ERNESTO NATHAN ROGERS: L’importanza della tradizione e le preesistenze ambientali

E R N E S T O

N A T H A N

R O G E R S

L’importanza della tradizione attraverso il tema delle preesistenze ambientali e gli esiti progettuali: la Torre Velasca

B ARBARA P ERET TI Polit e cnico di Mila no

I N D I C E

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Ernesto Nathan Rogers

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La tradizione e le preesistenze ambientali

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Torre Velasca

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Bibliografia

E R N E S T O

N AT H A N

R O G E R S

Ernesto Nathan Rogers

Gruppo BBPR

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Ernesto Nathan Rogers fu uno dei più grandi protagonisti dell’architettura italiana del ventesimo secolo.

Nato nel 1909 a Triste da una famiglia di origini ebraiche, fu una personalità poliedrica che si occupò di architettura a 360 gradi. Per tutta la vita face parte del gruppo BBPR, con il quale elaborò progetti che indagavano tutte le scale architettoniche. Fu rappresentante italiano ai CIAM internazionali e direttore delle riviste Domus e Casabella, ma ciò per cui lo ricordiamo oggi con più affetto riguarda l’impegno didattico e intellettuale: capire le problematiche della scena architettonica del proprio tempo interpretandola, ricercando soluzioni concrete.

Ernesto Nathan Rogers

Si laureò al Politecnico di Milano nel 1932 insieme ai compagni Banfi, Belgiojoso e Peressuti, con il professor Portaluppi. Si riporta di seguito un passo della relazione del progetto di laurea che mette in luce la consapevolezza e la profondità di pensiero di questo giovanissimo gruppo.

“Essere moderni significa semplicemente esistere; essere razionali significa poco più che possedere il “sine qua non” per esistere. Essere architetti, cioè Artisti, è ben altra cosa. […] Noi crediamo che non basti all’architetto , ma sentiamo il bisogno di dire, di esprimere, con la sintesi dell’opera nostra, oltre che la vita contingente, il pensiero e il carattere dell’opera.”

Dopo la laurea il gruppo BBPR si consolidò definitivamente; aprirono uno studio a Milano in via San Simpliciano e collaborarono per tutta la durata della loro carriera, in un’amicizia fraterna. Il gruppo di questi quattro ragazzi, pieni di speranze e di progetti per il futuro, si opponeva fermamente all’accademismo, contrapponendovi la progettazione secondo “metodo”. Si occupavano indiscriminatamente di tutte le scale architettoniche, spaziando dal più piccolo oggetto di arredo fino alla progettazione urbanistica.

Nel 1932 conobbero Pagano, direttore di Casabella, che presiedeva nella giuria per i primi palazzi littori di Bologna; concorso che si concluse con la vincita del gruppo. Da quel momento iniziò un lunga e strettissima amicizia tra Rogers e Pagano, che fu molto importante per l’architetto e lo portò ad ereditare il ruolo di direttore della rivista.

BBPR

Erano gli anni in cui si stava diffondendo il Movimento Fascista e come la maggior parte degli architetti italiani anche il gruppo BBPR vi partecipò attivamente. Rogers definì con il seguente sillogismo il clima che si respirava in quel periodo, per cercare di spiegare quello stretto connubio tra politica e architettura che si era creato in quel tempo:

I BBPR e il fascismo

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“Poiché il fascismo è un’idea rivoluzionaria, l’architettura (l’arte) moderna è l’arte fascista”.

In questo clima di fermento e innovazione molti artisti avidi di rinnovamento, stanchi della rigidità dell’accademismo e della progettazione in “stile”, alla ricerca di una nuova strada, vi si immersero totalmente. Non si accorsero subito di quello che stava diventando in realtà il fascismo, ma nel momento in cui crollarono le premesse teoriche a base di questo movimento rivoluzionario, essi lo ripudiarono. Banfi, Beljoioso e Peressuti entrarono a far parte della resistenza, mentre Rogers, di origini ebraiche, fu costretto ad emigrare in Svizzera, dove produsse i famosi scritti Confessioni di un Anonimo.

Banfi e Beljoioso furono catturati e deportati a Mauthausen, dove lo stesso Banfi, soprannominato dal gruppo “Giangio”, perse la vita. La perdita fu un grave colpo, ma il gruppo continuò ad operare con il nome di BBPR, in onore del compagno scomparso.

“Il nostro quartetto dovette educarsi alla concentrazione di un trio: dapprima non ci eravamo accorti che il vuoto lasciato dall’amico non poteva essere riempito dal solo fatto di sostituirlo, lavorando anche per lui, e ci vollero anni perché all’interno dei nostri rapporti si ristabilisse una nuova armonia.”

La profonda ferita infierita dall’esperienza fascista necessitò molto tempo per rimarginarsi; oltre al danno interiore e psicologico, molte delle città italiane erano semi-distrutte. Negli anni successivi la guerra, nell’architettura italiana si attuò una vera e propria “catarsi”, un rinnegamento delle azioni svolte durante il fascismo e la voglia di risollevare il popolo dalle distruzioni delle guerra. Furono molti gli architetti che vi parteciparono in maniera differente: Ridolfi, che anonimamente produsse il Manuale dell’Architetto, Rogers, promosse un programma per Domus incentrato sulla ricostruzione delle case distrutte e Ponti con i suoi articoli sul tema dell’abitazione pubblicati del Corriere della Sera.

Scrive Rogers in un articolo del 1945: “La costruzione urgente non deve pregiudicare per nessuna ragione la costruzione permanente: una gamba male ingessata deturpa l’arto per tutta la vita. […] Nello stabilire le categorie delle opere, come nel valutarne i committenti, è necessario esaminare la situazione generale. […] Lavoriamo affinché da questo nostro primo convegno esca una chiara mozione che invochi e indichi una netta gerarchia tra il necessario e il superfluo, nel più ampio disegno del piano nazionale della ricostruzione.”

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Gli anni della ricostruzione

Domus - La casa dell’uomo

Casabella - Continuità

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L’impegno venne rinnovato durante la direzione di Domus, ruolo che assunse tra il 1946-1947 al posto di Giò Ponti, a cui diede il sottotitolo “la casa dell’uomo”.

Dato il periodo di emergenza in cui si trovava il paese, egli mutò il carattere e il target della rivista, precedentemente di cultura generale, focalizzandola sul tema della casa, come specifica anche il sottotitolo, e rivolgendosi a tutta la popolazione, fornendo dei consigli pratici su come ricostruire.

Nel editoriale del primo numero di Domus diretto da Rogers egli scrive: “La casa non è una casa se non è calda d’inverno, fresca d’estate, serena in ogni stagione per accogliere in armoniosi spazi la famiglia. Una casa non è una casa se non racchiude un angolo per leggere poesie, un’alcova, una vasca da bagno, una cucina. Questa è la casa dell’uomo.”

Rogers parla della casa dell’uomo rivolgendosi a tutti. In questo modo e in atto quella catarsi o “purificazione” dell’architettura italiana nel secondo dopoguerra. Non si indaga su una casa ideale, ostentatrice, si parla della casa dell’uomo, della famiglia, di quell’architettura a misura d’uomo che si contrappone con umiltà alla megalomania del fascismo, una parentesi definitivamente conclusa.

Domus - La casa dell’uomo

Dal 1953 Ernesto Nathan Rogers assume la direzione della rivista Casabella, ereditata dal suo caro amico Giuseppe Pagano, un’esperienza che condurrà fino al 1964. La premessa è di proseguire la linea tracciata dal suo predecessore Pagano. Infatti appone al titolo Casabella il sottotitolo “continuità” e viene pubblicata con un bellissimo logo disegnato da Gae Aulenti.

Questa rivista vuole essere in continuità con l’edizione precedente, ma non vuole essere mera ricopiatura, vuole parlare di architettura, l’arte su tutte, basandosi sul rapporto uomo – architettura – uomo. Una continuità tra tradizione e contemporaneità, che rappresenta l’architettura nelle sue tematiche più attuali e problematiche, cercando sempre di apporvi nuove soluzioni. Un rivista che pubblica le opere dei giovani architetti.

Casabella - Continuità

La metà degli anni ‘50 vedono alla luce anche le opere più importante del gruppo. Nel 1951 viene iniziata la costruzione della Torre Velasca e tra il 1948 e il 1956 il restauro e allestimento del Museo del Castello Sforzesco; opere esemplari del discorso teorico e didattico dei BBPR. Nel 1963 Rogers ottiene la cattedra al Politecnico di Milano, a cui può finalmente dedicare la sua grande passione di professore.

Purtroppo questa esperienza durò poco, perché l’architetto si spegne prematuramente all’età di 56 anni a seguito di una grave malattia.

Le opere

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Reastauro e allestimento del museo del Castello Sforzesco, Milano

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L A

T R A D I Z I O N E

P R E E S I S T E N Z E

non mi farò più un bicchiere contento,

ho perduto la mia libertà.

Città del lungo esilio

di silenzio in un punto bianco dei boati,

devo contare il mio tempo

con le corse del tram,

devo disfare i miei bagagli chiusi,

regolare il mio pianto, il mio “sorriso.

Addio, come addio? distese ginestre,

spalle larghe dei boschi

che rompete la faccia azzurra del cielo,

querce e cerri affratellati nel vento,

pecore attorno al pastore che dorme,

terra gialla e rapata

che sei la donna che ha partorito,

e i fratelli miei e le case dove stanno

e i sentieri dove vanno come rondini

e le donne e mamma mia,

addio, come posso dirvi addio?

Ho perduto la mia libertà:

nella fiera di Luglio, calda che l’aria

non faceva passare appena le parole,

due mercanti mi hanno comprato,Å

uno trasse le lire e l’altro mi visitò .

Ho perduto la sçhiavitù contadina

dei cieli carichi, delle querce,

della terra gialla e rapata.

La città mi apparve la notte

dopo tutto un giorno

che il treno aveva singhiozzato,

e non c’era la nostra luna,

e i monti s’erano persi lungo la strada.

Rocco Scotellaro, 1945

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L E

A M B I E N TA L I

Ho perduto la schiavitù contadina,

e non c’era la tavola nera della notte

E

Ernesto Nathan Rogers, come abbiamo visto, è stato uno dei più principali protagonisti dell’architettura italiana del secolo scorso.

L’eredità più grande che l’architetto ci ha lasciato è la sua grande ricerca teorica su tematiche e problematiche dell’architettura del suo tempo.

In particolare su un tema specifico dell’elaborazione del progetto architettonico: il confronto con l’esistente nel rispetto della tradizione, una riflessione teorica sulle relazioni tra ambiente e progetto.

Tradizione è un termine di origine latina, deriva dal verbo tradere, che si traduce letteralmente «prendere e portare», dunque nell’accezione odierna, significa continuità e scambio, un rapporto dinamico tra passato e presente.

Il terzo capitolo della raccolta di scritti di Rogers “Esperienze di Architettura” è interamente dedicato al tema della tradizione in ambito architettonico e da esso riportiamo alcune definizioni: “La tradizione è per noi il ceppo comune di opinioni, di sentimenti e di fatti dal quale un determinato gruppo sociale deriva e dove ogni individuo riconduce il proprio pensiero e la propria azione”, oppure: “Tradizione è questo perpetuo fluire ed essere moderni è sentire coscientemente di partecipare, come elementi attivi, a questo processo.”

E ancora: “Due forze essenziali compongono la tradizione: una è il verticale, permanente radicarsi dei fenomeni ai luoghi, la loro ragione oggettiva di consistenza; la seconda è il circolare, dinamico connettersi di un fenomeno all’altro, tramite il mutevole scambio intellettuale fra gli uomini; la tradizione è il miele pregnante che le api elaborano cogliendo il succo dai diversi fiori, quando lo trasportano nella loro remota officina. Ogni artista e, anzi, ogni opera d’arte, sono all’incrocio di queste due forze che collaborano al processo storico e ne sono la vera essenza” Si tratta quindi di un processo dinamico, un sistema di scambi tra quello che la storia ha lasciato al popolo, le sue radici, e il tempo in cui viviamo, la novità e l’innovazione. Due forze che è difficile coniugare, specialmente in ambiti operativi, come la costruzione. Come si rapportano quindi tradizione e architettura?

La tradizione

Per iniziare a chiarire questo concetto si riportano due esperienze opposte che Rogers presenta sul libro.

All’inizio del capitolo racconta di quando fu chiamato a tenere un corso all’università di Tucuman nel sud dell’America, in un contesto che lui definisce “primitivo”. Infatti quasi nessuno studente era entrato in contatto con un’opera architettonica e pochi conoscevano la storia:

Tradizione e architettura

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erano come bambini diventati improvvisamente adulti, senza maturità, non avevano tradizione e cultura dell’opera architettonica. Un fenomeno opposto si presentò nell’insegnamento presso l’Architectural Association School di Londra. Gli studenti, intelligenti e dotati di un’amplissima cultura in ogni campo, non riuscivano a tradurre la propria conoscenza in altrettante facoltà creative. Questi esempi, che mettono in confronto una “cultura primitiva” e una “cultura raffinata”, rappresentano simbolicamente i limiti estremi, si tratta di due sistemi in disequilibrio. Se nel primo caso l’opera consiste nella sola forma, perché espressione di un popolo senza tradizioni, all’opposto nel secondo è solamente teorica: manca di praticità e applicazione nella realtà.

Se l’architettura è il sintetico esprimersi di determinate forme in determinati contenuti, la tradizione è il particolare accento di come essa si manifesta, concatenate nello svolgersi della storia totale di un popolo.

Architettura e tradizione rientrano in un sistema che coinvolge diverse forze concrete e sociali, che dovrebbe essere sempre in equilibrio.

Rogers parla di “storia totale”, una definizione molto interessante che anticipa il discorso sull’architettura. Con “storia totale” egli intende la storia di un popolo che non viene scritta solamente per eventi straordinari, ma tiene in considerazione la quotidianità delle persone, che la rende viva e personale.

Allo stesso modo egli considera l’architettura, introducendo il concetto delle “preesistenze ambientali”. Con questo termine definisce il tessuto ordinario dell’architettura: tutte le costruzioni esistenti, comuni, che si sono succedute nel tempo definendo la configurazione delle città per come le vediamo oggi.

La storia non è fatta di eventi eccezionali e l’architettura non è fatta di monumenti, intesi come singoli e maestosi edifici. Il monumento, oggetto degno di memoria e considerazione estetica, diventa tutta l’opera dell’uomo dove sia raggiunta la sintesi tra l’utilità e la bellezza. Esso non riguarda un episodio isolato, ciò che da senso alla singola opera è, infatti, l’orizzonte culturale e fisico in cui sorge. É in tale orizzonte, che si costruisce il «gioco di rapporti» che il singolo edificio instaura con gli altri e che gli conferisce valore, al di là della sua propria qualità, in quanto elemento della composizione architettonica della città ed espressione della tradizione di quel popolo.

Ma come intende coniugare le “preesistenze ambientali” con il progetto architettonico? Rogers vuole definire e cercare di risolvere una questione

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Le preesistenze ambientali

spinosa dell’architettura di quegli anni: il rapporto tra la tradizione, ovvero le preesistenze ambientali, e la modernità, intesa come espressione della cultura contemporanea.

“Ma quindi cos’è quello che facciamo? Una sintesi, una sintesi di diverse forze, che noi dobbiamo accogliere e studiare per configurare un risultato che tenga presente delle più disparate energie, quella dell’espressione del proprio periodo storico, delle tendenze, innovazioni e del nuovo modo che ogni periodo ha di vedere le cose con l’ambiente, la storia, la realtà.”

Il primo passo è la conoscenza del luogo in cui si viene ad operare, attraverso un accurato studio delle forme tradizionali e delle modalità che l’hanno configurato nel modo in cui si presenta. Una nuova architettura deve necessariamente inserirsi nel luogo delle preesistenze, traendo la propria energia vitale da esse, in un’ottica di continuità storica.

Egli invita gli architetti ad “essere moderni non contemporanei”. Essere “moderni” significa interpretare ed esprimere lo spirito profondo dell’epoca in cui si vive, “contemporanei” sono invece le persone che appartengono alla propria epoca solo cronologicamente, senza una partecipazione attiva.

“Chi si appella, oggi, alla cultura nazionale […] intende che l’architettura debba radicarsi negli strati profondi della tradizione per succhiarne l’elemento e qualificarsi; è una necessaria integrazione della realtà contemporanea, complessa e varia, con l’immenso patrimonio dell’esperienza ereditata”.

Rogers vuole così proporre un nuovo modo di progettare, in netto contrasto con il metodo della propria epoca.

Se prima della guerra e del fascismo l’architettura si studiava in “stile”, e la costruzione avveniva mediante le rigide forme che l’accademismo imponeva, nel dopoguerra con Rogers, ed altri personaggi del tempo come Gardella, si afferma la costruzione secondo un “metodo”. Questo significa procedere per premesse estremamente differenti. Costruendo “in stile” il risultato è dettato dalle regole della costruzione: a tipi diversi di problemi, a priori vengono fornite le stesse soluzioni secondo i dettami dello stile. Progettando secondo “metodo”, i problemi vengono analizzati e risolti “caso per caso” a seconda dei diversi fattori in cui gli architetti si trovano ad operare.

La tradizione aiuta a stabilire questi rapporti, andando a rilevare le problematiche al fine di sviluppare un’architettura a misura d’uomo, che viene interpretata e risolta secondo la sensibile inclinazione dell’architetto. Questo tipo di progettazione non deve sfociare però nell’individualismo assoluto, e il binario che deve tenere in linea la

Costruire nelle preesistenze

ambientali

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progettazione architettonica è la dialettica costante con la tradizione e la cultura.

Il gruppo BBPR lavorò secondo questo innovativo modo di progettare, che diede alla luce progetti estremamente riusciti, tra i quali citiamo la Torre Velasca, di cui parleremo più avanti, il museo del Castello Sforzesco, e molti altri. Altri architetti del periodo sperimentarono questo tipo di progettazione, individuandolo come la naturale evoluzione dell’architettura razionale. Molti diedero alla luce opere non desuete per quegli anni, che vennero molto criticate. Primo di tutti Ignazio Gardella, che venne pubblicato su Casabella-Continuità con la sua opera Casa delle Zattere sul Canal Grande a Venezia, estremamente criticata. Gabetti e Isola, giovani architetti piemontesi pubblicati anch’essi da Rogers.

Questi sono esempi di architetture delle preesistenze ambientali. Tra queste l’opera di maggior importanza è senza dubbio la Torre Velasca, monumento che incarna tutta la trattazione teorica del suo progettista.

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Gli esiti progettuali

Gabetti e Isola, Bottega d’Erasmo, Torino (sopra) Ignazio Gardella, Casa alle Zattere, Venezia (sotto)

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T O R R E

V E L A S C A

‘’Il valore internazionale di questa architettura è di riassumere culturalmente, e senza ricalcare il linguaggio di nessuno dei suoi edifici, l’atmosfera di Milano. È il risultato di un metodo funzionale che determina la forma desumendola dalle determinanti dell’ambiente circostante e dalle ragioni distributive dell’organismo. […] Vuol essere – e spero che almeno in parte sia – la testimonianza di una vocazione: di un modo tecnologicamente corretto e attuale del costruire; di un linguaggio attuale, inserito come immagine nella continuità della tradizione. […]”

Ernesto Nathan Rogers su La Torre Velasca

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La Torre Velasca, il più famoso progetto del gruppo BBPR, viene considerata il primo grattacielo di Milano.

Progettato tra il 1951 e il 1955 l’edificio sorge nel cuore della città, a poche centinaia di metri dal Duomo. Occupa un’area centralissima; si colloca all’incrocio tra via Velasca e via di porta Romana, al posto di alcune costruzioni distrutte nei bombardamenti del 1943. L’area viene sgombrata dalle rovine e acquisita dalla Società Generale Immobiliare che la destina a un edificio per uffici e abitazioni. Scartata la proposta del Comune, la progettazione viene affidata al gruppo BBPR, che prevede due soluzioni: il tradizione edificio a cortina ad alta densità oppure il fabbricato isolato, esteso in altezza. La soluzione adottata risulterà la seconda: un manufatto che interrompesse la continuità urbana e rinnovasse lo skyline milanese.

Il luogo del progetto

Inizialmente l’edificio venne concepito con una struttura in acciaio tamponato con grandi superfici vetrate trasparenti, ma poi, a causa dei costi eccessivi, venne ripensato con una struttura in cemento armato, che ne mutò l’impatto estetico, rendendolo visivamente più pensante per la consistente massa muraria. In entrambe le soluzioni la forma del grattacielo si presenta come un parallelepipedo alla base, sormontato da un altro parallelepipedo più largo, che conferisce all’edificio un aspetto ‘a fungo’.

Il riferimento tipologico a cui si rifà Rogers è il grattacielo di Chicago, ma la forma che attribuisce alla costruzione lo nega: va a capovolgere lo schema del grattacielo gradonato o rastremato verso la sommità, dando l’impressione di un’aggiunta, piuttosto che di una sottrazione.

Con questa particolare forma, attraverso i montanti inclinati che sostengono la sporgenza, Rogers si riferisce a un contesto totalmente diverso rievocando la tradizione medievale, le forme architettoniche delle fortificazioni e delle torri.

L’effetto che si ottiene è quello di un colosso isolato, piantato saldamente in mezzo ad uno spazio isolato, che si inserisce al livello del tessuto circostante mediante un ingresso alto due piani per poi innalzarsi e svilupparsi liberamente in verticale.

Dal punto di vista funzionale il primo parallelepipedo è dedicato ad uffici, mentre il blocco in sommità è destinato ad appartamenti e funzioni terziarie come la ristorazione. Particolare cura è riservata all’attacco dei due volumi; l’ultimo piano del primo blocco, dedicato a locali di servizio, è infatti leggermente arretrato, in modo da determinare una linea d’ombra che accentua ancora di più la netta separazione dei due

Torre Velasca, una “torre

medioevale”

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volumi. Questa separazione viene negata dai montanti che percorrono verticalmente l’intero edificio e legano insieme i due blocchi. Ulteriore unità è data dalle aperture: ovunque si ripetono finestre allungate, simili per dimensioni e proporzione, ma mai disposte ugualmente sullo stesso piano.

Ponti, nell’articolo dedicato alla torre Velasca pubblicato su Domus numero 278 del 1961, tesse le lodi di questo edificio descrivendolo come un’opera nuova, anticonformistica, e fortemente creativa. Egli, rifacendosi alla lezione delle “preesistenze ambientali”, lo denomina, attraverso un gioco di parole, un’“esistenza ambientale”. L’editore lo ritiene un edificio innovativo per la città, in grado di formare con la sua forza architettonica un nuovo ambiente, una dimostrazione del fermento dell’architettura milanese. Un edificio che nell’intenzione dell’architetto voleva essere un’interpretazione dell’ambiente in cui si colloca, ma che per Ponti è molto di più, divenendo attraverso la sua forza architettonica una “creazione ambientale”. Testimonianza integrata della storia ed espressione del proprio tempo, un edificio destinato a diventare lui stesso una “preesistenza ambientale” con cui i futuri architetti dovranno confrontarsi.

Nonostante le parole di apprezzamento di Ponti, questo monumento ricevette e riceve tutt’ora tantissime critiche. Tra queste Rogers venne accusato di non costruire architettura internazionale, ma di limitarsi ad un’architettura provinciale, regionale. Da sempre la Torre Velasca viene criticata aspramente per il suo aspetto estetico, essendo elencato addirittura tra i 20 edifici più brutti del mondo. Critiche superficiali e riduttive, che la isolano dal suo contesto e dalle premesse teoriche dell’architetto.

Torre Velasca è un’opera che si inserisce nel contesto che lo ospita e che nello stesso tempo è espressione del proprio tempo e del pensiero che guida la progettazione dell’architetto. Questo concetto si apprezza a pieno osservando il profilo della torre dietro i pennacchi del Duomo, in un’armoniosa e naturale convivenza. Quest’opera è forse l’esempio più riuscito della poetica dei BBPR. Sul numero di Casabella-Continuità dedicato alla Torre Velasca nell’introduzione redatta dallo stesso Rogers, egli conclude con queste parole: “Acquetatosi il momento delle polemiche, più che naturali per un’opera nuova destinata con il suo inserimento a modificare il profilo d’un paesaggio radicato nella memoria di tante persone, pare che essa si stia rivelando all’esame più ponderato quelle qualità che avevamo

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Ponti, “esistenza

ambientale”

Un’architettura delle

“preesistenze ambientali”

Piante (sopra) Dettaglio della facciata (sotto)

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sperato di avervi riposte. Accettiamo, come grande complimento, quello che intese farci Alvar Aalto che quando la vide esclamò: «It is very Milanese!»”

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Torre Velasca

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B I B L I O G R A F I A

E. N. Rogers, Esperienze di architettura, 1958, Giulio Enaudi Editore A. Belluzzi, C. Conforti, Architettura Italiana 1944-1994, 1994, Editore Laterza C. Baglione, a cura di, Ernesto Nathan Rogers 1909-1969, Milano, 2012, Francoangeli E. N. Rogers, Casabella-ContinuitĂ , Milano, 1959, n. 232 Ponti G., Domus, La Torre Velasca, Milano, 1961, n.278

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