Rivista "La Magistratura" - Gennaio - Dicembre 2016 - Anno LXIII - Numero 1-2

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27 decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con legge 11 agosto 2014, n. 114”. L’aspetto dei titoli di accesso al concorso è stato quello che nel tempo ha subito le modifiche più rilevanti. Ed invero, come anticipato ante, precedentemente l’accesso alla procedura selettiva era consentito con il solo possesso del titolo di laurea e di conseguenza ciò comportava una platea di aspiranti di età – mediamente – compresa tra i 24 e i 30 anni. Ciò dal punto di vista delle conoscenze tecniche poteva però comportare delle lacune cognitive dovute al mancato approfondimento delle tematiche più complesse che, per ragioni di tempo e di opportunità, all’Università non erano oggetto di trattazione. Ad oggi invece è richiesto il possesso dei titoli aggiuntivi sopra menzionati il che comporta una prima – ovvia – conseguenza: i candidati si

approcciano al concorso a un’età più avanzata rispetto al passato in quanto il percorso formativo necessario per raggiungere i requisiti richiesti è più lungo e complesso. Ovviamente ciò non sempre comporta una maggior preparazione, né garantisce l’idoneità all’esercizio della funzione giurisdizionale poiché, come noto, la teoria e la pratica sotto molti aspetti richiedono competenze diverse anche se nessuna delle due, da sola, è sufficiente per rendere il soggetto un buon magistrato. Proprio al fine di saggiare la reale capacità dell’aspirante magistrato all’esercizio della funzione giurisdizionale sono state da sempre previste delle prove teoriche atte a valutare le competenze tecnico giuridiche dei soggetti in possesso dei requisiti di ammissione. Le prove che il candidato deve superare si articolano in una duplice fase, la fase degli scritti – preliminare – e la fase successiva degli orali. A tal riguardo occorre ricordare che, precedentemente, la procedura selettiva era articolata in una triplice fase. Vi era infatti una fase preselettiva in cui il candidato doveva rispondere ai quiz in materia di diritto civile, penale e amministrativo che costituivano il principale scoglio per tutti gli aspiranti magistrati, non solo per la notevole difficoltà di affrontare una simile prova, ma anche per il tempo a disposizione, sempre insufficiente soprattutto se rapportato al numero di domande cui dover rispondere. Tale tecnica però garantiva una selezione durissima e dunque una netta riduzione del numero di partecipanti alle prove scritte vere e proprie. Detta fase però è da sempre stata aspramente criticata perché inutile ai fini dell’obiettivo del concorso, considerando che la funzione giurisdizionale non è nemmeno lontanamente simile alla soluzione di un quiz a risposta multipla, ma richiede capacità di ragionamento più che memoria. Di certo l’eliminazione è stata favorevolmente accolta da tutti gli aspiranti magistrati e sicuramente non ne è auspicabile la sua

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