Immortali

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Immortali di

Maria Elena Cristiano

Immortali – Maria Elena Cristiano

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CAPITOLO

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Il gatto ronfava pigramente. Il pelo grigio e nero risplendeva sommessamente nella luce tiepida di un incerto sole di primavera. Strani giochi d’ ombre si rincorrevano sui muri della stanza creando arabeschi onirici dove volteggiavano, pigri, minuscoli granelli di polvere. Tutto era immerso in un silenzio immobile rotto soltanto dal ruggire sommesso di un’auto sconosciuta che conduceva chissà chi chissà dove. Mary era in piedi davanti alla finestra. Lo sguardo perso verso un orizzonte che non le interessava. Osservava annoiata alcune donne uscire di fretta dal supermercato di fronte: arrancavano sbuffando e stillando sudore, serrando fra le mani buste della spesa colme, trascinando i loro bambini che le seguivano svogliati. Lo spettacolo acuì la sua malinconia. Si chinò per accarezzare il pelo corto e lucido del felino che era acciambellato accanto ai suoi piedi. Sua maestà il gatto la scrutò incuriosito e socchiuse gli occhi. Mary riprese a guardare fuori dalla finestra e vide un giovane immobile al centro della strada. I capelli corvini, lunghi e spettinati, danzavano attorno alla sua figura mossi da una brezza leggera. Indossava dei pantaloni scuri ed una camicia bianca. L’espressione assorta con la quale scrutava i palazzi di fronte a lui, la incuriosì al punto da farle desiderare di richiamare la sua attenzione. Si accostò al vetro per tentare di mettere a fuoco i dettagli della figura, ma l’uomo si sottrasse al suo sguardo voltandole le spalle ed incamminandosi frettolosamente verso il lato opposto della strada. Riuscì a seguirlo ancora per pochi istanti prima che scomparisse definitivamente dietro l’angolo dei grandi magazzini. Restò ancora un attimo con gli occhi fissi sulla strada, poi si decise a tornare all’attività che più le si addiceva negli ultimi tempi: guardare la tv. Si sedette sul divano di raso blu ed accese quella piccola scatola magica che nei trascorsi mesi le aveva tenuto compagnia. Forse troppa. Dopo la morte prematura di suo padre, avvenuta quasi un anno e mezzo prima, si era lentamente chiusa in un ostinato immobilismo. Era sempre ben disposta ad intrattenersi in quattro chiacchiere con qualche amica o con un collega di studio, ma rifuggiva sistematicamente ogni impegno che la costringesse a restare più di poche ore lontana da casa . Si sentiva estranea al mondo ed in balia degli eventi. Aveva abbandonato il campus dove frequentava la facoltà di medicina per far ritorno a casa, dicendo ai suoi colleghi di corso che aveva bisogno di pace e tranquillità per affrontare la sessione autunnale, la più impegnativa dell’anno accademico. La sessione autunnale era terminata da diversi mesi, ma la decisione di tornare ad occupare la sua vecchia stanza al terzo piano non era ancora arrivata. A casa si sentiva al sicuro, riparata dalle intemperie della vita, circondata dai ricordi di un’esistenza serena. Lì riusciva a non sentirsi sola. Gli amici non le mancavano, ma quelli sinceri e fidati erano diventati una specie in via d’estinzione. Mary aveva preferito accettare il peso della solitudine, che sottomettersi alla falsa comprensione di ipocriti e conoscenti, e prendere le distanze da un universo di falso pietismo le era sembrato l’unico modo per sopravvivere. Erano trascorsi molti mesi dall’evento più traumatico della sua vita e il fardello dell’eremitaggio iniziava a farsi insopportabile. Cominciava a provare uno strano senso d’estraniazione e d’allontanamento anche da sé stessa. Era giunto il momento di tornare a condurre un’esistenza almeno ai limiti della norma. Ma da dove cominciare l’opera di ricostruzione? Il pensiero che maggiormente l’assillava durante le notti trascorse a girarsi e rigirarsi nel letto sfatto, era se realmente avesse voglia di tornare la donna che era stata un tempo. Si sentiva irrimediabilmente cambiata, nell’animo e nelle attitudini, e probabilmente la vita che aveva trascorso fino all’anno precedente non le sarebbe mai più appartenuta. Aveva la netta sensazione che avrebbe dovuto intraprendere strade alternative, seguire le vie dell’Io e giungere ad una nuova Immortali – Maria Elena Cristiano

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consapevolezza di sé. Volare verso orizzonti ancora inesplorati. Si era andata man mano convincendo che la via maestra che l’avrebbe riportata dal buio alla luce dovesse passare attraverso esperienze diverse da quelle fatte in precedenza, una sorta di muta da bruco a farfalla. (Se non la smetto di riempirmi la testa di queste inutili farneticazioni finirò con l’entrare in qualche setta indiana o, peggio, con il frequentare una comunità new age, circondata da capelloni riccioluti che bruciano incenso ed evocano la potenza della santa madre Terra), pensò. Si alzò dal divano, spense la televisione e si diresse svogliatamente verso il bagno. Si specchiò a lungo studiandosi attentamente nello specchio piccolo e rotondo sopra il lavandino. I troppi pensieri e la forzata solitudine non avevano alterato la freschezza del suo ovale, né spento la scintilla di curiosità che albergava in fondo ai suoi occhi scuri e vellutati come mandorle dolci. Si passò lentamente la punta dell’indice affusolato lungo il contorno delle labbra, si pizzicò le guance e si scrutò divertita la sottile ruga fra le sopracciglia che stava acquisendo lentamente spessore e profondità. (Il peso della cultura), pensò sorridendo. La casa era ancora raccolta nel silenzio. Sembrava pervasa dall’antica sacralità delle chiese dei piccoli centri di campagna. Mary si accorse improvvisamente che la pace che aveva tanto desiderato nei mesi passati era diventata assordante, caotica. La infastidiva. Le faceva presagire che prima o poi anche lei sarebbe entrata a far parte di quel nulla. Afferrò la giacca di pelle abbandonata sulla sedia della cucina, la infilò frettolosamente, prese le chiavi di casa ed uscì sbattendo la porta alle sue spalle. All’inizio le scale le dettero come un leggero senso di vertigine, ma quando si trovò in strada l’aria fresca del pomeriggio sembrò rischiararle i pensieri. Si guardò attorno un po’ stordita: non aveva la minima idea di dove andare. Si fissò sconsolata la punta delle scarpe e decise che era senz’altro più opportuno far ritorno a casa. Una scorsa all’orologio la informò che erano quasi le diciotto e trenta, fra poco sarebbe iniziato il quiz pomeridiano sul canale nazionale…che fare? Forse era meglio porre fine alla sua incursione nel mondo, almeno per il momento. Era sul punto di voltarsi verso il portone, quando sulla strada di fronte al marciapiede scorse nuovamente il giovane che aveva visto poco prima dalla finestra della sua stanza. Ora poteva distinguere nettamente le sue fattezze: aveva grandi occhi color turchese, un naso vagamente aquilino che si ergeva regale in mezzo a due zigomi prominenti, la bocca carnosa atteggiata in un sorriso che lasciava intravedere una fila di denti regolari. Mary lo fissò rapita. Non era l’indiscussa bellezza dell’uomo che l’affascinava, ma qualcosa nel suo sguardo, qualcosa di indefinibile. Un brivido improvviso le corse lungo la schiena e quasi inciampò per la fretta di arrivare al portone. Frugò febbrilmente nelle tasche della giacca alla ricerca delle chiavi, ma una voce calda e profonda la fece sussultare: “Scusami…”.

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Mary si voltò lentamente inspirando per non urlare. Il giovane era lì, ritto davanti a lei e la guardava con occhi miti. Sembrava che non ci fosse nulla di cui allarmarsi, eppure il suo stomaco continuava a ribellarsi ferocemente contro le pareti dell’addome. “Cosa vuoi?” , gli chiese in modo sbrigativo e poco cortese. “Veramente nulla di particolare e mi dispiace di averti spaventata”. “Non sono affatto spaventata…ho solo fretta”, replicò lei. “Non voglio disturbarti, nè contrariare una donna così bella”. Mary abbassò gli occhi delusa: non era né uno stupratore, né un gentiluomo misterioso, ma solo il solito idiota dall’abbordo facile. “Ti ringrazio del complimento, ma devo proprio andare”. “Non era mia intenzione farti alcun complimento, esprimevo solo una mia opinione”, disse lui sorridendo. “Va bene, ora però gradirei essere lasciata in pace”. “E’ un peccato che tu abbia tanta fretta”, si interruppe restando preda di un evidente imbarazzo, “sono in città da pochi giorni”, continuò titubante, “e non conosco nessuno…speravo che mi potessi essere d’aiuto. Non so neanche dove andare a mangiare qualcosa ed il mio stomaco comincia a dare segni di solitudine”. Mary sorrise e notò che anche il suo interlocutore aveva assunto un’espressione meno impersonale. Pensò che poteva anche scambiarci quattro chiacchiere, magari era davvero un serial killer evaso da un manicomio criminale, ma aveva l’irragionevole sensazione che poteva fidarsi di quello sconosciuto. “Non esco molto nell’ultimo periodo”, disse con sincerità, “quindi credo di non essere la persona più adatta a dare consigli mondani”. “Niente di mondano, non è il mio genere”, replicò l’uomo, “una comune pizzeria sarebbe quanto di più gradito potrei chiedere in una sera come questa”. “Se ti accontenti di così poco ce ne sono un paio decenti nell’east side a pochi isolati da qui. La strada è facile, non puoi sbagliare”. Per un attimo fra i due cadde il silenzio e restarono a fissarsi in maniera troppo intensa per due estranei. Mary fu costretta ad abbassare lo sguardo per non arrossire. “Credo di aver capito dove si trovano, ti ringrazio”. “Di nulla…Scusami se sono stata un po’ scostante, è che non si sa mai chi si può incontrare…sai, noi donne quando usciamo da sole siamo sempre in allarme”. Immortali – Maria Elena Cristiano

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“Hai ragione non avrei dovuto fermarti in quel modo, ma non sapevo proprio come fare”. “Va bene, ti saluto”. Infilò le chiavi nella serratura del portone, aprì ed entrò nell’androne del palazzo. “Hey”. “Sì?”. “Non so neanche come ti chiami”. “Mary, il nome più banale del mondo”. “La banalità dipende dalle persone, non dai loro nomi. Comunque io sono David”. “Piacere di averti conosciuto, David”. “Piacere mio, Mary”. Lei si incamminò per le scale con un eccessivo senso di agitazione e di euforia che le faceva vibrare lo stomaco e tamburellare il cuore. “Hey”, di nuovo la voce di lui che la chiamava dal portone. “Dimmi”, si voltò facendo svolazzare attorno al collo i lunghi capelli neri e lisci. “Mi troveresti troppo sfacciato se ti invitassi a mangiare quella pizza con me?”. “Direi proprio di sì. Non mi piace essere abbordata per strada, non è nel mio stile”. “Ma io non ti sto abbordando, sto solo cercando qualcuno con cui dividere peperoni e cipolle”. “Detesto le cipolle”, replicò lei seria. “Da oggi le detesto anch’io”, rispose lui. “David sei simpatico, davvero, ma non credo che sia una buona idea”. “Ti prometto che mi comporterò da vero gentleman. Sarò impeccabile. In fin dei conti cosa ti costa accontentare uno sperduto forestiero?”. “Non lo so…”. “Senti Mary, se è vero come mi hai detto poco fa, che non esci spesso negli ultimi tempi, potrebbe essere un’ottima occasione per distrarti. Sono un uomo molto divertente se ho un buon motivo per esserlo”. Mary lo fissò perplessa per qualche istante. “Va bene, aspettami qui”, gli disse, “vado a prendere la borsa e torno”. “Ti aspetto”, rispose lui entusiasta. Immortali – Maria Elena Cristiano

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Mary entrò in casa con le mani che le tremavano leggermente. (Devo essere impazzita! Accettare l’invito di uno sconosciuto. Potrebbe trattarsi anche di Jack lo squartatore), pensò. Si guardò nello specchio della camera da letto, erano dieci mesi che non metteva il naso fuori da quelle quattro mura. Si chiese se fosse ancora all’altezza di conversare con qualcuno. Probabilmente la serata sarebbe stata un vero disastro. Quando tornò da David lo trovò appoggiato allo stipite del portone con le mani affondate nelle tasche ed un’aria pensierosa dipinta sul volto. “Eccomi qua”, proruppe lei interrompendo il filo dei suoi pensieri. “Fantastico…per un attimo ho temuto che mi avresti lasciato qui tutta la notte ad aspettarti, in balia degli eventi e delle intemperie”. “Sono stata tentata di farlo, ma poi il mio ineguagliabile senso di correttezza mi ha impedito di portare a termine una tale maleducazione”. “Ne sono lieto. Dove andiamo a mangiare questa fantomatica pizza?”. “C’è un localino economico e grazioso a pochi isolati da qui”. Si incamminarono spalla a spalla lungo la strada semi deserta. Per qualche tempo parlarono degli argomenti più disparati. Mary scoprì che David si era laureato in filosofia presso una prestigiosa università di Philadelphia, ottenendo il dottorato con il massimo dei voti ed ora si stava dedicando ad alcune ricerche inerenti gli antichi culti pre-classici, con speciale riguardo alle pratiche esoteriche egizie e mesopotamiche. Gli chiese, indubbiamente affascinata, come mai un neo laureato in filosofia si dedicasse a certo tipo di ricerche e non cercasse di essere assunto in un college. “Innanzitutto dovrei tagliarmi i capelli”, rispose lui ironico. Mary sorrise ammiccando verso la folta chioma che ondeggiava pigra lungo la schiena del giovane. “Poi non sono ancora certo di volermi dedicare all’insegnamento. Troppo spesso gli studenti non sono interessati a ciò che i docenti tentano di insegnar loro, ed io ho studiato troppo e con troppo amore per dedicarmi a chi non ha alcuna voglia di ascoltare”. “Credo di capire cosa intendi”, replicò lei assorta, “ ed in un certo senso credo che tu abbia ragione, ma continuo a non capire questo interesse verso pratiche religiose ed esoteriche così antiche”. “Prova a pensare alla Grecia, alla nascita della filosofia, all’evolversi del pensiero complesso, poi pensa a Kant, all’idealismo tedesco e al neo razionalismo. Sono tutti tentativi operati dall’uomo per dare un’organizzazione compartimentale all’esistenza, per schematizzare non solo il contenuto della mente umana, ma per trovare delle risposte. Per raggiungere la verità, o perlomeno una delle molteplici realtà possibili, e soddisfare un bisogno interiore di sicurezza che serva a colmare i vuoti Immortali – Maria Elena Cristiano

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esistenziali che rendono oscura la vita. I popoli antichi hanno tentato di approdare alla stessa spiaggia, solo attraverso una strada differente, più semplice, forse più primitiva. Hanno creato miti e divinità, riti e magie per tentare di controllare gli eventi, di trovare il fine ultimo delle cose, ciò che si nasconde dietro la materia. Il filo rosso che lega il nostro destino a quello dell’intera umanità”. Si fermò come rapito dalle sue stesse elucubrazioni e Mary lo trovò semplicemente irresistibile .“E forse erano giunti più vicini alla verità di quanto noi razionali e logici uomini moderni siamo riusciti a fare”. “Se escludiamo il fatto che proprio l’eccessivo culto e l’assidua attuazione di pratiche magiche ha portato all’autodistruzione della stirpe egizia, il tuo ragionamento è ineccepibile”. David arrossì leggermente: “Certo, non è proprio un particolare trascurabile, ma anche gli antichi romani, che erano scevri da ogni attitudine trascendentale, sono approdati all’autodistruzione”, replicò l’uomo. “Questa è un’affermazione storicamente falsa, gli antichi romani non si sono affatto autodistrutti. La loro civiltà è mutata a causa delle guerre e soprattutto dell’avvento del Cristianesimo, ma si è conservata intatta per secoli anche dopo che il loro potere militare era andato scemando in seguito agli sconvolgimenti politici dell’Europa”. David la guardò meravigliato. “Ma tu non eri una studentessa in medicina?”. Mary sorrise compiaciuta. “Sì, ma con molti interessi”. Poco dopo giunsero al ristorante. Scelsero un tavolo lontano dall’ingresso, riparato dalla confusione e dal continuo va e vieni dei camerieri. La pizzeria era veramente di poche pretese: ben pulita, ma arredata con scarsa cura e gusto. Dal soffitto pendevano vecchie lampade a neon ornate da stinti paralumi bianchi a scacchi rossi, le pareti erano affollate da stampe che riproducevano attori dell’epoca d’oro di Hollywood che sorridevano, ammaliatori demodé, in pose da giornale scandalistico; i tavoli, abbastanza grandi da poter ospitare ognuno almeno un gruppo di quattro persone, erano coperti da tovaglie bianche e rosse che richiamavano i paralumi. Mangiarono avidamente due pizze traboccanti di peperoni e funghi, sporcandosi le mani e ridendo compiaciuti della mozzarella che colava lungo i loro menti. La serata trascorse fra discorsi seri e faceti. Sembrava quasi che si conoscessero da anni. Non un attimo di silenzio interruppe il fiume di parole che sgorgava inarrestabile dalle loro labbra, tutto era semplicemente perfetto. Mary raccontò molto di sé: la ragione futile che l’aveva spinta ad iscriversi alla facoltà di medicina con l’intenzione di diventare una psichiatra con indirizzo criminologico e comportamentale. “Sarà sciocco, ma la scelta di ipotecare il mio futuro con quasi dieci anni di studio è interamente dovuta ad un romanzo che ho letto quando frequentavo le superiori”, aveva confessato. “Quale?”, aveva domandato lui. Immortali – Maria Elena Cristiano

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“ “Il silenzio degli innocenti””, aveva replicato lei ridendo, “sono rimasta così affascinata dalla maestria con cui Harris ha tratteggiato la personalità di Lecter che ho deciso che nella vita non poteva esserci nulla di più stimolante che studiare e tentare di addentrarsi nei meandri di personalità complesse e disturbate come quella”. “Sembri affascinata dalla personalità dei serial killer, credo persino che provi una sorta di ammirazione nei loro confronti”, commentò lui. “Proprio ammirazione non direi…li trovo intellettualmente stimolanti. In fin dei conti il loro cervello è conformato esattamente come il nostro, sono un prodotto, a volte perfettamente integrato, della nostra società, eppure agiscono in un modo che per il resto dell’umanità è inconcepibile. Attraversano senza tabù o freni inibitori barriere morali antiche di millenni, tutto al solo fine di soddisfare il loro Io, per appagare un bisogno primordiale. Energia allo stato puro, non imbrigliata da dogmi o sensi di colpa”. “Tu li ammiri”, disse David perplesso. “Forse, in un senso molto lato”. “Allora vedi che ero io quello che non doveva arrischiarsi ad uscire con una sconosciuta?”. Risero ed addentarono quasi in sincrono un altro pezzo di pizza che intanto andava velocemente raffreddandosi. Tornarono a casa di lei verso l’una di una notte stellata. Si salutarono con un’amichevole stretta di mano e l’imbarazzo divenne quasi tangibile quando lui restò a fissarla non sapendo come terminare quel singolare appuntamento. Infine David si voltò frettolosamente lasciando Mary, interdetta, ferma sulla soglia del portone. Lei lo guardò mentre si allontanava, quindi estrasse le chiavi dalla borsetta, aprì il portone e salì le scale evitando di voltarsi. Arrivata in casa lanciò la borsa sul mobile dell’ingresso, lasciò cadere la giacca di pelle sul letto, si sfilò le scarpe vicino al tavolino del salotto e si sedette accanto al micio che stava ancora ronfando. “Povero piccolo, questa sera non ti ho fatto nemmeno mangiare”, disse prendendo in braccio il felino e destandolo dal suo sonno pacificatore. L’animale reagì con un miagolio pigro, osservò attentamente il volto della padrona chino su di lui, le leccò la punta delle dita della mano destra, si stirò arruffando il pelo corto che gli ricopriva il dorso e senza indugiare oltre si riaddormentò. Mary fissava silenziosa il soffitto sopra la televisione spenta e la sua mente era invasa da mille pensieri che parevano rincorrersi senza logica: immagini di vecchi compagni di scuola di cui non aveva più avuto notizie dopo la conclusione delle superiori, visi di persone appena conosciute in qualche aula universitaria, odori della sua infanzia legati ad una piccola casa al mare dove da bambina trascorreva l’estate con la sua famiglia. Era felice, allora. Si sentiva amata e protetta, tutto aveva una sua ragione semplice ed inconfutabile. Poi si vedeva sola, spaurita, abbandonata. Si sentiva sempre così dal giorno della morte di suo padre. Il mondo aveva improvvisamente smesso di girare, si era come ghiacciato. Ma per essere precisi era solo il suo personale mondo che aveva smesso di girare, perché per il resto dell’universo non era cambiato assolutamente nulla ed era Immortali – Maria Elena Cristiano

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proprio l’ineluttabilità di questa realtà che contribuiva ad alimentare quel suo stato d’animo: gli altri continuavano a vivere e ad amare, a perseguire i propri interessi, le proprie attività, mentre per lei tutto questo era divenuto ad un tratto difficile, quasi impossibile. Un subdolo senso d’ impotenza si era impossessato della sua anima, facendo nascere nel suo intimo paure sciocche ed immotivate. La depressione era cresciuta indisturbata a tal punto che stava per minare le basi anche della sua salute fisica oltre che del suo equilibrio mentale. Un continuo senso di stanchezza la attanagliava, la voglia di salire sulla giostra della vita si era affievolita come la luce di una candela che brilla in lontananza, e si era ritrovata sola ed immobile, intenta a coccolare un dolore che non era ancora riuscita ad interiorizzare. Aveva spesso riflettuto sulla genesi degli attacchi di panico che l’avevano condizionata negli ultimi mesi, ma mai come quella sera le era parso lampante il loro primum movens. Suo padre era morto stroncato da un infarto. Era un uomo sanissimo, ma una mattina, semplicemente, si era accasciato sulla poltrona del suo ufficio, morto. Che strano, aveva riflettuto spesso, morire d’improvviso, senza una malattia, un incidente, senza una ragione logica, reale. Tutto questo l’aveva scioccata. Amava profondamente suo padre e nutriva per lui un rispetto incondizionato. Era stato un eccellente genitore ed un ottimo marito, una persona stimata ed invidiata per la posizione che era stato capace di conquistare con le sue sole forze. Poi tutto era finito in un attimo, senza neppure il tempo di scambiarsi un ultimo saluto. Era uscito dalla porta di casa per non farvi più ritorno. Sua madre, dopo l’accaduto, aveva preferito ritirarsi dalla sorella in Florida, pregando Mary di continuare a dedicarsi ai suoi studi, così come aveva sempre fatto. Lei, per qualche tempo, aveva ripreso a frequentare senza successo il campus, ma aveva presto optato per concedersi un anno di pausa tornando nella sua vecchia abitazione convinta che fosse la cosa migliore per lei e per il suo sistema nervoso. Ma la solitudine non aveva partorito la risposta ai suoi perché, anzi aveva acuito il senso di inadeguatezza ed aveva nutrito a dismisura il suo personale zoo di mostri, che erano diventati grassi e pasciuti e che sembravano intenzionati a non abbandonarla più. La dipartita improvvisa del genitore l’aveva posta per la prima volta di fronte all’ineluttabilità della morte, e questo la terrorizzava. Ma quella sera i suoi pensieri non riuscivano a soffermarsi troppo sui soliti tetri argomenti, vagavano senza meta per poi far ritorno sempre alla stessa immagine: i lunghi capelli di David che svolazzavano leggeri dietro le sue spalle larghe e forti. (Dopo tutto prima di giungere alla sua conclusione), pensò, (la vita deve pur essere vissuta. Non ha senso aver paura di lasciare ciò che forse ancora non si conosce). E per la prima volta, dopo troppo tempo, si addormentò con il sorriso.

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CAPITOLO 2

La mattina seguente era carica di profumi che annunciavano l’imminente ritorno della primavera, stagione che era, in vero, ben lungi dall’essere la sua preferita. Fin da bambina i raggi del sole avevano sempre avuto la strana capacità di mettere Mary di cattivo umore: prediligeva i toni sfumati dell’inverno e le tempeste, che le davano la singolare sensazione di avere il potere di incanalare le energie negative, i turbamenti e l’ira che animano lo spirito umano, trasportandole via con sé nella foga e nel tumulto degli elementi. Si alzò ancora insonnolita dal letto, ma animata dalla piacevole sensazione del pieno possesso delle sue facoltà emotive, cosa che, ultimamente, le capitava piuttosto di rado. In genere non riusciva a prevedere fino a quale momento della giornata sarebbe stata in balia dei propri turbinii mentali e quando, e se, l’avrebbero abbandonata. Bevve una tazza di caffè bollente acciottolata sul divano del soggiorno, mangiò due fette di ciambellone acquistato al supermercato all’angolo, condividendolo con il micio, e quando ebbe terminato lo spuntino si gettò sotto un potente getto di acqua tiepida che sembrò riconciliarla con il creato. Dedicò un’estrema cura alla scelta dell’abbigliamento da indossare, e si mise di fronte alla finestra della cucina pianificando mentalmente tutto ciò che avrebbe potuto fare durante quella giornata di sole. Non trovando nulla di particolarmente interessante decise di andare a fare la spesa: il frigo era desolato e poi i reparti del maxi store di fronte casa avevano sempre esercitato su di lei un certo fascino. A dire il vero, la sortita non fu delle più entusiasmanti. Dopo aver vagato per un po’ senza meta fra i lunghi corridoi del supermercato e aver riempito quasi fino all’orlo il carrello di metallo, decise di far ritorno a casa. Appena rientrata si dedicò alla meticolosa pulizia del frigorifero, preparò il pranzetto al gatto, che ricambiò le attenzioni ricevute con una profusione di fusa e miagolii, quindi mise una porzione di pollo precotto nel microonde e l’insalata nel lavello. Il telefono trillò cogliendola di sorpresa e facendola sobbalzare: “Pronto?”, la sua voce era affannata. “Mi riconosci?”. “David!”. “Esatto”, replicò soddisfatto, “confesso che se avessi esitato ci sarei rimasto tremendamente male, credo addirittura che avrei riattaccato. Per fortuna non è andata così”. Immortali – Maria Elena Cristiano

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“Non avrei potuto non riconoscerti…Sono lieta di sentirti, non mi fraintendere, ma…non rammento di averti dato il mio numero di telefono”. “Acuta osservazione…Beh…Lo sai che mi occupo di magia”. “Trova una scusa migliore, oppure dimmi la verità”, rispose sarcastica. “O.K.: ieri sera ti sei assentata un attimo per andare alla toilette, il cellulare nella tua borsa ha preso a squillare e, per spegnerlo, ho dovuto aprire la borsetta e accidentalmente è caduta la tua agenda ed io non ho potuto fare a meno di leggere il tuo numero di telefono”. “Sei un pessimo bugiardo”, ridacchiò, “ieri sera avevo lasciato il cellulare a casa”. Seguì un interminabile attimo di imbarazzato silenzio. “Va bene…quando ti sei alzata ho frugato nella tua borsa perché volevo il tuo numero di telefono ed ero certo che non me lo avresti dato”, confessò lui mesto. “Ti sbagliavi, te lo avrei dato senza alcun problema”. “Sei arrabbiata?”. “No. Non so perché, ma con te non riesco proprio ad esserlo”. “Fantastico! Anche perché ti ho telefonato per un motivo piuttosto importante”. “Dimmi”. “Questa sera devo presenziare ad una convention di occultismo. Alcuni conoscenti mi hanno pregato di non mancare. Devo ammettere che, malgrado l’argomento sia di mio interesse, questo genere di riunioni raramente hanno la capacità di tenermi sveglio oltre la mezz’ora, quindi per movimentare la serata avevo pensato di proporti di venire con me”, terminò lui tutto d’un fiato. “Ti ringrazio dell’invito, ma sono una profana in materia…mi sentirei fuori luogo. Quello che so sull’argomento l’ho letto per lo più su fumetti e libri horror”. “Come la maggioranza di quelli che saranno lì questa sera. Nessuno si accorgerà della tua preparazione sommaria, saranno troppo presi dalla tua avvenenza”. Mary sorrise compiaciuta alla stanza vuota. “Se continui ad insistere potrei anche accettare”. “Proverò a blandirti con stile classicheggiante: vorrebbe sua signoria farmi l’onore di essere mia ospite questa sera?”. “Di fronte a tanta galanteria non posso certo esimermi dall’accettare”. “Perfetto. Ti passo a prendere verso le sette e mezzo”. “Va bene, ma come devo vestirmi? Non sono mai andata ad un convegno di streghe”. “Metti qualcosa di assolutamente sexy”. “Dai, non scherzare”. “Qualsiasi cosa andrà bene”, rispose seriamente lui, “ci vediamo questa sera”. Riagganciò il ricevitore senza darle tempo di replicare. Puntuale, all’ora convenuta David si presentò sotto casa di Mary, che si precipitò giù dalle scale per non farlo attendere. Non si era mai comportata così con un uomo. In genere li lasciava aspettare per ore sul luogo di un appuntamento prima di degnarsi di arrivare. Era una sorta di gioco per acuire il desiderio. Riteneva che il corteggiamento fosse un’arte esclusivamente maschile la cui buona riuscita si basava interamente sull’osservanza di regole e dettami, un po’ come nel mondo animale: il pavone gonfia le piume e la femmina, forse, lo occhieggia da lontano. Ma stavolta era tutto diverso, anche se ancora non aveva compreso appieno il perché. Alla fine aveva optato per un semplice abito nero con generosa scollatura e gonna a tubo, il decolleté ornato da un filo di perle, i capelli raccolti in un morbido chignon fermato con uno spillone dorato, un paio di orecchini a catenella con una piccola perla pendente ed un sorriso smagliante impresso sul volto radioso. Salì sulla macchina sportiva del suo cavaliere, che l’ammirò estasiato: “Come sto?”, chiese con fare accattivante. “Splendida. Temo che non riuscirò a stare da solo con te neppure un istante”. “Perché?”, replicò leziosa. Immortali – Maria Elena Cristiano

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“Mettiamola così: se la conferenza sarà noiosa come temo, gli uomini avranno sempre qualcosa da guardare che terrà desta e vigile la loro attenzione”. “Possibile che tu non sappia fare semplicemente un complimento?”. “Detesto essere banale”. “Presuntuoso”, risero e partirono alla volta della villa della baronessa Yary. Durante l’intero tragitto Mary non fece altro che assillare David con un tiro al bersaglio di domande inerenti il come si sarebbe dovuta comportare, quale contegno avrebbe dovuto tenere, perfino come sarebbe stato lecito salutare i convitatati. Lui le rispose, con divertito sarcasmo, che sarebbe bastato essere cordiali e tentare di non ridere troppo apertamente di fronte alle affermazioni fantasiose che si sarebbero susseguite durante tutto l’arco della serata. La villa della baronessa che ospitava gli adepti delle più svariate sette esoteriche e para-religiose del nord America era a dir poco lussuosa. “Solo gente con scarsi problemi economici può permettersi di dedicare tanto tempo a questioni metafisiche”, le aveva confidato David durante il viaggio. La sala dove erano riuniti gli invitati era grande ed interamente tappezzata di arazzi e stoffe pregiate. Un lucido pavimento di marmo nero contribuiva ad accrescere il senso di inquietudine che l’ambiente trasmetteva. Al centro era stata posta un’alta colonna in stile dorico sulla cui sommità troneggiava una maestosa stella a cinque punte dorata, su ogni angolo delle pareti circostanti erano affissi quadri recanti l’effigie di divinità greche, romane e egizie che, per la maggior parte, le erano del tutto oscure. Disorientata dalla marea di corpi che si agitava in quel luogo si strinse al braccio di David, attenta a non smarrirsi fra i vortici di quell’umanità variopinta. D’altro canto il suo anfitrione pareva immerso nel suo elemento naturale e si aggirava fra quella calca con la massima disinvoltura. Chiamava quasi tutti per nome ed aveva presentato a Mary una ventina di persone in meno di mezz’ora. L’età media si aggirava sulla settantina, e tutti coloro che, deferenti, si erano chinati per farle il baciamano avevano il cognome preceduto da un altisonante titolo nobiliare. Pochi erano americani, la maggioranza proveniva dal nord dell’Europa o dalla Russia, magiari per lo più, e qualche principe dall’accento texano che tentava in vano di spacciarsi, con scarso successo, per un orientale dalla pelle chiara. La persona che colpì di più l’immaginazione della giovane fu però la padrona di casa, la famosa baronessa Yary, verso la quale tutti i convitati sembravano mostrare la massima ammirazione e per la quale lo stesso David sembrava nutrire una stima illimitata. La donna mostrava un fisico emaciato, quasi consunto. Un viso avvizzito e giallastro reso ancor più ridicolo da un trucco esasperato, lunghe mani ossute che non restavano un attimo ferme ed i vestiti fastosi e sgargianti coprivano poco più che un mucchio d’ossa. David le aveva detto che la baronessa aveva circa settant’anni, ma a giudicare dallo stato di decomposizione, pensò Mary, doveva essere morta da almeno un paio di lustri, solo che nessuno si era preoccupato di informarla dell’accaduto. Se il suo giovane cavaliere aveva mostrato disponibilità ed educazione nei confronti dei numerosi individui che le aveva presentato, il suo contegno con la nobildonna era estremamente confidenziale, fatto che infastidì Mary senza una ragione logica o precisa. La realtà era che quella donna non le piaceva, neanche un po’. “Questa è la baronessa Yary”, le disse lui con un sorriso smagliante. Mary strinse la mano dell’anziana signora con la circospezione che si attiene ad un domatore di tigri. “Molto piacere”, sussurrò. “Il piacere è tutto mio”, le rispose la sedicente titolata, posando una mano sul braccio di David e bisbigliando al suo orecchio: “Finalmente sei riuscito a trovarla”.

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Il ragazzo parve esser turbato dalle parole della donna e dopo averla guardata con le sopracciglia increspate, si affrettò a rompere il momentaneo silenzio: “La signorina è solo un’amica, almeno per ora, ritengo quindi che certe affermazioni siano affrettate, baronessa”. “Può darsi”, replicò lei senza distogliere neppure per un secondo gli occhi dal volto di Mary, che nel frattempo aveva assunto un’espressione perplessa. “Ma è così bella, così vitale, che sarebbe un vero peccato se te la lasciassi sfuggire”. Si allontanò senza aggiungere altro, limitandosi a scoccare un’occhiata fugace a Mary prima di eclissarsi nel mezzo di un gruppo di pseudo-santoni addobbati a festa che stavano conversando animatamente nei pressi del tavolo del buffet. “Potrei sapere di cosa stava parlando quella donna?”. Il tono della ragazza era diventato freddo e sospettoso. David se ne accorse immediatamente e, temendo la precoce conclusione della serata in compagnia della sua ospite, improvvisò la migliore spiegazione che gli sovvenisse nel più breve lasso di tempo possibile, armato del suo sorriso migliore: “Non far caso ai vaneggiamenti della baronessa, è una cara donna ed una vera autorità in merito all’autenticazione delle pergamene della settima dinastia, ma è convinta di essere la sessantatreesima reincarnazione di Nefertiti, ed inoltre ha la fissazione di vedermi sposato”. Mary sorrise a quell’affermazione, ma il pensiero che David le stesse nascondendo qualcosa non l’abbandonò per il resto della serata, anche se non riusciva proprio a figurarsi di che cosa si potesse trattare . Finita la cena fredda in piedi, furono invitati dalla padrona di casa a prendere posto nella sala attigua, un immenso locale che per l’occasione era stato svuotato dalla mobilia ed interamente riempito con sedie pieghevoli, non molto eleganti e neppure comode. Di fronte alle sedie ordinatamente disposte in file parallele era stato posizionato un leggio con un piccolo microfono incorporato, alcuni fogli appoggiati ed una bottiglia d’acqua. Mary domandò notizie in merito a ciò sarebbe successo di lì a poco e David le spiegò che il professor Mali, professore a titolo onorifico, ovviamente, dato che in realtà si trattava di un antiquario di Manhattan, stava per tenere una delle sue famigerate conferenze sulla teoria degli universi paralleli. “Interessante”, commentò la ragazza con sincerità. “Quando avrà iniziato a parlare cambierai idea”, le rispose lui serafico. Presero posto nella quarta fila dell’auditorium gremito ed ascoltarono per quasi due ore uno sproloquio concernente reincarnazioni, poteri occulti che sarebbero stati determinati nel salvare il mondo, porte del tempo che aprivano varchi verso altre dimensioni ed altre cento noiosissime chiacchiere. Il monologo si concluse con un’invocazione corale al grande dio Sconosciuto che tutto regge e tutto governa. Quando si alzarono, Mary aveva la testa e le gambe così intorpidite che per poco non perse l’equilibrio nel tentativo di attraversare l’angusto spazio che separava una fila di sedie dall’altra. Tornati nella sala principale, David si accomiatò per un istante avendo intravisto fra i presenti un vecchio amico al quale doveva chiedere alcune informazioni. Rimasta sola, Mary si avvicinò ad una delle finestre che squarciavano la solidità delle antiche mura e si mise a guardare il giardino che circondava l’intero fabbricato. “Posso avere il privilegio di parlarti, mia cara?”. La baronessa le si parò dinnanzi impedendole l’accesso ad una qualunque via di fuga. “Certo…mi dica pure”, rispose Mary imbarazzata. “Vorrei che mi parlassi un po’ di te”. Mary la osservò sconcertata: “veramente non credo che sia il caso”, rispose accigliata. “Perdona il mio ardire, so che non ho alcun diritto di rivolgerti una tale domanda, ma David mi sta molto a cuore e sarei curiosa di conoscere più a fondo la donna che gli interessa”. Immortali – Maria Elena Cristiano

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Mary non sapeva se essere lieta del fatto che il bel professore avesse già manifestato a qualcuno l’interesse che nutriva nei suoi riguardi, o se infuriarsi con quella vecchia megera per la totale assenza di delicatezza dimostrata. “Non c’è molto da dire: sono una studentessa di medicina alle soglie della laurea”, si ammutolì e fissò negli occhi la donna attendendo la reazione. La Yary non mosse ciglio. “Non c’è altro da aggiungere”, incalzò Mary, “niente almeno che le possa interessare”. La baronessa rise compiaciuta ed il rumore che fuoriuscì dalla sua gola fu simile al raschiare dei pneumatici sull’asfalto asciutto. “Molto impertinente la tua risposta, mia cara, degna del temperamento di una gran sacerdotessa. Il tuo contegno ed il tuo riserbo sono pari a quelli di una vestale del divino Osiride. C’è qualcosa di magnetico in te, qualcosa che difficilmente si scorge negli occhi della gente comune. Un fuoco, una luce. C’è forza in te, molta più di quanto tu stessa riesca a concepire. La strada che ti separa dal tuo Io è ancora lunga, ma sono certa che David ti aiuterà a varcare il confine”. Si interruppe come assorta in altri pensieri poi, improvvisamente, afferrò la mano di Mary facendola trasalire: “Sei veramente degna, David non si è ingannato nello sceglierti”. Quindi si allontanò in un fruscio di crinoline. David fece ritorno poco dopo e, trovando la sua invitata con un’espressione interdetta, le chiese cosa fosse accaduto. Mary gli delineò in pochi tratti il contenuto della conversazione avuta con la Yary, quindi con un vago accenno di insospettito risentimento nella voce gli domandò: “Sono lieta che la tua baronessa mi reputi pervasa da una sorta di energia cosmica, ma gradirei sapere a cosa si stesse riferendo quando ha accennato all’assennatezza della tua decisione nello scegliermi”. L’uomo non parve affatto imbarazzato dalla domanda: “Non credo che le parole della Yary abbiano un significato particolare, in realtà gli sproloqui della baronessa sono dei nonsense famosi nel nostro ambiente”. Mary non mutò espressione dopo quella frettolosa spiegazione, il suo sguardo restò severo ed accigliato. “Credimi, la Yary è solo una vecchia visionaria con l’inclinazione alle storie romantiche, nulla di più”, la rassicurò David. Mary tentò di dissimulare il disagio di cui era preda ed iniziò a porre a David delle domande sui presenti per alleggerire l’aria greve che era calata fra loro. Non voleva a nessun costo che la serata risultasse compromessa dalle sue sciocche paranoie, si stava rendendo conto che ciò che provava per David esulava dalla semplice attrazione. Lui sembrò rasserenato dalla reazione di Mary e le descrisse con dovizia di particolari le numerose sette i cui esponenti assiepavano il ricevimento. “Anche tu fai parte di una di queste congreghe?”, gli chiese ad un tratto. Lui sorrise ed ammise candidamente di sì. “Per l’esattezza sono un adepto degli illuminati discepoli del divino Ptah”. “Di chi?”. “E’ un’antica divinità egizia che veniva venerata come creatore dell’universo e degli altri dei, suoi figli imperfetti”. “Un tipo impegnato!”. “Piuttosto”. “E per quale motivo saresti entrato a far parte di una setta ?”, chiese lei. “Per avere l’opportunità di osservare più da vicino determinate credenze e particolari riti che altrimenti avrei dovuto studiare su vecchi testi poco completi ed esaustivi. E’ vero che molte delle confraternite che praticano rituali esoterici non si curano della originaria struttura e configurazione

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dei medesimi, ma è altrettanto vero che avere la possibilità di una prospettiva interna aiuta nella comprensione e nella compenetrazione emozionale”. “Ne so davvero molto poco, ma per essere accettati in una confraternita non è necessario sottoporsi ad una prova iniziatica?”. David arrossì visibilmente e questo alimentò ulteriormente la curiosità di Mary. “Sì, ma non è stato niente di pericoloso né di affascinante”, tentò di minimizzare lui, “ma non chiedermi di raccontartelo, perché ancora me ne vergogno”. “E tu pretendi che dopo un’affermazione di questo genere io non pretenda di saperne di più?”. Lui si passò teatralmente la mano fra i capelli scompigliati, quindi si arricciò meccanicamente una lunga ciocca corvina attorno all’indice magro come se stesse soppesando ogni pensiero prima di formularlo a voce alta. “Io te lo racconto”, iniziò infine, “ma ti prego di non rinfacciarmelo troppo spesso”. “Croce sul cuore, che possa morire”, disse lei tracciando una x sulla parte sinistra del torace ed incrociando le dita della mano destra. “Dunque…per essere accettato dalla setta che adora Ptah ho dovuto trascorrere una notte da solo in un bosco che viene ritenuto meta di manifestazioni spiritiche”. “Tutto qui?”, chiese lei delusa. “No…ero nudo e dovevo recitare una cantilena in arabo per tener lontano le forze ostili ed oscure”. Mary non riuscì a trattenere un risolino di scherno che fece rilassare anche il suo compagno. “Non posso prometterti che non te lo rinfaccerò, ma posso giurarti che non lo riferirò ad anima viva”, e continuò a ridere con maggior fragore. “Non c’è poi molto da sbellicarsi! Ti posso garantire che nudo faccio la mia bella figura!”. Mary lo osservava rapita. Avrebbe desiderato continuare ad ascoltarlo per tutta la notte senza mai staccare gli occhi dal suo volto. “Scommetto che avresti materiale per un paio di libri”, aggiunse lei colpendolo leggermente con il gomito. Lui divenne ad un tratto serio e Mary fu assalita nuovamente dalla spiacevole sensazione di essere raggirata. “Non è né il momento, né il luogo per metterti a parte delle mie esperienze nel mondo dell’occulto”. “Perché?”, domandò lei imbronciata. “Perché non sei ancora pronta per questo genere di informazioni. La tua mente è ancora troppo imbrigliata dai finimenti della ragione per poter credere a alcune manifestazioni di cui sono stato mio mal grado testimone. Quindi, probabilmente, finiresti con il ritenermi un pazzo visionario, perciò sarà meglio riparlarne più in là”. Mary comprese che, almeno per quella sera, il suo viaggio ai confini della realtà era giunto al capolinea, anche se aveva la netta impressione di non essersi mai realmente mossa dalla fermata del bus. David la riaccompagnò a casa verso le due. La scortò fin sotto il portone e poco prima di accomiatarsi le porse un piccolo libro dalla copertina rigida sulla quale era impresso il profilo dorato di un sarcofago. “E’ un manuale che spiega piuttosto semplicemente i principali esponenti del pantheon egizio. In verità è un testo didattico con poco stile letterario, ma credo che ti sarà utile per capire alcune delle stranezze che hai sentito questa sera”. Mary prese il volumetto e se lo rigirò per qualche istante fra le mani. (Singolare dono galante), pensò fra sé e sé. “Ti ringrazio”, disse infine, “vorrà dire che ti omaggerò di un testo dell’Ombroso per farti capire di cosa mi occupo”.

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“Lombroso è l’autore dell’ “Uomo criminale”, che in Italia segnò la nascita della fisiognomica, progenitrice della moderna criminologia”, replicò lui con un’aria beffarda che gli inarcava le sopracciglia e gli incurvava all’insù gli angoli delle labbra. “Sono stupita!”. Si fissarono per qualche istante, quindi lui le prese dolcemente la mano e le posò un bacio leggero sul dorso, poi le voltò le spalle incamminandosi verso l’auto senza voltarsi indietro. Mary non gradiva il modo sbrigativo con cui lui aveva il vizio di salutarla e presa da un attimo di stizza passeggera corse su per le scale chiudendosi la porta d’ingresso alle spalle. Poco più di un quarto d’ora dopo era distesa in pigiama sopra le coperte del letto con gli occhi intenti a scrutare le crepe del soffitto sovrastante. L’immagine del volto avvizzito della baronessa Yary tornò insistentemente ad occupare il suo campo visivo. Quella donna aveva avuto l’abilità di minare la piacevolezza di una serata quasi perfetta. Si augurò sinceramente di non doverla incontrare mai più, poi il sospetto che David le stesse nascondendo qualcosa le si affacciò nuovamente fra i pensieri allertando quel piccolo, ma fastidioso, campanello d’allarme che dimorava in un angolino del suo cervello. Ma un’idea su tutte spiccava nell’occhio del ciclone delle sue elucubrazioni: David doveva baciarla, e non c’erano scuse a questa sua imperdonabile mancanza. Avrebbe dovuto coronare la serata con un bacio mozzafiato strappato d’improvviso sotto l’ombra complice del portone. Avrebbe dovuto prenderla delicatamente per le spalle, appoggiare gentilmente le labbra sulle sue e lasciarsi trasportare dalla passione. Ma non lo aveva fatto. Solo il diavolo sapeva perché, ma non aveva neppure tentato di farlo. Una vera, autentica tragedia. (Se le cose continueranno così), pensò con le dita intrecciate dietro la nuca, (morirò zitella, ma con una sconfinata cultura classica!). La sua mente si affollò di pensieri grotteschi che le impedirono di accogliere ogni seppur minimo accenno di sonno. Se il loro rapporto doveva restare puramente intellettuale allora sarebbe stato opportuno documentarsi sugli argomenti che interessavano al suo nuovo compagno di giochi. Prese da sopra il comodino il tascabile che David le aveva regalato. L’autore era un certo dottor Gardner, di cui Mary ignorava l’identità. Nella breve biografia che si trovava sulla prima pagina del testo lesse che il summenzionato dottore era ordinario di egittologia presso un’università nord americana, che aveva trascorso la sua gioventù immerso fra gli scavi archeologici nella Valle dei Re e che era uno dei più acclamati ed accreditati studiosi della mitologia del Terzo Regno. Mary lesse avidamente per tutta la nottata e chiuse il libricino quando le prime luci dell’alba baluginarono sugli infissi della finestra della camera da letto. Il libro l’aveva tenuta sveglia grazie, soprattutto, alla semplicità con la quale forniva informazioni inerenti i primordi della religione egizia, la sua evoluzione e l’avvicendarsi delle innumerevoli divinità che si erano alternate sul suo palcoscenico. Secondo quanto riportato dal professor Gardner, all’origine del culto egizio si trovava in realtà un complesso di religioni animistiche locali e regionali. Ogni villaggio ed ogni nomo, infatti, venerava il suo spirito tutelare che poteva assumere le sembianze di un animale, di una pianta o di un oggetto che rivestisse un’importanza preminente per la comunità. Anche quando, a causa dell’affermarsi delle religioni ariane si attestò in quella egizia il concetto di divinità antropomorfa, l’assetto totemico non andò perduto ed alcuni Dei mantennero tratti zoomorfi, primo fra tutti quello del toro Api, connesso originariamente ai riti della fertilità, il quale era adorato a Menfi come manifestazione e araldo di Ptah. Contemporaneamente, le vicende sociali e politiche portarono ad un graduale avvicinamento ed unificazione delle varie tribù conducendo ad una progressiva fusione delle credenze e dei culti, alcuni dei quali incontrarono il favore del popolo e, soprattutto, dei suoi sovrani, riuscendo a conquistare un’importanza nazionale come quelli di Anubi, Hathor, Toth e Ptah. Con l’alternarsi al potere di dinastie di differente origine, alcune divinità locali come Horo, Ra e Amon assunsero una dignità dinastica. Alla base delle concezioni escatologiche degli egizi, che sovente appaiono Immortali – Maria Elena Cristiano

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multiformi e contraddittorie, c’era la credenza di un’esistenza ultraterrena legata a ragioni spirituali ed immortali che l’uomo racchiudeva in sé, legate all’energia vista nella sua accezione più pura: l’akh (forza divina), il ba (anima), il ka (forza vitale). Speculare a quella terrena questa sopravvivenza oltre la morte aveva come condizione inderogabile la perfetta conservazione dei corpi, dalla quale discendeva la pratica, mai più eguagliata, della mummificazione. Grande importanza rivestiva il giudizio a cui il defunto era tenuto a sottoporsi una volta giunto nell’aldilà, giudizio che se negativo conduceva l’anima verso la totale annullazione ad opera delle fauci di un mostro noto come la Divoratrice, secondo quanto si trovava enunciato chiaramente nella Psicostasia o Libro dei Morti, quello che secoli dopo sarebbe stato tradotto da un fantomatico arabo come Necronomicon, alimentando la fantasia di scrittori e registi horror. Su questa massa festante di Dei pluripotenti troneggiava il re Osiride, che portò all’assimilazione del solo faraone, prima, e dei defunti meno eccellenti poi, nella luce della sua divina immortalità. Il prontuario egittologico del dottor Gardner proseguiva poi con una breve descrizione delle principali divinità che si erano alternate sul variegato scenario della mitologia del popolo del Nilo. La trattazione partiva da Anubi, divinità funeraria venerata sotto forma di sciacallo o di figura antropomorfa con la testa di cane, considerato protettore dei defunti e delle necropoli. Proseguiva con la dea Hathor, sovrana dell’amore e della gioia, della musica, della danza, dell’ebbrezza, signora dei paesi stranieri e patrona del regno dei morti. Un posto alquanto speciale era riservato nel pantheon egizio al dio Ptah (lo stesso per il cui culto David aveva dovuto trascorrere una notte in costume adamitico nel bosco recitando formule e preghiere). In origine era venerato come divinità locale nella città di Menfi, ma quando quest’ultima, a seguito delle mutate condizioni politiche, divenne capitale, anche il suo culto assunse una rilevanza di spicco diffondendosi in tutto il paese. Secondo l’escatologia menfita era il dio creatore che aveva forgiato il mondo attraverso il suo cuore (il pensiero) e la sua lingua (la parola). Gli era stata attribuita l’invenzione delle arti tecniche ed egli stesso veniva considerato uno scultore e patrocinatore degli artisti e degli artigiani. Connesso con il primitivo dio funerario Sokari, successivamente fu legato alla dottrina sacrale di Osiride. La sua immagine era l’effigie di un uomo strettamente inguainato nelle bende sepolcrali. Ampio spazio era stato dedicato dal dottor Gardner al culto di Ra, sommo protettore delle dinastie faraoniche a partire dalla seconda. Il regnante era infatti considerato figlio ed incarnazione di Ra e quindi egli stesso venerato come semi dio, fatto che aveva assicurato alle stirpi regali susseguitesi nei secoli assoluto rispetto e deferenza da parte dei sudditi e degli stessi sacerdoti. Più che una vera e propria fede, quella verso Ra appariva essere un’abile manovra teocratica per incatenare le sorti di un intero popolo alle decisioni arbitrarie di un unico uomo, che avendo nelle proprie vene sangue divino non poteva sicuramente commettere errori né, tanto meno,essere deposto. Con la XII e la XVIII dinastia si giunge al sincretismo fra Ra e Amon, divinità originariamente adorata a Tebe. L’opera dello studioso dedicava un’ampia parte della restante trattazione alla dettagliata e meticolosa descrizione di tre divinità strettamente vincolate fra loro e occupanti un ruolo preminente nella complessa e un po’ contraddittoria teologia egizia: Osiride, sua moglie Iside ed il loro unico rampollo Horo. Osiride, nome grecizzato di Usyri, era verosimilmente ai primordi della civiltà egizia una divinità agraria protettrice della vegetazione. Figlio anch’egli di Geb e Nut e fratello di Nefti e Seth, assunse carattere funerario con la tardiva assimilazione a Sokari, del quale finì con il rimpiazzare il culto. Man mano che la lettura del piccolo volume procedeva, Mary prese mentalmente nota di quanto tutte le divinità annoverate in quel variopinto pantheon fossero in un modo o nell’altro legate al mondo dei defunti. Il culto dell’aldilà era preponderante ed onnipresente in ogni aspetto della vita egizia, e non riuscì a fare a meno di notare le analogie fra i miti ascritti a Osiride ed alcuni aspetti della Sacra famiglia ritratti nei Vangeli. Il paragone le sembrò irrispettoso, le sue radici cattoliche non tardarono a farsi sentire, ma non fu in grado di evitarlo.

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Con il trascorrere del tempo e dei regni, gli adepti del divino Osiride si andarono moltiplicando ed egli assurse al rango di supremo dio dell’oltretomba soppiantando anche il culto del suo antesignano Khentamentyou, primitiva, ma temutissima, divinità funeraria. Le sue molteplici vicissitudini terrene, comprendenti anche una morte con presunta resurrezione, divennero per i mortali garanzia dell’esistenza di una vita post mortem, che poteva essere conseguita tramite la loro identificazione, raggiunta attraverso una fede incondizionata ed alcuni misteriosi nonché elaboratissimi riti magici, con il medesimo nume. Inizialmente tale assimilazione fu intesa come privilegio spettante esclusivamente ai regnanti, ma tale concezione classista non tardò a modificarsi, democratizzandosi nel primo periodo del medio regno durante il quale si affermò il principio secondo cui ogni defunto devoto aveva il diritto di divenire un Osiride nel regno dell’oscurità. L’esatta configurazione del mito sulla genesi del signore dei morti si ritrova in un piccolo trattato di un famoso ed accreditato autore latino, Plutarco, che nel “De Iside et Osiride” attesta che durante la sua permanenza terrena il sire degli incorporei era stato un sovrano equo e giusto che aveva tentato di insegnare ai suoi sudditi la verità ed il concetto assoluto di giustizia, riuscendo nel contempo a guadagnare enorme fama e cospicua ricchezza. Tale affermazione personale aveva scatenato le gelosie del meno dotato fratello Seth che, con un inganno, lo aveva attirato sulle sponde del fiume Nilo e rinchiuso in una cassa che era stata successivamente gettata fra i gorghi, causandone la morte. La fedele sposa del grande Osiride, la potente maga Iside, affranta per la prematura dipartita del consorte, aveva intrapreso una strenua ricerca finché i suoi emissari avevano rinvenuto la cassa con il suo macabro contenuto sulle sponde della lontana Siria. Tratte le spoglie in patria, la negromante aveva tentato di riportarle alla vita, ma prima che avesse la possibilità di adempiere alle ritualità richieste dal caso, Seth riuscì a rintracciare la salma del fratello ordinando che fosse smembrato e che le relative parti anatomiche fossero seppellite nel deserto. La paziente e devota Iside ricominciò il suo peregrinare e rimise insieme i pezzi del puzzle. Una volta ricomposto il cadavere, tramite riti arcaici, riuscì a riportarlo alla vita. Osiride festeggiò la rinascita facendo omaggio alla gentile consorte di un pargolo che venne battezzato con il nome di Horo. Il divino redivivo, però, contrariamente ai voleri della sua sposa, decise di abbandonare il regno terreno per divenire signore dell’aldilà dove si recò senza abbandonare il corpo, lasciando che il primogenito Horo raccogliesse gli oneri e gli onori del suo sterminato impero terrestre. Iside, dal canto suo, essendo moglie di un sovrano ultraterreno e madre del difensore del trono non poteva che essere venerata e osannata. Era considerata patrona e protettrice del trono nonché madre spirituale del faraone. Suprema maga e grande guaritrice, veniva invocata contro le malattie e per salvare coloro che venivano morsi da serpenti o punti da scorpioni velenosi. Ovviamente sedeva accanto al marito nel regno dell’oltretomba. Il suo culto era sostenuto specialmente da giovani vestali che compivano, almeno a detta di un latino poco avvezzo all’esoterismo come Plutarco, complessi e sovente sanguinosi riti propiziatori che, a volte, includevano sacrifici di infanti. Quando Mary terminò la lettura del testo redatto dal dottor Gardner, il display della sveglia sul comodino segnava le cinque e trenta del mattino. Aveva gli occhi arrossati per la notte insonne ed un ferreo crampo ai muscoli della fascia addominale per aver trascorso troppe ore nella stessa posizione. Si alzò notando con rammarico di avere le estremità talmente intorpidite da renderle penoso il semplice atto di camminare. “Sto invecchiando”, mormorò con tono di scherno alla stanza vuota. Si diresse in cucina dove si versò del latte dal frigorifero accompagnandolo con dei biscotti secchi presi nell’armadietto sopra il lavello. Nel corso della mattinata avrebbe contattato David per ringraziarlo del libro che le aveva regalato e chiedergli spiegazioni sui punti della trattazione che le erano risultati più oscuri. Pigramente fece ritorno nella camera da letto e si distese accusando piccole e crudeli fitte di dolore alla schiena. Si tirò le coperte fin sotto il mento e socchiuse gli occhi in direzione della finestra dalla quale filtravano tenui raggi di sole. Immortali – Maria Elena Cristiano

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Prima che Morfeo la stringesse fra le sue soffici braccia le sovvenne un pensiero: non poteva mettersi in contatto con David dato che non aveva la benché minima idea di quale fosse il suo numero di telefono. (Pazienza), pensò, (sarà lui a cercarmi). Nello stato di torpore incoerente che precede il sonno le sembrò che una voce lontana la chiamasse e le dicesse qualcosa a proposito di un pericolo incombente. Non le dette retta. Le voci che si sentono nel dormiveglia sono sempre allarmate e allarmanti, bofonchiò. Poi tutto fu silenzio.

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