Pesce Crostacei

Omega 3

Olio di nocciole Noci Cereali

Omega 6

Pane

Acidi Grassi Essenziali

Fosfolipidi

LDL

Composti

Trigliceridi

Lipoproteine

Macronutrienti

HDL

Selezione del fornitore

Materia Prima

Controllo qualità Conservazione Preservativa Cottura

Tecnica

Conservazione Styling Servizio

Aspetti Tecnologici

Tutti

Il cuoco

Chi sono Cosa Voglio

Forte Identità

Perchè

Insalata Gourmet

Come lo ottengo E se... Forma contenitore Ingredienti portanti

Struttura

Dressing Ingredienti di contrasto Ingredienti Dosi Ausili Tecnici

Formula Esecutiva

Costo Metodo di esecuzione

La ricetta

Tempi di realizzazione Cena di gala Cooking Show Cena in famiglia

Circostanza

Barbecue all’aperto Dieta Ipocalorica Tutte le altre

L’essenza del Momento

Freddo Pioggia

Condizioni Meteo

Caldo Vento

Il contesto

Altre

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Stagionalità

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Esempio. Banana Dolce o non troppo

Saporte “attuale” Intensità Contesto Culturale Affinità di sapore

Cogliere l’essenza dell’ingrediente


Acido Dolce

Bocca

Amaro Salato

Semplici

Zuccheri

Complessi

Amidi

Umami

Naso

Proteine

Aroma

Chimiche

Vegetali

Ghiacciato

Animali

Freddo Fresco Tiepido Caldo Bollente

Micronutrienti

Termiche

Fibre Vitamine Minerali Fitochimici

Nutrizionale

Meccaniche

Aridità

Coesione

Umidità

Densità

Rugositòà

Viscosità

Granulosità

Durezza

Scivolosità

Fratturabilità

Lveviftezza

Assorbimento di Umidità

Omogeneità di masticazione

Gommosità

Omogeneità

Pesantezza

Omogeneità di morso

Rilascio di umidità Pungenza Bruciore Calore

Sensoriale

Freddo Intorpidimento Astringenza

Insalata Gourmet

Mindmap

Chemestesiche

Visuale Emozionale Mentale Spirituale

X-Factor

Fibre

Salutistico

Vitamine

Per il cuore

Minerali Fitochimici

Per gli occhi

Vitamine

Per il cervello

Minerali

Per la pelle

Per la articolazioni

Vitamine

Fitochimici

Per le ossa

Vitamine Minerali Vitamine Minerali

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Per il sistema immunitario

Vitamine

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I QUATTRO COMANDAMENTI DELL’INSALATA GOURMET «COGLI L’ATTIMO» Cogliere l’attimo è fondamentale, la più entusiasmante espressione di tortellini in brodo perde ogni carisma se servita sotto l’ombrellone, in una spiaggia siciliana, ad agosto. Contestualizzare l’ambiente e l’occasione per la degustazione di un piatto è fondamentale. Si parte sempre dal nostro desiderio: il primo pomodoro del nostro orto ci ricorda una gita in campagna? Sentiamo ancora il profumo di quel basilico tanto era intenso? Una caprese fatta in modo diverso è quello che ci vuole. Vengono gli amici a cena e voglio fare bella figura. Fuori fa freddo e ho bisogno di un cibo confortevole? Ci vuole un risotto caldo e corroborante piuttosto che una fredda insalata di riso, vero? Fuori fa caldo e voglio mangiare un pasto leggero senza appesantirmi. Pollo arrosto o petto di pollo marinato al lime e rosmarino, cotto sulla griglia con un’insalata estiva magari di lattuga Trocadero e indivia riccia, spicchi d’arancia pelati al vivo, due scagliette di pecorino sardo, cipollotto, crostini di pane di segale e dressing alla senape e miele. Che ne pensate?

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«COGLI L’ESSENZA DELL’INGREDIENTE» Tutti gli alimenti hanno due gusti, uno è registrato nel nostro cervello, l’altro è quello specifico, che può essere diverso da quello che abbiamo memorizzato; spesso lo è. Se qualcuno ci chiedesse di descrivere il gusto di una banana, la nostra risposta immediata sarebbe “è dolce”. Questo perché il ricordo è stato

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registrato quando abbiamo mangiato la più buona banana di sempre, che da quel momento è diventato il nostro indice di comparazione. Ecco cos’è l’essenza dell’ingrediente. Per questo è importante mettere nella nostra insalata gli ingredienti migliori, trasformeremo un semplice pasto in un piacere cui è impossibile rinunciare. « R I S P E T TA L A S TAG I O N A L I TÀ D E G L I INGREDIENTI» La natura sa cosa fare, lasciamola lavorare in pace. Impariamo a conoscere i prodotti e la loro ciclicità, diamo la preferenza ai prodotti di stagione, un pomodoro raccolto al momento giusto equivale a un picco di sapore. «IMPARA LA TECNICA» Ascoltate gli ingredienti, una mela con qualche macchia nera probabilmente è al punto più alto di maturazione. Non è bella da vedere ma può diventare una mousse lussuriosa. Cuocetela al microonde, diventerà morbida, profumata senza annerirsi. Ora passate la polpa al setaccio, emulsionala con succo di limone, pochissimo fruttosio o zucchero di canna, un’idea di cannella e un microgrammo di sale. Mentre è ancora calda, riempite un piccolo bicchierino e sbriciolate mezzo frollino da colazione sulla sommità, guarnite con una foglia di menta ed ecco pronto il vostro piccolo dessert. Esistono molte tecniche per conservare, cuocere, presentare.


IL CONDIMENTO PERFETTO PER L’INSALATA SI CHIAMA “DRESSING” Noi italiani condiamo le insalate con olio extravergine d’oliva, aceto o succo di limone, sale e pepe. Gli americani, invece, utilizzano un cabaret di condimenti sia liquidi che cremosi. Ne fanno di tutti i colori, dal rosso delle salsine al lampone al giallo del peperone arrosto. E le basi: maionese, yogurt, cetrioli e via folleggiando. Esiste perfino il famigerato “Italian dressing” del quale è meglio continuare a ignorare l’esistenza. Una volta, in una Steak House di Memphis, ho trovato anche la «Carta dei Dressing», un fantasioso elenco di salse per accompagnare le insalate. Anche troppo fantasioso, leggere le etichette di quelle e pensare a provette e bilancini è stato automatico: antiossidanti, stabilizzanti, tensioattivi, conservanti, addensanti, esaltatori di sapidità. Alcuni marchi offrono prodotti dignitosi ma le salse economiche sono davvero pozioni da druido. Eppure quegli intrugli mi avevano incuriosito, per cui mi sono chiesto: c’è qualcosa che non va nella nostra oliera? E nei loro dressing? Si può fare di meglio? E se sì, come? Mi sono messo a cercare le risposte, ed è venuto fuori che: 1. Il metodo italiano di condire l’insalata è completamente sbagliato. 2. L’uso del dressing che fanno gli americani è incontrollato, però l’idea c’è. 3. Chiamatelo pure cerchiobottismo, ma il condimento ideale è un cocktail delle due scuole di pensiero.

Se li mettiamo in un contenitore e mescoliamo

Per capire come mai l’aceto cade è stato fatto un altro esperimento: si è messa dell’insalata dentro un imbuto appoggiato sui bordi di un bicchiere. L’esperimento consiste nel capire se una vinaigrette stabilizzata, cui si è aggiunto un ingrediente in grado da fare da collante (come la senape ad esempio), offra una maggiore capacità di adesione rispetto a una preparata in modo tradizionale. Stessa quantità d’insalata e vinaigrette, ma una è stabilizzata mentre l’altra no. La Vinaigrette stabilizzata rimane saldamente aggrappata all’insalata mentre l’altra dapprima si separa, la parte oleosa resta attaccata alle foglie mentre quella acquosa (aceto) cade sul fondo del bicchiere. Come dire che la maggior parte della dose di aceto che usiamo per condire l’insalata finisce in fiondo al piatto entro pochi secondi. Insomma, un condimento sbilanciato da tutti i punti di vista che dovrebbe convincerci a mandare in pensione l’oliera: il metodo italiano non è efficientissimo. Cosa accomuna il condimento degli americani al nostro? Una filosofia assolutamente valida: unire grasso, acido, sale, spezie, aromi. Il problema è che negli States si perde facilmente il controllo della situazione, le insalate finiscono annegate da fiumi di condimento dominato dalla maionese. Saranno anche buone, io le salse le adoro, ma si tratta di sapori grossolani, chiassosi. Senza contare che per tenere uniti grasso, acido, sale, spezie, e aromi conservando a lungo il buon sapore è obbligatorio ricorrere all’uso massiccio di additivi alimentari. Il problema di molte salse americane è che la lista degli ingredienti riconoscibili dura una sola riga mentre quella degli additivi quattro. Ecco perché è il caso di preparare da soli i nostri dressing, scegliendo con cura gli ingredienti. Abbiamo visto che senza l’uso di stabilizzanti l’emulsione è

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Le foglie d’insalata bagnate dall’olio diventano traslucide, non succede la stessa cosa con i liquidi non oleosi, come l’acqua, l’aceto o il succo di limone. Questo perché le foglie sono rivestite da un sottile strato di materiale ceroso, una sorta di impermeabile incorporato grazie al quale le foglie si proteggono dalle intemperie. L’acqua che raggiunge le foglie scivola sullo strato ceroso e si aggrega in piccole goccioline. L’olio, invece, che diversamente da quel che si pensa è meno denso dell’acqua, penetra all’interno rovinando l’aspetto delle foglie. Provate! Molti usano la vinaigrette mischiando una parte di olio e due (o tre) di aceto. Ma olio e aceto non sono amalgamabili tra loro.

energicamente, prima le due masse si uniscono, quindi si disperdono in gocce piccolissime fino a quando non si separano di nuovo. Guardate l’aspetto della vinaigrette sopra la foglia d’insalata, l’olio si aggrappa tenacemente alla foglia mentre la povera goccia di aceto, sospesa sull’olio, cade al minimo movimento. In pratica, l’olio si ancora saldamente alla foglia invece l’acqua scivola sulla parte cerosa. Ecco perché l’aceto, che dovrebbe star sotto, è invece in superficie, sopra l’olio.

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comunque destinata a separarsi, ma a noi interessa che resti unita il tempo di mangiare l’insalata. Per far questo bastano gli stabilizzanti naturali.

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Quello che vi raccomando di fare è quindi realizzare un’emulsione stabilizzata invece di condire con olio e aceto separatamente. Solo così vi assicurerete una maggiore presa del condimento, che riuscirete anche a distribuire in modo uniforme. Ovviamente, per creare la miscela adatta a ogni tipo d’insalata, oltre a olio e aceto possiamo includere numerosi altri ingredienti.

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Per prima cosa chiariamo il concetto di emulsione. Sopra abbiamo parlato di “emulsione” e “stabilizzata”.

Secondo l’enciclopedia Treccani il significato di emulsione è questo: In chimica fisica, è una miscela costituita dalla dispersione di goccioline di un liquido (fase dispersa o discontinua) in un altro (fase disperdente o continua) nel quale sono insolubili o quasi. Sono emulsioni molti alimenti (latte, burro, maionese), cosmetici (creme, lozioni), medicamenti, detersivi, insetticidi, lubrificanti, vernici. Fare un’emulsione significa quindi disperdere delle gocce di un liquido in un altro non amalgamabile con il primo. Per ottenere queste gocce è necessario rompere la struttura delle molecole e riorganizzarla, in pratica


dobbiamo mescolare le due sostanze, più energia mettiamo più piccole saranno le gocce. Così facendo otteniamo una soluzione composta da piccole gocce d’acqua e olio, affiancate in modo casuale. Per il principio della coalescenza (due particelle che si uniscono per formarne una più grande) le goccioline tenderanno ad aggregarsi nuovamente; in altre parole si spostano e si uniscono per creare una goccia più grande. Se invece volessimo mantenere legate queste gocce, dovremmo utilizzare una sorta di colla che nel caso delle emulsioni si chiama “stabilizzante” o “surfattante”. Un agente che ha la particolarità di abbassare la tensione superficiale di un liquido. La tensione superficiale, per farla semplice, è la forza che permette alle zanzare di camminare sul pelo dell’acqua. Detto questo, immaginate gli infiniti condimenti che possiamo realizzare? Adesso proviamo a stabilire con ragionevole certezza quali elementi deve contenere il dressing. • Untuosità. Un grasso, molto spesso un (grande) olio. • Acidità. Aceti, succo di limone o lime ma anche succhi di frutta di spiccata acidità. • Sapidità. Sale e non solo: salsa di soia, colatura di alici, Worcestershire Sauce. • Dolcezza. Zuccheri, meglio se aromatici: miele, sciroppo d’acero, zucchero grezzo, zucchero di cocco. • Aromaticità. Erbe, spezie, ortaggi. Infinite possibilità. • UMAMI. Il “volume” del sapore. • Stabilizzante. La famosa colla. Miele, lecitina di soia e senape sono stabilizzanti naturali, ma ce ne sono molti altri. La stessa maionese è al contempo emulsione ma anche stabilizzante.

Lo zucchero mitiga l’azione pungente dell’acido e del sale. Possiamo usarlo semolato ma nessuno ci impedisce di provare un buon miele o lo zucchero di palma/acero/cocco. Sono tutte note aromatiche distintive. Aromaticità non vuol dire soltanto origano o prezzemolo, si può fare di più. Pensiamo alle foglie di shiso, al lemon grass, alla vaniglia, al cardamomo, al macis, allo zenzero, al wasabi. A elencarli tutti non finiamo più. Portiamo carattere, nuovi sapori, nuove inclusioni. La sperimentazione in cucina fa parte del gioco ed è anche divertente, scoprire abbinamenti che funzionano è appagante, perché non farlo? Molti gastrortodossi inorridiscono davanti al termine UMAMI, non si capisce perché. Esistono molti elementi umami liquidi, alcuni li abbiamo già indicati sopra, la salsa di soia, la salsa Worcestershire, anche la salsa di pesce fermentato (per gastroindulgenti) o la splendida colatura di alici di Cetara. Si possono utilizzare alghe, funghi e quanto già sappiamo. Volete un altro suggerimento? Rinforza il condimento con uno degli ingredienti principali dell’insalata. Se ne preparate una con gli zucchini saltati, probabilmente avrete usato solo la parte verde esterna, più croccante e saporita. Recuperate l’interno, saltatelo in padella con del cipollotto e un goccio di vino bianco. Quando è stracotto aggiungetelo al dressing e frullate tutto, sarà una valida spalla per l’ingrediente principe del piatto. Fatelo con i peperoni, con la zucca, con i cavoli, con qualsiasi cosa. Ultimo ma non ultimo è il dispositivo che permetterà la creazione del dressing perfetto: Il blender o mixer. Oltre a frullare e sminuzzare perfettamente, l’alta velocità dello strumento regala all’emulsione una struttura vellutata, impossibile da ottenere sbattendo tutto a mano. In aggiunta, le particelle generate dalla turbolenza della rotazione sono molto piccole, in questo modo lo stabilizzante è più efficace e l’emulsione rimane stabile per giorni.

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Di olio è pieno il mondo, di grandi oli meno, non risparmiamo su questo prezioso ingrediente, usiamo il migliore che possiamo permetterci. Senza dimenticare gli oli di semi pregiati: Olio di mandorla di Noto, Olio di Pinoli di S. Rossore, Olio di Pistacchio di Bronte, Olio di Nocciola. Pur non rappresentando un’alternativa all’olio extravergine, sono veramente piacevoli, una specie di elisir. Olio a parte, possiamo ricorrere a un altro ingrediente squisito anche se spesso sottovalutato: lo yogurt. Se intero apporta una maggiore quantità di grasso ma anche una splendida acidità.

E ora l’aceto. Di vino bianco, di vino rosso, balsamico, tradizionale, di mele, di miele, di lamponi, di mirtilli, di more, di umeboshi, di riso, di ribes nero, di mais e tutti quelli che dimentico. L’acido è la base comune, ma le sfumature di sapore sono diverse e fanno la differenza. Altro ingrediente bistrattato: la salsa Tabasco. Qualche goccia e il dressing può trasformarsi in una bomba di sapore.

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L’INSALATA DEL GRILLER

STEAK SALAD «La bistecca con questo caldo? Ma sei fuori?» Sì, a grigliare. A parte che i veri Grill Master moriranno da eroi e accenderanno la griglia sempre e comunque, da un certo punto di vista, però, non me la sento di darvi torto del tutto. Ma c'è sempre un ma. E c'è sempre una soluzione, sempre. E la soluzione si chiama Steak Salad. Avete presente il prosciutto cotto? È un salume. A base di carne cotta. Che si mangia freddo. Avete presente invece il Prosciutto di Praga? È un salume. A base di carne cotta. Affumicata. Che si mangia freddo. Avete presente la mortadella? Bene. Come sopra. Avete presente invece il prosciutto crudo? È un salume di carne cruda. Stagionata. Che si mangia freddo. Avete presente il Salame Ungherese? È un salume a base di carne cruda. Affumicato. Stagionato e che si mangia freddo. Passiamo ad un altro sport: avete presente lo Jamon Iberico? È un salume a base di carne cruda. Stagionato. Che si mangia a temperatura ambiente. Avete presente la differenza abissale tra il sapore del miglior prosciutto crudo italiano e il più scarso Jamon Iberico de Bellota spagnolo? Esatto. Inarrivabile. La cosa che però forse non sapete è che la temperatura a cui viene servito fa una profonda differenza. Nessuno, in Spagna, vi darà dello Jamon Iberico freddo di frigo. Nessuno. Quando lo vedi nel piatto è sempre, come dire "sudato". Lucido. Brillante. Oltre al disciplinare di lavorazione, la differenza importantissima è data dalla temperatura di servizio.

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Andiamo alla nostra Steak Salad. La Steak Salad è un'insalata fatta con una bistecca cotta. Che si mangia a temperatura ambiente. Quindi scottare una bistecca (come si deve) anche molte ore prima, affettarla molto sottile e mangiarla a temperatura ambiente in mezzo all'insalata è un'esperienza meravigliosa.

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Che cosa dobbiamo tenere in considerazione quando prepariamo una steak salad?

Croccantezza: Usate sempre degli elementi croccanti nell'insalata. Che siano le stesse verdure o dei crostini di pane o del pane carasau o qualsiasi cosa "crunchy" che vi viene in mente. Acidità: Usate sempre un dressing acido -oppuredella frutta acidula. Non abbiate alcun timore a mescolare carne fredda e frutta acidula perché ne resterete estasiati. Serve ad equalizzare le note grasse della ciccia. Pungenza: Usate sempre qualcosa che punga. La nuova linea di Rub Sal’s Seasoning, per esempio, andrà a nozze con questo concetto. Cipollotto, capperi, un po' di senape di Digione nel dressing, un pezzo di peperoncino fresco o dello zenzero. Qualcosa che spinga. Conditela all'ultimo secondo e mi raccomando: c'è la ciccia quindi servirà un po' più di sale rispetto al solito. Usate una carne di media marezzature. Una PRIME o una 5/6+ sarà perfetta. A temperatura ambiente otterrete quel tipico aspetto "sudato" perché il grasso tenderà a fondere rendendo il boccone assolutamente strepitoso. Mangiare la bistecca fredda? Sì, se è ricercato e soprattutto se la temperatura esterna lo richiede, non solo si può fare ma si deve. Ah, stesso principio per un carpaccio marinato. La tostatura della cottura darà note aromatiche interessanti al tutto. Quindi non abbiate nessuna paura di tenere un paio di bistecche già cotte nella pellicola in frigo. Tanto adesso sapete benissimo come utilizzarle e come valorizzarle al massimo, no?

Gianfranco Lo Cascio


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L’antipasto più elegante e raffinato

CARNE CRUDA ALL'ALBESE

Conosciuta comunemente come albese (o albèisa in dialetto piemontese) la carne cruda servita come carpaccio o come tartare e condita con pochissimi ingredienti è un tradizionale antipasto tipico delle Langhe.

La ricetta di questo piatto ha, come spesso accade, una storia antica. Già presente nei ricettari dell’800, rappresentava un cibo di origini contadine, condito solo con olio, limone e pepe. Con il passare del tempo, l’Albese è stata notevolmente arricchito: spesso viene servita con scaglie di Parmigiano Reggiano DOP e, quando si vuole rendere il piatto elegantissimo, raffinato e esclusivo, con il pregiato tartufo d’Alba. Ovviamente, non è questo il periodo adatto: la stagione del tartufo bianco d’Alba inizia a Ottobre e si protrae fino a Dicembre, anche a causa dei cambiamenti climatici che allungano le estati e fanno slittare le piogge autunnali a fine Novembre e agli inizi di Dicembre. In ogni caso, mettete un promemoria e ricordatevi di riproporre questo piatto a Natale, usando proprio il tartufo che noi oggi non possiamo utilizzare. Vista la stagione, opteremo per l’altra soluzione: il Parmigiano Reggiano DOP. Il re dei formaggi a pasta dura. Sceglieremo un prodotto con una stagionatura importante, che donerà note piene, burrose, evolute e complesse grazie al suo sapore ricco e bilanciato.

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Scegliamo di servire l’albese come tartare, partendo da un Teres Major del nostro Megastore: conosciuto anche come filettino di spalla, è uno dei tagli più teneri di tutto il manzo. La forma è pressappoco la stessa del filetto, affusolata, ma le dimensioni sono sensibilmente minori. Si tratta di un taglio quasi privo di connettivo e, se frollato a dovere, al morso risulta molto più tenero di tanti filetti ricavati da bovini italici non frollati.

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Preparate i coltelli e tuffatevi in questo raffinato antipasto.

Ingredienti per 4 persone: 400 g di Teres

Major del nostro Megastore / un limone / 4 cucchiai di olio extravergine di oliva / sale e pepe q.b. / uno spicchio d’aglio / Parmigiano Reggiano DOP stagionato 40 mesi PREPARAZIONE 1. Mettete in una terrina lo spicchio d’aglio schiacciato, l’olio, il sale, il pepe macinato e il succo di un limone. Sbattete per qualche istante, fino ad ottenere un’emulsione e lasciate riposare per una quindicina di minuti. 2.

Con un coltello affilato tagliate la carne prima a fettine sottili e poi a pezzetti. In ultimo tritatela al coltello. Mettete la carne in una ciotola e conditela con sale, pepe nero, e scorza di limone. Mescolate bene, poi lasciate riposare per mezz’ora circa.

3.

Trascorso questo tempo, aiutandovi con un coppapasta formate le tartare da 100 g l’una. Versate su ognuna il condimento realizzato in precedenza e ricopritele con scaglie di Parmigiano. Servitele subito.


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CARPACCIO ALLA CIPRIANI dimenticativi il filetto, col Teres Major è meglio! Giuseppe Cipriani dell’Harry Bar di Venezia, nel libro L’Angolo dell’Harry’s Bar, scrive: “Con il carpaccio gli imbrogli sono proibiti. Il suo segreto è nell’essere interamente svelato, nudo come mamma l’ha fatto.” Ed è proprio in questo luogo che il carpaccio è nato: è il 1950, mentre nel Palazzo Ducale di Venezia è in corso la mostra del talentuoso pittore rinascimentale Vittorio Carpaccio, all’Harry’s Bar viene creato il piatto omonimo, per accontentare le richieste di una contessa, fedele cliente del ristorante, a cui il medico ha prescritto di non mangiare carne cotta. Dopo diverse prove, l’intuizione è di proporre un filetto di manzo tagliato a fettine leggerissime e sottili. Va da sé che scegliere una carne di qualità superiore è sicuramente il primo passo per servire un carpaccio senza trucco e senza inganno. Fortunatamente, in quanto a carni pregiate, marezzate, frollate e gustosissime non abbiamo che l’imbarazzo della scelta, grazie al nostro Megastore. Per realizzare questa ricetta, useremo un Teres Major: è un taglio ancora guardato con sospetto dagli irriducibili del filetto e spesso in Italia è destinato ad altri usi, Da noi si chiama fusello di spalla. È un taglio praticamente identico al più blasonato e costoso filetto. Ha la stessa forma affusolata ma è un po' più piccolo, non ha quasi connettivo e, se frollato a dovere, è più tenero di molti filetti dei tipici bovini italici non frollati. Servito come carpaccio è fenomenale!

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Dunque seguiamo la ricetta di questo carpaccio alla Cipriani e, se ci concedete un po’ di immodestia, ci spingiamo a dire che così è perfino meglio!

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Ingredienti per 4 persone

per il carpaccio: 500 g di Teres Major Usa Snake River Farm 6+ Wagyu / sale q.b. per la maionese: 60 g di tuorli / 150 g di olio di semi di girasole / 10 ml di succo di limone / 10 ml di aceto di vino bianco / 3 g di sale / 1 g di pepe di Timut / brandy q.b. per la salsa: la maionese appena fatta / 1 cucchiaino di salsa Worcestershire / 1 cucchiaino di limone / 30 ml di latte / sale se necessario PREPARAZIONE 1. Pastorizzate i tuorli delle uova, poi miscelate i due oli in un contenitore con beccuccio. Sbattete i tuorli pastorizzati ancora tiepidi e versate a filo l'olio continuando a sbattere con le fruste. Aggiungete a questo punto il limone, l'aceto, il sale e il pepe. Aromatizzate la vostra maionese con un goccio di Brandy e mettete tutto in frigo a far raffreddare. 2.

Mescolate la maionese con il cucchiaino di salsa Worcestershire e 1 cucchiaino di succo di limone appena spremuto. Unite 30 ml di latte in modo da ottenere una salsa abbastanza consistente. Correggete il gusto con un po’ di sale e e altra salsa Worcestershire, se necessario.

3.

Pulite se necessario la carne da eventuali brandelli e rendetela un cilindro perfetto. Fatela raffreddare bene in frigo, poi con un’affettatrice (oppure con un coltello affilatissimo) tagliatela in fettine molto molto sottili.

4.

Stendete le fettine nei piatti, salate poco e ponete in frigo per 5 minuti. Appena prima di servire, conditela con la salsa.


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Non chiamatelo solo Roast Beef!

CARPACCIO

DI EYE ROUND AFFUMICATO

fa molto più figo!

Vi sarà capitato sicuramente di realizzare un buon roast beef, magari con un Eye Round ben marezzato e frollato del nostro Megastore. Il termine roast beef è inglese e significa letteralmente “arrosto di manzo”. L’espressione è passata prima dal francese rosbiffe è da lì è stato adottata in Italia, dove tale termine permane, specie in Toscana ed in altre regioni centrali. La diffusione del roast beef in Italia risale all’800, più precisamente nella prima metà. Fu il Mazzini ad usarlo per la prima volta nel 1937, in un suo scritto inviato da Londra. Tuttavia, molto più probabilmente gli inglesi residenti soprattutto in Toscana avevano già fatto conoscere questo piatto agli italiani.

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Nella tradizione inglese, il roast beef è una portata celebrativa, importante, che rappresenta il meglio della cucina anglosassone. In Italia...beh, è un po’ meno celebrativa. Ma ci piace, eccome se ci piace! Specie quando dobbiamo farcire un panino, il roast beef rappresenta spesso una scelta felice. Eh sì, perché questa preparazione dà il meglio di sé quando viene servita fredda e accompagnata da varie salse.

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Per questo motivo, abbiamo deciso di servirla come carpaccio. Sapete bene che una delle caratteristiche fondamentali del roast beef è quello di essere rosa all’interno: guai a presentarlo grigio e troppo cotto! Affettato sottilmente e condito con pochi ingredienti calibrati sul suo sapore molto manzoso sarà una portata perfetta da servire nelle giornate primaverili ed estive. Il nostro carpaccio di roast beef sarà fatto con un Eye Round, da cui ricaveremo delle sottilissime fette che si sfalderanno letteralmente in bocca. E se proprio avete molta fame, potete anche metterlo in un panino! Siamo sicuri che le idee non vi mancheranno


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Ingredienti per 4 persone per il roast beef: 2 kg di Eye Round del nostro Megastore / due cucchiai Ultimate SPOG della linea Sal’s Seasoning / due cucchiai di Sal’s Seasoning Montreal Steak Rub / olio extravergine d'oliva q.b. per la citronette: 50 g di succo di limone / 70 g olio extravergine di oliva / 4 g di sale fino / mezzo cucchiaino di senape per la maionese: 60 g di tuorli / 150 g di olio di semi di girasole / 10 ml di succo di limone / 10 ml di aceto di vino bianco / 3 g di sale 1 g di pepe di Timut / brandy q.b. PREPARAZIONE 1. Accendete mezza ciminiera di bricchette e predisponete il vostro dispositivo per una cottura indiretta, stabilizzandolo ad una temperatura di circa 130°C. Togliete la carne dal frigorifero un paio d’ore prima della cottura. Trimmatela se sono presenti eventuali brandelli di carne che si brucerebbero in cottura, spennellatela con poco olio e spargete il rub composto dallo SPOG e dal Montreal che avrete prima rimacinato un pochino per renderlo più sottile.

3.

Fate aderire bene il rub alla carne e quando il dispositivo avrà raggiunto la temperatura target mettetelo in cottura indiretta: ricordatevi di utilizzare un termometro a sonda per rilevare la temperatura interno del pezzo di ciccia. Potete, se volete, inserire al livello della griglia carboni una vaschetta con poca acqua per aumentare il livello di umidità all’interno della camera di cottura e per aiutarvi nella stabilizzazione del dispositivo, qualora siate alle prime armi.

4.

Chiudete il coperchio (se volete, potete anche affumicare il vostro roast beef con un blend di legni che preferite) e attendete che la temperatura interna raggiunga i 50°C/52°C. A quel punto chiudete il roast beef in cottura diretta (se c’è bisogno, accendete ancora carbone, la temperatura deve essere alta) e terminate la cottura per qualche istante, in modo che si formi la crosticina. Cercate di non superare i 55°C/58°C al cuore o la carne sarà troppo cotta. Tenetela da parte e lasciatela raffreddare lentamente.

5.

Quanto sarà fredda affettatela sottilmente: il più sottile possibile! Poi preparate la maionese e la citronette.

6.

Pastorizzate i tuorli delle uova, poi miscelate i due oli in un contenitore con beccuccio. Sbattete i tuorli pastorizzati ancora tiepidi e versate a filo l'olio continuando a sbattere con le fruste. Aggiungete a questo punto il limone, l'aceto, il sale e il pepe. Aromatizzate la vostra maionese con un goccio di brandy e mettete tutto in frigo a far raffreddare.

7.

Miscelate gli ingredienti per citronette e mescolate con vigore in modo da formare un’emulsione: il pizzico di senape farà in modo che la parte grassa non si separi subito da quella liquida!

8.

Servite il vostro carpaccio e gustatelo così, in purezza o con un velo di maionese, oppure accompagnato dalle verdure che preferite; oppure, ancora, mettetelo in un panino: le opzioni sono moltissime. Scatenate la vostra fantasia anche in base alla fame!

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2.

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CHORIZO SALAD

la versione ZeroSbatti!

Chorizo è un termine originario della penisola iberica. Con questa parole si intendono numerose tipologie di insaccati tipici della penisola iberica, che possono essere di carne bovina o suina, arricchita da spezie, fra le quali spicca soprattutto la paprica, che le dona quel tipico colore rosso intenso.

Ingredienti per 4 persone: 4 Chorizo Casero

Sulla popolarità di questo salume si è espressa anche la Real Academia Espanola nel 1726 quando ha inserito, prima volta per un insaccato, il Chorizo all’interno del Diccionario de Autoridades descrivendo questa salsiccia saporita come “corto pezzo di budello farcito con carne macinata, generalmente di maiale, marinata e speziata, che viene affumicata per durare”.

PREPARAZIONE 1. Preparate il dispositivo per una cottura diretta a due zone.

Nel nostro Megastore è presente una versione #Zerosbatti fatta con tutti i crismi, già affumicata alla perfezione e confezionata in skin adatta all’immersione in acqua bollente: facili, veloci, buonissime e perfette per chi ha davvero poco tempo o poca voglia!

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l Chorizo Casero Pork Sausage della linea Cooked di BBQ4All racchiude tutta la tradizione spagnola ma strizza l’occhio ai palati italiani. Infatti, all’interno del budello naturale, troverete un perfetto bilanciamento tra carne magra e grassa condito con un mix di spezie che comprende chipotle, Pimenton de la Vera (la paprika spagnola) salvia, prezzemolo, aglio, pepe nero e cipolla. Faremo un’insalata di verdure grigliate al quale aggiungeremo, oltre al Chorizo Casero, del formaggio per dare sapidità. Gli ingredienti di questa insalata vengono cotti separatamente e poi mescolati tra di loro: il risultato sarà perfetto da servire anche a diverse temperatura, sia leggermente calda, che tiepida, che proprio fredda. A voi la scelta. Secondo noi, tiepida dà il meglio di sé!

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L'insalata di chorizo è una ricetta che può essere servita come contorno, se volete dare alla vostra tavola un tocco iberico, o anche come piatto unico per una cena veloce, poco impegnativa ma veramente gustosissima.

del Megastore / 200 g di feta o pecorino / 4 zucchine / 2 melanzane / 2 peperoni rossi o gialli / Olio extravergine di oliva q.b / un pizzico di Dallas Mild Dry Rub della linea Sal’s Seasoning / 4 limoni / 2 arance / prezzemolo fresco tritato a piacere.

2.

Se avete il basket di metallo forato per la cottura inseritelo nel dispositivo in modo da farlo scaldare.

3.

Preparate le verdure lavandole ed asciugandole bene ed affettatele a tocchetti e rondelle di circa 5mm di spessore.

4.

Spennellatele leggermente di olio e disponetele sulla griglia o nel basket.

5.

Grigliate le verdure rispettando i vari tipi di cottura di ogni singola verdura, dovranno essere ben abbrustolite e croccanti fuori ma morbide all’interno; una volta pronte mettetele in un contenitore non ermetico in modo che non diventino troppo molli a causa del vapore.

6.

Mettete i Chorizo in acqua bollente, poi in griglia in cottura diretta, giusto il tempo di farli abbrustolire e quando si saranno formate le grill marks spostateli dal lato opposto della fonte di calore, per tagliare il formaggio a pezzetti.

7.

Tagliate in due i limone e le arance, poi disponete gli agrumi sulla griglia in cottura diretta con il lato tagliato rivolto verso il basso per circa 7 minuti, controllando di tanto in tanto il grado di brunitura della parte a contatto con la griglia. Toglieteli quando saranno ben appassiti e bruniti: lasciateli raffreddare.

8.

Impiattate le verdure, il formaggio, il Chorizo Casero tagliato a fette e condite il tutto con il succo dei limone o delle arance. Cospargete con un po’ di prezzemolo tritato, se gradite.


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INSALATA DI BOLLITO... CHE PERÒ NON È BOLLITO!

Spoiler: è cotto in sous vide. Stinco, testina, coda, punta di petto e lingua. Chi non ha mai mangiato il bollito? Si prepara da decenni, e con ogni probabilità quello che abbiamo mangiato noi era stato tramandato da nonni, bisnonni e trisavoli. A dirla tutta, era un piatto amatissimo già da Vittorio Emanuele II. Oggi, però, siamo qui per buttare giù un paio di convinzioni che avete sul bollito. La prima è che si tratti di un piatto solamente invernale, da consumare caldo e accompagnato solo dalla mostarda e dalla salsa verde; la seconda è che il bollito si faccia esclusivamente in un modo e guai a cambiarlo! In un numero tutto dedicato alle insalate, quella di bollito non poteva mancare. Tradizionalmente questa insalata gustosa viene preparata per riciclare la carne già cotta e avanzata. Ma noi invece la faremo da capo, perché la nostra non deve essere una ricetta di recupero: deve anzi essere studiata nei minimi dettagli per offrire a chi la mangerà la migliore esperienza gustativa che si possa immaginare.

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Per realizzare questo piatto, ci siamo ispirati al bollito non bollito dello Chef Massimo Bottura. Perché quel nome? Perché la carne viene cotta in sous vide e quindi, tecnicamente, non viene bollita! Ogni pezzo di carne viene cotto in tempi diversi, per farlo esprimere al meglio.

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Come ben sapete, il nostro obiettivo è sempre stato questo approccio colto alla cucina, quello che cerca di restituire un po’ di modernità ai piatti senza snaturarli, anzi migliorandoli e facendoli esprimere al meglio. Provateci anche voi e non rimarrete delusi. E grazie allo Chef Massimo Bottura per averci, come sempre, ispirati!

Ingredienti per 4 persone

per il (non) bollito: 250 g di coda di vitello / 100 g di guancia di manzo / 150 g di lingua di vitello / 200 g di punta di petto / 3 coste di sedano / 3 carote / 2 cipolle / 6 foglie di alloro / ½ l di brodo di manzo per l’insalata: 6 pomodori / 2 coste di sedano / 2 carote olive nere a piacere / sale e pepe q.b. / olio extravergine d'oliva q.b. / aceto di vino bianco q.b. PREPARAZIONE 1. Tagliate a cubetti carota, sedano e cipolla. Inserite nei sacchetti per il sottovuoto separatamente i vari tagli delle carni, con due cucchiai di brodo di manzo e il misto di verdure a cubetti. 2.

Cuocete le carni in sous vide impostando le diverse temperature: coda di vitello e testina a 63°C per 36 ore, guancia, lingua e punta di petto a 63°C per 24 ore.

3.

Una volta pronte le carni, fatele raffreddare nel sottovuoto, poi tagliatele a pezzetti e conditele coi loro succhi di cottura.

4.

Nel frattempo tagliate a cubetti il sedano, la carota e i pomodori. Mettete tutto in una ciotola e condite con sale, pepe, olio e aceto. Mescolate bene.

5.

A questo punto unite alle verdure la carne e le olive: mescolate bene, aggiustate di sale e di pepe e servite la vostra insalata.


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Instagrammabile? Sì! Ma anche buona!

INSALATA DI GAMBERI, AVOCADO E ARANCE

L’avocado è un frutto esotico di cui si sa relativamente poco, nonostante la sua presenza massiccia nei piatti più instagrammati. Probabilmente è secondo solo al pistacchio, ormai! C’è da dire che il suo sapore neutro e burroso lo rende un ingrediente davvero versatile, che si adatta alle preparazioni più disparate.

L’avocado, specie per noi esotica essendo autoctona del continente americano, fa parte della famiglia delle Lauracee. La scoperta più antica di un nocciolo di avocado proviene dalla grotta di Coxcatlan, un sito archeologico mesoamericano nella valle del Tehuacán di Puebla, in Messico, e si crede risalga a circa 10.000 anni fa. Il consumo di avocado è avvenuto in molte delle popolazioni mesoamericane, una su tutte i Maya. Si presuppone che coltivassero attivamente avocado già dal 3.400 a.C., portando alberi selvatici negli orti domestici. La selezione, dapprima naturale e successivamente parzialmente artificiale, nel corso dei secoli ha dato vita a tre ecotipi di avocado dalle caratteristiche differenti: l’ecotipo messicano e quello guatemalteco che crescono in territori montuosi, e l’ecotipo dell’India Occidentale, che cresce in pianura.

Maggio 2023

Furono i conquistatori spagnoli a conoscere, amare e importare in Europa l’avocado (il cui nome deriva da ahuacatl, nella lingua Nahuatl parlata dagli Aztechi, e significa “testicolo”), in particolare l’ecotipo dell’India Occidentale. Nel tempo, poi sono nate varie cultivar. Ad oggi, il Messico è di gran lunga il più grande produttore di avocado al mondo, anche se una buona fetta arriva da Cile e Perù. In California, invece, avviene il 95% della produzione di avocado degli Stati Uniti.

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Buono, versatile, dalle numerose proprietà benefiche per l’organismo e bello da vedere grazie al colore che viene bene in foto: è comprensibile come sia diventato una star dei piatti più instagrammati! Oggi lo utilizziamo anche noi, per questa insalata elegante e a tratti sontuosa, ma fresca e veloce: il sapore dolciastro del gambero e quello burroso dell’avocado avranno bisogno di una nota piccante e di una più aspra. Detto fatto: inseriamo le arance e il peperoncino! Et voilà! Un piatto estivo che entrerà di diritto fra le preparazioni raffinate da servire agli ospiti, ma soprattutto che vi farà fare una gran figura sui social!

Ingredienti per 4 persone: 200 g

di insalata mista / 400 g di gamberi già puliti / 2 avocado maturi / mezzo bicchiere di Fowl in love Marinade del nostro Megastore / un peperoncino / un’arancia grande / olio extravergine di oliva q.b. / il succo di un limone / sale e pepe q.b. PREPARAZIONE 1. Mettete i gamberi puliti in mezzo bicchiere di marinata che avrete diluito con una parte di acqua. Trasferite tutto in frigo e lasciate marinare per un pio d’ore. 2.

Nel frattempo affettate l’insalata, riducete l’avocado a dadini. Tritate il peperoncino e formate un’emulsione di olio e limone, a cui lo aggiungerete, mescolando bene.

3.

Sbucciate a vivo l’arancia, poi riducetela in pezzetti.

4.

Piastrate velocemente i gamberi scolati dalla marinata, con un filo d’olio. Aggiustate di sale e di pepe.

5.

In una ciotola grande mettete l’insalata, l’avocado e i gamberi. Condite il tutto con un pizzico di sale e di pepe e con l’emulsione piccante. Mescolate molto delicatamente. Infine aggiungete l’arancia e servite.


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INSALATA DI MAIALE

dal Molise, un’idea strepitosa! Il Molise esiste! E ha una cucina robusta e ricca, fatta di sapori forti e ancora fortemente legati alla tradizione contadina. Fra i vari prodotti che questa regione, piccola ma dalla gastronomia ricca e variegata, ci offre, spicca senza dubbio il Capofreddo, ovvero la Coppa molisana. Si tratta di insaccato di maiale cotto, realizzato con gli scarti dell’animale, di solito testa e zampe, ma anche cotenna e lingua. Dopo aver pulito la carne si fa bollire, poi si condisce con alloro, semi di finocchio, aglio, diavolillo (ovvero il peperoncino) e buccia d’arancia. Infine si infila il tutto in un sacco di tela per dare la forma e si lascia stagionare per 15 giorni. Poi la coppa va consumata entro 30 giorni. Beh, è noto il detto che del maiale non si butti via nulla, giusto? E quindi l’acqua usata per bollire le carni viene spesso riutilizzata per preparare un brodo con le verdure, ma soprattutto gli avanzi dell’impasto della coppa, se ci sono, vengono serviti in insalata insaporita con sottaceti, olive, sedano bianco, pepe, olio, sale ed una spruzzata di aceto. Dato che abbiamo tutto un numero dedicato alle insalate, ci è sembrata un’idea vincente quella di proporvi questa preparazione partendo proprio dalla ricetta del Capofreddo: potrete servire un’insalata un po’ diversa, dall’intenso profumo di arancia che vi farà fare una gran figura coi vostri ospiti, magari abituati a mangiare solo tonno, pomodoro e mais! Buono, per carità… ma vuoi mettere con questa?

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Vediamo dunque la ricetta nel dettaglio.

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Ingredienti per 4 persone: 1,5 kg di

zampe e testa di maiale / un'arancia / pepe a piacere / una manciata di semi di finocchio / un peperoncino /qualche foglia di alloro / 3 spicchi di aglio / 40 g di sale (per il brodo) / olive a piacere / due coste di sedano / sottaceti misti a piacere / olio extravergine di oliva q.b. / aceto se gradito / sale e pepe q.b. PREPARAZIONE 1. Pulite accuratamente le zampe e la testa con un rasoio per eliminare i peli, quindi lasciatele in un recipiente con abbondante acqua, per una notte. 2.

Il giorno seguente sciacquatele bene e ponetele a cuocere in un grosso caldaio, coperte di acqua, insieme alla lingua; quando la carne sarà cotta, spolpatela e tagliatela a piccoli pezzi separando carne e nervetti.

3.

Salate il composto ottenuto e conditelo con aglio, alloro e buccia di arancia tritati finemente; aggiungete una buona spolverata di pepe e di peperoncino, una manciata di semi di finocchio e mescolate il tutto facendo insaporire la carne.

4.

A questo punto tagliate il sedano a piccoli pezzi, sgocciolate le olive e i sottaceti e mettete tutto in una ciotola.

5.

Aggiungete la carne alle verdure, condite con sale, pepe, olio extravergine di oliva e se desiderate un po’ di aceto. Servite a temperatura ambiente.


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NERVETTI IN INSALATA

la storica ricetta delle osterie milanesi

Ricetta storica della tradizione, la cui presenza nelle trattorie milanesi è certificata già agli inizi del secolo del 1900: stiamo parlando dell’insalata di nervetti. Il nome deriva dalla parola dialettale gnervitt, che in lombardo significa tendini, e indica le cartilagini del ginocchio e dello stinco del vitello lessato a lungo, tanto da staccarsi da soli. Messi a raffreddare poi in una tazza con un peso sopra, si trasformano in una massa unica che si affetta sottilmente, e di solito si condisce con cipolline tagliate sottili, succo di limone, olio e prezzemolo tritato finemente con una puntina di aglio. Questa insalata è un antipasto tipico della tradizione popolare milanese che in passato non poteva mancare nelle trattorie della zona. A quel tempo venivano serviti per accompagnare il consumo del ‘quartino’ di vino. Oggi, nelle salumerie, si trovano nervetti anche preparati industrialmente con ogni genere di cartilagine. Non vengono serviti solo in insalata, ma volendo anche tagiati a strisce più spesse e poi fritti come la cotoletta e serviti con una spruzzata di limone.

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La ricetta base dell'insalata prevede dunque che i nervetti vengano serviti con anelli di cipolla cruda e prezzemolo tritato, conditi con olio, sale e pepe. Ma ovviamente esistono versioni più ricche: c’è chi sostituisce la cipolla fresca con cipolline sott’aceto, chi usa fagioli borlotti i bianchi, chi condisce il tutto con aceto per un sapore più deciso. Si tratta sicuramente di una ricetta davanti alla quale i più giovano storcono un po’ il naso; in realtà merita un assaggio e... credete a noi: ripeterete l’esperienza il prima possibile!

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Ingredienti per 4 persone: 2 Kg di stinchi

e piedini di vitellone adulto / 1 bicchiere di aceto / 1 cipolla / 4 cipollotti freschi / 1 carota / 1 costa di sedano / 2 foglie di alloro / 1 ciuffo di prezzemolo / 2 spicchi d’aglio / il succo di un limone / 4 cucchiai di olio extravergine di oliva / sale e pepe q.b. PREPARAZIONE 1. Lavate gli stinchi e i piedini in una pentola piena di acqua fredda insieme alla carota, al sedano, alla cipolla, all’aceto e all’alloro. Portate ad ebollizione. 2.

Abbassate la fiamma e fare proseguire la cottura per circa 2 ore finché i nervetti non saranno belli morbidi e la carne si staccherà facilmente dall’osso. Una volta cotti levateli dalla pentola, lasciateli intiepidire e poi tagliateli a listarelle.

3.

Affettate i cipollotti e mettete tutto insieme in una terrina. Condite con olio, sale, pepe e succo di limone. Potreste anche aggiungere anche fagioli, se gradite. Oppure sostituire i cipollotti con i peperoni rossi e gialli.

4.

Guarnite con il prezzemolo tritato finemente insieme all’aglio. Mescolate bene il tutto e servite a temperatura ambiente.


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BANBANJI SALAD

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L’insalata di pollo cinese... amata anche dai giapponesi!

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Negli Stati Uniti è una vera e propria abitudine: qualche fettina di petto di pollo, lattuga, cipolla, una salsa ed è pronta. Parliamo della Chicken Salad, o insalata di pollo che dir si voglia. E’ una preparazione che spesso ha il gravoso compito di essere svuotafrigo, perché viene quasi sempre preparata con gli avanzi del pollo arrosto. Tant’è che non esiste una sola e unica versione di questa ricetta: esistono tantissime varianti. Ognuno la prepara seguendo il proprio gusto e usando gli ingredienti che si ritrova nel frigorifero. Di insalate di pollo famose ce ne sono diverse. Pensiamo innanzitutto alla Caesar Salad, inventata da un italiano, Cesare Cardini. Ma potremmo ricordare anche l’insalata Café de Paris, creata dallo chef Paul Bocuse o la Larb Gai tailandese, con pollo macinato e spezie fresche. Stavolta voliamo in Cina e vi parliamo di un’altra insalata di pollo molto conosciuta e apprezzata: la BanBanji Salad: si tratta di un antipasto che si trova spesso nei ristoranti cinesi, ma che ha guadagnato discreta popolarità anche in Giappone. Il pollo di solito viene cotto al vapore e rimane succoso e tenero; viene poi servito su pomodori e cetrioli e condito con cipolle verdi e una salsa al sesamo molto densa e gustosa. Ovviamente, possiamo realizzare questa ricetta sia con gli avanzi di un pollo arrosto (o magari di un bel Beer Can Chiken!), sia cuocendo il pollo appositamente. Spesso, quando si decide di preparare questo tipo di insalate, la scelta ricade sul petto di pollo: altamente proteico, privo di carboidrati e povero di grassi. Ahimè, spesso stoppaccioso e secco, però.

per la salamoia: 50 g di sale / 1 litro di acqua / scorze di arancia e limone / pepe in grani / zenzero fresco q.b. per l’insalata: un petto di pollo / 2 cucchiaini di olio di sesamo / 2 cucchiai di burro di arachidi / 4 cucchiaini di salsa di soia mescolata con 3 cucchiaini di zucchero semolato extrafine / due cucchiaini di miele fluido / 4 cucchiaini di aceto di riso (o di mele) / 3 carote pelate e tagliate a listarelle / 2 cipollotti affettati / 2 peperoni affettati a listarelle / 200 g di insalata mista / peperoncino a piacere (facoltativo) / olio d’oliva q.b. per il condimento: 2 cucchiaini di aceto di riso (o di mele) / 2 cucchiaini di salsa di soia mescolati con un cucchiaino e mezzo di zucchero semolato extrafine / 1 cucchiaino di olio di sesamo PREPARAZIONE 1. Preparate la salamoia e lasciate il petto di pollo immerso totalmente nel liquido per qualche ora, in frigo. 2.

Togliete il pollo dalla salamoia, asciugatelo con carta da cucina e cospargetelo di olio.

3.

Predisponete il grill con il setup a due zone: un per la cottura diretta e una per la cottura indiretta, quindi mettendo i carboni tutti da una parte.

4.

Grigliate a calore forte il petto di pollo intero fino al raggiungimento di una bella doratura esterna.

5.

A questo punto spostate il pollo in cottura indiretta e stabilizzate il dispositivo a circa 130°C. Aggiungete chips di legno aromatico per affumicare e cuocete il pollo fin quando non non arriva a 72°C-75°C al cuore.

6.

Mescolate olio di sesamo, burro di arachidi, salsa di soia e aceto di riso in modo che risultino ben amalgamati.

7.

Tagliate il pollo a listarelle e poi mettetelo in una padella su fuoco alto e versarci sopra la salsa. Cuocete mescolando di tanto in tanto per pochi minuti, facendo attenzione che la salsa non bruci.

8.

Preparate allo stesso modo il condimento, che è esattamente uguale alla salsa con cui avete cotto il pollo.

9.

Quando il pollo è pronto versate in una ciotolo l'insalata, le carote ed il peperone, aggiungete il pollo e infine il condimento. Mescolate molto delicatamente e servite a temperatura ambiente con del peperoncino, se gradite.

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La soluzione ha un nome ben preciso e si chiama salamoia. Non è altro che una soluzione salina aromatizzata con erbe e spezie, nelle quale viene immerso totalmente un alimento per almeno mezza giornata prima di procedere alla cottura. Lo scopo principale della salamoia è aumentare la percentuale di liquidi all’interno della ciccia e di migliorare la sua ritenzione idrica, oltre che la sapidità, in modo che una volta cotta risulti succulenta e morbida. Per questo motivo, la salamoia è adatta a tutti quei tagli di carne magri che durante la cottura corrono il rischio di diventare stoppacciosi e duri. Affinché il processo entri in funzione, la carne deve essere totalmente ricoperta dalla soluzione salina. Il risultato è un prodotto più succoso e gustoso, sia a causa dell’aumento di liquidi, sia a causa del trattenimento di quelli già presenti naturalmente all’interno della carne.

Ingredienti per 4 persone

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POLPO E PATATE

la coppia perfetta

Polpo e patate, si sa, è un grande classico della cucina italiana, specie in estate. Una storia d’amore che dura da sempre. Ma quando arriva sulle nostre tavole ci si contra spesso con un problema fondamentale: il polpo cotto male e troppo duro! Eh già, specialmente se vogliamo cuocerlo alla brace, la questione non è affatto semplice: come grigliare il cefalopode senza farlo venire duro e gommoso? Il modo migliore è quello di effettuare una pre-cottura. Ok, in che modo? Tralasciando i vari rimedi delle nonne, tappi di sughero nell’acqua di cottura compresi, il modo migliore di precuocere il polpo (e per favore: non polipo!) è NON bollirlo. Intendiamoci, se lo bollite secondo le regole la carne risulterà comunque morbida. Ma potrebbe perdere molto in termini di sapore. Se invece lo portate a cottura in un tegame senza l’aggiunta di liquidi, gli umori che rilascerà saranno sufficienti a mantenerlo umido e morbido. Si procede mettendo il polpo pulito in un tegame a temperatura medio/bassa, coprendolo con il coperchio e lasciandolo cuocere fino ad una consistenza tenera delle carni, da testare con uno spiedino. Una volta cotto si lascia raffreddare all’interno del tegame chiuso, senza toccarlo. Successivamente il polpo va conservato fuori dalla sua acqua di cottura in frigorifero per almeno otto ore, in modo che la sua carne torni a essere tonica senza perdere morbidezza.

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Et voilà. Precuocendolo in questo modo, è pronto per essere grigliato e poi condito.

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Per quanto riguarda le patate, scegliete quelle a pasta gialla (Monnalisa, Vivaldi, Primura, Agata, per citarne alcune) la varietà che contiene più acqua, con un gusto molto dolce e delicato, e la polpa compatta e poco farinosa. Ideali dunque per un’insalata, proprio perché non si sfaldano e rimangano compatte al morso.

Ingredienti per 4 persone: un polpo intero da

circa 800 g / 500 g di patate / olio extravergine di oliva q.b. / sale e pepe q.b. / il succo di un limone / prezzemolo q.b. PREPARAZIONE 1. Procedete alla precottura del polpo pulito in un tegame, a secco, ovvero senza l’aggiunta di liquidi. A fuoco molto lento, coprendo con il coperchio, lasciatelo cuocere fino ad una consistenza tenera delle carni, che testerete con uno spiedino. 2.

Una volta cotto e intenerito, lasciatelo raffreddare all’interno del tegame senza toccarlo e tenendo il coperchio chiuso.

3.

Una volta raffreddato a temperatura ambiente, il polpo va conservato fuori dalla sua acqua di cottura, in un contenitore ermetico in frigorifero per almeno sei/otto ore. Questo periodo di permanenza restituisce tonicità alla carne senza pregiudicarne la tenerezza al morso.

4.

Nel frattempo pelate le patate, tagliatele in tocchetti, mettetele in un sacchetto per il sottovuoto e cuocetele in sous vide. Poi lasciatele raffreddare completamente.

5.

Spennellate il polpo con un filo d’olio e grigliatelo sul vostro dispositivo, in cottura diretta, per pochissimo tempo a temperatura molto alta, infilzandolo in uno spiedino. Questo passaggio serve a creare una crosticina profumata e croccante e a scaldarlo internamente.

6.

Tagliatelo adesso a pezzeti di media grandezza e conditelo con olio, sale, pepe e limone; condite anche le patate con olio, sale e pepe. Unite poi i due ingredienti e terminate il piatto con un po’ di prezzemolo tritato.


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PORK CAESAR SALAD

una variante più golosa della celebre insalata La Caesar Salad nacque negli Stati Uniti durante il Proibizionismo. Moltissimi ristoratori, a partire dal 1920, videro i propri affari andare a picco sotto i colpi dell’implacabile giustizia americana, dato che l’alcol rappresentava la voce più corposa all’interno dei conti dei ristoranti. Anche lo chef Cesare Cardini, originario della zona piemontese del Lago Maggiore, ed emigrato negli States nel 1910 In California, ebbe diversi problemi a causa del Proibizionismo. I due ristoranti che aveva aperto (conosciuti come Cardini’s Restaurant) avevano inizialmente fatto una grossa fortuna e il suo nome era molto conosciuto nell’ambiente quando si parlava di cucina italiana. Ma la crisi lo colpì e lo chef emigrante fu costretto a spostarsi in Messico, precisamente a Tijuana, città libera da certe costrizioni e sicuramente molto libertina per usi e costumi, tanto da essere apprezzata come meta vacanziera da milionari, ereditieri e divi di Hollywood.

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In occasione delle festività del 4 luglio, Cardini fu messo alla prova: preparare un piatto con pochi ingredienti, in un Paese straniero, che potesse però soddisfare le aspettative di tutti. Ed ecco che nacque la Caesar Salad: lattuga romana condita con i crostini di pane fritti all’aglio, emulsione di olio, uova e succo di limone, uova sode, cipolla, Parmigiano e pollo. Da allora questa insalata deliziosa ha avuto un successo strepitoso, tanto da essere declinata in moltissime varianti. Una di queste è la Pork Caesar Salad che vi proponiamo oggi. Al posto del pollo metteremo un filetto di maiale, che prima marineremo nella nostra ...e poi salteremo su una piastra di ghisa. Il maiale, a differenza del pollo, donerà una nota di più decisa a tutto il piatto, senza snaturarlo e senza cambiare troppo la consistenza al morso.

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Vediamo insieme come fare.

Ingredienti per 4 persone: 150 g di lattuga romana

/ 600 g di filetto di maiale / mezzo bicchiere di Black Diamond Marinade del nostro Megastore / il succo di un limone intero / 1 uovo intero / 5 g di salsa Worcestershire / olio extravergine d’oliva quanto basta / 100 g di pane raffermo / sale e pepe q.b. PREPARAZIONE 1. Per prima cosa, tagliate a cubetti il pane raffermo. Preparate una padella con un fondo di olio. Quando è ben calda, fate rosolare il pane, tostandolo quanto basta per renderlo croccante. Mettete il pane ad asciugare su un foglio di carta assorbente e lasciatelo da parte. 2.

Diluite la marinata in una parte d’acqua, aggiungete un pizzico di sale e coprite il filetto con il liquido. Mettete in frigo per almeno due ore.

3.

Portate una piastra a temperatura elevata, togliete il maiale dalla marinata (che butterete), tagliate la carne in fette alte mezzo cm e piastratele. Dovete arrivare ad una temperatura di 74°C al cuore.

4.

Dopodiché, lasciate raffreddare il maiale.

5.

È il momento di preparare l’emulsione. Prendete la salsa Worcestershire, il succo del limone, l’uovo, 3 cucchiai abbondanti di olio extravergine d’oliva, mescolate.

6.

Prendete la lattuga romana. Lavatela per bene, poi asciugatela.

7.

Tagliatela a listarelle grossolane, non ci occorre essere troppo precisi.

8.

Prendete il Parmigiano e tagliatelo a cubetti non troppo grandi.

9.

Riprendete ora il maiale piastrato. Tagliatelo a listarelle o cubetti grossolani.

10. In una ciotola molto capiente, aggiungete la lattuga romana tagliata a listarelle, i cubetti di pane fritto, il filetto di maiale ed i cubetti di Parmigiano. Condite con la vostra emulsione preparata al passaggio n.5. 11. Aggiustate di sale, aggiungete pepe se ne sentite il bisogno, mescolate e servite fredda.


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RIBEYE SALAD

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l’insalata a cui non si può resistere

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Se è vero che le temperature di servizio dei nostri cibi sono importantissime, e che nessuno mai si sognerebbe di servire brodo freddo o una pizza ghiacciata, è anche vero che, secondo diversi studi fatti in merito, la temperatura ideale per gustare un cibo si aggira intorno ai 35°C. Certo, la pizza fumante ci attira di più, ma per la scienza qualsiasi temperatura superiore ai 35°C innesca nel nostro corpo un meccanismo di difesa: la nostra attenzione si sposta, non siamo più così attenti al sapore del cibo che stiamo gustando, quanto piuttosto cerchiamo di evitare il “pericolo” di ustionarci la lingua. Ebbene, questo processo fa sì che i sapori dei cibi caldi vengano percepiti come ovattati, meno brillanti. Perché tutto questo pippozzo scientifico sulla temperatura di servizio? Perché in un numero dedicato alle insalate vogliamo proporvi una bella Ribeye Salad: insomma, la bistecca servita fredda (o meglio, a temperatura ambiente) con una bella insalata. Siamo abituati a pensare che la bistecca sia buona solo calda, ma è una sovrastruttura che dobbiamo abbattere. Servire la bistecca in insalata si può e si deve, specie durante la bella stagione.

Non ci resta che vedere come realizzare la nostra Ribeye Salad nel dettaglio!

per la vinaigrette: 200 ml di olio extra vergine di oliva / 2 cucchiai di aceto di vino / 2 cucchiaini di succo di limone / un cucchiaino di salsa Worcestershire / un cucchiaino di senape di Dijon / 7 g di sale PREPARAZIONE 1. Togliete le bistecche dalla loro confezione e tenetele avvolte nella carta assorbente a tempertura ambiente in un luogo fresco per un paio d’ore. 2.

Predisponete il vostro dispositivo per una cottura diretta ad alta temperatura, ungete bene la carnecon un filo d’olio (se è davvero molto marezzata, questo passaggio non è necessario) e cuocetela in cottura diretta, utilizzando una padella in ghisa.

3.

Una volta raggiunto il grado di cottura desiderato, togliete la carne dal fuoco e lasciatela raffreddare a temperatura ambiente su un tagliere di legno. Nella stessa padella in cui avete cotto la carne, tostate il pane ridotto a dadini e condito con un po’ di Spog.

4.

Pulite gli asparagi, conditeli con un po’ d’olio e grigliateli in cottura diretta. Lasciateli croccantini. Nel frattempo, lessate le uova.

5.

Preparate la vinagrette mescolando energicamente tutti gli ingredienti.

6.

Preparate l’insalata e aggiungete a vostro i dadini di pane tostato, le uova sode tagliate a spicchi, gli sparagi griglati, il sale; affettate la carne, conditela con un po’ di pick a pepper, poi mettetela insieme all’insalata, condite il tutto con la vinaigrette e servite subito.

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Ci sono alcune regole da rispettare, ovviamente: 1. Usare sempre degli elementi croccanti nell'insalata: come ben sapete, l'apprezzamento di un cibo non dipende solo dal sapore ma anche e soprattutto dalla sua consistenza, che deve essere in grado di appagare il palato. Ebbene, secondo diverse ricerche scientifiche il cibo croccante è uno stimolante al consumo, e attiva specifiche reazioni di piacere nel nostro cervello. Ecco perché nella nostra insalata l’effetto crunch non può assolutamente mancare! 2. Usare sempre un dressing acido o della frutta acidula: serve a contrastare le note grasse della ciccia. Non solo: ricordate che il salato e l'acido a basse o medie concentrazioni si rafforzano tra loro, hanno un’azione sinergica, per cui tutta l’insalata avrà un sapore molto più brillante. 3. Usare una carne con una buona marezzatura, che a temperatura ambiente “suderà” rendendo il boccone ancora più gustoso. 4. Unire un elemento pungente: sapete che i cibi piccanti stimolano il rilascio di endorfine? Provocano un dolore, sì, ma è un dolore mischiato al piacere, per cui aggiungere qualcosa di piccantino alla nostra insalata la renderà più interessante e anche molto più gustosa.

Ingredienti per 4 persone 3 ribeye del nostro Megastore / 200 g di insalata mista / 4 uova / 4 fette di pane raffermo / un mazzetto di asparagi / Ultimate Spog della linea Sal’s Seasoning q.b. / olio extravergine di oliva q.b. / Pick a Pepper della linea Sal’s Seasoning a piacere / sale q.b.

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STEAK COBB SALAD

era buona col pollo figuriamoci con la bistecca!

Meno blasonata della “sorella” Caesar e decisamente più americana: parliamo della Cobb salad. Le sue origini sono un po’ controverse, ma ormai è generalmente accettato che questa insalata sia stata create da Bob Cobb, proprietario del ristorante Brown Derby ad Hollywood. Si narra che una notte del 1937, Bob Cobb, allora proprietario del The Brown Derby, si aggirasse affamato nella cucina del suo ristorante per uno spuntino. Aprendo l'enorme frigorifero, tirò fuori quello che trovò: un cespo di lattuga, un avocado, pomodori, avanzi di petto di pollo grigliato, un uovo sodo, erba cipollina, formaggio, French dressing... Tagliuzza qua, condisci là, aggiungi la pancetta croccante ed ecco che nacque, sempre secondo la storiella, la Cobb Salad! Trovandola buonissima, Bob inserì l’insalata nel menù del suo ristorante, e indovinate un po’? Ebbe un successone tra i clienti del Derby: sembra che perfino Jack Warner, il famoso produttore cinematografico, inviasse regolarmente il suo autista a ritirare generose porzioni della Cobb Salad. Tradizionalmente, dunque, si prepara col pollo. Ma noi ce ne freghiamo delle tradizioni, e dato che il pollo ci piace ma la bistecca di più, a questo giro serviremo la corposa insalata con una bistecca, facendola diventare un Steak Cobb Salad! La bistecca fredda con l’insalata: ebbene sì! Dobbiamo abbattere certe sovrastrutture mentali e aprirci all’idea che gustare una bistecca a temperatura ambiente, specie nella bella stagione, diciamo attorno ai 30 gradi, è una scelta più che felice. Scottare la carne in modo perfetto, anche molte ore prima, affettarla molto sottile e mangiarla in mezzo all'insalata è un'esperienza meravigliosa! Con la Cobb salad diventa sublime.

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Ci sono alcune regole da rispettare per servire una Steak Cobb salad da capriole sulla sedia: 1. Usare la giusta quantità di vinaigrette per ogni singolo ingrediente, condendo quindi ogni cosa separatamente, assicura un giusto bilanciamento dei sapori, garantendovi un risultato finale strepitoso; 2. Usare l’insalata giusta che dia l’effetto “crunch”: la lattuga romana e il crescione sono la scelta ideale perché rimarranno freschi e croccanti a lungo; 3. Assemblare tutto poco prima del servizio, evitando di farlo troppo in anticipo e rischiando che l’insalata si sciupi e si inzuppi di condimento; 4. Usare una bistecca con una buona marezzatura, cuocerla alla perfezione e poi lasciarla “sudare” a temperatura ambiente.

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E ora tuffiamoci nella nostra Steak Cobb salad!


Ingredienti per 4 persone

Per l’insalata: 4 New York Strip del nostro Megastore / circa 500 g di latuga romana / 150 g di crescione / 300 g pomodori a grappolo / 3 uova / un avocado / 8 fette di bacon / 100 g di formaggio tipo Stilton, Roquefort oppure Gorgonzola / 3 cucchiai di erba cipollina tritata fresca / olio extravergine di oliva q.b. / sale Maldon q.b. Per la vinaigrette: 200 ml di olio extra vergine di oliva / 2 cucchiai di aceto di vino rosso / 2 cucchiaini di succo di limone / un cucchiaino di salsa Worcestershire / un cucchiaino di senape di Dijon / uno spicchio d’aglio tritato / 7 g di sale / 4 g di zucchero / 2 g di pepe nero PREPARAZIONE 1. Bollite 3 uova in una casseruola media. Fatele cuocere per 10 minuti dalla ripresa del bollore. Trascorso il tempo, trasferitele in una ciotola con acqua fredda e ghiaccio e lasciatele riposare per 5 minuti. Sbucciate le uova, tagliatele a metà e dividete in quarti. Tenetele da parte. 2.

Tagliate i pomodorini in 4 parti e metteteli da parte.

3.

Sbriciolate il formaggio blu e mettetelo da parte.

4.

Predisponete il vostro dispositivo per una cottura diretta ad alta temperatura, ungete bene la carne con un filo d’olio e cuocetela in cottura diretta, utilizzando una padella in ghisa. Una volta raggiunto il grado di cottura desiderato, togliete la carne dal fuoco e lasciatela raffreddare a temperatura ambiente su un tagliere di legno.

5.

Cuocete il bacon sempre su una piastra in ghisa nel vostro dispositivo fino a quando non diventacroccante. Quindi fate assorbire il grasso in eccesso su carta assorbente. Spezzettate e tenete da parte.

6.

Realizzate la vinaigrette, sbattendo insieme l’olio extra vergine di oliva, l’aceto, laWorcestershire, il succo di limone, la senape di Dijon, lo zucchero, il pepe, lo spicchio d’aglio tritato e il sale.

7.

Lavate, mondate e tagliate grossolanamente la lattuga e mescolatela alle foglie di crescione. Condite con 5 cucchiai di vinaigrette in una grossa ciotola.

8.

Mettete i pomodori tagliati a quarti in una ciotola e conditeli, mescolando delicatamente,con un cucchiaio di vinaigrette.

9.

Dividete in due parti, per la lunghezza, un avocado. Denocciolatelo e riducetelo a dadini.

10. Tritate finemente l’erba cipollina poco prima di impiattare. Ne serviranno ben 3 cucchiai. 11. Prendete un bel piatto capiente, che riesca a contenere tutti gli ingredienti, disposti in maniera metodica. Create un bel letto di insalata verde (lattuga e crescione ), sopra di essa stendete, da sinistra a destra, la dadolata di avocado, il formaggio blu sbriciolato grossolanamente, i pomodorini in quarti, le uova infine il bacon. BBQ4All Magazine

12. Tagliate a questo punto le bistecche a fettine e inseritele nel piatto di portata: versateci su un po’ di olio extravergine di oliva e il sale Maldon. Poi versate a filo un leggero velo di vinaigrette su tutto il resto e spargete l’erba cipollina. Servite subito la vostra Steak Cobb Salad!

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Parola d’ordine: freschezza

TARTARE DI TONNO AGLI AGRUMI Si avvicina la stagione della pesca del tonno rosso (fissata in maniera istituzionale dal 16 Giugno al 14 Ottobre) e con essa la voglia di mangiare questo pesce sontuoso e delizioso. Il tonno è tra le specie ittiche più importanti a livello mondiale per volumi commercializzati, ed è ormai sviluppata su scala industriale. La pesca del tonno negli ultimi decenni è più che triplicata nelle acque del Mediterraneo, grazie all'aumento degli allevamenti, richiesti dal mercato giapponese e dal consumo sempre più consistente di sushi e sashimi. Il tonno è buonissimo anche crudo, in effetti. Per questo motivo, abbiamo deciso di servirlo come tartare e di condirlo con un’emulsione agli agrumi. Sapori che ben si sposano con il gusto delicato del pesce e non ne coprono il sapore. Ricordate che l’attore principale deve essere sempre e comunque lui! Con pochi ingredienti di prima qualità potrete realizzare un piatto raffinato in pochissimo tempo, lasciando gli ospiti letteralmente a bocca aperta.

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Per preparare una tartare di tonno perfetta occorre seguire delle regole: una di queste riguarda la scelta del pesce che deve essere assolutamente abbattuto, per evitare l’insorgere di spiacevoli infezioni intestinali e per poterlo consumare in sicurezza. Il pesce crudo in generale può contenere parassiti, come Opisthorchiidae e Anisakadie, che possono portare a malattie di origine alimentare parecchio pericolose. L’abbattimento a -20°C per almeno 24 ore elimina il rischio di anisakis e crea un ambiente ostile per la proliferazione di altri parassiti: è comunque necessario partire da una materia prima di qualità e di cui la provenienza è certificata.

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La parte migliore del tonno rosso per fare la tartare è sicuramente il filetto. Si tratta della parte più magra del tonno, di un bel colore rosso intenso e dal sapore delicato. Il taglio per realizzarla è da effettuarsi rigorosamente al coltello, quindi munitevi di una lama ben affilata!

Ingredienti per 4 persone: 450 g di tonno

fresco / 1 lime / 1 arancia non trattata / 50 g di olio extravergine di oliva / sale q.b. / verdure a piacere per decorare PREPARAZIONE 1. Tagliate a cubetti i tranci di tonno fresco, avendo cura di tamponarlo con un po’ di carta assorbente. 2.

In una ciotola, versate l’olio extra vergine e spremete il lime.

3.

Lavate per bene l’arancia e ricavatene la buccia, facendo attenzione a grattare via solo la parte superficiale. Il bianco è amaro e va lasciato lì.

4.

Spremete l’arancia e unite zest (buccia) e succo alla ciotola.

5.

Immergete i cubetti di tonno in questa marinatura, salate a piacimento e lasciate riposare in frigo per 20 minuti circa.

6.

Aiutandovi con un coppapasta, componete la tartare di tonno sul piatto. Potete a questo punto decorare il piatto come meglio credete: semi di sesamo, rucola, zucchine grigliate, arance pelate a vivo...

7.

Servite la vostra tartare subito, magari accompagnata da una maionese fatta in casa.


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YUM NUA

l’insalata di manzo thailandese Un’insalata tipica e molto consumata nella tradizione gastronomica thailandese è la Yam Nua, detta anche Yum Nua o Yam Nuea. In thailandese la parola Yum significa “misto”: la Yum Nua è dunque un’insalata composta da diversi elementi, perlopiù cotti. Una delle caratteristiche principali delle insalate thailandesi, infatti, è che che gli ingredienti, a differenza di ciò che avviene per le insalate nostrane, tendono essere cotti invece che crudi. Si possono trovare insalate con carne, frutti di mare, riso e spaghetti che vengono servite come portate principali complete. Un’altra peculiarità delle insalate Yam è la presenza di vari sapori anche molto contrastanti tra loro. La Yum Nua è un piatto molto nutriente, ricchissimo di proteine e gustoso. L’ingrediente principale è il manzo, che viene accompagnato da verdure di vario tipo. La parte più aromatica è rappresentata dal massiccio uso di spezie e di sapori come il coriandolo, il peperoncino, la cipolla, il lime e soprattutto la salsa di pesce, uno degli ingredienti più utilizzati nelle insalate Thailandesi.

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La salsa di pesce viene fatta con le acciughe più piccole appena pescate, che vengono unite al sale marino e all'acqua, dopodiché messe nelle botti e lasciate a fermentare per almeno un anno. Il risutato è una salsa dal colore ambrato e dal sapore molto sapido, utilizzata spesso insostituzione nel sale in tantissime preparazioni thai. Per intenderci, è una salsa molto simile alla più conosciuta colatura di alici di Cetara, ottenuta anch’essa da un lungo processo di fermentazione.

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Tornando alla nostra insalata di manzo thai, un altra sapore piuttosto particolare che viene aggiunto spesso è la stevia, che dona un tocco dolciastro al piatto e che si contrappone piacevolmente al salato, allo speziato e all’acidulo del succo di lime. Il risultato finale è un perfetto equilibrio di sapori, un’insalata dal forte e delizioso gusto orientale che tanto ci piace.

Ingredienti per 4 persone: 3 Sirloin Shimofuri

Farms Wagyu Japanese Black del Megastore / 20 pomodorini ciliegini / 2 cetrioli / un cesto di lattuga / una cipolla bianca / una cipolla rossa / 50 ml di succo di lime / 50 ml di colatura di alici di Cetara (in assenza della salsa di pesce di tipo thai) / un cucchiaino di stevia / qualche foglio di menta / coriandolo q.b. / 4 peperoncini thai o altro tipo PREPARAZIONE 1. Togliete la carne dalla confezione, asciugatela bene. Essendo molto marezzata, non serve nemmeno ungerla. Scaldate una piastra in ghisa e cuocete le bistecche fino al grado di cottura desiderato, poi toglietele dal fuoco e mettetele su un tagliere di legno per farle raffreddare. 2.

Triturate il coriandolo e la menta, tagliate a pezzetti grossolani la cipolla e il peperoncino, tagliate a fette il cetriolo, riducete a spicchi i pomodori e tagliate la lattuga nelle dimensioni preferite. Mentre avviene la preparazione degli elementi vegetali e delle spezie la carne avrà modo di raffreddarsi nel modo giusto, fino a temperatura ambiente.

3.

Mescolate i peperoncini, la colatura di alici, il succo di lime e la stevia in una ciotolina, fino a che quest’ultima non comincia a sciogliersi e ad amalgamarsi al resto dei liquidi.

4.

Affettate le bistecche, poi mettete la carne, l’insalata, le spezie e gli altri ingredienti solidi in una ciotola da insalata, aggiungete il condimento liquido e piccante. Servite subito!


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e t n a c c cro

Grissini, crostini, bruschette, taralli, crackers

Il mondo

degli abbinamenti alle insalate!

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a cura di Nunzia Clemente

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U

no speciale sulle insalate firmato BBQ4All Magazine non poteva esimersi da un approfondimento in pieno stile Gastronomica-Mente. Abbiamo decido di dedicarlo agli “accompagnamenti” che solitamente troviamo con le insalate: nella fattispecie parliamo della parte crunchy, spesso rappresentata da svariate tipologie di panificati che ben si prestano ad accompagnare queste preparazioni. Chiaro: se seguite da un po’ la filosofia di Gianfranco Lo Cascio, saprete già perfettamente che “insalata” non è un ammasso tristolino di erbette messe a caso, magari tirate fuori dalla busta del supermercato. Parliamo di un concetto molto più ampio e articolato, che consiste nel bilanciare sapori e consistenze. Solitamente, una “parte croccante” delle insalate è presente già nel topping e può essere sotto forma di frutta secca o pane fritto e croccante sbriciolato. In questo articolo, andremo a esplorare la scienza del crunchy, nonché la tradizione di alcuni panificati italiani che accompagniamo storicamente alle insalate. Prima di addentrarci nel crunchy tutto italiano, rappresentato dai panificati del nostro Paese, ci è sembrato interessante fare una corposa digressione scientifica su una cosa: perché il crunchy ci fa sembrare le cose più saporite?

Prima di indagare nelle diverse ipotesi (perché sono “ipotesi”, di tipo scientifico ma non si è ancora pervenuti a una conclusione definitiva e unica) del perché-crunchy-ci-fa-godere, bisogna chiarire che i sensi del corpo umano (e chi ci segue anche sul sito Gastronomica-Mente, sa che ne stiamo indagando a mano a mano la scienza!) Hanno ancora molti misteri da svelare. Le neuroscienze - cioè la branca che si occupa in modo specifico del rapporto tra il cervello e i sensi - sono un qualcosa di ancora molto in essere, in divenire. Ci divertiremo a snocciolare un po’ di studi, soprattutto riguardo il crunchy e il suo parente “strettissimo”, il crispy. In lingua inglese, infatti, i due termini vengono utilizzati quasi come sinonimi praticamente, ma crispy ha una declinazione anche verso la texture del cibo, mentre crunchy è riferito esclusivamente al suono e alla consistenza che fa al morso.

Il caso del Magnum: da “gelato difficile da mangiare” a status symbol Alcuni anni fa, l’Algida commissionò uno studio sui suoi gelati con brand Magnum. Chiese ai suoi clienti in cosa potesse migliorare il gelato, che

Focus: perché il crunchy è così esaltante per i nostri sensi?

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Pare proprio sia il caso di dire che crunchy sounds better. Vi sfidiamo, noi: sicuramente la sensazione “scrocchierella” sotto i denti, nonché il suono (all’incirca, un “crock crock”) ci provocano un moto di piacere inconsulto, apparentemente immotivato. Pensiamoci: ci capita sgranocchiando delle patatine in busta, così come dei crostini belli unti e sapidi, ma anche una bella pizza bassa convenzionalmente nota come “pizza romana”, oppure una mela varietà Granny Smith, di quelle verdi che letteralmente scrocchiano sotto i denti. E poi, quando per un malaffare - una cottura maldestra, o una conservazione non ottimale - la cosa che dovrebbe essere crunchy invece è moscetta, beh, là la delusione è imperante.

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ad un certo punto dell’esperienza gastronomica letteralmente si “sfaldava” sotto gli occhi dei clienti, sciogliendosi senza possibilità di appello. Facile immaginare orde di consumatori un bel po’ incazzati. Cosa fa allora, Algida? Ascolta i consumatori e propone un nuovo tipo di Magnum: il rivestimento in cioccolato si sfalda e spacca di meno, contenendo meglio il ripieno di gelato alla vaniglia. La toppa fu peggio del “problema”: i consumatori si incazzarono decisamente di più. Il nuovo Magnum, al morso, non faceva “crock”: il cioccolato non si spaccava sotto i denti, non faceva rumore, e questo nuovo gelato - sicuramente più agevole, sicuramente si mangiava meglio - non riscosse il successo desiderato. I consumatori rivolevano indietro il “vecchio” Magnum, quello che si spaccava in mille pezzi ma col cioccolato che faceva “crock” al morso. Questo case study è tanto simpatico quanto indicativo: non importa un risultato “performante”, senza crunchy il Magnum avrebbe avuto una fortuna ben diversa. E il risultato di questa “lezione”, l’Algida l’ha mostrato molto bene: da svariati anni ormai esistono edizioni di Magnum ricoperti da frutta secca croccante: pistacchi, mandorle e altro. Anche gli spot pubblicitari rimandano di continuo il rumore del cioccolato che si spezza sotto i denti.

Cosa trasmette al nostro cervello la nota croccante dei cibi? Come vi anticipavamo poco più su, le neuroscienze

sono ancora decisamente impegnate a capire tutte le centinaia di migliaia di connessioni che corrono tra i nostri sensi fisici e ciò che avverte il cervello. Per quanto riguarda il croccante, sono stati effettuati alcuni studi molto simpatici e interessanti che possono dar vita a diverse discussioni al riguardo. Alan Hirsch, uno psichiatra che si interessa da molti anni del rapporto che c’è tra i sensi (soprattutto odore e gusto), ha spesso associato il rumore prodotto dal cibo come “musica della masticazione”. Detto in termini più tecnici, quest’ultima sarebbe il suono prodotto dall’atto del mangiare. Sempre secondo lo psichiatra, pare proprio che le persone preferiscano i “suoni” del cibo, immediatamente dopo il gusto e l’olfatto. Gli esseri umani amano il rumore del cibo, e il rumore del croccante - quel crock crock che viaggia attraverso le condutture delle nostre orecchie - ci aiuta anche ad “identificare” i cibi che stiamo mangiando. Pensate un po’: un cibo molto croccante può “scatenare” un rumore fino a 63 decibel. Un po’ parecchio, considerando che una conversazione a toni pacati è a circa 60 decibel.

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Insomma: pare proprio che “sentire” i cibi ci invogli a mangiarne di più. Ed è proprio per questo, magari, che di fronte a un piatto di patatine un po’ moscette e per niente croccanti cerchiamo di indagarne la salubrità adoprando altri sensi, ad esempio l’olfatto e la vista.

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L’essere umano però sembra in effetti disturbato dai rumori. Perché il crunchy ci esalta così tanto? Normalmente, la nostra prima reazione in caso di rumori molesti è quella di alterarci, innervosirci e quando possibile allontanarci. Pensiamo ai rumori di cantiere, oppure a trombe insistenti. Niente di molto piacevole, non trovate? E allora, perché il rumore del cibo che scrocchia sotto i denti dovrebbe rappresentare un’eccezione? È uno dei molti interrogativi sul nostro cervello cui gli esperti cercano di rispondere da decenni. Molte aziende, già dagli anni Ottanta del secolo scorso, hanno investito cifre stratosferiche per canalizzare le vendite grazie al “suono del cibo”, aziende di snack salati in primis. E anche grazie a queste campagne pubblicitarie qualche ipotesi, e qualche risposta, ci sono. Charles Spence è un Ph.D. e professore di psicologia sperimentale presso l’Università di Oxford. A lungo si è interessato alla cosiddetta “scienza del crunchy”, come la si chiama tra amici. Spence ha studiato e lavorato molto presso alcune aziende, che ne hanno ricercato la consulenza per capire come rendere ancora più appetibili i prodotti alimentari proposti. E spesso, la risposta, era proprio nel suono che questi alimenti emettono all’atto della masticazione. Spence è giunto alla conclusione che, sebbene gli esseri umani non siano predisposti al rumore, sanno che il rumore è indice di gusto di un cibo, tendenzialmente un gusto fresco nel senso di “freschezza”, genuinità del prodotto.

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Un esperimento da egli condotto nel 2003 vedeva dei tester impegnati a sgranocchiare patatine Pringles (quelle iconiche, sottili e croccantissime inserite in un tubo) in un ambiente insonorizzato, con la bocca abbastanza vicino a un microfono. Ogni tester aveva delle cuffie collegate. Ogni patatina Pringle ha la stessa forma, stesso peso: l’ideale per condurre un esperimento che potesse riportare

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dei dati facili da verificare. Ad ogni tester sono stati assegnati 2 tubi di Pringles da mangiare, per un totale di 180 patatine circa. Dopodiché, è stato chiesto loro di segnalare se un tubo conteneva patatine più fresche dell’altro e per quale ragione secondo loro. La motivazione di freschezza era, secondo i tester, associato ad una maggiore “fragranza”. Mentre un suono più debole era associato inevitabilmente a patatine meno croccanti e fragranti.

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Erano ignari, ovviamente, che fosse Spence a monitorare i suoni nelle cuffie, facendoli sentire più fievolmente oppure più alti. Di conseguenza, la maggior parte dei tester asserì che suoni fievoli erano associati a patatine meno fresche, suoni alti a patatine più fresche.

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Secondo Spence, oltre la freschezza di un cibo, il nostro cervello - attraverso il suono crunchy - è più abile nel determinare il gusto grasso, che la nostra bocca potrebbe avere difficoltà a codificare. Inoltre, i nostri antenati erano particolarmente soddisfatti quando sotto i denti scricchiolava qualche carcassa con osso: una sorta di “vittoria”.

La tradizione dei cibi croccanti in Italia. L’esperienza dei panificati. Bene chiarirlo fin dall’inizio: nel nostro Paese c’è una fortissima tradizione di cibi croccanti, soprattutto panificati. Ma questa lunga tradizione è stata più una tradizione di necessità che di effettiva “volontà”. I panificati croccanti, privati di parte della loro acqua e spesso totalmente privi di lievito, biscottati e quant’altro, rendeva più semplice la vita di chi non poteva avere pane fresco tutti i giorni. Parliamo di contadini, viaggiatori, marinai. Ad esempio, conoscete le friselle? Parliamo del pane biscottato diffuso in tutto il Sud Italia, ricavato da ciambelle con buco al centro. Per secoli, hanno rappresentato il sostentamento dei marinai che le bagnavano con acqua di mare (“sponzare”) per favorirne la masticazione. Ma il crunchy di una fresella, anche oggi, ci rimanda a sensazioni favorevolissime oltre a darci indice di freschezza del prodotto. Insomma, il crunchy dei panificati italiani è sul serio aver fatto “di necessità virtù”. Soltanto in seguito si è pensato di rendere questa tendenza una vera e propria economia redditizia: pensiamo ai grissini, ai cracker, alle già citate freselle, oppure ai taralli di vario tipo, e ancora alle fette biscottate.

Tutte queste preparazioni hanno dalla loro un grande vantaggio: il fatto di poter essere stoccate facilmente, conservate a lungo e poter essere trasportate con un ingombro di spazio spesso


minimo. Queste caratteristiche - oltre alla spiccata sapidità, al fatto di essere croccante (e quindi molto appetibile, come abbiamo appena visto!), la possibilità di insaporire a proprio piacimento - rendono tutti questi panificati croccanti dei partner perfetti per le insalate, piatto che per antonomasia si presta altrettanto bene al trasporto e al “mangiar fuori”. Di seguito, faremo un giro d’Italia molto rapido alla ricerca di “tutto il pane croccante” da abbinare alle nostre insalate del Magazine… e non solo! Friselle: Come accennato sopra, con il termine frisella ci riferiamo a un pane biscottato (quindi cotto due volte), tagliato da una ciambella, con un buco centrale. È diffuso principalmente in Campania e in Puglia, ma grosso modo lo si trova in tutta Italia ormai, grazie alla lunga conservabilità e al fatto che vengono vendute in pack di plastica sottile. Questo pane si presenta particolarmente croccante, a volte si usa anche “bagnarlo” con un po’ d’acqua (o acqua e sale) per favorirne il morso. Si presta perfettamente a insalate molto estive.

Crackers: a dire il vero, i cracker non sono propriamente soltanto un panificato croccante italiano.

Taralli: sul capitolo taralli si potrebbe stilare un numero intero del Magazine. L’Italia sembra proprio essere la patria di questo che potremmo definire un biscotto, convenzionalmente salato ma non è inusuale trovare taralli dolci in giro, nasprati di zucchero. I taralli sembrano avere origini antichissime: resti di questo pane bruciacchiato sono stati trovati nei resti di insediamenti preistorici in Puglia. La particolarità dei taralli è data dalla forma “a otto”,

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Pane Carasau: L’iconico pane sardo, conosciuto davvero da tutti. Questo pane si presenta come un disco sottilissimo e molto croccante, caratteristiche che gli favoriscono la durata nel tempo e, quindi, la conservabilità e il trasporto. Per fortuna, ad oggi, il pane carasau è disponibile in tutta Italia, dai supermercati più forniti ai negozi gourmet. Il nome in italiano è spesso “carta da musica”, in riferimento appunto al rumore che fa spezzandolo (tanto per restare in tema crunchy). Variazione del pane carasau è il pane guttiau: il pane carasau viene preso, cosparso di sale e olio e abbrustolito su griglia. Insomma, una goduria.

Potremmo definirli a tutto tondo i pro-pro-progenitori di tutti i moderni panificati crunchy, in quanto essi derivano dalle antichissime gallette biscottate portate per mesi in mare dai marinai. La loro “riscoperta” il valore economico fu portato in auge nel Massachusetts, quando un fornaio decise di vendere anche alle persone comuni i cosiddetti “biscotti d’acqua”, quelli forniti ai marinai. In Italia ne esistono di tantissimi tipi, aromatizzati e non. Per elezione, sono uno dei panificati croccanti preferiti da abbinare alle insalate.

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cioè dall’ovale chiuso con due lembi di impasto. Si tratta di un impasto senza lievito, con differenti cotture e aromatizzazioni, dipende da zona a zona. Difficile capire quale sia stato il “tarallo originario”, ma le aromatizzazioni più diffuse sono quelle al vino, al finocchietto, all’olio, al peperoncino, al peperone crusco. Esistono sia taralli grossi quanto una mano, sia taralli in formato mini. La loro praticità ha permesso uno sviluppo di mercato molto ampio, soprattutto per i mini size. Sacchetti di una quarantina di grammi sono spesso serviti insieme alle insalate. Un tarallo da provare è sicuramente il tarallo sugna e pepe, tipico di Napoli e fatto con la pasta di riporto del pane, arricchito di sugna di maiale, mandorle e tantissimo pepe. Assolutamente un pasto a sé! Pane biscottato: con “pane biscottato” racchiudiamo tutta una serie di panificati noti con molti nomi, diffusi lungo lo Stivale: infatti ne troviamo di varianti (con nomi anche differenti) un po’ dappertutto, da Ferrara alla Calabria per dire. Il pane biscottato differisce dal tradizionale per la “doppia cottura”. Ad oggi, il pane biscottato (oppure “pan biscotto” per molti, mentre per altri i due rappresentano generi totalmente diversi… non si troverà mai, mai una concordanza!) Viene venduto facilmente in buste di plastica alimentari spesse, vista la tendenza a “sgranarsi”, e già tagliato a fette grosse. Perfetta come condimento o parte di insalate. Grissini: i grissini torinesi rappresentano una valida alternativa quando si parla di un panificato croccante da abbinare alle insalate. Questi filoncini lunghi lunghi e fragili sono diffusissimi ormai ovunque, e derivano dai filoni di pane lunghi piemontesi. Se ne dicono di ogni, persino che Napoleone ne fosse ghiotto. Più giù, dopo questo articolo, vi presentiamo una nostra versione di grissini con qualche curiosità in più. Bruschette: sembra abbastanza semplice rintracciare la storia termine bruschetta. Esso infatti, deriva dal dialetto del Centro Italia, “pane bruscato”, che definiva il pane abbrustolito (e, spesso, raffermo anche di parecchi giorni) molto in uso presso le fasce più povere della popolazione. Le bruschette rappresentano ad oggi un salvavita da accompagnare a insalate oppure come “piatto” per metterci su, appunto delle composizioni. Sono delle fette di pane tagliato anche abbastanza grossolanamente, a volte di forma ovale, altre volte in forma quadrata/rettangolare. Ad esempio, bruschette al pomodoro, aglio, olio e origano (diffusa soprattutto in Calabria); in Campania, il topping è composto da svariati ingredienti, da burro e alici, al tonno, ai formaggi; in Piemonte, la bruschetta era la pietanza tipica di chi lavorava nelle vigne durante la vendemmia ed era una fetta di pane abbrustolito strofinato con aglio; in Basilicata la fa da padrona la bruschetta chiamata qui fedda rossa, condita anche con lampascioni, purea di cicerchie e peperoni cruschi; in Toscana, la fettunta è fatta da pane sciocco, aglio, olio e sale. Crostini: Molto simili alle bruschette, talvolta si tende ad assimilarli. I crostini, tendenzialmente, sono più piccoli e sottili, tendono ad essere degli appetizers con topping vari e spesso possono essere aromatizzati in vario modo.

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In calce a questa lunga digressione sui cibi croccanti da abbinare alle insalate, vi lasciamo quindi due ricette da provare a casa, tutto sommato abbastanza semplici. Fateci vedere i vostri risultati sulla Community di Gastronomica-Mente!

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L A RICET TA

Il grissino da insalata Un grande classico sempre in voga “Les petits bâtons de Turin”, così erano chiamati i grissini un tempo, non erano una faccenda facile da fare: occorrevano ben quattro persone per coprire tutte le fasi di impasto, lavorazione e cottura di questi che ad oggi sono considerato un “passatempo scrocchiarello”. Niente di più sbagliato: i grissini facevano e fanno parte della vita quotidiana e gastronomica piemontese al pari di un qualunque pane tipico in altre regioni d’Italia. Il nome deriva da ghërsa, che indica il classico pane della tradizione di forma allungata. Di sicuro, almeno una volta nella vita, avremo mangiato quelli della famosa azienda come spezzafame, in qualche caso serviti a tavola come aperitivo in attesa delle portate principali. I grissini sono ottimi anche da mangiare in accompagnamento all’insalata, per chi vuole un carboidrato gustoso, ma non invasivo. Vi proponiamo, di seguito, una preparazione di Alessandro Trezzi (Il Nerd della Pizza) che riguarda appunto i grissini croccanti, in questa versione fatti con la sola farina bianca. Ingredienti (per circa 3 teglie 30x40 di grissini, difficili dire il numero esatto di bastoncini ottenuti, dipende da quanto li farete “grossi”) • 500 g di farina di grano tenero di tipo 00 (consigliato un W medio, tipo 240 o 260) • 340 g di acqua; • 12 g di lievito di birra fresco; • 12 g di sale fino.

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(Per lavorare l’impasto) • qualche pugnetto di farina di mais

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Procedimento 1. Versate tutta la farina in una ciotola, mescolatela bene, aggiungete il lievito sbriciolato e successivamente 300 dei 340 g di acqua. 2. Impastate fino a che non avrete raggiunto una massa liscia e uniforme, dopodiché aggiungete il sale e a filo l’acqua rimanente. 3. Chiudete quando la massa sarà omogenea e a una temperatura di circa 22°C-24 °C. 4. Mettete l’impasto in un contenitore precedentemente oliato, chiuso bene con della pellicola ben tesa. Lasciate lievitare la vostra palla di impasto per 1 ora a temperatura ambiente. 5. Preparate il piano di lavoro per stendere i grissini. Spolverate la superficie con della farina di mais, che vi aiuterà a rendere

ancora più crunchy il vostro prodotto finito. 6. Rovesciate l’impasto, create un filone di forma pressappoco rettangolare e “impanatelo” nella farina di mais stesa in precedenza sul piano di lavoro. 7. Tagliate il vostro filone in strisce da circa 1 cm di larghezza. 8. Allungatele delicatamente dalle estremità e prestando attenzione a non rovinare l’impasto. 9. Appoggiate le strisce su una teglia (senza carta forno) cosparsa di farina di mais, avendo cura di lasciare una certa distanza tra di loro (si gonfieranno un po’ e tenderanno naturalmente ad attaccarsi tra di loro). Stirateli fino a quasi la lunghezza della teglia. Lasciate riposare così i grissini per circa 30 minuti, dopo averli cosparsi ancora di farina di mais. 10. Per la cottura, pre-riscaldate il forno a 180°C. Dopodiché, una teglia per volta, cuocete i vostri grissini. Ci vorranno circa 20 minuti. 11. In caso di cottura “incompleta”, alzate il forno fino a 150°C e controllate la doratura. Una volta sfornati, lasciar freddare per bene sulla griglia. 12. Una volta freddi, possono essere serviti accanto alle vostre insalate e ai vostri aperitivi.


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L A RICET TA

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Crackers aromatizzati al formaggio Gruyère, fatti con lievito madre

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Almeno una volta nella vita, ognuno di noi, ha avuto nella borsa un pacchetto di cracker salvavita. Il fatto di essere sottili, tagliati in rettangoli non più grossi di un portamonete, facilmente richiudibili in un sacchetto di plastica, li ha resi uno snack tanto popolare quanto personalizzabile. E infatti, in commercio, esistono decine di tipologie di cracker, aromatizzati più o meno in tutti i modi: oltre a quelli salati in superficie e quelli non salati, troviamo cracker al pomodoro, al rosmarino e origano, alla patata, al formaggio. E tutte queste tipologie sembrano riscontrare un deciso successo, sia per il consumo “in solitaria” (magari come spezzafame) che in abbinamento a qualche secondo piatto o insalata, in sostituzione del classico pane comune.

Vi forniamo qui una rapida ricetta per fare i cracker in casa: abbiamo deciso di aromatizzarli con formaggio Gruyère, e questo li rende perfetti come abbinamento alle insalate, anche corpose come quelle di carne che vi proponiamo in questo numero del Magazine. La scelta del Gruyère è data dal fatto che per questo tipo di preparazione è sicuramente preferibile un formaggio piuttosto stagionato e non uno fresco, che potrebbe darvi problemi durante la preparazione. L’utilizzo del lievito madre è uno spunto per darvi occasione di utilizzare la pasta in esubero con una preparazione nient’affatto complicata. I crackers così preparati si conservano facilmente in un contenitore per alimenti per circa 3-4 giorni. In ogni caso, capirete facilmente quando è il momento di finirli: non saranno più croccanti!

Ingredienti (per circa 50 crackers molto sottili) • 250 g di farina 0 oppure 00 (forza media, dai 240 W ai 260 W è ottima) • 120 g di lievito madre (in alternativa: 1 g di lievito di birra) • 40 g di burro • 100 g di formaggio Gruyère già grattugiato • 1 cucchiaino di sale • 500 ml di acqua tiepida

morbido. Non dovrà essere appiccicoso. Servitevi di acqua tiepida per lo scopo. Aggiungere il sale. 5. Dopo aver lavorato con cura l’impasto, lasciate riposare per circa 15-20 minuti. 6. Infarinate il piano di lavoro, se vi va con un po’ di farina di mais per rendere croccante la superficie dei cracker. 7. Stendete l’impasto fino a renderlo molto sottile. Successivamente, con una rondella per tagliare la pasta, tagliate l’impasto nella forma che preferite, in ogni caso non troppo grande. 8. Con cura, trasferite ogni cracker su una teglia già ricoperta di carta forno. 9. Con i rebbi di una forchetta, bucherellate la superficie dei cracker e passate abbondante sale in cristalli grossi, se gradite. 10. Preriscaldate il forno a 190°C; a temperatura raggiunta, infornate i cracker. 11. Fate cuocere una dozzina di minuti, altrimenti fino a doratura esterna dei cracker. Prima del servizio, lasciar raffreddare bene in un ambiente privo di odori.

Procedimento 1. Il primo passo da fare è preparare il vostro impasto per cracker. Sciogliere il lievito madre (o il lievito di birra, se ne siete sprovvisti) in un po’ d’acqua tiepida. 2. Una volta sciolto, aggiungete la farina a filo, il formaggio Gruyère già grattugiato e il burro a tocchetti. 3. Giunge quindi il momento di impastare. Si tratta di un impasto semplice, potete lavorarlo anche a mano, avendo cura di andarci piano e magari lavorando solo con la punta delle dita. In alternativa, lavorate con impastatrice a bassa velocità. 4. Lavorate l’impasto fino a che non sarà


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...eda

bere?

Tre cocktail infallibili con le nostre insalate, firmati Gastronomica-Mente a cura di Nunzia Clemente

Per sdoganare definitivamente il concetto di insalata=piatto triste e inculcare finalmente il concetto di insalata=piatto scientificamente bilanciato e molto invitante, non tocca che consigliarvi tre cocktail infallibili con cui abbinarle. In questo modo, speriamo, si allontanerà definitivamente la vecchia concezione di “insalata” e inizierete a farne un piatto nuovo, con una nuova “credibilità”. Indubbiamente, i cocktail da abbinare alle insalate non sono “bevute da meditazione”, non sono cocktail da sorseggiare lentamente. Diciamo che a questo tipo di pietanza si prestano molto più drink che “scivolano”, beverini e non particolarmente strutturati, che magari si prestino a “sgrassare” eventuali ingredienti e/o condimenti troppo strutturati. In particolare, abbiamo individuato i seguenti criteri per definire i cocktail perfetti da abbinare alle insalate: 1.

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Devono essere strutturati in maniera tale da non sovrastare la portata principale (nel nostro caso, insalate, cioè agglomerati complessi e si spera equilibrati di sapori); Devono essere cocktail beverini, magari qualcosa a tutto pasto. Note balsamiche o sgrassanti sono molto ben gradite.

Vi proponiamo, quindi, secondo il ricettario IBA (International Bartenders Association) tre ricette infallibili di cocktail da abbinare alle vostre insalate. Siamo sicuri li conoscerete già, ma vi rinfreschiamo la memoria con le ricette ufficiali e qualche pillola di storia!


BLOODY MARY un cocktail a tutto pasto

La fortuna del Bloody Mary è così grande da aver travalicato e condizionato epoche, opere d’ingegno, usi e costumi. Come tutti i miti, la veridicità su chi ha inventato il Bloody Mary pare difficile da trovare. Sostanzialmente, sembra che sia stato inventato sul finire degli anni ’30 del Novecento. Il nome dell’ingegnoso bartender pare sia George Jessel, ma alcuni dicono Fernand Petiot. Il nome sembrerebbe derivare da Maria Tudor, regina inglese detta “La Sanguinaria” a causa della ferocia delle sue persecuzioni. Il Bloody Mary è sul serio un cocktail a tutto pasto, quindi perfetto per le nostre insalate, soprattutto quando abbiamo tanti ingredienti insieme e non vogliamo prevaricarne alcuno. Ideale per aperitivi pre-serata, ma anche per accompagnare taglieri di salumi e formaggi. Ecco la ricetta ufficiale IBA del Bloody Mary. Ingredienti (per singolo cocktail) • 45 ml di vodka • 12 ml succo di limone • 9 cl succo di pomodoro • 2 gocce di Tabasco • 2 gocce di Worchestershire Sauce • Pepe Nero q.b. • Sale q.b. Per decorare • 1 costa di sedano Dove si serve il Bloody Mary? • Si serve in un tumbler alto

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Procedimento 1. Prendete un bicchiere dalla pancia ampia (anche una tazza dovrebbe andar bene), mescolate i seguenti ingredienti: succo di pomodoro, Worcestershire sauce, succo di limone, vodka, tabasco, pizzico di sale e pepe. Se avete attrezzatura da bartender, mescolate con un bar spoon (il “cucchiaio” col manico lungo), altrimenti un normalissimo cucchiaio dovrebbe andar bene. 2. Prendete ora il tumbler dove berrete il vostro cocktail. Posizionate un colino sopra e filtrate la miscela alcolica che avete preparato. 3. Aggiungere ghiaccio secondo la quantità desiderata. Guarnire con la costa di sedano.

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GIN TONIC fresco e dissetante Parimenti, la fortuna del gin tonic è cosa nota. Sul sito di Gastronomica-Mente ne abbiamo parlato a lungo, con un articolo dettagliato. Il gin ha fatto parte della “dieta” degli inglesi per molto tempo, in virtù del costo molto basso rispetto agli altri alcolici. Con il Colonialismo, l’esercito inglese dovette combattere la malaria, molto diffusa in India. Il chinino era un ottimo rimedio contro questa malattia, ma era sgradevolissimo: e quindi, non restava che scioglierlo in acqua. Con la carbonatazione (aggiunta di anidride carbonica) nacque l’acqua tonica, e la Schweppes Company (Sì, proprio quella) la rese bevanda ufficiale dell’esercito imperiale. Esercito che pensò bene di allungare l’acqua tonica con la propria razione di gin. Ovviamente, ad oggi, il gin toni si è svuotato della funzione “medica”, ma resta sempre un gran cocktail. Inoltre, il mercato del gin si è ampliato a dismisura: la base resta il distillato di ginepro, ma ormai ne esistono centinaia, aromatizzati con botaniche differenti e peculiari. Il gin tonic si presta quindi come un cocktail rinfrescante, dissetante, adattissimo ad accompagnare le vostre insalate. Vediamo ora come preparare un ottimo gin tonic secondo la ricetta “ufficiale” (anche se il gin tonic è sul serio molto personalizzabile secondo le proprie voglie) prendendo come riferimento un gin classico, con botaniche standard. Ingredienti (per singolo cocktail) • 5 cl del vostro gin preferito • 10 cl di acqua tonica • Cubetti di ghiaccio q.b. Per decorare • 1 fetta di limone Dove si serve il Gin Tonic? • Un tumbler alto, ma ultimamente le mode vogliono anche il gin tonic servito in un bicchiere ballon

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Procedimento 1. Raffreddare il tumbler. Inserire alcuni cubetti di ghiaccio a piacere. 2. Inserire la parte di gin e l’acqua tonica. Miscelare con cura. 3. Guarnire con la fettina di limone oppure un altro agrume a vostra scelta.

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MARGARITA perfetto con le insalate di carne

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In questo numero dedicato alle insalate, il tema “portante” è sicuramente rappresentato dalle insalate di carne. Sono, queste ultime, insalate sostanziose che hanno necessità di un cocktail robusto, rotondo, se vogliamo azzardare un pairing. Ed è per questo motivo che la nostra terza scelta ricade sul Margarita, un cocktail particolarmente indicato quando si tratta di pasteggiare con carni brasate, marinate, oppure semplicemente alla griglia. Il Margarita è un cocktail composto da tequila, liquore triple sec e succo di lime. All’apparenza vi potrà sembrare delicato e fine, ma sicuramente sarete a conoscenza della sua “potenza alcolica”. Si tratta senza alcun dubbio del cocktail messicano più famoso della storia, e a ben ragione ci viene da dire. Per quanto riguarda il punto di vista storico, il nome Margarita proviene dall’attrice Marjorie King, attiva ad inizio Novecento. Si tramanda che essa potesse bere soltanto Tequila a causa di una non meglio specificata allergia. Da qui, la creazione del Margarita. Ma pare siano in molti a contendersi la paternità di questo cocktail: Carlos Herrera e Daniel Negrete, ognuno con la sua ricetta, tanto per citarne due.

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Dal 2011, il Margarita fa parte del ricettario ufficiale IBA. Vi presentiamo quindi la ricetta standard per prepararlo.


Ingredienti (per singolo cocktail) • 70 ml di tequila • 30 ml succo di lime • 40 ml triple sec • Un po’ di sale fino in un piattino Per decorare • 1 fetta di lime (o agrume a vostra scelta) Dove si serve il Margarita? • Il bicchiere è già noto come “coppa Margarita”, ma andrà benissimo in sua assenza anche una classica coppa di quelle per le bollicine Procedimento 1. Raffreddare per bene la coppa Margarita. 2. Versate il succo di lime in un contenitore alimentare abbastanza ampio. 3. Dopodiché, capovolgete la coppa Margarita raffreddata e intingete i bordi di vetro nel succo di lime. 4. Sempre con la coppa capovolta, spostate la coppa sul piattino col sale. Fate in modo che il sale si incrosti sui bordi bagnati. 5. n uno shaker miscelate la tequila, il triple sec e il succo di lime che avete usato per intingere la coppa. 6. Versate il cocktail adeguatamente miscelato nella coppa Margarita, aiutandovi con un colino da cucina in mancanza dell’attrezzo professionale.

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SALUMI

FATTI IN CASA vediamo come La deperibilità degli alimenti di carne, tipicamente cacciagione ma anche pesce, ha guidato l’uomo fin dalla preistoria verso lo sviluppo di tecnologie utili a prolungare la conservabilità di questi alimenti. Lo scopo era, ovviamente, avere delle scorte di proteine animali commestibili sempre a disposizione. Sappiamo bene che i cibi ricchi di acqua e di nutrienti tendono a decomporsi rapidamente già nel momento in cui l’animale viene ucciso. L’essiccazione all’aria, l’utilizzo combinato della salagione, spesso del fumo e di altri conservanti sono decisamente efficaci per rendere la carne un prodotto quasi inattaccabile. I salumi sono senza dubbio dei prodotti nati proprio dalla necessità di conservare a lungo alimenti deperibili.

Ovviamente, ogni regione italiana ha la sua tradizione riguardo i salumi: ne esistono di moltissimi tipi, ma prepararli in casa non è semplice, perché richiedono attrezzature e spazi particolari. Avere però le informazioni necessarie su come si possa realizzarli a casa, con quali modalità e quali ingredienti, può essere un interessante stimolo a cimentarvi nell’impresa qualora possiate attrezzarvi in modo corretto. Prima di cominciare, ricordiamo innanzitutto alcune cose: la decomposizione della carne avviene grazie alla presenza di acqua. Nell'ordine, è bene ricordare che l' attività dell’acqua, pH, ossigeno, temperatura, nutrienti sono i fattori che influenzano la crescita batterica.


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Inoltre, è sempre bene cimentarsi in questa esperienza casalinga partendo da prodotti fatti con carne più magra. Perché? La poca presenza di grassi permette una maggiore conservazione ed evita fenomeni di irrancidimento a carico dei grassi, che ossidandosi danno un cattivo sapore al prodotto. Sappiamo infatti che i salumi ricchi di grasso hanno bisogno di conservanti a base di nitriti e nitrati per mantenersi stabili. Detto questo, passiamo dunque a vedere quali sono le fasi più importanti per poter preparare un salume in casa.

Lo scopo fondamentale dalla salagione è sottrarre

È importante che questa fase sia effettuata a bassa temperatura, in modo da favorire un’azione lenta senza coagulazioni negli strati superficiali e sviluppo microbico eccessivo Se viene fatta troppo rapidamente avremo infatti la coagulazione negli strati superficiali che bloccheranno la salagione. Un altro fattore importante in questa fase è il controllo dell’umidità: se troppo bassa il sale non si scioglie, se troppo alta si avrà il gocciolamento. In entrambi i casi l’effetto sarà scarso. La base di partenza è una temperatura di 20°C che poi andranno abbassati fino a 12°C, e un’umidità relativa a 75% che poi dovrà essere portata fino a circa l’80%. Lavaggio Trascorso il tempo necessario, la carne viene tolta dalla salagione e, dopo aver raschiato tutti i residui di sale e pepe presenti sulla superficie, deve essere lavata con abbondante vino bianco o aceto per

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Salagione È il primo processo di lavorazione dei salumi e viene eseguita quando ancora i tagli di carne sono freschi. Ci sono due modalità possibili: 1. Ricoprire totalmente di sale grosso la carne per 4 giorni, rigirandola il secondo giorno; 2. Mettere a macerare la carne con una miscela bilanciata di sale (dai 34 g ai 36 g per 1 kg di carne) e pepe macinato (5 g per 1 kg di carne) per la durata totale di 10 giorni, girandola il quinto giorno.

il più possibile acqua dal prodotto per bloccare la decomposizione: in altre parole bisogna ridurre al minimo l’attività dell’acqua affinché i processi biologici coinvolti nella degradazione enzimatica della carne siano bloccati.

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può essere risolta con l’utilizzo di una spazzola o un pennello per pulire l’esterno.

eliminare le impurità e disinfettarla, senza ricorrere a sostanze chimiche.

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Asciugatura Può durare anche più di una settimana: questa è la fase che richiede più attenzione, perché si va ad asciugare ancora di più la carne, rischiando un’eccessiva disidratazione. La temperatura deve essere mantenuto ad un minimo di 12°C, mentre l’umidità relativa rimane a un tasso dell’80%. In questa fase si avrà una perdita uniforme dell’acqua ancora contenuta, mentre gli altri ingredienti del salume vengono assorbiti a fondo.

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È importante controllare la ventilazione in cui avviene l’asciugatura, perché è in grado di cambiare radicalmente il sapore finale del prodotto. Una ventilazione naturale è decisamente preferibile: la maggior parte dei salumi italiani di qualità viene infatti fatta stagionare in cantine ad aerazione naturale, davanti a finestre spalancate sul territorio di origine. Dovendola fare in casa, una cantina a temperatura naturale (va da sé dunque che è meglio operare nelle stagioni fredde) sarà perfetta. In questa fase, la parte esterna del salume inizia a ricoprirsi di una muffa bianca che regolerà la trasmissione di umidità all’interno della carne. La comparsa di altri tipi di muffe che possono danneggiare il prodotto e fanno male alla salute

Stagionatura Arriviamo dunque alla fase di stagionatura o di invecchiamento: a questo punto comincia la vera e propria maturazione della carne che può avere una durata molto lunga per pezzi di carne di grandi dimensioni. Tendenzialmente, i salami richiedono una stagionatura più rapida. Ad esempio, il capocollo ha bisogno intorno ai 120 giorni di stagionatura, così come la pancetta. Invece, i prosciutti hanno bisogno di 18 mesi o anche più. In quest’ultima fase la temperatura e il grado di umidità vengono ulteriormente abbassati, cosicché il salume possa ottenere la consistenza che conosciamo bene e soprattutto possa sviluppare sapori decisi. Il budello che riveste la carne ha una funzione di protezione e aiuta a regolare l’umidità e quindi l’aria che entra nel salume. Perciò, se la stagionatura avviene in un ambiente contaminato da altri odori troppo forti, questi influenzeranno il sapore della carne; è essenziale quindi scegliere per questa fase un ambiente neutro e pulito. Cos'è il budello I salumi vengono confezionati in budelli naturali o artificiali per evitare che la carne sia a contatto diretto con le muffe che si creano nella fase della stagionatura. I budelli devono essere sempre umidi e per questo motivo sono maggiormente esposti alla contaminazione da microrganismi: infatti già dopo pochi giorni di stagionatura sui budelli si verifica la creazione di muffa. La muffa Inizialmente, ovvero nelle prime fasi della stagionatura, il salume apparirà ammuffito a macchie di leopardo, mentre al termine l’ammuffimento sarà completo e uniforme. Non vi spaventate: l’ammuffimento del salume è un aspetto estremamente positivo perché anche la muffa influisce sulla qualità del prodotto. Al termine della maturazione, il salume dovrà essere spazzolato in modo da finire sulle nostre tavole con un aspetto esteriore più gradevole.


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A FREDDO in quattro step L’affumicatura è probabilmente il metodo di conservazione degli alimenti più antico in assoluto; essendo nata appunto per tale scopo, l’affumicatura è diventata una tecnica conosciutissima e usatissima in molte parti del mondo. Oltre a scongiurare attacchi di batteri e muffe, affumicare significa anche dare un sapore peculiare e delizioso, unendo l’utile al... piacevole! Il fumo, ottenuto di solito dalla combustione di legna, ha un’azione essiccante sulla superficie del cibo e i composti fenolici sospesi nelle nuvole profumate prevengono l’irrancidimento dei grassi e la formazione di muffe, aumentando nel frattempo la possibilità di conservazione della pietanza e virando il colore verso tinte rosse e appetibili. In questo articolo, parliamo in particolare dell’affumicatura a freddo, con la quale abbiamo a che fare molto spesso, poiché ogni giorno gustiamo e consumiamo tantissimi salumi stagionati e affumicati: uno su tutti, lo speck. Ma non solo: pensiamo alla pancetta, al salmone, ai salami… sono tutti alimenti affumicati a freddo. Ma conoscete bene questa tecnica? Vi mai venuta voglia di provare a farla in casa? Siamo qui per darvi qualche dritta.

La prima condizione necessaria affinché questo processo avvenga in modo corretto è che sia l’alimento sia il legno utilizzato per produrre il fumo devono essere il più asciutti possibile. La seconda cosa fondamentale da ricordare quando si vuole affumicare a freddo è di non superare la temperatura target (15°C-30°C), mantenendo l'umidità all'interno della camera di affumicatura tra il 75 e l'85%. Come accennato, l'affumicatura a freddo è particolarmente consigliata per i salumi, che non solo con questa tecnica raggiungono l’appetitoso colore che tanto ci appaga gli occhi, ma anche quel leggero retrogusto di fumo che non deve prevalere, ma deve andare a completare il profilo gustativo. Il periodo di affumicatura necessario è di alcuni giorni, ma in alcuni casi può spingersi molto più a lungo. Il che ci porta a un’evidente deduzione: se vogliamo farla in casa, sarebbe bene farlo nei mesi freddi, collocando il nostro affumicatore in un ambiente fresco, arioso e asciutto. Seguendo l’antico adagio “se una cosa è buona, fa male e fa ingrassare”, l’affumicatura può portare diverse problematiche non trascurabili, specie quando è realizzata male o quando se ne abusa in termini di quantità. La pietanza può essere contaminata da idrocarburi aromatici policiclici, benzopireni e N-nitrosammine, che sono prodotte da alcuni comuni composti per la concia pre-affumicatura, quali nitrati e nitriti. Non c’è solo la remota possibilità di danni all’apparato digerente, c’è anche il rischio, sempre remoto ma molto più terra terra, di infezioni gastriche dovute a contaminazioni batteriche causate da affumicature non perfette: l’Escherichia Coli e la Listeria monocytogenes possono portare listeriosi, mal di testa e altri spiacevoli sintomi che ben potete

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Affumicatura a freddo Usata normalmente per prolungare la vita utile della pietanza ma anche per migliorarne il sapore, questa tecnica prevede che il cibo venga investito dal fumo a temperature comprese tra 15°C-30°C. Come potrete ben capire, a queste temperature non si avrà una cottura e il processo può durare da diverse ore fino ad alcuni giorni. Il cibo deve prima essere essiccato per favorire il formarsi di uno strato superficiale proteico detto pellicola, che consente al fumo di aderire meglio e di trasferire gli aromi alla pietanza, ma che soprattutto funge da barriera protettiva contro aggressioni batteriche durante l’affumicatura stessa. Non prevedendo

cottura, gli alimenti affumicati a freddo devono precedentemente essere doverosamente conciati e speziati

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AFFUMICARE

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intuire. Motivi in più per studiare a fondo ogni dettaglio riguardante l’affumicatura, per lasciar perdere ogni tentativo maldestro di conservazione “alla buona”, e per preferire informazioni serie e dettagliate a tutorial approssimativi trovati in giro per la rete. Passiamo dunque a descrivere l’affumicatura a freddo nel dettaglio: Primo step: far perdere acqua all’alimento Gli alimenti devono essere messi sotto sale in modo che perdano la loro acqua e si conservino a lungo. Tutto permette all´aroma di affumicato di penetrare fino al cuore del nostro prosciutto o della nostra pancetta, diminuendo al contempo la quantità di acqua e inibendo i batteri che li fanno marcire. Affumicando proteggerete poi gli alimenti dalla muffa. Potete dunque ,ettere il prodotto sotto sale, oppure utilizzare una miscela di sale e zucchero. L’obbiettivo non sarà il sapore, ma solo la disidratazione. Secondo step: dissalare Ovviamente, più lasciate i prodotti nel sale e più si seccano. Ma a questo punto, specie se si ha a che fare con pezzi grandi, serve anche dissalare. Immergete quindi il prodotto nell´acqua, cambiandola ogni tanto. Diluirete così il sale, ma senza reidratare troppo il prodotto. Terzo step: affumicare L´affumicatura vera e propria si ottiene a meno di 30°C. Tra i 20°C e 25°C sarebbe l´ideale. Ciò che conta e che dovete ricordare è che l’alimento non deve essere cotto!

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Affumicare a freddo ha il vantaggio di fluidificare i grassi, favorendo la migrazione dei sapori fino al cuore dell’alimento.

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Il cibo deve essere investito dal fumo, non dal calore o peggio, dalle fiamme. La cosa migliore sarebbe avere due camere separate: una fredda in cui inserire la carne e l’altra dove formare il fumo che poi deve

essere “pompato” verso l’alimento da affumicare. In giro per la rete si trovano anche pittoresche tecniche fai da te (un kettle collegato con una grossa pompa a un affumicatore verticale è sicuramente una delle trovate più curiose). Meglio però utilizzare degli accessori nati apposta per lo scopo: • smoking gun per affumicare i cibi che non necessitano di essere esposti al fumo per troppo tempo; • kit e adattatori per trasformare il proprio dispositivo in un affumicatore a freddo, che consentono di affumicare mantenendo il cassetto bruciatore all’esterno dell’affumicatore, facendo in modo che le braci non riscaldino gli alimenti. • affumicatoio a tubo: adatto per affumicare su ogni tipo di barbecue, elettrico, gas o carbone, basterà semplicemente riempirlo di pellet da


Diciamolo comunque molto chiaramente, l’affumicatura a freddo non garantisce al 100% la sicurezza totale. Le temperature sono tali da poter favorire lo sviluppo di agenti patogeni non proprio salutari. Per questo motivo abbiamo qualche consiglio da darvi: 1. Effettuare sempre la salagione iniziale, particolarmente importante quando si lavora con alimenti altamente deperibili. Non garantisce una sicurezza totale, ma riduce moltissimo i rischi. 2. Affumicare nei mesi più freddi, o comunque nelle ore notturne (evitando luglio e agosto con 40 gradi, insomma) per assicurarsi di tenere le temperature sempre abbastanza basse. C’è chi usa un metodo casalingo ma efficace, inserendo nella camera di affumicatura dei grossi blocchi

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di ghiaccio. Evitare di mettersi ad affumicare a freddo prodotti con carne macinata, che sono più pericolosi: le carni macinate comportano un rischio particolarmente elevato di infezione perché i batteri che vivono nell'intestino dell'animale vengono distribuiti uniformemente nella carne quando viene macinata. Se quella carne non viene cotta, i batteri possono facilmente prosperare.

Quarto step: raffreddare Dopo l'affumicatura a freddo, è importante refrigerare il cibo e lasciarlo riposare, in modo che sviluppi meglio il sapore finale, stemperando il sentore di fumo. Questo passaggio poi generalmente migliora anche la consistenza.

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affumicatura ed appoggiarlo sulla griglia di cottura. Una carica dura circa 4 ore. affumicatoio a serpentina: un ottimo accessorio per trasformare qualsiasi barbecue in una unità di affumicatura a freddo. Il design assicura che la polvere di affumicatura bruci senza fiamma a bassa temperatura anche per 10 ore.

Come fate a sapere quando i cibi affumicati a freddo sono pronti da mangiare? • L'alimento avrà una bellissimo colore dato dal di fumo di legna. • La superficie risulterà asciutta e “tirata”. • La consistenza interna risulterà abbastanza morbida e vellutata, non molliccia e cruda.

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IL SALVAGENTE

a cura di Dario Vista

CORNETTI INTEGRALI altro che light…

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Uno strappo alla regola che rende la colazione irresistibile. Lo sanno bene le industrie che cercano di moderare i sensi di colpa dei consumatori con versioni ricche di fibre e miele. Ma la leggerezza è tutt’altro che assicurata.

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uando si parla di colazione, non si può fare a meno di pensare al cornetto e cappuccino o al francese croissant. Spesso si è portati a pensare che il cornetto e il croissant siano la stessa cosa, invece non è così. Il primo è di forma triangolare, ha una consistenza più morbida e dolce rispetto al croissant ed è solitamente farcito con crema, cioccolato o marmellata. Il croissant, invece, ha una forma a mezzaluna, ha una consistenza più friabile e burrosa ed è spesso farcito con burro o consumato al naturale. La differenza di consistenza è data dal fatto che nell’impasto del cornetto viene usato più burro, più uovo e più zucchero. Questo oltre a renderlo più morbido e dolce aumenta anche il peso del singolo pezzo e riduce il volume di vuoto interno rispetto al croissant. Fatta questa premessa importante per evitare che coloro che si riferiscono ai due dolci come se fossero la stessa cosa inaspriscano la rivalità enogastronomica tra Italia e Francia, analizziamo nel dettaglio tecnico i due prodotti. In entrambi i casi la matrice è “pasta sfoglia”, un prodotto della pasticceria e della panetteria che richiede una lunga lavorazione perché, come dice il nome stesso, l’impasto viene ripiegato in numerosi fogli. La pasta sfoglia è ricca di grassi (burro nelle versioni tradizionali, oli vegetali in quelle industriali) che impermeabilizzano l’impasto nei diversi fogli grazie al tempo di riposo che va rispettato dopo ogni “giro” della pasta. Quando la pasta sfoglia viene cotta in forno, l’acqua evapora nei diversi fogli ma non esce dall’impasto per via dell’importante presenza di grassi. In questo modo fa gonfiare i fogli e li stacca l’uno dall’altro.

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In dietetica il cornetto e il croissant non sono prodotti amati dai nutrizionisti, per il loro elevato valore calorico e l’importante tenore in zuccheri semplici e grassi saturi. Per non parlare poi delle versioni

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“ripiene” di crema o marmellata che aumentano ancora di più la quantità di questi nutrienti indesiderati. Per cercare di mitigare la natura non dietetica dei cornetti, l’industria mette in commercio versioni più leggere e più integrali per far sentire meno in colpa il consumatore. Ma saranno davvero delle soluzioni alternative più dietetiche e salutari? Vediamo cosa contengono i cornetti integrali di alcune marche famose. I Misura Fibrextra al miele sono cornetti che vantano in etichetta l’uso di farina 100% integrale, una lievitazione naturale con lievito madre e la presenza del miele. Partiamo col dire che un cornetto di poco più di 50 g apporta quasi 200 kcal. La lista degli ingredienti è molto lunga e quello che salta subito all’occhio è la composizione complessa della farcitura al miele, costituita prevalentemente, non da miele, ma da sciroppo di glucosio-fruttosio. Il miele poi costituisce il 30% della farcitura e l’8,4% del totale del prodotto e sono poi presenti: destrina di frumento, pectina, sorbato di potassio e aromi. Non si faceva prima a usare semplicemente del miele? Anche la parte grassa ha bisogno di qualche aiuto; non solo burro e uova ma anche altri grassi e oli vegetali, tra cui anche il karitè e gli immancabili mono e digliceridi degli acidi grassi. La farina è effettivamente al 100% integrale, però nel processo di produzione ha bisogno di qualche aiutino proveniente dall’estratto di malto di orzo, dalla farina di frumento maltato e dal glutine di frumento. Tutte le stesse considerazioni valgono anche per la versione classica senza miele di Misura.

La variante dietetica del croissant viene prodotta a livello industriale dalla Bauli con il suo Buonessere Integrale. Come già detto, il dolce francese è più leggero di quello italiano e i dati in etichetta lo confermano, ma non è tutto questo gran risparmio calorico. Rispetto alle 420 e 414 kcal per 100 g di Misura e Mulino Bianco, il Bauli ne apporta 400. Per singolo pezzo di 40 g significa solo circa 20 kcal in meno. La composizione della ricetta è pressoché simile a quella dei cornetti, con la differenza che nel Bauli è presente l’olio di palma e lo sciroppo di glucosio-fruttosio.

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Nei Misura Fibrextra al miele, il prodotto delle api è solo il 30% della farcitura. Il resto è fatto di altri ingredienti

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Per il concorrente Mulino Bianco nei suoi cornetti integrali il discorso cambia poco. La quota grassa, oltre a burro e uovo è costituita da margarina vegetale e anche qui ricorrono in aiuto i mono e digliceridi degli acidi grassi. La farina è 100% integrale con l’aiuto di estratto d’orzo e glutine di frumento.

La grande fama che stanno riscuotendo negli ultimi anni i cosiddetti “cereali antichi”, come migliori dal punto di vista nutrizionale, la ritroviamo anche nel mondo dei cornetti. In quelli Misura ai frutti di bosco con cereali antichi, questi ultimi (Senatore Cappelli, grano saraceno, farro dicocco e quinoa bianca) rappresentano soltanto il 2,5% dell’interno prodotto e la farina di frumento usata non è più integrale ma raffinata con l’aggiunta di cruschello. Gli zuccheri complessivi salgono a 2 volte e mezzo rispetto alla versione integrale classica, per via anche dei frutti di bosco. In confezione però sparisce la scritta “integrale” che però in altri prodotti rimane. E la domanda sorge spontanea: perché?


BASTA UN PO’ DI CRUSCA e il gioco è fatto

Diversi i prodotti che partono da farina raffinata e con una semplice aggiunta possono vantare in etichetta il termine “integrale” che giustamente attira l’attenzione. Colpa di una circolare ministeriale tutt’altro che rigorosa Abbiamo visto che i cornetti integrali delle marche analizzate riportano in etichetta la dicitura 100% integrale ed effettivamente nella lista ingredienti compare soltanto la farina integrale e non quella raffinata. Se prendiamo invece, ad esempio, i croissant integrali Despar con zucchero di canna, in etichetta non troviamo la farina integrale ma semplicemente “farina di frumento” e poi più avanti la “crusca di frumento”. Un illecito? Assolutamente no. Purtroppo è tutto legale.

Che cos’è la farina integrale? È il prodotto che si ottiene dalla macinazione dell’intero chicco di frumento. Successivamente alla macinazione si può operare il cosiddetto abburattamento che separa dal chicco macinato la crusca e il cruschello. Si ottiene così invece la farina raffinata. Quando acquistiamo un prodotto integrale può capitare di non trovare nella lista ingredienti la farina integrale, ma quella raffinata con l’aggiunta di crusca o cruschello. Tutto questo è assolutamente legale ai sensi della circolare 168 del 2003 del ministero delle Attività produttive.

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Secondo la circolare l’uso del qualificativo “integrale” nella denominazione di vendita (esempio: biscotti integrali) risulta coerente sia nel caso di utilizzo di farina di frumento integrale, sia nel caso in cui si ottenga tale prodotto aggiungendo crusca o cruschello alla farina di grano tenero. Sempre secondo la circolare il termine “integrale” implica la presenza di crusca o cruschello in quantità tale da assicurare un significativo apporto nutrizionale di fibre nel prodotto finito. Un prodotto a base di farina raffinata con aggiunta di crusca non è nocivo, ma purtroppo a differenza di uno fatto di farina integrale ha un indice glicemico più alto e quindi salutisticamente è peggiore.

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Inoltre con la raffinazione, nonostante l’aggiunta

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della crusca, viene meno il germe di grano, un elemento che costituisce circa il 3-4% della cariosside e contiene tantissime sostanze preziose, tra cui amminoacidi, grassi insaturi, vitamine del gruppo B, tocoferoli e sali minerali. Stiamo parlando della parte del grano con proprietà antiossidanti e utile in numerosi processi fisiologici tra cui anche il mantenimento delle giuste proporzioni delle frazioni di colesterolo nel sangue. Per essere sicuri di assumere un prodotto integrale dobbiamo trovare la scritta “100% integrale” e verificare che gli ingredienti riportati in etichetta ne confermino la totale presenza. Nel caso dei cornetti Misura e Mulino Bianco la scritta 100% è presente e la lista ingredienti è una conferma


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n o abaffucmicato La ricetta scientifica a cura di Gianfranco Lo Cascio

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In quanti modi ti amo? Fammeli contare. Ti amo fino alla profondità, alla larghezza e all’altezza Che la mia anima può raggiungere, quando partecipa invisibile Agli scopi dell’Esistenza e della Grazia ideale. Ti amo al pari della più modesta necessità Di ogni giorno, al sole e al lume di candela. Ti amo generosamente, come chi si batte per la Giustizia; Ti amo con purezza, come chi si volge dalla Preghiera. Ti amo con la passione che gettavo Nei miei trascorsi dolori, e con la fiducia della mia infanzia. Ti amo di un amore che credevo perduto Insieme ai miei perduti santi, – ti amo col respiro, I sorrisi, le lacrime, di tutta la mia vita! – e, se Dio vorrà, Ti amerò ancora di più dopo la morte.

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Ok, dai, lo sappiamo bene che Elizabeth Barrett Browning ha scritto questa poesia per suo marito, Robert e non per un pezzo di maiale stagionato. Ma davvero, qualcuno può dimostrare che non fosse proprio il bacon l'oggetto del suo affetto? Esatto, non si può dimostrare. Qualunque sia il catalizzatore delle emozioni della B.B. una cosa resta indiscutibile: il bacon è sublime. E con sublime intendo la definizione letterale della parola: "Di tale eccellenza, grandezza o bellezza da ispirare grande ammirazione o timore". Quando si tratta di bacon, non c'è niente di meglio di quello fatto in casa. Hai il pieno controllo su ogni elemento: la qualità del maiale, le spezie usate, il metodo di stagionatura, il tipo di legno o fumo, lo spessore delle fette. Non c'è alcun mistero nella preparazione del bacon. È semplice, facile da preparare e si mette insieme col minimo sforzo. Lo Zio, qui e oggi, ti svelerà ogni minimo dettaglio sulla questione: il tuo bacon sarà strepitoso oltre ogni logica.

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Iniziamo subito.

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01. SCEGLIERE IL TAGLIO

Il primo passo nella preparazione del bacon affumicato è la scelta del taglio di carne. Il taglio più comune utilizzato è ovviamente la pancetta di maiale, che si trova nella parte inferiore dell'animale. Questo taglio è particolarmente adatto per il bacon, grazie alla sua combinazione di carne magra e grasso, che conferisce al prodotto finale la sua consistenza e sapore caratteristici. Ma possiamo fare di meglio e ti dirò come tra un istante.

02. SALAGIONE E CONCIA

Una volta scelto il taglio di carne, è necessario procedere alla salagione e alla concia. La salagione è un processo di conservazione che consiste nell'applicare una miscela di sale, spezie e zucchero sulla carne. Questo passaggio ha lo scopo di debellare i batteri patogeni presenti nella carne, rendendola più sicura per il consumo. La concia è un processo che prevede l'aggiunta di nitriti e nitrati, che contribuiscono alla colorazione rosa tipica del bacon e prevengono la crescita di batteri pericolosi come il Clostridium botulinum. I nitriti (NaNO2) e i nitrati (KNO3) si trasformano in ossido nitrico (NO) durante la cottura, il che conferisce al bacon la sua caratteristica colorazione rosa e il sapore leggermente affumicato. È importante utilizzare la giusta concentrazione di nitriti e nitrati (circa 150 ppm per i nitriti e 100 ppm per i nitrati) per garantire la sicurezza e la qualità del prodotto finale.

03. MATURAZIONE

Dopo la salagione e la concia, la carne deve essere lasciata maturare per permettere ai sali di penetrare in profondità e di sviluppare i sapori caratteristici del bacon. La maturazione avviene solitamente a una temperatura compresa tra 2 e 4 gradi Celsius per un periodo che varia da 5 a 10 giorni, a seconda dello spessore del taglio di carne. Durante questo periodo, è importante rivoltare la carne ogni giorno per garantire una distribuzione uniforme dei sali e degli agenti conservanti.

04. AFFUMICATURA

L'ultima fase nella preparazione del bacon affumicato è l'affumicatura, che aggiunge ulteriore sapore e aiuta a conservare la carne. L'affumicatura può essere eseguita a freddo (temperatura inferiore a 30 gradi Celsius) o a caldo (temperatura compresa tra 52 e 80 gradi Celsius). L'affumicatura a freddo preserva meglio la consistenza della carne, ma richiede più tempo, solitamente tra 12 e 24 ore. L'affumicatura a caldo è più rapida, impiega dalle 2 alle 6 ore, e conferisce alla carne una consistenza più soda. La scelta della legna per l'affumicatura è fondamentale per il sapore finale del bacon. I legni più comunemente utilizzati sono il legno di faggio, di ciliegio, di quercia o di acero, ognuno dei quali conferisce un sapore diverso al prodotto finale. È importante utilizzare legna priva di resina, in quanto può produrre fumi tossici durante la combustione.

05. RIFINITURA E CONSERVAZIONE

Dopo l'affumicatura, il bacon deve essere raffreddato a temperatura ambiente e successivamente riposto in frigorifero per almeno 24 ore. Questo permette ai sapori di stabilizzarsi, restituendo un prodotto più gustoso. Una volta raffreddato, il bacon può essere affettato e conservato in frigorifero o congelatore, a seconda delle preferenze.

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Fare il bacon affumicato in casa può rivelarsi un processo davvero gratificante. Seguendo i passaggi descritti in questo articolo e prestando attenzione ai dettagli scientifici e gastronomici coinvolti, è possibile ottenere un bacon affumicato di alta qualità, sicuro e soprattutto buono. La scelta del taglio di carne, l'uso corretto dei sali di concia, la maturazione e l'affumicatura sono tutti elementi cruciali per ottenere il miglior risultato possibile, permettendo di gustare un bacon casalingo ma dal sapore inimitabile.

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SCEGLIERE IL TAGLIO DI CARNE: ANATOMIA E PREPARAZIONE Il taglio di carne ideale per la preparazione del bacon affumicato è la pancetta di maiale, nota anche come "pork belly" in inglese. La pancetta è costituita da un insieme di muscoli e tessuto adiposo che si trovano nella parte inferiore del maiale, compresi tra la colonna vertebrale e il lato ventrale dell'animale. Anatomicamente, la pancetta di maiale include principalmente i muscoli del gruppo M. obliquus externus abdominis, M. obliquus internus abdominis e M. transversus abdominis. Lavorare il taglio di carne in modo adeguato è una condizione necessaria per ottenere un bacon di qualità superiore. In particolare, si consiglia di lasciare attaccata la punta di petto (il nostro "brisket"), che è la parte anteriore della pancetta. La punta di petto è costituita principalmente dal muscolo M. pectoralis profundus e presenta un buon rapporto tra tessuto muscolare e adiposo, conferendo al bacon un sapore e una consistenza equilibrati. Per garantire uno spessore più consistente e un miglior rapporto tra grasso e magro, è inoltre consigliabile rimuovere le ossa del torace (costole) dal taglio di carne. Questa operazione può essere eseguita dal macellaio oppure in via autonoma, utilizzando un coltello affilato e prestando attenzione a seguire la linea delle costole per evitare di danneggiare il tessuto muscolare sottostante.

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La rimozione delle ossa del torace e la presenza della punta di petto permettono di ottenere un taglio di carne più uniforme e adatto alla preparazione del bacon affumicato. Queste accortezze anatomiche e di lavorazione contribuiscono a garantire un prodotto finale di alta qualità, con un sapore e una consistenza inconfondibili.

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SALAGIONE, CONCIA E PROCESSI BIOCHIMICI Durante il processo di maturazione e fermentazione del bacon, avvengono diversi cambiamenti biochimici alle proteine della carne. Uno dei principali fenomeni è la denaturazione, un processo in cui le strutture tridimensionali delle proteine si modificano a causa dell'interazione con il sale e altri composti presenti nella miscela di salagione. La denaturazione proteica facilita l'azione degli enzimi proteolitici, che idrolizzano i legami peptidici tra gli amminoacidi, portando alla formazione di peptidi più corti e amminoacidi liberi. Questi composti contribuiscono allo sviluppo del sapore e dell'aroma del bacon durante la maturazione. Inoltre, la denaturazione delle proteine e l'azione enzimatica favoriscono la formazione di una struttura più compatta del prodotto finale.

Per quanto riguarda la differenza tra l'uso del nitrito e del nitrato, il nitrito (NaNO2) è un agente conservante più diretto ed efficace rispetto al nitrato (KNO3). Il nitrito agisce rapidamente nel processo di conservazione e nella formazione del colore rosato. Tuttavia, il nitrato deve prima essere convertito in nitrito dai batteri presenti nella carne o dall'azione enzimatica prima di poter svolgere la stessa funzione conservante. L'uso combinato di nitriti e nitrati consente di ottenere un effetto conservante più duraturo e un migliore sviluppo del sapore durante la maturazione del bacon.

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È importante non superare le dosi raccomandate di conservanti (nitriti e nitrati) per diverse ragioni. Innanzitutto, una quota spropositata di conservanti può causare una denaturazione eccessiva delle proteine e un'alterazione del sapore del bacon. Inoltre, un eccesso di nitriti e nitrati può portare alla formazione di composti potenzialmente nocivi, come le nitrosammine, che sono state associate a un aumento del rischio di alcuni tipi di cancro.

L'acido ascorbico (vitamina C) svolge un ruolo importante nella degradazione dei nitriti e dei nitrati. Agisce come un agente riducente, convertendo i nitriti in ossido nitrico (NO), che a sua volta reagisce con i pigmenti della carne (mioglobina) per formare la nitrosomioglobina, responsabile del caratteristico colore rosa del bacon. Inoltre, l'acido ascorbico inibisce la formazione di nitrosammine, aumentando la sicurezza del prodotto.

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FERMENTAZIONE E MATURAZIONE: PROCESSI FISICO-CHIMICI E CONDIZIONI AMBIENTALI Durante la fermentazione e la maturazione della carne per la produzione del bacon, avvengono diversi processi fisico-chimici che contribuiscono allo sviluppo del sapore, della consistenza e della sicurezza del prodotto finale. Questi processi sono strettamente correlati alle condizioni ambientali, come l'igiene e la temperatura. Queste condizioni devono essere pedissequamente monitorate e controllate.

A. PROCESSI DI FERMENTAZIONE

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La fermentazione è un processo microbico in cui i batteri presenti nella carne degradano i carboidrati (principalmente zuccheri) in acidi organici, come l'acido lattico. Questo abbassamento del pH della carne inibisce la crescita di batteri patogeni e contribuisce allo sviluppo dell’aroma del bacon. I principali batteri coinvolti nella fermentazione sono i lattobacilli e i pediococchi, che sono naturalmente presenti sulla superficie della carne o possono essere aggiunti come starter.

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Per garantire una fermentazione controllata e sicura dal punto di vista igienico, è fondamentale lavorare in un ambiente pulito e utilizzare attrezzature e utensili adeguatamente sterilizzati. Inoltre, è importante monitorare il pH della carne durante la fermentazione per assicurarsi che raggiunga un valore di circa 5,0-5,3, che indica una fermentazione

corretta e una buona inibizione dei batteri patogeni.

B. PROCESSI DI MATURAZIONE

La maturazione della carne per il bacon comprende una serie di processi fisico-chimici che avvengono a livello molecolare:

01. Denaturazione proteica Come discusso in precedenza, la denaturazione delle proteine è un processo chiave nella maturazione della carne. Il sale e altri composti presenti nella salamoia interagiscono con le proteine, causando la modifica delle loro strutture tridimensionali e facilitando l'azione degli enzimi proteolitici. 02. Azione enzimatica Gli enzimi proteolitici presenti nella carne (come la calpaina e la catepsina) idrolizzano i legami peptidici, producendo peptidi più corti e amminoacidi liberi.


Questi composti contribuiscono al sapore e all'aroma del bacon. Altri enzimi, come le lipasi, degradano i lipidi in acidi grassi liberi e glicerolo, che a loro volta partecipano alla formazione del sapore del prodotto. 03. Diffusione dei sali e conservanti Durante la maturazione, il sale, i nitriti e i nitrati si diffondono all'interno della carne, garantendo una conservazione uniforme e un corretto sviluppo del sapore e del colore. È importante rigirare la carne regolarmente per favorire una diffusione omogenea dei composti. Per una corretta maturazione e fermentazione, è fondamentale mantenere la carne a una temperatura compresa tra 2°C e 4°C. Durante la maturazione, gli zuccheri presenti nella salamoia vengono fermentati dai batteri lattici presenti naturalmente nella carne, producendo acido lattico. Questo processo abbassa il pH del bacon, rendendolo più acido e inibendo la crescita di batteri patogeni. Inoltre, l'abbassamento del pH può anche migliorare la consistenza della carne, rendendola più tenera. L'umidità relativa nell'ambiente di maturazione è un altro fattore importante. Un'umidità troppo alta può favorire la crescita di muffe, mentre un'umidità troppo bassa può causare l'essiccamento eccessivo del bacon. L'ideale è mantenere un'umidità relativa compresa tra il 70% e l'80% durante la maturazione. In generale, è importante monitorare costantemente le condizioni ambientali durante la fermentazione e la maturazione per garantire un bacon di alta qualità e sicuro da consumare. Il range di temperatura target inibisce la crescita di batteri patogeni, come Listeria monocytogenes e Salmonella spp., garantendo al contempo la proliferazione di batteri benefici, come quelli lattici, che contribuiscono alla fermentazione e alla conservazione del bacon. Mantenere un ambiente pulito e sterile durante la maturazione è altrettanto cruciale per evitare la contaminazione da microrganismi indesiderati. La Listeria monocytogenes è un batterio patogeno che può causare la listeriosi, una grave patologia che può portare a gravi complicazioni, soprattutto in individui con un sistema immunitario indebolito, come neonati, anziani e donne in gravidanza. Quello della salmonella spp. è un altro gruppo di batteri patogeni che provoca la salmonellosi, una malattia infettiva con sintomi gastrointestinali, febbre e crampi addominali.

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Rispettando le condizioni di temperatura e igiene durante la fermentazione e la maturazione, è possibile ridurre al minimo il rischio di crescita di batteri patogeni e garantire un prodotto finale sicuro e di alta qualità.

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FISICA E CHIMICA DELL’AFFUMICATURA L'affumicatura è un processo complesso che coinvolge diverse reazioni fisiche e chimiche che influenzano le proteine, i grassi e altri composti presenti nella carne. Vediamo in dettaglio questi fenomeni e come impattano sulla materia prima.

A. REAZIONI DI AFFUMICATURA E IMPATTO SULLE PROTEINE

Durante l'affumicatura, il calore e i composti del fumo interagiscono con le proteine della carne, portando alla formazione di sostanze aromatiche e alla modificazione delle proprietà fisiche delle proteine stesse. Queste interazioni possono provocare la denaturazione parziale delle proteine, la formazione di legami covalenti tra i gruppi funzionali delle proteine e i composti del fumo, e l'assorbimento di composti aromatici da parte delle proteine stesse.

B. PROPAGAZIONE DELLE SOSTANZE AROMATICHE DEL FUMO NELLA CARNE

Le sostanze aromatiche del fumo si propagano nella carne principalmente attraverso un processo di diffusione. La diffusione avviene quando le particelle si muovono da una regione di alta concentrazione a una di bassa concentrazione, fino a raggiungere un equilibrio. Nel caso dell'affumicatura, i composti aromatici del fumo penetrano nella carne, diffondendosi attraverso i tessuti e legandosi alle proteine e ai lipidi. La velocità di diffusione dipende dalla temperatura, dall'umidità e dalla struttura della carne e del fumo.

C. RUOLO DELL'UMIDITÀ E DELL'OSSIGENO NELLA CAMERA DI AFFUMICATURA

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L'umidità e la quantità di ossigeno presenti nella camera di affumicatura influenzano sia la velocità di diffusione dei composti aromatici del fumo nella carne, sia la formazione del cosiddetto "smoke ring" (l’aureola magenta che si forma attorno alla carne). Un'umidità elevata favorisce la diffusione dei composti del fumo nella carne e la formazione di uno smoke ring più pronunciato, mentre una bassa concentrazione di ossigeno riduce la combustione del legno e la produzione di composti aromatici.

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Lo smoke ring è una caratteristica distintiva dei prodotti affumicati, che si presenta come un anello di colore rosa appena sotto la superficie della carne. Questo fenomeno è causato dalla reazione tra l'ossido nitrico (NO) e il monossido di carbonio (CO) prodotti durante la combustione del legno e la mioglobina delle proteine della carne. La mioglobina reagisce con l'ossido nitrico e il monossido di carbonio formando composti stabili che danno il caratteristico colore rosato all'anello di affumicatura.


D. PERICOLI LEGATI ALL'AFFUMICATURA E GESTIONE CORRETTA

Uno dei principali pericoli legati all'affumicatura è la formazione di composti potenzialmente nocivi, come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e le nitrosammine. Gli IPA si formano durante la combustione incompleta del legno e possono essere cancerogeni se ingeriti in grandi quantità. Per ridurre la formazione di IPA durante l'affumicatura, è importante eseguire alcune buone pratiche: 01. Utilizzare legna di qualità: assicurarsi di adoperare legna ben stagionata e priva di muffe o trattamenti chimici. Evitare l'uso di legno resinoso, come il pino, che può produrre maggiori quantità di IPA durante la combustione. 02. Mantenere una combustione pulita: regolare l'ossigeno nella camera di affumicatura per garantire una combustione efficace del legno. Una fiamma blu e stabile indica una buona combustione, mentre una fiamma gialla e irregolare suggerisce una combustione incompleta e una maggiore produzione di IPA. 03. Controllare la temperatura: mantenere una temperatura costante e moderata durante l'affumicatura (solitamente tra i 90°C e i 110°C) per evitare la formazione eccessiva di IPA. 04. Evitare il contatto diretto tra carne e fiamma: posizionare la carne su una griglia o una teglia che impedisca il contatto diretto con la fiamma, per ridurre l'esposizione agli IPA. Per minimizzare la formazione di nitrosammine, è importante non eccedere nelle dosi di nitriti e nitrati utilizzate nella salamoia e aggiungere acido ascorbico (vitamina C) o eritorbato di sodio per inibire la formazione di queste sostanze cancerogene.

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In conclusione, l'affumicatura è un processo che coinvolge una serie di reazioni chimiche e fisiche complesse, che influenzano le proteine, i grassi e altri composti presenti nella carne. Seguendo i protocolli di igiene, controllando l'umidità e l'ossigeno nella camera di affumicatura e gestendo correttamente i rischi legati alla formazione di composti potenzialmente nocivi, è possibile ottenere un bacon affumicato di alta qualità, dal sapore e dall'aroma impeccabili.

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MATURAZIONE, CONSISTENZA, AROMATIZZAZIONE E CONSERVAZIONE DEL BACON La maturazione del bacon può influenzare significativamente la sua consistenza, aroma e sapore. In questa sezione, analizzeremo le diverse consistenze e risultati ottenuti dalla maturazione all'aria o sottovuoto, e approfondiremo le tecniche di aromatizzazione e conservazione del bacon.

dazione delle proteine e dei lipidi durante la maturazione contribuiscono anche alla formazione di nuovi composti aromatici, che si combinano con il sapore affumicato per creare un aroma strutturato e bilanciato.

A. CONSISTENZA MATURAZIONE

Le migliori tecniche di conservazione del bacon dipendono dal tipo di maturazione e dalle caratteristiche del prodotto finale. Il bacon maturato all'aria può essere conservato a temperatura ambiente in un luogo fresco e asciutto, al riparo dalla luce diretta e dall'umidità. È importante assicurarsi che il bacon sia ben ventilato per evitare la formazione di muffe.

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Una maturazione più lunga può portare a diverse consistenze nel bacon. Durante la maturazione all'aria, l'umidità presente nella carne evapora lentamente, causando una perdita di peso e un cambiamento di consistenza del prodotto. Il bacon maturato all'aria per periodi più lunghi diventa più secco e duro, con una texture simile a quella del prosciutto crudo. Al contrario, la maturazione sottovuoto preserva l'umidità nella carne, mantenendo un corpo più morbido e umido.

B. MATURAZIONE ALL'ARIA VS SOTTOVUOTO

La maturazione all'aria e la maturazione sottovuoto possono produrre risultati diversi in termini di aroma e sapore. La maturazione all'aria favorisce l'azione degli enzimi presenti nella carne e la formazione di composti aromatici, che si sviluppano lentamente nel tempo. Inoltre, la maturazione all'aria può contribuire a intensificare il sapore affumicato del bacon. Al contrario, la maturazione sottovuoto riduce l'esposizione all'ossigeno e rallenta l'azione enzimatica, sviluppando un sapore meno complesso e più delicato.

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C. AROMATIZZAZIONE E TEMPO

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Il tempo di maturazione influisce sull'aroma del bacon affumicato. Con il passare del tempo, l'aroma di affumicato diventa più morbido e piacevole, poiché i composti aromatici del fumo si legano alle proteine e ai lipidi e si diffondono uniformemente nella carne. L'azione enzimatica e la degra-

D. CONSERVAZIONE DEL BACON

Il bacon maturato sottovuoto deve essere conservato in frigorifero, a una temperatura compresa tra 0°C e 4°C, per preservarne la freschezza e prevenire la comparsa di batteri patogeni. Prima di utilizzare il bacon, è consigliabile rimuovere la confezione sottovuoto e lasciarlo riposare per qualche ora a temperatura ambiente per permettere alla carne di "respirare" e sviluppare il suo aroma. In entrambi i casi, è fondamentale seguire buone pratiche igieniche e manipolare il bacon con le mani pulite o utensili sterili per ridurre il rischio di contaminazione. Una volta aperto, il bacon deve essere conservato in un contenitore ermetico o avvolto con pellicola trasparente per proteggerlo dall'ossidazione e dalla contaminazione da altri alimenti presenti nel frigorifero. Per una conservazione a lungo termine, il bacon può essere congelato. Prima di congelare il bacon, è consigliabile dividerlo in porzioni più piccole e avvolgerlo in pellicola alimentare o alluminio, per preservarne la qualità. Il bacon congelato deve essere scongelato lentamente in frigorifero per preservare consistenza e il sapore ottimali.


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BACON FATTO IN CASA Ricetta e procedura dettagliata

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Ingredienti: • 3 kg di pancetta di maiale (con la punta di petto e senza le ossa del torace) • 200 g di sale grosso • 50 g di zucchero di canna • 2,5 g di nitrito di sodio (sale rosa che contiene il 6,35% di nitrito, cioè 150ppm, parti per milione) • 0,25 g di nitrato di potassio (salnitro, opzionale) • 2 g di acido ascorbico (vitamina C) in polvere • 5 g di pepe nero macinato • 5 g di aglio in polvere • 5 g di paprika dolce • 1 g di glutammato monosodico (MSG) o altro esaltatore di sapidità naturale (opzionale) • 3 foglie di alloro sbriciolate • 5 g di rosmarino essiccato

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01. Preparazione della pancetta

Seleziona una pancetta di maiale di alta qualità con uno spessore consistente e un buon rapporto tra grasso e magro. Assicurati che sia priva delle ossa del torace e altri eventuali residui e che la punta di petto sia ancora attaccata.

02. Preparazione della salamoia

In una ciotola grande, mescola il sale grosso, lo zucchero di canna, il nitrito di sodio, il nitrato di potassio, l'acido ascorbico, il pepe nero macinato, l'aglio in polvere, la paprika dolce, il glutammato monosodico (se utilizzato), le foglie di alloro sbriciolate e il rosmarino essiccato. Assicurati che tutti gli ingredienti siano ben miscelati.

03. Massaggio e applicazione della salamoia

Stendi la pancetta su un piano di lavoro pulito e asciutto. Massaggia la salamoia sulla pancetta, prestando particolare attenzione a coprire completamente tutta la superficie. Lavora la salamoia nella carne per assicurarti che venga assorbita in modo uniforme.

04. Curing

Avvolgi la pancetta con pellicola trasparente o inseriscila in un sacchetto di plastica alimentare. Metti la pancetta in frigorifero a una temperatura compresa tra 0°C e 4°C per almeno 7 giorni. Durante questo periodo, rigira la pancetta ogni giorno per garantire una distribuzione uniforme della salamoia.

05. Lavaggio e asciugatura

Dopo il periodo di curing, rimuovi la pancetta dalla pellicola trasparente o dal sacchetto di plastica e sciacquala sotto acqua fredda corrente per rimuovere l'eccesso di salamoia. Tampona la pancetta con carta da cucina per asciugarla completamente. Lascia la pancetta all'aria aperta su una griglia per almeno 1-2 ore per consentire la formazione di una “crosta” esterna.

06. Affumicatura

07. Raffreddamento e maturazione

U n a vo l t a t e r m i n a t a l ' a f f u m i c a tura, lascia raffreddare la pancetta a temperatura ambiente per circa 30 minuti. Successivamente, avvolgi la pancetta in carta da cucina o in un panno di cotone pulito e mettila in frigorifero per maturare. La maturazione può durare da una settimana fino a diverse settimane, a seconda delle preferenze personali e della consistenza desiderata. Durante la maturazione, controlla regolarmente la pancetta per assicurarti che non si formino muffe o che presenti altri segni di deterioramento.

08. Taglio e conservazione

Dopo la maturazione, la pancetta affumicata è pronta per essere affettata e consumata. Utilizza un coltello affilato o un'affettatrice per tagliare la pancetta in fette sottili o spesse, a seconda delle preferenze. Il bacon affumicato può essere conservato in frigorifero avvolto in carta da cucina o in un contenitore ermetico per un massimo di 2-3 settimane. Per una conservazione a lungo termine, il bacon può essere congelato in porzioni più piccole avvolte in pellicola trasparente o alluminio. Seguendo in modo maniacale questa procedura dettagliata, sarete in grado di preparare un delizioso bacon affumicato in casa. Il vostro bacon avrà un'aromatizzazione personalizzata e un perfetto equilibrio di sapori. Prestate particolare attenzione alle dosi di sale e nitriti/nitrati per garantire un prodotto sicuro e saporito. Non abbiate paura di sperimentare con diverse spezie e ingredienti naturalmente ricchi di esaltatori di sapidità, per creare un bacon unico e fatto appositamente per voi.

Gianfranco Lo Cascio

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Preriscalda il fumatore a una temperatura di 90°C-110°C. Utilizza legna di qualità, come quercia, acero o faggio, per produrre il fumo. Posiziona la pancetta su una griglia

dell’affumicatore, assicurandoti che non sia a contatto diretto con la fiamma. Affumica la pancetta per circa 3-4 ore, o fino a quando raggiunge una temperatura interna di 65°C. Controlla regolarmente la temperatura e la combustione del legno per garantire una affumicatura uniforme e una formazione minima di IPA.

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Social Media Masochist Seguo.

a cura di Emiliano Nencioni

Come stai? Vuoi sentirti peggio? È possibile con un solo clic! Non vuoi sentirti peggio tutto da solo? Possiamo farlo insieme. In pochi millisecondi, possiamo bruciare di invidia, rabbia, rimpianto, risentimento, rivalità e/o odio per noi stessi. Tutti questi sbalzi d'umore e molto altro ancora possono essere nostri, senza sforzo, sui social media. Ma eccoci qui, e per i nuovi abbonati sarà il caso che butti giù due righe introduttive.

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Apparentemente un luogo dove gli amici si incontrano, l’asilo virtuale dei social invece è dove ci sghignazziamo l'uno in faccia all'altro. Io ho i soldi, voi siete poveri; io ho l’auto sportiva, tu vai a GPL; io ho i muscoli, tu i rotoli; i miei capelli sono più belli dei tuoi . Ho, sono o faccio qualcosa di grande quindi urrà per me. Osserva la mia abilità, potere, fortuna. Commentali. Per commento intendo complimento. Devi scrivermi qualcosa di glorificante, o ti tolgo di mezzo. Ci vantiamo apertamente, spesso inconsapevolmente, non in modo selvaggio o subdolo ma blandamente perché i social media hanno sostituito l'interazione umana di base, educata e interessata, con la semplice trasmissione: “ascoltami, orda di gente adorante”.

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Leggere post senza sosta fa sentire molti di noi come mostri antisociali senza amore, persi nell’oblio di un continuo scrolling insensato. Gli studi collegano l'uso dei social media con un aumento della depressione e dell'ansia. E per studi intendo “fidatevi che è così”. I nostri complessi cervelli umani sono capaci di produrre una specie di surrogato di felicità per gli adempimenti altrui. Altre specie non sembrano né sentire né fingere tutto questo: i pavoni non si lodano mai a vicenda: “che bella ruota, oggi particolarmente iridescente, hai assunto molta vitamina D vero?”. Gli animali vedono i loro simili principalmente come rivali per la sopravvivenza. Onesti. Questo istinto di confrontarci con gli altri persiste costantemente in noi. La pubblicità si basa su di esso. “Questa persona adorabile e felice che condivide con te la tua età, sesso, classe socioeconomica e altre categorie demografiche acquista i nostri prodotti e li recensisce con cinque stelline!”

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Tuttavia gli umani possono permettersi l’empatia. Non dovendo basare ogni nostro pensiero e agire sulla vita o sulla morte, proviamo una gioia autentica se il nostro amico squattrinato imbrocca l’affare della vita, o se la vicina di casa invincibilmente zitella trova una passione ardente per il dirimpettaio. I post scrollati senza sosta provocano però un sovraccarico di empatia. Diventa invidia, diventa rosicamento bello e buono, a volte un po’ violento.

Come se ciò non facesse abbastanza male, l'invidia generata dallo scrolling incontrastato dei post si trasforma in due tipi di disprezzo di sé: odiamo noi stessi per essere peggio di quasi tutti quelli che conosciamo, e successivamente odiamo noi stessi per esserci crogiolati nell'autocommiserazione quando gli amici vogliono semplicemente condividere buone notizie. Come se neanche questo facesse abbastanza male, c’è la fregatura di voler postare il nostro piccolo post di vanteria spicciola, proprio come tutti gli altri, e avere la conferma in tempo reale che non frega niente a nessuno. Zero interazioni, mezza reaction, il cugino di mamma che posta “Buonasera a te e a tutta la famiglia. Eugenio Paglianti”. Eugenio, miseriaccia, dopo tutti questi anni siamo ancora lì a scrivere saluti alla famiglia nei commenti, firmandoti con nome e cognome? In ultima posizione, arriva pure la vergogna dovuta alla consapevolezza di aver perso un sacco di tempo a scrollare post inutili e a leggere guru e gurettini grafomani. Ma avete presente quando leggete un post fatto da qualcuno “in vista”, o comunque discretamente letto e seguito, e man mano che proseguite nella lettura pensate “oddio, l’ha scritto veramente? Di nuovo? Vuole perdere altri clienti/follower/ elettori/amici? Ma perchè non ha postato un bel gattino e morta lì? A che serviva questa presa di posizione inutile, non interessante, inconcludente, e irrimediabilmente dannosa?” Autolesionismo. Masochismo. Voglia di vedere qualche reazione negli astanti. “Avevo voglia di distruggere qualcosa di bello” (questa è da Fight Club). Quando ho letto il libro dell'antropologa Natasha Dow Schüll sul gioco d'azzardo, Addiction by Design, mi è venuto in mente come il gioco d'azzardo automatico funzioni come i social media: continue, molteplici mini-crisi esistenziali. Entrambi sembrano anche pratiche masochistiche che si adottano per sfuggire o scaricare il peso di sé. Fai queste cose per dimenticare chi sei e come sei responsabile di come sei visto. Questo forse ha un senso più ovvio per le macchine da gioco, che restringono l'esperienza soggettiva alla ricerca di ricompense immediate e arbitrarie, ma forse sembra una cosa paradossale da affer-


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mare sui social media, dato che apparentemente servono a costruire, far circolare e immagazzinare il sé (o almeno i segni di identità accuratamente curati). Potrebbe sembrare strano dire che ci esprimiamo per sfuggire a noi stessi. Ma l'espressione di sé può dissolvere il sé così come costruire una versione duratura e leggibile di un sé.

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Un articolo del 1988 dello psicologo Roy Baumeister, "Masochism as Escape From Self", può aiutare ad affrontare l'apparente paradosso. Sostiene che il masochismo è essenzialmente l'ombra dell'individualismo. Le pressioni di avere un sé unico (la "consapevo-

lezza di sé di alto livello" e il processo decisionale ad alta pressione coinvolti) possono diventare avverse e portare a un'intensificazione del desiderio di fuggire dal sé. Aggiunge poi che "può esserci anche un'escalation ciclica, in cui più una persona accumula responsabilità e stima, più è difficile ed estenuante sostenerla". Osserva inoltre che "alti livelli di stima e autorevolezza producono i sé più complessi ed elaborati, che possono anche essere i sé più gravosi. Di conseguenza, tali individui possono cercare le modalità di fuga più forti, come il masochismo". Gran parte dei social media è uno sforzo calcolato


ra che valga la pena studiarci sopra, è la possibilità che la fuga dal sé che i social media richiedono sia spesso ricercata attraverso un'intensificazione dell'uso dei social media. Se una parte dell'uso dei social media può essere definita masochista, o se può essere allo stesso tempo masochista e auto-esaltante, allora può essere usato per alleviare il "fardello di sé", anche se lo intensifica. Questo non solo ci permetterebbe di continuare a obbedire all'imperativo di "esprimerci" e costruire le nostre importantissime reti e reputazioni online, ma ci permetterebbe di affrontare l'ansia dell'autocoscienza nell'ambiente che la spinge. Affrontare e controllare come ci fanno sentire i social media sembrerebbe richiedere un coinvolgimento più profondo con i social media, come in un ciclo di feedback negativo. I social media, in altre parole, hanno la possibilità di rendere la "costruzione di sé" masochistica e auto-negativa.

Un po' meno plausibile forse, anche se credo anco-

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per "accumulare" stima e concedere autorevolezza. Sembra plausibile che l'intensa autocoscienza dell'uso in corso dei social media (certamente un "ambiente sociale recalcitrante", nonostante la sua reattività) possa innescare un intenso bisogno di fuggire da sé. L'uso dei social media intensifica l'autocoscienza attraverso una più profonda consapevolezza delle contingenze e della vulnerabilità della nostra identità, portando a un maggiore bisogno di fuggire da essa, o almeno sospenderne la consapevolezza.

Secondo Baumeister, il masochismo consente alle persone di sfuggire al sé orientandole sull'immediatezza dell'esperienza fisica e consentendo loro di dissociarsi attraverso la creazione e l'abitazione di una "identità fantasticata". I social media possono essere viscerali. Il polso può accelerare, lo stomaco rivoltarsi, mentre controlliamo per vedere cosa è stato detto su di noi. Possiamo trovarci incapaci di staccarci da uno schermo in una chat, tenuto crudelmente in sospeso mentre aspettiamo una risposta a un messaggio che sembra più stupido e più fraintendibile mentre è appeso lì. La condivisione intensiva sui social media, quindi, può cessare di sembrare una costruzione di un sé, ma la sua dissoluzione. Non solo nel senso che più informazioni ci sono in un archivio, più difficile è assemblarle in un'identità coerente; è anche una dissoluzione fenomenologica: gli atti di coinvolgimento con i social media diventano punti di messa a fuoco ristretta dell'attenzione, simili alla miopia masochistica. Ogni atto di partecipazione ai social media gioca sul livello del significato simbolico e dell'identità. L'umiliazione potenzialmente insita nella condivisione può evocare un acuto dolore psichico di vulnerabilità che ci travolge. La condivisione figura anche come gesto di presa di controllo del momento in cui il dolore e l'umiliazione saranno somministrati, e l'ansia può anche essere deviata verso una versione "fantastica" del sé che viene

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elaborata nelle piattaforme online e quindi rinnegata. (Il sé online, l'avatar, è vulnerabile, non noi, anche se quell'avatar porta il nostro vero nome e di tanto in tanto ci identifichiamo con esso completamente e con orgoglio.)

Maggio 2023

Ma la chiave del potenziale masochista dei social media sta nel modo in cui sembra garantire un pubblico. Baumeister osserva che "l'uso di specchi o persino di pubblico nel sadomasochismo probabilmente intensifica anche l'immediata consapevolezza di sé di basso livello. Attraverso lo specchio o il pubblico, l'attenzione del masochista è attratta dalla sua condizione e situazione immediata; il testimone conferma la perdita di sé conferendo realtà sociale”. I social media, ovviamente, sono sia uno specchio che un pubblico allo stesso tempo.

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Gli atti masochistici di condivisione hanno lo scopo di invocare un pubblico, ma non per il sé continuo e archiviato, non per le connotazioni continue e significanti l'identità di ciò che è condiviso. Al contrario, il pubblico è invocato per dare energia all'affetto distruttivamente potente del momento presente, sembrando confermare la sua realtà umiliante, l'identità fantastica cristallizzata in quel momento. Si mette un aspetto di se stessi (reale o inventato) là fuori per sognare che venga

preso in giro, e quel dolore della presa in giro ci dissocia dalle vulnerabilità più profonde del "vero sé" che viene differito e protetto per il momento. Da bambini siamo stati rimproverati e i più anziani (pre 1980?) anche sculacciati per esserci messi in mostra e aver fatto i gradassi. Ci è stato detto che era maleducato, che non si fa. Gli spacconi erano immancabilmente i personaggi odiosi nelle fiabe. Eppure adesso sono star sui social media. Sono nostri amici e nessuno li sculaccia. Invece, commentiamo, seguendo la smania irrefrenabile. Dato che i social media hanno sostituito la conversazione, la corrispondenza, i pettegolezzi e la raccolta di notizie, non commentare significa diventare invisibili. Falchi e serpenti non si odiano mai, in parte perché non devono mai sopprimere i propri istinti o fingere. Gli esseri umani intelligenti hanno inventato i social media, il che fa sì che alcuni di noi si odino a vicenda per il fatto di essere noi stessi. E per il fatto di odiare i social media. Ecco perché stare lontano dai social, per sempre o solo per un giorno, è come fuggire da un fight club.

Emiliano Nencioni


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