Fig. 2 – Teramo Piaggio e Aiuto, Orazione nell’orto, Giuda impiccato Pentimento di Pietro, Cristo e gli Apostoli, tela di lino tinta con indaco e dipinta con biacca, 15381540, Genova, Collezione Tessile della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Liguria in deposito al Museo Diocesano.
visto che, come avveniva anche per i costosissimi abiti da parata, confezionati con tessuti serici e ricamati con filati dorati, era prassi comune utilizzare gli abiti fino alla totale consunzione. Per fortuna alcuni manufatti sono, per varie ragioni, sfuggiti a questo inesorabile destino, cosicché a Genova si conservano preziose testimonianze di manufatti di cotone, o lino, tinti in blu. L’esempio più straordinario è la serie di 14 teli destinati alle devozioni del periodo quaresimale dipinti con le Storie della Passione nel 1540 da Teramo Piaggio e da altri autori liguri – lombardi. La serie dei teli, proveniente dalla Chiesa dell’Abbazia di S. Nicolò del Boschetto a Genova, dove è stata conservata fino al XIX secolo, è diventata proprietà privata ed è stata salvata dalla dispersione grazie all’intervento della Soprintendenza genovese, che nel 2000 ne ha promosso l’acquisizione da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e reso possibile l’esposizione al pubblico nelle sale del Museo Diocesano a Genova23 (fig. 2). Alcune statuine da presepe settecentesche, che indossano abiti originali, conservate al Museo Luxoro di Genova – Nervi, sono inconsce e rarissime testimonianze di fustagno genovese, veri e propri antenati del jeans: infatti, anche se non sono ancora state effettuate analisi specifiche, dall’analisi visiva tutti gli abiti blu risultano costituiti da un tessuto con armatura diagonale con ordito di lino (o canapa?) color ecru e trama blu, quindi in fustagno blu, quindi in jeans! (fig. 3 e 4). Il nostro pittore dimostra una particolare predilezione per i tessuti, che sembrano essere in cotone, di color azzurro intenso con cui “confeziona” i grembiuli femminili indos. Cataldi Gallo 2008, pp. 75-87.
sati nelle due versioni della Donna che cuce e due bambini (cat. 7 e 8), della Madre mendicante con due bambini (cat. 9) e nelle due versioni del Pasto frugale (cat. 5 e 6). Nell’abbigliamento maschile le ghette dell’uomo che viene rasato, allargate con l’inserimento di un grossolano inserto triangolare, costituiscono un forte elemento di richiamo nell’interno piuttosto cupo, in cui tutto è giocato sul rapporto dei diversi bruni con il bianco. Anche i calzoni dei due bambini ai piedi del lettino, nelle due versioni del dipinto in cui è raffigurata la madre che cuce – e si noti il ricorso alla tela “turchina” tutta strappata per foderare il cuscino della culla – evocano la passione dell’artista per la tela blu e, verosimilmente, scaturiscono dalla sua attenta e acuta osservazione della realtà quotidiana. Nel corpus delle opere attribuite alla sua mano i personaggi e le ambientazioni evocano scenari di povertà, una povertà quasi esasperata, che, a ben vedere, lascia scorgere all’osservatore qualcosa in più della miseria, qualcosa che si può descrivere come l’adozione da parte dei più miseri dell’arte di arrangiarsi per sopravvivere. Ci mostra l’arte di usare casacconi tutti rattoppati, come il vecchio che imbocca il nipotino nel dipinto conservato a Gand (cat. 5 e 6), o come quello che si fa radere dal barbiere (cat. 12); di cucire un tessuto già logoro, mentre si indossa un velo da testa bianco strappato in più punti e un grembiule lacerato da evidentissimi strappi (cat. 7 e 8). Ma gli elementi più singolari del suo discorso sono i personaggi vestiti con abiti incongruenti rispetto alla loro età e alla loro condizione. Gli esempi di questo tipo di allontanamento da quella che si può definire “norma” riguar dano in particolare gli abiti dei ragazzini e quello della figura femminile raffigurata come mendicante (cat. 9). In tutti gli esempi, pur con le ovvie differenze fra abiti maschili e femminili, la stranezza consiste nel fatto che i personaggi sono raffigurati con abiti che manifestamente non appartengono loro. Le figure di giovani donne, cioè le due versioni di Donna che cuce e quella di Donna mendicante, indossano la stessa casacca, con baschina piuttosto lunga, che si vede bene nel dipinto della galerie Canesso, e maniche attraversate da un taglio longitudinale secondo la moda del tempo, ma strappate e logorate dall’uso prolungato, con sotto un giuppone di colore giallo aranciato; in particolare nella versione in cui compare la mendicante in piedi (cat. 9), si vede chiaramente come il giuppone sotto la casacca sia ornato da un gallone in pelle o dorato, che segna il paramano e profila l’abbottonatura: potrebbe anche essere appartenuto a un uomo o a un militare. Ci si può porre la stessa domanda sulla provenienza delle vesti osservando alcune delle casacche dei ragazzini, in particolare quello con in mano la pagnotta (cat. 4) e quello che chiede l’elemosina con la madre e la sorella (cat. 9), entrambe sono decisamente oversize – il giovane vestito con abiti troppo grandi per lui sembra un topos e ricorre anche in opere di Ceruti e Olivero – e rifinite con particolari accurati, ad esempio le asole ad anello lungo i profili dell’alto collare, in netto contrasto con la marcata allusione alla miseria in cui i due si dibattono.