Spiaggia

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Alessandro Sistri

Spiaggia spiaggia

antropologia balneare riminese

Antropologia balneare riminese

BANCA POPOLARE VALCONCA


spiaggia

antropologia balneare riminese



Alessandro Sistri

spiaggia

antropologia balneare riminese


Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo le seguenti modalità di legge: • Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla siae del compenso previsto dall’articolo 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra siae, aie, sns e cna, confartigianato, casa, claai, confcommercio, confesercenti il 18 dicembre 2000 • Le riproduzioni per uso differente da quello personale potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dagli aventi diritto/dall’editore Direttore editoriale: Roberto Mugavero Editor: Paolo Tassoni Grafica e impaginazione: Alessandro Battara In copertina: AFG, Rimini, 1928, Foto Mele. Servizio fotografico pubblicato in parte su Rimini la più bella spiaggia del mondo, 15 luglio 1928. Vengono ritratte sulla spiaggia le ballerine della compagnia di “danze ritmiche”di Karla Kladka, artista cecoslovacca chiamata a esibirsi a Rimini. Fondi fotografici AFG = Archivio Fotografico Biblioteca Gambalunga Rimini AFC = Archivio Fotografico Centro Culturale Polivalente Cattolica AFR = Archivio Fotografico Biblioteca Comunale Riccione Copyright © 2013 Minerva Soluzioni Editoriali s.r.l., Bologna isbn 978-88-7381-548-8 Minerva Edizioni Via Due Ponti, 2 – 40050 Argelato (Bologna) Tel. 051.6630557 – Fax 051.897420 info@minervaedizioni.com – www.minervaedizioni.com Copyright © 2013 Banca Popolare Valconca, Morciano di Romagna


Spiagge, / di corpi abbandonati, / di attimi rubati, / mentre la pelle brucia, / un’altra vela va, fino a che non scompare, / quanti segreti che appartengono al mare. Certamente i versi di una canzone di Renato Zero sono un incipit poco convenzionale per questa ventiduesima fatica editoriale della Banca Popolare Valconca. Ma, in fondo, anche questo è un libro non convenzionale. Rimango sempre stupito quando un autore consegna le bozze del libro che la Banca pubblica in prossimità delle feste natalizie. Lo stupore è dovuto alla ricchezza e alla varietà degli argomenti che vengono di volta in volta trattati, come se ogni volta accadesse un piccolo miracolo. Libro non convenzionale, quindi, quello di quest’anno che lega in maniera indissolubile il testo ad immagini in gran parte inedite. Alessandro Sistri è un attento ed acuto studioso dei comportamenti umani. Nel volume l’autore analizza, in maniera a volte ironica a volte feroce, tutto ciò che ruota intorno alla spiaggia e al mare come un avventuroso esploratore di fine Ottocento che, inoltrandosi nel cuore sconosciuto dell’Africa, scoprisse strani comportamenti tenuti dagli umani e li analizzasse come antichi riti tribali. Il nostro mare, un tempo vissuto in maniera ostile (le prime foto di questo libro ripropongono marinai bardati come astronauti che devono affrontare l’oscuro e ignoto spazio interstellare), diventa poi terapeutico e, infine, diventa luogo della spiaggia ludens. Per affrontare il mare si passa dalle antiche barche dei marinai alle lance, passando poi ai cutter, ai mosconi fino agli attuali pedalò. Anche gli oggetti per trascorrere il tempo sulla spiaggia mutano cambiando nome ed aspetto passando, ad esempio dalla poltroncina alla sedia sdraio fino ad arrivare alla mitica brandina. Non si tratta di una evoluzione solo tecnologica ma anche di pensiero. L’arenile, un tempo luogo inospitale che veniva attraversato con lunghi pontili, diventa luogo in cui non solo ci si siede, non solo ci si sdraia, ma addirittura ci si stende. L’ottocentesco ideale della pelle di luna si muta nella attuale abbronzatissima pelle di sole. E tutto questo all’interno di quello strano spazio temporale che, per quanto ne so, esiste solo sulla costa romagnola e marchigiana, la cosiddetta “stagione” che non indica, come per tutto il resto del mondo, uno dei periodi in cui è suddiviso l’anno solare. La stagione, per la nostra gente, identifica, invece, quei quattro mesi estivi durante i quali moltissime persone lavorano duramente negli alberghi, nei ristoranti, negli stabilimenti balneari perché la riviera possa essere per gli ospiti la “spiaggia promessa”. Ma vorrei segnalare un ultimo aspetto. Al termine del libro l’autore dedica un poetico capitolo al proprio personale rapporto con la spiaggia e con il mare. Racconta del declinare della “stagione” dopo Ferragosto e di quei giorni di agosto e di settembre in cui il tempo “tiene ancora”. Vengono chiamati dall’autore giorni “unici e struggenti”. Ecco: per chi abita nelle località di mare o vicino ad esse, è proprio la descrizione giusta del sentimento che si prova per la spiaggia ed il mare. Non esisterebbero le incredibili fotografie che vediamo in questo libro, non vi sarebbe la storia di questo territorio se non esistesse il mare e, come inevitabile pendant, il fascino che sempre coglie chi si trova di fronte ad esso. Come ha scritto Antoine de Saint-Exupéry “Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito”.

Avv. Massimo Lazzarini Presidente della Banca Popolare Valconca

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A Andrea il piccolo, a Pietro il grande e a Elena che anche sulla spiaggia pensa a loro e a me.


Non c’è niente di più strano, più inesplicabile, che i dettagli più comuni della vita quotidiana. Edward Sapir 1927

S’addensa ai lidi e tutto Oblia la turba pazza E nel complice flutto La voluttà gavazza Giovanni Raffaelli 1867


Indice Introduzione La spiaggia promessa

p. 11

CAPITOLO 1: Rive primitive Acqua/Terra, Mare/Campagna, Mare/Città • Il mare di prima • Il popolo della riva

p. 17

CAPITOLO 2: Spazi Naturale/Sociale, Selvaggio/Domestico, Vuoto/Pieno • Zone da conquistare • Luoghi da trasformare • Spazi da riempire

p. 33

CAPITOLO 3: Corpi Sano/Sofferente, Asciutto/Bagnato, Vestito/Nudo, Chiaro/Scuro, Fermo/In movimento, Castigato/Provocante • Prima il dovere poi il piacere • Movimenti di liberazione • Il nudo e il cotto

p. 51

CAPITOLO 4: Elementi Dannoso/Salutare, Caldo/Freddo, Terapeutico/Ludico • Acqua: fenomenologia del bagno • Aria: un’atmosfera nuova • Sabbia: dalle dune ai castelli • Sole: una storia in chiaroscuro

p. 67

CAPITOLO 5: Contegni Ricco/Povero, Serio/Giocoso, Adulto/Bambino, • Segni particolari • Spiaggia ludens

p. 83

CAPITOLO 6: Insiemi Soli/In compagnia, Pochi/Molti • Ritrovarsi • Colonialisti e colonizzati • Libertè, egalitè, fraternitè

p. 95

CAPITOLO 7: Figure Ospitanti/Ospitati, Vacanza/Lavoro, Domanda/Offerta • Lavori e cultura dell’ospitalità

p. 111

CAPITOLO 8: Oggetti Ombra/Sole, Passivi/Attivi, Sabbia/Acqua • Storie minime

p. 125

Epilogo Fine stagione

p. 137

Bibliografia

p. 141


AFG, Riccione 1965, Davide Minghini. Il vecchio e il nuovo mare si incontrano. I tradizionali lavori del porto e della marineria diventano “colore locale� sullo sfondo della moderna balneazione.


Introduzione

La spiaggia promessa L'oggetto Questo libro è dedicato alla spiaggia, a un luogo che attraverso le trasformazioni di fruizione, struttura e significato avvenute a partire dalla metà del 1700 - con un’ accelerazione straordinaria negli ultimi cento anni - ha modificato radicalmente l’economia, il modo di pensare, lo stile di vita di ampie zone del mondo e, in maniera del tutto particolare, del territorio che qui viene preso in considerazione. Ma c’è di più. È fuor di dubbio che la spiaggia, con tutti gli elementi che le danno forma e sostanza rappresenti uno dei maggiori riferimenti immaginifici, al tempo stesso estremamente concreto e potentemente simbolico, della società di oggi, ponendosi come vero laboratorio privilegiato per l’osservazione e l’analisi delle mutazioni del comportamento sociale. In queste pagine si guarda agli arenili e al mare attraverso una lente adatta a mettere a fuoco segni, figure, atteggiamenti sociali, specifici di una pratica - quella della balneazione - che può considerarsi senza dubbio tra le più significative e diffuse del loisir contemporaneo. Come ad altri ambiti è stata affidata la ritualizzazione di fondamentali sentimenti collettivi (allo stadio e agli spazi sportivi l’aggressività e la competizione, alle manifestazioni di piazza, ai concerti e agli spettacoli l’identificazione culturale e il riconoscimento di gruppo, ecc) alla spiaggia è toccata la ritualizzazione forse più importante: quella della libertà. Libertà condizionata, stagionale, provvisoria e illusoria, ma pur sempre libertà; un’autodeterminazione da cercare tutti gli anni non in una terra ma su una spiaggia promessa, bagnata dalle acque di un mare amichevole che invitano al sollievo, al gioco, e permettono di vivere con soddisfazione la sacrosanta vacanza. Non è certo casuale che nell’immaginario corrente sogno di libertà e vita balneare finiscano spesso per coincidere, o quantomeno risultino apparentate da non trascurabili riferimenti psicologici e di senso. Non è incidentale che i luoghi balneari, vengano considerati più “leggeri”, più “disponibili”, portatori privilegiati della “filosofia del piacere”, dello stile e dei valori di una easy life indissolubilmente legata alla spiaggia, alle sue luci, ai suoi ritmi, AFG, Rimini anni ’70, Davide Minghini. Turiste straniere che danzano intorno a un “albero della libertà” innalzato sulla spiaggia. In archivio si trovano diversi scatti dello stesso Minghini che ritraggono questo singolare “rituale” praticato in quegli anni su diverse spiagge (cfr. cap.5)

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ai suoi messaggi emotivi e alla, solo in parte scontata, sensualità sociale che le è fisicamente e psicologicamente propria. Così la spiaggia estiva è per molti il luogo ideale e idealizzato di un’esistenza facile e gratificante, che sfugge ai rigori delle altre stagioni e della quotidianità produttiva e pensierosa. Da quando, tra la fine dell’’800 e il primo decennio del ’900, i bagnanti scendono sempre più numerosi dalle passerelle e dalle piattaforme dei primi ed esclusivi stabilimenti balneari, dal momento in cui si avvia il graduale declino delle strutture sospese sull’acqua, sulla sabbia e su un ambito umano “non conforme” al privilegio della vacanza, la spiaggia diventa motore di processi allargati di modernizzazione che segnano in profondità il pensiero e l’agire collettivo, diviene teatro di rappresentazione e innovazione culturale, addirittura scenario, sempre più ampio e incisivo, di significativa emancipazione. L’ambito geografico e sociale preso in considerazione per raccogliere i documenti e per sperimentare la particolare lettura del “fenomeno balneazione” proposta in queste pagine è per molti versi straordinario. L’area corrisponde a quel tratto di litorale adriatico che dalla Romagna meridionale si estende fino alle Marche, superandone, anche se solo per qualche chilometro, i confini. È quella striscia di costa che, pur in maniera diversa da luogo a luogo, ha generato, propagato e sostenuto il cosiddetto modello riminese, quel modello di sviluppo e comportamento turistico che, comunque lo si giudichi, ha avuto, e ancora ha, un forte impatto materiale sulla comunità locale (economico e di organizzazione generale del territorio) e immateriale nella cultura delle vacanze italiana ed europea. Questo contesto territoriale e umano ha la caratteristica di risultare omogeneo sotto diversi punti di vista, ha il pregio storico di essere uno dei primi in Italia che, come direbbero Jules Michelet e Alain Corbin, partecipa alla invenzione del mare, e possiede inoltre il primato effettivo, in Italia e non solo, di poter essere considerato per molti versi la culla della fruizione balneare di massa. Una modalità “popolare”di utilizzo della spiaggia che, superate le prime incertezze e le parentesi dei conflitti mondiali, transita con travolgente slancio dallo stato embrionale del XIX secolo alla modernità, correndo poi, con andature diverse, verso la cosiddetta post - modernità e le sfuggenti dinamiche del contemporaneo. La documentazione più adeguata e significativa per raccontare e analizzare il mondo della spiaggia in questo ambito e secondo la prospettiva antropologica appena suggerita (meglio tratteggiata più avanti) mi è sembrata indiscutibilmente quella fotografica. Dunque le fotografie raccolte in questo volume non sono pensate e presentate come apparato figurativo, ma come veri e proprio testi, composizioni di icone capaci di significare di più della scrittura e raccontare diversamente dalla parola scritta. È evidente che in questo libro il rapporto tra parola e immagine cerca un equilibrio, una parità di ruoli non sempre facile da raggiungere. Considerando le fotografie come “testi compiuti” è inevitabile incontrare immagini che scivolano veloci tra le correnti della quotidianità e altre che si alzano invece come rocce salde, spesso fin troppo esposte e monumentali, a cui ormeggiare memorie collettive e ricordi: si pensi, come esempio di quest’ultima categoria, alle numerose fotografie del Duce sulle spiagge della costa riminese e a quelle della folla che assiste allo spettacolare incendio delle cupole del Grand Hotel di Rimini nel 1920. Se ne incontrano però altre che raccontano più di quello che si coglie a un primo sguardo e a ben guardarle mostrano, senza presunzione, passaggi d’epoca, mutamenti profondi dei modi di vivere, trasformazioni del sentire individuale e sociale. 12


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AFG, Rimini 1928, Foto Mele. Vedi foto di copertina. Sono i bambini che per primi sulla spiaggia conquistano una libertà di comportamento e di esposizione del corpo che andrà progressivamente a conquistare tutta la “tribù balneare”.

La mia preferenza è andata a queste ultime e a tutte quelle storie piccole e grandi, chiare o nascoste, che queste fotografie, facendo il loro dovere, aiutano a immaginare. L’ imagerie che si presenta con queste caratteristiche ha la capacità di sedurre l’osservatore attento, è calda e sfuggente allo stesso tempo, piena di sorprese e di conferme. Affascinante. Un repertorio di icone di questo tipo è ricco di attrazione e complicità, all’ombra dei sentimenti come sotto le luci, sempre più sfumate e difficilmente distinguibili una dall’altra, della storia, della sociologia, dell’ antropologia del contemporaneo. Se poi gli oggetti/soggetti delle immagini sono la spiaggia e le rive, la fascinazione può risultare particolarmente forte e sottile, densa e volatile, concreta e leggera, non di rado contraddittoria. Proprio come l’aria di mare. Quello che va a formare questo volume è un repertorio di immagini capaci di narrazioni discrete, fotografie d’epoche diverse in grado di generare racconti e testimonianze certamente non monumentali, ma che si sottopongono piuttosto al giudizio di ognuno per valutarne il peso oggettivo e soggettivo, la reale portata, l’ incisività nella comprensione di un mondo - quello appunto della spiaggia e della balneazione - che ha segnato e segna in modi particolari, non esclusivamente economici, la vita di quel tratto di costa adriatica di cui si è detto. L’intenzione non è quella di proporre, attraverso i documenti fotografici, un racconto completo o di presentare storie e immagini che vantino il pregio dell’inedito, ma solo quella di imbastire una trama, la struttura di un’ analisi che può - anzi deve - essere arricchita da successivi contributi e nuovi materiali. Il tentativo è piuttosto quello di posizionare, attraverso le immagini e le riflessioni a cui portano, solo qualche tessera di un mosaico il cui disegno finale è quello di una, chiamiamola così, antropologia balneare ancora in gran parte da definire nei suoi contenuti e nei suoi confini. Non mi sembra azzardato e stravagante affermare che una disciplina con repertori concettuali e metodi di analisi utili a tentare l’interpretazione puntuale di un fenomeno come quello della balneazione e della vacanza al mare, sia proprio l’antropologia. 13


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La storia sociale, la sociologia, la psicologia di massa, hanno fatto e continuano a fare più che egregiamente la loro parte, ma per spiegare la balneazione, un atto ludico, oggi tra i più praticati, correnti e quantitativamente rilevanti al mondo, può risultare utile un percorso nelle pieghe dei comportamenti, dei simboli e dei pensieri di gruppo tipico dell’approccio antropologico. L’obiettivo di questo lavoro è quello della costruzione di una mappa, seppur solo abbozzata, con cui orientarsi nella comprensione di una pratica sociale decisamente singolare sotto diversi punti vista: si tratta pur sempre di un numero enorme di individui seminudi che, seguendo un solido rituale, si ammassano in un determinato periodo, poltriscono al sole, si bagnano e giocano con l’acqua marina. Una pratica che credo non si spieghi solo seguendo il filo che cuce ieri con oggi, ma si comprende meglio individuando alcuni punti di riferimento, la struttura portante e poi tutte le immissioni materiali e immateriali che formano il variegato mondo e la moderna liturgia della vacanza al mare. Materialità e immaterialità mutate di pari passo da privilegio di pochi a sogno realizzabile e realizzato di molti, producendo quel complesso, indubbiamente eterogeneo, al quale si è giunti a dare la definizione di Cultura Balneare, intesa come l’insieme di gesti e segni prodotti da e per una particolare specie, l’ homo balnearius, che grazie alle sue migrazioni stagionali, in cui si spoglia delle abitudini e degli abiti consueti, oggi ben conosciamo e possiamo osservare in tutto il mondo. Quella cultura che, come è stato efficacemente detto, è costituita da “quelle usanze e quei riti che guardano alla linea del mare senza necessariamente tentare di superarla”1. Il continuo rimando tra le espressioni concrete (i luoghi modificati, le strutture, gli oggetti significanti, le “vedute” ecc.) della vacanza balneare e il peso culturale e simbolico della sua pratica (attribuzione di valore sociale, comportamenti, usi e costumi di spiaggia) è ciò che dà vita alle riflessioni e alle immagini presentate. Potrà sembrare paradossale affermarlo, ma la “migliore”, la più “coerente” balneazione, a dispetto di paradisiache, quanto promozionali, immagini di spiagge solitarie, è quella della folla, della concentrazione. Sicuramente è quella più rilevante culturalmente. Il mare spopolato, la spiaggia deserta, oltre che un topos piuttosto retorico, finiscono per essere un’altra cosa, in realtà non così diversa da un fiume, da un lago, da un bosco, da una montagna. Dove ci si concentra più o meno densamente in mutande, la balneazione offre, in quanto fenomeno sociale, culturale, comportamentale, il meglio di sé. Il metodo Per dare una struttura adeguata all’approccio antropologico si è scelta una semplice suddivisione in sezioni tematiche, affiancate da significative opposizioni, un metodo, quello oppositivo, che nel caso dell’analisi della spiaggia e del suo utilizzo rivela una coerenza quasi magica. Freddo/Caldo, Ombra/Sole, Vestito/Nudo, Chiaro/Scuro, sono solo alcune, le più scontate, delle opposizioni che consentono di cogliere i significati della vita balneare. L’organizzazione dei materiali che vanno a formare il volume, pur non rinunciando a indispensabili riferimenti cronologici, non punta a una ricostruzione delle vicende disposte lungo la ricca e frastagliata storia che trasforma la spiaggia, il mare e le coste riminesi da luoghi liminali di lavoro/sopravvivenza, solitari, non privi di pericoli e disagi, in sogno massificato di benefica leggerezza del vivere. Lo hanno già fatto altri in modo esaustivo, con un rigore e una precisione difficilmente eguagliabili2. Qui non si ricostruisce la storia del turismo balneare locale, ma piuttosto si cerca di interpretare, anche parzialmente, l’insieme delle trasformazioni della marina, i mutamenti profondi del significato culturale e socia14


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le della spiaggia e dell’esperienza che mette la spiaggia al centro di un periodo assolutamente ben delimitato della propria vita (la vacanza) o, all’opposto, del proprio lavoro. Non si illustra dunque una sequenza di accadimenti, ma si inquadrano alcuni dei segni mutanti che si intrecciano estate dopo estate, stagione dopo stagione, dalla metà del 1800 fino circa alla metà degli anni ’70 del Novecento, periodo in cui un fondamentale ciclo storico del turismo balneare riminese, quello che affonda le sue radici nel secondo dopoguerra, si avvia alla conclusione per lasciare campo, negli anni ’80 e a seguire, a numerosi ripensamenti e rinnovamenti nati tutti all’insegna del “post”. Sono gli anni in cui nel turismo in generale e sul palcoscenico della spiaggia maturano revisioni e innovazioni “post-industriali” e “post-moderne”, partorite da modelli di consumo e culturali di massa che si differenziano sensibilmente dai precedenti. In questa prospettiva le immagini rivelano davvero tutto il loro potere, la loro capacità di essere specchio forse non totalmente puro (l’occhio e l’intelligenza del fotografo hanno in diversi casi un loro rilevante peso) ma sicuramente veridico dei cambiamenti avvenuti. Le fotografie testimoniano al meglio i processi che hanno portato la terra/mare riminese ad un ruolo di “avanguardia”, ad assorbire ed elaborare prima di altre stili, mode, comportamenti, contraddizioni, che la collocano ancora oggi in posizioni primarie dell’immaginario turistico-sociale italiano. Le immagini raccontano di forti significati sociali ed economici costruiti negli anni, di vacanza ma anche di lavoro, di impegno e sacrifici, di capacità collettiva e di individualismo, di quello che è stato fatto e di quello che oggi è opportuno, anzi necessario, ancora fare, non solo per conservare, ma per rinvigorire e rinnovare l’inestimabile valore naturale, economico e umano delle spiagge e del mare. Note 1 Morpurgo 1987, p. 13. 2 è innanzitutto doveroso ricordare per il loro fondamentale contributo alla conoscenza dei vari aspetti della cultura balneare le tante opere di Ferruccio Farina, nelle quali sono presenti ricerche approfondite e brillanti interpretazioni riferite sia all’ ambito locale che a quello internazionale, e quelle di Maria Lucia De Nicolò che offrono ricostruzioni storiche del mondo balneare e marinaro dettagliatissime e con riferimenti documentari straordinariamente completi. Grazie ai loro studi è stato possibile tentare l’approccio che si propone in questo volume. Sono pure da segnalare l’opera di Luigi Silvestrini, il primo storico della balneazione riminese, i contributi di Giorgio Gattei, Manlio Masini, Patrizia Battilani (vedi bibliografia). A loro e a tanti altri citati nel testo sono debitore per aver attinto a una gran mole di materiali di prima qualità.

AFG, San Mauro Mare anni ’50, Josip Ciganovic. Lo spazio e la scenografia della spiaggia mutano progressivamente in relazione alle complessive trasformazioni della “società balneare”.

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I. Rive primitive

Acqua/terra, mare/campagna, mare/città

è davvero tanta la differenza tra il prima e il dopo. Le dimensioni reali della trasformazione radicale di un territorio e di una società non si possono cogliere se non partendo dalle spiagge quand’erano segnate solo dai suoni del mare, dai variabili umori e rumori dell’acqua e del vento che mettevano in risalto l’isolamento e i profondi silenzi della costa. Quando gli arenili si presentavano come luoghi d’ intensa e a volte preoccupante solitudine. Spazi, quasi ovunque e quasi sempre, di desolazione e di confusi relitti portati dalle onde. In pochi decenni il rapporto tra acqua e terra, tra il mare e ciò che gli è vicino, campagna o borgo che sia, muta velocemente in senso fisico e in senso culturale. Una rivoluzione di geografia umana che per portata sociale, economica, comportamentale, simbolica ha pochi eguali nella storia contemporanea. Peccato che vedute fotografiche del mare di prima, quello di metà ’800, senza forestieri alla conquista delle acque e delle spiagge, non le abbiamo e, se ci dovessimo attenere strettamente alla cronologia, non possiamo averle1, ma in alcune immagini, ben più vicine a noi, sembra ancora di poter cogliere rapporti tra gli spazi balneari oggi impensabili, aspetti distintivi di un paesaggio naturale/storico e di un ambito umano che portano chiara l’eco e quasi il profumo dell’era pre-turistica.

Il mare di prima Tutto nasce dall’acqua. Dei signori bagnanti nel Riminese si ha qualche sparuta traccia sul finire del 1700, un timido e “spontaneo”, ma in qualche modo già significativo, arrivo nei primi decenni del 1800 che si consolida in svolta epocale con l’apertura dello Stabilimento Privilegiato dei Bagni marittimi di Rimini avvenuta nel luglio del 1843. Prima del loro arrivo sulla spiaggia, l’acqua del mare era diversa. Un elemento senz’altro ambiguo, considerato non di rado ostile2, valutato in modo discordante rispetto al generale giudizio positivo che si affermerà poi. Pochi trattavano l’acqua dei lidi marini con vera confidenza, meno ancora con compiacimento. A causa dei dispiaceri procurati dalla sua natura inaffidabile, che non raramente mieteva vittime tra i lavoratori del mare3, dei rancori collettivi nati da storie neanche tanto lontane, (le scorrerie lungo la costa delle veloci imbarcazioni Turchesche e Uscocche erano ben impresse nella memoria e cosa da far vera paura ancora nel diciottesimo secolo), di frequentazioni non raccomandabili (contrabbando, loschi traffici via mare) e di uno stile di vita che generalmente non vedeva di buon occhio

abluzioni del tutto ingiustificate, avvicinarsi alle spiagge era per molti, quasi tutti, cosa inutile se non dannosa. Anche in estate, anche con il caldo, le spiagge non erano luoghi particolarmente attraenti per la collettività e nulla suggeriva una frequentazione che non fosse un’ escursione episodica e “avventurosa” vicino ai porti o nei luoghi più sicuri e protetti. “A quel tempo [1715] le spiagge romagnole erano interessate nella bella stagione (diciamo da giugno a settembre) dalle scorrerie dei pirati schiavoni e albanesi, che provenienti dall’altra parte

AFC, Cattolica anni ’20, anonimo. Ai margini del porto canale che separa Cattolica da Gabicce Mare si ha ancora una campagna intensamente lavorata, con un assetto agricolo di piena produttività. La vegetazione e le colture lambiscono le banchine, lo squero e i cantieri, le vigne arrivano a pochi passi dal mare. A fianco: AFG, Cartolina Tipo di pescatore romagnolo, ed. L’Emiliana di Bellicchi e C., primi ’900, anonimo.

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dell’Adriatico, vi approdavano velocemente per saccheggiare cose, bestie e persone che si trovassero sull’arenile”4 problema, questo dei pirati, tanto reale e sentito d’aver richiesto l’edificazione e la manutenzione lungo la costa di un capillare sistema di controllo attraverso apposite torri di avvistamento. Perché frequentare questo spazio selvaggio? Sembra lo si facesse solo per raccogliere legna portata dalle mareggiate, coltivare qualche ortaggio da vendere in città, per qualche incontro appartato, per andare a caccia, oppure per specifiche osservazioni scientifiche, come quelle che Giovanni Simone Bianchi, Jano Planco, il poliedrico scienziato riminese, effettua in modo sistematico sulla spiaggia della sua città intorno al 17405. Ma l’acqua di mare nel diciottesimo secolo andava rapidamente guadagnando fama e fortuna. A metà del 1700 gli insegnamenti del dottor Richard Russel, (cfr. cap.4) insieme a quelli dei suoi colleghi igienisti inglesi,

AFC, Cattolica primo decennio del ’900, anonimo. Ruota da cordai e lance da pesca alate sulla riva della “Punta della valle”, cosiddetta perché indicata come apice dell’intera Valle Padana che si chiude con la foce del Tavollo. L’aspetto di questo tratto, con la presenza della vegetazione prossima alla battigia e l’acquitrino ancora presente ricorda quello dei “terreni staggivi” che caratterizzano il litorale prima dell’utilizzo balneare.

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riconosciuti dagli storici della balneazione come principali propulsori della nuova concezione del bagno marino, sono condivisi largamente non solo dalla comunità scientifica e medica, ma dall’alta società nel suo insieme, prima quella anglosassone, poi quella di tutta Europa. È a quell’epoca, anche se non erano mancati diversi anticipatori, anche italiani, delle teorie di Russel6 che matura la convinzione, grazie alla concomitanza di più fattori, non solo scientifici, che l’acqua di mare, allo stesso modo o ancor più dell’acqua dolce termale, fosse il toccasana per guarire il corpo e lo spirito sofferente di nobili, potenti e abbienti dell’ancien regime, afflitti da uno “sfibramento di classe” che di lì a poco, con la rivoluzione francese, vedrà l’insorgere e il propagarsi di una risposta storica radicale e per molti versi definitiva. “L’afflusso di massa dei pazienti nelle stazioni termali marine che ha inizio verso il 1750 mira a sciogliere antiche angosce; diventa uno degli strumenti per


Rive primitive

combattere la malinconia e lo spleen; ma è anche risposta al bisogno di placare le nuove ansietà che durante tutto il XVIII secolo nascono e si avvicendano all’interno delle classi dominanti. Proprio su questo malessere si svilupperà il discorso medico che esalta le virtù dell’acqua fredda di mare e prescrive bagni di onda e villeggiatura sulla costa. Insieme alla conoscenza scientifica, medici e igienisti diffondono allarmi e desideri, elaborano, gestiscono e codificano pratiche, che più tardi, sfuggiranno al loro controllo”7. L’idroterapia di modello inglese, quella dei bagni freddi, scioccanti, in qualche modo drammatici, sulle coste del Nord, diventa moda, rituale di classe apprezzabile e distintivo. Chi se lo può permettere, comincia guardare a tutte le coste praticabili, anche a quelle che godono di acque e climi più facili, dove il bagno e le temperature sono meno sferzanti, forse meno “rigeneranti” rispetto alle indicazioni del dottor Russel e dei suoi primi seguaci, ma certamente più piacevoli. Cura e piacere, che già si incrociavano significativamente nelle stazioni termali e balneari del Nord Europa8, grazie all’aspetto esplicitamente mondano che accompagnava e in qualche modo dava forma alla villeggiatura “delle acque”, ancor di più si intrecciano sulle coste mediterranee dove trovano nuovi elementi (la natura confortevole delle coste, l’allargamento progressivo dell’ambito sociale, il clima, ecc.) che danno ulteriore e potente slancio alla pratica balneare. I bagnanti stranieri che arrivano in Italia guardano inizialmente alle spiagge toscane, (non a caso il primo vero stabilimento dei bagni in Italia è considerato quello di Viareggio risalente 1828, anche se qualcosa di simile si era realizzato a Livorno nel 1781 e a Trieste nel 1823) al mare della Liguria, così vicino alle coste francesi, a Venezia, dove nel 1833 si attrezzerà uno stabilimento galleggiante e nel 1850 si avvierà l’utilizzo delle spiagge del lido.

È comunque certo che sul finire del 1700 e i primi anni del secolo successivo, anche sulla costa riminese qualcosa si sta muovendo. Puntuali ricerche di Ferruccio Farina ricostruiscono con dovizia di particolari la vicenda, risalente al 1790, della visita a Rimini di Elisabeth Kenneis, moglie non solo irlandese ma anche ben più giovane dell’attempato nobile romano Giuseppe Rondanini, che il cronista cittadino “per eccellenza”, Nicola Giangi, ricorda essere rimasta in città quindici giorni per “attuffarsi nell’acqua di Mare” e forse per consumare una relazione che presentava alcuni aspetti più gratificanti di quella con il consorte9. Sempre il Giangi riporta, come segnalato da Luigi Silvestrini, il primo attento storico della balneazione locale, che negli ultimi anni del secolo XVIII “per il caldo eccessivo di vari estati, alcuni cittadini riminesi si recavano alla spiaggia a prendere un bagno ed a godere le brezze pomeridiane!”10 e la stessa preziosa cronaca nel mese di agosto dell’anno 1806 ricorda i bagni di mare a scopo terapeutico di Carlo Bellisomi Vescovo di Cesena11. Luigi Bonaparte frequenta la spiaggia di Rimini nel 1817. Nel 1823 va in scena la particolarissima vicenda di Luciano Bonaparte, altro fratello di Napoleone, e della sua famiglia. Il titolato ospite, giunto a Rimini espressamente per godere dei bagni di mare vede le donne del suo seguito cadere vittime degli sguardi indiscreti e atteggiamenti ritenuti oltraggiosi, di tre giovani riminesi che sulla spiaggia evidentemente non cercano, come succederà a molti dopo di loro, solamente i benefici dell’acqua e dell’aria, ma anche emozioni di altro tipo. L’episodio, citato più volte da diversi storici per la sua significatività a livello nazionale, trova la più efficace sintesi nelle stesse parole del Giangi12: “Portandosi qualc’una donna di sua aderenza o parentale al bagno ne’ soliti casotti trovavasi poco distante in mezzo al mare per lo stesso effetto tre gio19


Spiaggia AFC, Gabicce Mare anni ’50, anonimo. è ancora ben evidente lo stretto rapporto tra spazi rurali e spazi marini. La campagna, con tanto di attività pastorizia, arriva in prossimità del mare: vicino alla riva e tutt’ intorno alla prima strada panoramica che unisce Cattolica a Gabicce si stendono campi coltivati e vigne.

vani di poca età, due nobili e un cittadino i quali immediatamente si avvicinavano al casotto per osservare dalle larghe fenditure chi vi era dentro a bagnarsi” Luciano, contrariato della sfacciataggine riminese, raccoglie tutta la sua piccola corte e fa i bagagli per recarsi nella poco distante e più tranquilla Cattolica. La piccola narrazione è significativa sotto diversi aspetti, a prescindere dal dato dominante dell’endemica pruderie balneare. I casotti, intendendo qui le provvisorie “palafitte” di legno costruite ogni estate in acqua per consentire la diretta discesa tra i flutti e proteggere i bagnanti dalla vista di altri eventuali frequentatori, sono già definiti “soliti”, a dimostrazione che il loro utilizzo avviene da qualche tempo. Altro dato documentario, ovvio, è nel fatto che alcuni giovani riminesi, sia nobili che cittadini, già a quei tempi praticano con evidente confidenza e soddisfazione i bagni di mare. Negli anni ’30 del 1800 la frequentazione della spiaggia è sempre più documen20

tata avendo come protagonista una varia umanità che spazia da un estremo all’altro della compagine sociale: dai patrioti della classe borghese emiliana che stringono rapporti con i cospiratori locali con la scusa dei bagni di mare, alle truppe austriache chiamate a tutela dello Stato pontificio, dalle tranquille coppie di sposi, agli assatanati militari stranieri che violentano le donne mentre vanno in acqua scoprendosi appena appena13. Evidentemente sulla spiaggia c’è già gente, se le autorità locali sentono la necessità proprio in quegli anni e di emanare editti e disposizioni per tenere a freno comportamenti individuali e collettivi considerati intollerabili (cfr. cap. 3). Indubbiamente la data del 1843, anno di inaugurazione dello Stabilimento dei Bagni di Rimini segna sotto diversi aspetti il confine tra un prima e un dopo. Il mare libero e la spiaggia naturale, semi – selvaggia, hanno fatto il loro tempo: non rispondono più alle esigenze di una pratica


Rive primitive

sociale che si va affermando e mostra un interessante potenziale di sviluppo economico, non procurano entrate significative, favoriscono piuttosto aggregazioni e contatti sconvenienti, se non addirittura pericolosi, per l’ordine pubblico e la morale. Il tempo delle dune spinose che proteggono qualche orto, dei canneti fitti in cui appartarsi, dei disordinati depositi naturali sulla battigia, delle onde incustodite, dei molestatori e guardoni fuori controllo, sta vivendo il suo tramonto. Un tramonto che su alcune spiagge sarà piuttosto rapido, in altre più lento, ma ovunque inarrestabile. Un crepuscolo dell’arenile selvatico che lascerà il posto ai chiarori mondani dei giorni e delle notti che sostanziano la moda borghese della balneazione “terapeutica” e poi, intorno al secondo decennio del 900, alla luminosità accecante del sempre più apprezzato, moderno e accessibile sole vacanziero. Il popolo della riva Il popolo della riva, quell’insieme di lavoratori dei porti e della pesca, di contadini e cittadini frequentatori delle spiagge coperte di vegetazione, di chi per un motivo o per l’altro viveva a contatto con il mare, una relazione naturale e culturale con l’arenile e l’acqua marina l’aveva, ovviamente, anche prima dell’arrivo dei turisti. Luigi Silvestrini, riferendosi a Rimini, però così annota; “Ora se è lecito supporre che una città, che tanta parte della sua vita esplicava sul mare, conoscesse l’abitudine dei bagni marini, delle gite in barca e del soggiorno salutare lungo la spiaggia, è tuttavia doveroso riconoscere che nessuna manifestazione di vita collettiva balneare, intesa in senso moderno, è esistita fino al principio dell’Evo Moderno. Nelle cronache del tempo, in tutte indistintamente, non vi è il minimo cenno: perfino nel periodo del dominio dei Malatesta [...]in cui Rimini visse di una vita più intensa e anche brillante,

AFG, Rimini primi ’900, anonimo. Un altro ritratto che esaspera, com’ era consuetudine all’epoca, i caratteri arcaici e identirari delle comunità tradizionali locali. Da notare, oltre all’aspetto generale reso in chiave pittorica, il segno distintivo “di costume” costituito dal capo di abbigliamento incerato e con cappuccio detto “gabana”.

non si ha notizia alcuna che ne gli abitanti e molto meno da persone del di fuori, vi fosse la consuetudine del soggiorno marino, del bagno sportivo o terapeutico, delle gite in barca, insomma di quel complesso di abitudini che costituiscono la vita balneare moderna”14. Oggi si propende a riconoscere l’esistenza, anche se poco documentata, di una sorta di balneazione spontanea pre-turistica e di un uso “popolare” di bagnarsi nell’acqua di mare in alcune occasioni specifiche dal valore aggregativo e terapeutico – rituale. Da più parti si segnala la presenza in Romagna di una tradizione che portava uomini e bestie sulle rive, per via della “credenza diffusa fra i contadini romagnoli che un bagno fatto nel giorno di San Lorenzo valga per quaranta e che l’acqua salata, di cui ci si asperga il dieci di agosto, preservi dai malanni per tutta l’annata [...] I bagni erano fatti con cura coscienziosa, interrotti da violenti massaggi e sabbiature. [...]anche i buoi,anche 21


Spiaggia AFC, Cattolica intorno al 1910, Giuseppe Michelini. Marinai sul porto di Cattolica. Giuseppe Michelini, possidente di famiglia bolognese, soggiornava alla Villa Majani di Cattolica. Appassionato di fotografia ha realizzato magnifici scatti nelle località di costa. Alla sua attività sono state dedicate diverse mostre e opere. A destra: AFG, Rimini cartolina fine 800, primi ’900, anonimo. Altra immagine che mette insieme un repertorio articolato di indumenti e oggetti connotativi del tipico pescatore (copricapo, gabana, zoccoli, il cesto detto paner, galleggianti, ecc) per rappresentare al meglio un rude e dignitoso paron riminese.

i cavalli, anche il somaro devono fare il bagno di San Lorenzo.”15. E ancora: “Era tradizione che nel giorno di San Lorenzo ci si dovesse immergere sette volte nelle acque del mare, a scopo purificatorio e propiziatorio; o comunque che un bagno in questo giorno [...] valesse “per sette”, cioè avesse prodigiosi poteri. Una cerimonia probabilmente lustrale e propiziatoria, questa del bagno di San Lorenzo, nota in tutta la Romagna e soprattutto nelle zone costiere”16. In una raccolta di usi popolari risalente al 1927 si conferma che il 10 agosto, giorno di San Lorenzo “ha luogo un’affluenza straordinaria di bagnanti specie dal contado dominati dalla credenza superstiziosa che l’acqua del mare possegga in quel giorno non si sa quale misericordiosa virtù di guarire mali di ogni specie mediante sette bagni che molti semplicioni, scrupolosamente effettuavano una volta”17. 22

Evidentemente questa tradizione, che qualcuno vorrebbe ricondurre ad antichi riti lustrali pagani, (pur considerando quanto sia difficile una datazione certa della sua origine, che potrebbe anche risultare non necessariamente così remota) riconosceva già le proprietà terapeutiche della “balneazione”, ed è evidente che dietro al richiamo magico del giorno di San Lorenzo è testimoniata un’ esperienza consolidata dei benefici purificatori, igienici, curativi portati dal lavarsi nelle acque marine e dai massaggi con la sabbia. Sembra possibile anche affermare con un buon margine di sicurezza che, anche prima che la moda dei bagni marini conquistasse l’Europa intera, qualcuno si bagnasse semplicemente per alleviare i fastidi del caldo estivo e per godere dell’acqua. Questo però, a quanto è dato capire, lo facevano in pochi: giovani scapestrati, lazzaroni e perditempo in odore di immo-


Rive primitive AFC, Cattolica anni ’20/30, anonimo. Ritratto di vecchio marinaio.

ralità, popolani della più bassa estrazione o, all’altro capo della scala sociale, come abbiamo visto, qualche originale intellettuale e nobile rampollo. Le popolazioni locali, soprattutto i più giovani, vivevano sicuramente le possibilità ludiche del mare estivo; Don Carlo Tonini, parroco di Riccione a cui si deve una straordinaria ed efficace opera di lancio della località sotto il punto di vista balneare e sociale, lascia una testimonianza, decisamente tarda (1868) ma comunque significativa, di questo utilizzo: “I nostri bambini al giungere del maggio incominciano a far uso per loro diporto di bagni marini, e come altrettanti pesci te li vedi snelli, e svelti guizzar nell’onde; e se ritrovano un battello screpolo poggiato alla riva a frotte saltan dentro e via a passeggiar pel mare. Le loro prime occupazioni, e di tutta quasi la giornata si è quella di starsene sulla spiaggia ora

per raccogliere legna dal mare gettata al lido, or per raccor pesce,o crostacei, o telline.”18 In ogni caso il bagno“spontaneo” in mare non era probabilmente considerato molto diverso, né più sicuro e significativo del bagno nel fiume o nelle infide “pozze” delle casa di campagna. Chi, per amore o per forza, col mare ci doveva campare, viveva preferibilmente sopra l’acqua, non nell’acqua. Letteralmente sopra, cercando di bagnarsi il meno possibile. L’acqua non era poi così discorde dalla terra, entrambe richiedevano grandi sacrifici, nella realtà fisica mare e campagna erano perfettamente contigui, attaccati, assai più vicini di quanto lo fossero - con l’ovvia eccezione delle aree portuali più grandi e antiche - la riva e i centri storici. Spiaggia e campagna risultavano quasi compenetrate una nell’altra e ambedue riservavano incertezze di vita e lavoro. La 23


Spiaggia AFC, Cattolica anni ’20/30, anonimo. Ritratto di vecchio marinaio. A destra: AFC, Cattolica anni ’20/30, anonimo. Ritratto di “paron” sulla sua imbarcazione.

diversità stava, casomai, nella varietà dei timori e delle fatiche. L’acqua la si fendeva col timone e i remi piuttosto che con l’aratro e la vanga, si usava la rete al posto della falce, ma lo scopo era lo stesso, raccogliere di che sopravvivere, riuscire in qualche modo a sbarcare il lunario. Anche per chi lavorava con il trasporto, non c’era poi tanta differenza: la vela da una parte, la ruota dall’altra servivano per portare a destinazione merci e persone superando rischi in mare come in terraferma. Il marinaio e il carrettiere, il pescatore e il contadino, se pure non si incarnavano addirittura nella stessa persona, finivano spesso per frequentare gli stessi luoghi, incrociare esistenze e occupazioni, ubriacarsi e azzuffarsi per gli stessi motivi19. Comunque, fino a quando non si fece strada l’idea degli effetti positivi della balneoterapia, era opinione corrente che, se non strettamente necessario per svolgere lavori faticosissimi, fosse meglio non toccare troppo l’acqua. Non si va 24

lontani dal vero a dar retta alla chiacchiera che molti dei marinai di un tempo non sapessero nuotare. L’acqua, fino ai primi anni del XX secolo, la si toccava appena per pescare con la tratta, la si guardava lambire gli scafi dai trabaccoli,dalle battane e dalle lance, si scrutava dalla palata del porto, dall’alto delle greppe e dai poggi che sovrastavano le spiagge, dai campi e dagli orti zappati a pochi metri dalle onde, fin dove il ferro non sollevava la sabbia bagnata e la troppa salsedine non bruciava le piante. La campagna vera, quella dei filari di vite, dei campi di fieno e di grano, e quella più “cittadina” e borghigiana degli orti e delle coltivazioni domestiche, si fermavano a pochi passi dalla riva, dove il terreno, comunque fertile per alcune colture, cedeva alla sabbia una modesta striscia sulla battigia, oppure veniva sopraffatto dai canneti, dagli acquitrini salmastri frequentati da cacciatori e uccellatori, dalla vegetazione robusta e ruvida delle dune.


Rive primitive

Ancora nei primi due decenni del ’900, confinante con le recinzioni dei sempre più numerosi villini, realizzati spesso con convinta ed eclettica leziosità borghese, c’è, quasi ovunque, una spiaggia “di campagna” (cfr. cap 2.) In qualche modo inseriti in un “contesto rurale” appaiono anche i porti che rivelano tutta la loro natura di vera porta comunicante tra un mondo e l’altro, tra ambiti lavorativi ed esistenziali di mare e di terra che certamente vedono, come molti studiosi hanno amato sottolineare, evidenti differenze culturali, simboliche, addirittura linguistiche e comportamentali, ma anche affinità, contiguità, coincidenze sostanziose che studi più approfonditi potrebbero meglio mettere a fuoco. Mare, città e campagna, in passato sembrano trovare una sintesi, una compenetrazione fisica e culturale proprio nel porto, fino a sancirne la particolare propensione a costituirsi come zona franca, liminale, in cui il contesto

naturale e umano tende a mischiare elementi, individui, comunità, spazi, lavori, strutture e architetture col risultato di costruire un linguaggio proprio e specifico dell’ambito portuale. Certo la situazione è diversa da centro a centro, da città a città. Il porto di Rimini è inserito in un contesto urbano storicamente sedimentato, mentre, quello pur importante di Cattolica, mostra fino agli inizi del ’900 un paesaggio di spiccata “ruralità”. Negli altri centri, Riccione e Bellaria, le strutture di attracco sono minimali e spesso le piccole imbarcazioni si ricoverano semplicemente portandole a secco sulla spiaggia. Sulla costa, non solo nei porti, si muove l’umanità dell’altro mare, quello antico, pre-turistico, il mare “etnico” della pesca, delle barche e delle attività della riva (lavoratori dei cantieri navali, velai, cordai, fabbricatori di reti, trasportatori, commercianti del pescato, ecc.) che si avvia al declino o alla reclusione

A sinistra: AFC, Cattolica intorno al 1910, Giuseppe Michelini. Straordinaria testimonianza fotografica dell’attività dei sassaioli che si immergevano completamente nudi in acqua per riempire di sassi un cesto che poi veniva issato con un rudimentale vericello.

AFC, Cattolica anni ’20, anonimo. Zona darsena. Evidente l’aspetto rurale dell’area, sullo sfondo il cantiere con il deposito degli attrezzi e il trabaccolo in costruzione. Da notare le ruote dei cordai azionate dai bambini e la canapa, con cui si realizzava il cordame, in mano ai lavoranti.

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Spiaggia AFC, Cattolica intorno al 1910, Giuseppe Michelini. La pesca con la “tratta”, una delle attività di riva più praticate.

AFC, Cattolica inverno 1928-1929. Foto Capitanio. Il porto d’inverno. Tutte le stagioni, non solo l’estate influenzano fortemente la vita della popolazione della riva. L’inverno del ’29, rimane memorabile per aver addirittura ghiacciato il porto di cattolica.

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Rive primitive AFC, Cattolica anni ’20, anonimo. Cantiere navale nello squero. Sistemazione di un piccolo trabaccolo in primo piano e costruzione di uno più grande sullo sfondo.

AFC, Cattolica fine anni ’20, inizio anni ’30, anonimo. Selva di vele con le diverse colorazioni e raffigurazioni distintive delle imbarcazioni.

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Spiaggia

AFC, Cattolica 1945, anonimo. La spiaggia è ancora luogo di ritualità marinare profondamente sentite. La foto ritrae il grande corteo funebre in occasione della cerimonia per il naufragio del motopeschereccio Anna Luigia in cui perì tutto l’equipaggio.

AFC, Cattolica anni ’50, anonimo. I vongolai pescano ancora con la tecnica della “bacchetta”.

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AFG, Rimini 1952, Angelo Moretti. La modernità, rappresentata dalla bagnante, incontra il mare “antico”, rappresentato dal simbolo più arcaico della marineria locale, i due occhi apotropaici posti a prua del trabaccolo.

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Spiaggia AFC, Cattolica metà anni ’50, anonimo. Rammendo delle reti sulla darsena.

AFC, Cattolica metà anni ’50, cartolina, Il porto, anonimo. I lavori del porto tra cui il rammendo delle reti diventano immagini da cartolina, documenti di una “folklorizzazione” dei mestieri e della gente della riva ormai compiuta.

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man mano sempre più accentuata nella recinzione stretta e rigorosa dell’area portuale. Non è casuale che la distinzione culturale, la visione folkloristica, la riduzione della cultura tradizionale del mare a semplice colore locale, sia così presente ed evidente nella prima iconografia e fotografia balneare.

Già tra il 1920 e il 1930 la “subalternità” del mare dei pescatori e dei marinai, con tutto il mondo di competenze, figure, mestieri, relazioni che gli appartengono20, rispetto al mare dei bagnanti e dei bagnini, diviene sempre più evidente dal punto di vista economico e culturale. L’economia e l’organizzazione sociale della riva


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che si vanno affermando sono quelle del turismo, ma la convivenza tra vecchio e nuovo mare, si protrarrà per diverso tempo, (spesso ristretta entro i limiti del porto o per gli apprezzati risvolti gastronomici della pesca) fino ad arrivare, pur sfilacciata e a volte con qualche contrasto, sorto soprattutto nel periodo di massiccia industrializzazione della vacanza balneare, ai giorni nostri. Le immagini diventano testimonianza non solo di un mondo“tradizionale” del mare e della riva di rilevante spessore, ma anche e soprattutto di una consapevolezza della diversità antropologica tra abitanti della riva e forestieri bagnanti che avrà significativa fortuna nell’iconografia balneare, trovando poi il modo di coniugarsi anche con le nuove figure professionali della spiaggia, prima fra tutte quella, segnata da una vera micromitologia, del bagnino, emergente campione e custode del nuovo popolo balneare (cfr. cap7).

Note 1 Secondo i più attenti studi le prime testimonianze riguardanti tentativi di attività fotografica a Rimini risalgono al 1845, due anni dopo l’apertura del grande Stabilimento Bagni dei Baldini e del Tintori. A oggi sono disponibili documenti fotografici (per altro non riguardanti la spiaggia) non precedenti al 1859. Si vedano Farina 1982, Farina 1987, e Farina, Giardini 2003. 2 Corbin 1990, pp. 11-35, Sorcinelli 1998 pp. 129-131. 3 Masetti Zannini 1980, p. 10. 4 Gattei 1990, p. 12. 5 Sivestrini 1965, pp. 29-31, Farina 2003, pp. 17-18. 6 De Nicolò 1995, Triani 1988, pp. 13-29, Sorcinelli 1998, pp. 135-138, Corbin 1990, pp. 85-104, Battilani 2001, pp. 100-114. 7 Corbin 1990, p. 85). 8 Corbin 1990, pp. 85-104, Savelli 2009, pp. 88-97, Battilani 2001, pp. 100-116. 9 Farina 2003, pp. 15-17. 10 Silvestrini 1965, p. 34. 11 Masetti Zannini 1980, p. 9. 12 N. e F. Giangi Cronaca, voll. 4 SC Ms 340-343 alla data 1823, Farina 198, p. 7, Triani 1988, p. 28, Gattei 1990, p. 16, Farina 2003, pp. 22-23, De Nicolò 1993, pp. 304-306. 13 Farina 2003, pp. 23-29, Gattei 1990, pp. 16-17. 14 Silvestrini 1965, p. 27 15 Sorcinelli 1998, p. 132, tratto da Le Vie d’Italia, rivista del Touring Club Italiano 1932. 16 Baldini, Bellosi 1989, p. 243. 17 Baldini Bellosi 1989 p. 243, riportano Miserocchi 1927. 18 Tosi 1986, p. 9 riporta Tonini C. 1868. 19 Vedi Sistri A. 2003, pp. 18-24. 20 Si vedano i volumi di De Nicolò 1998, 1993.

AFC, Cattolica anni ’60, cartolina, anonimo. Il porto diventa “luogo turistico” e qualche pescatore in pensione offre “souvenir marini” di vario genere e provenienza.

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ii. spazi

naturale/sociale, selvaggio/domestico, vuoto/pieno

ciò che per epoche geologiche si era trasformato lentamente o aveva assistito a mutazioni per mano dell’uomo di “lunga durata”, cambia in pochi decenni. intorno alla metà dell’Ottocento sulle coste riminesi si avvia una trasformazione totale che non avviene unicamente per una progressiva e massiccia addizione di edifici e infrastrutture. il volto e l’anima dei luoghi cambiano non solo perché si pone la necessità di disporre di più aree frequentabili sugli arenili e di maggiori volumi abitativi finalizzati all’ospitalità, ma perché maturano il desiderio collettivo e le condizioni per la creazione di uno spazio diverso, portatore di significati nuovi e specifici: un’estensione espressamente antropizzata in funzione del piacere vacanziero, di un loisir prima tendenzialmente esclusivo poi socialmente ampio e inclusivo.

zone da conquIstare se l’acqua del mare prima dell’arrivo dei bagnati era “diversa”, sia nella considerazione che nell’uso, la spiaggia lo era forse ancor di più. Ben diversi rispetto a ciò che oggi si percepisce erano gli elementi costitutivi del paesaggio costiero che vedeva nelle greppe e negli staggi i suoi tratti salienti. la piccola falesia caratteristica della costa tra cattolica e cesenatico, il salto piuttosto netto di livello tra la pianura e il mare, formatosi circa 6000 anni fa, “i Romagnoli la chiamano “la greppa” la greppa del mare. Sopra la greppa,ben protetti dalle acque, si insedieranno i nuclei abitati costieri. Ai piedi della greppa, a poco a poco, con alterne vicende, si formerà quella fascia pianeggiante di larghezza variabile il cui margine è oggi la spiaggia adriatica”1. la fascia di terreno prevalentemente sabbioso “il tratto di costa che dalla “greppa” si allungava fino alla linea di battigia, nelle più antiche rappresentazioni pittoriche e nelle piante del territorio dei secoli XVIII e XIX, viene segnalata col nome di staggi e recessi del mare”.2 gli staggi, soprattutto quelli più prossimi ai centri abitati di costa, saranno oggetto,

anche prima della rivoluzione balneare, di un qualche interesse economico legato al loro sfruttamento, in realtà piuttosto problematico, sotto il profilo agricolo e colturale. comunità cittadine e privati si contenderanno in vari modi il possesso e il diritto di utilizzo dei terreni staggivi, che grazie a opere di bonifica a alla protezione del “greppone” e delle dune, porteranno in alcuni casi a risultati agricoli e ortivi di un certo interesse3. c’è chi ritiene che la spiaggia pre-turistica di questo territorio, pur presentando evidenti connotazioni naturali, definibili

aFc, cattolica anni ’20, anonimo. sulla spiaggia c’è ancora un alto tamerice memore della vegetazione dei “terreni staggivi”.

a sinistra: aFc, cattolica primo decennio del ’900, anonimo. capanno di famiglia con arredi e allestimenti.

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Spiaggia AFC, Cattolica circa 1910, cartolina, anonimo. Dietro ai pochi capanni, fino alle recinzioni delle ville, resiste la vegetazione spontanea tipica delle dune e del tratto sabbioso immediatamente a ridosso della battigia. I panni dei bagnanti si stendono ad asciugare sulle corde stese sul retro degli “spazi attrezzati”.

come “selvatiche”, abbia in realtà visto elementi non irrilevanti di antica antropizzazione: “una spiaggia quella romagnolo marchigiana, che non era ancora finita di nascere ed era già diventata una spiaggia contadina, una spiaggia di campagna”4. Resta il fatto che, come abbiamo detto nel capitolo precedente, mentre l’acqua di mare, già a partire dal 1750 circa, si spoglia progressivamente delle ambiguità e delle connotazioni negative, la spiaggia non beneficia subito di una specifica rivalutazione; alla spiaggia occorrerà più tempo. Anzi nella fase iniziale della balneazione gli arenili sembrano proprio costituire il problema, l’ostacolo, lo spazio inutile che separa il bagnante dalle attrezzature che consentono l’immersione terapeutica e gli svaghi mondani, un tratto che va superato col minor disagio possibile per raggiungere la piattaforma, i camerini, i nuovi spazi attrezzati, puliti, rassicuranti e moralizzati della balneazione. Nelle stazioni balneari del Nord Europa per eludere l’arenile si attrezzano addirittura stabilimenti galleggianti (come quello di Venezia del 1833) o si fa largo uso 34

delle bathing machines, vere e proprie capanne su ruote trainate in mare, che permettevano ai bagnanti, soprattutto alle bagnanti, di immergersi tra i flutti senza essere visti da altri. Singolare mezzo per non toccare in alcun modo la spiaggia, per arrivare direttamente in acqua e non essere oggetto di impudiche curiosità, bizzarri trabiccoli nati in Inghilterra alla metà del ’700, di cui troviamo testimonianza anche a Cattolica addirittura nel 1884, dove insieme ai già numerosi camerini, baracche, capannelle balnearie, vengono citati anche camerini a ruote riservati alle signore5. La spiaggia del Riminese per divenire luogo in cui praticare la balneazione con quei servizi che la distinguono dall’ uso spontaneo avrà bisogno di tempo, dovrà arrivare e per molti aspetti si dovrà superare abbondantemente la metà del 1800, mentre in tante località della costa (Viserba, Bellaria, Misano Adriatico e altre ancora) occorreranno decenni o addirittura ancora cent’anni. “Dune di sabbia mosse dal vento, arbusti, canneti, rigagnoli, acquitrini disse-


Spazi

minate di relitti, macabri talvolta, conferivano alla spiaggia un orrido aspetto che non sollecitava lapis e pennelli di artisti romantici, soffermatisi al ponte di Tiberio od alla Madonna della Scala, ed invogliavano semmai cercatori di relitti marini, cacciatori di beccaccini e di anatre selvatiche, o qualche curioso forestiero che avesse voluto avvicinarsi al mare per assaggiarne l’acqua salsa”6. Negli ultimissimi anni del 1800 “la borgata di Viserba non possedeva allora che una spiaggia squallida e deserta, con dune, acquitrini, monti di sabbia, rovi e marruche, appena un filo d’erba [...] e pochi capanni per il ricovero dei marinai nei giorni di mare grosso”7. Misano Adriatico perderà la sua chiara connotazione di spiaggia di campagna addirittura solo tra gli anni ’50 e ’60 del ’9008.

È evidente che alle origini dell’industria dei bagni la spiaggia, la zona di accesso all’acqua, era percepita inequivocabilmente come spazio naturale, zona liminale considerata esattamente agli antipodi dello spazio sociale. Luoghi da trasformare La natura litoranea era tutta da addomesticare, da depurare della sua eccessiva “selvatichezza” e spontaneità, era, in qualche maniera, da civilizzare. La non socialità della spiaggia e dell’acqua rappresentavano una vera e propria preoccupazione non solo materiale, urbanistica, ma anche culturale, etica, politica. I documenti amministrativi che testimoniano tale preoccupazione sono numerosi ed espliciti (cfr. cap 3). La spiaggia nella seconda metà ’800 è territorio di conquista fisica, morale ed

AFG, spiaggia tra Riccione e Misano 1954 circa, Vitale Valvassori. La spiaggia è punteggiata dalla vegetazione delle dune che, seppur livellate, sono ancora visibili. La strada litoranea che congiunge i centri di costa è praticamente tagliata tra i campi ancora intensivamente e ordinatamente coltivati. Le caratteristiche della “spiaggia di campagna” sono ben evidenti.

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Spiaggia AFG, Rimini 1876 circa, anonimo. Famosa immagine della piattaforma dello Stabilimento dei Bagni, dopo il rifacimento del 1873. La struttura dello Stabilimento è messa in evidenza: l’ingresso con i due gazebo laterali, la passerella che attraversa l’arenile e la battigia fino alla piattaforma. Al centro della piattaforma la struttura conviviale della “pagoda” e ai due lati i camerini ben separati per signore e signori, da cui si scende direttamente in acqua.

economica, ambito da rendere sicuro, proficuo, decoroso e domestico; al tempo stesso è spazio tutto da configurare come “teatro” deputato alla nuova e gioiosa rappresentazione della vita balneare. Secondo Luigi Silvestrini bisognerà arrivare al 1873, all’inaugurazione del nuovo grande Stabilimento dei Bagni di Rimini con il suo elegante Kursaal, sorto al posto del vecchio stabilimento del ’43 voluto dai conti Baldini e dal Tintori, per poter dire che “così in pochi anni (in realtà sono una trentina n.d.a.) dove fino allora erano alcuni orti mal coltivati, fondi palustri e malsani, dune sterili ed abbandonate, e vivevano pochi campagnoli o facevano gite i solitari del pensiero o qualche coppia di innamorati, e che un’angusta e pessima stradicciola congiungeva alla Città, era sorto, imponente nella sua mole, elegante nelle sue linee, uno stabilimento balneare che portava Rimini all’avanguardia dei centri balneari d’Italia e ad un posto preminente fra quelli d’Europa”9. 36

I pochi campagnoli presto si sarebbero trasformati da “lavoratori della riva” a “lavoratori dei bagni” e per i solitari del pensiero l’arenile sarebbe rimasto orizzonte apprezzato solo nei mesi freddi, mai più nelle gradevoli primavere e nelle calde estati, quando la solitudine della marina si scioglierà inesorabilmente e definitivamente sotto i raggi del sole dei primi due decenni del ’900, nonostante l’ombra densa e terribile della prima guerra mondiale. La spiaggia, lo spazio specifico ad uso dei bagnanti, muterà progressivamente, fino ad assumere le forme attuali, con l’incremento, in alcune fasi esponenziale, dei frequentatori; un incremento reso possibile dalle mutate condizioni di assetto sociale e organizzazione produttiva e, in parallelo, dal percorso terapeutico, culturale, estetico che vede il passaggio dalla ricerca del posto in acqua, alla ricerca del posto al sole, passando prima, per il posto all’ombra. Al principio della pratica balneare ciò che si ritiene necessario, seguendo i rigidi


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dettami dell’iniziale idroterapia marina, è l’accesso diretto all’acqua, accesso immediato che superi le scomodità dell’arenile, che possa garantire il più alto grado possibile di privacy, che permetta lontananza da sguardi indiscreti e assicuri l’impossibilità di azioni sconvenienti. Le piattaforme con le loro lunghe passerelle che “saltano” la spiaggia, i camerini distinti per signore e signori ben separati e disposti sui due lati, le scalette appartate per scendere immediatamente tra i flutti, servono a questo, a ignorare concretamente e simbolicamente l’arenile, comunque a evitarne l’uso, uso che invece è proprio di quell’ambito popolare, spontaneo, irregolare, promiscuo di cui si è parlato. La classe abbiente che frequenta i grandi e mondani stabilimenti balneari ad attraversare l’arenile rischia di “sporcarsi” socialmente e fisicamente: la sabbia non va d’accordo con scarpe, soprattutto quelle femminili, vezzose e feticistiche, con abiti complessi e contegni rigidi e altezzosi: vuole piedi nudi, vestimenti adeguati che consentano movimenti non impacciati, richiede, per non esserne afflitti, che ancor prima di entrare in acqua qualcosa ci si tolga di dosso (cfr. cap. 4). La modificazione dello spazio balneare non può essere che graduale trasformazione strutturale e comportamentale, economica e culturale. Non a caso la prima, vera, disposizione per l’organizzazione dello spazio balneare è basata sul sesso, inteso sia come genere, che come ineludibile pulsione umana. Nella piattaforma dello stabilimento Riminese, come in quelle degli altri stabilimenti allora esistenti, i camerini, come si è già detto, sono rigorosamente divisi per genere: da un lato quelli per gli uomini, dall’altro quello per le donne. Fra loro c’è uno spazio ben delimitato da non varcare, pena severe sanzioni da parte delle autorità; ma soprattutto ci sono le regole di una società che

prova a difendere quei valori che, dopo gli eccessi formali dell’epoca vittoriana e dell’etichetta borghese più vacua ed esteriore, si sgretolano sotto i colpi di nuove idee igienico-sociali (che non a caso porteranno a Rimini, per dirigere le strutture dello stabilimento, i loro maggiori profeti e propugnatori italiani, Paolo Mantegazza e Augusto Murri), della destabilizzante psicoanalisi freudiana, dei comportamenti intellettuali e di massa fortemente innovatori che caratterizzano i primi decenni del ’900. Con il diffondersi della pratica balneare anche l’arenile viene diviso in aree per uomini rigorosamente separate dalle aree per donne (cfr. cap. 3) e le prime strutture e attrezzature stagionali posate sulla sabbia rispettano questa distinzione, ritenuta indispensabile per il pubblico decoro, riservando attenzione agli “spazi femminili” che devono garantire adeguata discrezione e protezione10. È ovvio che uno spazio diviso per sessi spinga con forza irrefrenabile a varcare i confini stabiliti. È esattamente quello che avverrà: il superamento di frontiere distintive darà alla spiaggia un’ energia sociale ed economica difficilmente eguagliabile. Il desiderio/diritto di un posto al mare, che dal primo decennio del ’900 comincia lentamente a godere delle condizioni sociali ed economiche per propagarsi su una scala più ampia, non solo farà aumentare significativamente il numero dei frequentatori delle spiagge ma modificherà, altrettanto significativamente, gli orizzonti fisici e mentali di utilizzo ludico degli arenili e di tutto quello che vi sta intorno. Il passaggio dal mare di pochi, al mare di molti e successivamente al mare di tutti, richiederà nuovi pensieri, nuovi confini comportamentali e tante, tantissime nuove strutture. La spiaggia e le aree vicine puntano ad assumere una funzionalità e una valenza non 37


Spiaggia AFG, Rimini primo quarto del ’900, anonimo. I camerini suddivisi per sesso sono scomparsi, l’arenile è ancora attraversato dalla passerella sopraelevata ma i capanni paralleli al mare e le tende hanno già conquistato la spiaggia. Il tratto di mare che separa la piattaforma dalla battigia è ormai irrilevante.

solo economica ma anche simbolica in gran parte da inventare, ispirandosi come si poteva a ciò che era stato fatto nelle altre stazioni balneari europee. Spazi antichi e spazi della modernità turistica cominciano a fronteggiarsi, si confrontano serratamente sin dalle origini dell’ economia balneare, sapendo che i luoghi allo stato naturale stanno inesorabilmente perdendo la loro battaglia. Dal momento in cui la spiaggia non verrà più considerata un problema, un fastidio, ma anzi luogo gratificante e di aggregazione, serviranno strutture di servizio più libere, non così esclusive e strette, limitanti e limitate, come le piattaforme e i kursaal. Silvestrini riferendosi al lido riminese nel 1891 ricorda che: “Per l’insufficienza dei camerini in piattaforma, si eressero lungo la spiaggia casotti isolati con fusto di legno e pareti di stuoia: sistema comodo e pratico per piccoli nuclei famigliari che 38

potevano restare uniti e prolungare a loro piacimento la permanenza alla spiaggia. A dimostrare la praticità dell’iniziativa e i favore del pubblico ricordo che nell’anno seguente si dovette aumentare il numero dei capanni per soddisfare a tutte le richieste. L’innovazione andrà sempre più sviluppandosi, fino a sostituirsi, come vedremo, al sistema ormai superato dei camerini sovraelevati sul mare.”11 Si parla chiaramente dei “capanni” sull’arenile, non più dei vecchi casotti a palafitta. Del resto già decenni prima, nel 1864, in una Relazione sui bagni marittimi di Cattolica 1855-1864, in cui si traccia l’accurato ritratto di un borgo che già guarda con grande attenzione alla nascente economia dei bagni, si dice che “Il ceto dei bagnanti che vi accorre è socialmente quello di mezzo, e quasi tutti dalle province di Bologna, e Ferrara, Ravenna e Forlì. Stabilimento balneario propriamente detto non vi è. Ma l’indu-


Spazi AFG, Rimini primi ’900, foto Baviera. Accanto ai capanni realizzati con tavole di legno compaiono rustiche capanne fatte di frasche e canne che creano un certo contrasto con gli ombrellini delle signore. Sullo sfondo, a sinistra dell’inquadratura, un bagnante che passeggia sulla spiaggia con la sua altrettanto rustica cavalcatura.

stria dei privati ha sopperito al bisogno costruendo lunghesso la spiaggia capanne di legno abbastanza comode, e divise per sesso, costruzione favorita anche dal Superiore Governo...” Capanne di legno che, stando ai documenti, già da diversi anni venivano approntate direttamente su quella spiaggia12. In sostanza “Il passaggio dallo stabilimento bagni alla spiaggia, quale fulcro della vita quotidiana del bagnante, comincia a prendere corpo intorno al 1910 e si afferma mano a mano che si impone, con il diffondersi di abitudini sportive, una concezione dinamica del tempo e dello spazio. [...] Non c’era più da bagnarsi in fretta, per poi coprirsi, asciugarsi e vestirsi altrettanto rapidamente...”13. Sivestrini riferendosi al primo decennio del ’900 conferma che “la vita balneare si concentra tutta lungo la spiaggia: restano ancora i camerini della piatta-

forma pei bagnanti più ortodossi e timidi, ma le maggiori preferenze sono per l’aperta spiaggia. Vi è ancora la divisione fra uomini e donne, ma la non frenabile libertà del bagno conduce praticamente all’abbandono graduale di cotesta ormai sorpassata abitudine. Baracche variopinte, casotti di legno ben allineati accolgono i numerosi bagnanti che indossano il costume non più rigido e completo come un tempo, ma più succinto e libero.”14 È l’epoca di intenso sviluppo delle nuove forme di accampamento balneare che si realizzerà con i capanni di più varia forma e consistenza (da quelli primitivi di canne e frasche a vere e proprie casette di legno) con tende e tendaggi di diversa foggia, attrezzature di protezione e comfort che si evolveranno nel corso degli anni (cfr. cap. 8). L’occupazione consistente, massiccia, della spiaggia diventa non solo un obiettivo economico dei primi imprenditori 39


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Sopra: AFC, Cattolica primi ’900, cartolina, anonimo. Villa Fulgida e lo stabilimento balneare di Cattolica con alcuni capanni sulla spiaggia. Sopra a destra: AFG, Rimini 1904, album Battaglini, anonimo. File di cabine con tendaggi e alle spalle le grandi ville che si affacciano sulla spiaggia. AFR, Riccione, primi anni ’20, cartolina Cabine al mare, anonimo. Cabine con pensiline e tendaggi, fila di tende orizzontali più prossime alla battigia.

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turistici ma un emergente e diffuso “sentimento sociale”. Spazi da riempire Il vuoto tenderà a riempirsi e l’ampia aggregazione di individui che si realizza sull’arenile, non verrà più considerata necessariamente un disturbo, comincerà anzi a profilarsi quella linea comportamentale/ rituale che vedrà la corrispondenza, realizzatasi completamente solo nel secondo dopoguerra, tra bagno di mare e bagno di folla. (cfr. cap. 6). Con l’incremento progressivo del numero dei fruitori la spiaggia così com’ è organizzata e le poche strutture ricettive “storiche” ovviamente non bastano più: se si vuole migliorare adeguatamente la vita

dei bagnanti e dare slancio all’ industria balnearia serve ben altro. Per collegare i centri abitati (dove i primi bagnanti trovano ospitalità) alle spiagge e per rendere accessibile tutta la linea di costa, si aprono strade ritenute strategiche per lo sviluppo e si fa a gara per dare corpo finanziario alla conquista edilizia dell’area balneare, realizzata inizialmente attraverso innumerevoli residenze private costruite direttamente sulla spiaggia o nelle sue immediate vicinanze, con logiche urbanistiche particolari e diversificate da centro a centro15. Dal punto di vista abitativo il riferimento iniziale è quello a ciò che più si avvicina storicamente e concettualmente alla neonata esperienza di villeggiatura balneare: è l’epoca dei “villini”, più o meno grandi e sontuosi, che richiamano appunto in modo chiaro, nella loro stessa definizione e nelle varie espressioni architettoniche, la forma “proto–turistica” del soggiorno in villa16. Ma la nuova villeggiatura al mare non sente più in nulla appropriato lo “stile rurale”: della campagna non vuole i silenzi e la solitudine, la sua scarsa e ormai stantia mondanità, cerca piuttosto nuovi spazi adatti a nuovi riti. Spazi più facili e più “pieni”, più “urbani”, contigui e comunicanti, ostentativi per quanto possibile ma non del tutto isolati e respingenti, spazi testimoni della modernità. Nelle proprietà di campagna si è spesso inevitabilmente


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AFC, Cattolica agosto 1900, anonimo, capanno della famiglia Pospisil. Evidente il contrasto tra le dimensioni, la solidità e la cura dell’addobbo del capanno della famiglia benestante, con i capanni “popolari” vicini, assai approssimativi per forme e materiali.

AFC, Cattolica 1927, anonimo, capanno della famiglia Bartoli.

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soli o si conta sulla compagnia di pochi amici; al mare non si vuole essere soli, perché non ci si diverte, perché senza altri intorno non c’è vita e il meccanismo del guardare ed essere guardati, processo comportamentale non esclusivo, non lineare e totalizzante, ma sicuramente tra i più incisivi della vacanza balneare, non ha alcuna possibilità di attivarsi. Ville e villini rappresentano un enorme impegno di diffusione e ottimizzazione imprenditoriale dell’area e dell’economia dei bagni: un impegno complessivo, pubblico e privato, che per portata finanziaria andrà ovviamente ben al di là di quello, pur ingente, relativo alla stessa realizzazione dei grandi stabilimenti balneari. Municipalità e imprenditori faranno a gara per favorire in tutti i modi meccanismi di edificazione dichiaratamente e consapevolmente speculativi, considerando, con argomentazioni plausibili, il settore “immobiliare turistico” come motore fondamentale per attivare un’ industria balnearia davvero significativa dal punto di vista economico ed estesa quanto più possibile su tutta la costa17. Cospicui capitali locali e nazionali cominciano a guardare verso il mare e ad appoggiarsi a pochi metri dalla riva, dando letteralmente spazio ad una popolazione di bagnanti ritenuta di primaria importanza, un pubblico scelto di consumatori emergenti che coincide con la benestante comunità delle ville i cui “usi e costumi” si esprimeranno al meglio nelle ritualità mondane della “Bella Epoque”(cfr. cap. 6). II tentativo è quello di creare un nuovo quadro e una nuova cornice entro i quali ridisegnare tutto lo spazio e la vita “a marina”. La spiaggia, le residenze private, i primi hotel esplicitamente balneari, troveranno un punto di incontro, di connessione urbanistica e “spettacolare” nella realizzazione dei grandi viali e dei lungomare, delle “passeggiate a mare” che diverranno anch’esse importanti e 42


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“aperti” luoghi di ritrovo ed esibizione delle varie tribù di bagnanti18. Per garantire, a tutti quelli che possono, il piacere balneare, in parallelo e successivamente ai villini privati (che, dopo un periodo di potente splendore edilizio e sociale perdono pressoché completa-

mente significatività economica e forza di rappresentazione di classe nel corso degli anni ’30 del ’900), si avvia nel territorio riminese la fase di sviluppo degli hotel. È l’epoca in cui l’ospitalità “vecchio stile”, quella di affittacamere, locande e alberghi ubicati nei centri storici, lontani dal

AFC, Cattolica anni ’20, anonimo. Capanni sparsi sulla spiaggia, da notare la “vegetazione di duna” ancora presente. AFG, Rimini primi anni ’50, anonimo. File di capanni perpendicolari alla battigia. AFG, Igea Marina primi anni ’50, Bruno Stefani. Capanno solitario e tende a vela.

AFG, Rimini, cartolina 1907 da immagine realizzata tra 1892-1902, F.lli Contessi. Le grandi ville che si affacciano direttamente sulla fascia attrezzata con cabine e pensiline.

AFC, Cattolica primo decennio del ’900, cartolina, anonimo. Ville con accesso diretto alla spiaggia.

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AFR, Riccione, primo decennio ’900, anonimo. Viale Viola, poi Ceccarini, verso il mare, con la prima alberatura. Da notare l’imbarcazione a riva.

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mare, non è più in alcun modo sufficiente e apprezzata19. Anche le ville, che costano molto e rischiano un limitato utilizzo, vengono in molti casi già pensate dagli imprenditori edilizi non solo per essere vendute, ma per essere date in affitto con diverse formule. Nonostante questo è evidente che un’ospitalità così costosa e numericamente limitata non può soddisfare una “richiesta di mare” che si allontana velocemente dall’essere prerogativa esclusiva della classe che dispone di ragguardevoli ricchezze terriere, industriali, professionali, commerciali. Ciò che serve è un’ ospitalità dedicata in modo specifico al turismo balneare “allargato”, un investimento in strutture consone per quantità e qualità al crescente concorso di bagnanti appartenenti a diversi ceti sociali. Si gettano così le basi di uno straordinario reticolo di grandi e piccoli esercizi ricettivi e ricreativi collocati quanto più possibile vicino agli arenili.

Già le due aggraziate palazzine, ai due lati del Kursaal di Rimini, denominate Roma e Milano, svolgono una funzione ricettiva pubblica importante, offrendo ospitalità ai bagnanti abbienti all’interno dell’area dello Stabilimento. Alcune camere sono disponibili anche presso lo stabilimento Idroterapico inaugurato nel 1876 che comunque mantiene un’impostazione dichiaratamente “sanitaria”; ma le richieste del mercato formato dai forestieri bagnanti che giungono sempre più numerosi sono ben altre per numero e varietà. In questa, a tratti spasmodica, dinamica di domanda/offerta di ospitalità proprio molte delle ville patrizie sorte da Bellaria a Cattolica verranno trasformate in hotel e pensioni, e già sul finire dell’800 alcune eleganti proprietà private si riconvertiranno in strutture ricettive aperte al pubblico, come ad esempio la Villa Adriatica di Rimini utilizzata “alla giornata e per la giornata” ossia ad “uso albergo” addirittura nel 1884, a soli cinque anni dalla sua edificazione, e


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divenuta, dopo un utilizzo privato, definitivamente hotel nel 1896; o la villa Firenze, sempre a Rimini, adattata nientemeno che a restaurant nel 189820. A Rimini e in tutto il Riminese l’idea di dare corpo a un “modello popolare” di vacanza è piuttosto precoce se non addirittura presente allo stato originario: se il ceto che frequenta Cattolica è, come si è visto soprattutto quello di mezzo, anche a Rimini ci sono spazi pensati per un pubblico certamente di non alto lignaggio. A quanto si capisce nella cosiddetta “Capanna Svizzera” all’interno del grande Stabilimento riminese si può mangiare e sbicchierare “alla buona”,21 e tutta la zona del “Trai”, “un lembo di spiaggia riminese ad un chilometro di distanza dallo Stabilimento balneario”, è chiaramente destinata ad un pubblico assai variegato, dove predominano la categoria “economica” e la componente “plebea”. Grazie alle sue rustiche capanne formate da “quattro tavole raccomandate a quattro

chiodi” che formano uno “Stabilimento sui generis”, e ai suoi “prezzi modicissimi”, al Trai arriva quel “mezzo mondo che desidera godere dei benefici dei bagni marini spendendo poco o nulla, o che pure disposto a spendere, vuole tutta la quiete e la libertà immaginabile”22.

AFG, Rimini tra il 1933 e il 1938, Dante Montanari. Il lungomare Vittorio Emanuele III a levante del Kursaal. AFG, Rimini 1877 circa,Vincenzo Contessi. Lo Stabilimento idroterapico.

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Se da un lato si ritiene senza dubbio necessario conquistare il bel mondo regionale, italiano, internazionale, formato dal solito parterre di nobili, politici, industriali, illustri professori, personaggi famosi dello spettacolo e delle arti, attraverso strutture e iniziative adeguate, dall’altro, sulla costa romagnola c’è un occhio subito attento all’allargamento del mercato attraverso la creazione di strutture ricettive con prezzi decisamente accessibili, di spazi pensati esplicitamente per una riviera disponibile a “tutte” le fasce sociali. C’è una concezione economicamente e per certi versi socialmente avanzata degli spazi dell’ambito balneare, un pensiero che mette subito insieme, con una reale consapevolezza e programmazione, la strana miscela, tutta riminese, di un territorio capace di trovare particolari rapporti tra speculazione privata e sviluppo comune, imprenditoria fortemente capitalista e ampia redistribuzione del reddito, spiccato individualismo e spirito collettivo, mondanità e “popolarità”, innovazione e massificazione dell’ industria turistica e del loisir. È l’estate del 1893 quando nei locali di Villa Maria si inaugura la Pensione gestita dalla signora Maria Pendini, un’affermata professionista del settore già operante a Firenze. Il cronista locale annota profeticamente: “L’avvenire della nostra stazione balnearia, non vi è nessuno che non se ne sia avvisto, consiste appunto in questo sistema di pensioni, che,dovunque sono state iniziate, han già dati così eccellenti risultati. [...] Oggi è sentito il bisogno di questi luoghi [...] ove uno può restare a suo agio, divertirsi, bagnarsi, ecc. ecc. conoscendo fino all’ultimo centesimo la spesa, senza il pericolo di cader fra le mani di persone troppo avide di guadagno e che costringano il forestiere a partire all’asciutto dopo essersi bagnato! Ed ecco quindi come l’avvenire della nostra stazione oltreché alle ville private sia affidato a queste imprese di coraggiosi 46

iniziatori che possono ritrarne forti guadagni per sé e per il paese”23. Nel 1908 si inaugura il sontuoso Gran Hotel di Rimini, pensato come tempio dell’ospitalità d’alto livello, riservato a una clientela internazionale dalle grandi possibilità, bandiera di un tentativo di posizionamento sul mercato esclusivo che non avrà vita facile, vessillo del prestigio allegorico più che realmente incisivo nel tessuto economico di una costa che già all’epoca va affinando in modo sistematico la propria vocazione ai grandi numeri. Segno letteralmente straordinario, rispetto praticamente a tutto ciò che lo circonda24, di un mondo e di un sentimento riminese dai tratti sognanti, luogo/simbolo che non trova davvero migliore espressione e acuta interpretazione storico – sociologica di quella fissata nelle oniriche immagini felliniane al centro di Amarcord. Nel periodo che va dagli anni ’30 agli anni ’60 del ’900, con lo sviluppo intensivo da Cattolica a Bellaria e su tutta la costa romagnola, delle pensioni e degli alberghi “normali” e “moderni”, che si pongono come strutture portanti e protagoniste dell’allargamento della base sociale balneare, gli spazi a mare di ogni centro del Riminese verranno occupati pressoché totalmente. La costruzione di queste strutture ricettive andrà sviluppandosi ovunque possibile e, come molti hanno evidenziato, spesso senza precisi intenti e criteri di organizzazione urbanistica25. Sono gli anni in cui la spiaggia e gli stabilimenti balneari che coprono la maggior parte della costa (dati in concessione ai bagnini, in alcuni casi, ormai da molti decenni)26, si riempiono per davvero e la struttura teatrale degli arenili viene completata. L’ampio palcoscenico della recita a scena aperta sarà rappresentato dall’acqua e dalla spiaggia su cui muoversi, giocare, esibirsi in costume, il trucco sarà


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AFG, Rimini, 1910 circa, edizioni Giuseppe Rossi. Grand Hotel e spiaggia attrezzata con cabine e tendaggi.

AFG, Rimini tra il 1930 e il 1934, Dante Montanari. Piazzale del Kursaal. Sono rappresentate tutte le principali strutture dell’area balneare di pregio di Rimini. Il piazzale del Kursaal, la palazzina Milano e la palazzina Roma, da cui è scattatala foto, il Grand Hotel a cui mancano le cupole abbattute dopo l’incendio del 1920.

quello irrinunciabile dell’abbronzatura e delle creme solari, i posti numerati saranno le tende e gli ombrelloni sotto i quali accomodarsi seduti, sdraiati o stesi, ai capanni e alle cabine resterà la funzione classica dei camerini, in cui prepararsi per entrare e uscire dalla rappresentazione.

Tutto è pronto, lo spettacolo della spiaggia con migliaia e migliaia di individui ammassati, che, come altri hanno già detto27, ricoprono il ruolo di attori e spettatori al tempo stesso, può finalmente cominciare.

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Spiaggia AFC, Cattolica anni ’20, cartolina, Alberghi a mare, anonimo. Si ricavano alberghi vicini alla spiaggia adattando precedenti ville padronali o riprendendone le forme.

AFC, Cattolica fine anni ’50 inizio anni ’60 circa, cartolina, anonimo. Hotel Plaza, esempio architettonico delle strutture ricettive nate all’epoca di intenso sviluppo della balneazione di massa.

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Note 1 Pompei 1993, p. 263. 2 De Nicolò 1993, p. 299. 3 De Nicolò 1993, pp. 300 -303. 4 Pompei 1963, p. 262. 5 De Nicolò 1993, p. 325, riporta Santopadre 1884. 6 Masetti Zannini 1980, p. 11. 7 Silvestrini 1965, p. 85. 8 Pompei 1993, pp. 273-279 9 Sivestrini 1965, p. 58. 10 Si veda come esempio De Nicolò 1993, p. 325 dove si riporta Santopadre 1884. 11 Silvestrini 1965 p. 76. 12 De Nicolò 1993, p. 307. 13 Savelli 2009, p. 147. 14 Silvestrini 1965, p. 101. 15 Conti, Pasini 2000, in tutto il volume si trovano riferimenti a questo tema. 16 Tosi 1986, p.62, Conti, Pasini 2000 pp. 34-41, tutto Calanca, Ravara 2013, Farina 1987 p. 178.

17 Vedi ad esempio Pompei 1993, pp. 266-268, Conti, Pasini 2000, pp. 158-228. 18 Conti, Pasini 2000, p. 68. 19 Calanca, Ravara 2013, pp. 259-266. 20 Masini 1986, p. 95. 21 Farina 2003, p. 66. 22 Gattei 1990, p. 48. 23 Calanca, Ravara 2013, pp. 270-271, riportano il brano dal periodico “Italia”, Rimini 22 luglio 1893. 24 Saranno davvero pochi gli “hotel di lusso” storici presenti sulla riviera. Fra i più significativi si possono ricordare gli altri Grand Hotels che a partire dal 1928 sorsero a Cesenatico, Riccione e Cervia. 25 Un resoconto preciso della disponibilità alberghiera intorno agli anni 20 è in Farina 1987, pp. 236, 238. 26 Ad esempio le prime concessioni “ufficiali” a Riccione (Delbianco, Manzi, Angelini) risalgono al 1895. Vedi Tosi 1986, p. 57. 27 Farina 2003, p. 77.

AFG, Riccione 1959, anonimo. Il litorale viene estesamente occupato dagli hotel sulla “prima linea” verso la spiaggia e, a scalare, negli spazi retrostanti.

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III. Corpi

Sano/Sofferente, Asciutto/Bagnato, Vestito/Nudo, Chiaro/Scuro, Fermo/In movimento, Castigato/Provocante

Al centro della rivoluzione balneare c’è il corpo. Corpi di donne, uomini e bambini che saranno protagonisti di una sovversione di significati, comportamenti, regole e immagini sociali. Il corpo inteso come contenitore sano del sé, sotto il profilo fisico-psicologico, e il corpo inteso come espressione diretta del sé, soggetto e oggetto dello sguardo. Il corpo sano come diritto e necessità storica, il corpo bello come comunicazione individuale e sociale. Il corpo come materia della decenza, difficile da difendere, e del desiderio, difficile da controllare. Di tutte le modificazioni che la concezione del corpo assumerà negli ultimi due secoli la spiaggia sarà, per evidenti motivi, spesso anticipatrice, fattore e ambito propulsivo. Sull’arenile il corpo “diventa un idolo che sostituisce il paesaggio” e la spiaggia si configura come spazio legittimato alla visione e perfino alla vicinanza sempre più stretta dei corpi spogliati degli abiti.1 Il passaggio che porta dalla rigida pratica terapeutica alla conquista di una maggiore libertà comportamentale e di esibizione fisica, giungendo fino alle rivoluzioni estetiche ostentative che si realizzano con la balneazione puramente ludica e in particolare con l’abbronzatura, rappresenterà una delle mutazioni antropologiche più significative della società occidentale contemporanea. Dopo il rifiuto, la “rimozione del corpo” operata per lungo tempo con motivazioni culturali ampie e complesse, spetterà proprio alla balneazione scombinare le carte della partita che si gioca tra verità del corpo, salute, etica ed estetica. Sono le discipline sportive di vario genere (bicicletta, nuoto, tennis, ecc) che nel loro divenire agli inizi del ’900 pratica largamente diffusa, principalmente al maschile ma anche al femminile, generano un’ interpretazione nuova della fisicità e originano abiti che scoprono alcune parti del corpo per concedere maggiore libertà di movimento2, ma è la spiaggia che introduce una crescente, chiara e massificata attenzione alla libertà di seduzione basata su un esplicito compiacimento estetico-erotico, a una più ampia e letterale libertà di costumi. Mentre allo sport e alla propensione generale verso un nuova “filosofia del dinamismo”, propria dell’inizio del ’900, si può ricondurre buona parte del processo di rinnovamento dell’estetica riguardante la messa in forma e la tonicità del corpo, proprio alla spiaggia va riconosciuto il ruolo di principale e più evidente vetrina, straordinario palcoscenico, dell’evoluzione di tale estetica. I confronti tra vestito e svestito, nascosto ed esposto, vedo e non vedo, decente e seducente non trovano nessun altro spazio così largamente condiviso in cui sono ammessi, motivati, addirittura incoraggiati.

Prima il dovere poi il piacere La pratica terapeutica, la cura di infermità individuali e collettive, è la motivazione iniziale dei bagni di mare, una motivazione medica esposta in una vastissima letteratura scientifico-divulgativa che dalla metà del ’700 mantiene vigore fino agli anni ’30 del Novecento.3 La terapia marina è inizialmente pratica sociale esplicitamente elitaria che però relativamente presto si articola in due direzioni distinte e parallele, due linee di

fruizione che sono state efficacemente definite da Ferruccio Farina bagni dei ricchi e bagni dei poveri4. In effetti non troppo lontano dalla sua origine, subito dopo che la “stravaganza” dei bagni marini si consolida in pratica largamente condivisa, e dopo l’epurazione graduale di alcuni aspetti terapeutici eccessivamente “drammatici”, si sviluppa in ambienti medici, nelle organizzazioni di “assistenza sociale” e in genere nella “società caritatevole” dell’epoca, la vo-

AFG, Rimini 1979, Davide Minghini. Il corpo femminile in costume, come avveniva già nelle affiches degli illustratori di inizio secolo, comunica il prodotto balneare, le sue caratteristiche e i suoi significati.

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Spiaggia AFG, Rimini, circa 1908, cartolina, anonimo. Da notare il bambino seduto in carrozzella, portato al mare per godere dei benefici della balneo-terapia.

lontà e l’impegno di allargare i benefici della balneazione alle fasce meno abbienti e alle categorie più bisognose della popolazione, in primis quella dell’infanzia delle classi sociali più basse che soffre delle non poche malattie della povertà. Se il corpo borghese va curato al mare da malattie, assai di moda, come spossatezza generale, nevrosi, debolezze psicofisiche di varia natura, languore dello spirito, malinconia, infertilità e tante altre ancora, il corpo proletario va risanato e ripulito dalle temibili e concretissime patologie di classe, quali la diffusa e invalidante scrofolosi, una forma di tubercolosi extrapolmonare causata da condizioni insalubri di vita e cattiva alimentazione, che intaccava il sistema linfatico provocando una sintomatologia particolarmente abbruttente5, oppure il dilagante rachitismo. Per chi può ci sono lo Stabilimento dei Bagni con i suoi servizi e lo Stabilimento Idroterapico (quello riminese risale al 1876), vera e propria struttura sanitaria in 52

cui sottoporsi alle varie e articolate terapie che vi si praticano (docce di vario genere, bagni caldi e freddi con acqua di mare, inalazioni, polverizzazioni)6. Per chi non può c’è la spiaggia libera o primitivamente attrezzata e, pensati in modo specifico per la cura dei bimbi poveri di città e campagna, ci sono gli efficienti Ospizi Marini, poi divenuti, in una prospettiva meno ospedaliera e più ludico-formativa, colonie marine. La salute, l’igiene, così come l’educazione e, più tardi, l’organizzazione del tempo libero delle classi lavoratrici, devono inquadrarsi in nuove grandi sfide e conquiste sociali che competono a uno stato “moderno” quale vorrebbe essere l’Italia post-unitaria. Nel 1867 Don Carlo Tonini, straordinario parroco “promotore” di Riccione, intraprende un’efficace operazione di ospitalità, presso case private, dei bambini bolognesi che necessitano di cure marine (pubblicizzando così la vocazione balnea-


corpi aFg, Rimini anni ’30, anonimo. i bambini ospitati nella colonia novarese.

re dell’allora povero borgo) e nel 1870 a Rimini, collocato in posizione opportunamente defilata rispetto ai bagni dei ricchi, è attivo l’Ospizio Marino Matteucci, (sempre rivolto ai bambini bolognesi), uno dei 15 che l’italia a quell’epoca possiede sulle sue coste, certo non il più grande ma uno dei più moderni, apprezzato da giuseppe Barellai, il medico italiano promotore e profeta indiscusso delle “cure balneari sociali” per l’infanzia7. Una struttura, quella del Matteucci, che nel Riminese apre la strada a una vasta azione di acquisizione di spazi ed edificazione di rilevantissimi complessi affacciati direttamente sugli arenili di tutta la costa, più o meno imponenti strutture di cura e soggiorno marino realizzati da soggetti vari (enti pubblici e assistenziali, associazioni, grandi aziende, ecc) che oltre alla funzione terapeuticosanitaria avranno, soprattutto durante il ventennio fascista, forte rilevanza socializzante, educativa, ponendosi come fattori di vera e propria irreggimentazione

culturale e comportamentale8 (cfr. cap 6). se certo alla base dell’allargamento dei benefici della balneazione all’infanzia bisognosa c’è quell’umanitarismo maturato negli ultimi decenni dell’’800 e l’inizio ’900, che affonda le radici in un’ autentica sensibilità sociale di ispirazione democra-

aFc, cattolica fine anni 20, anonimo. Bimbi al mare accompagnati da religiose.

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Spiaggia

rapici e talassoterapici, terme marine ecc,) arriverà ben delineata fino agli anni ’60 del XX secolo e in fondo non scomparirà mai del tutto, sostituendo casomai il far bene al curare, il beneficio e la profilassi alla terapia vera e propria. Ma l’alibi terapeutico va sfumando speditamente nelle sempre più ammissibili, dichiarate, festive e gioiose motivazioni della vacanza balneare “di piacere”. Il passaggio concettuale e comportamentale fondamentale, quello tra il dovere andare al mare per curarsi e il piacere di andare al mare per divertirsi, avverrà in modo lineare e senza alcun ostacolo, essendo già insito, come si è detto, nella matrice stessa della vacanza balneare, che sin dalle sue “nobili” origini affianca terapia e mondanità, ma che anche nella pratica più “popolare” e massificata identifica ben presto la spiaggia come luogo fondamentalmente deputato al loisir.

AFG, Rimini primi anni ’50, Virgilio Retrosi. Bimbi al mare accompagnati da religiose.

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tica in ambito cattolico e laico, è giusto ricordare che l’attenzione verso la salute delle classi meno abbienti è anche pienamente funzionale al loro inserimento nei nascenti sistemi di organizzazione dello Stato e della produzione, nei nuovi meccanismi di consumo che si vanno velocemente delineando proprio in quel periodo storico. Lavoratori, impiegati, cittadini e soldati sani fanno meglio il loro dovere, producono di più, costano meno alla società e hanno le carte in regola per passare da un’economia di sussistenza a quell’economia di “consumo allargato” che all’inizio del XX secolo compie i suoi primi timidi passi. La motivazione curativa individuale e sociale della frequentazione della spiaggia, manterrà una forza significativa per più di un secolo e, pur conservandosi, più o meno esplicita, solo nelle strutture delle colonie marine per l’infanzia o in specifiche strutture sanitarie (stabilimenti idrote-

Movimenti di liberazione “Il corpo non è più soltanto da guarire o riabilitare, ma viene usato come veicolo di comunicazione e viene offerto perciò allo sguardo altrui. Lo si fortifica mediante il nuoto e lo sport, gli si conferisce una tinta dorata e lo si mette in scena in occasione di raffinati divertimenti. Si diffonde un dover essere del corpo, socialmente definito, si impongono nuove regole per il gioco erotico e si elabora una messa in scena dell’apparenza...”9. Spogliarsi in spiaggia diventa una piacevole necessità. Ci si spoglia per motivi pratici, per muoversi, per avere un contatto con gli elementi balneari non costretto e impacciato dagli abiti. All’epoca della diffusione allargata della balneazione la giustificazione più solida per scoprirsi, è quella cinetica. Non si può affrontare piacevolmente e dignitosamente il bagno “attivo”, con tanta roba addosso, con vestimenti da spiaggia che impacciano il nuoto, il godimento della sabbia, i movi-


Corpi

menti sciolti e i giochi sull’arenile. Tutta la moda dal secondo decennio del ’900 spinge verso modelli femminili e maschili che, almeno nel quotidiano, puntano a liberarsi progressivamente da elementi del vestiario fortemente costrittivi10. Ci si toglie di dosso l’ ingombrante panneggio coperto dalla polvere di un lungo periodo che tendenzialmente ha negato in modo più o meno severo, in ossequio a dettami religiosi e morali stringenti, la possibilità di esporre il corpo allo sguardo, alla vista di chiunque, famigliari compresi. Il senso del pudore, tradottosi spesso e volentieri in senso della negazione, si modificherà in maniera significativa sotto la spinta nata dalla potente combinazione di teorie scientifiche, approcci estetici, emancipazioni sociali, politiche rivoluzionarie, nuove modalità della convivenza umana, che segnano in profondità la prima metà del 900, fino a sfociare nella radicale mutazione “generazionale” e culturale degli anni ’60. A spingere inizialmente la massa in questa direzione saranno, insieme a elementi sociali di ampia portata, proprio fattori ludico-cinetici come la pratica sportiva e la balneazione, propulsori semplici ma potenti dell’ emergente filosofia del corpo sano, bello, da esibire. Al mare la richiesta di libertà verrà amplificata: la vacanza balneare sarà sempre più concepita come occasione che richiede rilassatezza e al tempo stesso energia e attivismo dei movimenti, che non vuole un corpo statico, fermo nelle pose ormai definitivamente “fuori corso” del vezzoso settecento e dell’impettito Ottocento. Come il crogiolarsi nelle minute e statiche attività domestiche (il ricamo, la lettura, la musica, ecc) tipiche di uno stile di vita improntato sul minor impegno fisico possibile, era segno distintivo del mondo femminile benestante fino agli inizi del XX secolo, la dinamicità ginnica, lavoratrice e viaggiatrice, fisicamente attiva, che

AFG, Rimini 1903, album Battaglini, anonimo. Le bagnanti indossano abiti da spiaggia completamente coprenti e si riparano con l’ombrellino da sole.

AFC, Cattolica primi anni ’20, anonimo. L’abbigliamento da spiaggia contempla accappatoio alla caviglia, ombrellino e scarpette.

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Spiaggia

AFR, Riccione primo decennio del ’900, cartolina, anonimo. Sotto i tendaggi delle cabine si è vestiti di tutto punto.

AFG, Rimini primi ’900, anonimo. Blusa accollata con gonnellino più o meno lungo, pantaloni al polpaccio, immancabile cappellino per non farsi deturpare il viso dai raggi solari.

Nella pagina successiva: AFG, Rimini 1912 circa, anonimo. Costume intero di maglia che lascia la possibilità di cimentarsi nel “bagno di nuoto”. AFC, Cattolica anni ’20, anonimo. Costumi interi multicolori. AFC, Cattolica seconda metà anni ’20, anonimo. Costumi con canottiera e pantaloncini sgambati adatti a mostrare sulla spiaggia tutta la prestanza fisica.

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modella la rinnovata estetica femminile diverrà il segno di appartenenza alla upper class novecentesca. Le formosità accentuate, al limite della pinguedine, dell’agiata e ostentata tranquillità borghese ottocentesca fronteggiano per un certo periodo l’affermarsi della

sottigliezza di elegantissime, seminude silfidi e figurine liberty, poi cedono definitivamente il posto alla tonicità sostanziosa delle nuove eroine dell’immaginario collettivo che lo sport, la letteratura, la moda nel suo complesso, il potentissimo cinematografo e perfino la politica (sia di destra che di sinistra) fanno muovere su mutevoli fondali sociali. Anche per gli uomini le cose vanno mutando. Il potere solido e rassicurante dei colletti inamidati e degli “sparati”, l’autorevolezza degli abiti scuri che a fatica si allacciano sul ventre abbondante di “commendatori” e “possidenti”, dei fisici segnati da evidente opulenza economica e alimentare, è comunque ancora forte, e troverà modo di resistere più a lungo della pinguedine femminile. Ha però uno storico contraltare, quello della forma fisica di prestanti militari, degli avventurieri, di invincibili sportivi, degli uomini nuovi del ’900 in cui la qualità, anche estetica, del corpo diviene valore incontestabile della persona. Il primo Novecento pretende pure dai maschi forme non solo più sane, come vanno professando i teorici della medicina e dell’antropologia fisica dell’epoca11, ma anche esteticamente più armoniche, più atletiche, più guerriere. Il XX secolo richiede un aspetto corporeo in linea con un mondo che da un lato si avvia a dinamismi bellici catastrofici (si pensi semplicemente all’esaltazione fisica e dinamica del futurismo poi del fascismo e del nazismo) e dall’altro apre le porte ad una visione erotica “generalizzata”, lentamente ma inesorabilmente sempre più esplicita e paritaria tra compiacimento maschile e femminile. Dove meglio che sulle spiagge può manifestarsi questo cambiamento di senso della forma/sostanza fisica? Il mare, l’aria, il sole, e gli sguardi devono arrivare quanto più possibile sulla pelle rinnovata, liberata e abbronzata dalla modernità novecentesca.


Corpi

Corpo, natura, movimento, libertà, eros divengono le facce del grande totem balneare moderno. Il nudo e il cotto La prima impegnativa partita culturale che si gioca negli spazi della balneazione è quella del controllo dell’emotività sessuale, un’emotività che si esprime in una gamma di comportamenti che varia da gradi leggeri a gradi pesanti di coinvolgimento individuale e collettivo. Ad ogni modo la preoccupazione per tutto ciò che può suscitare qualsiasi forma di pruderie sessuale è alla base delle numerose e rigide disposizioni che le autorità locali emanano per regolare afflusso e comportamento ai bagni. Si sente il dovere da parte di chi governa i nascenti centri del turismo marino di codificare in qualche modo una “morale balneare” ancora tutta da definire. Documenti noti ed estremamente significativi sono quelli che annunciano pene severe per chi si intrattiene sulla spiaggia e in acqua non adeguatamente abbigliato e con un comportamento non consentito dalle ferree disposizioni della legge e dalla morale marcatamente conservatrice dello Stato Pontificio, a cui Rimini e la sua costa all’epoca dei primi passi dell’industria balnearia appartengono. Si teme soprattutto il potere dello sguardo, la possibilità che attraverso gli occhi si corrompano gli animi, si propaghi il morbo di un’indecenza culturalmente destabilizzante e perfino fisicamente pericolosa12. La preoccupazione che il corpo abbia il sopravvento sull’anima di buoni e civili cittadini si traduce nel tentativo di assicurare con la rigidità della legge la privacy, il pudore, la moralità, l’ordine. Un ordine che in realtà sulla spiaggia si sgretolerà piuttosto celermente. La vicenda delle donne al seguito di Luciano Bonaparte che nel 1823 scappano da Rimini offese dagli sguardi non innocenti e dai modi di alcuni giovanotti, la dice lun57


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AFC, Cattolica primo decennio del ’900, anonimo. Al castigato costume da spiaggia si concede qualche variazione cromatica.

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ga su come al mare, sin dalle origini della balneazione, l’occhio voglia la sua parte, un occhio particolare che più che al paesaggio è rivolto agli individui, all’umanità circostante, agli esemplari raggruppati che compongono la scena balneare. A conferma di una tendenza generale diffusa in tutti centri del nascente turismo balneare, Corbin afferma che sulle spiagge del Nord Europa uno degli accessori più diffusi fra gli uomini era il binocolo, usato esclusivamente per spiare donne e fanciulle, e che vi fossero ovunque individui dediti, come riportato in una guida dedicata ai bagni di Brighton del 1796, a osservare le bagnanti “Non soltanto quando escono in disordine dal mare, ma quando sgambettano, si abbandonano e sguazzano..., simili a Naiadi in costume di flanella”13 Se l’acqua risana il corpo mette però in serio pericolo la morale, e anche i vestimenti più coprenti alla fine poco possono sull’effetto conturbante dei corpi bagnati. L’estremo comportamentale, che va ben al di là della pruderie visiva, è quello testi-

moniato dal Giangi che nella sua cronaca in data 9 luglio 1832 riporta il misfatto, più volte citato dagli studiosi,14 che vede protagonisti un brutale soldato croazzo di stanza a Rimini e una giovane sposa violentata, mentre è intenta a bagnarsi in mare, sotto gli occhi del marito incapace di fermare l’aggressore. Il soldato, brutto e fetente uomo cede al turbamento violento e passa dal semplice sguardo all’azione, si presta a compiere le sue fameliche e brutali voglie senza il minimo ritegno, quasi a voler dar ragione alle Autorità su quanto la zona dei bagni sia luogo pericoloso, spazio ancora ambiguo e marginale della città, fuori del consorzio civile, e dunque da porre sotto attenta osservazione e sorveglianza. A Rimini, come in altri centri di cura marina, vari documenti di governo cercano di delineare con la nettezza della legge comportamenti ammessi e non ammessi, regole perentorie per il controllo delle nuove aggregazioni balneari, prescrizioni da non infrangere in alcun modo; disposizioni delle autorità che sono state commentate con attenzione dagli storici della balneazione e in particolare da Ferruccio Farina in diversi suoi lavori. È del 1833 la comunicazione, riportata proprio da Farina, che il Vescovo della città Francesco Gentilini invia alla magistratura cittadina dove segnala che “io stesso ho veduto con vero orrore giovani, nudi o al più seminudi, che dall’alto si gittano nelle sommesse acque sotto gli occhi e fra le risa di tutti.....donne già provette che mi sono state indicate non molto distanti dalla pubblica strada corriera alla portata di essere viste da tutti nude o seminude fra le acque, o fuori dalle acque e sulle mobili arene”15. L’anno dopo, evidentemente per far fronte a preoccupazioni crescenti e situazioni irrisolte, il governatore distrettuale della città di Rimini, il Marchese Zacchia, emana una lunga e articolata Notificazione onde


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“porre freno agli abusi invalsi sul modo di bagnarsi nell’estiva stagione al Fiume Marecchia, e alla Marina Spiaggia, massimo nei luoghi che rimangono più esposti alla vista di chi viene a passeggiare, in guisa che un insoffribile oltraggio viene apportato al pubblico pudore, e a chi nell’animo ha sensi di purità e candore.” Anche chi ha animo puro si trova a frequentare le spiagge, visto che la stessa notificazione precisa che “Nei bagni di Mare è vietata la promiscuità dei sessi, cosicché separati, e disgiunti affatto sieno i posti. Pei Uomini viene fissato il tratto di spiaggia dalla Torre del Molo all’Ausa; e per le Donne la spiaggia di levante all’Ausa in su, in distanza e modo, che non abbia a sortirne il benché minimo disordine”16. La prima semplice soluzione sarà dunque quella di tracciare spazi ben delimitati per genere, aree in cui bagnarsi e prepararsi al bagno, nettamente distinte per donne e uomini, senza possibilità di incontro tra i sessi sia in acqua sia in terra, se non dopo essersi opportunamente e completamente “ricomposti”. Come già ricordato anche nella piattaforma dello Stabilimento privilegiato dei bagni di Rimini (come in tutti gli altri) i camerini delle donne, gli spazi protetti in cui cambiarsi e scendere in acqua, sono ben separati da quelli degli uomini: i primi sul lato destro della passerella, gli altri sul lato sinistro, in modo da evitare ogni promiscuità anche fra le onde. Nei primi impianti è necessario mettere ben a fuoco inedite ma precise regole di socialità e moralità, in grado di definire i confini, che risulteranno assai mobili nel tempo, del nascente erotismo balneare. Ci sarà comunque sempre qualcuno che fino a tempi relativamente recenti si scandalizzerà, con motivazioni aggiornate secondo l’epoca, della pericolosa, disdicevole atmosfera ritenuta palesemente sensuale della spiaggia. Nel Riminese

portavoce agguerrito dell’opposizione ai guasti al pudore provocati dalla balneazione, sarà il periodico cittadino conservatore L’Ausa che porterà avanti vere e proprie battaglie moralizzatrici, spesso dando spazio alle opinioni di cittadini non convinti dell’eticità della vita di spiaggia. Nel numero del 28 luglio del 1900 viene riportata sull’Ausa la lettera di un morigerato campagnolo che in un sospetto e improbabilissimo linguaggio popolare esprime tutto il proprio scandalo per la situazione che si ha sulla spiaggia: Una porcaria che non staria bene sono quela di zirare le done in tel mezzo degli uomini, e loro tra le done, perché noi di campagna non siamo avvezzi e ci vergognamo. Certo che io non porterebbe i miei bambini in quel vituperio.” Non è azzardato vedere dietro queste righe, così linguisticamente eterogenee e farsesche, la mano di un redattore troppo zelante17. Si tratta comunque di documenti di estremo interesse nella prospettiva antropologica, testimonianze che vanno a confermare quella marcatura impudica, quella

AFC, Cattolica primi anni ’20, anonimo. Si accorcia progressivamente la copertura delle gambe e ormai quasi tutti osano mettersi “in costume”.

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spiaggia

aFg, Rimini 1928, Foto Mele. costumi interi femminili ormai simili a quelli maschili. attillati sul corpo, che lasciano libertĂ di movimento alle braccia e alle gambe, adatti per il nuoto e per i movimenti sportivi in cui anche le donne si cimentano.

aFc, cattolica fine anni ’20, cartolina, anonimo. costumi interi maschili e femminili.

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Corpi AFG, Rimini 1939, anonimo. Costumi interi con calzoncini o gonnellino. Le gambe sono completamente scoperte, le scollature si fanno più ampie e si vanno definendo alcuni segni seduttivi del costume da mare femminile.

ineliminabile e avvolgente prospettiva di sensualità che la spiaggia, non solo dall’inizio della balneazione moderna, ma forse addirittura per la sua intrinseca flessione psicologica, (testimoniata chiaramente dai miti antichi: non casualmente Venere nasce dal mare), possiede in modo inequivocabile. Il corpo scoperto e rivelato nelle sue forme naturali fa paura, la nudità seppur posta sotto stretto controllo da separazioni fisiche e dai primi abiti/costumi balneari che poco o nulla concedono allo sguardo, è inizialmente l’anello debole della pratica dei bagni di mare, quell’anello che si rafforzerà progressivamente fino a divenire cardine centrale della balneazione di massa. Non verranno a mancare in questa prospettiva le legittimazioni estetico-comportamentali, (l’abbronzatura, la tonicità del fisico, ecc.) e addirittura l’avvallo scientifico, che in Paolo Mantegazza trova convinte, ironiche e mirabili sintesi. L’illustrissimo professore, direttore dello

stabilimento balneare riminese dal 1869 al 1879, noto in tutta Italia per le sue idee assai aperte e moderne, ritenute da molti estremiste e ben oltre il limite della morale dell’epoca18, pone in tutta la sua opera un nesso evidente tra balneazione e sfera sessuale. Mantegazza quando parla dei benefici delle cure marine non può fare a meno di sottolineare che questi consistono anche in: “innalzamento nell’ uomo di cose che tendono troppo al centro della terra. Miglioramento nelle donne di diametri troppo generosi. Raddrizzamento nelle donne di cose storte; e per vie indirette (molto indirette) guarigione della sterilità. Attonamento di muscoli fiacchi per natura o infiacchiti da malattie o da abuso della vita. Aumento dell’appetito.Aumento del sonno. Eccitamento dell’amore in ambo i sessi”19. L’attenzione conservatrice da un lato e quella “trasgressiva” dall’altro, messa da parte l’irrefrenabile promiscuità della spiaggia, non possono a un certo punto che spostarsi sull’ultima barriera posta tra sguardo e cor61


Spiaggia

po, l’ultima trincea moralizzatrice che di anno in anno subirà attacchi non contrastabili: quella dei costumi da bagno. La storia del costume da bagno, soprattutto quello femminile che rappresenta il vero oggetto di discussione, è ricca e articolata, ma la sostanza delle sue vistose mutazioni è del tutto evidente. Dai vestiti completi, lunghi accappatoi, calzoni alla caviglia abbinati a blusa o camiciotto con gonnellino e scarpette delle origini, allo storico Bikini presentato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1946, fino a giungere alla ulteriore riduzione di stoffa sul corpo possibile nella contemporaneità, ciò che è evidente è la progressiva spinta verso una “libertà d’esposizione” che mantiene un rapporto dialettico, sospeso tra equilibrio e forzatura, con il concetto mutante e relativo di “decenza”. Il passaggio più significativo sarà quello da una nudità necessaria, concessa per muoversi, per fruire degli elementi marini AFG, Rimini 1952, anonimo. Il costume intero in Italia resiste per buona parte degli anni ’50 nonostante la presentazione nel 1946 negli Stati Uniti del due pezzi che scopre l’ombelico a cui il creatore Louis Réard dà il nome di Bikini.

AFG, Rimini primi anni ’50, anonimo. I completi da mare tendono ad assumere precise linee coordinate che permettono di indossarli anche al di fuori dell’arenile.

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Corpi AFG, Rimini primi anni ’50, Josip Ciganovic. Seduzione femminile e costumi da bagno stringono un patto indissolubile che trova celebrazione sulle spiagge e nei concorsi di bellezza.

AFR, Riccione seconda metà anni ’50, anonimo. Il due pezzi conquista prima le bagnanti straniere e poi quelle locali.

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Spiaggia

AFG, Rimini 1969, Davide Minghini. Il costume diventa esplicito mezzo di seduzione e segno di libertà di esposizione del corpo.

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in modo comodo, non costrittivo, ad una nudità accessoria, le cui finalità sono senza dubbio orientate verso aspetti seduttivi e d’esibizione. Nudità e libertà stabiliscono rapporti densi di significati costantemente influenzati, rivisti e corretti dalla “moda” corrente. La stagione di procaci signorine fotografate in costumi da bagno che col tempo vanno progressivamente a “smaterializzarsi” sarà lunga e fortunatissima. Ma la nudità accessoria ha bisogno di alleati che almeno provino a difenderla e giustificarla, capaci di creare un alibi socialmente credibile: il più attendibile e potente sarà l’abbronzatura, il rito estetico che segnerà l’apprezzamento di un corpo non più crudo e freddo nel suo pallore, ma piuttosto di un corpo caldo, per certi versi più “selvatico” e sano, vicino allo stato naturale e al contempo espressamente mondano, segnato il più estesamente possibile dalla tintarella frutto del privilegio della vacanza, un corpo espressione coerente delle nuove passioni e pulsioni che pervadono il XX secolo.

Il corpo nudo per essere accettato, esposto allo sguardo collettivo e apprezzato deve sottostare ad un’unica condizione: quella di essere ben cotto dai raggi del sole. Note 1 Savelli 2009, p.149, Urbain 2002, p. 217. 2 Triani 1988, p. 144, Pivato, Tonelli 2004, pp. 70-76. 3 Un’ottima bibliografia si trova in De Nicolò 1998, pp. 176-178. 4 Farina 2003, p. 75. La definizione si ritrova in diversi interventi dello stesso Farina sul tema delle Colonie Marine. 5 Tosi 1986, p. 16, Sorcinelli 1998 p. 140. 6 Silvestrini 1965, p. 65. 7 Ugolini 1873, p. 35. 8 Farina s.d. “I bagni della salute”, www.balnea.net. 9 Savelli 2009, p. 151. 10 Triani 1988, p. 77. 11 Valgano per tutti i riferimenti all’opera di Cesare Lombroso. 12 Savelli 2009, p. 142. 13 Corbin p. 110. Vedi anche Masini 1986, p. 49. 14 Gattei 1990, p. 16-17, Farina 1992, Farina 2003, p.30. 15 Farina 2003, p. 30, Farina 1995 pp.43,45. 16 Farina 2003, p.28 17 Riportato da Gattei 1990, p.50. 18 Farina 2003, pp. 56-60. 19 Farina 1987, p.16 tratto da Mantegazza 1896.


Corpi AFG, Rimini 1968, anonimo. Sulla spiaggia il corpo è il centro dell’attenzione e addirittura viene dipinto per risultare ancora più distinguibile, attraente e riconoscibile all’interno della “tribù” balneare. In questa foto una precoce pratica di “body painting” sulla spiaggia riminese nel 1968.

AFG, Rimini fine anni ’70, anonimo. Sono gli anni in cui il costume femminile tende a ridursi fino a dimezzarsi e tendenzialmente a scomparire.

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IV. Elementi

Dannoso/Salutare, Caldo/Freddo, Terapeutico/Ludico

Sulla spiaggia i quattro elementi si esprimono con una sinergia particolarmente intensa e specifica, che diventa fondamento della balneoterapia e della talassoterapia moderna. A uomini, donne e bambini la spiaggia piace perché il contatto con gli elementi, anche se in qualche modo “addomesticati”, consente l’avvicinamento a uno stato primordiale, a una condizione naturale. Fin dalle origini della teorizzazione e diffusione della cura marina si riconoscono e si magnificano gli effetti salutari non solo dell’acqua ma anche dell’ aria di mare, carica di sostanze benefiche e ristoratrici: la loro azione combinata viene esaltata per l’alto potenziale curativo, la loro combinazione è ritenuta la medicina giusta per ricchi e poveri, il toccasana per tutti i nuovi frequentatori delle spiagge. Il fuoco, il sole, dovrà attendere decenni prima di essere considerato al pari dell’acqua e dell’aria; anche in questo caso verranno prima i segnali di apprezzamento medico–igienico relativi alla luce e al calore solare, poi si formalizzerà l’ invincibile ritualità estetica e comportamentale dell’ abbronzatura. La terra, nella sua forma balneare più connotativa, quella della sabbia, arriverà a guadagnarsi un giudizio positivo seguendo, almeno parzialmente un’altra strada. Ci sarà chi troverà piuttosto presto un’efficacia terapeutica anche alla rena calda, attraverso le arenazioni o sabbiature, ma il godimento della sabbia, inizialmente piuttosto dubbio, sarà segnato, più che dal suo limitato utilizzo terapeutico, dalle sue stesse caratteristiche fisiche, ritenute man mano più confortevoli che fastidiose e, soprattutto, dalle sue eccellenti possibilità ludiche. È un fatto che la pratica balneare tra tutte attività turistiche e ricreative è quella che consente la fruizione più integrata e concomitante di tutti e quattro gli elementi; è quella che con il minimo sforzo porta al loro godimento simultaneo e alla massima gratificazione. Al mare il rapporto con la natura e le sue espressioni elementari è facile e immediato: questo è senza dubbio uno dei motivi del suo innegabile successo antropologico.

Acqua: fenomenologia del bagno Le prescrizioni del dottor Russel raccolte nella sua fondamentale opera De tabe glandulari, sive de use aqae marinae in morbis glandularum dato alle stampe in Inghilterra nel 1750 e dei molti sostenitori dell’idroterapia marina che si diffondono nei decenni successivi in tutta Europa attraverso una nutrita letteratura,1 indicano nel bagno marino un effetto curativo dovuto alla concomitanza di diversi fattori, alcuni di natura fisica e altri di natura psicologica. Il risultato sarà quello della nascita e dell’immediato successo di una vera e propria medicina del mare, articolata su uno spettro assai ampio di proprietà curative che agiscono su un gran numero di “malattie dell’organismo” per giungere a sanare le meno definite e definibili “affezioni nervose”.

Il bagno in mare secondo i medici della seconda metà del Settecento serve dunque a curare il fisico e la mente. Del bagno si apprezza il contrasto temprante tra caldo e freddo oltre che le specifiche caratteristiche chimiche e fisiche, farmacodinamiche, dell’acqua marina. All’immersione tra le onde gli scienziati della medicina e dell’igiene d’ispirazione illuminista attribuiscono potere curativo su patologie assai variegate: certamente quelle del sistema neurovegetativo e del temperamento linfatico, quelle dovute all’ “ingorgo del sistema ghiandolare”, e la si ritiene capace anche di “raddrizzare e rinforzare figli rachitici, ridare colore a figlie clorotiche, restituire la speranza a mogli sterili. [...] Ma soprattutto sembra il solo rimedio efficace contro i casi di nevrosi”2.

AFG, Rimini 1952 circa, anonimo.

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Spiaggia AFG, Rimini 1907, album Battaglini, anonimo. Bagno sotto i camerini della piattaforma dello Stabilimento riminese. Da notare le scalette sotto i camerini che portano direttamente in acqua, il cappello delle signore, l’utilizzo del “moscone” che forse spiega l’origine e il successo di questa imbarcazione balneare.

La terapia balneare sarà, come già detto, ritenuta straordinariamente efficace per la cura della diatesi scrofolosa, un’affezione infantile particolarmente diffusa e socialmente avvertita durante tutto il 1800, e le spiagge, comprese quelle riminesi, ospiteranno presto, accolti negli appositi Ospizi marini concepiti come “sanatori”, migliaia di bambini sofferenti di questa e di altre malattie dell’indigenza. La balneazione si va profilando quasi come una panacea: “L’acqua di mare assume uno statuto medico terapeutico che, però, i testi dell’epoca provvedono a divulgare in termini quanto mai accessibili: fa bene alla pelle per la sua temperatura e per i sali che contiene; fa bene ai nervi periferici, nutre l’epitelio e gli altri elementi istologici; provoca una azione indiretta “sulla circolazione dei visceri e sulla circolazione dei centri nervosi”; eccita l’energia muscolare, influisce positivamente “nel pensiero e nelle emozioni”. Inoltre può guarire la sterilità delle donne e rimediare all’anafrodisia vale a 68

dire alla “mancanza o pochezza della facoltà virile”3. Secondo il pensiero idroterapeutico iniziale l’esperienza del bagno in mare doveva avere, per essere efficace, qualcosa di drammatico; indispensabile che l’acqua fosse fredda (12 -14 gradi al massimo), con adeguata salinità, e mossa, per apprezzare appieno l’effetto sferzante dell’onda. Momento, durata e modalità del bagno dovevano seguire regole, se non propriamente punitive comunque assai drastiche, indicate dal medico. “Nelle donne, le fanciulle, i bambini, i malati cronici, i convalescenti o individui pusillanimi, l’emozione del bagno di mare nasce dalla brutale immersione ripetuta, sino alla comparsa del secondo brivido. Il bagnino tuffa la sua cliente nel preciso momento in cui l’onda si infrange; egli a cura di tenerle la testa in basso così da aumentare il senso di soffocazione. Questo metodo, in vigore a Dieppe, Doberan e sulle spiagge inglesi, suscita l’indignazione di molti clinici”4.


Elementi AFC, Cattolica tra primo e secondo decennio del ’900.

È evidente che il bagno praticato in questa forma richiama espliciti riferimenti iniziatici, una sorta di tempra del corpo e dello spirito e sembrano anche trasparire non inconsistenti, per quanto inconsapevoli, sfumature sessuali. L’indignazione dei clinici per l’eccessiva brutalità del bagno così concepito si accompagnerà alla naturale ricerca da parte dei bagnanti di formule più “morbide” e gratificanti. È sensato supporre che sulle coste mediterranee, per le diverse condizioni ambientali e per l’affermarsi di una concezione terapeutica più soft, il tono del bagno, pur rimanendo un tono deciso, (lievemente scioccante, determinato dall’immersione immediata in acqua dai “casotti” e per i rigidi tempi e modi di svolgimento), non avrà mai, neppure inizialmente, la drammaticità delle bagnature nordiche. Anzi il confronto con l’uso spontaneo dei bagni di mare delle popolazioni locali del mediterraneo, marcatamente ludico, sicuramente influirà sullo stile di balneazione praticato sulle coste italiane: “i bagnanti

mediterranei, che sovente sono anche tuffatori, non sono alla ricerca di vigore; non pensano affatto a provocare o combattere il mare, ma giocano nella trasparenza delle acque rinfrescanti. Questa usanza, raramente solitaria, ha sempre carattere ludico; i gruppi di bagnanti restano a lungo in acqua, stillanti come un branco di delfini...”5. Le prime immagini di balneazione sulle coste riminesi ritraggono bagnanti sotto i camerini della piattaforma dello Stabilimento che sembrano già apprezzare l’effetto dell’acqua più che per gli aspetti strettamente terapeutici per la sua straordinaria, basilare, atavica forza ludica. Le indicazioni mediche e “tecniche” rimangono comunque fondamentali nella pratica balneare delle origini. Nel 1856 il medico di Cattolica Domenico Cervesi, prendendo ispirazione da opere simili uscite precedentemente anche in Italia e facendo frutto della propria esperienza diretta6 dà alle stampe l’opuscolo Sull’uso ed abuso dei bagni di mare, in 69


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AFC, Cattolica anni ’30. Bambini al bagno nei pressi di un burc, vasca per conservare il pesce novellame.

Nella pagina successiva: AFG, Rimini 1951 circa, Angelo Moretti.

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cui la prima parte è dedicata alla storia e a osservazioni medico scientifiche sui bagni di mare, mentre la seconda parte “è dedicata invece all’igiene del bagnante e vi si trattano le norme da seguirsi prima del bagno, nel bagno e dopo il bagno con particolari informazioni sui bagni di acqua marina riscaldata e precisi suggerimenti riguardo all’abitazione,al vestiario, agli alimenti al moto, al riposo”7. Nel 1873, in coincidenza con l’apertura del nuovo grande stabilimento riminese, voluto dalla municipalità in sostituzione dell’ ormai inadeguato stabilimento sorto nel 1843, viene data alle stampe la “Guida ai bagni di Rimini” di Ruggero Ugolini8. La fortunata pubblicazione, che apre la strada a diverse opere simili pubblicate negli anni a venire, contiene, oltre alla descrizione della città con i suoi monumenti e delle strutture dell’imponente Stabilimento dei bagni (secondo molti all’epoca il migliore d’Italia), un sintetico ma eloquente “Codice igienico dei bagni di mare” che riassume le basilari avvertenze terapeutiche dell’epoca. In questo Codice, tratto dal testo di Paolo Mantegazza nell’Enciclopedia igienico popolare del 1869, si dice che: “Trenta bagni di mare possono bastare per una cura ricostituente, e basta un bagno al giorno. L’ora migliore è dal mezzogiorno alle cinque, dopo la colazione ed il pranzo. Se nuota-

tori, nuotate; se avete la vergogna di non saper nuotare, saltate, gavazzate, movetevi molto nell’acqua. L’urto delle onde marine e il fremito della corrente di un fiume sono eccitanti della pelle, e riescono e utilissimi ai sani; possono stancare i deboli e i convalescenti. [...]Gli uomini sani e robusti potranno bagnarsi di buon mattino e a stomaco a digiuno. I giovinetti e i deboli faranno meglio di bagnarsi tre ore almeno dopo il pasto. In essi l’ora migliore del bagno sarà tre ore dopo la colazione.” Proprio con l’emerito prof. Paolo Mantegazza, direttore dello stabilimento riminese per ben un decennio a partire dal 1869, i bagni di mare, il clima marino e la vacanza balneare non solo assumeranno piena certificazione medico-sociale, ma in parallelo si arriverà all'assoluta legittimazione della componente ludica della vita e dei piaceri di spiaggia nell’insieme, ritenuti altrettanto efficaci degli elementi naturali nel risanare e rinvigorire i bagnanti. Nel 1933 il dottor Guido Nanni (Segretario del Centro di Studi Talassoterapici di Rimini) nell’ opuscolo “Consigli al bagnante” comunque precisa ancora che “Il bagno in mare è un bagno freddo medicato: va graduato nell’ora e nel tempo”9. Il bagno di immersione assistita tra le onde sferzanti pare sin dall’inizio avere una connotazione “femminile” e legarsi comunque a una condizione di fragilità, quella di “sofferenti” signore e signorine, dei bambini più deboli, di chi non ha un fisico prestante e non gode di una buona salute generale; la sua funzione strettamente terapeutica risulta evidente anche nei prescritti comportamenti da tenere in acqua. Altro è il bagno “maschile” quello del nuoto, della forza fisica che sfida l’acqua, che risulta benefico e ludico allo stesso tempo, proprio per la richiesta di moto coordinato, di sforzo fisico, di prestazione “sportiva”. “Il modello maschile del bagno di mare che viene chiamato di nuoto, si allinea alla nascente moda della ginnastica


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che mira a rendere dinamici e concepisce il corpo come un circuito di forze [...]. Il bagno di nuoto regala quella particolare voluttà che Bachelard definisce “gioia cenestesica della violenza”10. Così inquadrata l’iniziale fenomenologia del bagno marino sembra richiamare ancora una volta due atteggiamenti ben distinti per genere: quello passivo, di abbandono, al femminile, a cui si oppone quello attivo, di conquista, al maschile. Progressivamente il nuoto, il confronto fisico attivo e rinvigorente con l’acqua, conquisterà anche le bagnanti e sarà un fattore che spingerà, certamente insieme ad altri, alla trasformazione dell’abbigliamento da spiaggia. Impossibile nuotare e muoversi agilmente in acqua con i costumi/abiti costrittivi, ingombranti e totalmente coprenti della morigeratissima moda di metà Ottocento - primi Novecento: il corpo, soprattutto quello femminile, reclama nuove comodità in acqua che portano a nuove libertà di vestiario e di comportamento anche sull’arenile. Nel passaggio dalla sempre più sfumata finalità terapeutica alla sempre meno celata finalità ludica del bagno e in genere dell’arenile, si consuma l’emancipazione femminile sulla spiaggia, si innescano potenti meccanismi di cambiamento totale del “significato balneare”, che vedranno la compartecipazione di tutti quattro gli elementi naturali, con una progressiva, straordinaria e ammaliante affermazione del Sole. Aria: un’atmosfera nuova Tra l’iniziale primato dell’acqua e l’irresistibile ascesa del sole, c’è l’aria. Lavoiser con le sue innovative teorie sull’ossigeno, risalenti al 1783, porta presto i medici igienisti all’ esaltazione scientifica della virtù curative dell’aria marina per il trattamento di malattie epocali, come quella, angosciante e in rapida diffusione, della tisi polmonare11. 71


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Sopra: AFG, Rimini 1938 circa, anonimo.

AFG, Rimini anni ’50,Virgilio retrosi.

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All’“invenzione” con finalità medico/ mondane dell’acqua di mare si affianca subito la “scoperta” dell’aria delle coste. Si può dire che acqua e aria comincino insieme il loro cammino come elementi terapeutici della balneazione. Gli effetti dell’una uniti agli effetti dell’altra sono indicati come il fattore fondante e vincente della cura marina. Già il dottor A.P Bu-

chan nel suo Pratical observations on seabathing del 1804 esalta espressamente le qualità dell’aria marina e Plinio Schivardi nel suo I bagni di mare del 1891 dice che “è uno dei principali coefficienti di ciò che si chiama la cura marina, poiché essa per purezza e salubrità può competere con quella che si respira sulle montagne. [...] La respirazione è la prima a sentirne gli effetti ; essa avviene con maggior ampiezza e attività”12. A margine di questa citazione Giorgio Triani commenta: “era naturale dunque che i tisici corressero sulle rive del mare, a respirare i balsami e a trovare conforto nella mitezza del clima. L’aria marina continuamente agitata dai venti, inondata di luce, pura da emanazioni deleterie, satura d’umidità era considerata una vera aria medicamentosa...”13. Anche nel codice igienico dei bagni del riminese Ugolini si sottolinea (parafrasando Mantegazza) che “conviene però tenersi lontani dalle grandi città dove si respira un’aria polverosa e infetta così come si deve fuggire dalle coste paludose. Insieme alla cura dell’acqua conviene procacciare ai polmoni il balsamo di un’aria pura ed eccitante, e che in moltissimi casi riesce ancor più utile dell’acqua”14. Nel 1874 in un manifesto che pubblicizza i bagni a Riccione si fa esplicito riferimento all’ “aria balsamica”di cui gode la località15. Negli anni a venire si arriva alla “massificazione” del bagno d’aria salsoiodata e dei suoi innumerevoli benefici. Nel 1933 Guido Nanni afferma che: “l’aria marina rappresenta nel complesso talassoterapico il principale e più attivo medicamento. Per i piccoli bimbi, per le persone molto stanche ed esaurite, per i vecchi, essa può costituire anche l’unico medicamento indicato e permesso”16. Ciò che è avvenuto per l’acqua avviene anche per l’aria, che rinnova il proprio valore sociale/simbolico oltre che igienico.


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La classe borghese cittadina ottocentesca all’aria ci sta poco: si vive prevalentemente al chiuso e le città, soprattutto d’inverno, sono oltremodo fumose per l’uso massiccio che si fa del carbone. La classe proletaria inurbata se la passa ovviamente molto peggio, in situazioni abitative disastrose, in ambiti urbani degradati e privi di igiene, in spazi di lavoro insalubri se non palesemente nocivi. A metà ’800 si avverte il bisogno di aria nuova, espressione non solo metaforica di una società che sta cambiando velocemente, e di aria aperta, che porti a vivere fuori dagli spazi chiusi e si accordi con la moda che si va diffondendo, prima nella società anglosassone poi anche in quella continentale, delle attività sportive e ricreative a contatto con la natura. C’è bisogno d’aria buona, che favorisca robustezza e vigore dei cittadini di ogni ceto, che solo in salute possono entrare produttivamente nel nuovo contesto sociale. C’è bisogno di aria felice capace di esprimere le nuove conquiste tecnologiche e sociali che si vanno facendo e nel contempo di gratificare in qualche modo ricchi e meno ricchi, un’aria idonea a contrastare le inquietudini di un’epoca (con i suoi simboli, la sua morale, il suo ordine) che si avvia verso il tramonto, sancito pressoché definitivamente dalla Prima Guerra Mondiale. L’aria di mare, il vento di novità che spira sulle spiagge tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, spinge con forza crescente al cambiamento, trasporta i primi timidi vagiti della cultura di massa, apre la porta a diritti egualitari non solo sul versante della salute ma anche per ciò che riguarda il comportamento individuale e collettivo, prima mai espressi e percepiti con altrettanta chiarezza. Tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del 1900 troverà il modo di diffondersi e in buona parte concretizzarsi la convinzione che la spiaggia e il mare non si pos-

sono e non si devono negare a nessuno. Ma per arrivare al mare di massa, come lo intendiamo oggi, bisognerà aspettare che si realizzino determinate condizioni e si determino consistenti cambiamenti. Dovrà compiersi la totale legittimazione e affermazione del sole (in realtà già ben evidente sul finire degli anni ’20), si dovrà assistere allo sviluppo di una vera e propria industria del turismo balneare in tutta la sua filiera (trasporti, ricettivo, servizi ecc.), dovrà, infine, arrivare il secondo dopoguerra, con il suo carico di profonde trasformazioni della compagine sociale, produttiva e culturale generale.

Sopra: AFC, Cattolica primo decennio del ’900, anonimo.

AFR, Riccione primo decennio del ’900, anonimo.

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AFG, Rimini anni ’20, anonimo.

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Sabbia: dalle dune ai castelli La sabbia ha una storia più discreta degli altri fattori che entrano in gioco nella pratica della balneazione. È l’elemento balneare forse meno considerato, eppure innegabilmente fondamentale nel dare forma concreta alla spiaggia e forma immaginaria alle specifiche emozioni balneari. La spiaggia ideale, superati i “pregiudizi” iniziali, si profilerà proprio come quella fatta di sabbia, sabbia soffice e fine, vellutata e cedevole alla pressione del corpo, godibile per le possibilità ludiche. Non a caso molte località balneari, e in modo speciale quelle riminesi, punteranno a qualificarsi e pubblicizzarsi proprio per la “morbida rena” di cui dispongono. La difficoltà di un suo immediato apprezzamento è dovuta al fatto che la sabbia è piuttosto complicata da gestire dal punto di vista fisico e insidiosa dal punto di vista psicologico: “la spiaggia, la rena erano terreni infidi in cui le sfide dell’ambiente fisico si accompagnavano a quelle con l’estetica, con la decenza e il pudore”17.

Nella prima fase dell’esperienza balneare la sabbia non sembra dunque godere, almeno tra gli adulti, di grande apprezzamento (diverso il discorso per i bambini, che sfruttano subito le sue possibilità ludiche). Pare piuttosto che il desiderio di “saltare” l’arenile attraverso le passerelle sopraelevate che portano alle piattaforme, sia riconducibile, oltre che a esigenze di privacy e separazione sociale, proprio a una sorta di “disgusto” per la sabbia, con le sue dune punteggiate di vegetazione spinosa e ruvida, con i detriti portati dai flutti sparsi sulla sua superficie; sabbia che, in quanto materia sostanzialmente ambigua, per molti versi indistinta, non può essere immediatamente identificata come portatrice di purezza e salubrità al pari dell’acqua e dell’aria. Come già detto precedentemente, (cfr. cap. 3) la rena, per non risultare irritante, rafforza la richiesta di “nudità” avanzata dall’acqua e, più tardi, dal sole. Per i frequentatori dell’arenile vestiti e calzati di tutto punto, la sabbia non è una bella cosa.


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Per chi vuole celare e proteggere ogni parte del corpo, quello femminile soprattutto, la sabbia pone sfide invincibili. I diversi stati in cui si presenta, (compatta se umida, pulviscolare se asciutta,)18 la sua caratteristica “incontrollabilità” in rapporto agli indumenti e al corpo stesso, la rendono potenzialmente indiscreta e spiacevole. In fondo sono sempre piccoli, innumerevoli corpi estranei che si attaccano alla pelle, che si infilano tra gli abiti asciutti e ancor più tra i costumi bagnati: si tratta, in definitiva, di una materia che per essere gestita senza fastidio richiede che ci si vesta poco. È evidente come sabbia e abbigliamento balneare delle origini non vadano affatto d’accordo. Sembra che per i primi bagnanti sia proprio meglio non toccarla e le passeggiate sulla battigia per godere dell’aria salubre del mare si fanno ben vestiti e con tanto di scarpe ai piedi. Se non fosse che la sabbia è componente inevitabile e connotativa della “marina” e della vita di spiaggia, la buona società dell’epoca forse non si sarebbe mai “spor-

cata” con essa anche se, già nel 1874, in pieno lancio dell’attività balneare riminese, è inequivocabilmente documentata l’opinione che anche questa materia balneare possa giovare in qualche modo alla salute. Proprio in quell’anno la possibilità di praticare terapeutiche “arenazioni” o “arenature”, viene riportata in documenti promozionali dei bagni di Rimini e di Riccione19. “Il bagno di sabbia ha azioni curative specifiche dovute all’alta temperatura del mezzo ambiente[...]. Beneficano del bagno di sabbia il rachitismo, le forme reumatiche e nevralgiche, la gotta, l’obesità etc.”20 Ciò che sarà subito evidente agli adulti è che i bambini, a cui per primi è permesso togliersi scarpe e vestiti, con la sabbia si divertono, e anzi che questa diventa l’elemento base del loro passatempo quotidiano. Quando anche compunti signori e costumatissime signorine e signore arriveranno a togliersi scarpe e calze per camminare sulla sabbia si faranno grandi passi

AFG, Rimini primi anni ’50, anonimo.

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in avanti. Liberate e mostrate le estremità e le caviglie il resto del corpo si scoprirà piuttosto velocemente. Estate dopo estate più centimetri di pelle potranno esporsi agli sguardi collettivi e meno la sabbia risulterà d’impiccio. Intanto l’infantile piacere del gioco con la sabbia contagia definitivamente gli adulti che collaborano con i bimbi a modellarla in più o meno grandi e riuscite costruzioni ed effimere creazioni “artistiche”: si afferma definitivamente un’attività ludico-creativa che diventa passatempo caratteristico e immancabile della vita di spiaggia. Il movimento sulla morbida superficie diventa un altro elemento apprezzabile, caratteristico, della libertà balneare. Il corpo si concede oltre che all’acqua, all’aria e al sole, anche alla terra, nella sua forma più divertente, morbida e mollemente “carezzevole”. La singolare piacevolezza del camminare scalzi sulla sabbia, dello sdraiarsi, del giocare e muoversi con libertà su questo elemento segna dunque la seconda fase della balneazione, quella dell’allargamento della base sociale e delle vedute riguardanti decenza, comportamenti, estetica. Già tra gli anni ’20 e gli anni ’30 del XX secolo la trasformazione dell’arenile (nelle aree attrezzate) si avvicina al completamento: dove c’erano dune selvatiche e impraticabili c’è una piana livellata alla perfezione su cui si alzano minuscole torri e castelli, mura e pinnacoli, tutti costruiti da bambini e adulti con le mani, i secchielli e le palette. Di lì a poco correranno sulla sabbia, tra cedevoli ponti, curve paraboliche e instabili tunnel, anche i più famosi ciclisti, eroi sportivi dallo sguardo serio e affaticato, imprigionati ermeticamente in piccole sfere del materiale più moderno e adatto alla spiaggia che fosse possibile immaginare.

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Elementi Nella pagina precedente: AFC, Cattolica 1948, anonimo, sabbiature dietro ai capanni. AFC, Cattolica anni ’50, anonimo, sabbiature dietro ai capanni.

AFC, Cattolica 1929, anonimo.

Sole: una storia in chiaroscuro La consacrazione definitiva della spiaggia come luogo fondamentale della contemporaneità avviene attraverso i riti solari. La “rivoluzione solare” trasformerà etica ed estetica, concezione fisica e psicologica, utilizzo dello spazio e del tempo balneare. L’elioterapia marina, l’esposizione volontaria e programmata ai raggi solari, arriverà dopo l’esaltazione medica dell’idroterapia e dell’aeroterapia e inizialmente solo per i tenui “bagni di sole”, che, a dispetto della definizione, non prevedevano affatto un’esposizione diretta, ma richiedevano tassativamente un consistente filtro d’ombra. I raggi del sole arriveranno tardi sulla pelle e non prima di aver combattuto contro solidi pregiudizi culturali e medici, ma alla fine vinceranno su tutti i fronti grazie ad armi potenti, in grado di sbaragliare dubbi terapeutici e obiezioni morali di ogni tipo; le armi di un nuovo compiacimento estetico, della vanità, dell’edonismo e dell’ostentazione individuale e sociale a buon mercato.

Quella del sole fu rivoluzione vera e propria, sovversione di poteri e significati. Sulla balneazione delle origini regnavano le ombre: ripari di ogni foggia e tipo, fissi

AFG, Rimini anni ’70, Davide Minghini.

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Sopra: AFG, Rimini 1934, anonimo. Grande scultura di sabbia rappresentante la Colonia Novarese. AFG, Rimini 1961, Davide Minghini. Colonia SADE.

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o portatili, stratagemmi tra i più vari per difendere epidermidi candide che testimoniassero l’appartenenza a classi sociali che nulla avevano a che fare con le vili occupazioni svolte all’aperto, con quella vita e quei lavori che tendevano a scurire, ad abbruttire, la pelle delicata del viso, del

collo, delle mani. Ovviamente riguardo alle altre parti del corpo neanche parlarne. In spiaggia dominava il verbo evitare: gli sguardi impertinenti, l’effetto modellante dell’acqua sugli indumenti da bagno, la sabbia irrispettosa, la vicinanza di individui non selezionati, il sole indelicato e villano. Proprio il sole sarà fautore decisivo dell’ affermazione del verbo conquistare: lo sguardo degli altri, la libertà di comportamento e movimento, gli spazi condivisi senza ostacoli, gli atteggiamenti disinvolti, il diritto all’ esposizione del corpo e all’estetica esplicita della seduzione. Giorgio Triani scrive:“Come neve al sole. Secoli, millenni di estasi nivee, di fanatiche adorazioni della pelle eburnea si sono dissolti all’alba di questo secolo. Cappelli, veli, guanti, ombrelli, ombrellini sono stati riposti nel cassetto e con essi tutta la cosmesi del bianco: latte verginale, biacche, ciprie e creme antiefeliche. Secoli, millenni di intransigente difesa del chiarore e della trasparenza epidermica sembrano oggi appartenere a un passato lontano, remoto”21. I primi bagnanti che si muovono sulla spiaggia si impegnano nella battaglia per il candore; tutto l’abbigliamento e tutte le strutture puntano a mantenere inalterato un pallore di classe che li fa apparire simili a ombre, spettri imbacuccati alla ricerca di riparo dalla luce diretta, di un rifugio sotto ogni cosa in grado di proteggerli dal sole. Sulla spiaggia la storia del sole e la storia dell’ombra finiscono, ovviamente, per coincidere e tutta la dinamica fisica e comportamentale sugli arenili risente di questo confronto continuativo tra esposizione e rifugio dai raggi solari. Così le immagini fotografiche che raccontano dell’ombra in realtà ci parlano del sole e viceversa. Il passaggio dal regno delle ombre al regno del sole è materiale e concettuale: circa tra la metà e la fine degli anni ’20 del 1900, pochi andranno al mare per stare all’ombra, ci andranno tutti per stare al sole. Il tempo dell’abbronzatura è definiti-


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vamente arrivato: la pelle di sole ha vinto sulla pelle di luna22. L’apprezzamento della pelle abbronzata, almeno nel periodo estivo, non è più retaggio di viaggiatori e letterati occidentali amanti d’esotismi, che nell’epidermide più scura dei popolani, o addirittura di altre razze, vedono tracce di una bellezza e prestanza fisica superiore a quella della pallida e molliccia società borghese europea: l’abbronzatura diventa il colore della libertà vacanziera, il tatuaggio temporaneo del nuovo rito del turismo balneare, il segno distintivo di mete raggiunte che si esprime apertamente nell’aspetto del proprio corpo. Dagli anni ’30 in poi l’ombra delle tende e degli ombrelloni serve ormai solo a evitare eccessi pericolosi e scottature, offre conforto contro l’eccessivo caldo, ma non combatte contro “l’insolazione” individuale e collettiva, che non spiace più, anzi ha conquistato tutti indistintamente. L’alibi scientifico dell’elioterapia è ormai pienamente consolidato e si articola in raccomandazioni sempre più sfumate: “il sole è medicamento talvolta eroico ; sappi dunque graduarne la cura” così suggerisce Guido Nanni nei Consigli al bagnante del 1933, e nello stesso anno sulla sua Guida alle cure marine precisa che “L’azione del bagno di sole, se ben dosato e regolato, oltre all’effetto diretto e complesso sulla superficie cutanea esposta, in via riflessa produce aumento ed accelerazione di tutta l’attività del ricambio fisiologico dell’organismo.[...] Da ciò consegue rapidamente una crescente duratura sensazione di benessere che si accompagna ad un graduale aumento dell’appetito e delle forze”23. Ma l’abbronzatura, l’effetto dei raggi sull’epidermide, si apprezza ormai prioritariamente per motivi estetici e perché legittima i piccoli/grandi vizi della vacanza, tra cui l’ozio, il far nulla sdraiati al sole, senza necessità di altra motivazione e giustificazione che non sia quella di rendere più scura la propria pelle.

Il sole risulta così il più sfrontato degli elementi: più ci si scopre più è efficace, meglio può segnare il corpo con la sua caratteristica tinta. Se all’inizio della pratica balneare l’importante era coprirsi, in seguito, grazie alla totale legittimazione del sole, l’impegno sarà quello di scoprirsi il più possibile.

AFR, Riccione primo decennio del ’900, anonimo. Le signore passeggiano in spiaggia con l'ombrellino da sole. AFG, Rimini anni ’30, anonimo. I cappelli sono di moda ancora negli anni ’30.

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Spiaggia AFC, Cattolica anni ’20, anonimo. Vestiti, con cappellino e sotto l’ombrellone.

AFC, Cattolica anni ’20, anonimo. Protetti dalle tende a vela orientabili.

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All’abbronzatura verrà demandato il compito di rinvigorire e rimodellare, senza richiedere fatica, i corpi di donne e uomini felici di apparire più naturali, attivi all’aria aperta, più in forma, emancipati, disponibili: meno pallidi e più liberi, più scuri e più belli.

Note 1 De Nicolò 1995, De Nicolò 1993, pp. 311-312 in nota, Sorcinelli 1998, pp. 135-138. 2 Corbin 1990, p. 100 Urbain 2002, pp. 149-154. 3 Sorcinelli 1998, p. 139, vedi anche Urbain 2002, p. 145. 4 Corbin 1990, p. 105. 5 Corbin 1990, p. 118.


Elementi 6 De Nicolò 1993, pp. 311-313.

16 Nanni 1933 a, p. 17.

7 De Nicolò 1993, p. 313.

17 Triani 1988, p. 73.

8 Ugolini 1873.

18 Farina 1995, p. 154. Urbain 2002, p. 435.

9 Nanni 1933 b, p. 2.

19 Calanca, Ravara 2013, p. 83, Farina 2003, p. 61.

10 Corbin 1990, p. 109.

20 Nanni 1933 a, p. 28. Esiste una letteratura scientifica che descrive con precisione gli effetti e la corretta pratica della psammatoterapia.

11 Corbin 1990, p. 103. 12 Schivardi 1891, p. 17. 13 Triani 1988, p. 68. 14 Ugolini 1873, p. 29. 15 Farina 1995, p. 59.

AFG, Rimini anni ’50, anonimo. Elioterapia in colonia.

21 Triani 1988, p. 7. 22 Tutto Triani 1988, Farina 1995, pp. 154-155. 23 Nanni1933 a, pp. 20-21.

AFG, Riccione 1952, anonimo.

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V. Contegni

Distinto /Disinvolto, Impegnato/Ozioso, Annoiato/Divertito, Serio/Giocoso

La spiaggia è luogo liminale anche nei contegni, ambiguo per il modo in cui ognuno può rapportarsi allo sguardo e al giudizio degli altri, sfumato nei comportamenti che sono da ritenersi opportuni, concessi, tollerati. Gran parte di questa ambiguità riguarda direttamente il corpo, la sua esposizione, la sua “socializzazione”, soprattutto nella prospettiva, implicita o esplicita, del compiacimento e della seduzione, (cfr. cap. 3), ma un’altra parte consistente riguarda gli atteggiamenti veri e propri, i modelli comportamentali, il controllo più o meno rigido dei gesti, delle condotte e dei portamenti collettivi e individuali. In spiaggia ci si concede qualcosa di più e di diverso dagli altri spazi sociali; la storia della pratica balneare è sostanzialmente una storia di progressiva (per quanto circoscritta) liberazione e democratizzazione, una vicenda che vedrà l’affermazione di modelli massificati attraverso la creazione di aggregazioni particolari che verranno trattate nel capitolo successivo. Si è detto più volte che la balneazione, nella sua forma più significativa, va di pari passo con l’ aggregazione e comporta una configurazione che si potrebbe definire “teatrale”, in cui tutti, davvero tutti, volenti o nolenti, consapevoli o no, sono attori e spettatori allo stesso tempo. È proprio su questo suo aspetto spettacolare, performativo, che si registrano cambiamenti storici importanti dal punto di vista del comportamento e del contegno.

Segni particolari Fino a quando l’assetto sociale, l’organizzazione del lavoro e la disponibilità di denaro lasciano spazio solamente alle vacanze di pochi1, sulle spiagge è evidente la preoccupazione segnata dalla cultura, dalla morale e dall’estetica della buona società a cavallo tra il XIX e il XX secolo, di trasferire sugli arenili i segni distintivi della propria posizione sociale e condizione economica. La cura dei bagni, alibi vacanziero sempre più inconsistente e sbugiardato, è inizialmente pratica esclusiva di una classe abbiente che in nulla rinuncia alla sua piena e convinta affermazione, alla ritualizzazione di ogni gesto, alla significazione di ogni oggetto, alla modificazione di ogni spazio a propria immagine e somiglianza. All’epoca anche in spiaggia non ci si spoglia dell’ordine estetico e gerarchico, non si rinuncia alla ricchezza e all’importanza degli abiti che esprimono apparenze sostanziali, non ci si esime dal dover trasmettere una solidità e rettitudine familiare e sociale di cui la letteratura e la storia sottolineeranno in

più occasioni l’esigua consistenza se non la manifesta ipocrisia. Un trionfo della borghesia, quello che si consuma sulle prime spiagge attrezzate, di non lunga ma davvero sfavillante vita2. Uno stile della vacanza balneare intriso di mondanità e leziosità che dovrà ben presto fare i conti con luoghi, strutture, vicinanze, gesti, sempre più “comuni” e “ordinari”, dando luogo a un’ibridazione di spazi e di fruitori appartenenti a diverse categorie sociali che nel Riminese avrà particolare slancio, significato e fortuna. I segni esibiti del rango e dell’agiatezza economica, condizione primaria per seguire la moda dei bagni di mare vissuta sulle piattaforme e nei Kursaal, per godere dell’atmosfera leggera dei giorni al mare, dovranno confrontarsi non solo con una media e piccola borghesia che si affaccia velocemente ed energicamente sulla scena, ma anche con un sempre più largo uso “popolare”, della spiaggia. Un uso “basso” degli arenili tipico delle fasce di popolazione che si gestiscono in proprio la balneazione o fruiscono dei servizi

AFG, Rimini 1909 album Battaglini, anonimo. Così si frequenta la piattaforma dello Stabilimento Bagni.

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Sopra: AFC, Cattolica intorno al 1910, Giuseppe Michelini. Gli illustri ospiti di villa Maiani con la loro tenda da spiaggia e tanto di scorta armata. AFR, Riccione tra fine anni ’10 inizio anni ’20, anonimo. In spiaggia con abiti che esprimono la propria condizione sociale.

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a costo minimo, di quei servizi che tanta parte avranno nello sviluppo della riviera romagnola. La mondanità, il modo di riempire gli ozi vacanzieri, il sistema per incontrarsi e riconoscersi della società danarosa e gaudente che frequenta i bagni, quell’insieme vorticoso di appuntamenti, feste, balli, spettacoli, manifestazioni sportive, ritrovi eleganti, fuochi d’artificio, abiti sfarzosi, cibi e bevande di pregio, futili pettegolezzi, che sin dall’inizio accompagnano lo

sviluppo del turismo balneare, è per tutta la belle epoque un complesso ampio e connotativo di gesti e comportamenti. Un mondo e una prassi comportamentale che dalla esclusività della classe “alta” troverà precocemente nel Riminese la maniera di trasformarsi in un insieme ancor più poderoso di divertimenti, di loisir a buon mercato, adatto alla massa crescente dei bagnanti. Mondanità e vita balneare stabiliscono da subito un rapporto intenso e programmato con grande attenzione, ma a Rimini c’è anche chi legge nel “privilegio borghese” della vacanza i segni di un contrasto di classe che non avrà praticamente seguito e si dissolverà ben presto con il profilarsi sempre più preciso degli evidenti risvolti economici, occupazionali e “politici” della pur primitiva industria turistica. “...Laggiù si balla, si mangia, si corre in tramway con un gusto matto e che farebbe piacere a vedersi se il pensiero della miseria crescente fra gli uomini del lavoro non costringesse a meditare e meditare seriamente su tanta ingiustizia sociale. Là si studia il modo di ammazzare il tempo divenuto uggioso per chi non ha mai nulla da fare; qua è il tempo che ammazza tanta povera gente logorata dalle fatiche e dalle privazioni”. Così è scritto, con parole indubbiamente incisive, su Il Nettuno, periodico d’ispirazione progressista della città, nel numero uscito il 25 luglio 1877. Nel 1886 a Riccione c’è chi sottolinea ancora con passione l’evidente differenzazione sociale tra i signori bagnanti e la popolazione locale, evidenziando la comparazione non solo fra “classi”diverse ma anche l’ormai chiaro confronto storico e culturale che la balneazione ha messo in moto tra “vecchia” e “nuova” società locale. Sul periodico riminese Italia del 15 luglio 1886 questo è un altro ritratto, sociologicamente sagace, dell’estate: “Ora portando la nostra attenzione alla differenza fra le due popolazioni, diremmo


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quasi, la vecchia della borgata e la nuova delle ville, il raffronto e la differenza sono assai attraenti e interessanti. Nella vecchia Riccione si lavora e molto; nella nuova si sta parecchio in dolce ozio, premio si crede, delle fatiche durate nella vita cittadina in tutto l’anno che li ha preceduti. Al di là della ferrovia si recita, si canta, si suona, si danza; di qua si suda, si lavora e si hanno tutte le cure per chi recita e canta e danza. Nella vecchia quello che si chiama benessere materiale della vita non è molto; d’inverno qualcuno ha sofferto un po’ di freddo e di fame. Nella nuova tutto è floridezza e sorriso e se c’è una disgrazia è quella sola che mancano molti desideri, perché i bravi abitatori di ville, innamorati delle acque del nostro mare, li appagano e possono appagarsi tutti i loro desideri.” Forse non esiste miglior immagine, seppur resa per contrasto, della mondanità balneare dell’epoca, “quando ancora la stagione dei bagni non coinvolge che marginalmente gli interessi sociali ed economici della cittadinanza”3. Per i signori bagnanti, e soprattutto per chi vuole creare intorno a loro un’apprezzabile “economia delle vacanze”, il divertimento è una cosa seria. La clientela che frequenta i bagni e le ville che nascono a ritmo sostenuto sulla costa, non chiede solo il mare e la spiaggia, esige che, al pari delle altre stazioni balneari Europee allora di moda, il tempo della vacanza sia “tempo del piacere”, periodo di diletto pianificato per evitare in tutti i modi che, come fa notare con acume Il Nettuno, l’ozio non coincida con la noia. I centri balneari tendono a divenire, come le ha definite Ferruccio Farina, vere Fabbriche del Piacere4. Gli svaghi sono cosa tanto seria che nel 1883 è attiva la Società riminese pei divertimenti, formata da cittadini che nutrono già precisi interessi nello sviluppo turistico e che fino al 1895 si impegnerà in un’ingente opera di razionalizzazione

e incremento delle varie attività di svago che la città propone agli ospiti5. La Società, si scrive nel 1888, “Ha fatto e fa miracoli per escogitare ed attuar feste e spettacoli che rendono allegra la dimora dei bagnanti; corse ippiche e velocipedistiche, luminarie fantastiche, fuochi artificiali dei primi pirotecnici d’Italia, regate, concerti, lotterie, accademie, tombole e quanto può immaginare il genio del divertimento formano il programma di questa società che ha acquistato tanti titoli alla

Sopra: AFC, Cattolica anni ’20, anonimo. Si balla anche di giorno sulla terrazza del Kursaal affacciata sul mare. AFR, Riccione tra fine anni ’10, anonimo. Il tiro agli storni sulla spiaggia, uno sport assai di moda tra la elite che frequenta le spiagge.

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AFG, Riccione anni ’50, anonimo. Le passeggiate equestri in riva al mare sono ancora permesse all’inizio degli anni ’50.

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benemerenza presso il Paese e presso la colonia dei bagnanti”6. Evidentemente già all’epoca si va delineando la matrice della potentissima combinazione mare/ divertimento che marchierà in modo così profondo tutta l’identità turistica riminese, tanto profondo e duraturo da segnare l’immaginario dell’intera costa in ambito nazionale e internazionale (cfr. cap.6). Nei primi due decenni del ’900 le cose mutano non solo nei comportamenti collettivi legati alla gioia e alla leggerezza del vivere intesi come specifici “sentimenti sociali” della balneazione, ma anche nei contegni personali. I bagni dei ricchi e i bagni dei poveri7, dopo un’iniziale netta distinzione tendono a una progressiva per quanto sfaccettata omologazione, e gli atteggiamenti compassati e dignitosi dell’alta società balneare vanno sciogliendosi in forme sempre più disinvolte e “libere” di comportamento. Del resto mantenere un atteggiamento impettito, rigido e teatralmente dignitoso in mutande non è cosa facile.

Tutto il mondo e i riferimenti comportamentali della high life, propri dei primi bagnanti, muteranno profondamente confrontandosi con la concezione e lo stile di easy life che viene affermandosi nei primi decenni del ’900 sulle spiagge d’ Europa e d’America. Sulla spiaggia, inizialmente scenario della vita di chi “sta in alto” si diffonde la rappresentazione meno esclusiva della “vita facile”: facile nei comportamenti, facile nelle relazioni, sciolta negli atteggiamenti, non imbrigliata in ruoli e differenzazioni che rischiano di scardinare il concetto stesso di vacanza come momento di libertà e rilassatezza. La spiaggia diventa il luogo in cui sotto il profilo comportamentale ci si può permettere molto, uno spazio socialmente e fisicamente definito da gratificanti licenze: l’ozio assoluto, il movimento vivace, l’infantilismo, il piacere del gioco fine a se stesso, lo spogliarsi non solo dell’abito/divisa quotidiano ma anche, per quanto possibile, della propria identità consueta, del ruolo extrabalneare.


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La spiaggia viene sempre più concepita e organizzata come “zona franca” che genera forme particolari d’ atteggiamento individuale e di convivenza balneare. Spiaggia ludens Un aspetto particolare della spiaggia è quello di favorire fortemente gli atteggiamenti ludici, fino a determinare una vera e propria propensione al gioco, inteso in senso letterale, e a riconoscibili comportamenti “infantili”. Tutto sull’arenile contribuisce alla centralità del gioco e alla conferma delle interpretazioni più dirette dell’homo ludens. Il giocare con gli elementi specifici della balneazione, sabbia e acqua, segue una dinamica storica e comportamentale interessante, che vede l’infanzia aprire la strada al godimento puro e semplice degli elementi stessi e contribuire in modo determinante alla qualifica della spiaggia come spazio ludico per eccellenza, in cui è concesso a tutti, senza troppe inibizioni, mostrare “il bambino che è in noi”. Appena giungono sulle rive, tutti i bambini, quelli agghindati da vezzosi marinaretti, i popolani magrissimi e arruffati e anche quelli irreggimentati nelle essenziali divise delle Colonie Marine, colgono le ataviche e irresistibili caratteristiche ludiche dell’acqua e le possibilità cinetiche e creative della sabbia. Gli adulti ci metteranno un po’ a spogliarsi di abiti e contegni compassati, ma già “negli anni ’30 diventava normale giocare lungo la spiaggia, nuotare, prendere il sole. Il processo di liberazione dell’uomo balneare correva parallelo a quello di infantilizzazione dell’adulto, che trasferiva la serietà del lavoro nei divertimenti.”8. L’infanzia, con i modi e i tempi di gioco che le sono propri, rappresenta dunque l’avanguardia nella consacrazione ludica dell’arenile, dove per molti aspetti “cadono le distinzioni tra bambini e adulti. Raramente i loro modi di comportarsi e

le loro sensazioni sono così simili come sulla spiaggia. Si dedicano alle stesse attività ed agli stessi giochi, trascorrono il tempo senza esigenze di razionalità e di produttività. Mentre agli adulti è concesso regredire, i bambini sentono di essere in una dimensione a loro misura”9. L’acqua, superando le rigide finalità terapeutiche e quelle esplicitamente ginnicosportive del nuoto, diventa scenario naturale di ogni sorta di gioco ad alta densità cinetica. Tuffi di ogni tipo, capriole, salti, spruzzi, utilizzo di “natanti ludici”, altalene, piattaforme galleggianti e fisse, trampolini, tutto contribuisce a fare del mare il “parco giochi” dei bagnanti.

AFR, Riccione tra primo e secondo decennio del ’900, anonimo. Le espressioni ludiche in spiaggia tendono ad esasperarsi fino ad assumere aspetti surreali. AFG, Rimini anni ’30, anonimo. Una giostra montata sulla piattaforma offre l’emozione di un volo sull’acqua. Ludus e mare trovano il modo di esprimersi sulla spiaggia appositamente attrezzata.

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AFG, Rimini 1932, anonimo. Le espressioni ginnico-spettacolari sottolineano la centralità del corpo nello spazio balneare.

AFG, Cattolica 1930, anonimo.

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L’arenile non è da meno, sul tappeto di sabbia ci si muove senza paura di farsi male cadendo, ciò permette di lanciarsi in giochi e attività sportive più movimentate e acrobatiche. La sabbia diventa il “terreno di gioco” ideale, sia per creare effimere costruzioni (cfr. cap. 4) sia per lanciarsi in esercizi fisici liberi dai timori della perdita dell’equilibrio. Tra tutti

gli oggetti ludici prende velocemente il sopravvento quello più straordinario dal punto di vista fisico e antropologico: sarà il trionfo della palla, di tutte le dimensioni, sancito definitivamente dall’arrivo, in sostituzione della gomma e di altre “vecchie” materie, della plastica, che presto si evidenzia come il materiale più adatto alla balneazione che fosse possibile immaginare. Dalle testimonianze fotografiche risulta chiaro lo stretto e particolare rapporto nato sulla spiaggia tra due ambiti concettuali di primaria rilevanza culturale: quello di libertà e quello di gioco. Un rapporto ricco di implicazioni psicologiche e antropologiche che sugli arenili si esprime in una teatralizzazione spontanea, in una performance ludica diffusa, fino a divenire un elemento fondante della balneazione non solo infantile, ma di tutta la tribù della spiaggia. L’ambito della spiaggia tende chiaramente a specializzarsi come vero e pro-


Contegni AFC, Cattolica anni ’20, anonimo. I trampolini allestiti fino agli anni ’60 dove l’acqua raggiunge una profondità di circa 4 metri, diventano la meta dei bagnanti più avventurosi.

AFG, Cattolica 1930, anonimo. Le altalene nei pressi della battigia, diffuse lungo tutta la spiaggia, sono andate scomparendo tra gli anni ’60 e ’70.

prio spazio sociale ludico, ricreativo e sportivo. I primi decenni dell’industria balnearia vedono l’attenzione puntata su pratiche inequivocabilmente “mondane”, come i raffinati giochi di carte che furoreggiano nei Kursaal, l’allora apprezzatissimo tiro al piccione, o l’emergente lawn tennis di moda in Inghilterra10, e si arriva a concedere, senza

remora alcuna, l’arenile come ambito per esclusive cavalcate. Col tempo il processo di “democratizzazione balneare” tocca in profondità anche le attività ludiche in generale e gli sport praticabili sugli arenili: sarà la volta della briscola e del tressette su spartani tavolini vicini ai capanni, delle proletarie e beverecce bocce e, dove c’è spazio, di partite a cal89


Spiaggia AFG, Rimini anni ’60, Davide Minghini. Generale libertà di contegno, corpo e gioco trovano lo spazio ideale nell’ambito balneare.

AFC, Cattolica fine anni ’20, anonimo. L’oggetto ludico per eccellenza, la palla, utilizzata dai bambini e dagli adulti, conquista lo spazio balneare.

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cio alla buona con le ciabatte e qualche asciugamano che provano a surrogare i pali di una porta che molto lascia all’immaginazione. Intorno agli anni ’70 e ’80 del ’900 la pallavolo, le racchette, il calcetto e tante altre discipline ludico-

sportive cominciano a guardare lontano, oltreoceano, sentono che la spiaggia le ha cambiate, le ha fatte diventare più spericolate, spettacolari e moderne; così non resta che prendere nomi inglesi e diventare tutte beach. Sempre in quegli


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AFG, Rimini anni ’50, Virgilio Retrosi.

AFG, Rimini anni ’60, Davide Minghini.

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Spiaggia AFG, Rimini anni ’50, inizio anni ’60, anonimo. Già in quegli anni qualcuno attrezza la spiaggia con una rete da pallavolo, anticipando la diffusione e il successo del beach volley.

AFG, Rimini anni ’70, Davide Minghini. Il ballo intorno a un “albero della libertà”, azione più volte ripresa da questo fotografo sulla spiaggia riminese.

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anni il “giocare” sulla spiaggia, assume forme di aggregazione organizzata che rispecchiano l’evoluzione dell’ attenzione di massa verso la combinazione mare - ludus e sfocia in comportamenti che fanno la fortuna della cosiddetta “animazione di spiaggia”: il risultato è quello di esercizi “ginnici” collettivi e di balli di gruppo che risultano, non solo nella forma, inequivocabilmente assai vicini a rituali e danze tribali, configurandosi come minimali, ma non irrilevanti, cerimonie del contemporaneo.

Note 1 Battilani 2001. 2 Tutto Masini 1986. 3 Masini 1986, p. 16. 4 Il tema è trattato nelle diverse opere di Ferruccio Farina. Per la definizione “fabbriche del piacere” vedi Farina 1995, pp. 36-38. 5 Masini 1986, p. 17. 6 In Masini 1986, nota pp. 19-20, riporta Bonini 1888. 7 La definizione si deve a Ferruccio Farina, vedi Farina 2003, p. 65. 8 Triani 1988, p. 9. 9 Savelli 2009, p. 149. 10 Masini 1986, pp. 60-61.

AFG, Rimini anni ’50, anonimo. Le “racchette da spiaggia” sono già presenti negli anni ’50.

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VI. Insiemi

Soli/In compagnia, Pochi/Molti

La spiaggia da soli non è la stessa cosa. La spiaggia estiva è luogo d’ insiemi, spazio di formazione organizzata e spontanea, temporanea e abituale di gruppi di individui. Il sogno della spiaggia deserta risponde in realtà a un topos turistico relativamente recente e di non così certa consistenza, a desideri che dopo decenni di intensa balneazione di massa, vedono comprensibilmente nell’affollamento un fattore negativo. Certo più spazio, più libertà di movimento e di comportamento sono desiderabili rispetto alle limitazioni imposte dalla concentrazione, spesso palesemente al limite, che si registra sugli arenili organizzati dall’ industria delle vacanze, un’ industria sempre più potente che dopo i primi chiari segnali di “massificazione” presenti già tra gli anni ’10 e gli anni ’30 del 900, arriverà a una “esasperazione della spiaggia” assai evidente nei decenni successivi. In realtà la spiaggia solitaria, memore di antichi timori, vira per molti verso lo spaesamento; il ritrovarsi in compagnia, lo spettacolo di sé e degli altri, la socialità più o meno intensa che si crea sugli arenili, rimangono fondamento della vacanza balneare. L’assenza di individui intorno al bagnante mette in discussione alcuni dei capisaldi stessi della balneazione, una pratica che quasi ovunque spinge alla condivisione dello spazio e del momento e, nel suo allargamento a tutte le fasce sociali, difficilmente tollera la misantropia. La spiaggia è luogo in cui si formano vere e proprie comunità temporanee che, soprattutto se vivono un ciclo di riaggregazione annuale, divengono “popolo balneare abituale”, dando luogo a reti di rapporti stagionali spesso gratificanti perché “più leggeri” e liberi dai condizionamenti e dai ruoli imposti dalla quotidianità.

Ritrovarsi Alle origini della pratica balneare a vivere la stagione dei bagni doveva essere, almeno in teoria, il singolo individuo da sottoporre a terapia; in realtà il soggiorno al mare avverrà subito accompagnati da tutta la famiglia, spesso numerosa e, ovviamente, assai benestante. Nelle stazioni balneari, come precedentemente nelle più antiche stazioni termali, si incontra la buona società e qui si intessono relazioni secondo rituali mondani ampiamente collaudati. È il momento d’oro di un’alta/media fascia sociale - nel Riminese proveniente soprattutto dall’ambito regionale e nazionale1 che, uscendo dai villini costruiti su una porzione sempre più ampia della costa, frequenta gli spazi dei pochi Stabilimenti dei Bagni, i nascenti locali pubblici vicini alla spiaggia e si muove su un arenile ancora attrezzato secondo “primitivi” criteri.

Tra la metà dell’800 e i primi due decenni del ’900 balneazione e mondanità vivono, come si è detto, un momento di alta e intensissima integrazione; quasi non si può, né si vuole, distinguere una dall’altra, tutti gli spazi e i tempi della vacanza sono improntati seguendo questa mirabo-

AFC, Cattolica primi anni ’20, anonimo. Gruppo di famiglie riunite in spiaggia. A fianco: AFG, Rimini 1963, Davide Minghini. Passeggiata di bambini in colonia.

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AFR, Riccione primo decennio del ’900, anonimo. Ci si ritrova sotto le pensiline dei capanni.

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lante ricetta che secondo i teorici dell’epoca giova miracolosamente al fisico e alla psiche. Così ovunque, in tutte le stazioni balneari italiane ed europee, la comunità della balneazione iniziale è quanto più possibile una “comunità mondana” che della mondanità tende, per quanto può, a mantenere l’esclusività che le è propria per definizione. Proprio nel Riminese la predisposizione della balneazione al piacere diffuso, la combinazione mare-divertimento, imbocca presto e a considerevole velocità la strada di una leggerezza del vivere estesa e inclusiva, di una “festa per tutti” il cui sbocco più evidente sarà rappresentato dalle definizioni di “costa gioiosa” coniata da Umberto Foschi nel 19522 e di quella post – moderna di “divertimentificio”, che trionfa negli anni ’80, esplicitazione chiarissima di una scelta/vocazione territoriale assai incisiva nella storia sociale e nell’immagine di questi luoghi. Ancor prima che si dissolva completamente l’alibi terapeutico, la spiaggia, differenziandosi in questo dagli imponenti Stabilimenti, dalle piattaforme sopraelevate, dove vigono più o meno accentuate separazioni di sesso, tipiche della “morale ottocentesca”, e di censo, tipiche della “logica sociale”, diverrà presto e nono-

stante tutto, (cfr. cap.3) luogo non di separazione ma piuttosto di ricongiungimento. Ricongiungimento di uomini e donne, delle famiglie numerose composte da mogli, mariti, bambini, nonni, zii, parenti e amici, luogo di incontro di amanti legittimi e perfino illegittimi, come sancito ufficialmente dalla storia di Mussolini e della Petacci che si consuma, praticamente sotto gli occhi di tutti, sulla costa tra Riccione e Rimini3. Avvicinamento, realizzatosi in modo veloce, sotto la spinta dei tempi, anche di classi alte con classi medie, e addirittura, pur con specifiche “precauzioni” e avvertenze, tra ricchi e poveri. La spiaggia, quasi ovunque in Italia, in Europa, in America e, in modo speciale nel Riminese, diverrà, come abbiamo già accennato nel capitolo precedente, spazio integralmente pensato, organizzato, gestito per il passaggio, ricco di implicazioni, dalla high life alla easy life, dalla pratica di elite alla pratica della gratificazione e del loisir di massa. Un ruolo particolare nell’incremento e allargamento sociale della frequentazione delle spiagge e, quindi, nel determinare caratteristiche e consistenza della comunità balneare, è quello esercitato dai mezzi di trasporto. Nel 1861 si inaugura la tratta ferroviaria Bologna - Ancona: a Rimini e a Cattolica il treno si ferma in quell’anno, mentre Riccione otterrà la fermata, grazie all’impegno dei cittadini che hanno ben chiara la prospettiva turistica, il primo gennaio dell’anno dopo. Da subito è evidentissima l’importanza del trasporto ferroviario nell’ampliamento su scala nazionale del mercato della vacanza balneare, a questo si combina l’ opportunità che il treno offre alle città e ai paesi non troppo distanti dalla costa di raggiungere i centri balneari anche per passare una sola giornata al mare, attivando una forte attenzione verso i frequentatori “pendolari”, quelli che, sempre più numerosi, ogni domenica estiva, ogni fine settimana, cominciano a


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frequentare gli arenili. Ferruccio Farina scrive che “già nel 1880 Rimini. Riccione e Cattolica ospitavano ogni domenica oltre 3.000 bagnanti che arrivavano con il treno che partiva da Bologna alle 6 del mattino e ripartivano alla sera con il treno delle 23 dopo una giornata in spiaggia”4: Nel 1908 sul Resto del Carlino del 4 agosto, compare la cronaca di una vera e propria “invasione” della spiaggia, documento significativo di una tendenza ormai inarrestabile, che lo stesso Farina ha opportunamente segnalato in un suo fondamentale lavoro: “Rimini. Ieri fu veramente una giornata eccezionale per questa città. Sin dalle prime ore del mattino la circolazione era difficile: ed a ogni ora, ad ogni treno che arrivava, la folla aumentava. Le persone giunte per ferrovia fra sabato e domenica sono state più di 5.000. Col solo treno speciale da Bologna sono scesi 2.400 viaggiatori.. la spiaggia per una distesa di due chilometri presentava un aspetto fantastico: era un vero formicaio umano!”5. I numeri parlano da soli: siamo già chiaramente di fronte ad una “popolarizzazione” della spiaggia possibile grazie al nuovo mezzo di trasporto, ma anche frutto di un sentimento “social-balneare” ormai pienamente affermatosi, condiviso e vivibile da una fetta di popolazione significativa dal punto di vista quantitativo. Il cambiamento sostanziale della socialità balneare comincia dunque a evidenziarsi già chiaro almeno dal primo decennio del Novecento e si profilerà netto e definitivo negli anni ’20 e ’30, quando si percepiscono nitidamente i segnali di una frequentazione delle spiagge sempre più massiccia e “moderna”, consentita anche dalla nascita a ritmo sostenuto degli hotel e dallo sviluppo di tutta la filiera del turismo di costa. Come si è da più parti sottolineato la battaglia per un posto al sole, anche se di pochi metri, di mussoliniana ispirazione, si comincia a combattere non solo nel-

le terre africane, ma un po’ su tutte le coste italiane, e con slancio particolarissimo (grazie anche alle abituali frequentazioni del Duce), sull’arenile di Rimini, e di tutta la costa riminese6. Il popolo della spiaggia, con i suoi miti e i suoi campioni, cresce a dismisura, la tribù balneare, nobilitata anche in Italia dai più potenti testimonial nazionali che fosse possibile immaginare (Mussolini in prima persona, i gerarchi del regime, gli intellettuali, la gente dello spettacolo, ecc) ormai affrancata completamente da ogni remora sociale, politica, morale e comportamentale, dinamicamente desiderosa di nuove conquiste e nuovi riti, diventa sempre più numerosa e variegata. Le aggregazioni che si formano e si evidenziano sugli arenili (le famiglie, le comitive, le coppie, le colonie per l’infanzia) proprio mentre giungono alla loro più chiara definizione (negli anni ’30 - ’40) assistono già alla comparsa di alcune situazioni che matureranno nei decenni successivi e porteranno alla “massificazione” effettiva e completa della spiaggia, con inevitabili processi di trasformazione nella concezione degli spazi balneari, sempre più ristretti e condivisi, e nelle forme, sempre più ibridate, di socialità turistica. Sulla spiaggia, sin dall’inizio dell’intenso rapporto che si instaura tra fotografia e balneazione (tra gli ultimi decenni dell’800 e i primi anni del ’900) famiglie, dinastie intere si fanno ritrarre con i parenti di vario grado, con gli amici, a volte addirittura con governanti e servitù, insomma con tutti gli occupanti estivi di ville e villini. Gruppi di amici e comitive si mettono in posa nella condivisione del rito vacanziero: condivisione di spazi, di scenari, soprattutto di situazioni ed emozioni gioiose, da ricordare, fermare e “certificare” con la fotografia. I momenti vissuti al mare diventano momenti felici e memorabili dell’esistenza individuale e affettiva: non casualmente buo97


Spiaggia AFC, Cattolica fine anni ’20, anonimo. Gruppo di famiglia con diverse generazioni.

AFG, Rimini tra primo e secondo decennio del ’900, Foto Argo.

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na parte del repertorio fotografico balneare più datato è costituito proprio da ritratti di famiglia e foto di gruppo. Sembra che nei primi anni del ’900 sia già manifesta la voglia di scardinare, anche attraverso la fotografia, alcune delle ormai anacronistiche suddivisioni della tribù balneare, prima fra tutte, ovviamente, quella per sesso che, nonostante tutti i tentativi ufficiali, sulle spiagge alla fine resiste non molto. Le fotografie, anche per l’epoca in cui cominciano a diffondersi in maniera relativamente allargata, parlano di una spiaggia in cui già qualcosa, sotto il profilo sociale, si intreccia e si “confonde”. A rimarcare differenze di classe resistono in modo particolare proprio i ritratti di famiglia, icone chiamate a sintetizzare e stigmatizzare rango, censo, portamento, differenziazione sociale evidenziata da atteggiamenti, abiti, attrezzature balneari di cui si fa uso. Ben presto alle famiglie, colte dall’obiettivo in pose serie, piuttosto rigide e manifestamente “gerarchiche”, (in cui per altro solo alcuni componenti si mostrano in costume da bagno) si affiancano gruppi “non istituzionali”, assai più liberi e disinvolti: comitive, magari aggregate proprio per la frequentazione comune di una spiaggia, che sottolineano, anche attraverso atteggiamenti scherzosi, la finalità ormai dichiaratamente ludica, festosa del momento balneare. Aumentano man mano anche i ritratti individuali in costume da bagno, con un’ovvia predilezione per i ritratti femminili, che al costume, e a quello che di anno in anno meno copre del corpo, affidano messaggi sempre più esplicitamente seduttivi (cfr. cap. 3). Nella “fotografia di scena” della balneazione cominciano a fare la loro comparsa anche “coppie” che sull’arenile manifestano senza alcuna esitazione e remora la loro gioiosa relazione.

Dall'alto: AFG, Rimini 1912, anonimo. Gruppo di amici. AFG, Rimini anni ’20, anonimo. AFC, Cattolica anni ’20, anonimo.

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Colonialisti e colonizzati Un ruolo del tutto particolare nella creazione di specifici “insiemi balneari” è quello delle Colonie Marine, strutture così rilevanti dal punto di vista sociologico, storico, architettonico e urbanistico d’aver

AFG, Cattolica 1930, anonimo. Sempre più frequentemente le coppie cominciano a farsi ritrarre nell’ambito balneare.

AFG, Rimini 1951, Angelo Moretti.

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attratto l’attenzione di diversi studiosi e aver dato luogo a numerose ricerche e riflessioni in ambito locale e in ambito nazionale7. Dai primi Ospizi e Sanatori marini sorti in Italia a partire dal 1842 - il primo è


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AFG, Rimini anni ’60, Franco Villani

AFG, Rimini anni ’70, Davide Minghini.

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Spiaggia AFC, Cattolica fine anni ’30, anonimo. Bambini alla colonia “Le Navi”.

quello di Viareggio8 e sulla costa romagnola dal 1870 (l’Ospizio Marino del dott. Carlo Matteucci a Rimini) che avevano una finalità e pianificazione esplicitamente sanitaria, coerente con la “politica di beneficenza” e di “risanamento medico-sociale” dell’epoca, si passerà

AFC, Cattolica fine anni ’40, inizio anni ’50. Bambini in colonia.

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gradualmente a strutture con un’impostazione diversa. Nelle Colonie Marine si affiancheranno agli obiettivi medicosalutari le motivazioni di formazione culturale, ideologica, comportamentale dell’infanzia e della gioventù italiana, intenti di “massificazione del mare” che


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AFG, Rimini primi anni ’50, Bruno Stefani.

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AFG, Rimini primi anni ’50, Bruno Stefani. AFG, Rimini primi 1963, Davide Minghini. I bambini della colonia Montecatini riproducono in spiaggia il marchio dell’azienda che provvede ad ospitarli al mare.

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avranno la loro massima espressione e il loro più alto livello organizzativo nel Ventennio fascista. Ferruccio Farina, che ha approfondito in diversi suoi lavori vari aspetti del mondo delle Colonie marine, scrive: “Quella che si realizzò attraverso le colonie marine fu una vera e propria rivoluzione a base di sole e di mare: non più terapie, ma prevenzione, non più tristi sanatori, ma “gioiose palestre all’aperto allietate dal canto di Giovinezza”; non più estemporanei slanci di umanitarismo, ma un efficiente servizio pubblico organizzato dall’onnipresente partito. E se i figli crescevano sani e contenti, i genitori non potevano che esserne grati al Duce”9. E sintetizzando la situazione italiana: “Furono più di 1.500.000 i giovani inviati in colonia o in campeggio al mare negli anni Trenta, se si valuta, pur con molta approssimazione, una media di 150.000

giovani all’anno per dieci anni. Un vero fenomeno di massa all’interno del quale Giorgio Gattei, attento studioso del problema, ha individuato quell’”imprintig balneologico” che farà ritornare nel dopoguerra, armati di mogli e di marmocchi, i giovani di un tempo divenuti impiegati ed operai delle fabbriche della Padania, ospiti delle tante pensioni Sorriso o Sandrina”10. Ma quello che per il nostro approccio è più interessante sono le osservazioni sulla composizione e sul significato antropologico della “comunità delle colonie”. La percezione della vita in colonia per i giovani “colonizzati” passa dall’ottocentesca necessità medica (la vacanza dei bimbi malati e bisognosi) all’esperienza formativa e qualificante del Ventennio (la vacanza dei bimbi bravi e “inquadrati”) e successivamente a quella che lo stesso Farina definisce la vacanza dei bambini cattivi.


Insiemi AFG, Rimini anni ’30, anonimo. Arenile affollato.

AFR, Riccione anni ’40, primi anni ’50, anonimo. Affollamento davanti ai capanni.

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Spiaggia AFG, Rimini 1962, Davide Minghini.

“Nel dopoguerra, quando al posto di Giovinezza si cominciò a cantare Bianco Fiore, quando, dalla gestione del partito fascista si passò a quella delle opere cattolico-assistenziali, la società italiana era profondamente mutata. E fu proprio in quel periodo che il “ti mando in colonia” divenne una minaccia per i bimbi cattivi d’Italia, e non certo per colpa delle pie opere che cercavano affannosamente gli ultimi bambini disponibili ad esperienze coloniali per farli giocare con obsoleti palloncini e palettine da spiaggia. In un’Italia in corsa verso il benessere e piena di televisioni e di cartoni animati, le minestre scotte, gli interminabili alzabandiera ma soprattutto l’isolamen106

to da quel formicolante universo di piaceri e di vita spensierata che si intravvedeva dai reticolati delle colonie, non erano più sopportabili neppure dai bambini più indigenti.”11 Mutano col tempo significati, percezioni e giudizi sulla “vita in colonia”, ma ciò che rimane costante fino al decadimento pressoché totale delle strutture e della loro rilevanza sociale (avvenuto negli anni ’70 del ’900) e che traspare nitido anche dalle immagini fotografiche, è quell’elemento di “iniziazione al mare” attraverso cerimoniali collettivi di ingresso nella comunità balneare che prendono la forma di azioni e formazioni gin-


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niche militaresche, di esposizioni al sole e all’aria “in batteria”, di bagni effettuati sotto stretto controllo. Tutti rituali portatori di quell’imprinting balneologico di cui parla Gattei, gesti di gruppo rigidamente ordinati che contribuiranno, spesso per contrasto, a desiderare fortemente, una volta diventati adulti, la mitizzata libertà balneare. Tra gli anni ’50 e ’60 le immagini dei bimbi in colonia cominciano quasi a stridere con le fotografie che ritraggono i bimbi liberi, le famiglie riunite, le coppie felici, i single abbronzati e disponibili, tutta la tribù della spiaggia ormai pronta al balzo dentro quel grande crogiolo sociale, riscaldato potentemente dai raggi del sole e dal sogno turistico generalizzato, che è diventata la spiaggia di massa. Libertè, egalitè, fraternitè Appena qualche anno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, riprenden-

do una tendenza chiaramente formata negli anni ’30, sulle spiagge si cercano non solo i bagni di mare, ma anche veri e propri bagni di folla. Se già in un articolo dell’estate del 1908 (quello che abbiamo citato più sopra) si parla di spiaggia dall’aspetto fantastico in quanto vero formicaio umano, è evidente che l’ampliarsi della comunità dei bagni che porta inevitabilmente al restringersi dello spazio balneare, l’ammassarsi di tanti sull’arenile, non vengono percepiti necessariamente come fattori negativi, né, ovviamente, dagli “operatori turistici” dell’epoca, né dai frequentatori. Il ritrovarsi in grandi raggruppamenti, il riconoscersi e al momento giusto il mimetizzarsi nella folla, diventano gesto collettivo apprezzato, fondamento di potenti processi di integrazione, fattore propulsivo di un moderno, quanto illusorio, senso di appartenenza. La prossimità esasperata e temporanea di un gran numero

AFG, Rimini 1979, Davide Minghini.

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di individui certificherà la bontà piuttosto che la problematicità del comportamento e del rituale sociale, una prossimità apertamente gradita e desiderata senza esitazioni almeno fino agli anni ’70 del ’900, secondo una tendenza che si esprimerà in variegati luoghi e momenti di “incontro di massa” allora assai in auge e in piena espansione come le grandi manifestazioni politiche, religiose e sportive, i grandi concerti, i grandi locali da ballo, i grandi eventi culturali, le feste popolari “riscoperte”, ecc ecc. La spiaggia, o meglio la spiaggia pensata e attrezzata per le ingenti quantità di individui, per la calca positiva, festiva e liberatoria, diventa un’entità spazio/ tempo della contemporaneità straordinariamente significativa, officina di mode, teatro di comportamenti portati al limite di atteggiamenti sociologicamente assai rilevanti. Se essere “nuovi”, in linea con i tempi, integrati, significa (banalizzando) comprare e consumare tutti le stesse cose, vivere in concentrazioni di impronta metropolitana, andare tutti al cinema e allo stadio, e poi, tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60, guardare tutti la televisione, vuole anche dire andare tutti al mare. Significa ammassarsi, svestiti dei propri abiti e della propria identità produttiva/sociale, sotto fittissimi ombrelloni e ordinate tende, sdraiarsi gli uni attaccati agli altri per ricevere la qualificante “tintarella” del vacanziero che il sole sparge su file serrate e infinite di brandine, pervase dagli effluvi dolciastri, allegri, moderatamente sensuali delle creme abbronzanti. Sulla spiaggia di massa va realizzandosi autonomamente e in maniera difficilmente replicabile in altre situazioni, il motto/ sogno rivoluzionario per eccellenza. La libertà è quella dalle costrizioni dei comportamenti quotidiani imposti dal lavoro e dal ruolo. L’uguaglianza è quella garantita dal “mascheramento della nudità” e dal108

la condivisone paritetica e relativamente a buon mercato degli spazi balneari. La fraternità è quella attivata proprio dalla condizione tendenzialmente egualitaria, da una solidarietà non tanto dovuta alla vicinanza fisica, ma alla totale condivisione culturale e simbolica dello spazio e del tempo balneare. In spiaggia “ciò che viene temporaneamente dissolto, con la perdita dei simboli di distinzione, con la nudità, con il bagno rituale nella stessa acqua, è il sistema di relazioni basate sulla solidarietà organica, ovvero sulla divisione industriale del lavoro e sulle relative distinzioni di classe. Ciò che rinasce, che è riportato a galla è la condizione originaria della solidarietà meccanica, ovvero l’appartenenza a una dimensione umana universale, che tutti accomuna”12. Non manca però chi sottolinea che in realtà anche nella spiaggia contemporanea, alcuni meccanismi di distinzione sociale rimangono ben visibili e che il cosiddetto “socialismo balneare” rischia di essere solo un’utopia o una distorsione sociologica. La spiaggia “libera” e quella attrezzata, le varie località più o meno esclusive, le zone e gli stabilimenti variamente lussuosi e diversamente caratterizzati “per target”, stanno a testimoniare che anche in spiaggia tendono a riprodursi meccanismi selettivi di censo e di tribù13. Il tratto comune ad ogni spiaggia, più o meno distintiva, risiede nel desiderio di essere felici e liberi, un desiderio che coincide con quello di fuggire dalla “solitudine” di esistenze improntate esclusivamente a obblighi produttivi. Il diritto “universale” al loisir si esprime in un processo di qualificazione individuale che si esercita in coerenza e omogeneità con la massa. Per molti, come messo in evidenza dalla vastissima letteratura sociologica e antropologica dedicata al turismo, il recupero del “significato esistenziale” passerà anche per il diritto alla vacanza, concepita come premio dovuto, come recupero ri-


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tualizzato e indispensabile di obiettivi di vita ed energie positive. Tra gli anni ’50 e ’80 la spiaggia, nonostante le code in autostrada sempre più lunghe, l’affollamento e la confusione totale, i palloni che volano ovunque, la sabbia che scotta, i bambini e le mamme che strillano, i maschi che buttano insistentemente l’occhio su femmine più o meno procaci, le musiche ad alto volume che escono da radio portatili, da “mangiadischi” e “mangia nastri”, il costo minuziosamente conteggiato di ogni servizio e di ogni spazio, l’armonia dei corpi esibiti non sempre eccellente, una calca che in più occasioni evoca gironi infernali e si guadagna la poco lusinghiera e invitante definizione di “carnaio”, diventa la cosa più vicina al paradiso. E la gioia collettiva guarda immancabilmente verso il mare.

Note 1 Battilani 2001, pp. 261-268. 2 Vedi Pompei 1993, p. 262. 3 Farina 2003, pp. 138-145. 4 Farina 1987, p. 152. 5 Farina 1987, p. 152. 6 Farina 2003, pp. 138-145. Masini 1989. 7 AAVV 1986, Farina 2003, pp. 147-154. Vedi anche Farina s.d. www.balnea.net, in sezione Biblioteca riprende la premessa Colonie Marine, un impero allo sfascio, giornata di studio organizzata dal Comune di Riccione e da Il Resto del Carlino, Riccione, 25 giugno 1994. 8 Vedi Farina 2003, p. 148. 9 Farina 2003, p. 149. 10 Farina s.d. www.balnea.net, in sezione Biblioteca riprende la premessa Colonie Marine, un impero allo sfascio, giornata di studio organizzata dal Comune di Riccione e da Il Resto del Carlino, Riccione, 25 giugno 1994. 11 Farina s.d. www.balnea.net, come sopra. 12 Savelli 2009, p. 159. 13 Urbain 2002, pp. 331-345.

AFG, Riccione primi anni ’80, Davide Minghini.

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VII. Figure

Ospitanti/Ospitati, Vacanza/Lavoro, Domanda/Offerta

Frutto della trasformazione degli arenili da luoghi naturali a spazi sociali è la creazione di nuove figure professionali, nuovi lavori funzionali alla fornitura di quei servizi indispensabili e accessori che caratterizzano la pratica balneare. Le origini curative dei bagni di mare richiedono sin dall’inizio addetti capaci di svolgere funzioni tecnico-terapeutiche, ma velocemente nascono e si evolvono figure di servizio al comfort, indirizzate verso gli aspetti ludici della vita di spiaggia. Per l’opera di addomesticamento del litorale e per la parallela opera di organizzazione del nascente mercato turistico servono professioni particolari che coinvolgano la popolazione della costa, occupazioni che offrono nuove opportunità a chi già aveva dimestichezza con l’acqua e con la riva, ma anche a chi, con lungimiranza, intravvede nei centri balneari i segni di una nuova, articolata e prospera economia. Prima l’artigianato poi l’industria della vacanza balneare necessitano di professionisti che facciano la loro parte sul palcoscenico degli arenili, che operino nella nuova “officina” della spiaggia e nella proposta, assai varia, delle “città dei bagni”. Lungo la costa potenti settori economici si mettono in moto: non solo quello edilizio, ma anche quelli della gestione delle strutture ricettive e della ristorazione, dei servizi al loisir. La spiaggia, che viene eletta principale spazio della motivazione e della frequentazione turistica, non può restare priva di organizzazione e di interessi lavorativi, così l’altra faccia della vacanza che guarda alla salute e al diletto, è quella di chi sugli arenili trova un’occupazione, di chi costruisce di anno in anno un’economia stagionale, in alcuni casi “marginale”, in altri decisamente importante e redditizia.

Lavoro e cultura dell’ospitalità Alla nuova e crescente domanda di acqua, aria, sabbia, sole e loisir si fa in modo che risponda un’ adeguata offerta di servizi sempre più efficienti, inquadrati in un sistema logistico, produttivo, addirittura comportamentale, che nel Riminese assumerà tratti specifici dal punto di vista economico-sociale e culturale. Nasce una cultura dell’ospitalità riminese/romagnola che conquisterà ampio riconoscimento e favore della clientela nazionale e internazionale, si consolida diffusamente un senso di disponibilità e apertura verso i bagnanti e i forestieri che contribuisce a qualificare l’offerta della costa, creando addirittura una marchiatura/mitologia turistica che ancor oggi ha un significativo peso nel mercato delle vacanze. Tutti i settori dell’industria balneare del modello romagnolo sono assai presto segnati da una particolare miscela che dà corpo a uno specifico stile ospitale, formatosi appieno tra la fine dell’ ’800

e gli anni ’60 del 1900, dove convivono capacità imprenditoriale innovativa con antica economia d’ispirazione rurale, carattere “popolare” con avanzata prospettiva metropolitana, indole naturale con intuito professionale. Gli alberghi e le pensioni, gli esercizi commerciali e

AFC, Cattolica 1909, anonimo. Famiglia di bagnini, sullo sfondo una lancia a disposizione per le escursioni in mare dei bagnanti. A fianco: AFC, Cattolica fine anni ’40, anonimo. Gelataio.

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ovviamente la spiaggia, diventano i cardini di un modello turistico a cui vengono riconosciute non solo particolari caratteristiche organizzative, ma singolari qualità umane. In una memoria data alle stampe nel 1888 dall’avv. Costantino Bonini, segretario comunale di Rimini, si legge: “Il beneficio che deriva dall’industria dei bagni, non è solo economico pei guadagni che ne ritrae il paese in cui si fa più grande il movimento degli affari, l’aumento del lavoro, lo smercio delle derrate; ma eziandio morale, per la sua influenza educatrice sulle moltitudini. È difatto uno dei guai della Romagna e dei Romagnoli si è di essere lasciati vivere un po’ troppo isolati: ebbene la stagione dei bagni in Rimini porge bella e frequente occasione per far convivere qui romagnoli e forastieri di altre regioni d’Italia. Ora questa convivenza sempre affettuosa e cordiale, giova mirabilmente pei Romagnoli ad affinare il loro sentimento dell’ospitalità, ad attenuare una certa asprezza, una cotal rude impetuosità di modi ed insofferenza di freni che derivano un po’ da natura ma molto dal vivere un po’ troppo isolati. [...] Di guisa che quella cotal diffidenza e, diciamolo pure, quel certo terrore che sentono gli italiani di altre regioni per la Romagna e pei Romagnoli, li tramuta, dopo pochi giorni di convivenza, in franca, cordiale, entusiastica simpatia tanto che molti forastieri scelgono questi lidi per la loro villeggiatura estiva e vi spendono cospicui capitali per fabbricarsi luoghi di delizie e vivervi patriarcalmente una vita sicura, riposata, lieta”1. Le acute righe del Bonini ritraggono alla perfezione la profonda “mutazione antropologica” dei romagnoli, quelli della costa in particolare, che si ha con l’avvio e l’affermarsi dell’industria balneare e del movimento umano ed economico che questa genera. Il mito del “romagnolo ospitale” va a sostituirsi con incredibile 112

velocità al mito assai solido a livello nazionale del “romagnolo pericoloso” che, come dice lo stesso Bonini determina “quel certo terrore che sentono gli italiani di altre regioni per la Romagna e pei Romagnoli”. Un terrore dovuto alle forti connotazioni di duro ribellismo politico e sociale che caratterizzano la Romagna pre- e post- unitaria, e la portano al centro di un’attenzione tutta particolare dello Stato e delle autorità di governo, prima quello Pontifico poi anche quello Italiano2. Il carattere del romagnolo “rivoluzionario” e passionale, dal coltello facile e dalla sollevazione sempre pronta, si addolcisce repentinamente grazie all’acqua e all’aria di mare; appena gli arenili si popolano di forestieri il “ribelle” diventa un affettuoso, amichevole e premuroso professionista dell’industria dei bagni che riversa la propria naturale passionalità e schiettezza a servizio degli ospiti in generale e, creando un nuovo ulteriore mito, delle ospiti in particolare. Proprio la spiaggia, grazie anche ad alcune figure, diventa l’ambito più epico, teatralmente e narrativamente potente, della mitica ospitalità romagnola. Personaggio centrale dell’ospitalità balneare è indubbiamente il bagnino che passa da ruoli di vero e proprio aiuto tecnico al bagno, con tanto di immersioni “forzose” e sfida delle sferzanti onde in sicurezza3, a ruoli di servizio a “terra”. La figura del bagnino “assistente del bagno” muta con gli anni, fino a coincidere, nel Riminese e altrove, con la funzione di gestore degli stabilimenti balneari: i bagnini diventano i titolari delle “zone” ordinatamente delimitate e numerate che vengono date in concessione lungo tutta la linea di costa. I ruoli di gestione dello stabilimento e di sicurezza in acqua si separano quando il numero dei bagnanti comincia a richiedere particolari attenzioni, dando luogo a due figure distinte.


Figure AFC, Cattolica anni ’20, anonimo. Bagnini, da notare la cintura di cuoio sui calzoncini, accessorio distintivo della categoria per qualche decennio.

AFC, Cattolica anni ’30, anonimo. Bagnini.

A Rimini come negli altri centri della costa i primi bagnini, alcuni dei quali diverranno appunto concessionari delle “zone”, sono i custodi delle ville e dei villini affacciati sull’arenile, marinai e pescatori tuttofare che oltre ad approntare primitive

strutture di riparo dal sole e dagli sguardi, trasportano i bagnanti in gite marine su piccole imbarcazioni e offrono consigli su come affrontare i flutti e la vita di spiaggia. Oppure sono accorti abitanti dei nascenti centri balneari e delle campagne 113


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AFC, Cattolica anni ’30, anonimo. Famiglia di bagnini. AFC, Cattolica anni ’30, inizio anni ’40, anonimo. AFC, Cattolica anni ’40, inizio anni ’50, anonimo. Padre e figlio Bagnini.

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vicine che intuiscono le potenzialità di un’attività in via di sviluppo e cercano di costruire sugli arenili, prima approssimativamente poi in modo professionale, un’ impresa turistica tutta centrata sull’addomesticamento della spiaggia4. Ma al di là della propria identità imprenditoriale, che si rafforzerà progressivamente di anno in anno, il bagnino diventa la figura più rappresentativa della spiaggia sia per la sua funzione di accogliente custode delle rive e “padrone di casa”, sia perché si inserisce a pieno titolo in quella “invenzione del mare” di origine settecentesca che porta alla pratica balneare moderna. Il bagnino, nella denominazione stessa, rappresenta al meglio il mare nuovo, quello dei bagnanti

forestieri, dei turisti, che ignorano del tutto o guardano i rappresentanti del “mare antico”, pescatori e marinai, con un compiacimento e un distacco folkloristico che finisce per sancire definitivamente la loro marginalità e diversità (cfr. cap. 1). Il bagnino viene considerato dai bagnanti che vengono “da fuori” il rappresentante della modernità balneare e insieme il depositario della tradizione, figura di sintesi tra fornitura di servizi il più possibile avanzati e antiche sapienze di mare. Non a caso fra i tratti che disegnano la ricca mitologia del bagnino c’è l’attribuzione delle sue infallibili capacità di barometro vivente, conoscitore profondo dei misteri


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atmosferici al pari dei più scafati lupi di mare. Anche oggi, che basta premere un tasto per avere previsioni scientificamente accreditate, la domanda rivolta al bagnino su “cosa farà il tempo” è ancora tra le più ricorrenti. Certo è (se non si opta per la “zone libere”, cioè quelle al di fuori della gestione privata) che spiaggia e bagnino finiscono per divenire praticamente sinonimi; i bagnini ben presto vanno a ricoprire il ruolo di co-protagonisti nella rappresentazione balneare, principali attori che attraggono numerosi riferimenti reali e simbolici5. Nel Riminese i bagnini in quanto componente primaria della filiera turistica, (oggi le “zone” nell’ambito riminese da Bellaria a Cattolica sono quasi 800) divengono oggetto di un’attenzione non solo economica ma anche “culturale” che porta alla definizione surreale, non priva di un certo sarcasmo, ma neppure di una qualche poesia, di “venditori d’ombra”. Un’ombra straordinariamente significativa per i risvolti lavorativi e per quelli sociologici in quanto elemento principale della cultura balneare e dell’ospitalità riminese. Mentre la gestione della spiaggia impegna spesso intere famiglie (un ruolo assolutamente fondamentale nella conduzione dello stabilimento è, almeno fino agli anni ’70 del ’900, quello della “bagnina”, la moglie del gestore) la sicurezza e il soccorso in acqua vengono inquadrati in precise competenze e disposizioni, e perciò affidati alla figura del bagnino di salvataggio, che si separa così nettamente da quella del gestore della “zona”, conquistando una propria precisa e certificata professionalità. Sono la prestanza fisica di molti dei “salvataggi”, la loro abbronzatura perfetta, l’esibizione della loro sicurezza, il ruolo di guardiani dell’acqua, la funzione di rassicuratori e salvatori, che creano ben presto un “modello maschile da spiaggia” istituzionalizzato, pronto a entrare

potentemente nell’imaginerie e nell’immaginario balneare. Una professione/figura che contribuirà, certamente con altri elementi, alla creazione del mito della vivace atmosfera sessuale delle coste romagnole. Sicurezza e forza fisica, virilità esibita da uomo di mare, una disponibilità all’ “avventura estiva” spesso ostentata, danno vita a un’icona che, insieme a quella dei più o meno abili “cacciatori di turiste” che si aggirano nei luoghi del loisir diurno e notturno della costa (i mitici birri romagnoli che dagli anni ’30 del Novecento godranno di fortunatissima vita e fama per circa mezzo secolo), diventa fondamentale nel ritratto di una spiaggia e di un turi-

AFC, Cattolica anni ’70, anonimo. Bagnino.

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Spiaggia AFC, Cattolica anni ’40, anonimo. Batteria di salvataggi.

AFC, Cattolica anni ’20, anonimo. Chiosco nei pressi del Kursaal.

smo balneare dove il dinamismo sessuale è considerato “endemico”. Ma sulla spiaggia non si muovono solo bonari custodi degli arenili e virili campioni delle onde che mostrano volentieri la loro prestanza remando in piedi sui mosconi; sulla riva, tra gli ombrelloni e le tende si muovono anche altri personaggi, 116

comprimari, non di rado straordinari, della rappresentazione balneare. Al mare, nella stagione dei bagni, il caldo si combatte con l’ombra e con tutto ciò che offre rinfresco. La vendita di generi di ristoro avviene prima esclusivamente negli appositi spazi dei grandi stabilimenti bagni e sulle piattaforme, poi, con l’uti-


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lizzo sempre più diffuso della spiaggia, in rudimentali chioschi, piccoli esercizi popolari per il consumo di bevande e ristorazione che nascono direttamente sugli arenili, contribuendo a formare la nuova geografia balneare. Dove l’affollamento dei bagnanti diventa significativo prendono vita diverse professioni ambulanti. La combinazione spiaggia/buono/freddo è subito vincente e già dai primi anni di largo utilizzo degli arenili alcuni capiscono che offrire cibi e bevande rinfrescanti, gelati, “ghiaccioli” e granite ai bagnanti può diventare un’occupazione stagionale che procura un piccolo reddito aggiuntivo. I venditori di fresco e goloso compaiono su tutte le spiagge più frequentate, insieme ai gelati (che ovviamente trionfano) si vendono bibite ghiacciate, pasticceria, frutta fresca e candita, esotici pezzi di noci di cocco che fanno pensare a mari lontani: tutti “cibi” che sottolineano ulteriormente, se ce ne fosse bisogno, l’atmosfera ludica, festiva, “carnevalesca” che viene attribuita e riconosciuta alla spiaggia.

Un'occupazione certo marginale rispetto ad altri servizi di spiaggia, ma che entra a far parte a pieno titolo della coreografia degli arenili, esprimendo alcuni personaggi che con la loro originalità e simpatia conquisteranno l’attenzione di tutti i bagnanti. I richiami dei venditori ambulanti di spiaggia mantengono per molto tempo, almeno fino agli anni ’80 del XX secolo, qualcosa di “arcaico” e contribuiscono significativamente alla colonna sonora balneare, dove insieme agli altoparlanti che raccontano storie di bimbi sperduti sempre a lieto fine e diffondono“tormentoni” musicali costruiti scientificamente per l’ascolto sotto gli ombrelloni, risuonano le grida rapsodiche e familiari che propongono “gelati” “paste, pizze, bomboloni” e “coccobello”. Ma non solo il fresco si vende sulle spiagge. Non manca chi vede nella spiaggia una piazza adatta ad altre mercanzie: stoffe, teli e asciugamani, abbigliamento da mare, chincaglieria, giocattoli da spiaggia6 e poi, arrivando ai giorni nostri, l’infinità di og-

AFC, Cattolica anni ’20, anonimo. Venditrice di paste e “bomboloni”. AFC, Cattolica fine anni ’20, anonimo.

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AFC, Cattolica anni ’60, anonimo. Gelataio. AFG, Rimini anni ’60, Davide Minghini. AFC, Cattolica fine anni ’50, anonimo. Venditore ambulante di coperte.

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getti di un commercio “parallelo” che si posiziona spesso all’incrocio tra disagio sociale e illegalità. Sulla spiaggia, oltre ai venditori di generi di ristoro e di oggetti d’ “occasione”, si muove anche una figura a cui la cultura balneare nel suo insieme deve molto; ad ogni modo un personaggio senza il quale questo libro non si sarebbe potuto fare o risulterebbe infinitamente più povero. Si tratta, ovviamente, del fotografo professionista, insostituibile certificatore e diffusore della gioia e della memoria balneare,


Figure AFG, Rimini anni ’70, Davide Minghini. Vendita di vestiti sulla spiaggia.

vero e proprio protagonista silenzioso, ma fondamentale, della messa in scena degli arenili. Pionieri del turismo e pionieri dell’immagine fotografica stabiliscono subito un ottimo e proficuo rapporto. Tra attività sociale della vacanza e dimensione collettiva della fotografia esiste un nesso particolarmente profondo e significativo, un nesso dovuto non solo a una diffusione delle due pratiche pressoché parallela, ma principalmente alla “straordinarietà emotiva” della situazione vacanziera (in modo assai particolare di quella balneare) che, come altre significative ricorrenze di vita, viene considerata memorabile, dunque pienamente meritevole di divenire oggetto di testimonianza fotografica. Il suggerimento per le specifiche pose di gruppo e le posture dei singoli, l’attenzione ai segni fondamentali che vanno a formare la scena balneare, la loro forzatura ed esasperazione, la sottolineatura dei tratti salienti del comportamento individuale e

collettivo sono elementi che entrano a far parte del bagaglio concettuale e tecnico del fotografo di spiaggia professionista. La differenzazione degli approcci di chi scatta fotografie sulla spiaggia è fondamentalmente riconducibile a due linee e finalità comunicazionali che non di rado convivono nel medesimo operatore professionale. La prima finalità è quella “personale”, quella cioè di fotografie realizzate per fissare, in sostituzione o meglio dell’opera di un fotografo dilettante, momenti individuali o di gruppo nel contesto balneare. Fotografie realizzate e vendute per fermare ricordi e immagini non di rado segnate da un’evidente funzione affettiva o ostentativa. Gruppi, famiglie, bambini, amici, coppie, ritratti di singoli che mostrano al mare il meglio di sé: tutti soggetti che hanno a che fare con “sentimenti” consolidati o da costruire. La seconda categoria è quella “promozionale”. Appena la fotografia diviene mezzo di rappresentazione e comunicazione suf119


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AFR, Riccione primo decennio del ’900, anonimo. Il negozio sulla spiaggia dei fratelli Bianchi fotografi.

A fianco: AFG, Rimini anni ’60, Davide Minghini. La fotografia di spiaggia diventa memorabile grazie a contrasti surreali.

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ficientemente diffuso si sposa immediatamente con le finalità di promozione turistica di luoghi e situazioni. Tra i primi e più significativi lavori fotografici realizzati a Rimini c’è l’album “Bagni di Rimini” commissionato a Vincenzo Contessi dal Municipio per pubblicizzare la città come grande e qualificata stazione balneare italiana all’Esposizione di Milano del 1881. A questo seguiranno altri album “ufficiali” sempre realizzati dai Contessi, dove le foto che mostrano l’arenile e i bagnanti sono scarsissime e prevalgono invece le foto delle strutture dello Stabilimento e soprattutto quelle dedicate ai villini più significativi, immagini ritenute in grado di testimoniare le ottime possibilità di investimento immobiliare presenti nell’area7.

Con l’avvento e il rapido successo delle foto cartoline, riconducibile agli anni intorno al 19008 gli arenili più o meno attrezzati delle varie località diventano oggetto di innumerevoli immagini che esaltano dove possibile specificità locali (stabilimenti, ville, attrezzature, paesaggi, ecc.) ma soprattutto tendono a comunicare l’emergente gratificazione dell’esperienza balneare come nuova moda socialmente qualificante. La spiaggia diviene per tutti, grazie alla certificazione e alla forza comunicativa della fotografia e al meccanismo mediatico della cartolina, un luogo ufficialmente bello e desiderabile, appagante, completamente civilizzato e addirittura mondano. Con gli anni si assiste a una evoluzione parallela delle due linee fotografiche di spiaggia. Quella familiare si confronterà


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AFG, Rimini anni ’60, Davide Minghini. La fotografia di spiaggia sceglie segni connotativi esotici.

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con la diffusione sempre più ampia degli strumenti fotografici che consente ai privati di auto-prodursi le immagini “di affezione”, mentre quella promozionale tenderà ad allontanarsi progressivamente dalla statica immagine da cartolina per imboccare la strada del reportage e dei nuovi stili di comunicazione promo-pubblicitaria. In un caso e nell’altro anche sulle spiagge si consuma il destino del fotografo, quello di rimanere dietro l’obiettivo e di entrare assai raramente in quegli scenari e in quelle rappresentazioni dei modi di vivere quotidiani che proprio lui ha contribuito, forse più di tutti, a trasformare in storia.

Note 1 Bonini 1888, brano pubblicato in Farina 2003, p. 250. Sulla figura di Costantino Bonini vedi Silvestrini 1965, p. 75. 2 Pivato, Tonelli 2004, pp. 27-42. 3 Farina s.d. www.balnea.net, sezione Bagnine e bagnini in Gallerie, Tipi da spiaggia. 4 Interessanti materiali sono stati presentati nella mostra Bagnini. Un mestiere antico per il turismo attraverso le immagini dell’Archivio Fotografico, realizzata da Centro Culturale Polivalente di Cattolica, luglio-agosto 2010 a cura di Anna Maria Bernucci. Si veda anche Tosi 1986, p. 57. 5 Vedi tutto Morosini 2004. 6 Masetti Zannini 1980, p. 53. 7 Farina 1982. 8 Farina 1987, pp. 24-44.

AFG, Rimini anni ’70, Davide Minghini.

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VIII. Oggetti

Ombra/Sole, Passivi/Attivi, Sabbia/Acqua

In spiaggia si fa uso di oggetti specifici, la balneazione richiede un armamentario che muta nelle varie epoche in relazione ai modi in cui viene praticata, ai comportamenti prevalenti. Cose di mare e di spiaggia che diventano segni fondanti del paesaggio balneare, icone distintive della vacanza e della cultura balneare, simboli di luoghi e momenti particolari che possono assumere una valenza tutta speciale, fino a superare la loro funzione pratica e assumere, seppur in modo lieve, il valore del feticcio. L’ombrellone e il “moscone”, la “brandina” e il “pedalò”, le palette e i secchielli sono la spiaggia, sintetizzano modi di vivere e pensare l’arenile, modalità di organizzazione del tempo e dello spazio balneare ed elementi forti della sua rappresentazione. Il gran teatro della spiaggia necessita di un’indispensabile scenografia naturale e di una desiderabile, multiforme e variopinta attrezzeria artificiale.

Storie minime Principale attrezzatura di spiaggia è quella destinata al riparo dal sole. Tutti gli elementi fissi che possono produrre ombra sull’arenile si evolvono nel tempo e rappresentano materialmente quella risposta al sole già trattata nel quarto capitolo. Come si è visto i principali modelli di attrezzatura per l’ombra sono riconducibili a tre tipologie: l’ombrellone, la tenda inclinata mobile a vela, la tenda orizzontale fissa.

AFG, Rimini 1920 circa, anonimo. Ombrellone con telo agganciato, sedia impagliata e sedie a sdraio. AFC, Cattolica fine anni ’20. Ombrellone con telo agganciato. Dispositivo per l’ombra in posizione distesa sulla sabbia che non ha avuto successo sulla costa riminese. Nella pagina a fianco: AFG, Bellaria primi anni ’50, Bruno Stefani.

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Spiaggia

Mentre gli ombrelloni e le tende fisse con tutte le loro varianti di materiali, foggia e dimensioni convivono ancora oggi, (con disposizioni diverse a seconda delle spiagge) le tende mobili a vela, che in molti arenili riminesi vedevano un iniziale primato di utilizzo, sono andate definitivamente scomparendo intorno agli ’50, incrociandosi per un certo periodo con le altre due tipologie emergenti. Le tende a vela erano indubbiamente molto scenografiche e, potendosi orientare, offrivano un riparo dal sole forse non comodissimo ma piuttosto efficace; richiedevano però un gran lavoro da parte dei bagnini e dei loro “aiuti” che, armati di mazzuolo di legno, spostavano, almeno una volta al giorno se non di più, i picchetti infissi nella sabbia che trattenevano ferme e ben tese le variopinte tele che tutte le sere dovevano essere riavvolte al palo centrale. Attrezzatura di spiaggia indubbiamente bella, non costosa ma poco pratica e quindi destinata all’estinzione per lasciare il posto ai più versatili ombrelloni e alle strutture delle tende orizzontali allineate e continue (che qualcuno chiama castelli), assai più facili da gestire e adatte a un utilizzo più “intensivo” dello spazio balneare. Oltre a quella destinata al riparo dal sole, altra attrezzatura fondamentale per la pratica balneare è quella specifica per il riposo e la sosta sugli arenili. Anche l’evoluzione di questi oggetti testimonia chiaramente un progressivo allentamento dei vincoli formali, una liberazione del corpo e degli atteggiamenti che, come si è visto, costituisce uno dei tratti salienti della storia e del significato sociale della spiaggia. Nelle fotografie più antiche sembrano prevalere le figure in piedi: per riposarsi ci sono i ritrovi sulle piattaforme e nei Kursaal, se proprio ci si siede sulla spiaggia sono sufficienti sedie normali o qualche poltroncina appena un po’ più comoda che garantisce comunque un contegno dignitoso; altrimenti ci si stende direttamente sulla sabbia, ma questo 126


Oggetti AFC, Cattolica anni ’30, anonimo. Tende e sedie a sdraio.

AFG, Rimini anni ’50, Virgilio Retrosi. Anni ’50.

sembra davvero un gesto estemporaneo, piuttosto istintivo, infantile, concesso ai bambini ma non adatto ai bagnanti adulti “di rango”. La prima rivoluzione, che coincide con l’utilizzo più diffuso dell’arenile, con la sua piena affermazione di “spazio to-

tale” della balneazione, è quella rappresentata dalla “sedia sdraio” pieghevole, che per le sue caratteristiche strutturali (comodità, facilità di gestione logistica) avrà incontrastata fortuna almeno fino alla metà degli anni ’60 del ’900. In spiaggia non ci sie-

Nella pagina a fianco: AFC, Gabicce Mare anni ’50, anonimo. Tende e ombrelloni si affiancano in questo periodo su diverse spiagge. AFG, Rimini 1951, Angelo Moretti. Tende avvolte al palo.

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Spiaggia

AFG. Rimini primi anni ’50, Josip Ciganovic.

AFG, Rimini anni ’50, Virgilio Retrosi.

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de più, ci si sdraia: il corpo, sebbene non completamente orizzontale, è più comodo e rilassato e le posture perdono progressivamente rigidità.

L’ultima rivoluzione, quella definitiva, avviene con la rapida affermazione, nella seconda metà degli anni ’60, del lettino pieghevole da spiaggia, la cosiddetta brandina, di cui troviamo testimonianza iconografica sul lido di Venezia già negli anni ’301 e traccia verbale in uno scritto di Guido Nanni del 19332, ma che una “leggenda metropolitana” vuole inventata, o comunque messa a punto nelle sue forme attuali, proprio sulla costa riminese3. Probabilmente più che di un’invenzione si tratta appunto di una serie di innovazioni intervenute nella struttura e nei materiali costruttivi che portano verso i modelli ancor oggi in uso, notevolmente perfezionati sotto il profilo della semplicità ed efficienza in termini di utilizzo, durata, trasporto e stoccaggio.


Oggetti

Il tratto significativo della brandina è nel fatto che non ci siede, non ci si sdraia, ma addirittura ci si stende, permettendo al corpo il rilassamento totale, la completa ed efficace esposizione ai raggi solari sia davanti che dietro, una postura orizzontale in atteggiamenti di riposo, di sonno e di esposizione completamente “de-privatizzati”, impensabili alle origini della pratica balneare. Il rituale balneare trova con la brandina la sua espressione più moderna e insieme più arcaica: tutti spogliati e abbronzati, tutti vicini, tutti stesi a sacralizzare la vacanza. La spiaggia come spazio ludico per eccellenza ha bisogno di oggetti specifici, di “giocattoli” che siano adatti alle sue caratteristiche fisiche e alla sua connotazione giocosa e“carnevalesca” (cfr. cap.6). I bambini e gli adulti si divertono con la sabbia e con l’acqua: appena le moderne materie plastiche sintetiche invadono il mondo, segnano la quotidianità e conquistano definitivamente il mercato di massa, (per l’Italia quindi a partire grosso modo dal secondo dopoguerra, ma con completa affermazione negli anni ’60) ci si rende immediatamente conto che esse rappresentano quanto di meglio si possa avere per produrre oggetti ludici da spiaggia, grazie alle loro caratteristiche di resistenza, versatilità, praticità e costo. I vecchi attrezzi -giocattolo di metallo (che arrugginiscono e sono pericolosi) perdono immediatamente favore. Palle e palline per i più svariati utilizzi, palette, secchielli, “formine” e un’ampia serie di piccoli oggetti e attrezzi ludici di plastica (utilizzati in realtà non solo dai bambini) entrano a far parte dell’indispensabile corredo delle famiglie e dei gruppi di bagnanti. Plastica e spiaggia stringono un legame indissolubile che trova una delle sue massime espressioni nei “gonfiabili”, oggetti delle più svariate e impensabili fogge e dimensioni, che al mare godono di successo come in nessun altro ambito e negli anni

’60 arrivano a mirabolanti eccessi formali grazie anche alle finalità pubblicitarie per cui vengono utilizzati. Acqua e sabbia, plastica e aria vanno straordinariamente d’accordo. I gonfiabili si trasportano e si ripongono con facilità, si portano comodamente in spiaggia, sono impermeabili e soprattutto galleggiano, consentono di giocare non solo con l’acqua ma nell’acqua, conquistando così il mare, l’altro straordinario “fronte ludico” della balneazione. I modelli di salvagente e oggetti galleggianti vedranno decine forse centinaia di varianti. Il “materassino” e il piccolo canotto gonfiabile diventano “galleggianti minimali” alla portata di tutti.

In alto: AFG, Riccione, Davide Minghini, fine anni ’70 mare di brandine. AFG, Rimini, anni ’60, Davide Minghini.

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Spiaggia AFG Rimini, anni ’60, Davide Minghini.

AFG Rimini, 1965, Davide Minghini. Gonfiabile della “Mucca Carolina”.

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Oggetti

Gli oggetti per l’utilizzo ludico dell’acqua vanno a chiudere questo sintetico repertorio di “cose” legate alla balneazione. Già nel primo periodo di storia balneare, i bagnanti vogliono in qualche modo “conquistare” il mare e godere dell’acqua anche al di là del momento, come abbiamo visto fortemente regolato, del bagno. Così si organizzano escursioni, brevi gite, benefiche “passeggiate marine” per respirare l’aria del mare a bordo di piccole imbarcazioni che possono caricare i bagnanti sulla riva. Si tratta di lance (a Cattolica battelli da valle), barchette utilizzate per la pesca o il trasporto leggero di ghiaia sottocosta, condotte da marinai e pescatori esperti che hanno già in mente di affiancare al loro impegnativo lavoro, che svolgono durante tutto l’anno, l’attività estiva di servizio turistico, attività palesemente meno dura e più lucrosa. Sembra dunque manifestarsi fin dall’inizio della balneazione “una voglia di mare” che in qualche modo superi le restrizioni del puro e semplice bagno, che porti, per quanto in modo sicuro e ludico, al diversivo costituito da una visione più “avventurosa”, intensa e completa dell’elemento marino. Già nel 1849 a Rimini compaiono le tariffe per affittare barchette a due remi o a vela4; la gita marina è ritenuta un “classico” dell’esperienza balneare, un momento che i proprietari delle ville e gli ospiti abbienti dei primi alberghi desiderano vivere e che realizzano grazie al competente servizio dei “loro bagnini”. Si utilizzano, come abbiamo detto, soprattutto lance poi, quando anche la gita in mare si “democratizza”, i più moderni, esplicitamente turistici e maneggevoli cutter. Si fa strada anche il desiderio di gestirsi in proprio la poco audace navigazione. Per questo ci sono i sandolini “semplicissime barche lunghe e strette a fondo piatto,[...] che venivano mosse con pertiche in valli e lagune o con remi simili a pagaie”, ma presto si assiste al trionfo del “pattino a remi”, assai più noto local-

mente, e in genere sull’Adriatico, con il misterioso nome di moscone, appellativo non ancora ricondotto ad alcuna derivazione certa. Questo particolare natante dichiaratamente “da spiaggia”, fa già la sua comparsa in fotografie balneari dei primi del ’900, ha una definizione lessicale risalente al 1891 ma la sua origine precisa

In alto: AFR, Riccione primo decennio del ’900, Fratelli Bianchi Fotografi. Gita in barca. AFR, Riccione anni ’10 circa, anonimo, bambini in posa su imbarcazione per turisti.

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Spiaggia AFG, Rimini anni ’40, anonimo. Moscone.

AFG, Rimini anni ’30 anonimo. Mosconi in acqua e piccola battana utilizzata per gitanti.

non si conosce5 e anche gli specialisti del settore non sono giunti a ricostruzioni definitive della nascita di questo particolare “natante ludico”. Forse tutto nasce dallo spunto di congiungere con qualche tavola due sandolini, oppure dall’idea di realizzare un’ imbarcazione specificamente pensata 132

per il trasporto e il soccorso ai bagnanti, o per fornire proprio ai bagnanti un natante, un “galleggiante da spiaggia”, estremamente facile da condurre anche per chi ha poca dimestichezza con i flutti, stabile in acqua e inaffondabile; oppure da tutte queste motivazioni messe insieme. Fatto è che il moscone


Oggetti AFR, Riccione anni ’50, anonimo. “Pedalino”, uno dei diversi tentativi di moscone a pedali che porteranno al moderno “pedalò”.

AFC, Cattolica 1960 circa, Moscone a vela, un tentativo di sviluppare questo tipo di imbarcazione di scarso successo.

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Spiaggia

AFG, Rimini 1951, Angelo Moretti. Tandem marino, fantasiosa sperimentazione ciclonautica.

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diventa un’icona fondamentale della vita di spiaggia, dà origine addirittura alla categoria dei mosconai (scomparsa negli anni 70), a cantieri specifici per la sua fabbricazione6 e a modelli di natanti che da esso derivano, come il poco fortunato e più complicato moscone a vela, e il fortunatissimo e versatile pedalò, nato proprio come ammodernamento “a pedali” e ulteriore semplificazione del mitico moscone. Proprio il declino del moscone e la progressiva affermazione del pedalò

segnano un’epoca, quasi uno “stacco antropologico” nella vicenda balneare. Come la decadenza delle passerelle e delle piattaforme segna il passaggio tra balneazione delle origini e balneazione moderna, la decadenza del moscone sembra chiudere la fase moderna per la lasciare spazio a quella contemporanea, in cui la buffa sagoma del natante, i movimenti muscolari e virili dei rematori, la pur minima abilità richiesta per l’orientamento della barca, non hanno più posto. Tutto è diventato più


Oggetti

facile e spettacolare: il pedalò è di durevole plastica, si “guida” con niente, si attrezza con scivoli che promettono spettacolari tuffi, prende addirittura la forma di un’“automobilina” con tanto di ruote disegnate, impegnandosi così a non sembrare più neppure una barca.

Note 1 Martini 2011, pp. 84-85. 2 Nanni 1933 a, p. 20. 3 testimonianza di vari bagnini “storici” di Riccione. 4 Farina 2003, p. 44. 5 Fiori 2008, pp. 71-74. 6 Fiori 2008, p. 72.

AFG, Rimini anni ’70, Davide Minghini, tra i primi modelli moderni di pedalò.

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Epilogo fine stagione

La spiaggia, spazio in cui si esaudiscono piccoli/grandi sogni e l’individuo torna a un rapporto più diretto con lo “stato naturale”, esercita un peso considerevole sulla psicologia collettiva come su quella personale. È significativo che la spiaggia e il mare siano lo scenario di centinaia, forse migliaia di canzoni che parlano di amoreggiamenti estivi, delle leggere o struggenti passioni che si consumano sulle rive baciate dal sole o dalla luna. È quasi certo che nessun altro ambito naturale e culturale possa vantare un così gran numero di esplicite ambientazioni amorose. Perché la spiaggia è indubbiamente luogo privilegiato del sentimento. Sentimenti verso gli altri (l’oggetto del desiderio, ma anche la famiglia, i bambini, gli amici, i componenti dei gruppi che si ritrovano in vacanza), e sentimenti verso se stessi che ricompensano stagionalmente (sia perché premiano, sia perché compensano nuovamente) uno stato emotivo incline all’auto-gratificazione e, in qualche modo, a considerazioni più o meno profonde sulla propria esistenza, favorite dall’ozio e dalla condizione di “libertà balneare”.

Ma per cogliere tutta la carica sentimentale delle spiagge, bisogna godere di un privilegio che purtroppo non si ha frequentando gli arenili solo per qualche giorno, o anche per un periodo più lungo, comunque concentrato nella stagione estiva. Non basta essere turisti, è indispensabile viverci vicino e ritagliarsi un po’ di tempo per frequentarle tutto l’anno. Bisogna poter cogliere il calore e il colore dei primi soli che sciolgono i mesi freddi, salutare i bagnini quando ricompaiono sulla riva irriconoscibili senza abbronzatura e vederli ammucchiare i detriti indefiniti e sorprendenti delle mareggiate invernali. Sentire l’odore delle vernici che ricolorano le cabine, assistere alla resurrezione dalla sabbia delle geometrie disegnate dagli innumerevoli pali delle tende e degli ombrelloni che ogni anno rifioriscono al loro posto con precisione millimetrica. Camminare a lungo sulla sabbia ancora fredda e sedersi contando gli incontri che si fanno sulle dita delle mani. Ammirare il gesto fuori tempo della raccolta delle “poveracce” e dei “cannelli”, con i suoi rudimentali attrezzi e i continui inchini alla battigia, quasi un rito oltre che una “pesca minimale” ormai fatta da pochi, certamente più come scusa per stare al mare che per profitto.

AFG Rimini anni ’70, Davide Minghini.

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Spiaggia

AFG, Rimini anni ’60, Davide Minghini.

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Bisogna non solo potere ma anche sapere godere dell’ estate, dall’inizio alla fine, della gente che arriva, dei riflessi propri della spiaggia, a cominciare dalle albe precoci e dai tramonti ritardatari di giugno, per apprezzare poi la pienezza del sole e del sogno di leggerezza che pervade tutto luglio e metà agosto, quando la sabbia scotta da far saltare e il mezzogiorno porta torpori invincibili. Tutti gli anni, passato il Ferragosto, o giù di lì, comincia immancabilmente a “sentirsi” qualcosa. La spiaggia cambia umore. Variazioni d’atteggiamento, le giornate che si accorciano davvero, le luminosità del cielo e dell’acqua che cambiano tono e consistenza, i gabbiani che si fanno più sfacciati sulla riva, le partenze di molti, quasi tutti, verso la vita di tutti i giorni. A seconda degli anni e della fretta che ha l’autunno, ci si accorge, anche se il caldo

prosegue, che la stagione si è sfibrata, la sua energia, dopo tanto sole, va evaporando. Per chi ama la spiaggia gli ultimi giorni di agosto e quelli di settembre in cui il tempo “tiene ancora”, pochi o molti che siano, sono unici e struggenti. Brandine e ombrelloni si diradano a vista d’occhio dopo la flagellazione dei getti d’acqua dolce con cui i bagnini li purificano dalle tracce lasciate dalla salsedine, dalla sabbia e dall’aria calda di sole e di corpi. L’acqua torna solitaria e tutta la scenografia della spiaggia dopo tanta luce e tante chiacchiere si ammucchia nel buio e nel silenzio dei magazzini. I “salvataggi” si tolgono pantaloncini e canottiera che per qualche mese sono stati nobilitati in divisa e vanno a smaltire l’abbronzatura chissà come e chissà dove. Rimangono a godersi il sole, ogni giorno


Epilogo

più pallido, i bambini del posto che ancora non pensano alla scuola e pochi fortunati, che combattono con la sottile malinconia procurata dal dissanguamento dell’estate. Quando, senza applausi, si chiude il sipario della stagione si consuma un abbandono. D’inverno le passeggiate sulla riva donano molto, offrono senza risparmio le sensazioni dell’altro mare, ma dopo un

po’ tornano a insinuarsi, prima leggere poi sempre più potenti, la voglia e la speranza di quei bagliori, di quegli odori e di quelle fondamentali vacuità che si trovano solo in quella banda dove terra e mare si toccano, in un tempo sempre nuovo e consueto, nell’estate a venire, da vivere con le piccole ma esclusive felicità che può regalare solo la spiaggia promessa.

AFC, Cattolica primo decennio del ’900, anonimo. Il mare in burrasca dal porto.

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AFG, Rimini 1951, Angelo Moretti.


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Ringraziamenti

Senza l’aiuto di tanti questo libro non si sarebbe potuto fare. Devo ringraziare Enzo Manzi -“figura storica” della balneazione romagnola - e la sua famiglia che gestisce la stessa spiaggia nel cuore di Riccione da circa 120 anni. è grazie a lui, alle lunghe e piacevoli chiacchierate che facciamo d’estate e negli incontri sulla sua spiaggia durante tutto l’anno, che ha preso corpo l’idea di dedicare un libro ai pensieri e ai comportamenti che nascono sulla sabbia, sotto gli ombrelloni e tra le onde. Tanti piccoli segreti e racconti li ho ascoltati da lui. Le fotografie sono state trovate e concesse grazie alla disponibilità e competenza di persone che lavorano in silenzio, che stanno quasi sempre “dietro le quinte” ma a cui il territorio riminese deve davvero molto. Nadia Bizzocchi, instancabile curatrice dell’Archivio Fotografico della Biblioteca Gambalunghiana di Rimini, e Dorigo Avanzolini, curatore dell’ Archivio Fotografico del Centro Culturale Polivalente di Cattolica e custode ineguagliabile della memoria della sua città, hanno dimostrato nei miei confronti una pazienza e una comprensione straordinaria: senza di loro non avrei mai potuto vedere e scegliere tante belle e significative immagini. Al Comune di Rimini e al Comune di Cattolica, ai responsabili delle due istituzioni e in particolare a Oriana Maroni e a Giuseppina Macaluso va un ringraziamento per aver favorito l’utilizzo di un materiale così prezioso. Grande e immediata disponibilità è venuta anche dal Comune di Riccione e dal personale della Biblioteca Comunale di Riccione. Laura Grossi, Daniele Biagini e il direttore Pasquale d’Alessio hanno subito provveduto a procurarmi e concedermi le immagini conservate nella loro istituzione. Un pensiero di gratitudine va a tutti i fotografi, noti e anonimi, che hanno fermato immagini e sentimenti del mondo balneare. Non si possono citare tutti, ma almeno i nomi di Davide Minghini, Josip Ciganovic, Virgilio Retrosi, Angelo Moretti, Bruno Stefani, Dante Montanari, i fratelli Contessi, Giuseppe Michelini, vanno certamente ricordati. A Piergiorgio Pasini devo un particolare ringraziamento per l’attenzione che ha sempre nei riguardi dei miei lavori. I tanti debiti verso chi ha lavorato prima di me sull’argomento e messo insieme idee e materiali spero siano stati ben evidenziati nel testo, nella bibliografia e nelle note.

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Finito di stampare nel mese di novembre 2013 per conto della Minerva Edizioni - Bologna


spiaggia

antropologia balneare riminese


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