Dossier Banca Rasini

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BANCA RASINI E DINTORNI La Banca Rasini Sas di Rasini, Ressi & C., nota semplicemente come Banca Rasini, viene fondata agli inizi degli anni 50, più esattamente nel 1955, dai milanesi Carlo Rasini, Gian Angelo Rasini, Enrico Ressi, Giovanni Locatelli e Angela Maria Rivolta, e dal palermitano, di Misilmeri, Giuseppe Azzaletto. Con un capitale iniziale di 100 milioni di lire, la Banca Rasini è sin dalle origini un punto di incontro di capitali lombardi (principalmente quelli della nobile famiglia milanese dei Rasini), e palermitani (quelli provenienti da Giuseppe Azzaretto, che ha la particolarità di essere uomo di fiducia di Giulio Andreotti in Sicilia, oltre a quella di aver sposato la nipote di Papa Pacelli). Il motivo per cui la Banca Rasini, piccola banca milanese, ha avuto, ed ancora ha, una certa notorietà, sta in due particolarità. Uno lo vedremo più avanti, l’altra è che ha avuto alle sue dipendenza, da impiegato a direttore generale, procuratore con potere di firma, Luigi Berlusconi, padre del più noto Silvio, del quale vedremo di parlarne subito. Di Luigi Berlusconi, nato a Saronno nel 1908 e deceduto a Milano nel 1989, viene genericamente detto che lavorò per tutta la sua vita lavorativa alla Banca Rasini. In verità, essendo la Banca nata solo nel 1955, è indubbio che il Berlusconi ha avuto una sua vita precedente della quale non sappiamo molto, se non che il 29 settembre 1936 aveva generato, purtroppo per i posteri, Silvio. Del dopo è lo stesso Silvio a deliziarci con il suo racconto da libretto azzurro ad uso dei polli.. “Facciamo un po’ di conti: sono nato nel 1936 e avevo dunque sei anni quando la guerra entrò, disastrosamente, nella nostra vita quotidiana. Poi arrivò il 1943, la grande crisi, la caduta del fascismo, l’8 settembre, i tedeschi, la paura, i bombardamenti. Mio padre era militare al momento della disfatta. I tedeschi avevano iniziato la caccia al soldato italiano, e lui si fece convincere da alcuni suoi amici a riparare con loro in Svizzera. Fece la scelta giusta. Salvò la sua vita e salvò il futuro di tutti noi. Per questa lontananza lui soffrì molto, mia madre soffrì molto. Per me fu uno struggimento devastante, il chiodo fisso dei miei pensieri: papà, il mio papà. Mia madre si era trovata con due figli piccoli e il peso di due anziani: suo padre e la mamma di mio padre, che manteneva con il proprio lavoro di segretaria alla Pirelli a Milano. Tutti i giorni doveva arrivare in ufficio molto presto, cosa che la costringeva ad alzarsi alle cinque per prendere la corriera che la portava a Lomazzo, dove trovava il treno delle Ferrovie Nord per piazzale Cadorna a Milano. Da lì a piedi fino alla Pirelli. Alla sera cammino inverso, nel buio. La sua vita era così: ogni giorno avanti e indietro su quella strada, prima con la mia sorellina nella pancia, e poi di fretta alla sera per tornare ad allattarla. E con un ricordo indimenticabile. Quello di vedersi un mitra piantato sul petto e la quasi certezza di lasciarci la pelle. Accadde quando in treno impedì ad un ufficiale delle SS di portar via una signora ebrea destinata al campo di sterminio. Tutti erano paralizzati dalla paura, ma non mia madre. Afferrò per il bavero l’ufficiale tedesco e si mise a gridare: “Vai via, dì che non l’hai trovata e vattene di qui”. Il tedesco incredulo le dette uno spintone facendola cadere e le puntò addosso il fucile: “Zitta tu, o ti ammazzo”. Ma lei ebbe il fegato di continuare: “Guardati in giro: se mi spari, tu da questa carrozza non scendi vivo”. Allora quello si guardò intorno e vide tutte quelle facce spaventate che erano diventate minacciose, che non si sentivano di lasciare sola una donna con una grande pancia, piccola di corpo ma grande di spirito, che metteva in gioco la sua vita per salvarne un’altra. Il tedesco diventò paonazzo, strinse il dito sul grilletto, ebbe un attimo di esitazione e poi se ne andò. Il treno ripartì, mia madre aveva vinto, ma la tensione, lo spavento la stremarono e l’ultima parte della sua gravidanza ne risentì. Ma seguitò a fare il suo dovere sia in ufficio che a casa….Quando la guerra fini, e cominciarono a tornare tutti quei padri, zii e fratelli che si erano sottratti ai rastrellamenti tedeschi e alla deportazione in un campo di lavoro o nei lager, per me iniziò invece un altro periodo di apprensione e di attesa. Andavo ogni giorno ad aspettare il


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