Giuseppe Ruoppolo napoli, 1630? 1710 Giuseppe Ruoppolo fu un pittore importante, i cui dati anagrafici e i rapporti di parentela con Giovan Battista Ruoppolo non sono stati ancora chiariti. De Dominici lo dice infatti nipote del più grande dei Ruoppolo e ne menziona la data di morte sopravvenuta nel 1710. A quell’epoca Giuseppe sarebbe stato “quasi ottagenario” e siccome il biografo lo avrebbe “conosciuto” e “praticato più volte” è legittimo, almeno in attesa di verifiche, prender per buona l’informazione che egli ci offre (De Dominici, 1742-1745, III, p. 298). Se la biografia dell’artista non ha stimolato le ricerche d’archivio che s’impongono, il numero delle tele firmate in vario modo a noi note è invece cospicuo. Questo dato associato all’accurata descrizione che dell’operato del pittore De Dominici fornisce – e che è l’oggetto del recente intervento di De Vito (2005) – permette una più circostanziata evocazione dell’arte di Giuseppe Ruoppolo. La critica si accorda a rilevare l’influenza del Giuseppe Recco intimista, quello, per intenderci, della Natura morta con ghiacciaia siglata “G.R.” della collezione Molinari Pradelli, già attribuita a Giuseppe Ruoppolo da Causa (in Napoli-Zurigo-Rotterdam, 1964-1965, pp. 53-56) e dal medesimo restituita a Giuseppe Recco nel 1972 (Causa, 1972, p. 1044, nota 69; Bologna, in Bergamo, 1968, tav. 49; Salerno, 1984, p. 228; Middione, 1989d, p. 923; Confalone, in Monaco-Firenze, 2002-2003, pp. 215-217). Tale influenza sarebbe sensibile nel taglio ravvicinato che egli adotta in talune composizioni, nell’utilizzazione del fondo scuro unito, nella disposizione a fregio di oggetti di rame e agrumi. A detta del biografo proprio gli agrumi furono una specialità di Giuseppe (“Fece assai bene i frutti secchi, gli aranci, i limoni”), come dimostrano le opere note tra le quali ricordiamo il bell’esemplare – non firmato ma tipicamente suo – della collezione Molinari Pradelli con Agrumi e secchia di rame (fig. 1), il quadro del Museo Duca di Martina (cat. n. 36) o la serie di quattro
tele di cui una firmata “Gius. Roppoli” e pubblicata da Bologna (in Bergamo, 1968, tav. 49). Tutto ciò richiama l’arte di Giuseppe Recco che comunque, sempre se seguiamo il biografo, fu suo coetaneo. Invece la minuzia esecutiva di Giuseppe Ruoppolo di cui parla De Dominici (“cio che volea dipingere […] lo dipingeva [...] con tanta verità”) ha permesso a De Vito di attirare l’attenzione sulla parte avuta da Luca Forte nel forgiare la maniera caratteristica di tele come la grande Natura morta di frutta, vegetali e vaso di fiori – proveniente dalla collezione d’Avalos, oggi a Capodimonte – firmata e dipinta in collaborazione con Abraham Brueghel. L’utilizzazione pointilliste della luce che permette al pittore di studiare gli effetti d’incidenza del lume sulla scorza accidentata di cedri, arance e limoni è invece ispirata da Paolo Porpora (Causa, 1972, p. 1016). I legami che d’altro canto Giuseppe intrattenne con Giovan Battista Ruoppolo, motivati verosimilmente dall’appartenenza alla stessa famiglia, furono soprattutto di carattere professionale e comunque, per quanto difficilmente definibili allo stato attuale delle ricerche, meritano di essere ricordati in questa sede per le questioni storico-artistiche e filologiche che sottendono. La Natura morta di vegetali e agrumi – già presso la Galleria Sapori e adesso in collezione privata – considerata giustamente un capolavoro di Giovan Battista Ruoppolo e la Natura morta con cardi, insalata e rape bianche di Capodimonte, oggi data a Giovan Battista Ruoppolo ma da De Logu già pubblicata come Giuseppe (1962, p. 130, tav. 79), presentano molte analogie con una tela firmata di Giuseppe con Cardi, fiori, insalata e funghi (De Vito, 2005, p. 13, fig. 2) in cui i passaggi con il mazzetto di rape bianche e l’insalata sono addirittura sovrapponibili. Questi quadri pongono manifestamente il problema della collaborazione dei due Ruoppolo, che per ora purtroppo non possiamo chiarire.