DANELE PUGLIESE, APOCALISSE,
IL GIORNO DOPO
altro risale all’età delle orde di nomadi, quando bisognava tener bene a mente dov’erano i terreni da pascolo. Sarebbe interessante sapere perché [...] in questioni assai più complesse, come quella della città in cui si vive, si vorrebbe sempre sapere precisamente qual è questa città. E ciò distrae l’attenzione dalle cose essenziali. Non diamo dunque particolare importanza al nome della città. Come tutte le metropoli era costituita da irregolarità, avvicendamenti, precipitazioni, intermittenze, collisioni di cose e di eventi e, frammezzo, punti di silenzio abissali; [...] dall’eterno disaccordo e sconvolgimento di tutti i ritmi; e nell’insieme somigliava a una vescica ribollente posta in un recipiente materiato di case, leggi, regolamenti e tradizioni storiche.
È tutto normale, conforme alle previsioni degli annuari astronomici, si comporta a dovere. «Insomma, con una frase che quantunque un po’ antiquata riassume benissimo i fatti: era una bella giornata d’agosto dell’anno 1913». O, come dice il titolo del primo capitolo del libro, «Dal quale, eccezionalmente, non si ricava nulla», se non che la Vienna di cui si sta parlando è già completamente immersa nella modernità ma non è ancora entrata in guerra. Eppure, a quel tempo, di interrogativi impellenti «non ancora risolti ve n’erano a centinaia. Erano nell’aria, bruciavano sotto i piedi. I tempi erano in movimento. La gente che non è vissuta allora non lo crederà, ma già allora, e non soltanto adesso, i tempi procedevano alla velocità di un cammello. Non si sapeva però in che direzione. Ed era difficile distinguere il sopra dal sotto, e le cose in regresso da quelle in progresso. “È inutile, concluse l’uomo senza qualità scrollando le spalle, – tanto in un così fitto groviglio di forze la cosa non ha la minima importanza”». In verità, quante cose curiose ci sarebbero da dire sul tramontato impero di Cacania!.
Si chiamava così l’Austria degli Asburgo, dove tutto era imperial-regio, Kaiser-Kôniglich, abbreviato in K.K. che si pronuncia kaka. Da cui, appunto, la Cacania.
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