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Quel Barolo venduto prima negli Stati Uniti che in patria

L’AZIENDA GIACOMO GRIMALDI HA INIZIATO A VINIFICARE NEL 1996

“Sono in azienda da sempre, da quando, a 15 anni, ho iniziato ad aggirarmi tra i filari e le botti in cantina. È stato quindi naturale per me, terminati gli studi alla Scuola Enologica di Alba, fermarmi a lavorare qui, in un luogo che considero tra i più belli del mondo e che non cambierei per nessun altro”. Con queste poche parole Alberto Grimaldi, 22 anni, dichiara tutto il suo amore non solo per il lavoro di vitivinicoltore, ma anche per il luogo speciale in cui lo svolge ogni giorno: Barolo. Proprio nel celebre paese delle Langhe, a poche centinaia di metri dall’imponente castello comunale, ha sede infatti l’azienda

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Giacomo Grimaldi, nata nel 1930 come azienda agricola e diventata nel 1996 azienda produttrice di vino grazie alla volontà di Ferruccio, papà di Alberto, partito con appena un ettaro e mezzo di vigneto e le idee ben chiare su dove dirigersi.

Solitamente le nostre tipicità enogastronomiche prima conquistano i mercati vicini e poi si spingono all’estero, trainati dai valori del “Ma- de in Italy”. Per i vini della azienda Grimaldi, invece, il percorso è stato inverso: “Fin da subito le poche bottiglie di Barolo le abbiamo vendute negli Stati Uniti e lì si è creata negli anni una solida rete di enoteche e ristoranti molto affezionati alla nostra piccola produzione – spiega Alber- to Grimaldi –; solo successivamente, aumentando la superficie vitata e la tipologia di vini, abbiamo iniziato a sviluppare anche altri mercati internazionali (soprattutto Olanda e Nord-Europa) e, in ultimo, il mercato interno, che rappresenta però appena un 10% delle destinazioni delle nostre produzioni”.

Vini di alta qualità e tanti investimenti

Tra tutti i vini dell’azienda svetta il “re” Barolo proposto in quattro tipologie (classico, due cru e una riserva) che rappresentano circa il 50% delle 100mila bottiglie prodotte annualmente dalla famiglia Grimaldi. A queste si aggiungono un Nebbiolo d’Alba (l’altro 25% della produzione), un Dolcetto, due tipi di Barbera e due bianchi, Arneis e Sauvignon. Tutti ottenuti da 18 ettari totali di vigneti, sparsi per i comuni di Barolo, Novello, Monforte e Vezza d’Alba; proprio quest’ultima località, nel Roero, ha recentemente attirato sempre più l’interesse dell’azienda che in località Valmaggiore ha acquistato gli ultimi tre ettari di terreni. “Abbiamo deciso di investire in questa zona vocata a Nebbiolo perché mio papà voleva un vino diverso, più morbido, meno da invecchiamento e qui abbiamo trovato le condizioni ottimali”, puntualizza Alberto.

Gli investimenti sono costanti non solo in vigna, dove il lavoro è attento e scrupoloso, ma anche nella sede, che è stata ampliata e rinnovata nel 2014 e dove al piano terra e nel sotterraneo trovano collocazione le vasche in acciaio, le barrique e le grandi botti in rovere francese, oltre che tutta l’attrezzatura utile all’imbottigliamento e allo stoccaggio dei vini. Al primo piano ci sono, invece, la sala degustazione per accogliere clienti e turisti, gli uffici amministrativi e un terrazzo panoramico con vista mozzafiato sul castello.

In uno scenario da favola, immersi nei vigneti, quasi ci si dimentica che anche qui si fanno sentire gli effetti dei cambiamenti climatici, molto evidenti anche in questo anomalo mese di febbraio con la terra polverosa a causa di un apporto idrico che stenta ad arrivare, mettendo in serio allarme i produttori.

La siccità preoccupa

“Considerate le ultime annate particolarmente siccitose, l’idea di irrigare le vigne è forse la più spontanea, ma anche quella meno fattibile per tante ragioni, fra tutte la poca disponibilità di fonti di acqua a cui attingere e la vastità del territorio coinvolto – sottolinea Alberto Grimaldi -. Certo, servono comunque soluzioni alternative per difendersi da un clima caratterizzato da precipitazioni sempre più scarse, fenomeni estremi e temperature in costante rialzo. Lo scorso mese di agosto quando abbiamo iniziato a vendemmiare temevamo di non riuscire ad ottenere un buon raccolto, ma alla fine siamo riusciti a portare in cantina uve con meno resa, ma alta qualità. La nostra arma vincente. Siamo però molto preoccupati per la prossima annata se non dovessero cambiare le cose”. E di soluzioni concrete e percorribili occorre trovarne presto se non si vuole che il vino, “locomotiva” dell’export tricolore con un valore in forte crescita prossimo a 8 miliardi di euro nel 2022 e una delle prime voci delle esportazioni cuneesi, sia costretto a ridimensionare i propri progetti di espansione con inevitabili ricadute di immagine su un territorio che, nel caso della provincia di Cuneo, dal riconoscimento Unesco in avanti si sta proponendo in tutto il suo splendore agli occhi del mondo.