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UN FORMIDABILE DISEGNATORE di LRNZ
Se sto scrivendo la prefazione al catalogo della mostra di Zerocalcare credo sia superfluo dire che sono un fan del suo lavoro, ma non credo sia ugualmente scontato aggiungere che la mia considerazione per le sue opere va prima di tutto al comparto visivo. Ritengo Zerocalcare una fonte di ispirazione proprio per il suo modo di disegnare.
Sono un artista visuale che opera nell’ambito del fumetto. Non ho mai fatto numeri da capogiro, ma sono tenuto in grande considerazione dai miei colleghi per le mie doti artistiche, specialmente per quelle grafiche, sia in ambito progettuale sia tecnico. Oltre che come autore completo, sono stato segnalato più volte come miglior disegnatore italiano e ho ricevuto diversi premi per questo motivo. Ne prendo atto con sgomento, ma facendomi carico delle responsabilità che questo comporta: come ritrovarmi qui a scrivere sul talento grafico del più grande fumettista italiano contemporaneo.
Zerocalcare è uno dei rarissimi autori dal successo incommensurabile. Con il suo lavoro è riuscito a rivoluzionare, e addirittura a rifondare, l’intera industria del fumetto, ottenendo una serie di risultati prima impensabili. E lo ha fatto grazie a un disegno che non vedo mai riconosciuto come eccezionale o fuori dal comune. Tra tutti i talenti che gli vengono giustamente riconosciuti, come quello di essere un grande narratore, una voce importante tra gli intellettuali italiani, o la capacità di essere irresistibilmente divertente, del fatto che è anche un formidabile disegnatore non viene mai fatta menzione.
Ho un po’ di fissazioni teoriche sul fumetto che credo possano invece aiutare a capire perché ritengo il suo lavoro una pietra miliare nell’ambito del disegno e dello stile in questo medium.
Il fumetto è un’arte squisitamente grafica. Un’arte grafica particolare, che definirei convergente, dove testo e immagini si incontrano, ma il testo cambia completamente significato in base a come viene graficizzato, composto, impaginato. Nel fumetto anche il testo è disegno. Non bisogna quindi commettere l’errore di guardarlo come un libro illustrato o come un assemblaggio di scrittura e immagini.
Un bravo fumettista scrive come disegna e disegna come scrive e Michele è senza alcun dubbio un esempio di rara armonia tra queste due anime. Anche volendo mettersi dalla parte di chi ha da ridire sulle sue opere, per mancanza di affinità artistica oppure politica, è impossibile non riconoscere questo equilibrio che conferisce al suo lavoro quella solidità formale tipica dei classici.
Il fumetto è un’arte che parte da presupposti tecnici apparentemente semplici. Richiede invece un’enorme quantità di conoscenze: l’anatomia, la recitazione, la scenografia, la prospettiva, il montaggio, la composizione, la capacità di inventare, di sceneggiare, di mettere in pratica una regia visiva, e molto, molto altro. Quando si comincia a lavorare su una storia a fumetti, queste pratiche ti portano ad attraversare un lungo periodo di lentezza e macchinosità, in cui tutto sembra impossibile, e che si sblocca solo con le prime scadenze, con l’esigenza di chiudere la storia in tempo utile per riuscire a pubblicarla.
Quando un fumettista disegna, che si tratti di scritte o di figure, sta cercando di farsi capire. Si comporta come, concedetemi questo bizzarro esempio, un premio Nobel della Letteratura giapponese che, in visita nel nostro Paese, ci blocca per strada per avere un’informazione. Il suo sterminato bagaglio tecnico, il vocabolario raffinatissimo, tutto il suo patrimonio inestimabile per comunicare verrà usato, in quello specifico, banale, momento di necessità, in maniera completamente diversa in base al tasso di urgenza: se avesse tutto il tempo del mondo potrebbe entrare nei minimi dettagli, usare una app del telefono per esprimersi in maniera conforme alle regole della buona educazione, ma se invece andasse di fretta, perché per esempio rischia di perdere l’aereo, taglierà corto, ricorrendo a gesti e versi che ritiene inequivocabili o pescando dall’inconscio invenzioni attoriali che gli permettano di spiegarsi, di andare insomma dalla stazione all’aeroporto nel modo più rapido possibile.
Sono abbastanza convinto che buona parte dello stile di un fumettista nasca così, dimenticandosi tutte le nozioni complesse che elencavo prima, cercando di ovviare con dei “desperation device” ai limiti del proprio sistema espressivo. Ecco perché il lavoro di Michele è un concentrato di stile inconfondibile, di pura significazione. Michele disegna a trecento all’ora, con una pressione emotiva che è sempre enorme, e che gli arriva da tutti i fronti. Si è allenato a farlo per anni, nell’ambito più complicato che esista: le assemblee dei collettivi. Come testimonia la sterminata produzione di poster, striscioni, locandine, si è occupato della comunicazione di eventi e manifestazioni: politiche, artistiche, musicali. Tutte cose che richiedono enorme cura e attenzione. Se quindi sommiamo lo stress produttivo di dover rispettare le scadenze editoriali dei fumetti, e ora anche dei cartoni animati, a quello “politico” che gli impone di far da megafono alle più svariate imprese comunitarie, esaudendo le richieste più eterogenee e strampalate, questa compressione disumana ha forgiato il segno grafico di Michele che, perennemente in affanno, riesce a tagliare corto con l’efficienza di uno straniero in patria, ma che dico, di un alieno che si fa capire da tutti senza perdere mai e poi mai il proprio aereo. Arriva sempre dove vuole, Zerocalcare, e al meglio delle sue possibilità.
L’intelligenza grafica si riversa sulla pagina come un trattato di strategia comunicativa ad altissima efficienza, dove composizione, successione delle immagini, il peso e il sistema di maschere modulari dei personaggi, gli standard recitativi enciclopedici, sono rappresentati con il suo tipico tratto ad altissima leggibilità, dove la pressione si traduce in un impatto netto come quello delle macchine industriali da taglio ad acqua.
Potrà sembrare paradossale davanti a un impianto estetico caciarone, dove tutto appare precario e approssimativo, ma sono proprio la semplicità e la vitalità grafica, unite alla veridicità delle ambientazioni, i primi strumenti di ingaggio con l’umanità, le “affordance” che servono per iniziare a intendersi in quel mondo popolato di stranieri che sta là fuori. Che sia San Lorenzo, la Siria, Rebibbia, il Comic-Con di San Diego o un bagno pubblico, sono tutte manifestazioni precarie di un essere precario, l’essere umano. E all’essere umano piace essere accettato per la sua precarietà, è un conforto empatico irresistibile, specie se sa che dovrà affrontare una sfida al meglio delle sue possibilità.