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MATERIE PRIME: UNA SITUAZIONE CONGIUNTURALE O STRUTTURALE?

Materie prime: una situazione congiunturale o strutturale?

Raw materials: markets conditions or structural factors?

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The traditional conference organised by Italmopa «Tensions on raw material markets: markets conditions or structural factors?» was held at the Sigep 2022 exhibition in Rimini. Angelo Frascarelli, the President of Ismea, Silvio Pellati, the owner of the cereal market information agency, and Andrea Valente, President of the Italmopa soft wheat mills section took part in the event. The moderator was Sissi Bellomo, a journalist. If rising cereal prices have already created major difficulties for the sector, the recent invasion of Ukraine by Russia has caused additional problems. The speakers touched on a number of elements, offering various points for reflection.

IN OCCASIONE DI SIGEP SI È SVOLTO IL TRADIZIONALE CONVEGNO ORGANIZZATO DA ITALMOPA THE TRADITIONAL CONFERENCE ORGANISED BY ITALMOPA TOOK PLACE AT SIGEP

a cura della Redazione

Ètornato finalmente in presenza, il 12 marzo scorso, il tradizionale appuntamento congressuale organizzato da Italmopa nell’ambito di Sigep presso la Fiera di Rimini. Il convegno, dal titolo “Tensioni sui mercati delle materie prime: fenomeno congiunturale o strutturale?” , ha visto la partecipazione del presidente di Ismea, Angelo Frascarelli, di Silvio Pellati, titolare di Pellati Informa, agenzia di informazioni del mercato dei cereali, e di Andrea Valente, presidente della sezione Molini a frumento tenero di Italmopa. A moderare il convegno è stata chiamata Sissi Bellomo, giornalista del Sole 24 Ore che dal 2005 lavora nella redazione Finanza e Mercati, di cui è responsabile per il settore materie prime.

Il caso Ungheria e il conflitto Russia-Ucraina

L’incontro è iniziato con un’introduzione di Andrea Valente, che ha ricordato come il settore molitorio fosse già in forte difficoltà a causa dell’aumento dei costi energetici e degli imballi. Nessuno poteva immaginare che, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, uno Stato membro dell’Unione europea, l’Ungheria, tra i principali fornitori di grano e mais dell’Italia, ponesse uno stop all’esportazione di cereali, mascherato da diritto di prelazione su contratti già sottoscritti a prezzo definito, e bloccasse di fatto i flussi verso il nostro Paese. Valente ha poi aggiunto che Italmopa - insieme a Federalimentare - ha

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UN’ECONOMIA DI GUERRA NECESSITA DI UNO SLANCIO MIRATO A CONSEGUIRE MAGGIORE AUTONOMIA

provveduto a informare tempestivamente sia il Governo italiano sia la Commissione europea in merito. Quella dell’Ungheria è una decisione che, oltre a non rispettare gli accordi in essere, va contro la normativa comunitaria e il principio di libera circolazione delle merci, specie in un momento in cui le quotazioni del frumento duro e tenero sono già in forte tensione. La parola è poi passata a Sissi Bellomo che, prima di cederla a Silvio Pellati per il suo intervento, ha ribadito come i soli aumenti dell’energia avrebbero provocato grossi problemi alla filiera cerealicola e agroalimentare in generale. Del resto, oggi, quasi tutti i settore produttivi sono sottoposti a forti stress, a causa di anomalie di mercato che, per certi versi, erano inimmaginabili. Nessuno poteva infatti ipotizzare che dopo due anni di pandemia e i relativi danni al sistema economico globale, si potesse innescare un conflitto bellico in grado di togliere la Russia dal panorama economico internazionale a causa delle sanzioni. Questo Paese è uno dei principali fornitori mondiali di gas, petrolio, fertilizzanti, metalli, e assume un ruolo fondamentale anche in tema di transizione energetica. La crisi, quindi, sarà strutturale o congiunturale? Se per strutturale si intende un periodo di crisi medio-lungo, forse siamo di fronte a un fenomeno congiunturale. Ma in un’economia di guerra come quella che si sta delineando, occorre uno slancio verso una maggiore autonomia, quantomeno a livello europeo.

Il commercio dei cereali in numeri

Nel suo intervento Silvio Pellati ha analizzato nel dettaglio l’impatto del conflitto fra Russia e Ucraina nel settore cerealicolo. Questi due Paesi, infatti, insieme rappresentano il 29% del mercato mondiale del grano e il 19% di quello di mais e orzo. Per ciò che riguarda le loro esportazioni di cereali in Europa, detto che quelle di grano duro non sono significative, di contro lo sono per farina e olio di girasole, pa-

ri rispettivamente al 79,5% e al 91% del fabbisogno europeo, e per farina (7%) e olio di colza (13%). E l’Italia? Se parliamo di frumento tenero, Russia e Ucraina non hanno un peso determinante per il nostro Paese (importiamo solo il 4,5% del fabbisogno nazionale), ma per mais (17%), olio di girasole (44%) e farina di girasole (51%), fondamentale per il settore mangimistico, la situazione si complica. Ma qual è l’attuale livello di produzione cerealicola in Italia? Rispetto al 2020, abbiamo prodotto circa il 14% in più di grano tenero e qualcosa in più di grano duro. In tema di importazioni, il duro ha registrato un +28% dovuto a un maggiore consumo di pasta. Ma nel 2021 è stato il tenero a registrare i maggiori volumi di import. Nel dettaglio, lo scorso anno l’Italia ha importato, rispetto al proprio fabbisogno, il 62% di grano tenero, il 36% di grano duro, il 46% di mais e il 38% di orzo. Pellati ha poi ricordato una battuta di Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare e past president di Italmopa: “Se non importiamo mais, mangeremmo un giorno sì e un giorno no”. Il discorso torna però nuovamente sulle recenti decisioni dell’Ungheria, perché il 25% del grano tenero che l’Italia importa proviene proprio da questo Paese. Ma il problema maggiore è quello del mais, perché l’Ucraina (13%) e l’Ungheria (32%) rappresentano i nostri principali fornitori. Un cenno merita anche la pasta, le cui esportazioni in Russia e Ucraina sono però marginali. Pellati ha poi posto l’accento sulle quotazioni delle commodity agricole, ormai fuori controllo. Riguardo le sti-

PER L’ITALIA IL VERO PROBLEMA SONO LE IMPORTAZIONI DI MAIS

IL FENOMENO È CONGIUNTURALE MA PER LE IMPRESE PRESENTA ALCUNI ELEMENTI STRUTTURALI

me per la campagna granaria 2021/2022, in Europa si prevede un +9,43%, in Canada -38,46%, negli Usa -9,97%, in Argentina +16%, in Australia +8%, in Ucraina un +29%. Di fatto, ha proseguito Pellati, l’Europa avrà un’ampia disponibilità di merce, il problema riguarda esclusivamente i prezzi. Forse sarà necessario dimenticarsi per un po’ delle eccellenze... La vera difficoltà, però, è che parallelamente all’aumento del prezzo del grano c’è anche quello dei prezzi del mais: i cattivi raccolti hanno portato a una forte carenza di prodotto proveniente da Ungheria, Serbia e Romania. L’Ue esporta grano, ma importa mais. Sono cambiate le fonti di approvvigionamento: se mancano Russia e Ucraina, a chi guardare? Al Brasile, all’Argentina, agli Usa? La produzione di grano duro non è invece influenzata da questi avvenimenti, dal momento che il primo canale di approvvigionamento è il Canada. Sperando che la prossima produzione di duro canadese rispetti le previsioni, non ci dovrebbero essere problemi di approvvigionamento per il grano duro. Quali potrebbero essere gli scenari nella prossima campagna? Anzitutto, bassi stock di riporto. Poi occorrerà valutare i consumi, le condizioni meteorologiche, le intenzioni di semina primaverile e, soprattutto, i costi dei fertilizzanti. Questo perché la Russia è il maggiore distributore mondiale di fertilizzanti. In conclusione, l’Europa dovrà mantenere la sua integrità a garanzia delle forniture: ovvero, dovrà contare solo sui propri partner. Sopravvivere sarà possibile ma non semplice. Il mercato, con le nuove campagne, ritroverà il suo equilibrio e i prezzi torneranno nella norma.

Riscoprire la pratica del risk management

È stato poi il turno del presidente di Ismea, Angelo Frascarelli, che nel suo intervento ha sottolineato come le problematiche in atto richiedano decisioni importanti da parte della politica e degli imprenditori. Partendo dal presupposto che la merce, in qualche modo, si troverà, Frascarelli ritiene che la situazione non sia del tutto strutturale: si sta parlando di un fenomeno congiunturale che per le imprese presenta alcuni elementi strutturali. Circa dieci anni or sono la Fao dichiarò che a fronte di una crescita della domanda di cereali (e della loro produzione), i prezzi sarebbero aumentati. Ma nel periodo 2016-2021 i prezzi non hanno registrato alcun aumento. Questo perché all’incremento della domanda è corrisposta una crescita dell’offerta e, quindi, la produzione è riuscita a coprire i consumi.

E come ha fatto la produzione ad aumentare? Grazie alla ricerca varietale e alle nuove tecnologie. Il problema vero sono gli shock, come di sicuro è la guerra, ma anche le condizioni climatiche avverse (ad esempio quelle del 2021). Così, se un anno la produzione cala, non riesce a coprire la domanda. È per questo motivo che Frascarelli ritiene che l’attuale situazione sia di tipo congiunturale, che però si porta dietro una tendenza strutturale di crescita dei consumi e di necessità di aumentare la produzione a livello mondiale. Nonostante la guerra, peraltro, il prezzo del grano duro è rimasto stabile. E gli aumenti recenti sono anche il frutto di cinque anni di prezzi bassi. Ma il rialzo dei prezzi delle materie prime che effetti ha sul carrello della spesa e sulla filiera? La catena del valore del pane, ad esempio, che oggi costa 3,28 euro al kg, alla parte agricola porta 0,36 euro, al molitorio 0,05 euro, al panificatore 1,21 euro e alla distribuzione 1,66 euro. Questo cosa significa? Ammettendo che gli 0,36 euro della parte agricola diventino il doppio (0,72 euro), se gli altri valori restano fermi - che è impossibile - il pane aumenterebbe di soli 36 centesimi di euro al kg. Non è un effetto così rilevante, ma se poi aumentano tutti gli altri valori sarà inevitabile scaricare tali aumenti sui consumatori per salvaguardare le imprese. Una crescita dei prezzi al consumo sarà quindi inevitabile, tuttavia nella catena del valore l’incidenza sarà marginale.

I potenziali interventi

Frascarelli riflette poi sulle ricadute derivanti dall’attuale conflitto, evidenziando come il problema delle sanzioni alla Russia riguardi tutti, visto che questo Paese incide per circa il 21% sul mercato mondiale del grano tenero. Si evidenziano quindi tre aspetti. Primo: si tratta di una condizione congiunturale ma che si manifesta su problemi strutturali. Secondo: nella catena del valore anche il raddoppio del prezzo del grano non è poi così rilevante. Terzo: il problema principale è il prezzo, non la disponibilità di prodotto. Ma quali possono essere le possibili soluzioni? A detta di Frascarelli, una maggiore trasparenza nel mercato e nelle decisioni operative sulle semine per rafforzare le relazioni tra agricoltura e industria di trasformazione. Poi, una maggiore attenzione delle imprese agricole alla domanda dell’industria di trasformazione. E ancora, una differenziazione sia per le imprese agricole sia per le imprese di trasformazione, al pari di una diversificazione delle fonti di approvvigionamento da parte dell’industria di trasformazione. È quindi indispensabile un cambio di strategia breve periodo di tali aziende, che negli anni si sono focalizzate solo sull’acquisto economicamente più vantaggioso e su un maggiore orientamento alla fidelizzazione della base di aziende di produzione della materia prima ancora che in ottica di approvvigionamento strategico. Non va dimenticato infine il potenziamento delle filiere nazionali per la diversificazione e l’orientamento al mercato, con una sempre maggiore diffusione dei contratti di filiera. In conclusione, Frascarelli rimarca come il problema della relazione tra agricoltura e industria vada affrontato nell’ottica di un obiettivo di resilienza, termine che significa “capacità di resistere agli shock”. Per questo occorre riprendere in mano la politica del risk management, una strategia di impresa fondamentale che, in questo contesto, significa diversificare le fonti di approvvigionamento. In che modo? Grazie al PNRR è possibile agire sul miglioramento della logistica, ma occorre anche modificare alcune norme della PAC, come le EFA (Ecological Focus Area), ridurre le deroghe di importazione dagli Usa, implementare la diffusione dei contratti di filiera e produrre di più grazie all’innovazione tecnologica, ad esempio utilizzando le NBT (New Briting Tecniques).

La Redazione

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