Tesi di Laurea Magistrale: La Pedagogia Interculturale per una politica ublication

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1 Università Degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti –Pescara Dipartimento di Economia Aziendale Corso di laurea Magistrale in Politiche e Management per il Welfare Tesi di Laurea La Pedagogia Interculturale per una Politica dell'Accoglienza Relatore Laureanda Chiar.mo Prof. Franco Blezza Athena D'Orazio Matricola 3154610 ANNO ACCADEMICO 2016/2017

CAPITOLO 1: MIGRANTI, MIGRAZIONI E POLITICHE DELL'ACCOGLIENZA NEL VILLAGGIO GLOBALE ..........................................................................................

1.1: SOCIOLOGIA DELLE MIGRAZIONI: TIPOLOGIE DEI MIGRANTI E DELLEMIGRAZIONI. pag12

1.2: IL FENOMENO DELLE MIGRAZIONI ALL’EPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE: UN COMPLESSO DI RELAZIONI SOCIALI. LE CULTURETRANSNAZIONALI E LA TEORIA DEI NETWORK pag15

1.3. L’ITALIA NEL MODELLO MEDITERRANEO DI IMMIGRAZIONE.................................pag18

1.4 POLITICHE DELL’IMMIGRAZIONE E POLITICHE PER GLI IMMIGRATI: RISPOSTE LOCALI AD UN PROCESSO GLOBALE pag21

CAPITOLO 2: LA PEDAGOGIA INTERCULTURALE: UN APPROCCIO "RIVOLUZIONARIO" ALLA MULTICULTURALITÀ

2.1 SERVE ANCORA LA PEDAGOGIA OGGI? pag24

2.2 DALLA PEDAGOGIA GENERALE ALLA PEDAGOGIA INTERCULTURALE. INTERSOGGETTIVITÀ, ALTERITÀ, UNIVERSALITÀ pag28

2.3 LA PEDAGOGIA INTERCULTURALE NELLE PROFESSIONI........................................pag 33

2.4 EDUCAZIONE E COMPETENZE INTERCULTURALI NELLA SOCIETÀ CIVILE pag35

2.5 COMPETENZE INTERCULTURALI NEL LAVORO SOCIALE: COMUNICAZIONE, MEDIAZIONE, GESTIONE DEI CONFLITTI E DELLE EMOZIONI. pag38 5

2.6 NUOVE COMPETENZE NEL SERVIZIO SOCIALE pag47

2.7 I SERVIZI ALLA PERSONA COME “RELAZIONI CHE CREANO RELAZIONI” pag52

CAPITOLO 3: STRATEGIE INTERCULTURALI PER L'INTERVENTO NEL SOCIALE

3.1 I FILONI METODOLOGICI DELLE PRATICHE INTERCULTURALI: I METODI DECOSTRUTTIVI. I METODI LUDICO‐ESPERIENZIALI. I METODINARRATIVI. I METODI ESPRESSIVI. pag55

3.2 PAULO FREIRE E LA PEDAGOGIA DEGLI OPPRESSI: IL DIALOGO, LAPAROLA CREATRICE, LA PEDAGOGIA PROBLEMATIZZANTE pag62

2 INDICE
INTRODUZIONE..........................................................................................................................pag7

3.3 DA FREIRE A BOAL E TEATRO DELL’OPPRESSO: DUE FACCE DELLASTESSA

MEDAGLIA pag67

3.4 IL TEATRO EDUCATIVO E SOCIALE pag72

3.4 TEATRO, PEDAGOGIA, INTERCULTURA E MONDO SOCIALE: QUALENESSO? pag76

CAPITOLO 4: PROGETTO A.R.T.E.: LABORATORIO DI TEATRO EDUCATIVO E SOCIALE NELLO SPRAR DI URURI. ESPERIENZA DIRETTA

4.1 CHE COS'È UNO SPRAR? SCOPI ISTITUZIONALI E FIGURE PROFESSIONALI....................................................................................................................... pag79

4.2 IL VALORE DELLE BEST PRACTIES NELLE POLITICHE SOCIALI.......pag.81

4.3 DESCRIZIONE DELLE FASI PROGETTUALI IN BREVE...........................pag.85

4.4 DESCRIZIONE DEL PROGETTO A.R.T.E. OBIETTIVI, STRUTTURA DELLE ATTIVITÀ, METODOLOGIA ETECNICHE UTILIZZATE, OSSERVAZIONI.pag.88

CAPITOLO 5: LA TEORIA A SUPPORTO DELLA PRATICA: ORIZZONTI TEORICI RINTRACCIATI NELL’ESPERIENZA VISSUTA DAI PARTECIPANTI AL LABORATORIO A.R.T.E. AWARENESS, RESILIENCE, THEATRE, EMPOWERMENT NELLO SPRAR DI URURI

5.1 GLI ASSIOMI SOCIOLOGICI UNIVERSALI....................................................................pag127

5.2 BATESON: LA METACOMUNICAZIONE E WATZLAWICK: LA PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE pag131

5.3 L'ESPERIENZA ESTETICA SECONDO DEWEY pag138

5.4 GOFFMAN: LA VITA COME RAPPRESENTAZIONE E I FRAMES DELL'ESPERIENZA pag145

5.5 HYMES E LA COMPETENZA COMUNICATIVA......................................pag.150

5.6 LA TEORIA DEI SISTEMI DINAMICI COMPLESSI pag133

CONCLUSIONI. pag158

APPENDICE:

INTERVISTA AI CONDUTTORI DEL LABORATORIO pag160

BIBLIOGRAFIA pag166

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Introduzione.

Questo lavoro di ricerca nasce da un'esperienza di partecipazione ad un laboratorio di pedagogia teatrale ed artistica in uno SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) nella cittadina di Ururi (CB).

Le attività del progetto intitolato A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment, sono state ideate dall'Associazione Il deposito dei Segni Onlus per sostenere i richiedenti asilo e i rifugiati nel recupero delle loro capacità resilienti e nella ricomposizione della dimensione socializzante, per promuovere consapevolezza, empowerment e competenze sociali, per incentivare dialogo intrerculturale e inclusione sociale, cittadinanza attiva e partecipata, ed hanno coinvolto sia donne beneficiarie del progetto Sprar, sia operatrici e volontari del Servizio, sia rappresentanti della piccola comunità territoriale.

Durante l'attività di osservatrice partecipante, collocata nella realtà multidimensionale e complessa, sono emerse delle istanze sul "come, cosa, e perché" stesse succedendo, perciò ho deciso di individuare dei principi interpretativi che, considerando la multidimensionalità degli oggetti osservati, potessero fornire una lettura dell'esperienza.

Le domande che hanno guidato la ricerca sono state: “Come un'esperienza di Pedagogia Artistica e Teatrale può contribuire allo scopo principale di uno Sprar, e cioè alla (ri)conquista dell’autonomia individuale dei Richiedenti/Titolari di protezione internazionale e umanitaria accolti?”, “Quale contributo può giungere da parte della Pedagogia Interculturale in campo degli interventi nel sociale e in favore degli attori coinvolti?”, “Come delle strategie interculturali possono diventare buone prassi nell'intervento nel sociale e perché?”

Per rispondere a queste istanze, con un procedimento inverso rispetto alla prassi esperita, in cui partendo da un singolo caso osservato ho poi cercato leggi universali di riferimento, in questo lavoro di tesi sono partita da un livello di riflessione macro per giungere alla descrizione del caso in particolare.

Considerando che nel momento in cui concluderò il percorso di studi universitari, con immenso piacere, entrerò a far parte di una categoria di professionisti chiamata a svolgere attività professionali come l'elaborazione e la direzione di programmi, la

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pianificazione, l'organizzazione e la gestione manageriale, la direzione di servizi che gestiscono interventi complessi, l'analisi e la valutazione della qualità degli interventi e la ricerca sociale nei servizi e nelle politiche del servizio sociale, ho ritenuto interessante condurre questo tipo di ricerca perché sono convinta che un approccio interculturale e la conoscenza di strategie e pratiche interculturali per chi occupa un posto di decision making possa fare la differenza per sé, per il suo lavoro e per l'impatto nel contesto in cui opera.

Nel primo capitolo viene affrontato il tema della migrazione in termini sociologici e si rileva quanto la mobilità sia un evento prevalentemente sociale. Parlando della natura relazionale delle migrazioni viene illustrata la teoria dei network attraverso cui le persone sono considerate attori che partecipano a sistemi sociali in cui sono coinvolti altri attori e ne influenzano l'evoluzione. Compiendo una panoramica sul “modello mediterraneo di immigrazione” a cui appartiene l'Italia e mettendo in luce la sua trasformazione da paese di emigrazione a paese anche di immigrazione e da paese di transito per i rifugiati a paese di asilo, si fa accenno alle politiche per gli immigrati sviluppate a partire dagli anni novanta in Europa Occidentale considerate 'nuove' occupandosi di un profilo di bisogno relativamente 'nuovo', in quanto inquadrano il profilo migratorio sotto una luce diversa: non più quella semplicemente transitoria e momentanea dei lavoratori stranieri, ma quella di famiglie e comunità destinate a permanere, e quindi a diventare parte attiva della società, contribuendo alla trasformazione multiculturale in generale. Successivamente vengono illustrate le politiche per l'immigrazione (immigration policies), le politiche per gli immigrati(immigrant policies) eilsistemaaccoglienzacheparallelamenteallepolitichemigratorie, si realizza nel nostro Paese e che vede al centro la rete degli enti locali che realizza progetti di 'accoglienzaintegrata'sulterritorio:ilSistemadiprotezioneperrichiedentiasiloerifugiati(SPRAR).

Nel secondo capitolo ci si interroga sul ruolo della Pedagogia nella complessità del post moderno, rilevando quanto essa si impegni ovunque e quanto l'educazione siattuiin

qualunquesedesocialeperilsolofattodiesseresociale, sottolineandol'importanza dell'educazionenon intenzionalee nonprogettuale,nellavitaonell'evoluzionediciascunapersonaerispettoallenecessità professionaliacuidàluogo”1 .

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A seguire si discute a riguardo di “una chiave di lettura chiamata intercultura” e della Pedagogia Interculturale come approccio rivoluzionario alla multiculturalità, su come l'apertura all’altro divenga l’elemento essenziale di ogni pratica pedagogica, e su come soggettività-intersoggettività, identitàalterità, differenza-universalità costituiscano assi portanti del discorso pedagogico interculturale. Sempre nel secondo capitolo si fa accenno alle competenze interculturali e ai risvolti positivi che da esse derivano nell'ambito delle professioni, della società civile e anche del servizio sociale in particolare. “L'incontrofrapersonediculturadifferenterappresentasempre un processo dialettico che coinvolge varie visioni del mondo, implica atteggiamenti di accettazione, empatiaecongruenza,richiedel'abilitàdisapercontinuamenteinterpretareimutevolisegnalideglialtri, coinvolgendosempreprocessidiadattamentoediapprendimento”.

Nel terzo capitolo capitolo si fa appello ad un’intercultura che non diventi solo catalogo delle culture e che non rischi di lasciare nell’ombra gli atteggiamenti profondi responsabili di distanze e discriminazioni'2 e si registra l'esistenza di un “vivace brusio” dellepraticheinterculturali“cheattendedidiventarediscorsocondiviso.3

Si approfondiscono a questo punto alcune strategie educative e pratiche interculturali, parlando della pedagogiadiPaoloFreire,collegandolaalteatrodell'OppressodiBoal.Duefaccedellastessamedaglia inquantoentrambepropongonounapedagogiachemetteinrelazionel’esperienzadivitaintuttii suoi livelli, e in quanto essi pongono enfasi nellacondizionedi una nuovae complessapraticaeducativa, concretizzandoladifesadiun’educazionechesipreparaesicostruiscenell’attodialogicoenelprocesso conoscitivo,quindinellarelazioneconl’altro.

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1 F.Blezza, Che cos'è la pedagogia professionale. L'arte dell'aiuto pedagogico, 2015 p.14-15 2 F.Zadra, Convivere nella diversità. Competenze interculturali e strumenti didattici per una scuola inclusiva, 2014. Ibid.

Conilquartocapitolosiarrivaalcasoparticolareosservatoossiaillaboratorio A.R.T.E: Awareness, Resilienza, Teatro, Empowerment presso lo Sprar di Ururi in cui il teatro viene considerato unostrumentoeunarisorsaperl'esplorazionedimondi“altri”e“possibili”soprattuttoinuncontestodi multiculturalità, mettendo in luce soprattutto la sua valenza educativa come luogo-tempo-spazioludico-creativo, e la possibilità offerta ai partecipanti di vivere una esperienza della dimensione percettivadiséedell’altrosostenendolafunzionesociale,affettivaedemozionaledellasocializzazione edellacomunicazione.

In questo capitolo si cerca di portare alla luce e rendere concreto tutto ciò che è stato registrato e percepitointerminiesperienziali.

Nel quinto capitolo si è cercato di rintracciare cornici teoriche a supporto alla pratica esperita dai partecipanti alla laboratorio nello Sprar di Ururi. Per affrontare questo tentativo di porre in dialogo circolare questi elementi ho consultato parte della letteratura contemporanea di riferimento pedagogico, sociologico, antropologico, filosofico e teatrale considerando il fenomeno teatrale come fenomeno sociale che interessa l'individuo e la collettività, e che, “è disalienante per l'individuo ed emancipatorio per la società4”.

Ho preso in considerazione gli Assiomi Sociologici Universali definiti da Giovanni Bongo5 utili a “mappare” la realtà di cui si è inteso comprendere le dinamiche interne. Per porre in evidenza come l'individuo con il suo corpo e le sue emozioni partecipa alle interazioni sociali e come l'esperienza estetica può offrirgli uno spazio di sperimentazione, vengono inoltre citati gli studi di Gregory Bateson6 e Paul Watzlawick7; con Dewey8 si rilevano le caratteristiche dell'esperienza estetica; in seguito

4 E.Sciarra, La vocazione del Teatro Sociale, in C. Lecce, J. Grünert, Teatro come Corpo Sociale e Orizzonte di Diritti Umani, dizioni Tracce, Pescara, 201

5 G.Bongo , Gli assiomi sociologici, Tinari, Chieti 2001

6 G. Bateson, Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano,1976

7 H.P. Watzlawick, J.Beavin, D. Jackson, La pragmatica della comunicazione, Astrolabio, Roma, 1971

8 J. Dewey, Arte come esperienza, a cura di G. Matteucci, Aesthetica, Palermo 2007, p. 78 cit. In S.Chiodo, Estetiche empiristiche 2007

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viene utilizzata l'impalcatura drammaturgica ideata da Erving Goffman9 per esprimere l'analogia teatro-vita, per parlare della struttura degli incontri reali, della distanza dal ruolo e dei frames dell'esperienza; con Dell Hymes10 si ripercorrono la nozione di competenza linguistica per riferirsi alle effettive capacità di un soggetto nel padroneggiare con appropriatezza sia i codici verbali che non verbali della comunicazione; si conclude la riflessione citando la Teoria dei Sistemi Dinamici Complessi e adattandone lo schema concettuale alle scienze sociali per descrivere le caratteristiche di un sistema reale come il gruppo, in cui si svolge l'esperienza, e le possibili dinamiche di scambio di energie interne ed esterne, di socializzazione e di autorganizzazione11

Si chiude il lavoro di ricerca con documentazione fotografica del Laboratorio A.R.T.E. presso lo Sprar di Ururi, e in appendice si allega un'intervista somministrata ai conduttori del Laboratorio Cam Lecce e Jorg Grunert .

10 D. Hymes, La competenza comunicativa, in Universali linguistici, a cura di F. Ravazzoli, Milano, Feltrinelli, 1979, ed. Orig. On communicative competence in Sociolinguistics, edited by J.B. Pride & J. Holmes, Harmonsdworth, Penguin Books, 1972

11 E. Sciarra, Paradigmi e metodi di ricerca sulla socializzazione autorganizzante, Sigraf, Pescara, 2007

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9 E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna, 2009

Capitolo 4: Progetto A.R.T.E.: Laboratorio Di Teatro Sociale nello

Sprar Di Ururi. Esperienza diretta.

4.1 Che cos'è uno Sprar? Scopi istituzionali e figure professionali.

"Parallelamente alle politiche migratorie, si realizza nel nostro Paese un sistema di accoglienza che vede al centro la rete degli enti locali che realizza progetti di 'accoglienza integrata' sul territorio: il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati(SPRAR)"124 .

<< Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) è costituito dalla rete degli enti locali che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. A livello territoriale gli enti locali, con il prezioso supporto delle realtà del terzo settore, garantiscono interventi di “accoglienza integrata” che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico.

Le caratteristiche principali del Sistema di protezione sono:

• il carattere pubblico delle risorse messe a disposizione e degli enti politicamente responsabili dell’accoglienza, Ministero dell’Interno ed enti locali, secondo una logica di governance multilivello;

• la volontarietà degli enti locali nella partecipazione alla rete dei progetti di accoglienza;

121 C. Gebbia, L''interculturalità del teatro. Una introduzione. Pubblicato il 18/06/2006

122 Pagina web del Ministero dell'Interno Italiano http://www.interno.gov.it/it/temi/immigrazione-e-asilo/politichemigratorie

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• il decentramento degli interventi di “accoglienza integrata”;

• le sinergie avviate sul territorio con i cosiddetti “enti gestori”, soggetti del terzo settore che contribuiscono in maniera essenziale alla realizzazione degli interventi;

• la promozione e lo sviluppo di reti locali, con il coinvolgimento di tutti gli attori e gli interlocutori privilegiati per la riuscita delle misure di accoglienza, protezione, integrazione in favore di richiedenti e titolari di protezione internazionale.125>>

Lo scopo principale dello Sprar è la (ri)conquista dell’autonomia individuale dei richiedenti/titolari di protezione internazionale e umanitaria accolti, intesa come una loro effettiva emancipazione dal bisogno di ricevere assistenza. Altri elementi importanti e fondamentale dell'accoglienza Sprar sono: dialogo con il territorio, competenze eterogenee e qualificate.

L'Équipe di uno SPRAR è composta da figure professionali con competenze specifiche. Ogni progetto di accoglienza deve prevedere un’équipe che abbia direttamente al suo interno, o che se si avvalga in maniera strutturata e continuativa, di alcune figure professionali quali assistente sociale, educatore professionale, psicologo, nonché di esperti in materia normativa e giuridica. Le risposte date ai singoli bisogni diventano elementi concatenanti di un unico percorso di inclusione sociale, nonché di supporto e di riabilitazione nei casi di persone portatrici di specifiche vulnerabilità, come per esempio le vittime di violenza, di tortura e di tratta, o di beneficiari con disagio psicologico o psichiatrico.126

Alcune definizioni utili dal Manuale Operativo per l’attivazione e la gestione di servizi di accoglienza integrata in favore di richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria Ministero dell'Interno e Anci:

Il "Richiedente protezione internazionali" è la persona che, fuori dal proprio Paese d’origine, presenta in un altro Stato domanda per il riconoscimento della protezione internazionale. Il richiedente rimane tale, finché le autorità competenti (in Italia le

123 http://www.sprar.it/

124 Manuale Operativo perl’attivazione e la gestione diservizi di accoglienzaintegrata in favore di richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria Minisero dell'Interno e Anci, 2015

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Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale) non decidono in merito alla stessa domanda di protezione. La protezione sussidiaria è un’ulteriore forma di protezione internazionale. Chi ne è titolare – pur non possedendo i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato

viene protetto in quanto, se ritornasse nel Paese di origine, andrebbe incontro al rischio di subire un danno grave. Questa definizione viene enunciata dall’art. 2, lett.g) del Decreto legislativo n. 251/2007.

Nel caso in cui la Commissione territoriale, pur non accogliendo la domanda di protezione internazionale, ritenga possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, provvede alla trasmissione degli atti della richiesta di protezione al questore competente per un eventuale rilascio di un permesso di soggiorno per protezione umanitaria (art. 5, comma 6 del decreto legislativo n. 286/1998).

Il rifugiato è titolare di protezione internazionale. Si tratta di persona che “(…) temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese d’origine di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese(…)”. Questa definizione viene enunciata dall’art.1A della Convenzione di Ginevra del 1951, recepita nell’ordinamento italiano dalla legge n.722 del 1954.

4.2 Il valore delle Best Practies nelle politiche sociali.

"Il concetto di 'buona prassi' è derivato dall’inglese 'best practice', letteralmente 'miglior pratica'. E’ nato all’inizio del XX secolo (Frederick Taylor, The Principles of Scientific Management - Harper & Brothers Publishers, New York 1911): è un'idea manageriale che asserisce l’esistenza di una tecnica, un metodo, un processo o un'attività, che sono notevolmente efficaci nel raggiungere un particolare risultato, rispetto ad altri metodi, processi, tecniche già sperimentati.

Si afferma che con i processi adeguati, i giusti controlli e le corrette analisi, il risultato voluto può essere ottenuto evitando problemi e complicazioni impreviste. L’espressione contiene di per sé un giudizio, anche se non è sempre evidente come viene formulato. il

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concetto si applica anche in ambito formativo, sociale e più in generale delle politiche pubbliche.127"

La Leonarduzzi, assistente sociale e ricercatrice, scrive: “Le buone prassi, ponendosi in un’ottica critico-riflessiva e assumendo un approccio aperto e flessibile, diventano modalità operative, azioni e strategie, che offrono un contributo alla guida del lavoro professionale degli operatori sociali. Una buona prassi nel sociale è un insieme di attività che diventano processo; queste attività hanno come bersaglio una o più persone, un fenomeno, un contesto, oppure più di uno di questi elementi. La buona pratica deve produrre il cambiamento attraverso azioni o strategie, che affrontano la complessità e non la riducono, quindi partendo dalla reale conoscenza del bisogno sociale specifico e del fenomeno su cui si andrà a incidere, in un determinato territorio. La dimensione relazionale è una caratteristica delle buone prassi nel sociale, è opportuno porsi davanti al fenomeno pensando alle soluzioni, alle risorse, e ai punti di forza, senza dimenticare le criticità, per ricercare il soddisfacimento di tutti gli attori coinvolti. La buona prassi, per diventare modello, deve assumere caratteri generali, trasferibili, replicabili, standardizzati, attraverso la valutazione. Inoltre un modello non può scindersi dal fenomeno sociale, e neanche dalle politiche sociali, dagli attori presenti sul territorio e dalle risorse disponibili.

Le buone prassi sono caratterizzate da: cambiamento con il fenomeno, efficienza ed efficacia, ottenimento di risultati tangibili e misurabili che diano soluzioni per tutti gli attori, sostenibilità del progetto nel territorio, contenuto innovativo, implementazione delle capacità di autovalutazione professionale e personale, criteri di standardizzazione e indicatori, metodologie e strumenti, cambiamento di cultura e comportamento nelle istituzioni, negli utenti, negli operatori e nella collettività, punti di forza, direzione di ricerca, riproducibilità e trasferibilità, visibilità a breve e a lungo termine, struttura organizzativa con potenzialità e criticità.128"

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125 P. Rocca Responsabile Ufficio Progettazione e Acquisizione Risorse Servizio Politiche attive del Lavoro e Formazione Provincia di Bologna 23 gennaio 2008 http://www.cittametropolitana.bo.it 126 M.Lenarduzzi,Le Buone Prassi nel servizio sociale, 2010 http://www.assistentisociali.org

"[...]Si sottolinea l’importanza della sperimentazione (metodo sperimentale), dell’analisi critica di ogni aspetto dell’attività e della capacità di selezionare le modalità di progettazione, realizzazione, e analisi dei risultati che meglio consentono di realizzare gli obiettivi. Recentemente vengono definite 'buone prassi' progetti finanziati dal Fondo Sociale Europeo e altri programmi comunitari, che si segnalano per una particolare coerenza e capacità di ottimizzazione. Fra i criteri per l’individuazione delle buone pratiche adottati figurano: la disponibilità di informazioni in forma chiara, omogenea, affidabile e sintetica sulle iniziative realizzate; l’efficacia di una data iniziativa; l’innovatività, l’adeguatezza e completezza del quadro logico attuativo in riferimento all’esistenza di una valida attività di programmazione e progettazione degli interventi; il grado di riproducibilità e trasferibilità, volto ad assicurarsi che i progetti selezionati come buone pratiche non presentino caratteristiche 'irripetibili' troppo rilevanti; il grado di sostenibilità nel tempo, che tiene conto dei costi dell’iniziativa; la capacità di coinvolgimento orizzontale e verticale; [...] Pertanto, l'aspetto del concetto legato alla 'trasferibilità'o 'ripetibilità' è fondamentale."

[...]Si tratta di applicare il metodo sperimentale (e un procedimento di generalizzazione/astrazione) anche ad attività sociali, mettendo sotto controllo tutte le variabili, accentuando l’attenzione (preventiva) a tutti gli elementi che possono influenzare il risultato di un’azione, di un programma, di una policy.129" Parlando di "buone prassi", avendo fatto precedentemente riferimento al sistema Sprar, e descrivendo, di seguito, una progettualità in particolare, svolta appunto in uno Sprar, rileviamo dalla letteratura di riferimento quanto "oggi il sistema SPRAR abbia raggiunto l’obiettivo di definire gli standard minimi che identificano il nucleo concettuale dei percorsi di integrazione [sociale-economica-lavorativa-relazionale], composto da una pluralità articolata e complessa di elementi che intrecciandosi tra di loro rendono l’integrazione un concetto multidimensionale, la scommessa da cui partire è garantirne la piena realizzazione nella ricca diversità territoriale che configura il panorama del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati. L’estrema

127 P. Rocca Responsabile Ufficio Progettazione e Acquisizione Risorse Servizio Politiche attive del Lavoro e Formazione Provincia di Bologna 23 gennaio 2008 http://www.cittametropolitana.bo.it

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eterogeneità dei contesti locali, che rappresenta uno degli elementi e dei punti di forza caratteristici dello SPRAR, si traduce infatti in una altrettanto variegata gamma di modalità con cui i territori agiscono attivando le proprie risorse, anche rispetto al contingente momento di crisi economica. Queste dinamiche di azione inevitabilmente condizionano fortemente il contesto in cui il processo di integrazione si realizza, andando a determinare in termini positivi o negativi la combinazione delle variabili che facilitano o limitano il processo di integrazione nel suo significato più pieno130", affermazioni e argomentazioni che in questo lavoro di ricerca in generale, e in questo capitolo in particolare, avvalorano la preziosità del ruolo attribuito, nella discussione in questione, alle "buone prassi" nelle politiche sociali".

Sul concetto di "integrazione" appare evidente "come non si possa parlare di integrazione senza tener conto delle tante sfaccettature di tale concetto, composto dal sempre mutevole articolarsi di complesse variabili quali il lavoro, l’autonomia abitativa ed economica, la responsabilizzazione individuale e collettiva, l’integrazione culturale e le relazioni sociali131" e appare di grande utilità "riflettere sul proprio lavoro in relazione alla costruzione di percorsi di integrazione sociale per i beneficiari, individuando aree problematiche e buone pratiche, costruendo, inoltre, procedimenti di analisi, elaborazione, trasformazione di nozioni, cognizioni, idee, concetti a partire dall’esperienza.132"

Nuovamente facendo ricorso alla letteratura di riferimento si apprende che "dai dieci anni di attività dello SPRAR è emerso come le attività di sensibilizzazione del territorio siano uno strumento chiave nei processi di inserimento socio-economico e di autonomia dei beneficiari.

128 L’integrazione passa di qua Riflessioni nello SPRAR sui percorsi di integrazione http://www.sprar.it/wpcontent/uploads/2017/02/05-Quaderno-SC-Integrazione.pdf

129 Ibid.

130 Ibid.

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Accade così che, attraverso la realizzazione di attività culturali e teatrali, si interviene da un lato con un’azione di sensibilizzazione volta a rafforzare la cultura dell’accoglienza; dall’altro si forniscono agli stessi rifugiati ulteriori strumenti per il rafforzamento dei loro percorsi individuali"133 .

Condividendo a pieno queste premesse e questi orizzonti si è deciso di riportare di seguito la testimonianza di un'esperienza artistica, A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment. nata dentro e fuori lo SPRAR di Ururi, che vede come protagonisti le richiedenti e titolari di protezione internazionale, donne e uomini Ururesi, operatrici e volontarie presso il Servizio.

4.3 Descrizione delle fasi progettuali in breve.

Prendendo in considerazione la logica sistemica del "PCM (Project Cycle Management) ossia il riferimento metodologico maggiormente utilizzato attualmente in contesto di programmazione e progettazione in Europa"134, si descriveranno in maniera estremamente sintetico al solo scopo illustrativo rispetto al contesto, le fasi della programmazione, dell' identificazione, della formulazione, del finanziamento, della realizzazione e della valutazione del Progetto A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment.

Come fase della programmazione si intende il percorso "a monte" di un percorso progettuale, e rappresenta il contesto di politiche nel quale le progettazioni sono inserite, è esso stesso che costituisce il macro-obiettivo di riferimento del progetto,che in questo caso è rappresentato dal Sistema Centrale di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar). In questa fase si è cominciato a sviluppare l'idea progettuale partendo dalla declinazione dell'idea-progetto specifica dello Sprar ossia “promuovere la

131S.Martini,

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a cura di,Quaderni del Servizio Centrale. Un palcoscenico peri Rifugiati. Teatro dei Rifugiati. ww.sprar.it 132 U.De Ambrogio, C.Dessi, V.Ghetti, Progettare e valutare nelsociale. Metodi edesperienze Carrocci Faber, Roma 2003

(ri)conquista dell’autonomia individuale dei Richiedenti/Titolari di Protezione

Internazionale e Umanitaria accolti, nonché il dialogo con il territorio, l'attivazione di sinergie e lo sviluppo di reti sociali locali135

All'interno di questa fase vengono incluse anche la fase di "Ideazione e di Attivazione"136: Nella prima sono stati analizzati il contesto e la domanda, gli attori, i problemi. Nello specifico il macro-contesto di riferimento è stato il piccolo paese di Ururi , in cui è stato istituito lo Sprar, e quindi il micro-contesto è stato rappresentato dagli abitanti del paesino e le donne straniere beneficiarie di protezione internazionale inserite nel progetto Sprar ad Ururi, con lo scopo di promuovere un'occasione di incontro e di promozione di una rete sociale tra persone che si ritrovano a vivere nello stesso territorio valorizzando il background culturale di ognuna di esse.

Nella fase di Attivazione è avvenuta l'analisi degli obiettivi, dei risultati attesi e la definizione delle azioni.

Nella fase dell'attivazione il gruppo di lavoro, verificando le risorse umane e strumentali disponibili, ha individuato nei professionisti dell'Associazione Il Deposito dei Segni Onlus i possibili soggetti da coinvolgere nel progetto; all'Associazione, già attiva nel territorio termolese in vari progetti nella rete dei servizi alla persona e già coinvolta per la realizzazione di un progetto artistico simile l'anno precedente nello Sprar, è stato chiesto di stilare un programma di intervento specifico per l'anno corrente, costituito da fasi, azioni e strategie da attuare per coinvolgere i beneficiari dello Sprar e la comunità territoriale. Basandosi su tale richiesta l'Associazione ha stilato un programma progettuale indicando le finalità e gli obiettivi che con il proprio lavoro avrebbe conseguito ossia: promuovere il potenziamento delle capacità resilienti e socio-affettive dei partecipanti, sviluppare la loro dimensione socializzante, facilitare il dialogo interculturale, l'inclusione sociale e senso di cittadinanza attiva e partecipata, promuovere empowerment per la valorizzazione personale, l'autonomia, la comunicazione, senso civico e di cittadinanza attiva.

133 http://www.sprar.it/

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134 L.Leone, M.Prezza, Costruire evalutare i progetti nelsociale, FrancoAngeli, Milano, 2009

Dopodiché ci si è impegnati per la formulazione ossia l’identificazione e la programmazione delle diverse fasi dell’intervento in accordo con tutti i soggetti coinvolti (Caritas, Deposito dei Segni Onlus, Comune, Associazioni attive nel territorio), fase in cui la proposta progettuale ha assunto la sua forma definitiva dando inizio alla Progettazione Operativa: organizzazione attività, individuazione spazi, timing, definizione budget, comunicazione, diffusione e invito alla cittadinanza a partecipare tramite l'ausilio delle reti sociali amicali e associative già radicate nel piccolo paese.

A seguire la fase di Realizzazione dell'intervento progettuale ed infine la valutazione ex post, ossia il momento di riflessione sui risultati ottenuti e la rilevazione di outcomes collaterali positivi in un'ottica di riprogettazione.

Il 7 marzo 2017 le attività sono iniziate, e durante la fase della Realizzazione ci sono state verifiche ed aggiustamenti in itinere grazie alla cooperazione e alla disponibilità di tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nel progetto.

La Conclusione del progetto è avvenuta il 16 giugno 2017 con un momento di condivisione pubblica dell'esperienza, tramite la presentazione di una drammaturgia intitolata “Exit”, che ha avuto luogo nel cortile esterno dell'edificio dello Sprar di Ururi, e a cui è seguita una replica nella piazza centrale della città di Termoli fortemente richiesta dai Coordinatori del Servizio che hanno valutato l'intero intervento e progetto come positivo, come anche il raggiungimento degli obiettivi iniziali. Il progetto è stato considerato portatore di miglioramenti del clima del servizio, grazie alle osservazioni e al confronto in itinere ed ex post fra gli attori promotori, insieme a rilevazioni qualitative del clima e dell'andamento del servizio nonché della soddisfazione e del benessere manifestati dai partecipanti.

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4.4 Descrizione del progetto A.R.T.E.: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment. Obiettivi, struttura delle attività, metodologia e tecniche utilizzate, osservazioni.

Il progetto A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment. attività di teatro sociale è stato condotto da Lecce Carmela, detta Cam: attrice di teatro, trainer e formatrice di pedagogia teatrale e artistica, e da Jörg Christoph Grünert: scultore, performer, drammaturgo, trainer e formatore di pedagogia teatrale e artistica dell'Associazione Deposito Dei Segni Onlus di Pescara, organismo non lucrativo di utilità sociale, nato nel 1997 con l'intento di promuovere il valore sociale del teatro, dell’arte e della cultura come orizzonti costitutivi delle società contemporanee, come strumenti per lo sviluppo umano e salvaguardia dei diritti umani.

In coerenza con questi intenti le attività del progetto A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment, sono state ideate per sostenere i richiedenti asilo e i rifugiati nel recupero delle loro capacità resilienti e nella ricomposizione della dimensione socializzante; per promuovere consapevolezza, empowerment e competenze sociali, per incentivare dialogo intrerculturale e inclusione sociale, cittadinanza attiva e partecipata.

Le attività sono state svolte presso lo SPRAR di Ururi situato nel Centro Santo Spirito di Ururi(CB) della Caritas Tremoli/Larino, in una stanza molto ampia e abbastanza isolata acusticamente.

Il luogo in cui sorge lo Sprar, e in cui si sono svolte le attività, ha un particolare aspetto etnolinguistico, Ururi (Rùri in arbëreshë) è un comune italiano di 2.779 abitanti della provincia di Campobasso, nel Molise, i suoi abitanti sono di cultura e lingua arbëreshë, insieme a Campomarino, Portocannone e Montecilfone, tutte in provincia di Campobasso137 .

Alle attività hanno partecipato 22 persone di cui 7 donne rifugiate tutte ospiti presso il Centro S. Spirito di Ururi, provenienti dalla Costa d’Avorio, Camerun, Eritrea, Nigeria

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135 Gli arbëreshë (IPA:aɾˈbəɾɛʃ/, in albanese: arbëreshët e Italisë), ossia gli albanesi d'Italia, detti anche italoalbanesi, sonolaminoranza etno-linguistica italo-albanese storicamente stanziatain Italiameridionale einsulare.

con manifeste conflittualità tra loro per la gestione degli spazi condivisi; 4 abitanti di Ururi due uomini e due donne; 3 giovani donne del servizio civile; 2 donne volontarie; una studentessa universitaria; 3 operatrici Sprar; 2 traduttrici una nigeriana e una eritrea. Alcuni dei partecipanti iniziali per vari motivi non hanno partecipato fino alla fine del laboratorio, ma il gruppo non ne ha risentito più di tanto e si è ristabilito un equilibrio relazionale quasi del tutto spontaneamente e senza troppa fatica.

Obiettivi delle attività.

Le attività di A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment hanno avuto come obiettivi il coinvolgimento degli abitanti nativi di Ururi in un processo interculturale di accoglienza ed emancipazione sociale, la facilitazione di un processo di inclusione sociale e l'avvio di buone pratiche solidali di costruzione di comunità. Il gruppo è uno degli elementi distintivi di ogni forma di Teatro sociale, ed il raggiungimento dello status di comunità viene descritto bene da Turner quando parla della communitas, considerata come la realizzazione dell'esperienza più significativa e gratificante di rapporti umani di reciproca riconoscenza e appartenenza138 .

Gli obiettivi specifici dichiarati nel progetto sono stati :

- promuovere l'espressione dei propri sentimenti ed emozioni, delle potenzialità e abilità personali;

- promuovere la consapevolezza della comunicazione verbale e non verbale;

- promuovere fiducia, autostima, autonomia, capacità di orientamento e di progettazionedel futuro;

- promuovere competenze sociali e relazioni positive tra i beneficiari;

- promuovere conoscenza e interesse per le persone del territorio ospitante;

-promuovere socializzazione e relazioni positive tra beneficiari e abitanti locali.

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136 V.Melchiorre, Corpo e persona, Marietti, Genova 1991, p.25 cit. inA.Pontremoli, Teorie e tecniche del teatro educativo e sociale.

Modalità di svolgimento.

Le attività di A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment si sono svolte dal 7 marzo al 16 giugno 2017 per complessive 36 ore di laboratorio, un giorni a settimana dalle ore 16.00 alle 19.00 presso lo Sprar di Ururi.

Il laboratorio è la forma più tipica che assume l'azione di Teatro Sociale, inteso come il “luogo di un processo protetto che organizza il suo setting sempre in base ai soggetti e agli oggetti che contiene139 (Oliva 1999).

All'interno del laboratorio, guidato dai conduttori (trainers) e facilitatori, il gruppo è stato messo in contatto con tecniche eterogenee, tutte finalizzate alla messa in gioco del sé, nella sua totalità psicofisica. Precisa A.Van Geppen (1981) che “inizialmente il gruppo deve essere chiuso, confinato in un'esperienza di separazione, deve togliersi da un un tempo e da uno spazio quotidiano, per poter compiere un'esperienza di passaggio”140. La dimensione del “laboratorio” come luogo della resilienza, diventa uno strumento per la prevenzione del disagio umano, per la gestione del conflitto e per lo sviluppo dell'essere umano che trova nel laboratorio un luogo di tregua, di accoglienza, del fare per rafforzare e motivare fiducia in se stesso. Infatti, il percorso/processo che le attività promuovono producono esperienza auto-formativa ed auto-educante in cui trova dispiegamento il valore intrinseco della creatività di ogni singolo partecipante. Durante il laboratorio accadono eventi impercettibili ad uno sguardo superficiale, qualcosa di invisibile agli occhi141 , qualcosa di intenso, di impronunciabile e reale che accade muovendo le corde emozionali motivazionali e formative delle persone coinvolte.

Nell'ambito sociale, il laboratorio, riesce a contemplare obiettivi e finalità riferiti agli obiettivi pedagogici, psico-sociali, sociologici: la scoperta delle risorse personali e sociali della persona, autostima, autonomia, riconoscimento dei legami emotivi significativi, buon umore, empatia per le reti sociali di appartenenza, condivisione per

137 G.Oliva, Il laboratorioteatrale, LED,Milano, 1999

138

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A. Van Gennep, Iriti di passaggio, Boringhieri, Torino, 1981 139 AntoineDe Saint-Exupéry, Il PiccoloPrincipe, 1943

dare un senso al dolore, alla solitudine, alle difficoltà.

Come rilevano Lecce e Grunert(2011) "la pratica del laboratorio elude il quotidiano delle convinzioni e delle convenzioni, delle irrigimentazioni dei comportamenti e delle corazze muscolari ed è in grado di destrutturarle. I vissuti possono rivisitarsi liberi dai giudizi, costrizioni e paure, i partecipanti possono rinvenire nel proprio schema corporeo la dimensione del corpo-mente non scisso, aperto alle suggestioni del corpo mente che lo presiedono. Il laboratorio dispiega il valore della creatività intrinseca dell'individuo e nello stesso tempo la sostiene. La pratica del laboratorio è critica e crisi dell'individuo formato e della processualità degli iter delle formazioni142 .

Le fasi processuali della conduzione in un laboratorio possono essere riconosciute nel training, nell'improvvisazione, nella narrazione, e nella rappresentazione spettacolare in un contesto di condivisione pubblica del lavoro del gruppo con l'esterno143

Il laboratorio di pedagogia artistica e teatrale A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment. è stato svolto attraverso unità fluidamente modulate tra di loro, quali:

-Introduzione del laboratorio e giochi di socializzazione: giochi di attivazione per favorire ascolto attivo e reciprocità;

- Tecniche di Teatro Immagine: l’immagine racconta un contesto e facilita la scoperta delle strette connessioni tra biografia personale e biografia sociale.

- Il Binomio Fantastico per inventare una storia collettiva da drammatizzare: l’utilizzo del pensiero divergente per esprimere vissuti personali;

- Tecniche di drammatizzazione: il pre-espressivo, la mimesica, le improvvisazioni teatrali.

- Rappresentazione teatrale: messa in scena della rappresentazione teatrale come momento di condivisione pubblica dell'esperienza vissuta.

140 C.Lecce, J.C.Grünert, La pedagogia teatrale ed artistica uno strumento resiliente a favore dei diritti umani ed educazionealla pace, in: Teatrocome Corpo Sociale e Orizzonte di Diritti Umani, acura di: C.Lecce, J.C.Grünert, Pescara, Tracce, 2011, pp.9-13

141 A. Pontremoli, Teoriee tecniche del teatroeducativo e sociale, Utet, Torino 2005, pag 55

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Modalità di osservazione delle attività.

L'a rilevazione da me compiuta è stata di tipo qualitativo fondata su un'osservazione partecipante, con analisi di tipo induttivo e sviluppo delle interpretazioni dei dati emergenti dalla realtà dinamica situata osservata, con l'ausilio di uno schema osservativo dei comportamenti socio- affettivi e interrelazionali, e di un diario di bordo.

Di seguito in dettaglio lo schema osservativo utilizzato:

Dimensione individuale (star bene con se stessi),

-autostima (rispetto di sé),

-accettare i propri limiti e dimostrare fiducia nelle proprie risorse motorie nello svolgimento di esercizi

-attribuire al proprio impegno il successo operativo,

-controllare le proprie reazioni motorie e prevederne l'effetto,

-adeguare il proprio comportamento al contesto,

-autonomia (autovalutazione):

valutare il proprio operato,

-trovare soluzioni creative nelle situazioni problema.

Dimensione interindividuale (star bene con gli altri,nel gruppo):

-affidabilità (responsabilità),

-assolvere le consegne operative in modo responsabile,

-costruire relazioni empatiche riconoscendo i bisogni degli altri,

adattabilità (partecipazione):

-partecipare con entusiasmo alle proposte operative,

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-modulare il comportamento nelle situazioni diverse,

-svolgere un ruolo costruttivo nelle attività di gruppo;

Cooperazione (rispetto agli altri):

-rispettare le regole concordate,

-collaborare nelle attività

-accettare di lavorare con tutti/e rispettando i limiti e le risorse di ognuno/a

Annotando eventi, situazioni, comportamenti azioni e reazioni osservati durante le attività, è stato per me possibile partecipare senza alterare le informazioni, e inoltre di accedere al mondo interno degli osservati. Le osservazioni riportate nel diario di bordo sono poi state confrontate con quelle dei trainers. Inoltre durante le attività è stato raccolto anche materiale audio visivo.

Metodologia e tecniche utilizzate.

Per perseguire gli obiettivi ci si è avvalsi di una metodologia integrata che attraverso un processo maieutico di pedagogia teatrale e artistica coniuga tecniche pre-espressive e di drammatizzazione, tecniche riconducibili al teatro dell’oppresso, teatro sociale, tecniche delle arti visive che hanno facilitato la socializzazione e l'insorgere di relazioni positive tra i partecipanti.

Le attività di A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment presso lo Sprar di Ururi, si sono svolte ponendo attenzione alle caratteristiche del gruppo, adattando la scelta delle tecniche e dei contenuti alle esigenze dei partecipanti e alla necessità di assicurare un'ampia partecipazione nel rispetto delle differenze individuali. Così come generalmente accade in ogni laboratorio di questo tipo, il compito dei facilitatori è stato quello di condurre le attività in direzione di ciò che in quel momento i partecipanti avevano necessità di esperire, consapevolmente o inconsapevolmente.

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Alcuni riferimenti teorici :Eugenio Barba144 , Orazio Costa145 , Aaugusto Boal146 , Bertold.

Brecht147 , Lee Strasberg148 , Josef Beuys149,Gianni Rodari150 , Bruno Munari151 , Paul Watzlawick152, Georg Bateson153, Donald .W. Winnicot154, THomas. Gordon155, Pierre Vayer156 .

Nel laboratorio A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment, pian piano con il proseguire degli incontri, nello spazio estetico condiviso nonostante le differenze di ruoli (beneficiarie Sprar, operatrici Sprar; coordinatrice Sprar; volontarie), di status,

142 Barba Eugenio, La corsa dei contrari, Milano, Feltrinelli 1981

BarbaEugenio, Teatro. Solitudine, mestiere, rivolta, Milano, Ubulibri, 1996

BarbaEugenio, La canoa di carta. Trattato diantropologia teatrale, Bologna, Il Mulino, 2004

143 Colli Giangiacomo, Una Pedagogia dell’attorel’insegnamento di Orazio Costa, Roma, Bulzoni, 1989

144 Boal Augusto, Il poliziotto e la maschera, Molfetta (Bari) La Meridiana, 1993

Boal Augusto, L’Arcobaleno del desiderio, Molfetta (Bari), La Meridiana,1994

Boal Augusto, Dal desiderio alla legge, Molfetta (Bari), La Meridiana, 2002

145 Molinari Cesare, Bertold Brecht, Bari,Editori Laterza, 1996

146 Strasberg Lee, Il Sogno di una passione, Milano, Ubu Libri, 1990

147 E.Blume, C.Nichols (a cura di), Beuys Die Revolution sind wir, Göttingen, Steidl, 2008

148 Rodari Gianni, Grammatica della Fantasia, Torino, Einaudi, 1973

149 Munari Bruno, Il Laboratorio per bambini a Brera - giocare con l’arte, Bologna, Zanichelli, 1981

150 Watzlawick P., Beavin J. H.,Jackson D.D., La Pragmatica della Comunicazione, Roma, Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, 1971

Watzlawick P., Change, Roma, Casa Editrice Astrolabio- Ubaldini Editore, 1974

151 Bateson, Gregory, Verso un’ecologia dellaMente, Milano, AdelphiEdizioni, 1976

Bateson, Gregory, Mente e natura, Milano, Adelphi Edizioni, 1984

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di appartenenze, provenienze, di bisogni, di aspettative, di speranze, di interessi, si è creata una condizione e dimensione in cui ciascuno ha trovato uno spazio/tempo per sperimentare, condividere, maturare, affrontare sentimenti, emozioni, pensieri ed azioni che poi hanno favorito comunicazione, grazie alla costante gestione delle situazioni conflittuali e alla modulazione delle attività che si sono evolute nel promuovere l'espressione dei vissuti e dei sogni dei partecipanti.

Nel Report conclusivo del Progetto i Trainers hanno scritto: “Il gruppo da subito si è presentato complesso non solo per i vissuti dei beneficiari segnati dal trauma dei viaggi e dall'attraversamento del Mar Mediterraneo sui barconi, ma anche perché composto da persone con usi e costumi differenti tra loro. La sfida è stata quella di riunire queste persone il mercoledì dalle ore 16.00 alle 19.00 per sperimentare insieme come far nascere una collettività capace di socializzare e comunicare. Durante i primi incontri, le risposte positive dei beneficiari, arrivavano dai giochi ludici nei quali era facile divertirsi, mentre nel circle time 'il cerchio dell'ascolto attivo' erano riluttanti a lasciarsi andare, mentre, invece, tutti gli altri partecipanti esprimevano gradimento alle attività, non solo perché erano una opportunità per entrare in contatto con 'i migranti', ma anche perché ne traevano beneficio per se stessi. Animati dalla fiducia nella pragmatica del teatro, passo dopo passo, insistendo con delicatezza, premura e determinazione, con giochi di attivazione, di ascolto attivo, di fiducia, di prossemica, il clima relazionale del gruppo ha iniziato a migliorare progressivamente. Tra un gioco ed un esercizio intervallati da “cerchi di ascolto attivo” la dimensione socializzante ha iniziato ad emergere e con essa anche la fiducia e l'empatia. Da parte dei beneficiari sono state verbalizzate preoccupazioni legate: al pocket money troppo esiguo per le proprie necessità; all'impazienza di trovare lavoro; ai problemi di convivenza; alla difficoltà

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152 WinnicotW. Donald, Gioco e Realtà, Roma, Armando Editore, 1974 WinnicotW. Donald, Sviluppo affettivo e ambiente, Roma, Armando Editore, 1970 153 GordonThomas, Insegnanti efficaci. Il metodo Gordon: Pratiche educative per insegnanti genitorie studenti, Firenze, Giunti, 1991 154 Vayer Pierre, Educazione psicomotoria nell’etàscolastica, Roma, Armando Editore, 1974

nell'apprendere la lingua italiana; alla difficoltà per le donne nigeriane di crescere i loro figli da sole e il desiderio di ricongiungimento con i loro mariti. Incontro dopo incontro siamo passati da distanze interpersonali che sembravano insormontabili ad avvicinamenti graduali tra i partecipanti al punto che è stato possibile introdurre giochi in cui erano previsti contatti fisici, giochi a coppie, e la tecnica del 'teatro immagine' che richiede una prossemica ravvicinata e di affidamento. In ogni incontro i conduttori hanno sempre tenuto una attenta osservazione sul metalinguaggio dei partecipanti cercando di cogliere congruità o incongruità tra i linguaggio verbale e non verbale, osservando le reazioni ai giochi, agli esercizi e alle interazioni comunicative. Con la tecnica del teatro immagine si è iniziato a scolpire quadri viventi partendo da una immagine fissa legata ad un contesto, una immagine da animare come con una moviola.

Le immagini ricorrenti avevano come contenuti i problemi della povertà, del lavoro, della partenza, della paura, del sogno. Nei cerchi dell'ascolto attivo, interrogando su cosa volesse dire realmente realizzare i propri sogni e desideri, si è cercato di promuovere una maggiore consapevolezza sul fatto che non basta voler lavorare facendo un lavoro qualsiasi pur di guadagnare, e di sviluppare una riflessione più sistematica, concreta, pratica per identificare quali elementi, aspetti, percorsi, strategie e conoscenze sono necessari da perseguire per realizzare le proprie mete.

Altro momento di riflessione importante è stato il circle time in cui ci si interrogava sulla domanda 'cosa vuoi sia salvaguardato delle tue tradizioni e le tue origini?' alcune risposte sono state 'la pace, le donne e i bambini, gli amici, la patria, la lingua'(Hussain, Siria); 'il cibo tipico, feste, cultura e modo di festeggiare' (Federica, Termoli); 'la lingua'(Sabrina, Termoli); 'l'usanza del caffè del buon vicini' (Elsa, Eritrea), 'l'ironia' (Jörg, Germania); 'trovare il modo di andare avanti allegramente' (Carmelina , Venezuela), il vicinato' (Antonio, Ururi); 'vivere insieme in pace (Osas, Nigeria); 'niente ora...' (Blessy, Nigeria).

Sono stati momenti intensi ed emozionanti e per dirla con le parole dei beneficiari tutto questo percorso è servito: 'per riflettere su aspetti sui quali non ci eravamo mai soffermati', 'per scoprire cose che non sapevamo', 'per prendere coscienza di se stessi ed imparare cosa serve per vivere qui'. Questa modalità di procedere, 'essere teatro senza

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fare teatro', ha aiutato i beneficiari ad assumere maggiore consapevolezza: ora sono in Italia, ad Ururi, a Termoli, i luoghi in cui sono stati accolti e da cui devono ripartire per pianificare i propri progetti di vita e a riconoscersi come gruppo, come comunità di individui, che seppur di origini diverse, possono avere tra loro in comune sogni, paure, difficoltà e speranze.

Un altro importante momento di riflessione e condivisione è stato un cirlcle time dopo di un gioco 'degli svenuti'.

In questo gioco ci si divide a gruppetti da tre o quattro persone, ognuno con un numero assegnato, la persona con il numero che viene chiamato dai conduttori deve svenire e gli altri del gruppo devono soccorrerla il più presto e al meglio possibile.

Un giorno, dopo tale gioco, la domanda posta ai partecipanti è stata: 'qual è la paura che ti spaventa di più'? ', e le risposte sono state quelle riportate qui in seguito:

-'paura di perdere una persona cara', 'di perdere l'uso del mio corpo', 'di perdere le persone care', 'di non avere la forza di separare due persone che litigano', 'di morire di morte improvvisa', 'paura di cadere e di non essere soccorsa', 'di perdere le cose più importanti che ho', 'di quello che succede nel mio paese in questo momento', 'terremoto', 'guerra', 'terrorismo', 'violenza e ignoranza', 'depressione', 'essere assassinata', 'elettricità'.

Nel momento immediatamente successivo è stato chiesto: 'Cosa ci rende orgogliosi di noi stessi?', le risposte sono state quelle di seguito riportate:

-'Sono orgogliosa della mia forza', 'mia figlia', 'il fatto di combinare la mia vita con il mio lavoro ossia l'arte', 'di aver saputo gestire una situazione forte pensando anche agli altri', 'impegno, di essere madre di due gemelli', 'di essere madre', 'di essere forte', 'di non essere orgoglioso', 'di essere riuscita a costruire una casa e per mio figlio che a 15 anni ha superato l'esame', 'del mio entusiasmo', 'di raggiungere gli obiettivi', 'di aver imparato ad amarmi', 'del mestiere che faccio, della mia sincerità'.

Durante l'intera attività ai partecipanti veniva continuamente ricordato quanto gli esercizi, i giochi, le attività fossero non obbligatori e di quanto essi fossero liberi in

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qualsiasi momento di fermarsi, alcune volte i trainers hanno invece sentito l'esigenza di incentivare la partecipazione di alcuni più restii a sperimentarsi, o meno abituati a farlo, rapportandosi con essi con estrema professionalità e accogliendoli in una relazione di reciprocità.

Alcune volte si sono presentati problemi relazionali dovuti a conflitti esterni rispetto al laboratorio, in quei casi i trainers, accorgendosi di volta in volta delle dinamiche conflittuali in atto, indirizzavano le attività a seconda dell'esigenza e del problema da affrontare, considerando il momento del laboratorio un momento prezioso per sciogliere quei nodi relazionali, o perlomeno per affrontarli e portarli in luce. In una situazione si è assistito ad un litigio per motivi di gestione degli spazi personale e degli utensili della cucina, attraverso il circle time i trainer hanno condotto un confronto tra le persone coinvolte facendo emergere elementi apparentemente lontani ma centrali per la risoluzione.

Ad un certo punto, durante i circle time è stato anche proposto di inventare una storia collettiva utilizzando il binomio fantastico di Rodari.

Il binomio fantastico è una strategia creativa che utilizza due parole il cui accostamento insolito induce l’immaginazione a mettersi in moto per far sì che i due elementi estranei diventino volano di narrazione; mentre le funzioni essenziali della scrittura creativa pongono domande per lo sviluppo della trama della storia e dell’intreccio narrativo. Scopo di queste tecniche è il coinvolgimento e la partecipazione attiva dei presenti chiamati a contribuire all’invenzione narrativa nella spontaneità e nell’urgenza creativa. Inoltre le domande sottese all’invenzione della storia promuovono l’immedesimazione con i personaggi della storia proiettando ciascuno nella biografia dei protagonisti che, tramite l’azione teatrale, assumono su se stessi gli interrogativi, le questioni, i problemi presenti nella narrazione. Questa esperienza empirica diventa una metodologia a cui riferirsi per il problem solving e per la gestione creativa dei conflitti.

Parrtendo dalla sfera immaginativa ci si è spostati alla sfera della realtà quotidiana soffermandosi su tre parole emerse con forza dal racconto di fantasia, ossia: lavoro, cittadinanza, radici, domandandoci che cosa rappresentano, che cosa significano e che

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valore assumono nelle biografie di ciascuno, e chiedendo di declinare con una connotazione positiva e con una negativa i loro significanti concreti trascrivendoli su di un grande tabellone

Così la parola LAVORO/WORK è stata suddivisa in Servant/Bondage e To work; la parola CITTADINANZA/CITIZENSHIP suddivisa in Diritti/Rights e Doveri/ Duty; la parola RADICI/ROOTS suddivisa in Tradizioni/Traditions e Evoluzione/Evolution. Ne è nata una ampia discussione che ha stimolato confronto e scambio tra i presenti e da cui si è appreso da uno dei partecipanti Ururesi che nella loro lingua d’appartenenza, l’Arbëreshë, la parola lavoro esiste quasi esclusivamente nella connotazione del servire, del sottostare a qualcuno e non nella dimensione di diritto personale. Successivamente su un altro cartellone è stato disegnato un grande Mappamondo chiedendo a ciascuno di segnare, esprimendo un voto da 0 a 5, in quali nazioni del mondo fossero più presenti le parole Solidarietà, Sicurezza, Competizione, Insicurezza. Queste attività hanno riscontrato molto interesse e curiosità. Parallelamente, raccogliendo i vari elementi di discussione che emergevano incontro dopo incontro, è stata elaborata una scrittura scenica, una drammaturgia originale da cui è nato lo spettacolo EXIT, metafora della condizione umana odierna.

La drammaturgia EXIT parla delle popolazioni che devono confrontarsi con la fame, la guerra, il terrorismo, gli sradicamenti, gli addii, le solitudini, le ingiustizie, le guerre tra i poveri, le difficoltà del vivere quotidiano e del desiderio di una vita migliore, dell’auspicio che l’amore tra gli esseri umani possano cambiare questa tragica condizione umana mettendosi in ascolto tra loro in un patto di solidarietà, reciprocità e rispetto delle diversità.

La processualità delle attività ha incontrato il favore e la disponibilità di tutti i partecipanti e per gli operatori dello Sprar le attività sono state occasioni sia di autopercepirsi in una dinamica relazionale differente con i beneficiari e sia di poter osservare le proprie reazioni in riferimento a tutto ciò che accadeva durante gli incontri. Dalle verbalizzazioni degli abitanti Ururesi sempre molto attenti ed empatici, disponibili e sensibili si riportano le seguenti espressioni:

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- 'mi è piaciuto questo gioco, anche perché una persona che non conosco ha ripetuto molte volte il mio nome, è stato vicendevole. Qui a Ururi ti incontri con persone che conosci da sempre e neanche pronunciano il tuo nome'; 'positivo incontrarsi, per noi italiani è un arricchimento, per loro è una occasione per integrarsi'; 'questo stare insieme è il primo passo per loro per entrare nella società'; La complessità del gruppo è stata anche la possibilità della sfida intrapresa. Per i partecipanti locali essere stati protagonisti insieme con gli altri in una relazione peer to peer, aver vissuto step by step l'evoluzione di una estraneità divenuta presenza, riconoscendosi, affidandosi nei giochi, negli esercizi, condividendo storie personali da drammatizzare, vivendo in prima persona l'alchimia della interazione e della comunicazione ha prodotto la fiducia di un possibile futuro insieme. Per i beneficiari dello Sprar l'esperienza ha promosso il luogo in cui sono accolti come luogo/riferimento in cui sentirsi salvaguardati, valorizzati e amati e come dimensione umana da cui partire per progettare il proprio futuro157”

In definitiva, dall'inizio delle attività il clima relazionale ha subito un'evoluzione, e al termine del percorso il gruppo era davvero un gruppo coeso e cooperante che è andato in scena a raccontarsi unito e 'cambiato'.

A dimostrazione di queste positive rilevazioni, il fatto che il laboratorio, per il terzo anno consecutivo, è stato nuovamente riattivato da marzo 2018 poiché i Responsabili e coordinatori della Caritas Termoli/Larino, Ente Gestore del servizio Sprar, lo ritengono uno strumento di sostegno resiliente per rifugiati e richiedenti asilo e per tutti i partecipanti che ne usufruiscono.

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155 Da Relazione finale progetto a cura di Deposito dei Segni Onlus.

Tecniche utilizzate nel laboratorio A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment nello Sprar di Ururi.

Durante il laboratorio A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment è stata utilizzata una metodologia integrata che coniuga tecniche pre-espressive e di drammatizzazione, tecniche riconducibili al Teatro dell’Oppresso (TdO) e tecniche delle arti visive.

Il TdO a livello di gruppo agisce rafforzando la capacità di percepire il “noi oppressi” ossia situazioni simili di disagio, di conflitto, di ingiustizia a cui far fronte collettivamente. Elemento basilare del TdO è l'integrazione corpo-mente e la globalità dell'essere umano, Boal sostiene che ogni azione è u pensiero, ogni emozione si esprime anche nel corpo, ogni gesto provoca emozioni, pertanto il TdO prende in considerazione il lavoro globale158” del corpo, delle emozioni e del pensiero.

Alla base del metodo del TdO ci sono i Giochi- Esercizi (Boal 1994): “a differenza di tipologie diverse di teatro, essi non sono solo strumento di preparazione teatrale. In ciascuno di essi è racchiusa la finalità trasformatrice di tutto il TdO: analisi e ricerca di cambiamento delle situazioni oppressive. Essi hanno le caratteristiche della stessa vita sociale, ovvero la presenza di regole (come nella società ci sono le leggi), ma è fondamentale anche la libertà di creazione perché ci possa essere il gioco. Nascono con l'obiettivo di sciogliere le rigidità corporee e percettive. L'esercizio è una riflessione fisica su se stessi. Un monologo. Una introversione. I giochi in compenso sono legati all'espressività del corpo, che emette e riceve messaggi. Il TdO agisce affinché le persone siano consapevoli delle proprie meccanizzazioni per modificarle, per renderle flessibili.159

156R. Mazzini, L. Talamonti, Teatro dell'Oppresso, potere, conflitto, empowerement, cap. 6 di M.Nicoli, V.Pellegrino, L'empowerement dei servizi sociali e sanitari tra istanze individuali e necessità collettive, Il pensiero scientifico ed, 2011.

157R. Mazzini, L. Talamonti, Teatro dell'Oppresso, potere, conflitto, empowerement, cap. 6 di M. Nicoli, V. Pellegrino, L'empowerement dei servizi sociali e sanitari tra istanzeindividuali e necessitàcollettive, Il pensiero scientifico ed, 2011.

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Tutto il percorso del laboratorio A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment è stato connotato da rituali ludici, giochi, esercizi, improvvisazioni teatrali e circle time che hanno eletto il laboratorio a tempo/luogo in cui esprimere le necessità, i bisogni, le aspettative in un avvicinamento emotivo e per creare l’opportunità di una maggiore conoscenza tra i partecipanti.

In ambito educativo, l'azione più efficace con il gruppo è quella ludico- simbolica o ludico-esperienziale, come risposta ad un forte bisogno di relazione e di espressione, che spesso la scuola, strutturata secondo un modello di comunicazione gerarchica e fortemente verticalizzata, nega o trascura160, “l'esperienza ludica, componente centrale della nozione di teatralità, incoraggia e attiva il processo di liberazione dell'aggressività latente, permette il dispiegarsi di tensioni e insoddisfazioni, riabilita la persona all'incontro e alla comunicazione. Il gioco istituisce l'uomo nell'ordine della comunicazione. E poiché ogni gioco si attua attraverso modalità di tipo mimetico, non c'è gioco che non si caratterizzi originariamente come vero e proprio atto teatrale.161”

Tanti sono stati i giochi di fiducia, di attivazione, di ascolto attivo che prevedevano interazioni continue come per esempio i giochi a coppie, proposti nelle diverse varianti, in cui a turno uno doveva tenere gli occhi chiusi ed essere trasportato nella danza, seguire la voce del compagno, riconoscerne la mano, etc. Tanti anche gli esercizi ginnici non agonistici che potevano essere eseguiti solo con la collaborazione del partner per fronteggiare creativamente le energie emotive.

Alcuni giochi particolari per creare un clima di fiducia e di attivazione tra i partecipanti sono stati i giochi a coppie:

– Il gioco dell'ipnosi colombiana: in questo gioco una persona è l'ipnotizzato e l'altra l'ipnotizzatore, a turno. Con gli occhi puntati fissi sulla mano dell'ipnotizzatore bisogna seguirlo in un percorso nello spazio, guidare e poi essere guidati.

158 A. Pontremoli, Teoriee tecniche del teatroeducativo e sociale, Utet, Torino 2005, pag 55

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159 P. Ricoeur, Sé come un altro, trad. e cura di D.Iannotta, Jaca Book, Milano 1993

– Il gioco del cieco/vedente: il “cieco” viene condotto nello spazio seguendo la verbalizzazione del proprio nome sussurrato, entrambi i partner assumeranno i due ruoli vivendone le differenze.

Diverse sono state le varianti di questi giochi utilizzati come rituali di apertura degli incontri per promuovere l'attivazione del gruppo, spesso con l'ausilio della musica.

– Il ballo del cieco/vedente : chi aveva gli occhi aperti conduceva nel ballo l'altro ad occhi chiusi ritmando tempo e danza e viceversa, al termine del quale ci sentiva più in sintonia con il partner e anche con il gruppo che aveva esperito la stessa cosa.

– Il gioco di cercare la mano ad occhi chiusi: dopo aver memorizzato la mano di qualcuno per 5 minuti, andare alla ricerca ad occhi chiusi cercando di ritrovare la mano 'originaria' nello spazio tra tutte le altre mani.

Tecniche di Teatro Immagine.

Durante il laboratorio A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment è stata utilizzata anche la tecnica di Teatro immagine.

"Il Teatro immagine, tecnica del Teatro dell'Oppresso di Boal, si basa sull'immagine corporea statica iniziale e che poi viene dinamizzata, sintetizza in una 'scultura', un contesto, un pensiero, un desiderio, una lettura critica di un problema e permette, quasi senza l'uso della parola, di concentrarsi sull'essenziale e sulle diverse visioni che un gruppo ha su un tema specifico. Il Teatro immagine è alla base delle altre tecniche più complesse che Boal ha sviluppato. Viene attuata con la costruzione di una o più sculture, con i corpi delle persone; le immagini che si creano sono strumenti di visualizzazione dei pensieri, delle idee, degli stereotipi di una persona o di un gruppo, in relazione ad un certo argomento. L'immagine, essendo più legata all'inconscio, al non verbale, all'emisfero destro del cervello, permette una conoscenza non necessariamente gestita

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sotto il controllo della mente conscia, e supera le difese e le repressioni, aiuta a liberare l'immaginario"162 .

Nel laboratorio si è lavorato molto sul Teatro Immagine per raccontare i contesti di provenienza ed è stato grande spunto di riflessione sulle strette connessioni tra biografia personale e biografia sociale.

Il gioco "Scultore, creta, modello" di cui ci sono diverse varianti, consiste nel dividere i partecipanti in gruppi da tre, uno è la creta, uno lo scultore e l’altro il modello: Il modello assume una posizione e la mantiene per tutto il tempo del gioco. Lo scultore (bendato o ad occhi chiusi) modella con le proprie mani la creta e costruisce una statua simile all’originale, dopo aver riconosciuto con le mani la posizione assunta dal modello.

L'intero processo ha contribuito ad eliminare le barriere invisibili della diffidenza, della differenza di genere e della distanza personale, promuovendo una prossemica di avvicinamento, aumentando confidenza sociale, relazionale e comunicativa.

Circle Time.

Il Circle Time, letteralmente “tempo del cerchio”, è una metodologia elaborata da Thomas Gordon163, ed è considerata una delle più efficaci nella promozione dell’educazione socio affettiva, per migliorare e rendere più efficace la comunicazione.

Questa metodologia si compone di quattro tecniche: ascolto attivo, messaggio in prima persona, metodo del problem solving, metodo senza perdenti; nel laboratorio A.R.T.E:

160R. Mazzini, L. Talamonti, Teatro dell'Oppresso, potere, conflitto, empowerement, cap. 6 di M. Nicoli, V. Pellegrino, L'empowerement dei servizi sociali e sanitari tra istanzeindividuali e necessitàcollettive, Il pensiero scientifico ed, 2011.

161 T.Gordon, Insegnanti efficaci. Il metodo Gordon: Pratiche educative per insegnanti genitori e studenti, Firenze, Giunti, 1991

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Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment si è fatto spesso uso del Circle Time per rispondere alla necessità di migliorare la comunicazione e la relazione nel gruppo dei partecipanti, che, accolti nel cerchio, erano disposti circolarmente insieme con i trainers che avevano il ruolo di facilitare, sollecitare e coordinare i dibattiti, le riflessioni, le analisi e le riflessioni entro un termine temporale prefissato. Nel laboratorio la successione degli interventi secondo l’ordine del cerchio veniva rispettata per alzata di mano e/o seguendo un ordine progressivo. I trainer non erano né direttivi né esprimevano assenso o dissenso né tanto meno giudizi di valore sui vari interventi e argomenti trattati, ma appunto da facilitatori favorivano l’ascolto attivo ed il problem solving tra i partecipanti.

L’uso del Circle Time ha facilitato e sviluppato la comunicazione circolare, promuovendo la libera ed attiva espressione delle idee, delle opinioni, di suggerimenti e strategie da parte dei partecipanti che in questo modo hanno aumentato la condivisione emotiva. Si è rivelato particolarmente efficace per stimolare nei partecipanti conoscenza e consapevolezza delle proprie ed altrui emozioni, per promuovere il come si fa a gestire le relazioni sociali. Nel “tempo del cerchio” i partecipanti hanno vissuto l’esperienza di gruppo, tramite la quale hanno potuto, da un lato, conoscersi meglio l’uno con l’altro e discutere di argomenti di interesse comune e, dall’altro, acquisire le capacità di esprimere le proprie opinioni ad alta voce, di ascoltare, di riassumere e di mediare tra loro i diversi punti di vista.

La Scrittura creativa.

I partecipanti al laboratorio A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment presso lo Sprar di Ururi, hanno creato tutti insieme una storia di cui sono stati i protagonisti e che hanno poi drammatizzato e rappresentato con il linguaggio del corpo: “Exit”.

Pontremoli164 afferma che a teatro “il testo si connota come drammaturgico, in altre

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162 A. Pontremoli, Teoriee tecniche delteatro educativo esociale, Utet, Torino2005 cit., p.23

parole come una produzione discorsiva di azioni”. Cortese165 rileva che attraverso la narrazione “l’individuo dà forma al proprio essere nel mondo, costruendo significati rispetto a se stesso e al contesto in cui vive”. Essa dunque ha un ruolo importante anche nella costruzione dell’identità: l’esperienza del sé si articola come una singola storia che si sviluppa nel tempo.

Narrare consente di imparare dall’esperienza degli altri attraverso la condivisione delle storie, e di “fare scoperte dentro di sé ricordando memorie perdute, chiarendo il percorso che si è seguito, sviluppando insight rispetto alla propria vita. L’atto di narrare, in questo senso, crea consapevolezza della propria storia, favorendo inoltre la crescita dell’autostima”.

Bruner166 arricchisce il discorso mettendo in luce il rapporto “narrazione-identità” evidenziando come la nostra personalità è il prodotto meta-storico delle narrazioni che abbiamo incontrato e che abbiamo fatto nostre. In particolare Bruner167 afferma che il pensiero narrativo è una delle modalità conoscitive di base assieme al pensiero logicomatematico, tipico della scienza. Alla formalizzazione e astrazione del pensiero scientifico, che media la conoscenza attraverso semplificazioni e codificazioni, il pensiero narrativo oppone una comprensione più vicina all’esperienza quotidiana. L’unica mediazione è l’esperienza di chi costruisce la storia, la quale quindi si configura come contestualizzata e soggettiva.

Ancora con Cortese168 , che aggiunge una ulteriore dimensione, possiamo dire che attraverso la narrazione è possibile esplorare e comprendere il mondo interno degli individui, ma anche le esperienze individuali e collettive, de-costruendone e ricostruendone il significato culturale e sociale. La narrazione si focalizza quindi sulla

163 C. G. Cortese, L’organizzazione siracconta, Guerinie Associati, Milano 1999, p. 12- 17

164 J. Bruner, La mente a più dimensioni, Laterza, Bari 2003, p. 25.

167 Ibid.

168 C. G. Cortese, C. G. Cortese, L’organizzazione siracconta, Guerinie Associati, Milano 1999, p. 19

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fenomenologia dell’agire piuttosto che sull’azione, dando la possibilità di identificare caratteristiche di una situazione prima ignorate, di esplicitare la visione che il soggetto ha del proprio agire sulla base del proprio background, e di ricostruire credenze, preconcetti e teorie implicite che vincolano l’agire stesso.

Questo processo è ben descritto dal Cortese169, citando le sue parole riflettiamo sul fatto che “se è vero che la narrazione è per gli individui un evento di attribuzione di significati alla realtà che sperimentano, ecco allora che assumere una posizione di ascolto delle narrazioni può consentire di pervenire ad una comprensione: è questo, in estrema sintesi, l’assunto condiviso da tutti coloro che sostengono la possibilità di utilizzare la raccolta, analisi e interpretazione delle narrazioni come modalità di ricerca sociale e organizzativa”.

Nel laboratorio A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment svolto presso lo Sprar di Ururi, attraverso le funzioni essenziali170 della scrittura creativa nel Circle Time, sono stati raccolti i vari elementi di discussione, emersi incontro dopo incontro nel gruppo dei partecipanti, ed è stata elaborata una scrittura scenica, una drammaturgica originale da cui è nato lo spettacolo EXIT.

Tecniche di drammatizzazione utilizzate nel laboratorio A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment : il pre-espressivo, la mimesica, le improvvisazioni teatrali.

Il Pre-espressivo.

L'approccio pre-espressivo, che deriva dall’antropolgia teatrale di Eugenio Barba, è quella tecnica attraverso cui le azioni sono strutturate e organizzate in uno spazio con sequenze precise dove s'intersecano tempo, ritmo, energia, parti del corpo da usare

169 Ibid.

170 Rodari Gianni, La Grammatica dellafantasia, Torino, Einaudi, 1973

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prendendo in considerazione quello che si sente interiormente.

Eugenio Barba171 dice che: “Il training, così come la pratichiamo nel nostro Odin Teatret, non insegna ad essere attori. L'allenamento è un incontro con la realtà che si è scelta: qualunque cosa tu faccia, falla con tutto te stesso. Il training non serve tanto a preparare attori, ma a formare individui. Il training è un processo di autodefinizione, di autodisciplina che si manifesta attraverso reazioni fisiche. Il training è un test che mette alla prova le proprie intenzioni, fino a che punto si è pronti ad impegnare tutta la propria persona per quello che si crede e si afferma”.

Ancora Barba172 precisa che la “tecnica” è un'utilizzazione particolare del corpo, che il nostro corpo è utilizzato in maniera sostanzialmente differente nella vita quotidiana e nelle situazioni di rappresentazioni. Nel contesto quotidiano la tecnica del corpo è condizionata dalla cultura, dallo stato sociale, dal mestiere. Ma in situazione di rappresentazione esiste una tecnica del corpo differente. Si può quindi distinguere una tecnica quotidiana, che diventa funzionale quanto più diventa consapevole, da una tecnica extra-quotidiana che non rispetta gli abituali condizionamenti nell'uso del corpo.

Le tecniche quotidiane del corpo tendono alla comunicazione, le tecniche extraquotidiane invece tendono all'informazione, esse mettono in forma il corpo rendendolo credibile. I principi delle tecniche extra quotidiane applicati al peso, all'uso della colonna vertebrale e degli occhi, producono tensioni fisiche pre-espressive.

Si tratta di una qualità extra quotidiana dell'energia che rende il corpo scenicamente “deciso” , “vivo”. La base pre-espressiva costituisce il livello di organizzazione del teatro. La capacità di concentrarsi sul livello pre-espressivo rende possibile un ampliamento del sapere con conseguenze sul piano pratico, sia sul piano critico e storico.

Apprendendo le tecnica del pre-espressivo, conoscerle, capirle, permette di utilizzare il suo contenuto in una relazione, perché il pre-espressivo lavora sul significante della

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171 E. Barba, Teatro.Solitudine, rivolta, Milano, Ubulibri, 2000, pp.69-76 172 BarbaEugenio, La Canoa di carta. Trattato di Antropologia Teatrale, Bologna, Il Mulino, 1993, pp.23-41

parola come per esempio acqua, nello sperimentare questa tecnica si apre la possibilità di misurare quanto quel significante sia dentro di te, in che modo puoi essere il significante della parola acqua. Nella situazione di rappresentazione, l'azione dell'attore, che risulta allo spettatore credibile e vera, è cosciente, intenzionale, ed è questo aspetto che si può trasferire nella vita quotidiana.

L’ esperienza sul "pre-espressivo", che i partecipanti al laboratorio A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment hanno vissuto, ha avuto come qualità intrinseca una valenza pedagogica/educativa che ha favorito lo sviluppo psico/tonico della persona, consentendo di produrre "materiali" sul proprio quotidiano che elaborate poeticamente hanno avviato riflessioni del proprio esistere con se stessi, con l'altro, con il tempo, con lo spazio, con le cose, con la natura, con la società.

La Mimesis.

Il metodo mimico è stato lungamente perfezionato da Orazio Costa nell'ambito della sua intensa ricerca nel terreno della pedagogia teatrale.

Colli173, che ha raccolto tutti i materiali teorici e tecnici prodotti da Costa, ci narra che analizzando il rapporto del bambino con il mondo circostante, Costa esplica l'idea base del metodo da lui ipotizzato, per cui l'uomo, di fronte alla realtà, vi si adegua in termini di sostanziale antropomorfizzazione. In pratica una comunicazione che viene stabilita col ricondurre la realtà esterna a misura della struttura corporea dell'essere umano. Da un punto di vista tecnico, il nodo cruciale è che la comunicazione non avviene tramite una riproduzione, da parte del soggetto, della realtà osservata, ma con un processo di rispecchiamento mimico che si caratterizza come una vera e propria invenzione di analogie Nella mimazione di un albero, per esempio, il soggetto procede da un apprezzamento dei rapporti delle parti dell'albero osservato, all'interpretazione, e poi alla creazione.

Se il recupero di una condizione espressiva originaria, assume, nel metodo mimico, la 173 G.Colli, Una pedagogia dell'attore. L'insegnamento di Orazio Costa, Roma, Bulzoni Editore, 1989

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dimensione di una costante personificazione, da parte del soggetto, delle innumerevoli manifestazioni della realtà, sul piano pedagogico significa impostare un discorso di graduale rieducazione ad una condizione via via ridotta, dall'educazione tradizionale con i suoi processi logico-razionali, allo stato latente.

La mimesis o mimazione, è diversa dall'imitazione, in quanto la seconda si limita a copiare, invece la prima invita l’essere umano a trasformarsi in ciò di cui si tratta avendo prerogative nell’abilità definita invenzione di analogie. Il lavoro di rispecchiamento mimico procedere secondo un'ordinata gradualità, passando per una continua ricerca di variazioni di forme, di ritmi, di gradazioni, di intensità che conducono l'individuo - attore - allievo a realizzare mimicamente le proprie idee.

Questo incessante lavoro di metaforizzazione rendendo consapevole il partecipante, ad un laboratorio, delle proprie capacità di adeguamento alla realtà, così come della possibilità di reinventare quella stessa realtà, lo mette anche in grado di comprendere, e quindi di ripetere, il processo della creazione poetica che altro non è se non il risultato delle trascrizioni di immagini mimiche.

Nell’esperienza del sentire corporeo e del vivere interiore attraverso la mimesis si vive un’esperienza di transizione tra l’io e il non io, tra sé corporeo e io cognitivo, che si trova sulla frontiera tra il dentro e il fuori, tra l’assimilazione l’accomodamento, tra l’aggressione e la sottomissione, in cui lo spazio della creatività e dell’arte, si rivela nella consapevolezza stessa dell’esperienza; avviene così un trasferimento “magico” di saperi che si mette in movimento definendosi in azione esterna ma che rende visibile un’azione interiore. Lo spazio transizionale della mimesis alimenta l’immaginazione e la creatività, qualità umane resilienti.

Messa in scena della rappresentazione teatrale.

Il teatro sociale non ha come obiettivo primario il prodotto, cioè la costruzione di uno spettacolo teatrale dalle caratteristiche estetizzanti, come invece accade nel circuito produttivo consueto, “non rinuncia tuttavia , a coniugare la propria istanza etica con la

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creazione di una forma necessitante, indispensabile per la comunicazione di una esperienza vissuta come emotivamente coinvolgente e proposta come ampiamente condivisibile che costituisce un importante momento di verifica del lavoro svolto”174

Come già anticipato in precedenza, nel laboratorio A.R.T.E: Awareness, Resilience, Theatre, Empowerment svolto presso lo Sprar di Ururi, attraverso la scrittura creativa sono stati raccolti i vari elementi di discussione, emersi incontro dopo incontro nel gruppo dei partecipanti, ed è stata elaborato una scrittura scenica, una drammaturgica originale da cui è nato lo spettacolo EXIT.

Metafora della condizione umana odierna, Exit parla delle popolazioni che devono confrontarsi con la fame, la guerra, il terrorismo, gli sradicamenti, gli addii, le solitudini, le ingiustizie, le guerre tra i poveri, le difficoltà del vivere quotidiano e del desiderio di una vita migliore, dell’auspicio che l’amore tra gli esseri umani possono cambiare questa tragica condizione umana mettendosi in ascolto tra loro in un patto di solidarietà, reciprocità e rispetto delle diversità.

Di seguito vengono riportate il testo originale e la divisione in sequenze sceniche di EXIT.

Lo spettacolo si conclude con un ballo collettivo improvvisato e a cui ognuno contribuisce con la propria creatività di movimento, contaminando e contaminandosi con le movenze altrui in una danza completamente nuova e completamente libera.

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174 Ibid.

Testo della Drammatizzazione.

Titolo: EXIT Copione di:

In principio ci fu l’amore. Perché? Senza l’amore nessuna società potrebbe sopravvivere. E poi perché un po' di pace è pur sempre necessaria.

1. Seq. vel. 5-0

2. Ed è incredibile come, pur tra la grande massa di gente, chi si ama si trova. Ed è ancora più straordinario che ogni amore sia speciale ed unico. Seq. a coppie nello spazio ad occhi chiusi si chiamano, si cercano e si trovano.

3. Nelle società in cui regnavano la pace e l’amore si è anche sempre ballato e cantato: per la mietitura, le nascite, le feste di comunità, le commemorazioni e per tutte le circostanze che le comunità condividevano e condividono. Questi canti e balli alcune volte hanno raggiunto anche forme d’arte che hanno tramandato cultura. La stessa cosa è avvenuta e accade con il cibo, anche se alle volte non tutti i cibi sono piaciuti a tutti, ma di questo l’amore non ha mai sofferto. 3. Seq. a gruppi: canti e balli delle diverse comunità

4. Purtroppo nelle società ci sono anche avidità, interessi egoistici economici, invidia, menzogna, odio, pregiudizi per il diverso e altre nefandezze e iniquità che hanno sempre causato le guerre. 4. Seq. Statue della paura

5. Con facilità le popolazioni hanno creduto ai loro padroni e governanti che dicevano loro che c’era un nemico esterno che minacciava il loro benessere o era responsabile delle loro disgrazie. È sempre più facile credere che ci sia un nemico cattivo che minaccia dall’esterno le popolazioni piuttosto che affrontare i problemi che ci sono all’interno delle comunità, piuttosto che guardarsi negli occhi come pari, cioè come membri uguali della comunità con pari diritti e dignità per affrontare i problemi. E quindi gli esseri umani si fanno la guerra, depredano l’ambiente e lo rendono un deserto, producono grande ricchezza ma anche grande fame, sete e malattie. E così gli ultimi devono sempre scappare. È successo sempre nella storia. Ci sarà mai una fine a questo? Per fortuna c’erano

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pur sempre gli innamorati, i quali, nonostante tutte le avversità, hanno sempre ricominciato d’accapo e ricostruito tutto. Gli innamorati sono sempre stati in grado di ricreare fiducia e coraggio anche in coloro che si erano smarriti, e hanno sempre salvato chi aveva paura. 5. Seq. a): casa/inquilini/terremoto

ditodito verbalizzando: Dove sono? Abbi Fiducia; b): casa/inquilino-terremotodito-dito: Ho Paura! Ti salvo!

6. Troppo spesso però coloro che avevano l’amore nel cuore, loro stessi, hanno dovuto attraversare lunghe strade buie e pericolose. E anche loro, prima di ricominciare, hanno dovuto pur sempre prima ritrovarsi. 6. Seq. Tunnel 2

7. E anche quando, mentre si stavano cercando, si trovavano spersi in grandi masse di diversi si poteva pur sempre avere momenti di tregua e ballare insieme, perché i balli appartengono a tutti gli innamorati e tutte le popolazioni. 7. Seq. Ballo cieco/vedente

8. Succedeva purtroppo però che, durante i tentativi faticosi e difficili del cercarsi e del ritrovarsi degli innamorati, con l’auspicio di poter ricominciare una nuova vita, troppe erano le divisioni, le differenze e i conflitti nelle società. Accadeva così che mentre molti avevano già una occupazione, avevano già trovato una strada da seguire per rifarsi una vita, per cui una nuova comunità pacificata potesse rinascere, allo stesso tempo c’erano molti che non avevano nulla, non trovavano nessuna occupazione o possibilità, e quello che trovavano davanti a loro erano solo muri, muri dappertutto. 8. Seq. due file: sx cade in progress. - dx lavoro catena di montaggio (e cambio ruolo)

9. Così gli innamorati mentre si stavano cercando potevano sentirsi solo a distanza e questo era un vero e proprio strazio. 9. Seq. A coppie sui lati del proscenio: frasi al telefono

10. Inoltre c’era sempre qualcuno che per approfittare di queste situazioni metteva a soqquadro, a subbuglio tutto, così scoppiavano conflitti enormi tra chi aveva già una strada aperta davanti a sé e chi aveva solo muri davanti a sé. 10. Seq. Spingersi l’un l’altro mani/mani

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11. E questo qualcuno riusciva sempre a far credere a coloro che avevano già trovato la propria strada nella vita che la loro fatica era colpa di chi aveva solo muri davanti a sé, e viceversa, a chi aveva solo muri davanti a sé faceva credere che la loro disgrazia era colpa di chi aveva già trovato una propria strada. E questo conflitto era una vera disgrazia. Una cosa che normalmente chiamiamo la guerra tra i poveri. 11. Seq. La battaglia

12. Per fortuna gli innamorati potevano sempre socializzare e fraternizzare i loro problemi sostenendosi a vicenda. 12. Seq. Lo svenimento 1

13. Potevano sempre gli innamorati creare comunità per rivendicare insieme i loro diritti, bisogni e necessità. 13. Seq. Lo sciopero (esprimere i propri bisogni, necessità, desideri, …)

14. Divenuti una nuova comunità finalmente potevano affrontare i loro problemi in un clima di pace e reciprocità, una dimensione molto favorevole per gli innamorati. Ed era bello perché potevano nascere nuovi canti e nuovi balli. 14. Seq. Nuovo canto e ballo tutti insieme

15. Applausi.

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Chi siete e di cosa vi occupate?

Cam Lecce: Io sono attrice di teatro ed esperta di pedagogia teatrale ed artistica, sono sia trainer che formatrice, mascheraia e trampoliere. La mia formazione non deriva da studi accademici ma è stata acquisita in trenta anni di lavoro sul campo sia come attrice in scena, lavorando con diversi gruppi teatrali, e sia come trainer. Naturalmente nel corso degli anni ho avuto premura di approfondire costantemente la mia formazione in campo educativo- pedagogico seguendo corsi, stage e seminari, tenendo attiva e costante la dimensione dello studio e dell’aggiornamento. Ho esperienze nelle arti plastiche e nell'artigianato artistico, a cui mi sono dedicata prima della formazione teatrale e dalle cui esperienze ho derivato la passione e l’interesse per la “processualità insita nei percorsi creativi”, così ho iniziato ad interessarmi al teatro incontrando pressoché subito l’antropologia teatrale che è stata ed è un riferimento fondamentale: tutta la ricerca e lo studio che attengono all’arte dell’attore e alla messa in scena sono una opportunità continua di coscientizzazione e di sensibilizzazione verso se stessi, l’altro e l’ambiente.

Jörg Grünert: Sono scultore, ho diversi tipi di formazione sia quella acccademica, che quella esperienziale da autodidatta o da scambio con altri professionisti. Lavoro con le arti visive fin da adolescente poi più tardi mi sono interessato anche alla performance e questo mi ha portato ad interessarmi anche di teatro.

Perchè vi siete interessati al Teatro Sociale?

Cam Lecce: L'interesse per il Teatro Sociale è una naturale conseguenza di quanto detto prima. All’inizio, molti anni fa, conducevo laboratori in cui trasmettevo soprattutto le tecniche per realizzare maschere in creta e in cartapesta, monili, burattini etc. Poi man mano che le attività espressive coinvolgevano sempre più la dimensione psico-tonica dei partecipanti, come per esempio nei laboratori in cui il corpo e la maschera dovevano entrare in una intima relazione espressiva durante il percorso di mimesis maschera/corpo, nell’osservare come questa esperienza veniva vissuta intensamente dai partecipanti, che indossando la maschera si liberavano delle loro maschere sociali, questa dimensione del laboratorio come luogo di libertà e di accrescimento personale, questa euristica espressiva che contemporaneamente anche io vivevo in quanto attrice e trainer, mi ha portato ad approfondire sempre più il mio percorso di ricerca personale e artistico, per il quale determinante è stato l’incontro con l’artista Jörg Grünert, avvenuto per uno spettacolo di teatro nel 1995. Da questo incontro è iniziata una collaborazione professionale e di vita, che ha ulteriormente incrementato la riflessione intorno alla domanda: “come le tecniche e i metodi del teatro potessero essere utili all’individuo?” Prima conseguenza di questa domanda è statal’esigenza di una sistematizzazione tra i saperi pratici, intuitivi, empiricoesperienziali e i saperi teorici anche non solo in riferimento ai maestri pedagoghi del teatro. Dalle lunghe discussioni e riflessioni sul senso del nostro mestiere, su quale fosse ed è la sua necessità estetica, ho affiancato agli studi sull’arte dell’attore, sul teatro

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didattico e dell’oppresso, anche studi derivanti dalla pedagogia, dall’antropologia, dall’etnografia, dalla psicologia, chiarendomi sempre più il portato emancipatorio dell’uso del teatro nelsociale, come risulta anche dal libro “Teatro come Corpo Sociale e Orizzonte di Diritti Umani”, che ho curato insieme con Jörg Grünert, e in cui sono racchiusi gli atti di un mattino di studio sul Teatro Sociale.

Jörg Grünert: La strada dalla performance al Teatro Sociale è breve realmente, o almeno per me è stato così. La performance, happening o installazione come le svolgevano per esempio Wolf Vostell, Joseph Beuys o Allan Kaprow tendevano ad includere direttamente o indirettamente lo spettatore o fruitore nella processualità dell’opera dell’arte e quindi ad annullare la distanza tra l’atto creativo e la sua percezione esterna, ed era anche inteso come una sorta di “teatro”. Anche l’installazione artistica intesa come “ambientazione”, personalmente uso la parola inglese environment, tende ad includere il fruitore all’interno della processualità artistica, il fruitore non si trova più davanti a un opera o un evento ma all’interno di un organismo artistico perchè espanso come spazio e alle volte anche come tempo - un luogo altro. Per me è stato molto importante lo studio approfondito delle vicende di Joseph Beuys, la cui frase famosa “ognuno è un artista”, naturalmente non vuol dire che tutti sono pittori o attori ecc., ma che la creatività è una facoltà dell’essere umano che ha moltissime implicazioni e non solo artistiche ma forse soprattutto sociali, politiche ed esistenzialiantropologiche che portano subito anche alle grandi questioni di come avviene la formazione dell’essere umano ovvero della pedagogia e dell’educazione. L’idea ecologica di Beuys non è stato mai un mero ambientalismo. Mi ha da sempre anche affascinato la grande esperienza del Teatro Politico di Erwin Piscator, Bertold Brecht, che ha sviluppato già prima della seconda guerra mondiale un “Teatro Didattico” pensato proprio come importante per chi partecipa allo svolgimento drammaturgico e non per chi lo usufruisce come spettatore. Nel Teatro Politico era poi molto importante la macchina scenica, la parte scenografica ovvero la parte delle arti visive nel teatro, che non era più intesa come illustrazione della recita, ma parte fondamentale dello svolgimento drammaturgico stesso, cambiò moltissimo anche la parte attoriale, per dirlo in breve: dall’attore recitante letterario all’attore-performer. Anche il mio lavoro di performer per l’artista Fabio Mauri è stato importante per me e la lista è naturalmente molto prolungabile. Allora qual’è il punto? Ho nominato Beuys e il Teatro Politico degli anni venti per un punto cruciale che per me, anche se i termini sono cambiati, è ancora valido. Le questioni estetiche non sono staccabili dalle questioni etiche, la formula è quella di ‘Arte e Vita’, un terreno molto accidentato. Nella mia vita le questioni sociali, del mondo, la politica, il cambiamento necessario come orizzonte tropologico ed esistenziale sono molto presenti, mi è rimasta sempre l’ingenua e infantile compassione per l’ingiustizia. In un testo programmatico, molto tempo fa, per una performance ho sintetizzato così queste inquietudini: “… non sono veramente un attore più come uno spettatore ma neanche come voi … un teatro senza spettatori. Il teatro accade fuori … e succede dentro di me. Alla fine giocando qui dentro assieme …

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per o contro noi stessi?” Il “fare” Teatro Sociale è una delle mie risposte a questa provocazione.

Quale valenza date all'azione del Teatro Sociale nel panorama artistico?

Cam Lecce: Esibirsi in scena, fare una mostra o condurre un laboratorio di teatro sociale ha per noi la stessa valenza estetica ed etica. In entrambi i casi l’istanza è quella di comunicare e condividere con se stessi, gli altri e l’ambiente circostante narrazioni che attengono alla condizione umana. Scegliere il mestiere dell’arte, dell’attore o dell’artista organico è una scelta di vita, in cui la linea di demarcazione tra privato e pubblico semplicemente non esiste, la nostra vita non è scissa dal nostro mestiere, poiché i diversi ambiti esistenziali sono coinvolti contemporaneamente: dal flusso dell’esperienza, alla quotidianità del laboratorio, alla memoria, alle biografie e al modo di lavorare drammaturgico. L’impegno è costante e paritetico perché per noi lo spazio estetico non è solo il palcoscenico ma anche la palestra o la stanza scolastica, o qualunque luogo, in cui poter ricreare uno spazio/tempo in cui coloro che partecipano sono il materiale vivo e sensibile attraverso cui e con cui si produce, si attua, realizza e racconta l'opera d'arte. Nel laboratorio come trainer non percepiamo la distanza con i partecipanti perchè si crea un processo comunicativo intimo circolare in cui la pratica dell’ascolto attivo e del ritmo interiore di ciascuno sono la possibilità di attraversare un processo capace di creare una opera d'arte collettiva e condivisa che motiva ricercazione e senso, per implementare empowerment e awareness personale e di gruppo.

Jörg Grünert: Perchè non produco soltanto opere, performances, environments e spettacoli? Sarebbe più interessante porre la domanda all’inverso, quale valenza da il Teatro Sociale al panorama artistico, ma sarebbe un lunghissimo discorso anche se molto proficuo. Più che una arte all’interno delle arti, una categoria, penso che il cosidetto Teatro Sociale sia una scelta estetica, un punto di vista, anzi un panorama. Naturalmente poi, come in qualsiasi prassi, ci sono anche specializzazioni tecniche, metodiche e abilità specifiche, non tutti gli artisti possono diventare buoni trainer di pedagogia teatrale ed artistica, e per non essere equivocato, lo dico nel senso che non tutti possono diventare falegnami, insegnanti, etc. Ma il Teatro Sociale si distingue soprattutto per la sua non-spettacolarietà, lavorando perché tutti possano riscoprire la loro creatività, e riconosciuto anche come intervento sociale necessario e diritto formativo anche da istituzioni come l’Unesco, l’orizzonte è quello della partecipazione artistica alla riconversione ecologica complessiva e necessaria delle faccende umane in toto. Ma per me significa anche altro, dentro l’arte. Conosco molte opere, spettacoli, musiche, letteratura etc. magnifici, visionari e necessari, però niente mi rida il senso della libertà e della visione come la dimensione del laboratorio. Nel laboratorio non esiste il potere, non si impone, si fa e basta. Con questo non dico che la produzione artistica “tradizionale” sia diventata obsoleta, anzi il contrario perchè assolutamente necessaria, proprio perché tutti i particolari, le techniche etc. del Teatro Sociale appartengono alle processualità delle arti. Chi conosce la mia opera capisce facilmente

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che il Teatro Sociale è la parte solare della mia processualità artistica e la sua speranza.

Che funzione ha la pratica dei vostri laboratori di pedagogia teatrale ed artistica, cosa accade? Cosa rilevate dalle vostre esperienze?

Cam Lecce: Nel Teatro Sociale ogni partecipante può scoprire le sue attitudini, le sue capacità, se stesso, gli altri, il mondo degli oggetti, la natura, e tanto altro ancora, a seconda delle sue necessità, motivazioni, condizioni e aspirazioni. Il linguaggio artistico e i trainer sono i facilitatori sociali, i promotori che agevolano la scoperta del proprio personaggio nella vita corrente e in relazione alla propria biografia. Nei laboratori accade la stessa cosa che accade per la messa in scena di un copione. Così come l'attore deve fare un lavoro minuzioso e certosino di investigazione sui dettagli della vita del personaggio, mettendosi, poi, in ascolto attivo con gli altri personaggi che fintamente dovrà amare, odiare, detestare, desiderare, come richiesto da copione per ricreare la situazione del dramma nello spazio dichiaratamente finto della scena in cui, per essere spontaneo e vero, dovrà avere totale controllo della sua comunicazione per ricevere gli applausi del pubblico, anche nei laboratori di teatro sociale i processi espressivi seguono la stessa prassi, solo che la matrice da cui si parte, il canovaccio che viene messo in scena deriva dai vissuti dei partecipanti, che possono così investigare se stessi come fossero dei personaggi, e così facendo promuovono un percorso di auto-consapevolezza e coscientizzazione che offre a ciascuno la possibilità di trovare, tramite l’immaginario, nuovi punti di vista nuove soluzioni creative ed intuitive con cui vedere e leggere gli accadimenti della narrazione. Il Teatro Sociale è il luogo dove ciascuno può sperimentare se stesso in una orizzontalità di relazioni dove tutti i partecipanti sono in una posizione circolare che pone in essere i quattro beni relazionali di cui parla il Professor Sciarra nel libro già citato: “Teatro come Corpo Sociale e Orizzonte di Diritti Umani”. Jörg Grünert: Anche qui forse posso rispondere invertendo la domanda. È chiaro ed indispensabile che la sociologia chieda al Teatro Sociale il suo funzionamento, la sua funzione e utilità nel e per il sociale, ed è chiaro che il fulcro di intenti, e i risultati del Teatro Sociale sono eccelenti e promettenti per poter affermare la sua necessità nell’orizzonte della formazione presente e futura della comunità umana, il laboratorio, fatto in un determinato modo, ha una potenzialità emancipatoria e disalienante per l’essere umano, indispensabile in una società deritualizzata, anche se questa società produce surrogati di riti e di culti in continuazione e in quantità straordinaria e insostenibile per l’essere umano. Il Teatro Sociale nasce da una problematica artistica tutta sua. Quindi per me è una domanda necessaria chiedermi: cosa succede a me in un laboratorio? E quale esperienza suscita su di me personalmente ed artisticamente? L’arte tutta quando ha perso la sua aura cultuale nell’era dell’industrializzazione e dello sviluppo tecnologico ha dovuto interrogarsi continuamente su quale fosse e sia il suo posto nel mondo e se abbia senso produrla. È in questo panorama che sorgono “produzioni” legate a nomi come Artaud, Grotowski, Brecht, Beuys e tanti altri che si concentrano tutti sulla processualità e sui fondamenti antropologici delle arti, delle sue forme e dei suoi contenuti, e dell’artista stesso, e non

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ultimo, queste “produzioni” sono legate indissolubilmente alla politica dell’umanità. Tornando a me il laboratorio rivela la mia processualità artistica, nel senso letterale, conduco un laboratorio come scolpiscouna pietra o elaboro una performance, lavoro sul mio me stesso così come facilito questo processo per gli altri, da cui nasce “la scultura sociale”. Il laboratorio rivela inoltre la mia posizione politica nel mondo, il laboratorio si rivolge a me o a un noi come crisi e critica umana tout court, non è gratuito, la fenice deve bruciare per risorgere, per quale motivo si dovrebbe intraprenderlo altrimenti? Finisco con un esempio piccolo. Quando i bambini della “Don Milani” all’inizio della spettacolazione sono riusciti da soli a risolvere, in un circle time autogestito, un problema inaspettato, da fuori poteva sembrare che non accadeva nulla di staordinario, ma per me che conosco la situazione invece stava accadendo che loro erano riusciti a superare le barriere invisibili del loro status di confliggenti come gruppo classe, e a gestire in modo adeguato la situazione e trovare una soluzione al problema inaspettato in modo condiviso ed orizzontale. Sono stato commosso da questo. Ma il punto è che quello che stava accadendo in quel momento tra i bambini poteva sembrare del tutto normale allo stesso modo in cui pensiamo che certi conflitti siano irrisolvibili, perché in pochi ci chiediamo quali e quante sono le barriere invisibili nascoste nel quotidiano delle nostre relazioni sociali e del nostro essere psicotonici che generano conflitti e problemi che rendono difficile assumere altri punti di vista con cui guardare il contesto.

Prospettive per il futuro?

Cam Lecce: Il più grande desiderio è quello di diffondere le pratiche del Teatro Sociale perché come diceva Gianni Rodari: “Non tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”. Siamo fermamente convinti del valore sociale del Teatro, dell’Arte e della Cultura, strumenti di umanità, reciprocità e araldi di diritti umani. È auspicabile che anche le Istituzioni e la Società Civile intuiscano quale sia il portato della Cultura nella vita dell’essere umano e che presto predispongano maggiori opportunità per la bellezza che può salvare il mondo! Jörg Grünert: Mi auguro ciò che ha detto Cam. Sono convinto che il Teatro Sociale debba entrare nella formazione dell’essere umano e che sia importante per le società complesse in cui viviamo. Penso anche che il Teatro Sociale è ancora più importante per profili professionali che hanno a che fare con il sociale e l’istruzione, l’effettomoltiplicatore è evidente..

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