2. LA MEMORIA DEL PERFORMER
L’esigenza di bellezza dell’ornatus musicale è soddisfatta dalla felice interazione della vox – qui rappresentata dalla bellezza uditiva, prodotta dalla sapiente gestione delle potenzialità espressive dell’archetto della viola – con il gestus – rappresentato invece dalla bellezza visiva, promossa dall’altrettanto sapiente atteggiarsi del corpo, ed in particolare del viso, di cui l’occhio, come già accennato, costituisce l’organo più nobile, quello che, par excellence, accoglie e registra il mondo fenomenico trasferendolo all’interno del soggetto, per poi nuovamente rivelarlo al mondo. Ed è, esattamente, la relazione tra interno ed esterno, tra dentro e fuori che la pronunciatio innesca, consentendo alla fisicità del suono-corpo-voce di parlare in nome dello spirito: il suono-corpo-voce rispecchia gli affetti, istituendo una sorta di relazione analogica che consente alle passioni di dichiararsi al mondo. La corrispondenza mimetica tra affetti interni e la loro enunciazione esterna attiva la trasformazione metaforica: rendere dicibile l’emozione non significa semplicemente manifestarla all’uditorio, bensì piegare quell’uditorio alla medesima temperie emotiva, in virtù di una raggiunta dicibilità, possibile unicamente come specchio del non dicibile. Lo specchio, come oggetto-metafora, testimonia, infatti, della “riflessività del sensibile, che esso traduce e raddoppia15”. Esso converte il corpo vedente in corpo interamente visto, che investe gli altri corpi veduti in virtù della raggiunta, totalizzante visione di sé. Analogamente, solo la totalizzante sonorizzazione dell’affettività interiore del soggetto consente di investire l’affettività dei soggetti altri che condividono il medesimo spazio di esperienza vitale. “& cantilenas ornare, & in ipsis omnes omnium affectus exprimere” Quale prassi esecutiva potremmo accostare all’oratoria audacia auspicata nella Regola Rubertina? Ganassi ha 15. Merleau-Ponty M., L’occhio e lo spirito, SE, Milano, 1989, p. 27.
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