Rivista Siti - Ottobre-Dicembre 2009

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Undici siti cultuali, due naturali e una cancellazione ~

Beni culturali e innovazione tecnologica ~

Patrimonio mondiale e pace ~

La rinascita di Punta della Dogana ~

I piani di gestione Unesco ~

La raccolta d’arte di Fondazione Cariplo ~

Camminare sull’acqua: la penisola di Boscoforte ~

Vacanze in fattoria ~

Alla scoperta della Valnerina ~

La crisi non va in crociera ~

Dal restauro del paesaggio ad una nuova economia verde ~

Il cimitero paleocristiano di Pécs ~

Tarquinia, la “Via dei Principi” ~

Calde, preziose, dolci acque... ~

Spazi e paesaggi dei Campi Flegrei ~

Il galateo museale

SITI – anno quinto numero quattro – periodico trimestrale – ott/dic 2009 – Poste Italiane S.P.A. – Spedizione in abbonamento postale – D L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1, comma 1, DCB Ferrara

Tesoro italiano, turismo e “Gran Tour”

SITI • OTTOBRE/DICEMBRE 2009 • ANNO QUINTO • NUMERO QUATTRO

SITI • anno quinto • numero quattro

ottobre/dicembre 2009 • anno quinto • numero quattro

TRIMESTRALE DI ATTUALITÀ E POLITICA CULTURALE

Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale

UNESCO


Siti Trimestrale di attualità e politica culturale dell’Associazione città e siti italiani patrimonio mondiale Unesco ottobre/dicembre 2009 • anno quinto • numero quattro (diciotto) Sede: Piazza del Municipio, 2 44100 Ferrara tel. 0532 419903 fax 0532 419909 redazione@sitiunesco.it www.sitiunesco.it Direttore responsabile Fausto Natali Redazione Adriano Cioci, Maria Cristina Favero, Mara Fustini, Paola Giovannini, Roberto Vitali, Arianna Zanelli Hanno collaborato a questo numero Tadao Ando, Francesco Badia, Annalisa Baldinelli, Paolo Bolzani, Marta Campagna, Luigi Centola, Alessandro Ciambrone, Patrizia Dal Zotto, Giorgio Lo Surdo, Alessandro Mandolesi, Andrea Tebaldi, Maria Clotilde Sciaudone, Monique Veaute, Francesca Velani, Pier Mario Vello Autorizzazione del Tribunale di Ferrara n. 2 del 16/02/05 Impianti e stampa SATE Industria Grafica Via Cesare Goretti, 88 – Ferrara Si ringraziano Comuni, Province e Regioni per l’invio dei testi e del materiale fotografico. Crediti fotografici Ufficio stampa MSC Crociere, Luigi Centola, Palazzo Grassi S.p.A - Foto: Andrea Temolo - Foto: ORCH, orsenigo_chemollo, Comune di Ferrara, Luigi Filatici, Adriano Cioci, Archivio fotografico Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale Unesco, Promo P.A. Fondazione, Alessandro Ciambrone, Costanza De Simone, Fondazione Cariplo, Parco del Delta del Po, Agriturist, Patrizia Dal Zotto, Giuseppe Sergi, Comune di Tarquinia L’editore è a disposizione degli aventi diritto per quanto riguarda eventuali illustrazioni non individuate. In copertina: Roma, il Colosseo

AUTORI E INTERLOCUTORI Paolo Bolzani – Architetto. Docente di Museologia Archeologica presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna. Numerose le pubbblicazioni al suo attivo (Iscrizioni devozionali a Ravenna - 1990; La Cascina delle Mandriole - 2002, Idea di Ravenna - 2005) i restauri conservativi (Teatro Sociale di Piangipane - 2005-2007), gli allestimenti museali (Domus dei Tappeti di Pietra - 19972002, Museo Archeologico e d’Arte “Don Mambrini” a Pianetto - 2001-2004, NatuRa, Museo Ravennate di Scienze Naturali e Centro Visite del Parco del Delta del Po nel Palazzone di Sant’Alberto - 2003-2005) e le mostre (Ceramicamosaico - 2005, Domus del Triclinio - 2003, Convivium - 2005, Santi Banchieri e Re - 2006, Felix Ravenna -2007, Otium - 2008, Otium Ludens - 2009. Marta Campagna – Laureanda in archeologia all’Università degli Studi di Torino, con una tesi sulla valorizzazione del patrimonio archeologico delle necropoli etrusche di Tarquinia e Cerveteri. Cura e svolge progetti didattici all’interno di importanti complessi museali del Piemonte. Luigi Centola – Architetto. Master Architectural Association di Londra nel 1996 e borsa Fulbright nel 1998. Dal 2000 è editore di Newitalianblood.com, portale interattivo di architettura, paesaggio, design e arti visive. Insegna progettazione all’Università di Ferrara. Nel 2001 ha fondato lo studio Centola & Associati con sedi a Roma e Salerno. C&A ha in via di realizzazione masterplan e progetti in tutta Italia, ha vinto i concorsi per la sistemazione paesaggistica della Banca Europea a Lussemburgo, il museo di arte contemporanea a Castelmola, il centro culturale giovanile presso l’ex mattatoio a Roma, il parco vulcanico e la stazione turistica Etna Nord a Linguaglossa. Alessandro Ciambrone – Architetto. Vincitore nel 1998 del concorso nazionale “Qualità del Patrimonio Edilizio Postale”. Unico premiato in Italia della “Fulbright Thomas Foglietta 2003-04 - California University” per un progetto di sviluppo economico del mezzogiorno. Vincitore di uno dei cinque master al mondo UNESCO in “Management del Patrimonio dell’Umanità - University College Dublin”. Vice Presidente Club UNESCO Caserta e Rappresentante Internazionale della Federazione Araba dei Club UNESCO. Organizzatore del Forum Mondiale dei Club UNESCO in Egitto (2009) e Yemen (2010). Patrizia Dal Zotto – Laureata in Conservazione dei Beni Culturali all’Università di Udine. Ha vissuto tre anni a Budapest, dove ha insegnato italiano all’Università e ha collaborato con il Museo di Belle Arti, viaggiando in lungo e in largo per l’intera Ungheria. Si occupa di ricerche storico-artistiche e di Grande Guerra, privilegiando l’area ungherese; collabora con istituzioni culturali nel settore didattico. Giorgio Lo Surdo – Laureato in Scienze Agrarie. Dal 1980 è direttore nazionale di Agriturist, associazione agrituristica della Confagricoltura, e cura studi, ricerche, attività promozionali e formative nel campo del turismo rurale, le produzioni agroalimentari tipiche, la protezione ambientale, la cultura contadina. Alessandro Mandolesi – Archeologo e docente di Etruscologia e Antichità italiche all’Università degli Studi di Torino. Si occupa di valorizzazione dei beni archeologici e museali. È autore di numerose pubblicazioni sulla formazione della civiltà etrusca e sul patrimonio archeologico nazionale. Maria Clotilde Sciaudone – Docente di Geografia economico-politica per il corso di laurea in Scienze Organizzative e gestionali dell’Università della Tuscia. Membro del gruppo di lavoro per l’elaborazione del Piano di sviluppo socio-economico della Provincia di Caserta. Ha partecipato a diversi progetti di ricerca finanziati da CNR e MURST. Nell’attività scientifica si è anche occupata del centro storico di Salerno, del Sistema Informativo Geografico del centro storico di Benevento, del sistema ambientale e territoriale della Provincia di Caserta e del sistema turistico casertano. Monique Veaute – Giornalista, si distingue per la creazione della sezione musica della Biennale di Parigi, per l’apertura della Grande Halle alla Villette e per aver partecipato alla creazione del Festival Musica di Strasburgo. In Italia arriva su richiesta del Direttore di Villa Medici, a Roma dove crea il Festival di Villa Medici, diventando successivamente Direttore Artistico della Fondazione Romaeuropa - arte e cultura. Fino al 2007 ha la carica di Direttore Generale, oggi é Vicepresidente. Da settembre 2007 è Direttore e Amministratore delegato di Palazzo Grassi. E’ stata insignita del titolo di Chevalier des Arts et des Lettres, ma anche di Cavaliere al merito della Repubblica Italiana. Francesca Velani – Laureata in Storia dell’Architettura Moderna, è Consigliere Delegato per i Beni Culturali e Turismo della Promo P.A. Fondazione. Si occupa in particolare del management pubblico applicato alla filiera beni culturali-turismo-tecnologia, organizzando eventi che promuovono la valorizzazione dei beni culturali, anche in collaborazione con il MiBAC e numerosi enti pubblici in tutta Italia. Pier Mario Vello – Segretario Generale della Fondazione Cariplo dal febbraio 2006. Formazione umanistica, un master in economia e gestione aziendale alla Bocconi di Milano, Vello ha ricoperto, nella sua carriera, posizioni dirigenziali in aziende di rilevanza internazionale, fino a ricoprire la carica di Chief Executive Officer e direttore generale di importanti società italiane della distribuzione.


SITI • SOMMARIO

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Editoriale Tesoro italiano, turismo e “Gran Tour” dei Siti Unesco di Claudio Ricci

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Bell’Italia Alla scoperta della Valnerina Una terra dove la natura conserva il sapore di un tempo di Adriano Cioci

6 World Heritage List Undici siti cultuali, due naturali e una cancellazione Le decisioni del Comitato del Patrimonio Mondiale di Andrea Tebaldi

54 L’approfondimento La crisi non va in crociera Il turismo croceristico procede a gonfie vele di Fausto Natali

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Primo Piano Beni culturali e innovazione tecnologica Al Lu.Be.C. 2009 interventono gli esperti di Francesca Velani

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World Forum of Unesco Clubs Patrimonio mondiale e pace Il primo forum internazionale dei clubs Unesco di Alessandro Ciambrone

58 Progetti Dal restauro del paesaggio ad una nuova economia verde Il progetto del Biovallo in Campania di Luigi Centola

22 Venezia La rinascita di Punta della Dogana Il restauro dell’antica “Dogana da mar” di Monique Veaute 28

In evidenza I Piani di Gestione Unesco Un’analisi sulla loro redazione ed applicazione di Francesco Badia

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Focus La raccolta d’arte di Fondazione Cariplo Il progetto Artgate approda su Internet di Pier Mario Vello

40 Parco del Delta del Po Camminare sull’acqua: la penisola di Boscoforte Alla scoperta di una della più suggestive oasi italiane di Paolo Bolzani 46 L’intervento Vacanze in fattoria Agriturismo: felice sintesi di conservazione e sviluppo di Giorgio Lo Surdo

62 Reportage Il cimitero paleocristiano di Pécs Un importante sito archeologico al centro della città ungherese di Pécs, l’antica Sopianae romana di Patrizia Dal Zotto 66

Tarquinia La “Via dei Principi” Un inatteso itinerario archeologico fra le necropoli di Alessandro Mandolesi e Marta Campagna

70 L’analisi Calde, preziose, dolci acque... Alla riscoperta dei poteri delle acque termali di Annalisa Baldinelli 74

Itinerari Spazi e paesaggi dei Campi Flegrei Natura primitiva e vestigia del passato di Maria Clotilde Sciaudone

78 Il Puntaspilli Galateo museale Dieci semplici regole per fruire dei luoghi della cultura 80 Brevi Notizie dall’Italia e dal mondo

Cari lettori, il lungo rodaggio nella redazione di SITI mi fa considerare l’incarico di direttore, che mi viene affidato da questo numero, poco più di una formalità imposta dalle leggi sull’editoria. Per niente formale è, invece, il mio sincero ringraziamento a Sergio Gessi, che lascia la direzione della rivista dopo averla ideata e fermamente sostenuta. Il suo impegno e la sua passione serviranno da stimolo a tutta la redazione per continuare a pubblicare una rivista che nel volgere di pochi anni si è ritagliata un ruolo di primo piano nel panorama culturale italiano. Buona lettura. Fausto Natali


EDITORIALE

TESORO ITALIANO, TURISMO E “GRAN TOUR” DEI SITI UNESCO di CLAUDIO RICCI Presidente Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale Unesco

La Val d’Orcia

niziamo da alcuni numeri, che “racchiudono” molti pensieri. In Italia ci sono (circa): 7.400 chilometri di spiagge (il 68% balneabili), 2.000 siti archeologici, 4.500 fra santuari e monasteri, 100.000 chiese, 45.000 castelli e giardini, 30.000 dimore storiche, 20.000 centri storici, 3.200 musei, 16.000 biblioteche e (dopo il recente inserimento, nella Lista, delle Dolomiti) 44 Siti dichiarati “Patrimonio Mondiale” UNESCO. Abbiamo molto, un vero “tesoro italiano”, ma non moltissimo. Infatti il dato (oscillante in relazione alle “fonti”) che in Italia avremmo “oltre” il 60% dei beni culturali del Mondo “non è corretto”. L’equivoco nasce perché qualche anno fa l’UNESCO dedicò una parte, “molto rilevante”, delle risorse di un anno, all’Italia (da qui l’idea, “fantasiosa”, del 60%). Una percentuale più realistica è, invece, attestata al 5-10%. I 44 Siti italiani “Patrimonio Mondiale” UNESCO possono svolgere, vista la loro notorietà internazionale, un “ruolo determinante” per la promozione del “marchio Italia”, con l’intero “tesoro italiano”, all’estero. Anche in una Regione la presenza di Siti UNESCO è “fondamentale” per la promozione dell’intera Regione (o di un “vasto territorio”). Quello descritto anche se è un concetto di Marketing “semplice” (utilizzare la marca-bene culturale più nota per promuovere tutti i beni dell’area) è, spesso, disatteso. Per questo è importante che nei Piani di Gestione (strumenti di tutela e valorizzazione), dei Siti “Patrimonio Mondiale” UNESCO italiani, sia “messo in grande evidenza” il ruolo trainante, sul piano culturale e turistico ed economico, che questi luoghi possono svolgere per una “ampia area”. Di converso i tanti beni culturali e ambientali italiani dovrebbero “collegarsi” (con “specifici” Piani di Gestione), in termini di Marketing, ai Siti UNESCO più vicini e facilmente raggiungibili (una specie di co-marketing culturale). Ultimo aspetto: in questo periodo di flessione del turismo internazionale i flussi degli “italiani in Italia” aumenteranno (secondo i dati “parziali”) di oltre il 6%. Nella sostanza “saranno gli italiani a salvare il turismo italiano”. È, quindi, giunto il momento di “lanciare” l’idea di un “Gran Tour Italiano” (insegnandolo anche nelle Scuole) in modo che, “nell’arco della vita di ognuno di noi”, si possano visitare tutti i Siti UNESCO italiani (in ogni Sito, come nelle “tappe” dei pellegrinaggi, si dovrebbe acquisire un “visto di presenza” nel Sito UNESCO) e, con loro, qualcuno dei tanti beni culturali e ambientali italiani “minori”, ma solo nel nome.


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SIVIGLIA 2009: LE DECISIONI DELLA 33A SESSIONE DEL COMITATO DEL PATRIMONIO MONDIALE

UNDICI SITI CULTURALI, DUE NATURALI E UNA DOLOROSA CANCELLAZIONE di ANDREA TEBALDI ono tredici i nuovi siti iscritti nella World Heritage List nel corso della 33esima sessione del Comitato del Patrimonio mondiale riunitosi recentemente a Siviglia. Di questi tredici due sono siti naturali (il Mare di Wadden e le Dolomiti) e undici sono culturali. Dal punto di vista geografico va evidenziata la consueta prevalenza di presenze europee, ben

Le Dolomiti

sei, seguite da quelle asiatiche (quattro), africane (due) e da un’unica rappresentanza americana. Nella sessione spagnola è stata assunta anche una decisione storica: per la seconda volta (unico precedente il Santuario dell’Orice in Oman) è stato rimosso un sito dalla lista. Si tratta della “Valle dell’Elba a Dresda”, in Germania, che “non ha saputo conservare il valore universale eccezionale in seguito alla costruzione di un ponte nel cuore di questo paesaggio

culturale”. In virtù di queste decisioni la Lista Unesco ora comprende in totale 890 siti (689 culturali, 176 naturali e 25 misti). Il Comitato ha provveduto, inoltre, ad iscrivere tre nuovi siti nella Danger List (beni in pericolo che vengono inseriti in questa lista speciale per tenerli sotto osservazione): si tratta del Parco Nazionale de Los Katios (Colombia), dei Monumenti storici di Mtskhata (Georgia) e del Barrier Reef Reserve System in Belize. Mentre “i progressi realizzati in materia di conservazione e i miglioramenti della gestione” della Città fortificata di Baku (Azerbaijan) hanno consentito al Comitato di ritirare questo sito dalla Lista del patrimonio in pericolo. Sempre nella stessa sessione, sono state approvate anche tre estensioni di siti già presenti nella Lista del patrimonio mondiale: sono la Grande Salina di Salins-les-Bains (Francia), il Parco Naturale Tubbataha Reefs (Filippine) e il centro storico di Levoča (Slovacchia). Andiamo ora a conoscere i nuovi nati della famiglia Unesco con una breve descrizione di ognuno e con

i relativi criteri di ammissione . 1) Il mare di Wadden – Germania e Olanda (criteri 8, 9, 10) Il sito comprende l’area di conservazione della parte olandese del mare di Wadden e alcuni parchi nazionali tedeschi. L’ecosistema temperato di zone umide costiere è frutto di interazioni di fattori fisici e biologici. L’ambiente ospita numerose specie di piante e di animali, tra cui mammiferi marini come la foca. E’ un luogo di riproduzione e di svernamento per più di 12 milioni di uccelli all’anno. E’ uno degli ultimi ecosistemi in cui i processi naturali avvengono ancora in maniera pressochè indisturbata. 2) Le Dolomiti – Italia (criteri 7, 8) Questa catena di montagne nel nord delle Alpi Italiane conta diciotto vette di più di 3.000 metri e si estende su ben 141.903 ettari. Il sito costituisce uno dei più bei paesaggi di montagna del mondo, caratterizzato da muraglie verticali, ripide falesie e una forte densità di vallate strette e lunghe. Il sito comprende molteplici esempi di questi paesaggi spettacolari diversi. Si trovano anche rilievi glaciali e sistemi carsici. Il sito si caratterizza


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anche per processi dinamici con esempi di smottamenti e valanghe. La celebrazione ufficiale si è svolta il 25 agosto ad Auronzo di Cadore alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano. 3) Il palazzo Stoclet – Belgio (criteri 1, 2) Il palazzo è stato concepito nel 1905, su domanda del banchiere Adolphe Stoclet, da uno dei principali architetti del movimento artistico della secessione viennese Josef Hoffman. Il palazzo e il giardino, terminati nel 1911, rappresentano un cambiamento radicale annunciando l’Art Deco e il movimento modernista in architettura. Il palazzo testimonia il rinnovamento artistico dell’architettura europea, presenta un alto livello di integrità sia esternamente che internamente dove si caratterizza anche per mobili e oggetti originali. 4) Le Rovine di Loropéni – Burkina Faso (criterio 3) Questo primo sito iscritto del Burkina Faso con le sue alte mura si estende su 11.130 metri quadri. E’ la meglio conservata delle 10 fortezze della regione del Lobi: le rovine sono situate alle frontiere con Togo e Ghana. Il sito riflette la potenza del commercio transahariano dell’oro. Gli ambienti vennero occupati dai Lohron e dai Koulango che controllavano estrazione e trasformazione nella regione. Il sito è stato spesso abbandonato ed è ancora avvolto da molti misteri che dovranno essere scoperti. 5) La Cidade Velha, centro storico di Ribeira Grande – Capo Verde (criteri 2, 3, 6) La città di Ribeira Grande, ribattezzata “Cidade Velha” alla fine del 18esimo secolo, è stata la prima città coloniale costruita dagli Europei ai Tropici. Situata a Sud dell’isola di Santiago, la città conserva una parte delle proprie caratteristiche come i tracciati viari e importanti vestigia tra cui due chiese, una fortezza reale e piazza Pillory che si caratterizza per la sua colonna di marmo del sedicesimo secolo. 6) Il monte Wutai – Cina (criteri 2, 3, 4, 6) Il monte

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Wutai con i suoi cinque altopiani è una delle montagne sacre al Buddismo. Questo paesaggio culturale conta 53 monasteri, include la Grande sala orientale del tempio di Foguang, il più alto degli edifici della dinastia Tang che sia sopravvissuto con le sue sculture di argilla e il tempio di Shuxiang della dinastia Ming con oltre 500 statue. Gli edifici rappresentano lo sviluppo dell’architettura buddista e influenzarono le costruzioni di palazzi in Cina per un millennio. Il Wutai è la più alta montagna del Nord della Cina. 7) Lo storico sistema idraulico di Shushtar – Iran (criteri 1, 2, 5) Quest’opera è stata intrapresa da Dario Il Grande nel V secolo a.C. Si tratta di due grandi canali di derivazione delle acque del Kârun. Uno di questi, il canale Gargar, fornisce ancora oggi l’acqua alla città di Shustar tramite una serie di tunnel e fa funzionare i mulini. L’acqua cade in cascate prima di entrare nella città in cui ha permesso lo sviluppo di terreni agricoli su una superificie di 40.000 ettari chiamata Mianaâb. Nel sito è compreso il castello Salâsel, centro di controllo del sistema idraulico. 8) La montagna sacra di Sulaimain-Too – Kirghizstan (criteri 3, 6) Il sito domina il paesaggio della Valle del Fergana e forma lo sfondo della città di Osh. Per oltre un millennio Sulamain-Too è stata un faro per i viaggiatori, una montagna sacra venerata da tutti. Ci sono numerosi antichi luoghi di culto, grotte e moschee. Sul sito sono state recensite 101 aree con immagini rappresentanti uomini, animali e forme geometriche. E’ un perfetto esempio di montagna sacra: il sito ha luoghi di culto associati a credenze legate a guarigioni e all’aumento della longevità. 9) La città sacra di Caral-Supe – Perù (criteri 2, 3, 4) Questo sito archeologico si estende su 626 ettari su un altopiano desertico che dà sulla valle di Supe. Risale al periodo Arcaico tardivo (5.000 anni fa) ed è il più vecchio esempio di questo tipo nelle Ame-

Il Tempio di Shuxiang sul Monte Wutai - Cina


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riche. È un sito che si caratterizza per la complessità degli elementi architetturali e spaziali. Caral è solo uno dei 18 stabilimenti urbani della zona: strutture piramidali e gruppo residenziale di élite sono testimonianza di funzioni cerimoniali traducendo una potenza di ideologia religiosa. 10) Le tombe reali della Dinastia Joseon – Corea (criteri 3, 4, 6) Questo insieme di 40 tombe è suddiviso in 18 luoghi diversi. Costruite in oltre 5 secoli, dal 1408 al 1966, le tombe onorano la memoria degli antenati, salutano i loro successi, consolidano l’autorità reale

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e offrono protezione contro il vandalismo. Sono orientate verso Sud di fronte ad un corso d’acqua. Oltre alla zona funeraria ci sono anche dei santuari ed edifici associati, parte integrante delle tombe. L’esterno delle tombe è ornato con oggetti in pietra con rappresentazioni umane e di animali. 11) La torre di Ercole – Spagna (criterio 3) Il “Farum Brigantium”, chiamato oggi Torre di Hercules, è stato costruito dai Romani alla fine del 1° secolo d.C. all’ingresso di La Coruna. Il faro monumentale di 55

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metri è costruito su una roccia di 57 metri. La torre si alza su tre livelli sempre più ristretti. Alla base si trova una piccola costruzione romana rettangolare. Il sito comprende anche un parco con sculture e un cimitero musulmano. Si tratta del solo faro dell’antichità greco-romana autenticamente conservato e sempre in attività. 12) L’urbanistica “orologiaia” di La Chauxde-Fonds / Le Locle – Svizzera (criterio 4) Nelle montagne dello Jura, le due città rappresentano uno sviluppo urbano originale e funzionale alla produzione di orologi. Pianificate all’inizio del 19 secolo, le città sono interamente destinate alla produzione orologiaia, la cui tradizione risale al 17 secolo ed è viva ancora oggi. Il sito è un esempio di città ordinata da un’attività mono-industriale con una pianificazione urbana che si

Il ponte-canale Pontcysyllte – Gran Bretagna

è saputa adattare ai cambiamenti avvenuti, nel corso dei secoli, nella tipologia di produzione. 13) Il ponte-canale e Canale Pontcysyllte – Gran Bretagna (criteri 1, 2, 4) Situato nel Nord-Est del Galles, il sito rappresenta uno dei massimi livelli del genio civile della Rivoluzione Industriale. Concluso a inizio del 19esimo secolo il canale consente di superare difficoltà geografiche. Il ponte-canale, concepito dall’ingegnere Thomas Telford è pionieristico per le sue scelte tecnologiche, con archi leggeri e resistenti che conferiscono al ponte un aspetto monumentale ed elegante. È un progetto innovatore che ne ha ispirati molti di similari nel mondo. Note

Le Rovine di Loropéni – Burkina Faso

La torre di Ercole – Spagna

1. Si veda A. Tebaldi, Dieci criteri per quaranta meraviglie, SITI, anno I numero 2


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CULTURA, TECNOLOGIA E SVILUPPO ECONOMICO: AL LU.BE.C. 2009 INTERVENGONO GLI ESPERTI DEL SETTORE

BENI CULTURALI E INNOVAZIONE TECNOLOGICA: UN BINOMIO VINCENTE di FRANCESCA VELANI Consigliere Delegato Beni Culturali, Turismo e Marketing Territoriale Promo P.A. Fondazione l binomio beni culturali/tecnologia si costituisce come parte integrante delle politiche di sviluppo, sia nazionali, sia comunitarie. La tecnologia, infatti, è uno strumento atto a sostenere il miglioramento, la valorizzazione, la promozione e la fruizione del territorio, oltre che a coadiuvare l’individuazione delle tipologie di “turismo” adatte a realizzare un efficiente coordinamento progettuale, controllare la redistribuzione dei flussi e sviluppare sistemi di implementazione della conoscenza. La valorizzazione dei beni culturali passa, dunque, anche dall’innovazione tecnologica, che può costituirsi come valido terreno d’incontro tra enti locali, musei, istituzioni, università ed aziende per promuovere progetti da realizzare in partenariato. Ma l’innovazione tecnologica è anche un moltiplicatore delle potenzialità di attrazione del nostro immenso patrimonio culturale, una strada sulla quale si stanno muovendo molti enti locali per coinvolgere le nuove generazioni, ed è altresì uno strumento per la razionalizzazione e redistribuzione dei flussi turistici. Dai portali georeferenziati che consentono di ricercare e muoversi tra le informazioni di carattere turistico-

culturale con ortofoto mappe e immagini satellitari, fino ai totem informativi collegati wireless con lettori mp3, per arrivare ai sistemi su mobile, come M-Tour una guida disponibile per adesso sui territori di Treviso, Lucca e Pisa realizzata da Promo PA Fondazione e Liberologico con il supporto di Arcus. M-Tour consente la fruizione delle informazioni in libero movimento e si costituisce contemporaneamente come esempio di successo di collaborazione pubblico privato. E’, insomma, evidente che la filiera tecnologia – beni culturali – turismo può rappresentare per l’Italia la combinazione vincente e trainante per un ottimale impiego degli strumenti e delle risorse disponibili. In questo quadro si inserisce Lu.Be.C. – Lucca Beni Culturali – convegni e rassegna espositiva sulla valorizzazione dei beni culturali per lo sviluppo economico territoriale, che si svolgerà al Real Collegio di Lucca il 22 e 23 ottobre 2009. Lu.Be.C. rappresenta il palcoscenico ideale, dove relazioni di carattere istituzionale e di indirizzo strategico si alternano a presentazioni di best practices, coinvolgendo gli operatori consapevoli della necessità di una riforma delle procedure tradizionali e di un aggiornamento continuo delle professionalità.

Il chiostro del Real Collegio di Lucca


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Quale valuta sia la ricaduta dell’investimento in cultura come leva per lo sviluppo economico? Alberto Versace Dirigente del Ministero per lo sviluppo economico La ricaduta è senz’altro alta, con particolare riferimento al sud. A tale proposito il Ministero dello Sviluppo Economico dal 2004 ha lanciato il progetto Sensi Contemporanei, insieme al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, partendo dalla “provocazione” che il sud dedichi molte risorse a valorizzare il passato ma poche a sviluppare il contemporaneo. Alla base c’è l’idea che la cultura sia un fattore di crescita economica ed essenziale per la promozione dello sviluppo territoriale. La prima edizione di Sensi Contemporanei ha previsto dieci mostre di arte contemporanea, con la collaborazione della Biennale di Venezia, in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, seguite da altre in siti archeologici. E’stato lanciato il cinema in Sicilia con la nascita a Termini Imerese degli studios e supportata la Apulia Film Commission in Puglia, che ha promosso l’iniziativa “Teatri abitati. Residenze Teatrali in Puglia”, promuovendo spettacolo e partecipazione del pubblico e creando relazione: stage, selezione di artisti, incontri, workshop. In Basilicata, inoltre, si sta procedendo alla valorizzazione della cineteca lucana di Oppido Lucano, una delle più importanti e meno note cineteche italiane che raccontano la storia del cinema. Paolo Cocchi, Assessore alla Cultura della Regione Toscana Credo che occorra da parte di tutti un impegno maggiore per accrescere la consapevolezza del legame inscindibile tra investimento in cultura e sviluppo economico. Il dato non è affatto scontato. Prevale ancora una visione riduttiva della questione. Si pensa che il rapporto si esaurisca nei termini del contributo che il consumo culturale, dalla lettura di un libro alla visita di un museo, può dare al fatturato economico. Il rapporto è, invece, più profondo. La cultura arricchisce il capitale umano, indispensabile allo sviluppo

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complessivo. La società dell’informazione richiede sempre più conoscenza, capacità di leggere il presente, creatività. La cultura concorre alla crescita dei singoli, in tutto l’arco della vita. Oggi occorrono non solo livelli diffusi e alti di istruzione, ma anche menti curiose, aperte al nuovo, facoltà che possono essere sviluppate con un dialogo costante e motivato con la cultura. Due esempi testimoniano, a parer mio, l’importanza di questo legame. Il dato che accomuna le prime aziende industriali nel mondo è quello di disporre di una biblioteca. Tra le prime preoccupazioni di un paese africano, tra i più poveri del mondo, dopo una guerra ventennale, è stata quella di realizzare un museo nazionale. Sono casi che dovrebbero farci riflettere. Fiorenzo Alfieri Assessore alla Cultura della Città di Torino Investire in cultura significa produrre valore, creare posti di lavoro, attirare risorse nuove. A Torino abbiamo avviato da qualche anno un programma di ricerca insieme all’Università per misurare il valore economico prodotto dalla cultura sul nostro territorio. L’ultimo rapporto stima in oltre 2.000 milioni di euro il fatturato totale del settore. Si tratta di dati a cui guardare con grande attenzione, con due avvertenze. La prima è che la valutazione dell’impatto economico di un’iniziativa non deve trasformarsi in un indicatore di bontà della stessa: sviluppare direttamente economia è solo una delle funzioni delle politiche culturali, che devono al contempo rispondere alle esigenze dei cittadini in termini di servizi, opportunità di conoscenza, crescita, formazione. Molto spesso, inoltre, la cultura è strumento per la coesione sociale. Il secondo accorgimento consiste nel tenere presente che il contributo della cultura allo sviluppo economico di un territorio non sta solo nella sua ricaduta diretta e misurabile, ma soprattutto nel messaggio che si intende mandare all’esterno, un messaggio positivo di rilancio, fiducia e stima, che solo il linguaggio della cultura sa trasmettere in modo rapido ed efficace.

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Luca Sbrilli Presidente della Parchi Val di Cornia La Parchi Val di Cornia SpA è una società pubblica, il cui azionariato è di proprietà dei comuni di Piombino, Campiglia M.ma, San Vincenzo Sassetta e Suvereto e della Provincia di Livorno. E’ un’impresa culturale con la missione statuaria di gestire in modo integrato il patrimonio storicoculturale ed ambientale del territorio. Dal 1993 ad oggi, la società si è fortemente sviluppata sino a comprendere 3 complessi museali, un parco archeologico, un parco archeominerario e 4 parchi naturalistici. La società, con il suo operato di valorizzazione del patrimonio storico e ambientale, sviluppa un turismo culturale sostenibile e promuove una nuova immagine del territorio, non più legata alla grande industria siderurgica. La società, attraverso la bigliettazione, concessioni e parcheggi, raggiunge una quota di autofinanziamento che da 5 anni è stabilizzata oltre il 94%. Per gestire il patrimonio, i cinque comuni spendono ogni anno una cifra pari a 425.000 euro, determinando una ricaduta sul territorio in termini di ricchezza prodotta pari a circa 5 milioni di euro. Ogni anno i parchi sono visitati da oltre 80.000 persone e circa 900.000 sono le presenze sulle spiagge antistanti i parchi costieri. Andrea Marcucci Segretario della Commissione Cultura del Senato La cultura nel nostro Paese vale poco, circa il 2%. Se al finanziamento per lo spettacolo aggiungiamo il taglio del 40% alla manutenzione ordinaria del patrimonio, il blocco delle assunzioni e dei concorsi, abbiamo un quadro significativo sullo stato dell’arte in Italia, con una politica di tagli non giustificati dalla crisi economica. Un’inversione di tendenza che amareggia, perché nei venti mesi in cui ho ricoperto la carica di sottosegretario, con il ministro Rutelli avevamo posto le basi per un rilancio del sistema culturale italiano, con un grande intervento sulle infrastrutture stanziando risorse, tra gli altri, per

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il nuovo Palazzo del Cinema di Venezia e per il nuovo Auditorium del Maggio a Firenze. Il primo finanziamento pubblico dello spettacolo in Italia è nel 1861, firmato da Cavour. In questi giorni di ineleganti polemiche sulle celebrazioni dell’Unità italiana, viene da pensare che il traguardo del 2011 ha come collante ideale proprio la cultura. Lo Stato deve concepire i luoghi della cultura come vere e proprie macchine di crescita economica: se riusciremo a far crescere la consapevolezza che la cultura è un fattore essenziale del nostro futuro, essa sarà sicuramente dotata di più robuste risorse pubbliche, con una larga convergenza ben oltre le diverse opinioni politiche. Lucilla Previati Direttrice del Parco del Delta del Po La storia dell’area del Delta del Po è quella dell’interazione millenaria tra le forze della natura e l’intervento dell’uomo, in un paesaggio non solo naturale ma anche e soprattutto culturale: un’interazione intelligente e sostenibile tra uomo e natura, definita da politiche eco-compatibili di fruizione delle risorse paesaggistiche e floro – faunistiche. Il concetto di “cultura della natura” è la leva essenziale per lo sviluppo economico del Delta del Po: un’adeguata gestione ambientale produce economia, rende efficace l’integrazione e la valorizzazione dell’area protetta con il tessuto economico del territorio che la ospita. E’ in crescita il desiderio del pubblico di entrare in contatto con il patrimonio naturale, che ha in sé una forte valenza culturale: in media 700.000 persone all’anno entrano nei circuiti di visita del parco, spinti da un forte interesse verso la storia e il linguaggio del territorio anche in termini paesaggistici e floro–faunistici, alla scoperta di una cultura sostenibile della natura. Un’iniziativa di grande interesse è l’apertura al pubblico della “Manifattura dei Marinati”, un laboratorio di marinatura del pesce che rappresenta un buon esempio di come fare “spettacolo” interpretando il valore della biodiversità in una delle aree più antropizzate d’Europa, l’Alto Adriatico.


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Tecnologie made in Italy e valorizzazione dei beni culturali: una strategia da promuovere per la valorizzazione del patrimonio culturale. Il punto di vista dell’ente centrale a confronto con l’impresa Marco Cappellini, Amministratore Delegato di Centrica Mostriamo l’Italia con tecnologie Made in Italy. I decisori, siano governanti, responsabili della pubblica amministrazione, responsabili delle imprese del Made in Italy, dovrebbero tenerlo sempre a mente. Il valore del Made in Italy e dei brand che lo compongono viene sempre più mediato da tecnologie digitali e da modelli culturali che non sono italiani. Facebook non è italiano, ma è lì che i giovani formano le proprie scale di valore; Google non è italiano, ma lì hanno luogo i primi tentativi di veicolazione di contenuti culturali a livello planetraio. Sono convinto che l’assenza di produttori italiani di peso nell’Information Technology costituirà un problema per il Made in Italy e per la valorizzazione di beni culturali, paesaggio, enogastronomia e prodotti del manifatturiero di qualità. Abbiamo sempre più bisogno di tecnologie digitali per mantenerci visibili e competitivi, ma se le tecnologie verranno sempre prodotte altrove saranno

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anche ideate altrove. Esistono tante piccole imprese innovative nell’IT italiano ma l’ecosistema in cui si muovono è poco favorevole alla crescita. Il mio invito ai decisori è: fatele lavorare di più, cresceranno loro e ne trarrà vantaggio tutto il paese. Antonella Recchia, Direttore Generale Innovazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBaC) L’applicazione di tecnologie nella valorizzazione dei beni culturali avrà sempre più in futuro un ruolo essenziale, per rendere accessibile il patrimonio al vasto pubblico. Come Paese è importante dotarsi di un indirizzo di rigore nel processo di fruizione della conoscenza. Le tecnologie di comunicazione possono aiutare la diffusione della cultura tramite internet, oltre a garantire un’elevata interattività e la costruzione di conoscenze attraverso processi di social networking come quelli alla base di Wikipedia. Da tenere in considerazione, inoltre, le applicazioni di avanzate tecnologie a favore del restauro e della conservazione del patrimonio. Un’applicazione di utilizzo strategico della tecnologia per la valorizzazione culturale è la riproduzione di capolavori d’arte, che consente realizzazioni di elevata qualità e costituisce uno strumento unico per la fruizione e la sorveglianza dello stato di conservazione delle opere. Basta pensare a “Haltadefinizione”, progetto coordinato dalla società novarese

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HAL9000, che si occupa dell’acquisizione e diffusione di riproduzioni di opere, rese fruibili attraverso una piattaforma digitale (www.haltadefinizione.com). Del Cenacolo di Leonardo, ad esempio, è stata realizzata una dettagliata riproduzione digitale da 16 miliardi di pixel, che consente al pubblico di visionare un capolavoro in modo nuovo e coinvolgente. Claudio Ricci Sindaco di Assisi e Presidente dell’Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale Unesco I 44 Siti italiani “Patrimonio Mondiale” sono le “punte di eccellenza” del “bello” del nostro paese anche per la promozione dell’Italia all’estero. Ma esistono tante altre realtà che includono un “vero tesoro”, di beni culturali e ambientali, sino ad un totale del 5-10% di quanto esistente al Mondo. Prima della tecnologia vengono i libri e la conoscenza. Quindi per “valorizzare”, anche nei piccoli luoghi, occorre “catalogare” e far conosce, dire educare, sui beni culturali del territorio. Assunta questa “consapevolezza collettiva” si potranno meglio individuare strategie e progetti, pubblici e privati, da attivare per la valorizzazione delle località. La tecnologia viene dopo a partire da un Portale Internet “evoluto” (anche sul versante della Web TV) che deve “contenere” e “raccordare” non tutte le informazioni ma, bensì, tutti i Siti che già esistono o quelli in programma, pubblici e privati, su territorio, beni culturali e turismo. A questo punto le informazioni e modalità d’uso (incluse prenotazioni turistico-alber-

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Il corridoio della IV edizione

ghiere, acquisto biglietti dei musei, eventi e servizi culturali) devono essere “fruibili” attraverso la Rete WF e/o WMax (Internet senza fili), con accesso gratuito (la prossima frontiera, direi un futuro diritto umano), mediante i telefoni-mini computer di nuova generazione. Tra 5-10 anni tutto si “smaterializzerà” con l’avvento degli ologrammi fatti da immagini e video che si “formeranno in aria”, al posto dei video, saranno “attraversabili dalle nostre mani”, e potranno informare su ogni cosa incluso i beni culturali e ambientali (per poi, alla fine, “sparire”). Con questo scenario, prossimo venturo, la nuova era del Marketing non sarà i beni culturali e ambientali da far vedere, promuovere o vendere (turisticamente) ma le “emozioni da raccontare” con le tecnologie multimediali, gli ologrammi, le tecniche tattili e olfattive. Comunque non scodiamoci che, alla fine, rimarrà, comunque, il “pane e prosciutto”, rimarrà l’unicità di un prodotto tipico, da “gustare e sognare”, e il ricordo di un tramonto in un paesaggio che mai finirà. Soprattutto rimarrà l’amore e la spiritualità con cui avremo saputo “raccontare” un bene culturale e il sorriso della nostra ospitalità: il “passa parola”, su internet e tra persone, continuerà ad essere determinante.


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IL PRIMO FORUM INTERNAZIONALE DEI CLUB UNESCO

PATRIMONIO MONDIALE E PACE di ALESSANDRO CIAMBRONE

La nuova Biblioteca di Alessandria

atrimonio Mondiale e Pace”, questo è il tema del primo Forum Internazionale dei Club Unesco che si è tenuto il 15 ed il 16 luglio 2009 nella prestigiosa sede della Biblioteca Alessandrina, nella città fondata da Alessandro il Grande in Egitto. Il Forum è stato organizzato dalla Federazione Mondiale dei Club, dei Centri e delle Associazioni Unesco, dalla Federazione Araba dei Club Unesco, dalla Commissione Egiziana per l’Unesco

con il supporto economico dell’Unesco. Alla manifestazione hanno partecipato i membri del Consiglio Esecutivo della Federazione Mondiale ed i rappresentanti di federazioni e club provenienti da differenti aree geografiche del pianeta. Il Movimento dei club Unesco, unica organizzazione non governativa autorizzata a portare il nome dell’Unesco, è nato nel 1947 con l’istituzione del primo club fondato in Giappone da un gruppo di giovani studenti universitari. Col crescere dei club in ogni paese si sono costituite le federazioni nazionali. L’11 dicembre 1979 si ebbe la

proclamazione ufficiale della Federazione Italiana e la nomina del Consiglio Direttivo in cui sono presenti d’ufficio i rappresentanti del Ministero degli Affari Esteri, dei Beni Culturali e Ambientali, della Pubblica Istruzione e della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco. Oggi la Federazione conta più di 100 club ed il movimento conta circa 3.700 club in tutto il mondo, costituiti da giovani ed adulti, appartenenti a tutti i campi di studio, di lavoro e di specializzazione, che hanno come obiettivo la diffusione dei principi dell’Unesco. Fra questi, in primo luogo, la promozione del pro-

cesso di comprensione internazionale, di cooperazione fra i popoli e di pace. In questa logica si è deciso di organizzare il primo Forum Mondiale su un tema che legasse due campi primari dell’azione operativa dei club: quello della tutela del patrimonio culturale, naturale ed intangibile protetto dall’Unesco; e quello della pace, non intesa soltanto nell’accezione ideale del termine, come cessazione di conflitti, ma nel senso più ampio, come volano di sviluppo sociale e di miglioramento delle condizioni di vita dei popoli.


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Yemen, donne al lavoro

Nella considerazione che la maggior parte delle guerre, se non tutte, scaturiscono per motivi economici è fondamentale, nel processo di diminuzione dei conflitti armati, sostenere progetti tesi alla riduzione della povertà. Bisogna assottigliare i divari economici, spesso enormi, fra le classi sociali nei paesi sottosviluppati. I politici, in tale ottica, dovrebbero proporre progetti di sviluppo sostenibile che nello stesso tempo tendano a ridurre i divari economici all’interno delle collettività e tutelino il patrimonio culturale, naturale ed immateriale del loro paese. Il ruolo dei club Unesco è centrale. Essi hanno il compito di mediare le esigenze delle comunità locali e quelle delle classi dirigenti. Se da un lato i club devono informare la società civile sull’importanza della protezione del patrimonio locale, come segno di identità culturale di un luogo, dall’altro devono incoraggiare le classi dirigenti e politiche ad operare delle scelte che non vadano soltanto a considerare lo sviluppo economico come unico fine, ma anche la protezione di tale patrimonio, identità storica della comunità. Costanza De Simone dell’Unesco, nella sua rela-

zione, ha puntato sull’importanza del coinvolgimento delle comunità locali nel processo di protezione del patrimonio. Ha presentato tre progetti sostenuti dall’Unesco: il recupero piuttosto che l’incontrollato sviluppo urbano nella città storica di Zabib in Yemen, dove le donne contribuiscono attivamente alla tutela del patrimonio locale; il training relativo alle lavorazioni artigianali legate alla palma per i giovani più poveri del villaggio di Abu Sir in Egitto; ed il coinvolgimento delle comunità locali nella realizzazione del museo di Wadi Halfa in Sudan. Med Hassine Fantar, professore e senatore tunisino, ha illustrato una relazione sul Patrimonio Naturale e Culturale come strumento per il “dialogo fra le culture”. Nayef Shtaya, della Commissione Nazionale Palestinese per l’Unesco, ha messo in evidenza i danni che il Patrimonio dell’Umanità può subire nel caso di conflitti armati, presentando una relazione sulla città di Gerusalemme. Rachid Ben Slama, presidente della Federazione Araba dei Club Unesco, ha relazionato sulla città di Kairouan, capitale della cultura islamica del 2009. Kairouan, considerata città simbolo di pace, è da sempre aperta alla diversità culturale

Egitto, lavorazione della palma

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Alessandria d’Egitto

ed al dialogo fra le culture, rappresentando dalla sua fondazione, un crocevia di grande importanza fra l’oriente e l’occidente del mondo musulmano. André Fleury, professore emerito alla Scuola Nazionale Superiore del Paesaggio di Versailles, ha introdotto il tema dell’”agricoltura urbana” come strumento di sviluppo sostenibile e come simbolo di identità civica, ricordando che gli spazi dedicati alle coltivazioni erano presenti anche all’interno delle cinte murarie delle città antiche. Il tema dell’”agricoltura urbana” è stato affrontato anche da Taoufik Baya del “network arabo dell’agricoltura urbana” che ha evidenziato come nella città di Soukra in Tunisia, la valorizzazione delle acque pluviali utilizzate nelle coltivazioni abbiano contribuito al miglioramento delle condizioni socio-economiche della collettività. L’importanza del ruolo dei Club Unesco per la difesa del patrimonio culturale ed immateriale è stato introdotto da Larisa Khokhonova, presidente del club “Nevyansk Heritage” della Federazione Russa. Yves Lopez, presidente della Federazione Francese dei Club Unesco, ha illustrato l’operato dei giovani all’interno dei club come volano per la diffusione della conoscenza del patrimonio e della “cultura della pace”. L’importanza del ruolo dei club è stata anche rimarcata da Alessandro Ciambrone, architetto specializzato

nel management dei siti Unesco, che ha presentato due relazioni: una sulle categorie, tipologie e diversità del World Heritage; ed una relativa ad un progetto per un innovativo sistema di management unificato per i cinque siti Unesco della Regione Campania. Antonino Crea, delegato della Commissione Europea in Egitto, ha presentato il progetto “Euromed Heritage” teso alla valorizzazione del patrimonio dell’area euro-mediterranea. Il programma, per il momento, ha finanziato 12 progetti per cifre che vanno dagli 800 mila a 2,2 milioni di euro coinvolgendo tra tre e sette partner per progetto. Al forum si è anche parlato di nuove tecnologie informatiche di catalogazione al servizio della tutela e valorizzazione dei beni storici ed ambientali, con le relazioni del professor Fathi Saleh, direttore del Centro di Documentazione del Patrimonio Culturale e Naturale della Biblioteca Alessandrina, e del professor Ismail Siragelddine, direttore della biblioteca. I partecipanti al Forum hanno concluso con la promessa di diffondere le esperienze del meeting nei propri Paesi e di proporre progetti tesi alla promozione delle tematiche discusse. I primi risultati si verificheranno nel corso del prossimo Forum Mondiale dei club Unesco che si terrà fra un anno in Yemen.


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IL RESTAURO DELL’ANTICA DOGANA DA MAR DONA A VENEZIA UN NUOVO STRAORDINARIO SPAZIO ESPOSITIVO

LA RINASCITA DI PUNTA DELLA DOGANA di MONIQUE VEAUTE Amministratore delegato e Direttore di Palazzo Grassi

alazzo Grassi e Punta della Dogana costituiscono oggi a Venezia, nel rispetto della peculiarità di ciascun luogo, un centro internazionale d’arte eccezionale. Se una selezione di opere della collezione François Pinault viene esposta nell’antica Dogana da mar, Palazzo Grassi resta fedele alla sua tradizione di spazio dedicato alle grandi mostre temporanee. Una mostra d’arte contemporanea tuttavia non costituisce solo il “punto d’arrivo” di un’opera d’arte, ma un laboratorio di esperimenti culturali da mantenere vivo e mettere a disposizione di tutti, ed è in questa direzione che lo staff di Palazzo Grassi ha lavorato per due anni, in stretta collaborazione con le forze vive di Venezia e d’Italia – le università Iuav e Ca’ Foscari, l’Accademia di Belle Arti, varie istituzioni culturali italiane e straniere. Un centro d’arte contemporanea è uno spazio vivo, un luogo di condivisione delle conoscenze e delle esperienze. Sono stati quindi organizzati laboratori per tutte le fasce d’età e percorsi tematici che permettessero di accedere Charles Ray, Boy with Frog

alle opere in una prospettiva ludica e pedagogica. Ci hanno colpiti la sensibilità e l’interesse di gruppi di bambini che osservavano le opere di Maurizio Cattelan o il teschio di Subodh Gupta con la serietà che molti adulti hanno ormai perso di fronte alla creatività. La conferenza di Tadao Ando all’università Iuav ha ottenuto un successo degno di un concerto rock. Il ciclo di incontri Aspettando Punta della Dogana, che ha visto la presenza di personaggi come Richard Serra, Michelangelo Pistoletto, Jeff Koons e molti altri impegnati a raccontare il loro percorso artistico, il loro lavoro, i loro rapporti con il mondo dell’arte contemporanea, hanno costituito un’esperienza unica per centinaia di studenti. Ascoltare un artista che parla del suo studio, ma anche, e soprattutto, del suo rapporto con il mondo, con la società, è molto di più che assistere a una semplice conferenza, è beneficiare di una vera e propria iniziazione. Artisti, intellettuali, architetti e scienziati sono stati chiamati a proporre un approccio diverso e senza complessi all’arte contemporanea, scardinando l’idea banale di un’arte ermetica ed elitaria. Decine di studenti


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Rudolf Stingel

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gendo al controllo del loro sguardo attento. Non era solo la curiosità a muoverli, ma l’interesse per l’innovazione profonda che si andava creando: il dialogo tra il patrimonio storico artistico italiano e la contemporaneità internazionale. Questa stretta collaborazione non si conclude con l’apertura di Punta della Dogana, ma proseguirà attraverso varie manifestazioni che saranno organizzate con il comitato scientifico, nominato in collaborazione da Palazzo Grassi e dal Sindaco di Venezia, e che affronteranno le questioni che tutti si sono posti in questi quattordici mesi di lavoro: la conservazione delle opere d’arte contemporanea e degli edifici storici, il rapporto con la storia e con il genius loci, il collezionismo a Venezia, la missione formativa dei musei. Punta della Dogana porta avanti

dell’Accademia di Belle Arti hanno potuto infatti assistere i curatori e gli artisti nell’allestimento delle esposizioni, diventando poi mediatori culturali che hanno accompagnato il pubblico nel periodo delle esposizioni. Le numerose organizzazioni di tutela, la Soprintendenza per il Patrimonio storico, artistico etnoantropologico e per il Polo Museale di Venezia e la sua squadra, l’Agenzia del Demanio, il Sindaco e tutto il suo staff, il Magistrato alle Acque di Venezia, l’Autorità portuale, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna, la Regione Veneto, la Fondazione dei Musei Civici Veneziani, tutti, senza eccezioni, hanno seguito l’evoluzione del cantiere in ogni sua fase. Non un masegno è stato spostato, non un mattone sostituito, non un muro eretto sfugCindy Sherman e Jeff Koons

Felix Gonzalez-Torres, Rachel Whiteread e Maurizio Cattelan


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RIUNIRE IL PASSATO, IL PRESENTE E IL FUTURO di TADAO ANDO una tradizione ben radicata nella vita della Serenissima. La storia ci insegna infatti che Venezia nel XII secolo vide nascere il primo museo d’Occidente: il Tesoro di San Marco a Palazzo Ducale, che una volta all’anno apriva le porte al pubblico. Allo stesso modo numerosi appassionati d’arte hanno agito da precursori dei collezionisti moderni, rendendo L’interno del cantiere accessibili le opere esposte nei loro palazzi. Leggendo i loro scritti ci si rende conto della misura in cui l’installazione delle opere incidesse già all’epoca sulla trasformazione dei luoghi, mettendo in luce l’importanza del ruolo dell’architetto, che sta alla collezione come la cornice sta al quadro. Parlare con intelligenza a ogni tipo di pubblico – le famiglie, i bambini, le scuole, gli studenti – è una sfida con cui desideriamo confrontarci, con la complicità dei nostri

Il restauro del tetto

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partner veneziani e italiani, affinché Palazzo Grassi e Punta della Dogana diventino luoghi di incontro e interazione. Questo impegno si è concretizzato dal 6 giugno con l’ingresso gratuito a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana per i veneziani tutti i mercoledì e con la creazione di una membership card che permetterà ai minori di 25 anni un accesso illimitato ai due luoghi e a tutti i servizi: le librerie specializzate, la caffetteria, la videoteca e la biblioteca d’arte contemporanea. La prossima avventura di Palazzo Grassi e di Punta della Dogana consisterà anche nello sviluppo degli strumenti multimediali che permetteranno non solo di ottenere tutte le informazioni riguardanti i due siti e le loro esposizioni, ma anche di rendere più ricco e interessante il dialogo – sempre più necessario – con il pubblico.

n seguito alla ristrutturazione di Palazzo Grassi, ho avuto la fortuna di ricevere l’incarico per un altro importante progetto a Venezia, la ristrutturazione di Punta della Dogana. Sono sinceramente onorato di avere avuto l’opportunità di lavorare ancora con François Pinault e con i Veneziani, fra cui il sindaco Massimo Cacciari. L’edificio di Punta della Dogana è caratterizzato da una struttura semplice e razionale. Il volume crea un triangolo, diretto riferimento alla forma della punta dell’isola di Dorsoduro, mentre gli interni sono ripartiti in lunghi rettangoli, con una serie di pareti parallele. Con profondo rispetto per questo edificio emblematico, tutte le partizioni aggiunte nel corso delle ristrutturazioni precedenti sono state diligentemente rimosse, al fine di ripristinare le forme originali della primissima costruzione. Riportando alla luce le pareti in mattoni e le capriate, lo spazio ritrova la propria energia e rimanda alle antiche usanze marinare. Al centro dell’edificio, uno spazio quadrato occupa due navate, conseguentemente a una ristrutturazione precedente. In via eccezionale, abbiamo mantenuto questa struttura, in cui è stata inserita una “scatola di calcestruzzo” che trasforma considerevolmente lo spazio. Grazie all’incontro e alla giustapposizione di elementi antichi e nuovi, l’edificio sa riunire il passato, il presente e il futuro. Il nostro approccio di base alla ristrutturazione esterna dell’edificio ha previsto inoltre un attento recupero delle facciate originali, fatte salve le aperture, che sono state completamente sostituite. Il design delle nuove porte e finestre, nonostante la modernità degli elementi in acciaio e in vetro, attinge di fatto all’artigianato veneziano tradizionale. Nella fase iniziale del progetto ho pensato di costruire, accanto all’ingresso su Campo della Salute, una coppia di colonne di cemento che simboleggiassero il dialogo tra Storia e Futuro. Nonostante la proposta abbia sollevato un dibattito inaspettatamente ampio tra la popolazione della città di Venezia, intendevo realizzarle come monumento che avrebbe annunciato la rinascita del luogo in cui sorgevano. Nel corso della progettazione, tuttavia, è emerso che una parte delle linee tecniche di comunicazione e di servizio della città erano interrate nel sito in cui sarebbero state costruite le colonne e alla fine ho dovuto rinunciare alla mia idea. I progetti di restauro di architetture storiche raramente procedono secondo i programmi stabiliti in fase iniziale. Le difficoltà e i vincoli che emergono in corso d’opera sono innumerevoli. Credo tuttavia che questo confronto, questo dialogo tra Vecchio e Nuovo, rappresenterà nell’immediato futuro una forza trainante che determinerà il futuro della città. Da parte mia, sono fermamente deciso a trattare di questo tema per tutta la mia carriera di architetto.

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I RISULTATI DI UNA RICERCA EMPIRICA SULLO STATO DI ATTUAZIONE DI QUESTI IMPORTANTI STRUMENTI DI GESTIONE

I PIANI DI GESTIONE UNESCO di FRANCESCO BADIA a nascita della lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO ha posto da molti anni all’attenzione generale la necessità di preservare i valori “universali” rappresentati dal patrimonio culturale ed ambientale di ciascuna nazione. Una delle tematiche su cui il dibattito si è incentrato è la necessità di concreti strumenti, anche di natura manageriale, in grado di supportare, monitorare e dimostrare1 l’effettivo perseguimento delle politiche di gestione e valorizzazione dei siti

UNESCO: fra questi, un ruolo di assoluto di rilievo sembra destinato ad assumere il piano di gestione. Sulla base di queste assunzioni, è stata realizzata, con il supporto di un finanziamento del CNR, nell’ambito di un progetto più ampio rientrante nell’iniziativa di “Promozione alla ricerca”, un’analisi dell’attuale stato dell’arte nazionale in materia di redazione ed applicazione dei piani di gestione e della presenza al loro interno di indicatori, o strumenti di altro tipo, di natura manageriale.

Ai fini della realizzazione della ricerca, è stato sottoposto un questionario a tutti i soggetti responsabili dei 43 siti UNESCO italiani2. Seppure in presenza di un contesto molto variegato, ed in taluni casi di alcune difficoltà nell’individuazione dei referenti, la ricerca si è conclusa con la partecipazione di 40 siti UNESCO italiani, ovvero il 93% del campione, risultato da considerarsi senz’altro positivo. Il questionario è stato compilato mediante incontri in presenza o (in seconda istanza) telefonici: tramite questi contatti diretti, è stata possibile un’osservazione dei casi e delle situazioni concrete (in merito alle scelte ed alle modalità gestionali dei siti UNESCO osservati) che è andata al di là dei semplici profili informativi forniti dal questionario. Con riferimento alle evidenze dell’analisi empirica, uno dei primi elementi che si è tratto è che nel 55% dei casi la

gestione del sito spetta a più soggetti operanti sul territorio, mentre solo nel 45% dei casi essa è di competenza di un unico soggetto aziendale. Ciò significa che nella maggioranza dei casi la gestione richiede necessariamente la collaborazione fra diversi soggetti istituzionali, elemento che talvolta rappresenta una criticità non irrilevante, anche e soprattutto al fine della stesura del piano di gestione. Un altro risultato interessante è rappresentato dalla circostanza che nel 75% di casi analizzati la gestione è affidata a soggetti pre-esistenti all’iscrizione nella WHL (tipicamente, direzioni regionali, enti locali e soprintendenze). Solo in 3 casi (7,50%) è stato creato un soggetto ad hoc per la gestione del sito, elemento che forse permetterebbe di evitare alcune delle criticità descritte in precedenza. In 7 casi (il 17,50%), invece, soggetti creati ad hoc si suddividono i compiti con soggetti istituzionali pre-esistenti. Con riguardo allo stato di avanzamento del piano di gestione, si è potuto, grazie a fonti di Vicenza, Villa Almerico Capra detta “La Rotonda”


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informazioni diverse, disporre del quadro completo di tutti e 43 i siti UNESCO italiani. La situazione attuale vede: - 8 siti (18,60%) dove il piano è ancora da realizzare completamente o quasi; - 16 siti (37,21%), in cui la redazione si trova in una fase più o meno avanzata; - 2 siti (4,65%), dove il piano è stato completato, ma è in attesa di delibera finale da parte degli organi politici e/o deliberativi che amministrano il territorio; - 17 siti (39,53%), in cui il piano è stato completato, approvato ed inviato al Ministero per la sua trasmissione ufficiale all’UNESCO; in riferimento a questi casi, va segnalato però che non tutti questi piani sono in realtà completi o aggiornati (taluni sono i medesimi predisposti al momento della presentazione della candidatura, quando i profili informativi da fornire erano in parte differenti da quelli derivanti dall’effettiva iscrizione). Aggregando i dati proposti, dunque, su 43 siti italiani, nonostante l’enfasi che la tematica ha raggiunto in questi anni, solo 19 (il 44,19%) hanno già completato il piano di gestione, almeno in una sua prima versione. Va rilevato anche che, fra i responsabili dei 24 siti (55,81%) che non hanno ancora concluso la prima redazione del piano, solo in 6 casi (il 25%) tali soggetti ritengono di poterlo concludere entro il 2009, mentre sono 10 (il 41,67%) ad affermare di volerlo concludere entro il 2010; infine, in 8 siti (il 33,33%), i responsabili non sono in grado di dire entro quando concluderanno la redazione del primo piano di gestione. Un altro punto chiave dell’analisi compiuta è quello riguardante la presenza di indicatori manageriali volti a monitorare le performance3. Fra i 40 soggetti intervistati, 20 attestano di averli inseriti (o volerli inserire) nel proprio piano di gestione. Si tratta esattamente del 50%. Tale dato già di per sé Barumini

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non è molto alto, in quanto il requisito degli indicatori è ritenuto imprescindibile, anche nei documenti contenenti le linee guida, prodotte dalle istituzioni nazionali ed internazionali competenti. L’elemento citato diviene ancora più significativo, se si pensa che solo 11 dei 20 siti, che dicono di avvalersi (o volersi avvalere) degli indicatori, sono in grado di citarne concreti esempi e che 12 degli altri 20 siti, che invece non utilizzano (o non intendono utilizzare) gli indicatori, non hanno previsto nessun altro strumento, nemmeno semplificato, di monitoraggio sulla performance complessiva del sito. Continuando su questa linea di analisi, si ritiene che un piano di gestione perda molto del suo valore se non si stabilisce, in seguito alla prima fase di redazione, un processo di revisione periodica dei contenuti, al fine di valutarne la capacità di rispondere effettivamente ai suoi bisogni fondanti. Anche in questo caso, le statistiche ricavate dall’indagine non appaiono molto confortanti: solo 24 siti su 40 hanno previsto di introdurre meccanismi di revisione periodica; vista l’importanza dell’elemento in considerazione, il numero non sembra elevato; si tenga conto inoltre che, fra questi 24 siti, in ben 9 casi non è stata in realtà ancora definita la scadenza della revisione, per cui non è scontato che tale processo sarà effettivamente implementato. Oltre all’elemento della revisione del piano, appare opportuno considerare l’eventualità di una sua riformulazione complessiva, da porre in essere con un orizzonte temporale più ampio: ed è così che in 19 siti la riformulazione non è stata prevista, in 10 non si è ancora definito se compierla e solo in 11 sono state pensate (o già adottate) delle scadenze effettive. Sebbene la riformulazione, in sé, non paia per forza di cose necessaria, ciò che sembra trasparire dai dati citati è che il rischio di dotarsi di


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uno strumento, prevalentemente di natura formale (vista la frequente mancanza di indicatori concreti ed applicabili) e di valore limitato nel tempo (vista la scarsa importanza data alla revisione) sia molto presente nell’attuale realtà italiana dei siti UNESCO. Il quadro conclusivo non sembrerebbe troppo positivo. Ma la situazione appare in divenire ed è possibile ancora intervenire, anche con il contributo della ricerca. In particolare, si vuole sottolineare come, nello scenario delineato, il livello di attenzione su queste tematiche, dimostrato sia da soggetti istituzionali quali il Ministero dei Beni Culturali, sia da realtà associative come l’Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale UNESCO, così come da molti operatori del settore, dimostri che vi è ancora spazio per trovare direzioni convergenti volte all’utilizzo dei piani di gestione come un nuovo, efficace, strumento, anche dai contenuti manageriali, di gestione e valorizzazione del patrimonio culturale4.

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In conclusione, pare opportuno segnalare alcuni elementi chiave che potrebbero rendere il processo di redazione dei piani di gestione, ed il successivo monitoraggio della loro attuazione, un’importante opportunità per lo sviluppo di efficaci sistemi manageriali di gestione e valorizzazione del patrimonio culturale: - vi deve essere innanzitutto consapevolezza sull’assenza di un unico “modello” di riferimento da poter adattare a realtà tanto diverse fra loro; pare conveniente puntare, almeno in questa fase, più che alla creazione di standard troppo stringenti, alla definizione di alcune linee guida generali che permettano poi profili applicativi adattabili a diverse situazioni; - il piano di gestione non deve essere un mero, ulteriore, strumento di pianificazione da aggiungere a quelli già esistenti, magari solo di natura formale, ma deve assumere la valenza di un vero strumento di management;

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- si deve realizzare una condivisione degli obiettivi fra gli attori rilevanti del territorio ed al tempo stesso si devono coinvolgere in maniera opportuna le varie categorie di stakeholder; - appare importante considerare gli aspetti di valorizzazione “economica”, che non deve però in alcun modo essere vista come una traduzione di politiche di “monetizzazione” legate allo sfruttamento del patrimonio, a discapito in particolare delle generazioni future; - sembra infine più che mai necessario introdurre sistemi di monitoraggio e misurazione delle performance, da esplicitare in indicatori, che possano consentire l’effettivo perseguimento dei già citati profili di supporto alla gestione e di rendicontazione alla collettività su quanto realizzato; Se interpretato in questo senso, il piano di gestione può essere adattabile non solo a realtà di siti UNESCO, ma i suoi principi cardine possono essere stesi ed applicati anche a realtà che presentino

elementi significativi di patrimonio culturale ed ambientale, che pure non abbiano ottenuto (ancora) tale riconoscimento.

Note 1. Sul ruolo dei sistemi informativi nell’ambito della gestione delle aziende, si vedano, fra gli altri, Amaduzzi A., “L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni”, UTET, Torino, 1967 e Bertini U., “Il sistema d’azienda. Schema di analisi”, Giappichelli, Torino, 1977. 2. Si tenga conto che la ricerca è stata svolta fra i mesi di ottobre 2008 e marzo 2009, quando ancora le Dolomiti, il 44° sito UNESCO italiano, non erano state iscritte nella WHL. 3. Sui sistemi di misurazione delle performance in azienda, si veda, fra gli altri: Kaplan R.S., Norton D.P. “Balanced scorecard : tradurre la strategia in azione”, Isedi, Torino, 2000. 4. Sul tema della valorizzazione del patrimonio culturale si veda Donato F., Badia F., “La valorizzazione dei siti culturali e del paesaggio: una prospettiva economico aziendale”, Firenze, Olschki, 2008.


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ARTGATE, UN IMPORTANTE PROGETTO PER AVVICINARE UN PUBBLICO PIÙ AMPIO AL PATRIMONIO CULTURALE

LA RACCOLTA D’ARTE DI FONDAZIONE CARIPLO APPRODA SU INTERNET di PIER MARIO VELLO Segretario Generale di Fondazione Cariplo a Fondazione Cariplo ha deciso di rendere fruibile alla collettività il proprio patrimonio artistico, costituito da 767 dipinti, da 116 sculture, 51 oggetti e arredi, appartenente a un’epoca compresa tra il primo secolo e la seconda metà del Novecento, attraverso l’allestimento di un sito dedicato www.artgate-cariplo.it. La Fondazione Cariplo ha voluto cogliere le grandi potenzialità messe a disposizione dai digital devices. Quest’ultimi permettono oggi anche un diverso rapporto con le opere d’arte, forse più virtuale, ma anche più documentato, più esteso e più democratico. Il secolo scorso ha prodotto diversi orientamenti nella considerazione e interpretazione dell’arte. Non sappiamo ancora quali nuovi approcci all’arte il nuovo secolo appena iniziato sarà in grado di sviluppare. Tuttavia, ci sembra di capire che la tecnologia virtuale e internet non mancheranno di produrre nuovi effetti sul modo di fruizione e di produzione dell’opera d’arte. Su questo punto sarà essenziale l’esperienza che i giovani e gli studiosi faranno dell’opera d’arte attraverso le vie informatiche.

L’articolo che segue propone una lettura dei differenti approcci all’arte che hanno caratterizzato il secolo scorso, per poi soffermarsi sulla realizzazione del sito ‘Artgate’ come espressione del nuovo linguaggio di interpretare e di avvicinarsi al mondo dell’arte. Sarà, infine, tracciato un percorso delle eccellenze della raccolta d’arte di Fondazione Cariplo.

L’interpretazione dell’arte: dall’approccio tradizione ai digital devices Nel Novecento prevalsero alcuni orientamenti interessanti nella considerazione dell’arte e della produzione artistica. Ve ne sono almeno quattro da citare. Un primo orientamento interessante, prevalente nella prima metà del secolo scorso, fu quello del pragmatismo. L’opera d’arte veniva considerata nel suo valore pragmatico come rispecchiamento della realtà. Secondo questo indirizzo, l’opera vale in base soprattutto, anche se non solo, alla sua utilità politica, educativa, psicologica o sociologica. Ci aiuta a comprendere il mondo e a meglio valorizzarlo. Essa ci fornisce un contributo critico rispetto all’esistente e lo stesso “rispecchiamento estetico” è spesso apertura verso il possibile e l’altro dall’esistente. Bartolomeo Guidobono, Allegoria della primavera, 1705-1709


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Questa interpretazione dell’arte fu particolarmente presente in Gyorgy Lukàcs (Storia e coscienza di classe, 1923; e Contributi alla storia dell’estetica, 1954). Non raramente l’opera d’arte fu vista anche come percorsa da tensioni utopiche e particolarmente significativa nello svolgere il ruolo di apertura critica verso il mondo della massificazione e dell’industrializzazione, imperanti in occidente nell’immediato secondo dopoguerra. Furono poi le stesse avanguardie artistiche ad essere oggetto di rivalutazione di studio da parte del marxismo utopico di Ernst Bloch (Geist der Utopie, 1923 in seconda stesura; e Das Prinzip Hoffnung, 1959) e della Scuola di Francoforte, rappresentata da Walter Benjamin e da Theodor Wiesengrund Adorno. Il grande successo delle discipline psicologiche intorno alla metà del Novecento, e in particolare della psicanalisi, sollecitò un approccio all’opera d’arte che ne chiarisse i punti profondi del suo scaturire e le sue connessioni con le origini inconsce dell’Io. L’arte fu allora vista come una sorta di linguaggio rivelatore, e prese piede la prospettiva strutturalistica. Le indagini psicologiche di Jean Piaget e di Jacques Lacan, antropologiche di Claude Lévi-Strauss, la linguistica semiologica di Ferdinand de Sussure, e la ripresa in campo estetico degli studi dei formalisti russi e in particolare di Roman Jakobson, sollecitarono un approccio secondo il quale l’opera non va considerata Gerolamo Induno, Pescarenico, 1862

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tanto per il suo contenuto, quanto per la sua forma, che si esprime attraverso un sistema complesso di segni coerenti. Siamo ancora oggi un po’ eredi di questo approccio, che ha enfatizzato la valorizzazione delle opere, e la loro diretta interpretazione, in base all’analisi formale dell’espressione, a prescindere dal contenuto. Parallelamente, i contenuti stessi andavano sfilacciandosi e banalizzandosi: basti pensare ad alcune poetiche del Novecento, decisamente consegnate agli aspetti biografici, didascalici e di cronaca quotidiana dell’espressione. Molto interessante appare la terza prospettiva, quella della scuola ermeneutica, fondata sulle tracce del pensiero di Heidegger (L’origine dell’opera d’arte, 1935), ma completamente sviluppata in Hans Georg Gadamer (Verità e Metodo, 1960). Secondo questo indirizzo, l’opera d’arte è, nel suo stesso essere, un linguaggio che ha una storia. Il recupero della storia, attraverso la distanza che ci separa dall’opera e dal suo tempo, permette di giungere ad una comprensione più profonda dell’essere. Si arriva così ad un disvelamento e ad una relativizzazione dei pregiudizi e dei presupposti che sono impliciti in qualsiasi comprendere. In questo processo ermeneutico di comprensione dell’altro da noi ci guidano molto più le nuove domande che le risposte consolidate. Recupero dell’antichità e della tradi-

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zione, interpretazione come superamento del pregiudizio, ampliamento degli orizzonti interpretativi nel domandare: sono questi i punti cruciali che Gadamer ha posto in essere nel suo metodo. La quarta prospettiva che potremmo prendere in considerazione è quella che vede nell’opera d’arte il punto di convergenza di realtà e immaginazione. Sulla scia del pensiero di Kant e di Wittgenstein, questo approccio vede nell’opera d’arte il frutto di un’attività immaginativa, che avviene entro un linguaggio dotato di senso ed entro il contesto sociale delle regole approvate e accettate dalla comunità. Gli ultimi anni del Novecento, con l’affermazione delle scienze cognitive, hanno poi sottolineato ulteriormente la connessione tra percezione e immaginazione, tra cognizione e invenzione del nuovo, tra creatività nell’arte e nella scienza. E la grammatologia di Deridda pone la domanda delle relazioni che esistono tra l’atto produttivo estetico e il momento logico del comprendere, entrambi elementi inscindibili del conoscere, scientifico o artistico che sia. Esiste un momento creativo ed artistico in fondo ad ogni scoperta scientifica, ed esiste un atto conoscitivo in fondo ad ogni creazione artistica: scienza ed arte sono così intimamente legate, più di quanto l’artificiosa di-stinzione tra scienze dello spirito e scienze della natura ci abbia fatto credere.

www.artgate-cariplo.it: l’approccio all’arte di Fondazione Cariplo Il sito ‘ARTGATE’ è il frutto di un lavoro condiviso di professionalità provenienti da ambiti differenti: storici dell’arte, esperti informatici, grafici, traduttori, cultori della materia, fotografi d’arte hanno collaborato per far sì che il web culturale si traducesse in un luogo di educazione al sapere, di produzione e di

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promozione di nuovi contenuti culturali. Il sito offre due differenti accessi: una Galleria virtuale concepita come un rapido percorso di visita attraverso alcune opere particolarmente rappresentative, e la Collezione on-line, nella quale le opere sono presentate con un’ampia scheda storico-critica completata da informazioni sulle fonti archivistiche, le esposizioni storiche e bibliografia specifica. Completano ARTGATE le biografie di oltre centocinquanta artisti, riferiti alle opere schedate. ‘Artgate’ è deputato ad essere in un ‘laboratorio creativo, la vetrina di future espressioni artistiche. In conco-mitanza con l’anno scolastico gli studenti saranno chiamati ad esprimere la loro creatività, sviluppando un tema che sarà individuato e indicato da Fondazione. Gli elaborati saranno pubblicati e pubblicizzati su Ar-tgate. Sia per garantire la visibilità della collezione che concorrere ad accrescere i contenuti digitalizzati del patri-monio culturale europeo, il sito ‘Artgate’ della Fondazione è pubblicato sul portale europeo multilingue ‘Mi-chael’ e sui portali del Ministero dei Beni e delle Attività culturali (‘Internet culturale’; ‘Portale della cultura ita-liana’). Non si tratta solo di un “museo” virtuale, statico e passivo. Il lavoro compiuto da Fondazione Cariplo è stato anche quello di creare chiavi di lettura, link di collegamento tra argomenti simili, rimandi a gallerie esterne e collegamenti ad archivi di documentazione. Non solo i diversi argomenti sono collegati tra di loro, ma esistono rimandi anche verso collezioni esterne in qualche modo correlate. In questo modo il sito www.artgate-cariplo. it costituisce uno speciale strumento di lavoro per studenti ed esperti.


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Le eccellenze della raccolta d’arte di Fondazione Cariplo La collezione spazia dalla scultura lapidea tardo antica e da quella lignea di età medievale alla pittura italia-na rinascimentale e dell’età barocca, individuando la propria eccellenza nell’Ottocento italiano, e nella fattispecie lombardo, comprendendo tuttavia anche un’ampia documentazione dell’attività degli artisti operanti a Milano nel Novecento. L’Ottocento costituisce un nucleo fondamentale della raccolta: spiccano i maestri del vedutismo romantico italiano, tra cui Luigi Bisi (Interno del Duomo di Milano), Carlo e Giuseppe Canella (Il Duomo di Milano e la Corsia dei Servi ; Canale olandese con barca, case e mulini a vento) Giovanni Migliara (Interno del Duomo di Milano ) mentre Francesco Hayez

(L’ultimo abboccamento di Giacomo Foscari figlio del doge Giuseppe colla propria famiglia prima di partire per l’esilio) e Giuseppe Molteni (La confessione), rispettivamente capiscuola della pittura storica e di quella di genere, sono presenti con opere capitali.

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Le composizioni, spesso di impianto monumentale, dei fratelli Domenico e Gerolamo Induno (La battaglia della Cernaia, La presa di Palestro, Il bollettino di Villafranca) , Sebastiano De Albertis (Il richiamo dei cavalli sbandati o Suoneria della biada) ed Eleuterio Pagliano (La lezione di geografia) documentano la fase suc-cessiva della pittura di soggetto risorgimentale, sia quello epico delle

battaglie che quello intimista e familiare, di Vincenzo Vela si conta invece una scultura raffigurante una figura femminile; ai diversi filoni della pittura di genere ispirati alle scuole regionalistiche dopo l’unità nazionale fanno riferimento i nomi dei veneti Guglielmo Ciardi (La preparazione alla festa del Redentore) e Giacomo Favretto (La pollivendola), del toscano Telemaco Signorini (Non potendo aspettare), dei napoletani Filippo e Giuseppe Palizzi (Capre che brucano un cespuglio di rose; La primavera) e Antonio Mancini (Riflessi). I vertici delle raccolte si colgono nell’ambito della pittura lombarda, con opere dei principali esponenti

Nell’ordine, opere di Giuseppe Canella, Eleuterio Pagliano, Pompeo Mariani, Filippo Palizzi

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del naturalismo tra cui Leonardo Bazzaro (Fuoco! fuoco! o L’incendio), Mosè Bianchi (Ritorno dalla sagra), Filippo Carcano (Tipi di una famiglia di contadini nel veneto), Eugenio Gignous (Dintorni di Milano), Emilio Gola (Ritratto di signora), mentre i maestri del divisionismo, esperienza che allinea gli artisti italiani a quelli europei, sono rappresentati da Emilio Longoni (La primavera in montagna), Angelo Morbelli (Battello sul lago Maggiore), Gaetano Previati (La danza delle ore) e Giovanni Segantini (Il coro della chiesa di Sant’Antonio in Milano), quest’ultimo con una tela giovanile. Di rilievo anche l’arte antica. Tra le opere di pittura spiccano tre dipinti attribuiti a Luca Giordano, una coppia di grandi tele di

Giovanni Battista Tiepolo (Cacciatore a cavallo; Cacciatore con cervo) appartenenti al ciclo delle Storie di Zenobia per Ca’ Zenobio a Venezia; per la scultura si segnala la serie di tredici rilievi in gesso di Antonio Canova già proprietà di Abbondio Rezzonico, nipote di papa Clemente XIII.

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Conclusioni E’ possibile considerare le opere d’arte come fenomeni di rispecchiamento critico della realtà, come linguaggi formali o che provengono dal profondo dell’Io, come strade di interpretazione dell’altro e della storia, come linguaggi sociali dell’immaginare. Comunque le si consideri, sono là che ci parlano. La capacità di comprendere i loro

messaggi è una dote che una società evoluta non può non sviluppare. Le moderne tecnologie digitali permettono per la prima volta di rendere accessibili le loro suggestioni e i loro linguaggi ad un ampio pubblico di giovani. Permettono di comparare, di accedere e di riflettere. A fianco dei tradizionali musei e dei classici libri d’arte, i digital devices mettono oggi a disposizione una massa di informazioni prima impensabile. È da qui che si può partire con la riflessione, con l’interpretazione, con l’immaginazione e la selezione critica, sperando che nuovi linguaggi e nuovi approcci all’arte ci permettano di crescere entro società civili democratiche e creative.


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P A R C O D E L D E LTA D E L P O ALLA SCOPERTA DI UNA DELLE PIÙ SUGGESTIVE OASI ITALIANE

CAMMINARE SULL’ACQUA: LA PENISOLA DI BOSCOFORTE

P A R C O D E L D E LTA D E L P O La Regione Emilia-Romagna sta concludendo un accordo con gli Enti Locali soci del Parco del Delta del Po ed il proprietario della penisola di Boscoforte per la completa fruizione di questo straordinario “geosito”. Quest’anno sono state organizzate, da maggio a settembre, escursioni a piedi per piccoli gruppi, accompagnate da guide ambientali, riscuotendo grande successo dato il pregio dell’ambiente, vero “paradiso naturale” e regno della biodiversità tra i più preziosi del Delta del Po. Lucilla Previati Direttrice del Parco del Delta del Po

di PAOLO BOLZANI a lunga e stretta penisola di Boscoforte che dall’argine settentrionale del Reno si addentra verso il centro delle Valli di Comacchio per circa sei chilometri, dividendo la valle di Fossa di Porto da quella del Lido di Magnavacca, rappresenta un cordone paleodunare, formatosi lungo la linea di costa attorno al IV secolo a.C. Un precedente cordone, relativo alla piena età etrusca (VI-IV a.C.) è rappresentato dall’argine Agosta, dietro al quale era sorta Spina e sul quale sembra transitasse la via Popilia, la strada romana di collegamento Rimini-Ravenna-Adria, la cui realizzazio-

ne viene ascritta al 132 a.C. Perciò la necropoli di Spina «si estese su quelle dune fluvio-marittime di Valle Trebba e di Valle Pega (a km 10-12 ad ovest del litorale odierno), nelle quali l’ing. Elia Lombardini aveva riconosciuto fin dal 1869, il “lido etrusco”». Nell’itinerarium pictum, rappresentato nella Tabula Peutingeriana, viene indicata una mansio, seconda dopo Butrium da Ravenna e denominata Augusta, che dovrebbe collocarsi nei pressi di Umana e quindi lungo l’argine sud-ovest dell’attuale Valle di Fossa di Porto, circa un chilometro ad ovest di Boscoforte, in cui peraltro è stato rinvenuto un pozzo, verosimilmente d’età romana. L’analisi storico-archeologica ha inoltre ravvisato una continuità geomorfologica

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dunosa tra l’andamento della penisola di Boscoforte e quello di un dosso coevo che collega Ravenna e Sant’Alberto, attribuendone l’origine ad un unico cordone paleodunare, formatosi verosimilmente nel IV secolo a.C., su cui, in area ravennate, sono state nuovamente rinvenute tracce della Popilia. Ad ovest di questo cordone scorreva nel XV secolo il Canale di Sant’Alberto, la via d’acqua che si immetteva nel corso del Montone in fregio al lato nord-ovest del circuito urbico di Ravenna. Nelle mappe cinque-settecentesche viene riportata la presenza di una «via di Sant’Alberto» –sorta in età moderna, ma di conferma della percorrenza sommitale del dosso dunoso ravennate – e denominata

anche «via del Bosco» per la presenza di un fitto bosco di cui rimane l’attuale toponimo «Cà Bosco», all’intersecamento tra l’antico dosso e l’attuale Scolo via Cerba. La «via del Bosco» correva alta su un territorio che, fino a metà del XX secolo, è sempre stato occupato dalle valli, ed ancora oggi nel piatto paesaggio con pochi giovani alberi si riconosce la caratteristica originaria della «larga», vale a dire la piatta pianura bonificata con la Cassa di Colmata del fiume Lamone. La stessa Ravenna partecipa di questo principio geomorfologico, informando la propria forma urbis al tracciato della Fossa Augusta – la via d’acqua voluta dall’imperatore che porrà la flotta orien-


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tale a Classe – che, provenendo da nord, sfociava a sud della città, di cui oggi eredita quasi completamente il tracciato l’attuale via di Roma, principale asse viario del centro storico. Quindi Boscoforte, memoria del cordone paleodunare proveniente dalle Valli di Comacchio e passante per Sant’Alberto e Ravenna, si spinge a sud fino alle Saline di Cervia, e perciò l’analogia tra la «via del Bosco» e «Bosco Forte» si mostra più evidente, ed ancor più appare, alla luce della presenza nella penisola comacchiese di un piccolo gruppo di case di valle, con quella principale denominata «C[aso]na di Bosco Forte», ora «Cà del Boscoforte», riscontrata ancora all’inizio del XIX, che alla fine del secolo sarà indicata anche

case si disponevano lungo la riva sinistra del Primaro, cui nel 1504, proprio a Sant’Alberto verrà immesso dai Veneziani il Lamone, staccato peraltro un secolo dopo. Quanto si vede ora non consente però un’immediata comprensione delle trasformazioni avvicendatesi nel territorio. Infatti il Primaro è scomparso, mentre a sud di Sant’Alberto scorre il Canale Destra Reno, peraltro nel cavo settecentesco spento del Lamone, mentre a nord transita il Reno. Nelle mappe cinquecentesche compare una serie di elementi che nella loro semplicità grafica, assumono una grande valore testimoniale. L’insediamento urbano di Sant’Alberto viene rappresentato come due entità territoriali e politiche diverse, l’una soggiacente la Comunità di Ravenna – e quindi lo Stato Pontificio – l’altro il «Duca di Ferrara». Il confine viene a collocarsi in corrispondenza della Mena Vecchia, un canaletto cui oggi corrisponde la santalbertese «via della Motta», a est della quale c’era il Sant’Alberto «Ravegnano», mentre a ovest quello «Ferrarese», incentrato sul cinquecentesco corpo murario del «Palazzone», già «Hosteria» del Duca di Ferrara. Ancora più a ovest viene raffigurato un secondo canaletto, denominato Mena Nuova, che dall’argine sinistro del Primaro conduce fino a Boscoforte, giungendo a separarla dalla terraferma, in quanto raggiunge le Valli, ad est della penisola. Collocata immediatamente a nord, sulla sponda sinistra della Mena Nuova, nelle carte dal secondo Cinquecento, e per tutto il secolo successivo, si trova raffigurata una torre, con base a scarpa e cor-

Chorografia del Ducato di Ferrara, 1758

come «Cà del Bosco». Con il passare dei secoli su Boscoforte si potrebbe ipotizzare l’individuazione di un nuovo percorso, alternativo o, più verosimilmente in aggiunta al precedente, mentre la costa in età romano-teodericiana forniva le premesse per un nuovo itinerario sull’ennesimo dosso orientale, passante ad est di quelli che ora sono S. Romualdo e Mandriole, mentre l’attuale costa ravennate si formerà tra il XVII e il XVIII secolo. Il nuovo itinerario orientale sarà la Romea, che nelle mappe sei-settecentesche assume la denominazione di via Corriera, in quanto percorsa fin dal XIV secolo dai «Corrieri» veneti della posta. Allorchè il cordone paleodunare raggiungeva il sito dell’attuale Sant’Alberto, qui si interrompeva in presenza dell’alveo del Primaro, erede del Padovetere e del Padoa, e cavo padano di maggiore importanza dal VIII al XIII secolo. Qui il Primaro deviava verso sudest per quasi tre chilometri, per passarlo, forse anche sfruttando una potenziale discontinuità naturale tra due cordoni susseguenti, all’altezza dell’attuale bivio del Cruser. Nei secoli successivi l’arretrarsi del mare ha dato origini ad altri cordoni dunosi paralleli alla costa, evidenziati dalle ampie anse descritte dal corso del Primaro, la cui memoria ora rimane nei due viottoli vicinali denominati Gattolo inferiore e Gattolo superiore e nella Volta Scirocco, l’ultima ansa abbandonata del grande fiume. Ciò spiega la singolare caratteristica morfogenetica di Sant’Alberto, villa, porto e castello fluviale in età medievale, a lungo disputato da Ravennati, Ferraresi, Bolognesi, Veneziani e, buona ultima, la Santa Sede. In origine le

Carta del Basso Po, 1812

po murario culminante con una specie di lanterna. Usualmente indicata come «Torre di S. Alberto», venne costruita nel 1574 dagli uomini della «riviera di Filo», come risulta da una loro supplica al Duca di Ferrara dell’8 ottobre e che fu «da Sua altezza fabricata per tenervi un guardia, acciò non siano delle Valli di Comacchio per di qui robbati i pesci», come spiega l’«Argenta» nel corso del rilevamento topografico tardocinquecentesco di Sant’Alberto. Accanto alla «Torre» si trovava un «casone», indicato nella seconda metà del Cinquecento come il luogo in cui un tempo gli Estensi riscuotevano il dazio del sale. Nel Seicento le mappe spesso indicano


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Le valli di Comacchio

la presenza di alcuni fabbricati, collocati circa al centro della sottile lingua di terra, che recano la denominazione «Bosco Forte», a volte attribuita anche all’intera penisola. Troviamo infatti utilizzato il toponimo «B. Forte» anche da Danti nel 1583, il toponimo «Bosco Forte» dall’Aleotti nel 1603, da Gnoli nel 1658, da Coronelli nel 1690, da Facci nel 1716, identificando una tradizione toponomastica, di origine forse altomedievale, ma che sembra vergata su carta a partire dalla seconda metà del XVI secolo. È questo un periodo in cui accadono fatti storici molto importanti: è del 1598 la «devoluzione» di Ferrara alla Santa Sede, che segna l’unificazione dei territori dei Sant’Alberto «Ravegnano» e «Ferrarese» sotto il medesimo governo. L’estense «Torre di S. Alberto» perde il proprio ruolo originale di presidio di confine di Stato e perciò inizia il suo declino, che la porterà a scomparire. Non lontano dalla «Torre», dove ora si trova la «Casa di Guardia», si costruirà una «Osteria», segnalata nelle carte a partire dal XVII secolo, evidentemente in sostituzione del ruolo del «Palazzone», ormai inutile come struttura ricettiva, che a sua volta aveva sostituito una «Osteria» che nel Quattrocento si trovava alla confluenza del Lamone nel Primaro a Sant’Alberto, davanti a quella che ora è piazza Garibaldi. Il secondo grande fatto storico di Sant’Alberto si compie nel 1607, allorché il Primaro viene deviato a nord del paese, e ricollegato al vecchio cavo circa a Volta di Scirocco, tagliando il naturale rapporto esistente tra l’antico porto fluviale e la penisola di Boscoforte. Questo evento ha reso maggiormente dif-

Carta degli Stati Estensi, 1580

ficile la lettura della continuità strutturale tra l’antico dosso dunoso che collega Ravenna e Sant’Alberto e quello di «Bosco Forte», che si spinge verso nord, fino a consentire, come mostrano alcune mappe, il raggiungimento di Comacchio. Allo stesso modo si è persa la memoria della Mena Nuova, il cui nome risuona ancora nella bella Carta dei primi anni dell’Ottocento, allorché segna la via della Menata, che ora sopravvive nello stradello sterrato, bordato da una doppia cortina di tamerici, che si allunga per l’intero sviluppo della penisola di Boscoforte.


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AGRITURISMO: UNA FELICE SINTESI DI CONSERVAZIONE E SVILUPPO

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VACANZE IN FATTORIA

di GIORGIO LO SURDO Direttore Nazionale di Agriturist

Palermo, Antico Feudo San Giorgio

ra che esiste, sembra che sia sempre esistito... l’agriturismo. Molti hanno dimenticato il triste spettacolo offerto dalle campagne, non più contadine, disseminate di casolari con i tetti sfondati e le mura sul punto di crollare, esito inevitabile della rapida migrazione verso l’industria di milioni di mezzadri e braccianti agricoli nei primi venti anni dell’ultimo dopoguerra. Non era soltanto una migrazione fisica. Era anche una migrazione culturale, accompagnata da desiderio di dimenticare per sempre i segni di una miseria secolare che finalmente si poteva lasciare alle spalle, per sempre. In campagna rimanevano i proprietari, alle prese con una agricoltura da rifondare, e i contadini anziani, i genitori, i nonni, involontari antesignani dell’agriturismo quando d’estate e per le feste comandate, ricevevano la visita dei familiari, anche loro incoscienti anticipatori del futuro agriturismo. Già i nipoti sapevano poco di campagna, di piante ed animali, e giocavano stupiti con galline e conigli, assistevano alla vendemmia e alla pigiatura dell’uva, senza sapere che lo spettacolo era alla fine: il mondo contadino sarebbe finito di lì a poco. L’idea dell’agriturismo venne a un gruppo di giovani agricoltori durante le riunioni dell’ANGA, l’associazione giovanile della Confagricoltura, all’inizio degli anni sessanta: durante un viaggio in Francia avevano visto le prime aziende agricole che ricevevano turisti e conosciuto l’associazione “Agricolture e tourisme”, nata nel 1955 per valorizzare i piccoli paesi delle campagne e realizzare quella che definiva significativamente “rianimazione rurale”. Le campagne erano in una sorta di agonia socioeconomica e occorreva una terapia forte,

efficace, innovativa... Nel 1965 nasceva così, promossa dalla Confagricoltura, l’associazione nazionale agricoltura e turismo, Agriturist, presieduta da un imprenditore agricolo toscano, Simone Velluti Zati, che mescolando felicemente cultura, spirito di iniziativa e simpatia, cominciò a martellare il Ministero dell’Agricoltura, il Ministero del Turismo, esponenti di spicco della politica, della pubblica amministrazione, della stampa, con il suo progetto di realizzare anche in Italia il turismo nelle aziende agricole. E l’idea riscosse grande interesse. I temi guida del progetto erano essenzialmente tre: riavvicinare la cultura urbana e la cultura rurale; restaurare l’ingente patrimonio edilizio tradizionale abbandonato in modo da conservare i paesaggi agrari; far conoscere i prodotti agroalimentari tipici delle diverse regioni, allora in via di estinzione. Sono passati quasi 45 anni da quei primi passi. L’agriturismo oggi conta circa 19 mila imprese attive, con 200 mila posti letto che accolgono 2,8 milioni di ospiti l’anno, e 350 mila posti tavola dove si somministrano pasti a base di prodotti regionali parte dei quali ottenuti dallo stesso operatore agrituristico. Più di mille aziende agricole accolgono campeggiatori, 1600 propongono passeggiate a cavallo, tre su quattro sono organizzate per la vendita diretta dei prodotti, spesso accompagnata anche da degustazioni; una su quattro pratica l’agricoltura biologica. Non meno di 30 mila edifici rurali (abitazioni, stalle, magazzini), spesso di grande pregio architettonico, sono stati restaurati nel pieno rispetto delle caratteristiche originarie, restituendo al paesaggio vitalità e armonia. I meriti dell’agriturismo non finiscono qui. Zone rurali mai toccate dal turismo sono state infatti rivitalizzate dall’arrivo degli ospi-


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Agriturist, la prima associazione agrituristica italiana

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griturist è nata nel 1965, per iniziativa della Confagricoltura, allo scopo di promuovere il turismo nelle aziende agricole e la valorizzazione delle attrattive rurali ad esso collegate: prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato, cucina tradizionale, paesaggio, ambiente naturale, testimonianze della cultura territoriale. Oltre a dare assistenza alle imprese agricole che si dedicano alle attività agrituristiche, l’Associazione promuove l’offerta di ospitalità “in fattoria” attraverso la Guida Agriturist, pubblicata annualmente dal 1975, e il portale internet www. agriturist.it. Realizza inoltre manifestazioni e campagne di informazione a favore dei prodotti a denominazione d’origine (DOP, IGP), della salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente naturale, della protezione del suolo agricolo dall’urbanizzazione selvaggia, intervenendo presso le istituzioni pubbliche affinché perseguano questi obiettivi. Per informazioni: Agriturist, Corso Vittorio Emanuele 101, 00186 Roma, tel. 06 6852337, mail agritur@ confagricoltura.it, sito web www.agriturist.it.

ne comincia con la conoscenza dell’origine di ciò che mangiamo. L’agriturismo, infine, è incontro con gli agricoltori, gente che ama la propria terra, ne conosce la storia, è orgogliosa dei concittadini che sono stati famosi, consiglia visite, gite, ricerche,

Siena, Fattoria La Selva

ti nelle fattorie, sollecitando lo sviluppo di altra ricettività turistica, nei paesi come nelle campagne, e promuovendo un ulteriore restauro di centri storici ed edifici rurali. Anche il patrimonio culturale “minore” ne ha tratto beneficio, con la nascita di musei etnografici e agricoli, delle strade del vino, degli itinerari del gusto e dei sapori, e la rivitalizzazione di tante feste e sagre popolari legate ai prodotti dell’agricoltura e della gastronomia. Palazzi fatiscenti e chiese abbandonate sono stati restaurati per offrire ai visitatori un territorio accogliente, gradevole, stimolante, nel quale scoprire luoghi della storia, dell’arte, della fede, della natura. Le attività commerciali e artigianali, spesso ridotte ai minimi termini quando addirittura non cessate del tutto, hanno ripreso quota al servizio del turismo proponendo specialità enogastronomiche, e rivisitazioni creative

dei manufatti tradizionali in legno, ferro battuto, ceramica, spesso opera di giovani altrimenti destinati all’emigrazione verso la città. Recentemente è stata particolarmente evidenziata anche la funzione didattica dell’agriturismo, che pure, già negli anni settanta, l’Agriturist aveva anticipato proponendo i “cancelli aperti” delle aziende agricole, per invitare il pubblico a visitarle, a conoscere l’origine degli alimenti, a distinguere il gusto di un prodotto genuino e tradizionale, ad acquistare direttamente dagli agricoltori. Le fattorie didattiche sono ormai circa 3000 e accolgono almeno un milione di studenti l’anno, spiegando loro che il latte non è un prodotto industriale come la Coca Cola, i polli sono “vestiti” e non “spogli” come si vedono in macelleria o al supermercato, un vasetto di miele è frutto del paziente lavoro delle api, e la sana alimentazio-

acquisiti, spiega la natura, racconta, a modo proprio, leggende, episodi curiosi, abitudini e tradizioni; permette, insomma, all’ospite di partecipare alla cultura del luogo come nessuna guida, pur brava e documentata, potrebbe fare. Basta essere curiosi, chiedere... e ascoltare.

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UNA TERRA NELLA QUALE LA POESIA DELL’UOMO NON SI È ANCORA PLACATA

ALLA SCOPERTA DELLA VALNERINA di ADRIANO CIOCI i sono vallate dove i cieli sono ancora tersi, dove la natura conserva il sapore di un tempo, dove le acque scorrono limpide tra ciottoli non ancora intrisi di catrame, dove i boschi emanano l’aroma di resina, dove i calcari sono testimoni fidati e

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sinceri. I prati trasudano ancora di rugiada purissima, le margherite sbocciano di petali suadenti, l’erba conser va il profumo genuino della terra. Borgate arroccate su

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picchi un tempo inespugnabili, pietre poggiate una ad una, archi incurvati dal peso dei secoli, vicoli illuminati da lanterne appese a ferri arrugginiti. Il sonno dei suoi abitanti è ancora accompagnato dalla cantilena di pigri corsi d’acqua, le ore notturne sono scandite dai rintocchi dell’orologio, il risveglio è anticipato ancora dal canto del gallo, quando le luci flebili dei paesi diventano punti inesistenti nell’aurora incipiente. Questo paradiso è ancora una possibile realtà. Nell’Umbria sud orientale, dove le vallate del Nera, del Sordo e del Corno si insinuano tra Marche e Lazio e dove gli imponenti monti dell’aquilano vigilano e squarciano il cielo, i fuochi non sono ancora sopiti, i tizzoni ardono del calore della campagna, le mandrie punteggiano i fianchi dei pendii, le torri di avvistamento emanano ancora segnali di ammonimento, i castelli suscitano le fantasie dei curiosi, le abbazie accolgo- no ancora

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viandanti, i romitori, seppure abbandonati, trasudano spiritualità. Una terra in cui la poesia dell’uomo non si è placata, dove le note musicali della natura rimbalzano da una costa all’altra, dove il crepuscolo si carica del vento della nostalgia, dove la maggiore e più incontenibile emozione è il silenzio. Qui sono nate alcune tra le figure più rilevanti della cristianità: Benedetto da Norcia e Rita da Cascia, un uomo e una donna che hanno fatto della propria esistenza esempio e messaggio per tutti. Un esempio ed un messaggio basati sulla povertà e sulla carità, rivoli di gioia e di sofferenza che hanno intaccato gli animi più incerti e distratti. Una terra dove la storia continua ancora a scrivere pagine stupende. Dalla città di Terni si risale lungo la Statale 209. Già in vista della Cascata delle Marmore, si ha un primo “assaggio”

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dell’ambiente naturale e culturale dell’intera area. La Cascata è uno spettacolo imponente: qui il fiume Velino, proveniente dalla piana di Rieti, si getta con tre salti nella sottostante vallata; 165 metri tra spruzzi d’acqua e giochi di luce, per un’opera artificiale intuita da Curio Dentato nel 271 a.C. Voluta per ragioni di bonifica delle terre, da circa un secolo la sua forza alimenta gli impianti idroelettrici della zona. Si prosegue lungo la Statale, dove si incontrano i graziosi centri di Castel di Lago e Arrone (chiesa romanica di Santa Maria Assunta e chiesa di San Giovanni Battista, secc. XIII-XIV). Più avanti sorge Montefranco, abbarbicata sulla roccia (chiesa della Madonna del Carmine e, più in basso, l’Oratorio di San Bernardino), quindi Ferentillo con i suoi due agglomerati di Precetto (chiesa di Santo Stefano ove sono con-

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servate mummie singolari) e Matterella (chiesa di Santa Maria, secolo XIII). Pochi chilometri più avanti sorge una delle perle della Valnerina: l’abbazia di San Pietro in Valle, centro di vita religioso risalente all’VIII secolo, dove sono custoditi pregevoli affreschi sul tema del Vecchio e Nuovo Testamento. Si entra nella provincia di Perugia a Scheggino, rinomato centro di produzione del tartufo (da visitare la chiesa di San Nicola di Bari). Da qui in avanti è un susseguirsi di piccoli ma interessantissimi centri: Vallo di Nera (chiesa di Santa Maria dei Bianchi, secolo XIII), Sant’Anatolia di Narco (chiesa della Madonna delle Grazie e Sant’Anatolia), Castel San Felice (abbazia del XII secolo), Cerreto di Spoleto, patria dell’umanista Gioviano Pontano (chiese di S. Maria Annunziata, San Nicola, San Giacomo,

Cerreto di Spoleto

Santa Maria de Libera), Borgo Cerreto (chiesa di San Lorenzo), Ponte, Rocchetta (santuario rupestre della Madonna della Stella) e Triponzo. Qui la strada si divide: una sezione conduce a Cascia e l’altra a Norcia, i due maggiori centri della Valnerina. A Cascia si innalza il Santuario di Santa Rita, il cui nuovo complesso è stato edificato tra il 1937 e il 1947, dove è custodito il corpo della Santa. Pregevoli anche il Convento delle Agostiniane, le chiese di San Francesco, Sant’Agostino, Sant’Antonio Abate e Santa Maria. Importante è anche la frazione di Roccaporena, con la casa natale di Santa Rita e lo Scoglio dove si recava in preghiera. Norcia, patria di San Benedetto e di Santa Scolastica, ha origini antichissime. La piazza principale è impreziosita da tre monumenti: la chiesa di San Benedetto (XIII secolo), la Castellina (fortezza), il Palazzo Comunale. Le strade intorno al nucleo sono una continua scoperta L’abbazia di Sant’Eutizio

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tra opere d’arte e curiosità. Nella campagna attorno a Norcia vi sono le cosiddette marcite, prati perenni grazie alla presenza di una moltitudine di canaletti. Norcia è circondata dai monti Sibillini e a pochi chilometri sorge la frazione di Castelluccio (1.452 m/sm), per secoli un vero e proprio avamposto della civiltà in questi territori. Altri ragguardevoli centri della Valnerina sono Monteleone di Spoleto, luogo del ritrovamento della famosa Biga preromana (ora al Museo di New York), con un piccolo e grazioso nucleo storico, Sellano, Poggiodomo e Preci (centro dell’antica arte chirurgica), con la famosa Abbazia di Sant’Eutizio. La Valnerina, inserita nell’Italian Tentative List dell’Unesco, non è soltanto arte ed ambiente, ma anche generosa terra di genuini prodotti, con un elenco interminabile che, tra l’altro, comprende tartufo, lenticchia, farro, miele, salumi, trote, formaggi, frutti di bosco.


IL SETTORE DELLA NAVIGAZIONE MARITTIMA A SCOPI TURISTICI PROCEDE A GONFIE VELE

LA CRISI NON VA IN CROCIERA di FAUSTO NATALI

e è passata di acqua sotto le chiglie dai tempi di “Love Boat”, il patinato serial americano degli anni Ottanta ambientato su una nave da crociera caraibica. In poco meno di trent’anni, infatti, la vacanza crocieristica ha subito una profonda trasformazione ed oggi non può più essere considerata un prodotto di lusso riservato ad anziani facoltosi e a coppie in viaggio di nozze. Il segmento di clientela a cui si rivolge questo tipo di viaggio, grazie ad un’intelligente politica dei prezzi e delle destinazioni, si è progressivamente ampliato per includere anche giovani e famiglie. E ancor più acqua è passata da quando compiere una crociera consisteva nell’attraversare l’oceano per andare alla scoperta del “Nuovo mondo”. Nell’epoca attuale la crociera è fine a se stessa, non è più uno dei tanti modi per spostarsi, ma un tranquillo e confortevole periodo di vacanza lungo un itinerario prestabilito, nel quale il viaggio ha assunto una valenza superiore alla stessa destinazione. Una navigazione articolata in diverse tappe giornaliere durante le quali il turista scende a terra e visita il luogo nel quale è approdato. Proprio per queste sue peculiari caratteristiche, la moderna vacanza crocieristica necessità di una moltitudine di servizi collaterali, sulla nave e a terra (ristoranti, teatri, cineLa nuovissima MSC Splendida

ma, casinò, discoteche, negozi, piscine, centri fitness, banchine attrezzate, trasporti terrestri, guide turistiche) per riuscire a soddisfare i bisogni di svago e di cultura di una clientela che deve ottimizzare il limitato tempo a disposizione (una settimana o poco più, questa è in genere la durata media di una crociera). È anche per questi motivi, oltre ad un’ovvia economia di scala, che le flotte delle navi da crociera hanno intrapreso una corsa al gigantismo che nell’ultimo ventennio ha visto quadruplicare il numero medio di passeggeri per ogni imbarcazione. Oggi assistiamo, infatti, alla costruzione di “meganavi”, veri e propri pachidermi del mare: a luglio è stata varata la più grande nave da crociera mai costruita da un armatore europeo, la Msc Splendida, capace di ospitare fino a 3.959 passeggeri, e a fine anno toccherà alla Oasis of the Seas della Royal Caribbean (seconda compagnia crocieristica del globo), che con i suoi 5.400 passeggeri e 378 metri di lunghezza balzerà prepotentemente ai vertici della classifica mondiale, attualmente occupata dalla Independence of the Seas (4370 passeggeri e 339 metri) della stessa compagnia armatrice. Si calcola che il numero di crocieristi nel mondo si aggiri attorno ai venti milioni, perlopiù imbarcati nei Caraibi, nel Mediterraneo (l’area con il tasso di crescita più elevato), in Nord Europa, in Alaska e in Oriente. Un segmento che può apparire di nicchia, almeno rispetto ad un complessivo fenomeno turistico che nel


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Le piscine della Freedom of the Seas

2020 sembra toccherà quota un miliardo e mezzo, ma che non accenna a manifestare segni di crisi (+ 10% nel 2008), in netta controtendenza rispetto a tutti gli altri segmenti. La navigazione marittima a scopi turistici, infatti, grazie ad offerte che garantiscono sistemazioni di lusso all-inclusive a prezzi più competitivi rispetto ad altre formule turistiche, è riuscita ad interpretare le esigenze di un’utenza sempre più variegata e a quintuplicare in appena un decennio il numero dei propri clienti. Un settore che sembra destinato ad un futuro ancora più brillante, se si deve far conto sui grandi programmi di investimento dei principali operatori del mercato. La sola Costa Crociere, ad esempio, varerà tre nuove navi entro il 2012, tutte costruite in Italia da Fincantieri, per un investimento complessivo che si avvicina ai due miliardi di euro. In questo contesto un ruolo di primo piano lo recitano i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, l’Italia in particolare (destinazione europea preferita dai crocieristi, seguita da Grecia, Spagna e Francia). In termini comparativi, infatti, le aree geografiche nelle

quali confluiscono la maggior parte delle attività crocieristiche coincidono con quelle nelle quali le condizioni meteorologiche sono più stabili. È comprensibile, d’altronde, che le compagnie desiderino imprimere nei propri passeggeri ricordi più piacevoli di un fastidioso mal di mare. Da questo punto di vista, il Mediterraneo, caratterizzato da estati lunghe, inverni miti e una limitata escursione termica, può offrire opportunità migliori rispetto ad altre zone, magari altrettanto interessanti da un punto di vista culturale o naturale, ma meteorologicamente meno accoglienti. Ben sei, infatti, sono gli scali del placido Mare Nostrum fra i primi trenta del mondo: Civitavecchia (al primo posto in Europa con quasi due milioni di passeggeri movimentati per singolo porto), Barcellona, Palma de Majorca, Venezia, Napoli e il Pireo, tutti sopra il milione. Livorno, Savona, Genova, Palermo, Bari e Messina, con quote di mercato inferiori, completano il quadro dei principali porti turistici italiani. In Italia la maggior parte del settore crocieristico se lo dividono due compagnie: la storica Costa Crocie-

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re1 (14 navi con una capienza di circa 36.000 ospiti), genovese, leader europea del settore e la Msc Crociere2 (10 navi per 26.410 ospiti complessivi), con base a Napoli, erede della prestigiosa StarLauro. I fattori che determinano la scelta delle rotte e degli scali, e di conseguenza anche lo sviluppo dei territori circostanti, sono principalmente tre: le condizioni meteo marine, come dicevamo poc’anzi, le dotazioni portuali (pescaggio, servizi e attrezzature) e le caratteristiche dell’entroterra. Quest’ultimo fattore, dal punto di vista della ricaduta economica sul territorio, riveste un ruolo molto importante. Lo scalo di una nave da crociera, infatti, non si protrae per più di 5-6 ore e in questo breve lasso di tempo è necessario che il turista possa sbarcare e raggiungere il più rapidamente possibile le varie località di interesse storico-artistico nel raggio di una cinquantina di chilometri dal porto. Fondamentale diventa, pertanto, la capacità del territorio di rispondere alle esigenze del turismo crocieristico

con servizi e infrastrutture adeguate, per dimensione e qualità. In realtà le crociere, proprio per la loro natura autarchica, non producono sull’entroterra vantaggi immediatamente visibili, ma le fugaci esperienze turistico-culturali vissute dagli ospiti, se positive, spesso costituiscono spunti determinanti per successive e più complete visite, a tutto vantaggio di quei paesi e di quelle città che hanno saputo proporre le proprie attitudini culturali con intelligenza ed efficacia.

Note 1. Dal 2000 la Costa Crociere fa parte del gruppo statunitense Carnival Corporation, leader mondiale del settore (88 navi per un totale di oltre 160.000 posti letto; più di 2 milioni di passeggeri all’anno). 2. Mediterranean Shipping Cruises

Navi da crociera in parata a Miami


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BIOVALLO, UN GRANDE PROGETTO PER AIUTARE LA NATURA A CURARE LE FERITE CAUSATE DALL’UOMO ALL’AMBIENTE

DAL RESTAURO DEL PAESAGGIO AD UNA NUOVA ECONOMIA VERDE di LUIGI CENTOLA e cave attive in Italia sono quasi seimila, quelle abbandonate (censite) dovrebbero essere circa diecimila ma sono sicuramente molte di più. Soltanto in Campania ne esistono non meno di duemila. Il nostro territorio è pieno di ferite. Certamente è necessario reperire i materiali, meglio se localmente, per costruire opere ed infrastrutture indispensabili allo sviluppo, al benessere ed all’economia, ma è inaccettabile che si continui a massacrare e ad offendere il paesaggio italiano. Un patrimonio di tutti, unico al mondo, che non riusciamo a preservare da imprenditori totalmente privi di scrupoli, talvolta nemmeno nell’ambito dei siti Unesco. Il progetto del BioVallo1 è nato e si sta sviluppando grazie alla preziosa collaborazione della Comunità Montana, dei Sindaci, degli Amministratori e dei cittadini del Vallo di Diano. Nei quindici comuni del Vallo sono state censite settanta cave dismesse, mentre la provincia di Salerno ne conta purtroppo oltre seicento. La Regione Campania per incentivare la risoluzione del problema, nel recente Piano Regionale delle

Attività Estrattive (PRAE), ha previsto la possibilità di coltivare le cave abbandonate, in modo parziale e per un periodo di tempo limitato, previa approvazione di un adeguato progetto di riqualificazione e rinaturalizzazione. In pratica, pubblico e privati possono utilizzare questa opportunità per mettere finalmente in sicurezza i pericolosi fronti di cava, mitigare l’impatto visivo e rimodellare i piazzali, recuperando preziosi spazi per il tempo libero, eventi sportivi e culturali, attività turistiche ed imprenditoriali in armonia con la natura. BioVallo nasce così a trent’anni dall’inattuato progetto di Paolo Portoghesi per la Città del Vallo che incentivava lo sviluppo delle

Masterplan del Biovallo

Atena Lucana , giardino culturale con sistemi botanici

piccole città e delle infrastrutture retiformi di collegamento penalizzando i sistemi ecologici e l’agricoltura. Il masterplan e i tredici progetti di riqualificazione e riuso realizzati nella prima fase, in mostra permanente presso la Certosa di Padula, hanno un budget di quindici milioni di euro ed anticipano una visione più ampia, in cui le cave sono intese come il primo elemento di riscatto del territorio e costituiscono a tutti gli effetti una rete diffusa di laboratori per promuovere sia le peculiarità del luogo che le nuove opportunità imprenditoriali. Il piano generale innesca una nuova ‘Economia Verde’ a supporto della Provincia, della Regione e del Paese, limita la dispersione edilizia, tutela la biodiversità, l’agricoltura e le reti idrografiche, incentiva la riconversione delle coltivazioni non redditizie, sviluppa la ricerca e la produzione di biomateriali, biocombustibili ed energia da fonti rinnovabili, rilancia le tradizioni storiche, gastronomiche e religiose locali, ripensa il sistema della mobilità e lo sviluppo turistico, infine recupera alcuni edifici abbandonati o incompiuti. L’innovazione progettuale risiede in un approccio

contemporaneo al ‘Restauro del Paesaggio’ sfigurato. A seconda della geometria, dell’orientamento e delle esigenze specifiche dei fronti di cava sono state sviluppate diverse tecniche originali di messa in sicurezza, mitigazione dell’impatto e rinaturalizzazione utilizzando, ad esempio, corde di canapa, reti in fibre naturali, tubi innocenti riciclati. Il concetto guida per il recupero paesaggistico è di realizzare supporti tecnologici minimi, sovrapposti alla roccia, spesso abbandonata da anni, per consentire alla natura di fare il suo lento corso guarendo le ferite causate dall’uomo. Un progetto immateriale ed otto progetti materiali per altrettante cave di proprietà pubblica sono in via di finanziamento al parco progetti della regione, altri progetti privati sono in via di implementazione. L’ambizioso obiettivo del BioVallo, che programma il riuso complessivo di settanta cave e tre poli produttivi a servizio di nuove coltivazioni (BioAgricolture), della ricerca (BioHub) e della produzione (BioFactory) si potrà autofinanziare grazie al mercato dell’anidride carbonica per il suo efficace contributo alla riduzione globale di


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I tredici progetti realizzati 2

Padula, rinaturalizzaione e coltivazione delle alghe

emissioni di CO2. Tutta l’energia utilizzata sia per la gestione delle attività produttive che per gli spazi pubblici recuperati, compresa quella necessaria per la realizzazione di installazioni e luci artistiche, sarà autoprodotta utilizzando esclusivamente sole, vento e acqua. Biovallo è stato ideato e realizzato da un team transnazionale di urbanisti, architetti, ingegneri, paesaggisti, geologi, economisti, botanici e comunicatori con la preziosa collaborazione delle associazioni e di una serie di giovani professionisti locali selezionati in seguito ad un

Sala Consilina, parco urbano

bando pubblico. Uno speciale ringraziamento a Ugo Picarelli, Joao Nunes e Aurelio Perez, senza il loro eccezionale contributo umano e professionale Biovallo non sarebbe mai esistito. Note 1. Per approfondire: www.biovallo.it; www. centolaassociati.com 2. Il progetto BioVallo è in mostra permanente presso la Certosa di Padula (Sa)

1. Atena Lucana: Giardino culturale con tre terrazzamenti digradanti che riproducono i sistemi botanici del Vallo 2. Sala Consilina: Parco urbano per il tempo libero e grandi manifestazioni con proiezioni artistiche che narrano la storia del Vallo 3. Padula: Parco ed attività per il tempo libero all’interno del cratere con spazi e percorsi scavati nella pietra di Padula 4. Montesano sulla Marcellana: Biofiera con spazi scavati in roccia, area per realizzare eventi all’aperto e un bosco fotovoltaico 5. Monte San Giacomo: Ricomposizione ambientale e installazione di luce realizzata esclusivamente attraverso energie rinnovabili 6. Montesano sulla Marcellana: Piazza con spazi d’incontro e attrezzature sportive a servizio di un centro parrocchiale e di una scuola 7. Padula: Serie di orti urbani e terrazzamenti digradanti per recuperare i vegetali e le piante da frutto scomparse 8. Sanza: Infopoint per la conoscenza, la tutela e la promozione turistica della montagna e del Cervati 9. Sala Consilina: Sistema di aree coltivate per la produzione, la conoscenza e la promozione dei materiali ecologici e biodegradabili 10. Sala Consilina: Parco per la meditazione con crematorio, piccolo cimitero, cappella per la preghiera e luoghi di raccoglimento 11. Polla: Osservatorio sullo skyline del Vallo con belvedere panoramici ed aree per eventi illuminate interattivamente 12. Teggiano: Piazza per spettacoli all’aperto completata nel tempo da artisti invitati a lavorare i blocchi della pietra di Teggiano 13. Casalbuono: Sistemazione paesaggistica del fiume Calore con i materiali di risulta provenienti dalla costruzione dell’autostrada

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UN IMPORTANTE SITO ARCHEOLOGICO AL CENTRO DELLA CITTÀ UNGHERESE DI PÉCS, L’ANTICA SOPIANAE ROMANA

IL CIMITERO PALEOCRISTIANO DI PÉCS di PATRIZIA DAL ZOTTO dagiata ai piedi dei Mecsek, Pécs gode di un clima favorevole alla coltivazione della vite e di alberi da frutto. È capoluogo della Baranya, una regione che, posta al confine con la Slavonia, offre numerose attrattive naturali, con colline, laghi e acque termali, artistiche, con le più antiche chiese affrescate dell’Ungheria, e culturali, da sempre punto di incontro di etnie slave e germaniche. Il finanziamento europeo ottenuto nel 2004 nell’ambito di un Programma Operativo di Sviluppo Regionale, ha permesso di collegare in un percorso espositivo i risultati delle indagini archeologiche, sfruttando e sviluppando le potenzialità turistiche del Patrimonio Mondiale di Pécs, dichiarato tale dall’UNESCO nel 2000. Sono resti architettonici del IV secolo d.C. rinvenuti in una zona periferica del centro storico, dove il terreno inizia a salire in collina, nei pressi della cattedrale, tro torri angolari caratteche con le sue quatrizza il profilo della città di Pécs.

Tra i centri abitati della Pannonia, provincia romana di confine, spicca Sopianae (nome di origine celtica), che si sviluppa in un punto strategico sulla via che dal Norico e dal nord Italia conduce attraverso i Balcani fino a Bisanzio. Il rapido sviluppo economico e culturale della città di Sopianae, scelta alla fine del III secolo d.C. come capitale amministrativa, favorisce l’insediamento di una comunità cristiana, la cui ricchezza materiale e culturale è testimoniata dal cimitero. La posizione strategica che fece la fortuna di Sopianae, ne determinò anche il declino: le incursioni di popoli da oriente svuotarono in breve tempo la città dei suoi abitanti. Sopianae scomparve sotto cumuli di macerie nel corso del VI-VII secolo. In alcuni documenti medievali viene ricordata la località di Quinque Ecclesiae (Fünf Kirche in tedesco, Cinque Chiese nelle cronache italiane), sede di una delle dieci diocesi nelle quali (santo) Stefano, fondatore del Regno d’Ungheria, poco dopo il 1000, suddivise il proprio stato per l’amministrazione ecclesiastica. È l’antica

Pécs, Piazza Szechenyi

Sopianae, e le cinque chiese a cui fa riferimento il toponimo sono i resti di edifici sacri paleocristiani in rovina, utilizzati in parte come cave di pietra, in parte come luoghi di culto, e presso i quali viene edificata la prima cattedrale e il palazzo vescovile. Pécs, nome con cui viene ricordata la città nel XVI secolo, avrebbe origine slava, e farebbe riferimento alle stesse cinque chiese (pet: cinque). Dell’antica Sopianae resta dunque il cimitero tardo-romano, costituito da centinaia di sepolture e da una ventina (finora) di edifici funerari di epoca paleocristiana (IV-V secolo). Il complesso è, per ampiezza e ricchezza, per tipologie architettoniche e decorative, uno dei più significativi in Europa, seppure edifici simili paleocristiani siano presenti in altre regioni balcaniche. Si tratta di piccoli edifici costruiti su due livelli: sopra il terreno la memoria, una cappella probabilmente dotata di altare, dove si svolgevano le celebrazioni in ricordo dei defunti, e sotto il pavimento la camera sepolcrale contenente il o i sarcofagi, decorata con pitture a tema cristiano e scene bibliche. L’accesso alla parte sotterranea avveniva o dal pavimento della cappella superiore, oppure con un ingresso indipendente. La parte elevata sopra il terreno è andata completamente distrutta, mentre la parte ipogea si è in gran parte

preservata, pitture comprese. Le prime camere sepolcrali furono casualmente scoperte nel XVII secolo. Attorno al 1860 presero avvio studi, scavi e operazioni di salvaguardia sotto la guida di Imre Henszlmann, cui seguirono diverse campagne di scavo dal 1936 con Gyula Gosztonyi, dal Un sarcofago del Mausoleo 1964 con Ferenc Fülep e infine dal 2004 con Visy Zsolt. Il percorso espositivo che unisce i resti di sette edifici ha inizio dalla Cella Septichora, l’edificio più ampio del cimitero paleocristiano: grazie all’intervento dell’architetto Zoltan Bachman, che ha scelto una copertura trasparente, strutture di sostegno in cemento grezzo, ringhiere in ferro grigio, l’ambiente si presta ad ospitare manifestazioni culturali, secondo un ricco programma curato dalla Società che gestisce il sito: concerti, mostre fotografiche e d’arte, serate di lettura. Edificio unico per le sue sette absidi semicircolari, una sul lato orientale opposta all’entrata, e tre su ciascun lato, la Cella Septichora non ha restituito tracce di sepolture al suo interno, frammenti di decorazione pittorica sono state rinvenute solo tra le macerie, mentre le pareti interne erano prive anche di intonaco. I muri si sono conservati in alcuni punti fino ad un’altezza di 2 metri. La camera seplocrale della brocca è così denominata per la decorazione della parete di


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Il Mausoleo Paleocristiano

fondo nella quale è ricavata una nicchia, incorniciata da un fitto tralcio di vite: vi sono dipinti una brocca e un bicchiere. Le pareti laterali presentano motivi geometrici e floreali, che richiamano una recinzione e un giardino, mentre la volta, crollata, era decorata con motivi geometrici. Il

piccolo ambiente contiene due sarcofagi di grandi dimensioni, collocati in epoche diverse. La camera sepolcrale di Pietro e Paolo, al centro dell’area cimiteriale, è l’edificio più interessante e meglio conservato nella decorazione pittorica, pure molto rovinata, che costituisce un vero e pro-

Pécs, capitale Europea della Cultura 2010

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el 2007 la Società del Patrimonio di Pécs/Sopianae (istituita nel 2003), grazie a finanziamenti europei ottenuti con un programma regionale nel 2004, ha aperto al pubblico il percorso sotterraneo, il cui fulcro è il Centro del Visitatore della Cella Septichora, al quale sono collegati anche il Mausoleo Paleocristiano e i monumenti di via Apáca, pertinenti al cimitero, ma con ingressi distinti. Il titolo di Patrimonio dell’Umanità è assegnato solo al cimitero paleocristiano, ma non si può tralasciare il Museo Diocesano che conserva i resti del Duomo romanico, riccamente decorato con sculture e bassorilievi a motivi geometrici, floreali e vegetali, e figure umane. Pécs è stata scelta come Capitale Europea della Cultura nel 2010, insieme a Essen e Istanbul. Sito internet: www.pecsorokseg.hu

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prio ciclo iconografico. Sulla parete di fondo le figure intere di Pietro e Paolo indicano il monogramma di Cristo (il Chi-Ro) collocato tra di loro e circondato da motivi floreali e nastri. Su ciascuna delle pareti lunghe sono raffigurate scene bibliche (Noè, La Vergine col Bambino e I tre Magi; Il peccato originale, La leggenda di Giona). La volta è decorata in modo simmetrico da quattro medaglioni con ritratti maschili a mezzobusto, un medaglione centrale con il monogramma di Cristo, e da coppie di colombe e di pavoni accostati a vasi da cui esce una ricca decorazione floreale. La composizione è avvicinabile agli affreschi di V secolo del sacello di Santa Maria in Stelle in Valpantena (VR) e ad un brano dei mosaici del IV sec della basilica di Aquileia. L’ingresso alla cella inferiore avveniva dal piccolo nartece antistante la cappella, dei cui pilastri restano tracce. Due camere sepolcrali a pianta semicircolare hanno struttura muraria simile, di cui è apprezza-

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La Cella Septichora

bile l’utilizzo dell’opus spicatum: la n. 19 contiene due sarcofagi e tracce per ricostruire esattamente la forma dell’ingresso sotterraneo; la n. 20 conserva tre sarcofagi in mattoni, dei quali uno con le pareti interne intonacate e dipinte, in cui si riconosce un cristogramma. La numerazione degli edifici si riferisce all’ordine cronologico nel quale vennero rinvenuti a partire dal 1780. L’edificio ottagonale, con copertura a volta sorretta da due pilastri a croce, conserva resti di due finestre e della soglia della porta, ricavata da un sarcofago di epoca precedente. La pianta centrale fa supporre che inizialmente venisse utilizzato come memoria visitabile dai pellegrini, e che solo in seguito sia stato destinato a camera sepolcrale, con interventi architettonici che lo resero ellittico. Gli edifici della cattedrale romanica vi si sovrapposero, danneggiando in parte i resti sotterrati dell’edificio ottagonale. L’ingresso della Cella Septichora


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UN INATTESO ITINERARIO ARCHEOLOGICO FRA LE NECROPOLI ETRUSCHE

LA “VIA DEI PRINCIPI”

di ALESSANDRO MANDOLESI e MARTA CAMPAGNA Università degli Studi di Torino ella grandezza e della magnificenza dell’antico centro di Tarquinia, importante tassello della dodecapoli etrusca, rimangono in superficie pochi resti ricoperti da una coltre di polvere biancastra dispersi sull’altopiano della Civita. Il tenore di vita dei suoi abitanti si può ricostruire soprattutto attraverso le loro ultime dimore, cui gli Etruschi dedicavano tempo e risorse decisamente superiori rispetto alla casa terrena: in una collina che si allunga parallelamente a quella della città antica, quasi uno schermo verso il mare, sorge la grandiosa necropoli dei Monterozzi. Lì, accanto alle più antiche inci-

nerazioni villanoviane di IX-VIII secolo a.C., si trovano le famose tombe affrescate, dichiarate Patrimonio dell’Umanità; questi ipogei sono costituiti da una o più camere dalle pareti e dalle volte dipinte, scavati nel banco roccioso e talvolta ricoperti da piccoli tumuli di terra. Meno conosciuti dal grande pubblico, ma ugualmente affascinanti, sono invece i grandiosi tumuli di età orientalizzante (VII secolo a.C.), che cingono come una corona l’altipiano della Civita. Ad est, ad accogliere il sole nascente, si trova il tumulo di Poggio del Forno, mentre a ovest, a schermare la città antica dal tramonto, spiccano sulle pendici dei Monterozzi i tumuli gemelli “del Re” e “della Regina” ed il tumulo in località Infernaccio; infine a nord conclude il

Esposzione prospettica della necropoli di Tarquinia (da Luigi Canina, L’Antica Etruria Marittima, 1811)

I tumuli del Re e della Regina

cerchio ideale il tumulo di Poggio Gallinaro. La tomba a tumulo è un elemento caratteristico del paesaggio etrusco del periodo orientalizzante e arcaico (VII-VI secolo a.C.); i tumuli monumentali tarquiniesi sono sepolture dotate di un imponente basamento scavato nella roccia, ricoperto da una svettante calotta di terra. Tali caratteristiche architettoniche sono indicative dell’alto prestigio raggiunto dai personaggi sepolti e dalle loro famiglie in seno alle comunità etrusche: infatti, il ceto aristocratico concentra, all’inizio del VII sec. a.C., gli sforzi maggiori sull’architettura funeraria quale metafora della propria ricchezza e della propria potenza, secondo un preciso intento di esaltazione del proprio rango sociale. La ricchezza dei committenti è ulteriormente provata dalla magnificenza dei corredi funerari, che comprendono anche elementi indicati dalle fonti classiche come attributi della regalità e del

potere; questo, associato alla singolare magnificenza dell’architettura sepolcrale, permette di identificare le deposizioni come “principesche”. Ad ulteriore prova della loro rilevanza vi è anche la posizione topografica che, secondo una tendenza centrifuga rispetto alle città dell’antica Etruria, corrisponde a zone marginali delle necropoli urbane o ad aree rurali marcate dal passaggio di frequentate strade da e per i capoluoghi. Ai grandi tumuli va pertanto riconosciuto sul territorio un ruolo di emblema dello splendore aristocratico, e del controllo esercitato sulle singole contrade dalle famiglie gentilizie, che basavano appunto la propria ricchezza sulla proprietà della terra e sullo sfruttamento di tutte le sue risorse, nonché sul controllo degli scambi a breve e ad ampio raggio. E’ postulabile che all’interno dei sodalizi aristocratici etruschi deposti all’interno dei grandi


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tumuli, alla stregua del mondo greco- omerico, sia emerso un re (o lucumone) a capo delle comunità cittadine, scelto con il consenso dei nobili locali. La tipologia architettonica del tumulo tarquiniese prevedeva normalmente una sola camera funeraria a pianta rettangolare e pareti a profilo ogivale, con la sommità solcata da una fenditura longitudinale chiusa da pesanti lastre di pietra. I tumuli erano delimitati alla base da tamburi in parte intagliati nella roccia e in parte costruiti o foderati con blocchi squadrati e variamente modanati, decorati in alto da sculture di animali (belve e mostri minacciosi a guardia dei sepolcri), come ci illustrano alcuni disegni ricostruttivi ottocenteschi; il tutto era ricoperto da una monumentale calotta di terra. La tomba era solitamente preceduta da un esteso vestibolo a cielo aperto (per questo motivo definito “piazzaletto”) che in casi eccezionali assumeva l’aspetto di ampia gradinata destinata a ospi-

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tare i familiari durante le cerimonie officiate davanti alla porta della tomba. Ad ultimare l’importanza delle sepolture era un fastoso corredo funerario, con ceramiche e oggetti in metallo (nel piazzaletto era deposto anche il carro da guerra o da parata); purtroppo tutte le tombe principesche scoperte a Tarquinia sono state già saccheggiate e i corredi sono stati dispersi fra collezionisti e musei europei. Dopo il riconoscimento dell’Unesco, nell’ambito del programma di valorizzazione dell’area archeologica, sostenuto dal Comune di Tarquinia e dalla Soprintendenza Archeologica per i Beni dell’Etruria meridionale, è stato promosso dalla Regione Lazio il progetto “Via dei Principi”, che propone la valorizzazione di beni che, nonostante il loro pregio, risultano ancora poco conosciuti. Il progetto è stato concepito con l’intento di esaltare le sepolture a tumulo presenti nella necropoli dei Monterozzi e nell’area circostante la città etrusca di Tarquinia. L’intervento propone quindi un itinerario di visita attrezzato per il grande pubblico in grado di potenziare l’offerta archeologica della necropoli tarquiniese, integrando così la conoscenza delle tombe dipinte con quella dei tumuli principeschi, monumenti finora non accessibili nell’ambito del complesso tarquiniese. Il tracciato coinvolge diverse località archeologiche del territorio, caratterizzate anche da una forte valenza paesaggistica. Le tombe a tumulo

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di grandi dimensioni costituiscono un elemento pienamente inserito nell’ambiente alto-laziale; in particolare a Tarquinia anticamente segnavano a decine il profilo della principale necropoli urbana, quella dei Monterozzi, che appunto da questo tipo di sepolture prende il nome. I tumuli monumentali in corso di valorizzazione sono cinque: i due della Doganaccia, l’Infernaccio, Poggio Gallinaro e Poggio del Forno. L’area più interessante è senza dubbio quella della Doganaccia: si tratta di un ampio complesso funerario, dominato da una svettante coppia di tumuli protesi verso la marina. Il sito è attualmente oggetto d’indagine da parte dell’Università degli Studi di Torino e della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria meridionale, grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo e della Sai-Fondiaria. La disposizione a coppia dei monumenti è indice di una stretta relazione: i due tumuli apparterrebbero infatti a rami della stessa famiglia aristocratica, che utilizzò queste costruzioni per esibire ricchezza e potere. Importante è anche la loro posizione topografica sulla strada che collegava la città al suo porto: ad essi va pertanto riconosciuto, nel paesaggio etrusco, il ruolo di segnacoli dell’ideologia aristocratica che basava il potere sulla proprietà terriera e sul controllo dei traffici. Tra i materiali recuperati nel tumulo “del Re”, scavato nel 1928, spicca un contenitore da vino sul quale è

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stato dipinto, in lingua etrusca, il nome “Rutile Hipukrates”: l’individuo, che può essere interpretato come il dedicante del vaso, è di origine greca (Hippokrates) e ha “etruschizzato” il proprio nome trasformandolo in un gentilizio. Questo ritrovamento – come la coeva figura del greco Demarato di Corinto che, trasferitosi a Tarquinia e sposatosi con una donna locale, era ritenuto padre del futuro re di Roma Tarquinio Prisco –, è una testimonianza della mobilità sociale e della capacità di assorbimento di stranieri da parte della metropoli tarquiniese di stranieri. Il tumulo “della Regina” non è stato mai indagato scientificamente: le ricerche archeologiche appena avviate hanno già raggiunto dei risultati significativi. Le analisi cercheranno di contestualizzare questi monumenti all’interno della necropoli dei Monterozzi e del fenomeno delle grandi tombe a tumulo che tanto suggestionarono i colti viaggiatori europei dell’Ottocento.

Il tumulo del Re


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DAI TEMPI ANTICHI AI GIORNI NOSTRI ALLA RISCOPERTA DEI POTERI DELLE ACQUE

CALDE, PREZIOSE, DOLCI ACQUE… di ANNALISA BALDINELLI e testimonianze letterarie, scientifiche e mediche, svelano che già i Greci erano soliti praticare bagni in acque calde e ritenevano che proprio queste acque calde e i loro vapori che sgorgavano dalla terra avessero un particolare potere terapeutico a cui univano un significato sovrannaturale. Non è un caso che presso località termali sorgessero importanti templi come il famosissimo Tempio di Apollo a Delfi, dove la Pizia, avvolta dai fumi, prediceva con arcane parole il futuro. Agli occhi delle popolazioni antiche la presenza di divinità giustificava i poteri terapeutici e le proprietà caratteristiche delle acque termali. Anche i Romani esaltarono questo strumento di cura e di relax attraverso la realizzazione delle monumentali Thermae pubbliche che si affiancavano al balneum privato. Nella sola città di Roma si arrivò al punto di censire più di 800 stabilimenti termali pubblici e privati. Inizialmente frequentate per un duplice motivo: quello igienico e quello curativo, con il tempo divennero un luogo di incontro al pari del foro e accanto agli stabilimenti vennero creati spazi per le passeggiate, parchi e giardini, musei e biblioteche in cui si incontravano personalità quali: Plinio il Vecchio, Seneca, Marziale, Catullo, Tito Livio, Orazio. La pratica dei bagni termali coinvolgeva persone appartenenti a tutte le classi sociali. Per tale ragione, per consentire il più ampio ac-

cesso alle terme, il costo d’ingresso veniva contenuto. D’altra parte anche i medici romani, come già era accaduto per quelli greci con Ippocrate che consigliava la pratica dei bagni, Plinio, Celso e Galeno riconoscevano i salutari effetti del ricorso alle acque provvedendo a vari tentativi di classificazione in relazione alle caratteristiche chimico-fisiche e alle patologie. Con la caduta dell’Impero Romano, il decadimento delle strutture, il consolidarsi della religione cristiana che condannava le terme considerandole luoghi di peccato che favorivano la dissolutezza, si assistette al declino di tali luoghi, restringendo tale pratica al solo uso terapeutico per tutto il periodo del medioevo. I siti termali diventano luoghi estremamente noiosi e privi di agi. Sarà nel settecento, grazie alla trasformazione di un piccolo borgo della Cornovaglia, Bath in un “healthy and pleasure place” (luogo di salute e di divertimento), che le terme riacquisteranno vigore prevedendo la figura obbligatoria di un medico che conoscesse la composizione delle acque e quindi in grado di somministrane l’uso. Divenuto meta di soggiorno d’obbligo per l’Inghilterra che conta e vuole apparire, il piccolo borgo di Bath, si trasforma in una vivace città ricca di belle case, piazze, portici per le passeggiate, in cui ci si incontra più o meno “legalmente”, si chiacchiera al caffé, si partecipa a balli e concerti. Frequentata anche dalle famiglie reali, nel Saturnia, le Cascate del Mulino


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continente la copia conforme di Bath fu la cittadina belga di Spa. “Spa water” diventa sinonimo di acqua minerale e con il termine “Spa” si indicarono tutte le stazioni termali che continuano a fiorire: Baden – Baden, Montecatini, Salsomaggiore, Abano, Karlsbad… ci avviamo così al termalismo dell’età moderna. Le due guerre mondiali senza dubbio ridussero considerevolmente l’afflusso verso le stazioni termali che ripresero la loro attività nel dopoguerra in quella che è stata definita la stagione del termalismo sociale. La riconosciuta efficacia terapeutica delle acque termali ha, comportato il loro inserimento nel sistema sanitario nazionale e nei livelli essenziali di assistenza prevedendo, grazie al riconosciuto diritto costituzionale della tutela della salute, l’estensione delle terapie, a costi contenuti, all’intera popolazione. Come si presenta oggi il mondo termale? E’ una realtà che rinuncia a qualsiasi etichetta e che si conferma come il luogo più idoneo per il raggiungimento delle condizioni di completo benessere della persona, dove è possibile procedere alla cura delle malattie sposando

Le terme di Caracalla

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la terapia naturale con una altrettanto naturale immersione in oasi di verde e di pace. Sarà forse per questo che un campione pari al 70% della popolazione ha il desiderio di dedicare una parte del proprio tempo libero alla cura della propria salute in un’azienda termale? Il concetto di cura oggi è affiancato ad un altro concetto che è quello di benessere della persona che in un certo senso già al tempo degli antichi era emerso. Oggi il benessere sta diventando un vero e proprio “mercato della salute” in senso più ampio, come risposta al desiderio di restare giovani ed efficienti, abbattere lo stress, mantenersi attivi, felici, avere una cura anche estetica del proprio corpo, prevenire patologie o fare riabilitazione. Il termine “benessere” racchiude anche una diversificata tipologia di prodotti, servizi, luoghi volti a migliorare la condizione dello “star bene” della persona attraverso lo sport, l’alimentazione, la cura del corpo e i relativi servizi estetici, le terme. Il Touring Club Italiano ha concesso il proprio patrocinio alle manifestazioni “Terme aperte” promosse in tutta Italia da Federterme per ricordare il 90° della

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fondazione (1919-2009). Le più moderne navi da crociera dispongono di attrezzatissime Spa con specifici programmi benessere, gli stessi alberghi che riservano spazi dedicati alla cura della persona sono sempre più numerosi. Durante la fiera “Thermalia Italia” tenutasi a Napoli a cura della Regione Campania, che vanta la presenza delle celebri acque di Ischia conosciute fin dai tempi antichissimi in tutto il mondo, si è coniato un nuovo binomio: “benessere bell’essere” che sposa appieno la nuova società. Thermalia è divenuta una vera e propria vetrina dell’offerta nazionale e internazionale in risposta ad una domanda sempre più crescente e che ha partecipato numerosa all’evento. Si pensi ai molteplici pacchetti termali che vanno dai 3 ai 7 giorni in vendita presso le agenzie di viaggio, che intendono arrivare così ad un’ampia fetta di mercato che presenta esigenze più disparate con disponibilità di tempo libero del tutto variabile. Potenziali frequentatori del turismo termale oggi possiamo esserlo tutti, perché si connota che le persone sono spinte da motivazioni diverse e quindi assumono comportamenti diversi. I giovani, ad esempio, cercano per lo più la dimensione ludica del benessere (sport, forma fisica, divertimento), le persone adulte, invece, si propongono di star bene con se stessi, in un’armonia interiore, meditativa, chi è soggetto ad una vita routinizzata, standardizzata e solitaria sente il bisogno di relazione e di socializzazione e chi conduce una vita senza regole ricerca modelli di compensazione a stili di vita di trasgressione ed evasione. C’è poi chi tende a valorizzare il proprio aspetto fisico o curativo per essere mentalmente pronto al ritorno dalla vacanza ad intraprendere una “nuova vita”. Il turismo termale è senza dubbio in profonda evoluzione. Si pensi al semplice passaggio dal turismo termale inteso come soggiorno riservato ad un circuito elitario di riconoscimento sociale, all’identificazione negli anni

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Le terme romane di Bath

50-60 delle terme quali fenomeno di massa. La fase delle cure convenzionate, dove prevale l’aspetto curativo riconosciuto dal sistema politico e sociale ha comportato il diffondersi di tale pratica. Oggi un cambiamento radicale ha favorito il passaggio dal concetto di cura a quello di benessere. Il termalismo non interessa più larghi gruppi sociali garantiti, ma singole persone, che non si curano in quanto malate, ma fanno prevenzione e in quegli stessi luoghi trovano anche tutta una serie di servizi che consentono loro di rigenerarsi e divertirsi allo stesso tempo, creando un indotto economico sul territorio a vari livelli e in continua crescita. La realtà statica e noiosa si trasforma riconoscendo il passaggio da paziente a cliente, da curando a consumatore, da medicina a benessere non solo fisico ma anche psichico, da sollievo futuro a gratificazione ed emozione immediata, da accordi collettivi ad attività di marketing.


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UN MIRABILE INTRECCIO TRA UNA NATURA PRIMITIVA E SELVAGGIA E LE IMPONENTI VESTIGIA DEL PASSATO

SPAZI E PAESAGGI DEI CAMPI FLEGREI TRA MITO E ATTUALITÀ di MARIA CLOTILDE SCIAUDONE l golfo di Napoli è chiuso ad occidente dai Campi Flegrei, una vasta area di origine vulcanica formata da resti di decine di crateri poco elevati e da piccoli laghi salmastri prospicienti la costa (Averno, Miseno, Lucrino, Fusaro). I coloni greci che tra il VII e l’ VIII secolo a.C. qui fondarono Cuma, la più antica città della Magna Grecia, chiamarono questi campi “ardenti” proprio per gli importanti fenomeni eruttivi. Alla natura vulcanica si deve la presenza diffusa di acque termali, di tufo giallo e pozzolana e di porti naturali in

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insenature protette. L’ultima eruzione di rilievo si ebbe nel 1538 quando, in una sola notte, si sollevò il Monte Nuovo, mentre gli attuali fenomeni di vulcanesimo attivo si esprimono in forme peculiari come il bradisismo di Pozzuoli che consiste nell’alternarsi di cicli di innalzamento ed abbassamento della terra ferma. Grazie a questi fenomeni la linea di costa ha subito nel tempo variazioni e sprofondamenti che hanno in parte sommerso antiche strutture romane. In epoca imperiale, infatti, i Campi Flegrei costituivano un sistema urbano-territoriale molto importante e ad elevata specializzazione funzionale: funzioni commerciali a Pozzuoli,

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“Sotto il cielo più limpido il suolo più infido; macerie di inconcepibile opulenza, smozzicate, sinistre; acque ribollenti, crepacci esalanti zolfo, montagne di scorie ribelli ad ogni vegetazione, spazi brulli e desolati, e poi, d’improvviso, una verzura eternamente rigogliosa che alligna dovunque può e s’innalza su tutta questa morte cingendo stagni e rivi, affermandosi con gruppi di querce persino sui fianchi di un antico cratere” Goethe, Viaggio in Italia

militari a Lucrino e Miseno dove stanziava e si addestrava la flotta, turisticoresidenziali a Baia-Bacoli dove sorgevano imponenti stabilimenti termali e amene ville costiere, rifugio della nobiltà romana. Durante il Settecento e l’Ottocento i viaggiatori stranieri fanno dei Campi Flegrei una tappa obbligata del Gran Tour, colpiti dalla presenza di un mirabile intreccio tra le suggestioni classiche, una natura primitiva e selvaggia e le imponenti vestigia del passato. La storia dei Campi Flegrei è, infatti, una storia antica, ammantata di miti e richiami ai classici; i suoi luoghi esprimono un valore identitario, sono simbolo e segno di memorie collettive su cui si è forgiata parte della cultura occidentale. La storia dei Campi Flegrei, però, è anche una storia paradossale in cui il territorio non è stato utilizzato come risorsa e i beni ambientali e culturali sono stati a lungo percepiti come limitazione piuttosto che come marca dell’identità territoriale. L‘apposizione già negli anni Quaranta di norme fortemente vincolistiche per la tutela paesag-

gistica, ha determinato per contrappasso una crescita edilizia caotica, connotata da un diffuso abusivismo e da inadeguate prassi politico-amministrative. Settori storicamente rilevanti come il termalismo e il turismo culturale hanno rivestito un ruolo solo marginale per lo sviluppo economico locale. Oggi particolare importanza hanno i settori della balneazione e della ristorazione, quest’ultimo in continua espansione, tanto che la zona flegrea risulta fortemente caratterizzata dal marchio maresole-ristorazione. Si tratta di un turismo che, però, muove solo nei week-end e nei mesi estivi un enorme flusso di pendolari provenienti essenzialmente da Napoli. Il restante movimento turistico è molto modesto e anche le aree archeologiche presentano un numero di visitatori contenuto e una fruibilità inadeguata. Tuttavia, nel corso dell’ultimo decennio, si è registrata una lenta inversione di tendenza verso un’ottica più attenta alle peculiarità del contesto locale – la dotazione del milieu – da utilizzare come volano per attivare un nuovo processo di sviluppo.

Monte di Procida, Pozzuoli, Capo Miseno, Posillipo e il Vesuvio


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Questa tendenza è stata recepita dal POR Campania 2000-2006 che ha avviato un processo di recupero e valorizzazione delle valenze naturalistiche e storico-artistiche dei Campi Flegrei identificati come uno dei sei grandi attrattori culturali regionali. Per l’area è stato elaborato il Progetto (PIT) “RE-TOUR nei Campi Flegrei” il cui motto ne riassume abilmente l’idea guida: il ritorno ai Campi Flegrei attraverso la realizzazione di un itinerario di visita archeologico e paesaggistico che costituisca il motore per la crescita economica e culturale dell’area. L’idea è quella di una conservazione attiva che riesca a mettere in valore le diverse emergenze naturalistiche e culturali e a “fare sistema”. Nel territorio flegreo, infatti, insistono anche diverse aree tutelate: il Parco sommerso di Baia e della Gaiola, il Parco regionale dei Campi Flegrei,

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I PRINCIPALI SITI ARCHEOLOGICI DEI CAMPI FLEGREI Sito Parco archeloogico di Cuma Terme di Baia Parco archeologico sommerso di Baia Sacello degli Agustaii Castello di Baia Tempo di Serapide Rione Terra Anfiteatro Flavio

Epoca VIII sec. a. C. VIII sec. a. C. VIII sec. a. C. VIII sec. a. C. VIII sec. a. C. VIII sec. a. C. VIII sec. a. C. VIII sec. a. C.

esplicitato che solo attraverso una azione sinergica che coinvolga in una logica di governance tutti gli attori locali, non solo istituzionali, sarà possibile potenziare quel processo di riqualificazione e valorizzazione ambientale ed economica già in atto soprattutto grazie alle ingenti risorse messe in campo dal PIT. In sostanza, la tutela Unesco non è solo un

Stato di conservazione buono in restauro buono in restauro parzialmente restaurato buono parzialmente restaurato buono

bel marchio di cui fregiarsi, ma comporta una presa in carico delle problematiche delle aree tutelate e impone, sia alle popolazioni locali che ne hanno l’immediata fruizione, che alle istituzioni, la responsabilità della valorizzazione e della conservazione per le generazioni future di ciò che è riconosciuto patrimonio dell’umanità.

Le Terme di Baia

Cuma, l’Antro della Sibilla

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l’oasi WWF di Montenuovo e quella degli Astroni (già inserita nella Rete Europea Natura 2000). Su queste basi, nel 2008, si è fatta strada l’idea di candidare alla tutela Unesco la parte più esclusiva del patrimonio storico-naturalistico flegreo: il Parco archeologico sommerso di Baia e il fenomeno della subsidenza della linea di costa, fenomeno che nel corso del tempo ha creato un ambiente marino del tutto peculiare in cui convergono aspetti di grande interesse geologico-naturalistico e storico-archeologico. La concomitante gravissima emergenza rifiuti e la crisi istituzionale e di immagine di tutta la Campania che ne è derivata, hanno però suggerito di rinviare la proposta di candidatura. Certo, l’Unesco aggiungerebbe un quid di grande prestigio alla tutela e valorizzazione dei Campi Flegrei, ma va ben

Il Tempio di Serapide


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Il P u ntaspi l li

Il P u ntaspi l li

DIECI SEMPLICI REGOLE, TRA IL SERIO E IL FACETO, PER FRUIRE DEI LUOGHI DELLA CULTURA

GALATEO MUSEALE l giorno d’oggi l’affollamento dei musei (di alcuni musei per la verità, altri restano sconsolatamente vuoti a dispetto del loro altissimo valore) può reggere il confronto con la ressa dei centri commerciali durante i saldi di fine stagione, con le spiagge a Ferragosto o con le piste da sci sotto Natale. Un fenomeno che in determinati periodi dell’anno o in concomitanza con l’organizzazione di alcuni “grandi eventi” assume proporzioni preoccupanti, tanto da mettere a repentaglio la stessa fruizione dei luoghi della cultura.Prendendo spunto dai regolamenti e dai codici di comportamento vigenti in quasi tutte le istituzioni museali, integrandoli con alcune norme di comune buon senso abbiamo, perciò, concepito un “decalogo del buon visitatore”. Una sorta di galateo del perfetto frequentatore delle mostre d’arte. Un breve elenco di indicazioni semplici (per non dire banali)

Louvre, la folla davanti alla Gioconda

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che, partendo dall’assunto che la libertà di ciascuno finisce dove comincia quella degli altri, dovrebbero indurci ad un’attenta riflessione. Tutte le volte che entriamo in un museo, infatti, dobbiamo ricordarci che con il biglietto di ingresso non acquistiamo un diritto esclusivo alla fruizione e che questo stesso diritto appartiene anche a coloro che stanno percorrendo assieme a noi le sale espositive. Un diritto, peraltro, che spetta anche alle future generazioni, alle quali abbiamo il dovere di trasmettere quei capolavori che tanto ammiriamo, tenendo comportamenti che non ne mettano in pericolo l’integrità. Un decalogo che, a prima vista, sembra delineare la fisionomia di un museo “vecchio stile”, un po’ “bacchettone”, nel quale prevalgono i doveri del visitatore rispetto ai suoi diritti. Non preoccupatevi, quanto prima riserveremo lo stesso trattamento alle istituzioni museali, evidenziandone limiti e difetti e suggerendo alcuni accorgimenti che ne potrebbero migliorare le modalità di fruizione. Compito, per la verità, non impossibile. (f.n.)

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All’ingresso depositate tutti gli oggetti metallici in un’unica soluzione, senza rateizzarli come se si trattasse di ricordi di famiglia dai quali non vi separereste per nessun motivo al mondo. Le ripetute passerelle al metaldetector difficilmente vi faranno ottenere un contratto per le sfilate parigine d’haute couture e “quel paese” al quale qualcuno vi manderà non sarà di certo la Francia.

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Non oltrepassate i cordoli di protezione ed evitate di far suonare ripetutamente i distanziatori acustici. È vero che certi quadri vanno visti da vicino, ma vi sembra sensato farvi bacchettare dal personale di vigilanza solo per appurare che quel magnifico vaso di fiori è veramente dipinto? Non uscite dai percorsi consigliati e non andate contromano. Un museo non è certo un’autostrada, ma gli itinerari di visita, i suoi sensi di marcia, sono appositamente studiati per favorire lo scorrimento del pubblico e garantire la migliore fruizione delle opere esposte, non i capricci di curatori che hanno studiato all’ANAS. Non impallate chi sta ammirando un quadro andando a piazzarvi proprio davanti alla sua testa. Poi lui dovrà spostarsi e impallare qualcun altro, il quale a sua volta dovrà spostarsi e impallare qualcun altro… e così via fino a produrre un effetto domino dai risultati imprevedibili. Guardate, ma non toccate. A parte quando si tratti di opere di arte contemporanea che prevedano l’interattività con il visitatore. In questo caso mettete da parte la timidezza e date sfogo a tutta la vostra esuberante creatività. Non usate il flash per fotografare le opere d’arte, anzi, quando è possibile, evitate proprio di scattare foto: sono migliori quelle in vendita al bookshop (spesso a prezzi modici). Non fatevi prendere dalla smania di affermare la vostra individualità e di ribellarvi al “potere museale costituito” scattando fotografie di nascosto. Hasta la fotografia siempre è uno slogan che non si addice ai musei.

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Prima di entrare spegnete il cellulare. Un gesto semplice, forse difficile per qualcuno, ma che permetterà a voi e ai vostri “compagni di museo” di gustarvi la mostra nel modo migliore. Perché non approfittate dell’occasione che vi si offre di imporre, almeno per una volta, la vostra volontà ad un aggeggio così invadente?

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Non consumate cibi e bevande all’interno dei percorsi museali, ma utilizzate sempre e solo le aree appositamente attrezzate. Nessuno vi proibisce di gustarvi la straordinaria focaccia con i ciccioli che solo il vostro panettiere di fiducia sa sfornare, ma state certi che le briciole che avete seminato in mezzo museo saranno ramazzate dai custodi ben prima che Hansel e Gretel possano ritrovare la via di casa. Non fumate. Mai. Né prima, né durante, né dopo. Una buona regola che vale in ogni occsione. Non disturberete gli altri visitatori e ne guadagnerete in salute. Tenete un tono di voce moderato, non gettate cartacce a terra, non correte né giocate nelle sale. Insomma… siate educati, niente di più.


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* Notizie dall’Italia e dal mondo

Il diario di Anna Frank fra le “Memorie del mondo”

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Bridgetown (Barbados) nel luglio scorso il Direttore Generale dell’UNESCO, Koichiro Matsuura, ha annunciato l’inclusione del diario di Anna Frank, nel Registro della “Memoria del mondo”, il programma fondato nel 1992 dall’Unesco per la tutela degli archivi e dei documenti storici. Anna Frank, la ragazza ebrea che aveva affidato al suo diario due anni vissuti, nascosta ai nazisti, ad Amsterdam, è morta in un campo di concentramento nel 1945. Il suo diario è uno dei “dieci libri più letti nel mondo”. I nuovi ingressi entrano a far parte dei 193 beni del patrimonio documentario di ”interesse universale”. Tra gli altri beni iscritti quest’anno ci sono gli archivi fotografici dell’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, il registro degli schiavi delle Antille Britanniche, le Capitolazioni di Santa Fe che firmò Cristoforo Colombo, gli archivi del museo del genocidio in Cambogia e il Canto dei Nibelunghi. Nel 2005 anche la Biblioteca Malatestiana di Cesena ha ottenuto questo prestigioso riconoscimento.

Il parco più bello d’Italia 2009

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celta tra una rosa di dieci finalisti, la Reggia di Caserta è la vincitrice dell’edizione 2009 del premio ‘’Il Parco più bello d’Italia’’, assegnato con il Patrocinio del Ministero per i Beni Culturali, del Fondo per l’Ambiente Italiano e dell’AIAPP - Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio. Il recente esemplare restauro del Giardino Inglese, creato nel 1785 sul lato destro dell’asse mediano, per volere di Ferdinando IV e di sua moglie Maria Carolina, è stato uno dei motivi che ha particolarmente influenzato il giudizio

della giuria. Il complesso della Reggia, già proclamato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, parteciperà, assieme ai vincitori delle altre edizioni nazionali, all’edizione 2010 del concorso “Il Parco più Bello d’ Europa”. Una menzione speciale della giuria è andata al Giardino Giusti di Verona, straordinario giardino che si estende su più livelli sul retro del palazzo urbano dei Giusti, superando un’imponente rupe in cui sono state ricavate cinque grotte, dall’apice della quale si gode un’incantevole vista su Verona e dintorni.

Bruno Bozzetto ANIMA il cartoon sulla Valle Camonica

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er la prima volta nella storia delle istituzioni, sarà un film d’animazione a promuovere il rilancio del patrimonio artistico di un territorio, e in questo caso della nuova immagine di un Sito Unesco. Si tratta di un vero e proprio cartoon con personaggi animati e alcune immagini dal vero, in un mix divertente e geniale, che porta la firma autorevole del più grande cartoonist italiano: Bruno Bozzetto. Il Distretto Culturale di Valle Canonica tra le azioni di promozione e divulgazione messe in atto per valorizzare il territorio camuno, ha deciso di affidare a Bozzetto la realizzazione di un cartone animato di quattro minuti circa, ispirato alle Incisioni Rupestri della Valle Camonica, quest’anno celebrate per il Centenario della loro scoperta e il Trentennale del loro ingresso nella lista del patrimonio Unesco.

Notizie dall’Italia e dal mondo *

156 Siti lacustri preistorici candidati all’Unesco

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siti palafitticoli di sei Paesi alpini in futuro potrebbero essere iscritti nella lista dei patrimoni mondiali dell’UNESCO. Sotto l’egida della Svizzera, che ospita la maggior parte dei siti selezionati, attualmente è in preparazione un dossier di candidatura che l’UNESCO dovrebbe esaminare il prossimo anno. Si tratta dei siti lacustri dell’arco alpino, un bene culturale che porta i segni di 7000 anni di storia e racconta la vita dei primi contadini del centro Europa. Il dossier comprende 156 siti (scelti fra gli oltre mille conosciuti) ubicati in Svizzera, Germania, Italia, Francia, Austria e Slovenia. Le palafitte culturalmente rappresentano delle realtà assai diverse che coprono il periodo che si estende dal Neolitico all’inizio dell’Età del ferro. Attualmente i siti preistorici sono rarissimi nella lista dell’UNESCO, rappresentati essenzialmente da pitture rupestri.

Unesco: nel mondo ancora 776 milioni di analfabeti

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ono ancora 776 milioni gli adulti analfabeti nel mondo, che si aggiungono ai 75 milioni di bambini che non frequentano la scuola o lo fanno solo saltuariamente. Sono i dati diffusi dall’Unesco in occasione della Giornata Mondiale dell’Alfabetizzazione, celebrata nel settembre scorso e dedicata all’importanza dell’istruzione per la partecipazione, la cittadinanza e l’evoluzione sociale. L’analfabetismo è una piaga diffusa soprattutto nelle fasce più marginali ed economicamente svantaggiate delle popolazioni, ma colpisce anche le minoranze lingui-

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stiche e i gruppi nomadi. L’Unesco ha approfittato della Giornata per ringraziare pubblicamente “le molte persone che lavorano in maniera anonima ma costante, per aiutare gli altri ad acquisire la capacità di leggere e scrivere e le abilità numeriche e per concedere loro la possibilità di affrontare l’avventura dell’apprendimento”.

Il Vesuvio e il Cervino fra le meraviglie naturali del mondo

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i sono le Galapagos, la foresta amazzonica, il mar Morto, il Kilimanjaro, ma anche il Vesuvio, il Cervino, la Grande Barriera corallina australiana, il Gran Canyon e le cascate di Iguazu, Sono 28 e si trovano in ogni parte del pianeta le finaliste del concorso “Le sette meraviglie naturali del mondo”, promosso dalla fondazione New7Wonders. Le votazioni, che hanno coinvolto 440 località di 220 Paesi, si sono svolte via internet e hanno visto la partecipazione di oltre 100 milioni di navigatori. In questo modo, sono state selezionati 77 siti “semifinalisti”, ridotti successivamente a 28 da una commissione di esperti capeggiata dall’ex direttore dell’Unesco Federico Mayor Zaragoza sulla base dei criteri di “bellezza, particolarità, importanza ecologica, valore storico e localizzazione geografica”. A questo punto, la votazione continuerà via internet fino all’elezione delle sette meraviglie vincitrici, prevista per il 2011.


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L’ASSOCIAZIONE CITTÀ E SITI ITALIANI PATRIMONIO MONDIALE UNESCO

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Associazione delle Città e dei Siti Italiani Patrimonio Mondiale dell’Unesco è nata nel 1997 da una felice intuizione di sette amministrazioni comunali convinte dell’utilità di costruire una collaborazione con altre città e con altri soggetti per migliorare la capacità progettuale delle proprie realtà territoriali e sviluppare politiche di valorizzazione sulle quali far convergere capacità, competenze e responsabilità a più livelli. Progetti ampi e condivisi che consentano di offrire proposte competitive in termini di qualità e di opportunità di crescita sociale, culturale ed economica. Il sodalizio, del quale fanno parte 53 soci fra Comuni, Province, Regioni, Comunità Montane ed Enti Parco (), svolge un’intensa attività di sostegno alle politiche di tutela e di promozione dei territori insigniti del prestigioso riconoscimento Unesco e rappresenta uno dei principali interlocutori per tutti coloro che hanno a cuore lo straordinario patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese. È riconosciuta ufficialmente dal Governo italiano ed è l’unico soggetto, oltre ai gestori dei Siti, che può beneficiare di specifici finanziamenti per la tutela, la gestione e la valorizzazione dei Siti Unesco italiani. Oltre alla rivista SITI, l’associazione pubblica la guida ai “Luoghi Italiani Patrimonio dell’Umanità” (un volume di circa 200 pagine a colori, giunto alla terza edizione, che descrive sinteticamente tutti i Siti Unesco del nostro Paese), dispone di un sito web molto visitato (un milione e mezzo di contatti nel 2008), partecipa attivamente e con successo a convegni e a manifestazioni fieristiche e produce vari materiali promozionali. Presidente: Claudio Ricci, sindaco di Assisi. Vice presidenti: Giuseppe Baisi, sindaco di Tivoli, e Corrado Valvo, sindaco di Noto. il Comitato di presidenza è composto dai rappresentanti dei Comuni di Assisi,

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Barumini, Ferrara, Noto e Tivoli; il Consiglio Direttivo dai rappresentanti dei Comuni di Alberobello, Andria, Barumini, Ferrara, Firenze, Urbino, Verona, Vicenza e della Regione Toscana; Presidenza presso il Comune di Assisi - Piazza del Comune 06081 Assisi (PG) Tel. 075 8138676 fax 075 8138671 e-mail: assisi.unesco@ comune.assisi.pg.it; Segretariato Permanente presso il Comune di Ferrara - Via Boccaleone, 19 44100 Ferrara (FE) Tel. 0532419969/902 fax 0532419909 e-mail: associazione@sitiunesco.it, sito web www.sitiuensco.it. Soci: Comune di Alberobello, Comune di Amalfi, Comune di Andria, Comune di Aquileia, Comune di Assisi, Comune di Barumini, Comune di Capriate San Gervasio, Comune di Caserta, Comune di Cerveteri, Comune di Ercolano, Comune di Ferrara, Comune di Firenze, Comune di Genova, Comune di Lipari, Comune di Mantova, Comune di Matera, Comune di Modena, Comune di Montalcino, Comune di Napoli, Comune di Noto, Comune di Padova, Comune di Palazzolo Acreide, Comune di Piazza Armerina, Comune di Pienza, Comune di Pisa, Comune di Porto Venere, Comune di Ravenna, Comune di Riomaggiore, Comune di Roma, Comune di Sabbioneta, Comune di San Gimignano, Comune di Siena, Comune di Siracusa, Comune di Sortino, Comune di Tarquinia, Comune di Tivoli, Comune di Torino, Comune di Torre Annunziata, Comune di Urbino, Comune di Venezia, Comune di Verona, Comune di Vicenza, Comunità Montana di Valle Camonica, Consorzio Parco del Delta del Po, Ente Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi, Provincia di Ferrara, Provincia di Perugia, Provincia di Pesaro e Urbino, Provincia di Roma, Provincia di Salerno, Regione Lazio, Regione Toscana e Regione Veneto.


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