IL MAESTRO DELLA TELA JEANS. UN NUOVO PITTORE DELLA REALITÀ NELL' EUROPA DELLA FINE DEL XVII SECOLO

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Fig. 2 – Giacomo Ceruti, Mendicante, Göteborg, Göteborgs konstmuseum. Fig. 3 – Giacomo Ceruti, Tre mendicanti, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza.

state attribuite ad artisti spagnoli come Herrera il vecchio, Mazo, Murillo e persino Velázquez, al punto che Hermann Voss, al quale era parso possibile in un primo momento avvicinare quelle opere al pittore romano di cultura bambocciante Antonio Amorosi, lo definì “der falsche Spanier” (1912). Per rendersi conto ancora meglio delle difficoltà nello studio delle vicende europee della pittura di tema popolare può essere utile osservare gli accidentati itinerari critici di alcune tra le migliori invenzioni di Giacomo Ceruti, a partire dalla mezza figura di Mendicante oggi al Museo di Göteborg (fig. 2), che prima di approdare, all’altezza del 1973, nel catalogo del pittore milanese, si era trovata addirittura a presenziare alla mostra parigina del 1934 dedicata ai Peintres de la réalité, corredata da un riferimento dubitativo a Jean Michelin, importante esponente della stretta cerchia dei Le Nain. Direttamente a Louis le Nain era stato invece a lungo assegnato uno dei più emozionanti capolavori cerutiani, vale a dire i Tre pitocchi della Museo Thyssen-Bornemisza a Madrid (fig 3), la cui corretta paternità venne riconosciuta solo nel 1963 grazie all’intuizione di Carlo Volpe, idea attributiva che permise in seguito di individuare in quell’opera una delle tele realizzate dall’artista nel 1736 per il maresciallo Matthias von der Schulenburg, appassionato sostenitore della pittura con scene di genere nell’Europa del secondo quarto del Settecento. E il pensiero corre a uno dei primi grandi interpreti della vicenda artistica di Ceruti, Giuseppe Delogu, il quale, trovandosi davanti agli occhi il cosiddetto ciclo di Padernello (di cui due esempi sono oggi qui presenti in mostra grazie alla generosità della famiglia Lechi e di un altro collezionista; cat. 14 e 15), non poté fare a meno di immaginare un possibile richiamo ai precedenti di Ceruti, così difficili allora da mettere in chiaro, sostenendo: “Egli trova forse nella storia

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un solo esempio di lontana parentela ideale in Luigi le Nain e più tardi in Chardin” (Delogu 1931). Volgendo lo sguardo ad un contesto cronologico di poco anteriore e sostanzialmente coincidente con quello del nostro anonimo pittore, ancora più problematico si rivela poi il percorso critico di due enigmatici vertici della pittura pauperistica tardo seicentesca come la Vecchia popolana con un ragazzo, già nella collezione dei marchesi di Casa Torres a Madrid (fig. 5) e i cosiddetti Popolani all’aperto (Cremona, collezione privata; fig. 4). Tradizionalmente ritenuto di Velázquez, il dipinto Casa Torres venne infatti assegnato nel 1940 da August Liebman Mayer, specialista del pittore spagnolo, al girovago artista lombardo-veneto Pietro Bellotti: un riferimento che ha goduto in seguito di un certo consenso ma che non ha impedito a Nicola Ivanoff, nel 1965, di proporre una collocazione nell’ambito di Georges de La Tour, utile a evidenziare i dubbi circa l’esatta decifrazione stilistica dell’opera, ancora oggi in cerca di un’affidabile classificazione. Sostanzialmente analogo, nella sua incertezza, il destino dei Popolani all’aperto, salutato al momento della sua apparizione, nel corso degli anni sessanta del Novecento, come un capolavoro di Giacomo Ceruti (Morassi 1967; Zeri 1976) e quindi successivamente avvicinato al già ricordato Pietro Bellotti (Frangi 1993), prima di essere orientato, sulla scorta di un suggerimento di Federico Zeri, in una non meglio precisata area tedesca o francese del XVII secolo (Anelli, 1996). Un vero e proprio tour europeo, dunque, scandito in tempi recentissimi da un’ulteriore tappa – molto verosimilmente non quella finale – che ha visto il dipinto confluire a sorpresa nel catalogo di Franz Werner Tamm, pittore di origine tedesca noto soprattutto per la sua produzione di nature morte (Gregori 2010). Quello che più stupisce, rivisitando queste esperienze storiografiche, è il disporsi delle diverse proposte attributive di volta in volta formulate entro un arco cronologico e soprattutto geografico davvero ampio, nel quale va individuato il segno preciso delle difficoltà che molto spesso si sono poste a chi si è confrontato con la pittura di soggetti popolari. Tra le cause di queste divergenze – che non hanno mancato di coinvolgere anche conoscitori tra i più attrezzati – non va sicuramente trascurato il generale ritardo con cui gli studi hanno avviato la ricognizione di questo campo della produzione figurativa e il recupero dei suoi molteplici protagonisti, spesso penalizzati dall’ostinato silenzio nei loro confronti da parte dell’antica letteratura artistica. Il fatto che alcuni di essi, come il tirolese Ulrich Glantschnigg, lo sloveno Almanach, il ‘lombardo’ Giuseppe Romani o lo stesso Maestro della tela jeans, siano stati di fatto riscoperti solo negli ultimi anni, lascia bene intendere quanto siano vasti i territori ancora da esplorare per chi si avventura su questo versante della ricerca. La sensazione, tuttavia, è che all’origine del disorientamento di cui si è appena dato conto vi sia anche un’altra motivazione, da riconoscere nelle affinità singolari e imprevedibili che spesso accomunano le diverse espressioni


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