Maserati Indy

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TESTO CLAUDIO IVALDI FOTOGRAFIE GIORGIO DALL’OLIO SI RINGRAZIANO CLETO GRANDI E ERMANNO COZZA PER LA COLLABORAZIONE

IL "PASSATEMPO" DI DUE INGEGNERI

C’È STATA UN’EPOCA NELLA QUALE LE CASE SPORTIVE ITALIANE ERANO GIÀ FAMOSE IN TUTTO IL MONDO PER LE LORO AUTO, MA A LIVELLO AZIENDALE ERANO DELLE REALTÀ POCO PIÙ CHE ARTIGIANALI, SI POTREBBE DEFINIRE QUASI A CONDUZIONE FAMILIARE. LA MASERATI DEL PERIODO ORSI ERA QUELLA CHE FORSE MEGLIO DI TUTTE RAPPRESENTAVA QUESTO SPIRITO, PERCHÉ, A DETTA DI CHI VI LAVORAVA, ALL’INTERNO DI ESSA CI SI SENTIVA COME IN UNA GRANDE FAMIGLIA. UNA SENSAZIONE CHE DAI DIPENDENTI SI TRASFERIVA IN QUALCHE MODO ANCHE AI CLIENTI, AI QUALI LE PORTE DELL’AZIENDA ERANO SEMPRE APERTE, PER INSTAURARE UN RAPPORTO DI CONOSCENZA DIRETTA, FINALIZZATO ANCHE AD ESAUDIRE I DESIDERI PIÙ PERSONALI. MA LE RICHIESTE PER LA VETTURA DI CUI STIAMO PER PARLARE SONO STATE DAVVERO FUORI DAL COMUNE...

Dall’incontro tra l’ingegnere fisico Carlo Brameri (foto), cliente Maserati, e l’ingegner Alfieri, nacque l’idea di trasformare uno dei prototipi della Indy in un laboratorio di tecnologie. Alcune soluzioni sperimentate su questa vettura si ritroveranno molti anni dopo nelle auto di normale produzione. Quest’auto resta un’importante testimonianza di un’epoca pioneristica della tecnologia automobilistica, che ha preparato l’avvento dell’elettronica | 95


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Sul finire degli anni ‘60, si poneva per la Maserati la necessità di un modello che rimpiazzasse la Mexico. L’immediato successo della Ghibli aveva convinto a proseguire su quella strada, così nel 1968 fu presentato un nuovo coupé a quattro posti dalle dimensioni generose, la cui linea, disegnata da Vignale, riprendeva alcuni concetti stilistici della Ghibli stessa. Il motore era inizialmente il V8 di 4,2 litri che si era visto su diversi modelli precedenti. Rifacendosi alla tradizione di usare nomi di circuiti per i modelli a quattro posti, fu un giovanissimo Adolfo Orsi jr a proporre il nome “Indy”, che rievocava i trionfi Maserati alla 500 Miglia di Indianapolis di trent’anni prima.

Della Indy furono realizzati due prototipi: il primo fu utilizzato per le omologazioni, mentre il secondo, telaio 006, verniciato in un bellissimo verde acqua, fu esposto al Salone di Torino del 1968, quindi utilizzato per le brochure e in seguito inviato al reparto esperienze, destinato a testare soluzioni innovative che costituiscono l’argomento di questo articolo. In quegli anni Carlo Brameri, ingegnere fisico, milanese ma originario (come i fratelli Maserati) dell’Oltrepò Pavese, stava creando un’azienda nel campo delle tecnologie medicali. Per motivi di lavoro fece conoscenza con l’ing. Giulio Alfieri, guida tecnica della Maserati, e ne nacque un’amicizia. Appassionato di belle auto, Brameri stava valutando l’acquisto della nuova

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Indy, e così si fece strada l’idea di una collaborazione reciproca per sperimentare su questa auto tecnologie innovative, dando campo libero alla creatività dei due ingegneri, ognuno dei quali vi apporterà le proprie competenze specifiche, completandole con quelle del collega. In Cleto Grandi, del reparto esperienze Maserati, venne invece individuato il tecnico che monterà i componenti e realizzerà materialmente le modifiche sulla vettura. Ne è uscito una sorta di “laboratorio viaggiante”, con interventi sulla meccanica per migliorare le prestazioni, e dotato di numerosi marchingegni ed automatismi finalizzati ad aumentare il comfort. La vettura in questione, seppur rimasta un caso isolato, senza alcun seguito dal punto di vista

produttivo, rappresenta oggi un’importante testimonianza del fermento tecnologico che pervadeva il mondo dell’auto in quegli anni, quando alla vivacità delle idee dei tecnici facevano da contraltare tecnologie ancora acerbe di difficile realizzazione. Alcune delle soluzioni sperimentate su questa vettura arriveranno sulle auto di normale produzione solo svariati anni più tardi, quando l’avvento dell’elettronica ne faciliterà la realizzazione ed il funzionamento. A testimonianza di quanto detto inizialmente riguardo all’ambiente familiare e non ancora industrializzato che caratterizzava la Maserati dei tempi, la proprietà dell’azienda, nella persona del Comm. Adolfo Orsi, diede il suo benestare a questa operazione, concedendo

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l’utilizzo del reparto esperienze (un qualcosa che nel mondo dell’auto di oggi sarebbe assolutamente impensabile), a condizione che i componenti aggiuntivi fossero procurati dall’ing. Brameri e che i tecnici lavorassero a questo progetto nel tempo libero, senza sottrarne alle loro mansioni aziendali. Contribuì a questo progetto anche la voglia, da parte di tutti i soggetti in questione, di dimostrare che anche una “factory”, dalle dimensioni e dai mezzi limitati come la Maserati, poteva dire la sua nel campo di queste tecnologie, in un’epoca in cui i marchi francesi e tedeschi stavano operando in questa direzione. Così, nel 1969, ebbero inizio i lavori.

Modifiche Tecniche Per incrementare le prestazioni, inizialmente si tentò l’adozione di un turbocompressore, ma l’impennata dei giri motore che provocava, portava al cedimento delle bielle. Brameri pensò quindi che qualche cavallo poteva essere guadagnato semplicemente facilitando l’espulsione dei gas di scarico, tramite un principio noto in fisica con il nome di “effetto Venturi”: sotto la vettura venne montato una sorta di imbuto che convogliava l’aria. Da questo tubo centrale partivano due tubazioni più piccole, ognuna delle quali era collegata con un tubo di scarico della vettura, su entrambi i lati. All’aumentare della velocità, il flusso di aria nel tubo centrale creava per l’effetto Venturi una depressione, che facilitava l’espulsione dei gas di scarico. Questo sistema, per quanto interessante, non fu mai adottato sulle auto di produzione per via della rumorosità che produceva. Per migliorare la capacità frenante, la vettura fu dotata di un

alettone stabilizzatore posteriore a carico predisposto, che si alzava in caso di frenata, creando un freno aerodinamico. Dopo aver scartato una prima ala dalle dimensioni eccessive, fu adottato un alettone con un telaio e un’ala mobile che veniva fatta alzare dalla pressione esercitata sul pedale del freno. Questa soluzione avrebbe teoricamente una sua, per quanto modesta per via del peso della vettura, efficacia, anche se Cleto Grandi sottolinea come la Indy 4200 non fosse l’auto adatta a sperimentare un sistema del genere, perché era una vettura che aveva di per sé una frenata piuttosto sbilanciata, in quanto eccessiva proprio sulle ruote posteriori rispetto alle anteriori. Nell’abitacolo fu, inoltre, montato un sistema di rilevazione di assetto e posizione della vettura, che segnalava variazioni di carico in caso di accelerazioni, frenate, curve e sbandate.

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Automatismi per il comfort Ma oltre agli interventi sulla meccanica, Brameri pensò anche a soluzioni che facilitassero la vita a bordo della vettura. Notò come sulla Indy fosse particolarmente difficile, per chi era seduto al posto di guida, per via della larghezza della vettura, sbloccare e aprire la portiera destra per far salire, per esempio, una signora. Così studiò un sistema per l’apertura automatica delle portiere. Scartata la soluzione idraulica delle Mercedes, che aveva dato problemi di bloccaggio in caso di incidente, optò per una soluzione pneumatica mediante un piccolo compressore, che riusciva ad aprire completamente le portiere e i cofani della vettura, mentre un impulsore magnetico consentiva di aprire automaticamente i due sportellini dei serbatoi benzina. Per facilitare l’accesso ai sedili posteriori, furono inoltre adottati dei motorini elettrici con sistema a vite senza fine, che permettevano l’avanzamento longitudinale dei sedili anteriori e lo sgancio automatico dello schienale passeggero, che si reclinava. Infine su quest’auto ritroviamo anche gli antesignani di due automatismi che in anni recenti hanno trovato ampio utilizzo nelle auto di produzione, ovvero i fari ad accensione automatica e il sensore pioggia. Per i fari, l’auto fu dotata di una fotoresistenza posizionata sul cruscotto, che all’arrivo del buio

(per esempio entrando in una galleria) provocava automaticamente l’apertura dei fari a scomparsa e l’accensione delle luci. Per l’azionamento automatico dei tergicristalli, invece, furono posizionate sul parabrezza due piccole lamine d’argento, che a contatto con l’acqua davano impulso a un relè che faceva partire i tergicristalli. Il sistema era un po’ artigianale (le due lamine erano incollate al parabrezza mediante del silicone), ma funzionante. La vettura fu anche dotata di indicatore per misurare il livello dell’olio motore e di tutta una serie di strumentazioni aggiuntive posizionate sul cruscotto, come altimetro e igrometro. Questa Indy suscitò curiosità e interesse nell’ambiente (si narra che lo Scià di Persia volesse alcuni di quei marchingegni sulle sue Maserati), ma non ebbe alcun seguito a livello produttivo. Alcune soluzioni erano potenzialmente interessanti, ma per essere adottate sulle vetture di produzione avrebbero necessitato di sviluppo e sperimentazione adeguati, per testarne l’efficacia nelle diverse situazioni e l’affidabilità nel tempo, senza contare le problematiche di omologazione. Va precisato, a onor del vero, che Brameri e soprattutto Alfieri vissero questa operazione come un gioco fra amici, un esercizio fra colleghi, senza prendersi troppo sul serio e senza particolari ambizioni. Proprio per questo nessuna delle “invenzioni” fu brevettata. È difficile stabilire con certezza se alcune delle soluzioni adottate fossero delle novità assolute per il mondo

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dell’auto (andrebbe verificato con approfondite ricerche), ma non è affatto da escludere. In ogni caso non ci furono ulteriori sviluppi, e anche la Citroën, casa da sempre interessata a tecnologie di questo tipo, quando di lì a breve divenne prima partner e poi proprietaria del marchio Maserati, non mostrò alcun interesse per la vettura e per le soluzioni tecniche che vi erano state sperimentate. Il lavoro sulla vettura durò per l’intero 1969, al termine del quale l’ing. Brameri acquistò la vettura e iniziò ad usarla regolarmente, prima come auto di piacere, poi col passare degli anni come auto storica da coccolare (ne è tuttora il proprietario, ed è socio attivo del Maserati Club Italia, vedi box a fianco). È lui a mostrarcela orgogliosamente, facendoci verificare come le sue “diavolerie” pneumatiche funzionino tutte alla perfezione, a distanza di oltre quarant’anni. Dopo l’avviamento, si attacca un compressore pneumatico che serve i vari circuiti. Una volta caricato, con la semplice pressione di un pulsante, si spalancano letteralmente (in maniera invero un po’ brusca) portiere e cofani, e lo stesso avviene per lo schienale dei sedili. Anche l’ala mobile dell’alettone posteriore funziona ancora perfettamente. Vedere all’opera questi automatismi fa ricordare l’Aston Martin di 007 in Goldfinger, e viene quasi da sorridere, ma all’epoca si trattava di soluzioni davvero inedite e futuristiche. Tutto è reso ancor più suggestivo dal fatto che a mostrarle sia proprio colui che le ha progettate. Peccato solo che a raccontare i propri ricordi legati a questa curiosa vettura non ci possa essere anche l’altro artefice di questo “passatempo ingegneristico”, il mitico ing. Alfieri, che purtroppo da diversi anni ci ha lasciato.

Il Maserati Club Italia si pone come punto di riferimento per i possessori di vetture Maserati di ogni epoca che, condividendo la passione per la casa del Tridente, desiderano incontrarsi, divertirsi e sviluppare amicizie e interessi comuni. È l’unico club italiano a essere ufficialmente riconosciuto dalla Casa Maserati s.p.a., e ha sede proprio nello storico stabilimento Maserati di viale Ciro Menotti a Modena. È stato fondato nel 2004, in occasione del 90° Anniversario Maserati, con lo specifico intento, da parte della Casa modenese, di riunire tutte le vetture col marchio del Tridente, superando le divisioni del passato. Dopo i primi anni in cui l’azienda ha affiancato i collezionisti nella gestione del club, si è passati a un Consiglio Direttivo oggi composto integralmente da soci appassionati, rappresentativi dell’intero territorio nazionale. Il Maserati Club Italia è anche il luogo di incontro tra passato, presente e futuro della Casa del Tridente, in cui ne viene valorizzato e divulgato l’immenso patrimonio storico. Per questo motivo può contare sulla collaborazione di personaggi di spicco della storia Maserati, come Ermanno Cozza (Presidente Onorario del club). Ma sono i soci tutti che, esibendo la propria vettura e la propria passione, contribuiscono a valorizzare la storia del marchio. Il Club organizza raduni nelle più apprezzate località turistiche, permette ai soci di guidare la propria Maserati in pista, promuove eventi culturali legati alla storia del marchio e offre la possibilità di seguire da vicino le principali competizioni in cui sono impegnate le vetture Maserati; è, inoltre, presente alle principali fiere di settore. Il Maserati Club Italia è in contatto con i Maserati Club esteri e aderisce ai Maserati International Rally che si tengono ogni anno in una diversa nazione europea. Possono iscriversi al club i possessori di vetture Maserati ed OSCA di qualunque modello ed epoca. Ricevuta la conferma di iscrizione, il nuovo socio riceverà la tessera personalizzata in argento e un Kit di benvenuto. Il Maserati Club Italia è federato all’ASI e permette pertanto ai propri soci di fruire delle agevolazioni previste per le auto d’epoca. Maserati Club Italia Viale Ciro Menotti 322, 41100 Modena www.maseraticlubitalia.it Contatti telefonici: Pierluigi Santoro (Presidente) +39 348.36.14.650 Claudio Ivaldi (Segretario) +39 335.58.11.336


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