L’oeil gourmand… Paris Galerie Canesso 2007

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Giuseppe Recco 29. I cinque sensi olio su tela. 76 × 105 cm firmato e datato sul mandolino “gios: recco / f. 1676” colleziona privata

sulla rintelatura, le lettere “sg” sormontate da una corona ducale corrispondente al marchio della collezione dell’infante don sebastiano gabriele di borbone e braganza. su un’etichetta rotonda  riportato il numero “23”. bibliografia. De Logu, 1962, pp. 139-140, fig. 87; Ghidiglia Quintavalle, in Parma, 1964, p. 87, n. 65; Bologna, in Bergamo, 1968, fig. 45; Martin-Mery, in Bordeaux 1969, p. 30, n. 55, fig.33; Causa, 1972, p. 1021; Sterling, 1981, p. 87, fig. 57 bis; Veca, 1982, fig. 265; Marini, in Roma, 1984, pp. 42-43, n. 12; Salerno, 1984, p. 214; Spinosa, 1984, n. 624; Middione, in Napoli, 1984-1985, p. 170; Loire, in Marsiglia-Napoli, 1988-1989, p. 224; Middione, 1989b, II, p. 903, n. 1094; Proni, in Cremona, 1996-1997, pp. 248-249; Zuffi, 1999, p. 272. mostre. Parma, 1964, p. 87, n. 65; Rotterdam, 1965, n. 57a; Bergamo, 1968, fig. 45; Bordeaux, 1969, p. 30, n. 55, fig. 33; Roma, 1984, pp. 42-43, n. 12; Cremona, 1996-1997, pp. 248-249.

Il monogramma “SG”, sormontato da una corona ducale, dipinto sul retro del dipinto, segnala la sua appartenenza alla collezione dell’infante don Sebastiano Gabriele di Borbone e Braganza (1811-1875). Nato da un ramo cadetto della famiglia reale spagnola, nipote dell’infante Gabriele e fratello di re Carlo IV di Spagna, questi, da amatore illuminato, aveva costituito una collezione di dipinti di prim’ordine (Águeda Villar, 2003, pp. 49-63). Personalità romantica e pittore a tempo perso, egli fu uno dei principali capi dell’insurrezione carlista del 1835, a seguito della quale il governo liberale confiscò la sua raccolta per depositarla presso il Museo della Trinidad di Madrid, episodio che diede luogo alla redazione di un inventario, pubblicato da Mercedes Águeda (1982, pp. 102-117). Quest’ultimo non menziona il nostro dipinto, né quello di Andrea di Lione, oggi al Louvre, proveniente dalla stessa collezione (Loire, 2006, pp. 200-201). La nostra tela deve essere entrata nella raccolta in un momento successivo con l’eredità della prima moglie, Maria Amelia di Napoli (1818-1857), figlia di Francesco I (1777-1830) re di Napoli e delle Due Sicilie. Sposatosi in seconde nozze con Maria-Cristina di Borbone, nel 1868 l’infante Sebastiano Gabriele si esiliò con i beni, nel frattempo restituitigli, a Pau dove, dopo la sua morte, le opere furono oggetto di una mostra (1876) prima di rientrare in Spagna e disperdersi, per volontà degli eredi, in due aste pubbliche (Parigi, 3 febbraio 1890 e Madrid, ottobre 1902). Mercedes Águeda Villar ha trovato traccia del nostro dipinto in due inventari inediti spagnoli (comunicazione dell’autrice). In un caso si tratta di una semplice lista, datata al 19 giugno 1875, che ne reca menzione sotto il n. 73 (trasformato in 23 da un’errata lettura del numero come compare sulla rintelatura): “Reco 3.000 pesetas”

Fig. 1 — Giuseppe Recco, Natura morta con pane, biscotti e fiori, Napoli, Museo Diego Aragona Pignatelli Cortes (collezione Intesa Sanpaolo ).



(Madrid, Archivo del Palacio Real). Sembra possibile pensare che si tratti del nostro dipinto poichè la menzione riappare, con maggiori dettagli, in un altro inventario, del 1887: “n. 1398 Recco, Escuela Napolitana. Bodegón con guitarra, flores y confites, de 0,78 por 1,32. Valorado en 500 pesetas” (Madrid, Archivo Histórico de Protocolos). Se l’altezza corrisponde a quella del dipinto, per la lunghezza l’inventario riporta una dimensione superiore, fatto che potrebbe spiegarsi con un errore di trascrizione al momento della stima. Qui, Giuseppe Recco firma e data (“1676”) un’opera raffinata e ricca di rimandi simbolici, che gli consente di andare al di là della semplice rappresentazione di oggetti inanimati, investendoli di un contenuto allegorico, quello dei cinque sensi, per l’interpretazione del quale rimandiamo a Maria Silvia Proni (Cremona, 1996-1997, pp. 248-249). In primissimo piano, siamo sollecitati da un piatto di dolciumi che sporge oltre il limite del suo supporto facendo appello tanto al gusto quanto al piacere tattile. Il liuto, come anche lo spartito aperto, sono inseriti per evocare al contempo l’udito e il tatto, a cui rimanda il pizzicamento delle corde. Il canocchiale e gli occhiali fanno allusione, senza mezzi termini, alla vista, tanto più che l’occhio stesso è interpellato nella contemplazione di questa scena. Il cofanetto rivestito di velluto rosso, come anche il pesante drappo sul ripiano marmoreo, rimandano ancora al tatto. L’orologio posto sul fondo della scena allude all’inesorabile scorrere del tempo e fa entrare lo spettatore nel mondo, più d’ispirazione nordica, della vanitas e del memento mori. I fiori primaverili (tulipani, narcisi, giacinti e anemoni), classico riferimento all’odorato, emergono da un vaso di cristallo con graziosi movimenti degli steli. Quest’allegoria appartiene a un gruppo molto coerente di opere, eseguite tra il 1675 e il 1680, che rappresentano elementi piuttosto insoliti e innovativi per la scuola napoletana, e che pongono il problema dei contatti con Evaristo Baschenis (1607-1677) e l’ambiente lombardo, la cui influenza si risente in particolare nell’impiego di una materia più levigata. Fra le altre, citiamo per esempio gli Oggetti di vetro e fiori del Narodowe Muzeum di Varsavia, la Natura morta con pane, biscotti e fiori di Napoli (Museo Diego Aragona Pignatelli Cortes; fig. 1) e i Fiori e dolciumi su un piatto d’argento di Pesaro (Museo Civico), tutte opere stilisticamente vicine alla nostra e che si distinguono per una luce più franca, più diffusa rispetto a quella impiegata dall’artista per le sue nature morte di pesci o per i suoi interni di cucina. vronique damian


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