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MaGMA

magazzini generali memorie autonome O

è FESTA D’APRILE

L’insurrezione e la memoria. La forza di una data: testimonianza viva che un’altra Italia è possibile. di Amedeo Ciaccheri

Aldo dice 26x1 ! Aldo dice 26x1 ! Nemico in crisi finale Stop Applicate piano N 27 Stop..” Non è il gracchiare di una radio d’epoca che lancia le parole della Liberazione, ma ancora una volta carta fresca di stampa quella che stringi tra le mani, foglio d’agitazione per dissotterrare una storia che ci riguarda.

E quando più ne abbiamo bisogno, torna MaGMA a scostare la polvere del tempo e a prendere parola. Mai dare per morta la memoria e questo foglio ti guiderà attraverso alcune storie. Storie plurali, di donne e di uomini, di comunisti e soldati, di preti e socialisti, di strade che non conosci o che potrai riscoprire con occhi nuovi. Storie ribelli, di chi ha deciso di riscattare la dignità di un paese intero non per odio ma per sete di pace e libertà. Storie avventurose per come ha deciso di farlo, a costo della vita e per amore di futuro. Storie di piccoli e grandi eroi, perchè di persone normali che hanno messo in gioco la propria esistenza è fatta la nostra storia.

C’è chi considera la Storia, quella maiuscola come un macinino da caffè, capace di ridurre in polvere grani diversi e mescolare il tutto. Ma in questi magazzini di memorie non si mescola tutto e questi magazzini sono il bene comune che ancora dobbiamo custodire.

Qua chi ha scelto la libertà e chi invece l’oppressione, ancora fa la differenza.

Stai camminando per la Settima Zona, oggi Municipio Roma VIII: qua tra Porta San Paolo e la Montagnola si combattè, si cospirò, si salvarono vite, si organizzò un’Italia migliore anche in quelle notti quando l’impresa sembrava impossibile. E se quel Paese migliore ancora non ci sembra giusto quanto doveva essere, sempre a queste strade torneremo per cercare la direzione. Qua dove le Fosse Ardeatine si stagliano contro il cielo azzurro di Roma con la forza del monumento ai valori di un’umanità che non dimentica l’orrore e che conserva 335 nomi come semi che continuano a crescere come radici profonde della nostra democrazia. In questi tempi confusi, la democrazia non va forse più di moda nel mondo. Proprio per questo MaGMA torna a circolare per le strade e pronuncia la sua vocazione a insorgere. Insorgere contro il revisionismo opportunista. Insorgere contro il qualunquismo della memoria condivisa e contro gli smemorati d’annata. Insorgere per pronunciare la parola più bella oggi più che mai necessaria: Pace! Oggi che perfino dentro i confini d’Europa si è tornati a combattere.

In fondo in tutto il mondo riconoscono che abbiamo in Italia la fortuna della festa più bella, quel 25 che qualcuno vorrebbe cancellare e qualcun altro annacquare ma che difenderemo per le generazioni che verranno perchè senza un futuro di pace e libertà, diventeremmo traditori di noi stessi, delle nostre strade, di quel

Paese più giusto che ancora desideriamo.

“Il domani era venuto, e la notte era passata, c’era il sole su nel cielo, sorto nella libertà.” Con Sandokan e Pinin. Con Gregorio e Peppe, Cola e Dino, Sasà e Elena, Rosa e Piera e tutte loro. Buona festa d’aprile!

Accadde solo che i borghesi ebbero campo d’accorgersi che i partigiani erano per lo piú bravi ragazzi e che come tali avevano dei brutti difetti...

1 O
Magma 25 Aprile 2023
Beppe Fenoglio
“ ”

LA RESISTENZA

Raccontata a un fruttarolo Bangla

Quanto è lontano il distretto di Rangpur da qui, qui Montagnola, Rome, Italy? Ajar fa un gesto grandissimo con le mani, un gesto che va dalle carote alle fragole, come un arco quel gesto. Ajar è il mio amico Bangla, il mio fruttarolo. C’è il mare, la montagna a casa tua? Che c’è a Rangpur, terra di Bangla?

è nord, dice.

bre 1943 un fuoco di fucileria proveniente dal Palazzo della Civiltà Italiana all’Eur

annunciò ai circa ottocento granatieri di Sardegna asserragliati nel forte Ostiense che i tedeschi avevano travolto le difese sul ponte della Magliana. Erano entrati. Erano a Roma, 800 miliardi di km lontani da casa tua, sotto casa mia. Aggregato al forte c’era l’Istituto religioso Gaetano Giardino, che ospitava circa quattrocento bambini

e abbiamo paura del buio e anche della luce, è vero che abbiamo tanto da fare e che non facciamo mai niente.

Ascolta Ajar. C’era un fornaio. Si chiamava Quirino Roscioni. Mise a disposizione dei ribelli contro i nazisti la casa e il forno. Fece il pane, diede vestiti borghesi ai soldati italiani. Provò. Ma i nazisti avevano le mitragliatrici. Era il 10 settembre del 1943, è un tempo distante come un elastico, grande come un arco che va dalle patate alle fragole, amico mio. Lo uccisero. In questa piazza dove abitiamo ci sono stati 53 caduti, fu il primo grande argine all’avanzata dei nazisti dentro Roma, dentro l’Italia. È una piazza di eroi. E di martiri, Ajar.

Ajar mi guarda, mi allunga una mano, me la stringe. “È insulto che i cugini giocano a pallone la notte in questo monumento?”. No Ajar, è una festa. Siamo liberi ora. E la libertà si festeggia. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. La libertà è la nostra festa.

• I corsivi sono tratti da “Ho visto anche degli zingari felici” di Claudio Lolli

Per primo a Roma è arrivato Ajar, poi piano piano gli altri, i cugini, tutti cugini i Bangla. Rangpur è distante 800 miliardi di km dalla piazza dove abitiamo.

Ti prende la nostalgia Ajar? Come dite nostalgia?

Ajar prende il coltello, taglia una mela. Me ne offre uno spicchio.

Ajar è l’unico dei Bangla del quartiere mio che di notte non gioca a pallone. Perché si sveglia alle 3 per andare al mercato, tiene aperto il negozietto 14 ore di fila, e poi crolla come un sacco di patate su un sacco di patate. Ajar quando non è stanco mi racconta che a Rangpur mandano a raccolta cotone, riso e grano.

E siamo noi a far ricca la terra noi che sopportiamo la malattia del sonno e la malaria noi mandiamo al raccolto cotone, riso e grano, noi piantiamo il mais su tutto l’altopiano.

Gli altri Bangla giocano a pallone di notte, giocano scalzi nella piazza dove abito, che fu la prima della Resistenza. Piazzale Caduti della Montagnola. C’è il monumento. Ci sono i nomi. 53 in tutto.

Ti devo raccontare una storia Ajar, è una storia triste e memorabile. È la storia del mio Paese.

Ajar è curioso, ascolta, mi dice siediti qui che capo i fagiolini. Mi fa spazio su una cassetta.

Ti racconto. Alle ore 6.00 del 10 settem-

LELLA E RITA, PIERA E LE ALTRE

Donne nella Liberazione

ALL’OSTIENSE

orfani di guerra e minorati psichici, sotto l’assistenza di Don Pietro Occelli e di trentacinque suore francescane. I granatieri avevano solo 91 fucili, risposero al fuoco come potevano ma i nazisti erano forti, erano tanti, ed erano armati. Alle ore 7.00 i paracadutisti tedeschi superarono la Cristoforo Colombo e via Ostiense. Avevano i lanciafiamme, accesero roghi, bruciarono.

Ajar smette di capare fagiolini. “Ho capito – dice – Erano qui, erano arrivati”

Sì, erano arrivati.

Ascolta Ajar.

ODon Pietro Occelli, direttore dell’istituto degli orfani, alzò un lenzuolo bianco sopra una pertica per dire ai tedeschi che era la resa, basta, fine, ci arrendiamo, ci arrendiamo qui ci sono bambini, per favore non sparate. Suor Teresina di Sant’Anna, nata ad Amatrice, stava componendo il cadavere d’un granatiere nella cappella del forte Ostiense, quando un soldato tedesco che passava lì accanto si accorse che il morto aveva una catenina d’oro al collo, la catenina con il crocifisso. Cercò di strappargliela, la suora si oppose, lo prese a schiaffi. E lui la colpì tante e tante volte da farla cadere. Da ucciderla. Ma qui Ajar non era così come ora. La gente si ribellò.

È vero che non ci capiamo che non parliamo mai in due la stessa lingua,

VITE PARTIGIANE

Giuseppe

Giuseppe Felici nasce il 6 febbraio del 1923 a Roma e cresce in Viale Massaia 65. Studente di ingegneria viene chiamato alle armi nell’aprile 43 e arruolato in aeronautica. In licenza l’otto settembre decide di combattere a Porta San Paolo, riportando anche una ferita. Entra alla fine di quell’anno nelle fila dei GAP centrali di Roma.

Giuseppe si impegna, con Mario Fiorentini, nell’organizzare una serie di misure di protezione della comunità israelitica nel caso i tedeschi volessero ripetere il rastrellamento del 16 ottobre. Racconta Fiorentini: “Subito dopo il nostro incontro alla Fontana delle Tartarughe con Lucia Ottobrini e Giuseppe Felici ispezionammo il fitto intrico di viuzze intorno a Largo Arenula. Felici, alto e snello, era un giovane affascinante che, nonostante la giovanissima età, rivelava accortezza e maturità, con proposte piene di spirito inventivo e fantasia. Per me che elaboravo sempre con cura, minuziosamente, al limite del ‘perfezionismo’ le azioni di guerra, lavorare con Felici era una piacevole sorpresa”. Dopo lo sbarco di Anzio, il 22 gennaio 1944, Felici lascia Roma per raggiungere la formazione partigiana D’Ercole Stalin in Sabina. Nella Pasqua di Sangue, il 9 aprile 1944, Giuseppe ed altre 14 persone, catturati sul Monte Tancia, venivano fucilati in località Quattro Croci a Rieti, nelle tristemente note “Fosse Reatine”.

Non vi è nessuna traccia di Raffaella Chiatti sulle targhe della memoria affisse sui muri di Garbatella. Di lei le cronache, una trentina d’anni fa, parlarono solo per la triste morte opera di un rapinatore rimasto ignoto. Eppure andrebbe ricordata per tutt’altro motivo: infermiera presso la Croce Rossa, staffetta partigiana e unica donna del gruppo della VII zona GAP, svolse un ruolo fondamentale nel trasporto dei materiali esplosivi che venivano impiegati nelle azioni di sabotaggio contro l’esercito nemico. Fu lei tra l’altro a sventare un rastrellamento messo in atto dalla Banda Koch nel quartiere che avrebbe portato all’arresto degli uomini che facevano capo a Libero Natalini. Stessa sorte di oblio peraltro è toccata a Rita Maierotti, maestra elementare, anarchica e socialista, illustre esponente del sindacalismo novecentesco, che durante la guerra mise a disposizione la propria abitazione in via Umberto Bossi 2 come punto di riferimento per gli antifascisti di varia ispirazione, o a Neda Solic, vissuta fino al 2013 alla Circonvallazione Ostiense, ex partigiana attiva nella Resistenza in Croazia, imprigionata nel carcere fascista a via Tasso e che con la sua testimonianza ha permesso di risalire all’identità della quattordicesima vittima della strage de La Storta del 4 Giugno 44. A queste figure si potrebbero aggiungere le donne che hanno perso la vita durante gli scontri del 10 Settembre 43 nel corso della Battaglia della Montagnola: Pasqua Ercolani, Domenica Cecchinelli, Maria Dieli Barile, Suor Cesarina D’Angelo, più una quinta rimasta ignota, ferite a morte mentre prestavano soccorso ai soldati italiani. A volte, quando poi è arrivato il riconosci-

mento ufficiale dell’opera prestata, questo non riusciva a sganciarsi dagli stereotipi della cultura ufficiale. Maria Teresa Regard, la compagna Piera, vissuta molti anni a Garbatella, presente negli scontri di Por-

Prima abitavo all’Esquilino, poi ci siamo trasferiti in Via Ostiense 56, a metà degli anni Trenta. Mio padre andava tutti pomeriggi in osteria e lì si ritrovavano in molti. Andavano lì e intorno al tavolo bevevano, chiacchieravano. Ho saputo solo dopo che erano tutti antifascisti: all’osteria il discorso più corrente era quello di critica al regime. La chiesa era quella di San Benedetto. C’era anche un gran campo di pallone. A pallone ero mezz’ala, perché correvo molto. Lì ho fatto anche il chierichetto. C’era un prete molto bravo, Don Gregorini, che poi è stato anche dichiarato “giusto” per aver salvato degli ebrei perseguitati. Altre volte giocavamo al ponte di Ferro. Lì stavo nel giugno del 40 quando venne data la notizia dell’entrata in guerra e nel quartiere ci fu come un sommovimento di persone.

Il gazometro era una cosa che sovrastava tutta la via Ostiense: quando si produceva il gas il serbatoio si alzava e poi quando il gas diminuiva si abbassava. I gassisti erano degli operai importanti e seri: quello fu il mio primo rapporto con la classe operaia.

ta San Paolo e protagonista come gappista di diverse azioni di attacco verso i soldati tedeschi, amava spesso sottolineare come “la medaglia d’argento al valor militare” a lei conferita avesse per motivazione “il contegno virile ed esemplare” tenuto in molte circostanze. Una Resistenza declinata al femminile è sempre stata difficile da riconoscere anche se molte donne continuarono nel dopoguerra la loro azione meritoria. Come Elisabetta Di Rienzo, militante comunista e dell’U.D.I., protagonista delle lotte popolari e democratiche per il divorzio e per l’aborto e che portarono all’apertura del consultorio di via Montuori a lei dedicato.

E come Settimia Spizzichino, unica donna sopravvissuta al rastrellamento del Ghetto di Roma, che una volta tornata da Auschwitz non si è mai sottratta al dovere di raccontare, dedicando il resto della sua vita all’opera di testimonianza nelle scuole.

Le elementari le ho fatte vicino a casa. Nel 42 inizio il ginnasio, al Pio IX all’Aventino: una scuola di preti ma mi mandarono lì per non andare nella scuola fascista. A quel punto poi la Guerra era iniziata, mi ricordo quella cosa tremenda che fu il 19 luglio, il bombardamento di San Lorenzo. Allora c’erano le cantine sotto casa e si scendeva tutti lì in attesa della sirena di “passato allarme”. Mi ricordo poi del 25 luglio: il grido della Sora Consolina, perché sotto casa nostra c’era questa Sora Consolina e il Sor Alfredo, due antifascisti che stavano sempre con mio padre. Lei, rivolta a mio padre Nicola, cominciò a gridare “Ah Nicò, ah Nicò, se n’è ito er Puzzone! Se n’è ito er Puzzone!” Mi ricordo benissimo che uscii di casa; c’era festa e la gente buttava giù i quadri e i busti di Mussolini. Poi dovemmo sfollare in Umbria e l’8 settembre di Porta San Paolo non l’ho vissuto.

Dopo la liberazione, sull’attuale via del Gazometro, aprì la sezione del Partito. Mio padre era comunista ed era inevitabile che finissi lì.

Appena entrai mi misero in mano tre libri: il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels, le Lettere dal Carcere di Gramsci e il Tallone di Ferro di Jack London. Il Tallone di Ferro di Jack London mi fece un’enorme impressione: un testo rivoluzionario. Compravo poi il Calendario del Popolo oltre a L’Unità che mio padre leggeva e commentava ad alta voce. Lì, alla sezione Ostiense, sono sempre stato iscritto. Solo, a un certo punto, quando l’operaismo cominciò a essere mal visto, mi dissero qualcosa come “Mariuccio, aspetta a rinnovare.” Mi alternavo fra lì, a contatto con gli operai di zona e la sezione dell’Università, dove, nel mentre siamo al 1956, abbiamo ideato il “Manifesto dei 101”.

2 3 MaGMA 25 Aprile 2023
di Daniela Amenta di Maya Vetri Felici di Lorenzo Teodonio I ricordi di Mario Tronti di Lorenzo Teodonio

SENTIERO LIBERAZIONE

BORGATA LAURENTINA

Se il 25 luglio era stato il giorno dei congiurati e dei politici di palazzo, l’8 settembre 1943 è il giorno delle scelte. I gaglioffi da una parte, i ribelli dall’altra. All’annuncio dell’armistizio il Re e Badoglio abbandonano Roma e lasciano un paese allo sbando nelle mani dei tedeschi e dei loro gregari fascisti. Ovunque la gerarchia militare si sfalda, i reggimenti sbandano, gli ufficiali si mettono in borghese e fuggono. Non tutti. Alcuni reparti dell’esercito, tra cui la Divisione Granatieri di Sardegna, rifiutano di consegnare Roma senza combattere e trovano al loro fianco donne e suore, preti come don Pietro e civili di ogni età e condizione. La prima Resistenza è tra le case rurali e le baracche della Borgata Laurentina, tra vie che si richiamano alla pace delle abbazie: Trisulti e Farfa, Pomposa e Altacomba. La lotta di Liberazione nasce alla Casa Rossa e al forno di Quirino Roscioni.

Dalle Officine del Gas ai Mercati, dai ferrovieri agli operai dell’OMI, degno di nota l’apporto delle squadre “dalle mani callose” in VII zona. I forni della Romana Gas sono un posto infernale e il lavoro durissimo. I Gazometri diventano un covo di antifascismo e questo il luogo dove si fabbricano chiodi a tre punte e dove si preparano gli “spezzoni” che GAP riempiono di esplosivo per i loro attacchi. Ovilio Volpe e Francesco Cinelli lavorano qui e saranno uccisi dai nazisti. Giuseppe, fratello di Francesco, sta invece ai Mercati Generali. Abitano tutte e due alla Garbatella e venduti da un delatore finiranno entrambi alle Fosse Ardeatine. Figura straordinaria quella di Salvatore Petronari facchino anche lui. A 17 anni sta con gli Arditi del Popolo. Nel ‘22 accoglie a fucilate marciatori fascisti alla Batteria Nomentana. Per vent’anni non smette di lottare. Arrestato viene fucilato a Forte Bravetta il 20 gennaio 1944. “Vendicate l’avvocatino” è il volantino diffuso per tutta Roma.

è l’emittente clandestina messa in piedi da Peter Tompkins, agente USA attivo a Roma durante l’occupazione tedesca. Nel marzo del ‘44, forte del rapporto di fiducia con i gruppi della Matteotti qui presenti, diffonde ripetuti messaggi agli alleati per i lanci di armi nella zona “Circonvallazione Ostiense, via dell’Impero, Sette Chiese”.

Il 15 marzo l’ultimo appello prima di essere scoperta e smantellata: “Comunico nuove coordinate lancio Garbatella.

Ripeto Garbatella”

La ferrovia dove sostano i treni è un obiettivo dell’azione partigiana più decisa ma anche della rabbia piena di fame della popolazione. A settembre la gente dei lotti sfida i mitra dei tedeschi e nel corso di un saccheggio muore Jole Zedda, 16 anni, ragazza del lotto 28.

nista. La trincea della lotta antifascista in quei giorni attraversa anche la Chiesa. A Roma ci sono sacerdoti pronti a benedire i nazisti e altri che a questi si oppongono.

Preti come padre Alfredo Melani che nasconde ebrei nella vaccheria di San Filippo Neri alla Garbatella o come monsignor Didier Nobels o don Valentino Massa che nascondono armi. O come don Pietro Occelli che alla Montagnola forma la squadra di partigiani cristiani Avogadro Degli Azzoni. Ed è con dignità partigiana che in quei mesi muoiono uomini di fede come don Pappagallo e don Morosini.

La notte del 3 febbraio ‘44 uomini del questore Caruso e della banda Koch entrano nella basilica di San Paolo per rastrellare antifascisti ed ebrei là nascosti. Li agevola don Ildefonso Troya detto Bubi un monaco collaborazio-

Ugo Zatterin, nome notissimo nel giornalismo televisivo del dopoguerra, a Tor Marancia c’è passato da giovane partigiano. Tornato da inviato dell’Avanti parlerà di quella borgata dove uomini e donne, “sono resi uguali dal fango perenne”. Sciangai, “al confine della città civile”, è rifugio di banditi e ribelli, dei sovversivi guidati da Attilio Bayslack, di ex confinati come Pippo de Cupis e di tanti che il regime fascista bolla come “indesiderabili”. Giovanni Tagliavini, manovale, è uno di questi: la vigilia di Natale del ‘43 è catturato e deportato a Dachau. Il 2 febbraio 1945 muore nel campo di Gusen Mauthausen.

Hanno provato a seppellirci. Non sapevano che eravamo semi!

Alla Piramide l’ultima difesa della città. Attorno a pochi soldati e ufficiali si radunano anche futuri gappisti e proletari delle periferie. “Dalla Garbatella –racconterà Libero Natalini- con Nando il cinese, con Dario e Reval, raggiungemmo Porta San Paolo. Lì era in corso la battaglia.” Alberto Cotti detto Dartagnan, classe 1921 operaio OMI, accorre insieme a tanti altri: “A duecento metri dalla Porta –si legge nelle sue memorie- stavo riparato dietro un albero, in quello davanti a me si trovava un ragazzo.

Aveva un fucile 91, più lungo di lui. Armeggiò e puntò. Un tedesco in quel momento prese la rincorsa verso le Poste. Sentii netto lo sparo; il tedesco cadde e non si mosse più. L’aveva colpito il ragazzo. Per alcune ore si sparò, poi finirono le munizioni.”

Viale Massaia è quasi una linea del fronte. La concentrazione di militanti della Resistenza è qui elevata. Agli Alberghi abitano Ruggero Favilla, i fratelli Ticconi, Spartaco Proietti e ex confinati come Alberto Pallone. Enrico Mancini di Giustizia e Libertà sta al III Albergo. Ai Palazzi delle Poste risiedono molti aderenti alla VII zona socialista. Più su, al 65, c’è Giuseppe Felici uomo dei GAP. Sui muri degli stabili lungo il percorso vengono rilevate spesso scritte sovversive: ”A morte Mussolini”, “Viva Lenin”, “Fuori i tedeschi”. E ancora al numero 39 tuttora visibili da via Carlo Spinola: “Abbasso il fascismo, viva il Psiups….”, “Abbasso fascinazisti, Abbasso Adolf Hitler”.

4 giugno ‘44 Roma è libera. In molti quartieri spari e raffiche accompagnano i fascisti all’uscita. Alla Garbatella, prime luci dell’alba, un gruppo di gappisti occupa la loro sede in via Passino. Nella capitale si conclude una lotta durissima, fatta di atti eroici come pure di sconfitte e di dolorosi tradimenti. Nel nord d’Italia quella guerra civile chiamata Resistenza, sempre più aspra, andrà avanti per molti mesi ancora. Ma poi, poi fu festa d’aprile:

[…] tutto quel giorno ruppe nella vita con la piena del sangue, nell’azzurro il rosso palpitò come una gola e fummo vivi, insorti con il taglio ridente della bocca, pieni gli occhi piena la mano nel suo pugno: il cuore d’improvviso ci apparve in mezzo al petto.

[25 aprile - Alfonso Gatto]

4 5 MaGMA 25 Aprile 2023 LIBERAZIONE
BANDIERA ROSSA A SCIANGAI FOSSA CARNAIA ARDEATINA STAZIONE OSTIENSE PRETI IN GUERRA TUTE BLU RADIO VITTORIA BATTAGLIA A SAN PAOLO UNA LUNGA LINEA ROSSA 01 08 10 09 06
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ONORE AI GAP percorso e testi a cura di Claudio D’Aguanno 01 02 03 07 04 06 08 09 10 05

IL TEATRO DEL POPOLO

Sulla via della Libertà in scena alla Villetta

Una sera alla Villetta del Pci, arrivò Marcello Sartarelli: un compagno regista teatrale, ci dissero. Del mondo del cinema avevamo già avuto Beppe De Santis con Silvana Mangano freschi del successo di “Riso amaro”, entrambi in giuria per il premio “Miss Vie Nuove”. Ma questo compagno Sartarelli non lo conoscevamo. Riuniti nella sala al pianterreno, ci espose il suo progetto: “Portare il Teatro al popolo e il popolo al Teatro. Creare un teatro militante, politico, aperto a tutti: uomini e donne comuni, operai, impiegati, studenti,” spiegò, “di forte impatto emotivo, secondo la lezione del Théâtre National Populaire di Jean Vilar, che metta in scena episodi e esperienze ancora brucianti della nostra storia: la guerra, la lotta partigiana, la Liberazione, le battaglie sociali…”.

A noi giovani parve subito un’idea fantastica e un’ottima opportunità per ritrovare quello slancio, quella passione appannati

dallo scacco dello scorso 18 aprile. Vincendo un certo scetticismo degli “anziani”, ci mettemmo subito al lavoro ponendoci come obiettivo il 25 aprile per il debutto nel nostro giardino. Per prima cosa fu deciso chi doveva occuparsi della costruzione del palco ex novo, chi delle luci, chi delle scene, dei costumi, e a chi affidare il compito di “reclutare” gli “attori”, oltre che elaborare i testi partendo dal copione originale. Il compagno-regista ci disse che “Sulla via della Libertà” era già stato rappresentato al Nord, a Bologna, con enorme successo grazie al coinvolgimento di un centinaio tra metalmeccanici, mondine della bassa padana ed ex partigiani i quali, su un palco gigantesco, di fronte a migliaia di spettatori interpretavano le loro storie, le loro esperienze. Una sfida competere con quei numeri: Roma non era Bologna, l’Emilia rossa era lontana, ma, tra giovani e meno giovani, mettemmo insieme una ventina di volontari. A parte qualche

BANDA AUTONOMA TORMARANCIO

Asce di guerra firmate Bandiera Rossa

Tra i quartieri dove la falce e martello di Bandiera Rossa riscosse più adesioni Tor Marancia merita un posto di rilievo. Provenivano da Sciangai o dimoravano tra le case rapide alle Sette Chiese o ai ricoveri del San Michele e dell’Istituto Sant’Alessio, diverse decine di militanti che ingrossarono le file della Resistenza.

Epica la relazione della Banda Autonoma

Tormarancio fatta da Attilio Bayslak “La banda si costituì da sé” scrive il comandante “senza un preciso compito ma nacque così come nascono le grandi cose destinate a passare alla Storia. Essa fu costituita in principio da un piccolo nucleo intorno a cui si raccolse quello di più sano e battagliero su cui contava la comunità della Borgata”.

Il battesimo del fuoco è l’8 settembre 1943: “Sotto questa dolorosissima data per l’Italia si inizia l’asprissima vita di partigiano”

sottolinea Bayslak che puntuale registra il nome di alcuni dei componenti, iniziando dal “giovane arditissimo” vicecapo Fida-

modesta esperienza amatoriale, nessuno di noi aveva dimestichezza con l’arte della recitazione, eccetto Germano Longo, un ragazzone alto biondo che muoveva i primi passi nel cinema.

Quanto a me, ventenne, mi buttai con passione nell’impresa insieme ai miei due fratelli: il maggiore, smilzo, occhi azzurri fu condannato al ruolo di nazista carnefice di partigiani, l’altro, Virgilio, pittore, fu addetto alle scene e ai fondali. L’artista si era già cimentato nella riproduzione in cartapesta della colomba della pace di Picasso. Il “piccione”, come lo ribattezzarono ironicamente i vecchi della Villetta, faceva bella mostra di sé nei cortei “figurati”, alto sulle tute blu degli operai, i grembiuli bianchi delle pastaie, gli attrezzi dei contadini, le bustine targate Unità dei muratori, i cappelli di paglia e le braghette delle mondine, fazzoletti rossi dei partigiani, per le strade di Roma liberata, con Gillo Pontecorvo che filmava...

IL DOPOGUERRA DEL PCI

e “fuori linea”

SETTIMA ZONA Il fuoco dell’azione a Roma Sud

ni Luigi e a seguire: Piarulli Giuseppe, Barbati Marcello, Pica Mario, Corvesi Marcello, Pesetti Aldo, Mella Alfredo, Fornarini Giuseppe, Doninelli Paolo, Menghi Romeo, Valeri Alfredo, Gorra Oreste, Moreschini Secondo, Liso Michele, Clementi Victor Ugo.

OL’obiettivo principale è la Cecchignola per sabotaggi, rastrellamenti di armi, cibo e vettovaglie, un magazzino della caserma viene svuotato di “una decina di moschetti da cavalleria, diverse cassette di munizioni, due mitra e una trentina di bombe a mano”. Col passare dei mesi i pattugliamenti e le perlustrazioni vengono estesi alla

“zona della via Ardeatina, Castel di Decima, Divino Amore e Ponte Buttero”.

Non sempre però il racconto è lieto, l’impatto con i mitra nazifascisti è pagato a duro prezzo, si registrano, infatti, due giovanissimi caduti: Dini Spartaco di diciannove anni trasportato, nei giorni della battaglia della Montagnola, in gravi condizioni “all’Istituto Romano San Michele ove spirava appena giunto” e il quindicenne Nuvoloni Armando colpito al ponte dell’Acquataccia nel ripiegamento dopo un fallito assalto alla Stazione Ostiense.

Nelle azioni sono elogiati anche i contributi della staffetta Pallotta Bianca e della compagna Palombi Erminia che si dimostrò oculata depositaria delle armi e impavida collaboratrice; quest’ultima per il suo coraggio, fu qualificata patriota italiana.

La consegna delle armi agli Alleati da parte dei gruppi partigiani romani fu uno dei problemi che il segretario nazionale del Pci Palmiro Togliatti si trovò davanti nelle settimane seguenti il 4 giugno del 1944. Infatti la grande quantità di armi ancora in possesso dei civili impensieriva non poco le autorità. Tanto che un bando del prefetto Persico, qualche mese dopo la Liberazione, ne intimò la denuncia e la consegna inderogabilmente non oltre il 20 settembre. Il 13 giugno la polizia italiana, con mitra e pistole in pugno, faceva irruzione nella sede della Settima zona dei Gap a piazza dell’Emporio. “Dove stanno le armi” intimarono ai presenti. E il capozona, il tipografo comunista Giovanni Valdarchi, rispose: “tutti i fucili e le pistole sono state consegnate al posto di polizia alleato nella caserma Podgora di Trastevere. Sono già venuti quattro ufficiali americani a fare un’ispezione. Noi abbiamo seguito le indicazioni”. Naturalmente le cose non andarono proprio così. Ci sono testimonianze, come quella di Amleto Rossi, un marmoraro originario di San Lorenzo, che operò con Valdarchi che, poco prima di morire sulla fine degli anni ’80, scrive: “Dopo la cosidetta Liberazione, il partito c’invitò a consegnare le armi con premio di 45 mila lire che non mi piacque. Rinunciai. Le mie armi le conservai, le distrussi circa 20 anni fa con la certezza che non serviranno mai più”.

Ancora il 22 dicembre pistole e bombe a mano furono trovate sotto il pavimento della sottosezione comunista Bandiera rossa di Shangai, nel brutale rastrellamento da parte dei carabinieri della borgata. Per questo furono ricercati il segretario Armando Comandini e l’ex ardito del popolo Pippo De Cupiis, detto “er marsaletta”, che fu espulso dal Pci insieme ad altri iscritti.

L’epurazione nel Partito comunista della Garbatella degli elementi più riottosi all’ortodossia togliattiana era cominciata. Non solo, fu aspra anche la contrapposizione con gli eretici del Movimento comunista d’Italia, che avevano occupato abusivamente la Scuola dei Bimbi a piazza Longobardi per farci una sala da ballo. La resa dei conti era cominciata anche tra gli iscritti della Villetta, che simpatizzavano per il comandante parti -

Non furono molti i partigiani in armi. Una sparuta minoranza, uno “strato molto sottile” dirà Aldo Natoli, rispetto alla gran parte della popolazione romana che, per quanto stanca di guerra e ostile al fascismo, preferiva attendere piuttosto che rischiare. E tra chi voleva combattere non tutti conobbero il fuoco dell’azione.

Nel territorio Ostiense Garbatella, la VII zona, sono presenti i GAP comunisti e le formazioni GL mentre a Tor Marancia c’è la banda Attilio Bayslack, ma sono i gruppi del PSIUP, i socialisti della Matteotti qui diretti dai fratelli Edoardo e Cosimo “Nino” Vurchio col capozona Luigi Zanazzo, a distinguersi.

giano e responsabile dell’Organizzazione Pietro Secchia .

La tessera fu rifiutata più volte a chi era stato al confino. Eclatante il caso del maestro Prampolino Iatosti. Ma tra gli indesiderati, tra il 6 giugno 44 e il febbraio 1945, ci furono anche iscritti meno noti come Armando Ciolli, Borif Bordoba, Attilio Massi, Rolando Mattioli, Armando Mordenti, Fiore Campanella. Se non proprio di radiazione, si parla di frizioni evidenti con Gastone Mazzoni, medaglia d’argento della resistenza, al quale in quei mesi fu rifiutata ripetutamente la pubblicazione di due articoli sul giornale murale della sezione. Gastone, considerato una “testa calda”, coinvolto e arrestato per l’omicidio di Martino Malù in Villetta il 6 giugno del 1944, non fu nemmeno inserito nell’organigramma dei gap di zona predisposto nel dopoguerra da Roberto Forti. Eppure “er cipolla”, così era chiamato Gastone molto amico di Libero Natalini, era uno dei gappisti più in vista a Garbatella, insieme al “marò”

Peppe Lombardi, Reval Romani e Lamberto Cristiani.

La normalizzazione del Pci locale si completò nel 1951 con l’elezione a segretario di sezione del cattolico Otello

Gatti, che subentrò all’operaio dell’Omi Vasco Butini. Durante la sua segreteria, che privilegiò l’apertura ai ceti medi, furono negate le tessere ad alcuni compagni coinvolti nella difesa della Villetta dall’assalto neofascista del 28 gennaio 1950.

Trafugamenti di armi e sabotaggi segnano un percorso fatto anche di scontri duri come quello in piazza Bartolomeo Romano a fine gennaio 1944 in risposta al coprifuoco e, soprattutto, come l’attacco ai vagoni dell’esercito tedesco in data 24 febbraio alla Stazione Ostiense. è questa l’azione più alta compiuta da uomini in armi nel nostro municipio. Così la relazione depositata presso l’archivio ANPI: “... L’azione fu combinata dal gruppo comandato da Vurchio Edoardo con la protezione di tre squadre della stazione... furono fatti saltare n. 6 vagoni carichi di munizioni di alto e medio potenziale mediante tubi di gelatina immessi dalle aperture dei vagoni… Non appena avvenuto lo scoppio, la polizia nazifascista volle procedere agli arresti ma ciò fu evitato grazie all’intervento delle squadre che aumentarono la confusione generata dai primi scoppi.

Avvertito subito il Centro fu poi fatto un sopralluogo da Peppino Gracceva. Accertato che due vagoni erano stati distaccati dai tedeschi, si provvedeva a segnalarli a mezzo servizio radio alla V armata la quale in possesso dell’esatta dislocazione procedeva alla loro distruzione con bombardamento aereo…” La VII zona socialista rimase operativa nonostante arresti e perdite dolorose: Mariano Natili e il figlio Celestino trucidati alle Fosse Ardeatine, Libero De Angelis ucciso a La Storta. E nel giorno della liberazione, il 4 giugno 1944, sempre nei pressi dell’Ostiense agì in concorso con i GAP comunisti contro i tedeschi in ritirata. Pochi giorni prima, da quelle parti, un agguato anonimo aveva eliminato sotto casa Umberto D’Ottavi, fiduciario fascista di Garbatella. Il “solito ciclista” sarà l’ultimo lamento dei neri a Roma prima della fuga.

6 7 MaGMA 25 Aprile 2023
Alla Villetta espulsi ex confinati di Gianni Rivolta di Claudio D’Aguanno Dini Spartaco Fidani Luigi

Fosse Ardeatine. 335 nomi. I più giovani, Duilio Cibei e Michele Di Veroli, hanno appena 15 anni. il più anziano, Mosè Di Consiglio nato a Roma prima della breccia a Porta Pia, ne ha oltre 70. Nell’elenco figurano militari, partigiani comunisti e di GL, ribelli di Bandiera Rossa e socialisti del PSIUP, sacerdoti come don Pietro Pappagallo e gente normale, molti della comunità ebraica. 335: non tutti italiani eppure tutti antifascisti. 335: uccisi dai nazisti e scelti dai loro servi fascisti.

MaGMA edizione speciale 25 Aprile 2023. Contributi di: Daniela Amenta, Amedeo Ciaccheri, Claudio D’Aguanno, Maria Jatosti, Marco Giorgi, Giuliano Marotta, Gianni Rivolta, Lorenzo Teodonio, Maya Vetri. Con la partecipazione di: Nadia Bagni, Sara Coccoli, Roberto Giorgi, Simona Orlandi Posti, Sonia Spila. Coordinamento editoriale: Claudio D’Aguanno. Progetto grafico: Enrico Parisio.

Il presente numero speciale di MaGMA è realizzato in occasione della Festa della Resistenza 2023 promossa dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale.

8 MaGMA 25 Aprile 2023 O

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