ARTRIBUNE 75

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N. 75 L NOVEMBRE – DICEMBRE 2023 L ANNO XIII

centro/00826/06.2015 18.06.2015

ISSN 2280-8817

La nuova generazione di collezionisti: chi sono e cosa comprano + La multietnica Timişoara, Capitale Europea della Cultura 2023

+ Qual è lo stato della fotografia in Italia?




Balla ’12 Dorazio ’60 Dove la fondazione giancarlo e danna olgiati Fondazione Sir Lindsay and Lady Owen-Jones

24.09.23–14.01.24 Riva Caccia 1, Lugano

Collezione Giancarlo e Danna Olgiati

Con il patrocinio

Parte del circuito

Enti fondatori


#75 OPENING 6 Giuseppe Smorto & Alessandro Mallamaci Africo

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Saverio Verini Studio Visit: Binta Diaw

NEWS 20

IED – Istituto Europeo di Design La copertina "Cultural Marination" di Yulian Zabarylo

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Marta Atzeni Tropical Space e l’integrazione naturale in architettura

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Ferruccio Giromini Noelia Towers: Father Figure

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Dario Moalli (a cura di) Libri: Venezia con gli occhi di Ruskin Lucio Fontana dalla A alla Z

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Simona Caraceni Il punto sulle ultime evoluzioni in termini di AI

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Cristina Masturzo TOP 10 Lots: Contemporary – London Edition Le migliori aggiudicazioni di arte contemporanea alle aste di ottobre a Londra

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Claudia Giraud Future Tradizioni: l’elettronica incontra il folk italiano

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NOVEMBRE L DICEMBRE 2023 www.artribune.com

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ENDING 88

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Giulia Pezzoli C'era una volta

Valentina Tanni (a cura di) Window

Livia Montagnoli L'Aquila che c'è

Elisabetta Roncati L’identità attraverso l’arte tessile: la poetica di Sarah Zapata

+

Necrology

STORIES 40

Cristina Masturzo L’ARRIVO DEI MILLENNIAL. ANALISI SUL CAMBIO GENERAZIONALE TRA I COLLEZIONISTI D’ARTE Sempre più attive su tutti i fronti, dall’acquisto al sostegno degli artisti tramite residenze, le nuove leve del collezionismo si stanno facendo strada. Determinando interessanti mutamenti del mercato

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Niccolò Lucarelli TIMIȘOARA È UN CROCEVIA DI CULTURE Multietnica e pluriconfessionale, la città della Romania è tra le Capitali Europee della Cultura 2023. Andiamo alla scoperta della sua cultura, originata dall’incontro di Oriente e Occidente

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Rebecca Delmenico FIERE, MOSTRE, GALLERIE, MERCATO. COME CRESCE L’INTERESSE PER LA FOTOGRAFIA A lungo snobbata, la fotografia ha saputo conquistare il proprio posto nel panorama dell’arte contemporanea e ora è al centro di un rinnovato interesse. Come si posiziona nella scena artistica italiana?

artribune

artribunetv

Lorenzo Palloni Short novel: Tu sei la mia notte

Massimiliano Tonelli Fateci sapere cosa volete fare

Angela Vettese Spazio pubblico, turismo di massa e università: il caso Venezia

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Costantino D’Orazio La pittura é morta. Viva la pittura!

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Christian Caliandro La critica d'arte e la sua "inutilità"

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Santa Nastro (a cura di) Il punto sugli NFT. Opportunità, truffa, affare o incompreso della nostra epoca?

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Anna Detheridge Nuove ecologie dell'arte

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Irene Sanesi Si fa presto a dire Made in Italy

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Marco Senaldi 2123

GRANDI MOSTRE #37

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Alberto Villa Marcel Duchamp a Venezia. La copia non è un limite

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Niccolò Lucarelli Constantin Brâncuşi, lo scultore dell’infinito

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Stefano Castelli El Greco al Palazzo Reale di Milano. Quando la pittura è un’anomalia temporale

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Luca Sposato Flettere la realtà. Anish Kapoor a Firenze

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Angela Madesani Il classico in fotografia. Mapplethorpe e von Gloeden a Firenze

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Fausto Politino Achille Funi a Ferrara, un maestro del Novecento tra storia e mito

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Marta Santacatterina Come nasce una grande mostra: quando l’allestimento è “drammaturgico”

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Grandi Mostre in Italia in queste settimane


GIRO D'ITALIA:

AFRICO a cura di EMILIA GIORGI

Alessandro Mallamaci, Paths, 2015 – ongoing, Courtesy l’autore


GIUSEPPE SMORTO giornalista [testo] ALESSANDRO MALLAMACI [foto]

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a grande domanda, davanti alle rovine di Africo (RC), è una: se sia meglio lasciare che la natura nasconda definitivamente il paese svuotato dopo l’alluvione del 1951 (e paracadutato sulla Jonio), le scale e le finestre scardinate; che oscuri la facciata della chiesa di San Salvatore, le cappelle e le tombe come quella di Maviglia Francesco, fu Buonaventura, scomparso nel 1915. O se non sia il caso di favorire un approdo più semplice, con una camminata di contemplazione, ma con meno buche sulla strada che arriva da Bova, meno recinti per animali che allontanano gli uomini, meno verde selvaggio. Con un passaggio di preghiera a San Leo, uno sguardo curioso alla contrada Carrà, dove le mucche e i maiali continuano ad andare in libertà e rimane l’insegna del posto telefonico pubblico.


Il borgo vecchio è annunciato dai primi ruderi, gli edifici pubblici sono quelli che resistono meglio. La targa dedicata a Umberto Zanotti Bianco è del 2013 ma risulta già sbiadita, non basta a celebrare l’uomo che fece conoscere all’Italia un posto di inaudita miseria, lui che piantò una tenda all’ingresso del paese, girò a dorso di mulo e a piedi l’Aspromonte. La scuola che non c’è più porta il suo nome, geometrica e silenziosa nelle aule scoperchiate dove un tempo i bambini si scaldavano al braciere. Nel 1928 scrive: “Sono talmente stanco di tutto il luridume, di tutte le malattie, di tutte le lacrime senza speranza di questa povera gente!”. Bisogna che lo sappiate: perché Africo è tutto meno che Africa, è montagna profonda e diaccia pur essendo a meno di 800 metri sul livello del mare, ed è già cambiata rispetto alle foto di Google di ieri perché quel che


resta delle case sta soccombendo, il bosco avanza, i rovi pungono e non basta un bastone per andare avanti; in certi punti ci vorrebbe quasi un machete e qualche indicazione in più, però le more sono buone. Dove la piazzetta di pietra davanti alla chiesa ha angoli ancora comodi che hanno ospitato i discorsi di generazioni sulla tassa sulle capre, le stagioni ed i raccolti, la pagnotta fatta con la farina di cicerchie, la legge sulla molitura del grano e la festa del Carnevale. E dopo aver consultato Zanotti e Stajano, Petrozzi e Besozzi, Strati, Teti e i Criaco, dopo aver rivisto il film di Calopresti che raccontava un paese isolato che invadeva la Prefettura di Reggio – come in quei documentari sulla Calabria, in cui Vittorio De Seta raccontava un mondo senza strade – ecco, dopo forse è il caso di andare ad Africo. Un comune che ha poco meno di tremila abitanti ma solo alla


marina, che ha ispirato i migliori scrittori, fotografi, giornalisti italiani. Perché il paese antico raccontato nelle foto di Alessandro Mallamaci è la catastrofe – terremoti, alluvioni – che cambia la storia dei luoghi. È la fame nera di pane, servizi e istruzione, di un dottore che sale fino al paese quando può, è l’ostetrica che non c’è. L’Africo sulla costa visto dalla Statale 106 è invece anche mafia e ragazzi anarchici che si ribellano, pistole e feste patronali, il comune commissariato fino all’altro giorno: come se si fossero concentrati tutti qui i mali e i problemi del Sud. E spesso vince l’appeal commerciale alla Gomorra, il paese finisce come sfondo delle fiction sulla ‘ndrangheta, il narcotraffico che tutte le culture cancella: il paese di Africo ha più di mille anni, ma quella memoria è scomparsa. Restano i sentieri di querce e castagni percorsi dai monaci, i racconti dei briganti come Musolino e dei loro voti alla Madonna.


Sotto lo stesso nome, la montagna impenetrabile dei poveri e la spiaggia luminosa dove si è fermato con lo yacht Jeff Bezos, e chissà se avrà notato le pecore che arrivano quasi alla spiaggia, e nessuno gli avrà detto che lassù c’è un paese dove non arriva nemmeno Amazon, perché non troverebbe nessuno: questa è Africo. Sul cartello davanti al mare c’è scritto Africo Nuovo, ma come disse una volta monsignor Giancarlo Bregantini, “Africo Vecchio non lo troverai mai”. Perché sta venti chilometri più su, senza indicazioni, e tocca a noi ricordare quello che è stato. Fate che non diventi solo una location.


i finalisti

MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo | Roma via Guido Reni, 4A | maxxi.art soci


MAXXI BVLGARI Prize, 19 ottobre 2023, Ambasciata d’Italia a Parigi

i s s a n e B o d r a a Ricc d u o m a H n e B a i w n a i o D B a t n i B


STUDIO VISIT BINTA DIAW

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e opere di Binta Diaw hanno tutto per essere apprezzate e celebrate dal sistema dell’arte odierno. La ricerca dell'artista si inserisce in un filone che tenta di leggere il mondo contemporaneo, insieme ai suoi fenomeni e alle tematiche più urgenti, come i movimenti migratori, le questioni di genere, il femminismo. Un filone oggi ampiamente rappresentato nei contesti espositivi principali come biennali e altre rassegne internazionali. La pratica di Binta Diaw, tuttavia, non è da leggere esclusivamente alla luce di un’adesione a temi di forte attualità. Le sue opere non sconfinano mai nella cronaca; al contrario, dimostrano di avere radici ben salde nella storia dell’arte e delle immagini. In soli pochi anni di lavoro, Diaw ha dato prova di saper costruire un solido bagaglio simbolico e iconografico che parte dall’impiego di materiali organici come la terra per arrivare a elementi artificiali come i capelli sintetici utilizzati per le extension. Tutto concorre alla creazione di opere di forte impronta installativa, capaci di “prendersi” gli ambienti che le accolgono, giocate sulle tensioni tra orizzontalità e verticalità, tra naturale e artificiale. Gli interventi dell’artista italo-senegalese riescono così a connettere in modo coerente geografie e riferimenti visivi disparati, all’intersezione di storie e latitudini che possono apparire agli antipodi, al centro delle quali Diaw inserisce il proprio sguardo di “donna nera in un mondo eurocentrico”, come lei stessa afferma.

Rifletto molto sulla contemporaneità e, di conseguenza, sia sul passato, sia sul futuro

particolare, anche solo come attitudine e approccio, al di là dell’aspetto formale? Sì, alcune opere sono strettamente connessa alla mia biografia – alle geografie che mappano la mia vita –, ma ritengo sia anche importante la ricerca da un punto di vista formale. Amo osservare, analizzare con lo sguardo, navigando oltre la superficie. Per questa ragione, apprezzo molto le artiste e gli artisti che sono riusciti a raccontare degli eventi storici o semplicemente l’esistenza e la relazione tra essere umano e natura attraverso la loro arte in maniera poetica, ma al tempo stesso critica. Amo molto la semplicità e la simbologia dell’Arte Povera, alcune correnti eco-minimaliste americane, il movimento giapponese Mono-ha. Molte volte sono gli scrittori a ispirarmi nella creazione.

Nonostante la giovane età, il tuo lavoro ha già avuto riconoscimenti significativi: mi riferisco alla recente partecipazione alla Biennale di Liverpool, alla mostra personale che ti è stata dedicata al Magasin CNAC di Grenoble e alle diverse collettive a cui hai preso parte. Sei anche rappresentata da un’importante galleria italiana e, proprio mentre stiamo facendo questa conversazione, è arrivata la notizia che sarai tra i finalisti del MAXXI Bulgari Prize 2024. Come valuti la tua condizione di “giovane artista” – utilizzando un cliché linguistico – in Italia? Essere giovane artista in Italia è una grande sfida. È Il tuo lavoro è animato da una tensione politica complesso perché ti devi fare strada aprendo le porte pulsante. C’è una ragione particolare che ti ha da sola. Alla base trovo sia determinante formarsi e spinto in questa direzione? Un’esperienza, un creare una pratica artistica solida, fin dagli esordi, in aneddoto, un incontro vissuti in prima persona modo da poter suscitare la curiosità di chi ti osserva. che ti hanno orientato? Purtroppo, è evidente e palpabile la Rifletto molto sulla contemporaneità e, mancanza di supporto da parte delle istituzioni, che in Italia sono perlopiù di conseguenza, sia sul passato, sia sul Binta Diaw è nata a Milano nel 1995. Di origine futuro. Queste tre temporalità, messe private. Detto ciò, non generalizzo peritalo-senegalese, vive e lavora tra Milano e Dain relazione al corpo, sono le fondaché ho avuto modo, nel corso degli kar. Si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e, successivamente, all’ÉSAD menta della mia pratica artistica. Non anni, di lavorare con spazi e realtà itadi Grenoble. Il suo lavoro è stato al centro di ci sono ragioni particolari per cui sto liane molto conosciute su scala internumerose mostre personali: The Land of Our seguendo queste direzioni, ma posso nazionale. Sicuramente i miei studi Birth is a Woman, Centrale Fies, Dro (2022); Todire che di base c’è senza dubbio un’inall’estero e il contatto con realtà artistiolu Xeer, Galerie Cécile Fakhoury, Dakar (2022); cessante volontà di sperimentare con il che contemporanee mi hanno dato una Les tirés ailleurs, ChertLüdde, Berlino (2022). Tra pensiero, la critica, la curiosità e la ribase, spingendomi a credere in questa le collettive si segnala: uMoya: The Sacred Return flessione attraverso la materia, altra professione. of Lost Thing, 12a Biennale di Liverpool (2023); essenza del mio lavoro. Still Present!, 12a Biennale di Berlino (2022); Come ti sembra sia la situazione in Bellezza e Terrore: luoghi di colonialismo e fasciLe opere che realizzi sono inestricagenerale nel Paese, anche in relasmo, Museo Madre, Napoli (2022); The Recovery bili dalla tua biografia, legata sia zione alle esperienze dei tuoi coePlan. Devoir de mémoire à l’italienne, Istituto Italiano di Cultura, Parigi (2022); SOIL IS AN INSCRIall’Italia, sia al Senegal. Mi piacetanei? BED BODY. On Sovereignty and Agropoetics, SAVVY Penso sia difficile parlare dei miei coerebbe capire anche se, come credo, la Contemporary, Berlino (2019). Nel 2022 è stata tua pratica è alimentata da riferitanei. Ognuna e ognuno ha un proprio la prima vincitrice del premio franco-italiano menti di carattere più strettamente percorso, con obbiettivi e aspettative Pujade-Lauraine. Il suo nome figura tra i finaliartistico. Ci sono autrici e autori a differenti. Un altro punto su cui rifletsti del MAXXI Bulgari Prize 2024. cui guardi o hai guardato in modo terei è proprio il limite dell’espres-

bio


STUDIO VISIT a cura di SAVERIO VERINI 75

Binta Diaw, Naître au monde, c’est concevoir (vivre) enfin le monde comme relation, 2023. Veduta dell’installazione a Reiffers Art Initiative. Courtesy l’artista e Galerie Cécile Fakhoury. Photo Aurélien Mole

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Binta Diaw, Uati's Wisdom, 2023. Veduta dell’installazione alla Kunsthall Trondheim. Courtesy l’artista e Galerie Cécile Fakhoury. Photo Daniel Vincent Hansen Binta Diaw, Chorus of Soil, 2023. Veduta dell’installazione alla Bienniale di Liverpool 2023. Courtesy l’artista e Liverpool Biennial. Photo Mark Mcnulty


STUDIO VISIT

Binta Diaw, Pa(y)sage, 2022. Veduta dell’installazione al Magasin du CNAC. Courtesy l’artista e Prometeogallery di Ida Pisani. Photo Aurélien Mole

NEI NUMERI PRECEDENTI #58 Mattia Pajè #59 Stefania Carlotti #61

Lucia Cantò

#62 Giovanni de Cataldo #63 Giulia Poppi #64 Leonardo Pellicanò #65 Ambra Castagnetti #67 Marco Vitale #68 Paolo Bufalini #69 Giuliana Rosso #70 Alessandro Manfrin #71

Carmela De Falco

#72 Daniele Di Girolamo #73 Jacopo Martinotti #74 Anouk Chambaz

sione “giovane artista”. In Italia si ha una percezione dei giovani un po’ negativa. Molte opportunità dipendono dall’età anagrafica di una persona. Io penso che ognuno di noi abbia qualcosa da dire e che il gap dell’età sta proprio nel non permettere a certe persone di fare esperienze che potrebbero trasformare la carriera di un’artista. Fortunatamente, oggi, è molto più semplice viaggiare, studiare e lavorare all’estero. Sono fiera di aver scelto di studiare in un altro Paese, che oggi mi sta aprendo delle finestre lavorative importanti. Tra le tante esposizioni, ce ne sono alcune fuori dai confini europei, in particolare alla Biennale della Fotografia di Bamako, in Mali, e alla galleria Cécile Fakhoury di Dakar, in Senegal. Hai trovato una differenza nel modo in cui le tue opere vengono recepite, in base al contesto? Sicuramente ci sono differenze nel modo di leggere le opere. La percezione è stimolata da un bagaglio visivo, culturale e storico che è stratificato nell’i-

È evidente e palpabile la mancanza di supporto da parte delle istituzioni, che in Italia sono perlopiù private

dentità di chiunque si ritrovi davanti o all’interno di un’opera d’arte. È davvero stimolante e sorprendente vedere le reazioni nelle differenti geografie che hai citato. In Mali, per esempio, avevo mostrato delle fotografie installate a parete a filo con il pavimento, messe in relazione a un ammasso di terra recuperato in una zona industriale della città. Questa associazione, per un popolo che ha un rapporto viscerale con la terra, è stata immediatamente percepita e letta dai visitatori locali. Immagino ti aspetti un 2024 decisamente carico: qualche anticipazione dei tuoi prossimi progetti? Sì, carico e impegnativo. Sto lavorando a nuove produzioni e rielaborando alcuni progetti esistenti e inediti di qualche anno fa. Posso dire che esporrò in una mostra a Parigi, dove sono attualmente in residenza, poi in Italia, dove parteciperò a tre collettive e una personale, e infine una mostra collettiva negli Stati Uniti. Spero in una possibile esposizione a Dakar, dove torno sempre volentieri.

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CAMERA

Mostre, incontri, laboratori, workshop. Tutto il programma su www.camera.to

Centro Italiano per la Fotografia

Venite a trovarci!

Torino

Italia

André Kertész L’opera 1927 – 1985

Forlì Eve Arnold

L’opera 1950 – 1980

19 ottobre 2023 4 febbraio 2024

23 settembre 2023 7 gennaio 2024

Nuova Generazione Sguardi contemporanei sugli Archivi Alinari 19 ottobre 2023 4 febbraio 2024

La storia della fotografia nelle tue mani dal 19 ottobre 2023

Saluzzo Fotografia

è donna

13 ottobre 2023 25 febbraio 2024

Bassano Dorothea Lange del Grappa

L’altra America 27 ottobre 2023 4 febbraio 2024

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LA COPERTINA CULTURAL MARINATION Yulian Zabarylo L’ispirazione per la copertina di questo numero di Artribune deriva dalle parole del curatore della Biennale di Grafica di Lubiana, Ibrahim Mahama, che ha impostato la rassegna sul rapporto tra Europa e Africa, tra Ghana e Ex-Jugoslavia: “Europa e Africa hanno una storia comune. Il periodo di stretta amicizia tra il Ghana e l’ex Jugoslavia, entrambe parte dei Paesi non Allineati, è stato segnato, tra l’altro, da scambi: gli architetti della Jugoslavia (e di altri paesi dell’Europa dell’Est) hanno lasciato molte tracce in Ghana, gli studenti ghanesi sono venuti in Jugoslavia per studiare, e viceversa”. Allargando la prospettiva, e adattandola allo scenario fiorentino, città che accoglie studenti da tutto il mondo, i temi dello scambio culturale e dell’accoglienza sono stati quindi elaborati dagli studenti del Master in Graphic Design di IED in un workshop. Tra una dozzina di proposte è emersa Cultural Marination di Yulian Zabarylo, studente ucraino, che è la copertina di questo numero. Yulian descrive così il suo lavoro: “Questo concept mira a contrastare la mentalità chiusa di chi crede nell’incompati-

bilità culturale. Alcuni dicono ‘Non mescolare questo e quello!’, noi diciamo ‘Guardateci!’. Non si tratta di perdere la propria identità, si tratta di metterla in mostra, si tratta di scambio. I diversi frutti e verdure in questo barattolo rappresentano culture diverse, regioni diverse; il marinare insieme, scambiandosi succhi, significa l’atto di condividere esperienze comuni, accettazione e inclusività. L’immagine viene censurata per sottolineare il fatto che questa attività innocua e divertente è ancora sensibile per alcuni. E dobbiamo dimostrare che non è necessario opporvisi”. Scopri i dettagli del progetto seguendo il QR code qui a fianco

IED x ARTRIBUNE Il progetto Fragile Surface si propone di raccontare attraverso immagini e contenuti multimediali realizzati da studentesse, studenti e Alumni dell’Istituto i temi centrali della contemporaneità. Per il secondo anno di collaborazione abbiamo scelto di affidarci ai temi delle più importanti manifestazioni di arte e design, prendere in prestito spunti di riflessione e restituire immagini fragili ma potenti. Superfici sottili che racchiudono complessi punti di vista. Le biennali (triennali – quadriennali – quinquennali) sono l’occasione per artisti e designer di riflettere sugli argomenti centrali della contemporaneità. Partendo da manifestazioni del recente passato e tenendo in considerazione le tematiche delle prossime, cercheremo collegamenti espliciti o implicite contrapposizioni e ci interrogheremo proponendo un punto di vista inedito: quello di giovani persone che si affacciano sul futuro.

Apre il cantiere alla Villa Reale di Monza. La città si riprende un’area dismessa

A Miami inaugura il Museum of Sex. Lo spazio è progettato dallo studio Snøhetta

GIULIA GIAUME L Dopo anni di incuria e

rerà il 1° dicembre 2023, in occasione della Miami Art Week, il nuovo avamposto del Museum of Sex, istituzione nata vent’anni fa a New York dedicata all’esplorazione della storia, dell’evoluzione e del significato culturale della sessualità umana, tutti obiettivi che verranno perseguiti anche dal nuovo museo. Grazie a un progetto di riconversione a firma dello studio di architettura Snøhetta, quasi tremila metri quadrati di un ex magazzino nel distretto di Allapattah ospiteranno tre grandi gallerie espositive, spazi commerciali e un bar. “Siamo entusiasti di raggiungere questo importante traguardo e di portare la nostra visione nel vivace panorama culturale di Miami”, dichiara Daniel Gluck, direttore esecutivo e fondatore del Museum of Sex. Tra le esperienze offerte dal nuovo Museo è la versione aggiornata di Super Funland: Journey into the Erotic Carnival, un’opera immersiva con giochi, attività e spettacoli piena di rimandi anche alla storia dell’arte, una sorta di luna park che ironizza sulla sessualità. E poi, Desire Machines, prima mostra negli Stati Uniti dell’artista giapponese Hajime Sorayama, e Modern Sex: 100 Years of Design and Decency, esposizione che esamina l’impatto che le restrizioni di progettazione, commercializzazione e distribuzione di prodotti per la salute sessuale hanno avuto sulla società.

degrado, Monza si avvia a recuperare un pezzo della sua storia. Con cauto ottimismo il Comune ha inaugurato il cantiere per il recupero del cosiddetto Corpo Ex-Borsa, edificio storico che appartiene al corpo monumentale della Villa Reale posto tra viale Regina Margherita e via Boccaccio. Un intervento a lungo atteso, che porterà la città a riavere, entro i prossimi due anni, un polo di formazione e di cultura centralissimo. Non solo: l’intervento permetterà di ampliare l’offerta formativa preesistente, mettendo a disposizione più spazi laboratoriali e didattici per lezioni e nuovi corsi serali e post diploma, aprendo al pubblico i testi specialistici della biblioteca interna. “Un pezzo alla volta metteremo a posto un pezzo importante della Villa Reale”, spiega il sindaco Paolo Pilotto. L’investimento complessivo per il recupero dell’edificio, inagibile dal 2011, è di 8,8 milioni di euro.

DESIRÉE MAIDA L Inaugu-

Museum of Sex, Miami, render. Image courtesy of the Museum of Sex


EMMA SEDINI L In quella che un tempo era una zona

di Milano tra l’agricolo e l’industriale, oggi non crescono più solo cereali, ma progetti culturali. Siamo a sud del centro urbano, in un lembo di caseggiati che separano la città dalla prima campagna della Valle della Vettabbia. Questo è il territorio scelto dagli architetti Allina e Matteo Corbellini per realizzare il progetto Villa Clea, che ha inaugurato con la residenza e la mostra dell’artista Andrea Smith. Villa Clea è una non-profit culturale innovativa: con il sostegno del Comune di Milano e di Fondazione Cariplo grazie a vari bandi, si propone di ospitare soggiorni artistici. Un ibrido tra residenza, alloggio e spazio espositivo, un tempo ex carrozzeria con tanto di grande forno e adesso trasformata in loft, atelier e aree comuni. E al posto del forno oggi c’è un giardino di erbe mediterranee, e un giardino anche sul tetto della struttura “perché”, spiegano i due fondatori, “volevamo offrire a tutti i palazzi attorno un punto di vista migliore, prima vedevano solo il tetto di una carrozzeria”.

DIRETTORE Massimiliano Tonelli

NEWS

Villa Clea inaugura a Milano. Residenza per giovani artisti in una ex carrozzeria

DIREZIONE Santa Nastro [vicedirettrice] Desirée Maida [caporedattrice] COORDINAMENTO MAGAZINE Alberto Villa Giulia Giaume [Grandi Mostre]

Villa Clea, Milano. Photo Maxime Delvaux

REDAZIONE Irene Fanizza | Claudia Giraud Livia Montagnoli | Valentina Muzi Roberta Pisa | Emma Sedini Valentina Silvestrini Alex Urso | Gloria Vergani PROGETTI SPECIALI Margherita Cuccia PROGETTO GRAFICO Alessandro Naldi

TUTTE LE ULTIME NOVITÀ DAL MONDO DELL’ARCHEOLOGIA IN ITALIA L’autunno 2023 si è aperto all’insegna di novità significative per il settore archeologico, sempre più a fuoco nell’offrire esperienze di visita che mettono a frutto il grande patrimonio italiano.

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Dopo 50 anni, la Domus Tiberiana alle pendici del colle Palatino ha riaperto al pubblico, grazie a un oneroso restauro che ne ha ripristinato la sicurezza strutturale. Così il Parco Archeologico del Colosseo amplia ulteriormente la sua offerta, garantendo l’opportunità di curiosare negli ambienti del primo palazzo imperiale edificato nel centro di Roma, per volontà di Nerone. Suggestivo il percorso lungo la via coperta Clivo della Vittoria, come pure l’allestimento della sezione museale, con marmi, busti e anfore rinvenute nell’area. Ammonta a 230 milioni di euro la cifra stanziata per completare il Grande Progetto Pompei, realizzando un museo diffuso concepito come una rete di siti: Pompei, Boscoreale, Oplontis e Stabia e tutto il territorio circostante. Per visitare questa macro-area archeologica basterà un unico biglietto, valido per tre giorni, comprensivo di percorsi e navette che faranno la spola tutto il giorno. Roma chiama a raccolta le grandi archistar per valorizzare, rilanciare e incrementare la fruizione pubblica di uno dei suoi luoghi più identitari, via dei Fori Imperiali. In palio 135mila euro per il team vincitore, che sarà svelato a febbraio 2024 e realizzerà il progetto della Nuova Passeggiata tra le bellezze archeologiche della Capitale. Il concorso sarà punto di avvio di una stagione finalizzata, nel complesso, alla ridefinizione del ruolo urbano fin qui assegnato non solo agli antichi fori, ma anche a Colosseo, Colle Oppio, Celio, Terme di Caracalla e Circo Massimo, per farne il centro della “civitas contemporanea”.

EXTRASETTORE download Pubblicità s.r.l. via Boscovich 17 — Milano via Sardegna 69 — Roma 02 71091866 | 06 42011918 info@downloadadv.it COPERTINA ARTRIBUNE Cultural Marination, Yulian Zabarylo - 2023 AI generative softwares and digital illustration softwares Courtesy IED - Istituto Europeo di Design COPERTINA GRANDI MOSTRE Marcel Duchamp, L.H.O.O.Q., settembre 1964, Ready made: stampa litografica offset a colori con aggiunte in grafite e guazzo, Immagine: 27 × 18 cm, Foglio: 33 × 25 cm, Edizione: 3/35, Venezia, Collezione Attilio Codognato, © Association Marcel Duchamp, by SIAE 2023 STAMPA CSQ — Centro Stampa Quotidiani via dell’Industria 52 — Erbusco (BS)

a cura di DESIRÉE MAIDA

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A Napoli, il MANN avvia una nuova fase di interventi di ammodernamento degli spazi e riallestimento delle collezioni, finanziati con oltre 11 milioni di euro. Si lavorerà, dunque, alla realizzazione di uno spazio per esposizioni temporanee sotto l’Atrio, accessibile tramite un nuovo scalone e un ascensore, direttamente collegati alla sezione Mediterraneo Antico (entro il 2024). Ma si punta anche alla valorizzazione dei depositi delle Cavaiole, dove sono custoditi i materiali lapidei. Mentre il giardino delle Cavaiole diventerà piazza pubblica, aperta alla città.

PUBBLICITÀ Cristiana Margiacchi | 393 6586637 Rosa Pittau | 339 2882259 adv@artribune.com

DIRETTORE RESPONSABILE Paolo Cuccia EDITORE & REDAZIONE Artribune s.r.l. Via Ottavio Gasparri 13/17 — Roma redazione@artribune.com Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 184/2011 del 17 giugno 2011 Chiuso in redazione il 25 ottobre 2023

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ARCHUNTER

Riapre il Giardino Torre nel Real Bosco di Capodimonte a Napoli

TROPICAL SPACE E L’INTEGRAZIONE NATURALE IN ARCHITETTURA

GLORIA VERGANI L Il Giardino Torre nel Real Bosco di

Capodimonte a Napoli è stato oggetto di un lungo e accurato restauro che vede coinvolti gli edifici settecenteschi, tra cui l’iconico Casamento Torre, e il recupero del vasto patrimonio botanico. L’intervento è stato condotto da due aziende leader nel settore: Euphorbia S.r.l., società specializzata nella cura e manutenzione dei giardini storici, e Minerva Restauri S.r.l., azienda impegnata nelle attività di conservazione dei beni culturali di grande valore storico e artistico. Il progetto, voluto dal direttore Sylvain Bellenger e gestito da Delizie Reali, vede non solo il recupero dei luoghi nella loro interezza tra architettura e paesaggio, ma anche un grande studio e un complesso intervento botanico. Il sito, infatti, riapre con circa seicento piante di agrumi, ortaggi, erbe aromatiche, alberi da frutto di pero, pesco, albicocco, susino e ciliegio.

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tropicalspaceil.com M A R TA

AT Z E N I

I 20 anni di Mufoco, museo della Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo GIULIA GIAUME L Era sembrato dovesse chiudere per Tropical Space, Premier Office, Ho Chi Minh City, Vietnam © Triệu Chiến

on una popolazione cresciuta al ritmo di 170mila abitanti all’anno, e un flusso costante di investimenti internazionali, nell’ultimo decennio Ho Chi Minh City si è sviluppata a un ritmo incessante, sostituendo il patrimonio storico dei distretti centrali con lussuose torri vetrate climatizzate, cementificando aree verdi e costringendo i più poveri a vivere in slum lungo canali neri per l’inquinamento. Testimoni di questo drammatico cambiamento, che ignora la storia della città e ne aggrava la già fragile condizione ambientale, Tran Thi Ngu Ngon (1979) e Nguyen Hai Long (1977) decidono, ancora studenti, di indagare le possibilità di un’architettura contemporanea essenzialmente tropicale. Unendo consuetudini dell’abitare e del costruire locali a una passione per la pratica scultorea, Tropical Space progetta edifici in mattoni che, sfruttando le caratteristiche del clima locale, “creano connessioni tra l’ambiente naturale, l’edificio, gli abitanti”. Nella Cuckoo House, i tre blocchi in muratura che ospitano le classiche funzioni abitative sono alternati a stanze en plein air che incoraggiano l’incontro fra gli abitanti e permettono alla brezza di attraversare l’abitazione durante la torrida estate tropicale. Sulla riva del fiume Thu Bon, l’atelier del maestro della terracotta Le Duc Ha è rivestito da un involucro in laterizio le cui tessiture perforate filtrano la luce, favoriscono la ventilazione naturale e permettono all’artista di lavorare ascoltando lo scorrere dell’acqua e i suoni della campagna. In un complesso per uffici nel cuore di Ho Chi Minh City, schermi di mattoni, disposti a diverse angolature, si alternano a logge verdi e rampicanti sostenuti da fili d’acciaio; all’interno, una hall a tutta altezza, anch’essa in mattoni, favorisce la ventilazione naturale e protegge dal calore. Per la sua straordinaria capacità di “integrare la natura e i materiali in contesti urbani complessi” lo studio si è aggiudicato un posto nella rosa di finalisti dell’edizione 2023 del Dorfman Award, il premio della Royal Academy of Arts di Londra dedicato ai giovani progettisti che guardano al futuro della disciplina. In attesa di presentare il loro lavoro alla giuria il prossimo novembre, Tropical Space è impegnato a far crescere il suo portfolio, con progetti residenziali, interventi di recupero e sperimentazioni su tecniche artigianali tradizionali. “Siamo concentrati sul presente”, raccontano gli architetti ad Artribune. “Con i progetti a cui stiamo lavorando speriamo di offrire nuove esperienze: anche solo utilizzando materiali e tecniche costruttive del passato, l’architettura può creare un nuovo incontro con lo spazio”.

essere cooptato dalla Triennale di Milano, così non è stato: oggi, anche grazie alla vicinanza di mezzo mondo della fotografia italiano, il Mufoco di Cinisello Balsamo è più forte che mai. L’istituzione del milanese – primo e unico ente pubblico interamente dedicato alla Fotografia Contemporanea e all’Immagine Tecnologica in Italia – si appresta a celebrare i suoi primi 20 anni di attività, con un progetto di prestiti d’autore e una nuova sede. Gli spazi del museo, che dal 2004 sono quelli della secentesca Villa Ghirlanda a Cinisello, sono ora in fase di rinnovo (grazie ai fondi del Pnrr) su progetto dello studio Dotdotdot e riapriranno il 10 febbraio 2024. La nuova struttura permetterà non solo di fruire delle mostre, ma anche di vivere una vasta parte del suo colossale archivio, con oltre 2 milioni di fotografie di più di mille autori italiani e stranieri, organizzate in 40 fondi fotografici.

A Milano il bando per riutilizzare gli alberi abbattuti dal nubifragio: saranno opere d’arte pubblica LIVIA MONTAGNOLI L All’indomani del nubifragio che

nel cuore della scorsa estate (era la notte tra il 24 e il 25 luglio) colpiva violentemente Milano, sradicando molti alberi della città, si apriva il dibattito sulla necessità di riutilizzare la legna, i rami, i tronchi compromessi dall’accaduto (oltre 5mila sono state le piante abbattute). Il Comune ha risposto con un avviso pubblico “per la realizzazione a titolo gratuito di manufatti lignei da posizionare in aree verdi pubbliche”. Il bando scommette su un modello di economia circolare, cercando il contributo di artisti, studi di architettura, falegnamerie, designer e studenti che potranno ideare installazioni e opere da posizionarsi nei parchi e nelle aree verdi cittadine. Saranno interessati dal progetto i Giardini Pubblici Indro Montanelli, il Giardino Belgioioso, Parco Sempione, il Parco della Martesana, il Parco Lambro, il Parco Forlanini, il Parco della Vettabbia, il Parco Cascina Bianca, il Parco di Trenno, il Monte Stella, il Parco delle Favole.


NEWS

OPERA SEXY

Il British Museum lancia un sito web per recuperare i suoi reperti rubati

NOELIA TOWERS: FATHER FIGURE

GIULIA GIAUME L Un aiuto dal basso, che compensi almeno in parte il

disastro mediatico e materiale che negli ultimi tempi ha investito il British Museum di Londra. Con questo spirito l’ormai sempre più controverso museo britannico, il cui direttore Hartwig Fische si è dimesso ad agosto, sta chiedendo aiuto agli utenti di internet per contribuire a recuperare centinaia di manufatti scomparsi dai propri magazzini, alcuni sospettati di essere stati rubati da un ex dipendente. Il museo avrebbe già recuperato 60 oggetti e ne starebbe aspettando altri 300. Non avendo il museo mai comunicato il numero esatto di opere scomparse, è difficile capire a che punto siamo, ma secondo il presidente del CdA del museo George Osborne parleremmo di circa duemila oggetti. Sulla nuova pagina web creata per l’occasione compaiono ora poche opere, una penuria che sarebbe intenzionale: gli specialisti del recupero dell’Art Loss Register hanno consigliato di non fornire troppi dettagli per dissuadere chi potrebbe essere in possesso delle opere dal distruggerle o rivenderle.

Inaugura il nuovo edificio-torre di Mario Botta per il Teatro alla Scala di Milano LIVIA MONTAGNOLI L Era il 26 aprile del 2021: in Via Verdi si celebrava

Noelia Towers, Discipline, 2022

la posa della prima pietra del nuovo edificio di completamento del Teatro alla Scala di Milano, progetto ancora una volta affidato a Mario Botta (già firma della torre scenica), e nuovamente giocato sul dialogo tra l’architettura neoclassica del complesso settecentesco di Giuseppe Piermarini e l’architettura contemporanea. Due anni e mezzo dopo, Milano può celebrare ufficialmente l’inaugurazione di alcuni degli spazi della nuova torre (operativa, però, dal 2024: gli interni sono ancora tutti da allestire). La nuova torre si sviluppa per 19 metri sotto il livello del suolo e per ulteriori 38 metri fuori terra (per un totale di 11 piani, più 6 livelli ipogei), così da eguagliare in altezza la torre scenica del 2004. Funzionalmente, l’edificio ospiterà in gran parte degli ambienti ipogei la sala prove per l’orchestra, in legno, alta 14 metri. I piani superiori sono suddivisi tra spogliatoi e uffici; al nono piano troverà collocazione la sala prove per il balletto, intitolata a Carla Fracci.

Renzo Piano progetterà il nuovo Centro per le Arti e l’Innovazione di Boca Raton in Florida LIVIA MONTAGNOLI L Si chia-

merà The Center, prenderà forma nella contea di Palm Beach, Florida, e a progettarlo sarà Renzo Piano. Negli Stati Uniti, lo studio RPBW dell’architetto ligure ha già apposto la firma su progetti importanti come l’edificio del Whitney Museum a New York, inaugurato nel 2015, e, più di recente, il museo dell’Academy di Los Angeles, battezzato nel settembre 2021. Nel cuore della città di Boca Raton, Piano realizzerà un centro destinato ad accogliere fino a 6mila persone, con spazi per eventi e performance, ma anche aree dedicate allo sviluppo di progetti imprenditoriali, e un polo di ricerca e formazione su materie scientifiche. Nessun dettaglio, al momento, sul progetto architettonico, dal momento che il cantiere sarà avviato solo nel 2025. Di certo, il Centro sorgerà accanto al Boca Raton Museum of Art, all’estremità settentrionale di Mizner Park – dove sorge l’Anfiteatro che sarà inglobato nel progetto – in un quartiere votato all’intrattenimento e al tempo libero di costituzione recente. RPBW ha superato la concorrenza di OMA, Foster + Partners ed Ennead.

Mizner Park, l'area dove sorgerà Il Centro per le Arti progettato da Renzo Piano a Boca Raton

erotismo è un oceano di correnti che si incrociano, calde e fredde, alcune tiepide e avvolgenti, altre vorticose e mortali. Te lo puoi godere, se il destino ti è favorevole, o ti può dannare per sempre. La trentunenne Noelia Towers, nata e cresciuta a Barcellona e ora residente a Chicago, ha scelto con coraggio di nuotare in acque insidiose: la sua ultima personale, appena conclusasi presso la Galleria De Boer di Anversa, aveva per titolo Father Figure e metteva in scena situazioni relazionali tra padre e figlia decisamente ambigue. Mai come in questi ultimi tempi i rapporti di sesso e potere sono stati al centro di fatti di cronaca, pensamenti e ripensamenti, analisi improvvisate e/o approfondite, prese di posizione, atti politici, processi pubblici e privati, interrogativi ancora irrisolti. L’arte della giovane Towers mette con perfida maestria un dito nella piaga: i suoi minuziosi oli su tela fissano immagini senza dubbio conturbanti, incontri ravvicinati di un critico tipo tra un maschio adulto e una femmina adolescente. Il sentore aleggiante, certo, è quello dell’incesto. Non consumato, magari, ma sull’orlo di esserlo. In ogni caso Noelia Towers sa come reggere con delicata perfidia i fili della messinscena: il suo sguardo è sempre proteso addosso ai corpi; teste e fisionomie restano tagliate fuori. Regna, in ossimoro, una pudicizia impudica: le relazioni tra figlia e padre restano poco chiare, e forse è meglio così. D’altronde si sa che i rapporti erotici tra individui, quali che questi siano, non di rado sono problematici (lo si diceva anche all’inizio: eros croce e delizia) e altrettanto non di rado venati di sfumature eccentriche, spandentisi tra feticismi, sadomasochismi e deviazioni delle più avventurose. La nostra artista sembra aver sperimentato non solo la teoria, ma pure il gusto dolceamaro della pratica. Davanti ai suoi dipinti si prova la sensazione di sentire pulsare dei silenzi pesanti, gravidi di affanni trattenuti. Appena qualche fruscìo, ma quanta vertigine in arrivo...

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FERRUCCIO

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VENEZIA CON GLI OCCHI DI RUSKIN “Grazie a Dio sono qui! È il paradiso delle città, e una luna sufficiente a fare impazzire metà dei savî della terra batte con i suoi puri sprazzi di luce sull’acqua grigia davanti alla finestra; e io sono più felice di quanto sia mai stato in questi cinque anni — felice davvero — felice come in tutta probabilità non sarò mai più in vita mia. Mi sento fresco e giovane quando il mio piede posa su queste calli, e i contorni di San Marco mi entusiasmano”. Con queste parole colme d’amore John Ruskin parlava della sua Venezia, un incontro avvenuto per la prima volta nel 1835 e ripetuto ben 11 volte nel corso della sua vita. Un’esistenza che ha messo al centro proprio la città lagunare e che ci ha lasciato in eredità la monumentale opera in tre volumi Le pietre di Venezia. Eppure non sono solo le parole scritte da Ruskin a testimoniare questa relazione amorosa: ci sono anche numerosi acquerelli, disegni e perfino dagherrotipi, che il poeta britannico ha realizzato nel corso degli anni, di cui oltre 100 sono stati raccolti nel libro A Venezia con John Ruskin curato da Emma Sdegno ed edito da Marsilio. Questa pubblicazione svela lo sguardo con cui Ruskin ammirava Venezia: dettagli architettonici dei palazzi, delle chiese, di piazza San Marco e di Palazzo Ducale. Un insieme di particolari e piccole opere a metà tra documenti, opere d’arte e cartoline-ricordo che rivelano al lettore stesso un nuovo punto d’osservazione sulla Serenissima. A Venezia con John Ruskin, a cura di Emma Sdegno Marsilio, Venezia 2023 pag. 132, € 28 ISBN 9791254631423 marsilioeditori.it

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Ettore Sottsass ha attraversato e rivoluzionato il design della seconda metà del Novecento e grazie al nuovo libro edito da Johan & Levi è possibile conoscere approfonditamente la vita e le opere di questo maestro del design, a partire dalla sua infanzia tra Tirolo e il Trentino e la formazione a Torino e negli Stati Uniti. Ma è solo grazie a Olivetti che le sue creazioni cominciano a circolare: la sua opera forse più iconica e famosa, la macchina da scrivere Valentine, viene realizzata proprio in questi anni. La sua carriera prosegue brillantemente e raggiunge l’apice negli anni Ottanta con il Gruppo Memphis, rivoluzionando il concetto di design a livello internazionale.

“Quando parliamo con una locuzione generalista e generalizzante di ‘intelligenza artificiale’, ci riferiamo in realtà a un insieme di intelligenze artificiali diverse tra loro”. Ma non solo: al lavoro nei campi dell’AI non c’è solo il mondo Occidentale ma anche quello Orientale con un approccio completamente differente da quello attualmente in corso di sviluppo nella Silicon Valley. Antropologia per Intelligenze Artificiali di Filippo Lubrano è una guida che parte da un punto di vista inedito, quello antropologico, e che ci mostra come differenti approcci sociali e culturali hanno e potranno avere diversi impatti nello sviluppo tecnologico, AI compresa.

Ettore Sottsass, con testi di Emmanuel Berard e Marion Bley Johan & Levi, Monza 2023 pag. 168, € 20,00 ISBN 9788860103437 johanandlevi.com

Filippo Lubrano, Antropologia per Intelligenze Artificiali D Editore, Roma 2023 pag. 410, € 19,90 ISBN 9788894830903 deditore.com

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Pubblicato per la prima volta in Italia da Meltemi, il saggio Il mercato dei beni simbolici è unitamente riconosciuto come il testo teorico cardine dello sviluppo compiuto da Pierre Bourdieu nell’ambito della sociologia delle arti e della cultura. Il volume, oltre a questo testo, accoglie anche altri saggi che trattano temi più specifici, come la chiesa di Santa Maria Novella, Beethoven e un approfondimento sull’alta moda. Saggi che si rivelano sfaccettature di un percorso di analisi che caratterizza l’intero pensiero sviluppato da Pierre Bourdieu nel corso dei suoi studi. Pierre Bourdieu, Il mercato dei beni simbolici (a cura di Chiara Tartarini, Marco Santoro) Meltemi Editore, Milano 2023 pag. 292, € 22,00 ISBN 9788855198868 meltemieditore.it


Nato da un’idea di Enrico Crispolti, che si ispirò da un volume simile dedicato a Picasso trovato in Francia, la realizzazione del Dizionario Lucio Fontana è stata ereditata da Luca Pietro Nicoletti. Il curatore del libro ha imbastito un lavoro corale estremamente efficace e proficuo, riunendo sessanta studiosi di tre generazioni diverse che hanno prestato la loro conoscenza per la compilazione di oltre trecento voci per un totale di settecento pagine. Numeri che fanno capire la monumentalità dell’opera e che per certi versi possono intimidire il lettore; invece, in questo caso, la parola dizionario è solo l’etichetta più appropriata per descrivere la modalità utilizzate per raccogliere e organizzare delle definizioni. Questo perché il libro coinvolge il lettore nell’approfondimento di inaspettate sfaccettature della vita, del percorso e delle intersezioni che hanno caratterizzato la vita di Lucio Fontana. A questo si aggiunge un aspetto quasi ludico che arricchisce il percorso di lettura: per ogni lemmo, come nei libri gioco degli anni Ottanta, gli autori hanno associato uno o più termini presenti nel volume attivando una modalità di lettura che supera il classico ordine alfabetico e creando una serie di costellazioni che si auto-alimentano. Ci si imbatte, così, in lemmi che apparentemente sembrano essere fuori luogo: Gutai, Interni Navali, Leonardo da Vinci, Natura Morta, Ricezione sulla stampa e così via.

LIBRI

LUCIO FONTANA DALLA A ALLA Z

Dizionario Lucio Fontana a cura di Luca Pietro Nicoletti in collaborazione con Fondazione Lucio Fontana. Quodlibet, Roma 2023 pag. 736, € 34,00 ISBN 9788822907271 quodlibet.it

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Barbara Conti, illustrato da Cristina Trapanese, L’arte che avventura Nomos Edizioni, Busto Arsizio 2023 pag. 112, € 15,90 ISBN 9791259581297 nomosedizioni.it

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“Si tratta di una pittura che utilizza le tecniche non per imitare, ma per estrapolare dal presente le regole di un nuovo modo di farsi illusione del reale, di creare specchi di un mondo in crisi e del suo costante avvicendarsi”. In questa breve frase si racchiude l’essenza del libro L’altra individualità. La pittura figurativa in Italia oggi di Domenico Russo, un volume che raccoglie e racconta le principali individualità artistiche che in Italia hanno fatto della pittura figurativa la loro modalità d’accesso all’espressione creativa, senza però nascondersi al confronto con un ingombrante passato artistico e un presente dove la bulimia d’immagini rende quasi ciechi. Domenico Russo, L’altra individualità. La pittura figurativa in Italia oggi Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2023 pag. 72, € 22,00 ISBN 9788836654451 silvanaeditoriale.it

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Ogni genere musicale ha una sua iconografia ben precisa: taglio, cresta, fluo e borchie, ecco il punk; camicie di flanella e capelli lunghi identificano il grunge. Quali sono gli elementi iconografici che identificano un genere che pop non è mai stato come il jazz? Forse la risposta è nel libro Fotografare il Jazz, il cui autore, Roberto Pollio, negli anni Sessanta e Settanta ha documentato più di cento concerti Jazz, catturando le performance di artisti come John Coltrane, Louis Armstrong, Miles Davis, Bill Evans. Attraverso questo libro viene mostrata non solo un’iconografia jazz, ma anche come questo genere crei musica anche attraverso la fisicità dei corpi.

a cura di DARIO MOALLI

Cosa accomuna La Gioconda di Leonardo da Vinci con La Danza di Matisse e la Nike di Samotracia con i Bronzi di Riace? Sono tutti capolavori della storia dell’arte e sono i protagonisti di un libro intitolato L’arte che avventura, scritto da Barbara Conti e illustrato da Cristina Trapanese. Le opere presenti in questo volume sono state scelte non solamente per il loro valore artistico ma anche e soprattutto perché protagoniste di avventure degne di un libro di Jules Verne. Pirati, marinai, furti, scoperte, restituzioni diventano la chiave per catturare l’attenzione di giovani lettori e farli appassionare all’arte attraverso un porta d’ingresso diversa, più giocosa e attrattiva.

Roberto Pollio, Fotografare il Jazz Mimesis, Sesto San Giovanni 2023 pag. 136, € 15,00 ISBN 9791222300979 mimesisedizioni.it

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burri ravenna oro MAR - Museo d’Arte della città di Ravenna

MAR - Via di Roma, 13 Ravenna Tel. +39 0544 482477 | info@museocitta.ra.it

14.10.2023 14.01.2024

biennalemosaicoravenna.it | mar.ra.it Alberto Burri, Nero e Oro, 1993, Città di Castello, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Ph A. Sarteanesi CON IL CONTRIBUTO DI

Comune di Ravenna Assessorato Cultura e Mosaico

FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA

ROMAGNA ACQUE SOCIETÀ DELLE FONTI



APP.ROPOSITO

Snapchat collabora con il Louvre per una nuova esperienza con la realtà aumentata

IL PUNTO SULLE ULTIME EVOLUZIONI IN TERMINI DI AI

GLORIA VERGANI L La visual messaging platform Snapchat molto frequentata dai giovanissimi e il Museo del Louvre hanno inaugurato un’insolita collaborazione per realizzare una nuova iniziativa in realtà aumentata. Si tratta di Egypt Augmented, un progetto che coinvolge il Dipartimento delle Antichità Egizie e il Cour Carré, uno dei cortili principali del museo, per rivelare nuove informazioni sui manufatti egizi. Ecco come funziona: al Louvre sarà possibile scannerizzare (con il proprio cellulare o attraverso la fotocamera di Snapchat) un qr code posizionato sulla targhetta dell’opera e attivare diverse esperienze di realtà aumentata, che saranno disponibili per il periodo di un anno.

GOOGLE BARD

Google ha rilasciato il proprio modello di AI, ed è subito paura. Almeno dal 1° luglio di quest’anno. Tuttavia, agli sviluppatori sono apparsi immediatamente chiari alcuni limiti in confronto a OpenAI, il suo unico competitor prima del lancio di LLama. Per prima cosa, Bard è stato addestrato quasi esclusivamente da banche dati biomediche. Nonostante alcune fonti assicurino che si trattasse di una sperimentazione che Google aveva portato avanti per contribuire alla lotta contro il COVID, il dubbio sulla provenienza di questi dati così sensibili rimane. Inoltre dalla data del lancio, grazie alle modifiche dell’utilizzo dei servizi Google che tutti hanno sottoscritto, anche le nostre ricerche o tutti i dati che teniamo sui nostri Drive possano essere usati per addestrare Bard. Sommiamolo al fatto che per usare Bard dobbiamo accettare di essere sottoposti ad una “supervisione umana”, e cioè alla possibilità che gli sviluppatori Google leggano le nostre conversazioni con Bard, e, almeno per ora, i contro superano i pro.

La Sagrada Familia è (quasi) completa. Dopo 140 anni il capolavoro di Gaudí sarà concluso VALENTINA MUZI L Il

LLAMA 2 – META

OPEN AI - APP MOBILE

Ricordo molto bene, ai tempi del rilascio dell’app di Google Search per il mercato mobile, un dialogo fra me ed un altro professore che mi diceva: “non sai come Google sul telefonino mi abbia cambiato la vita! Adesso nessuno studente mi mette più in difficoltà con le domande a lezione: io mi tengo il telefono vicino, e posso riuplaystore scire a rispondere anche agli studenti più sfidanti!”. Scherzi a parte, avere Chat GPT praticamente “in tasca” ha una serie di vantaggi, soprattutto il poter lavorare ed affinare i progetti che abbiamo impostato in modo più comodo, ma anche poter avere un assistente personale che merita una buona dose di fiducia nel fargli risolvere problemi reali. Nonostante ciò, l’app si rivela estremamente minimale. Auspico solo che non diventi uno sterile companion per la frequentazione dei non luoghi di cui parlava il recentemente scomparso Marc Augè. appstore

SIMONA

CARACENI

Antoni Gaudì, Sagrada Familia. Photo via www.sagradafamilia.com

Meta ha recentemente rilasciato il suo modello di AI, che sembra avere, per ora, una piccola ma grande marcia in più rispetto a Bard e Chat GPT da non sottovalutare: l’essere open source e scaricabile, e quindi utilizzabile su una propria macchina in locale, su propri dati. Ecco, non conviene molto scaricarlo sul proprio telefonino o computer, ma quello che fa la differenza è poterlo addestrare su un proprio database; il tutto (apparentemente) senza necessariamente condividere tali dati con il resto del mondo e senza permettere che altri utilizzino l’apprendimento impostato su dati propri, mantenendo un certo livello di privacy. Tuttavia non possiamo essere sicuri di come potrebbero cambiare in futuro i termini d’uso di questa tecnologia, e se la privacy sia qualcosa destinato a rimanere o che, a tutti i livelli della nostra vita, appartiene al passato.

cantiere della Sagrada Familia, capolavoro di Antoni Gaudí e simbolo della città di Barcellona, si chiuderà nel 2026, quando verrà completata la sesta e ultima torre centrale. Un progetto iniziato nel 1882 e che dopo la morte dell’architetto, nel 1926, ha visto diversi rallentamenti. Ma con “il coronamento delle Torri con le figure alate dei tetramorfi di Matteo e Giovanni, realizzate dallo scultore Xavier Medina-Campeny, si segna il completamento delle Torri degli Evangelisti”, si legge sul sito della Sagrada Familia. Un importante passo in avanti che si affianca al completamento delle torri di Marco e di Luca (rispettivamente simboleggiate dal leone e dal bue), avvenuto nel 2022. Per festeggiare, il 12 novembre 2023 verrà celebrata una messa che segnerà l’inizio dell’illuminazione delle quattro Torri che durerà fino a Natale, cui seguirà un ricco calendario di eventi.

Apre a New York il Perelman Performing Arts Center. Si completa la rinascita di Ground Zero LIVIA MONTAGNOLI L Un cubo rivestito in marmo scre-

ziato portoghese, laminato con vetro, per un totale di cinquemila piastrelle disposte su una superficie che sembra fluttuare, alleggerendo l’imponente volume della nuova struttura sorta al 251 di Fulton Street, Manhattan. Così si presenta dall’esterno l’edificio del Perelman Performing Arts Center, atto finale del processo di rinascita del World Trade Center. Già presente nel piano di ricostruzione promosso dall’ex sindaco Bloomberg, il nuovo Centro per le arti performative è l’edificio pubblico che completa la ricostruzione dell’area colpita dall’attentato alle Torri Gemelle del 2001. Progettato dallo studio REX, ospita spettacoli di danza, musica e teatro.


CONTEMPORARY – LONDON EDITION Le migliori aggiudicazioni di arte contemporanea alle aste di ottobre a Londra

1 Jean-Michel Basquiat, Future Sciences Versus the Man, 1982 £ 10,430,000 Christie’s, 20th/21st Century: London Evening Sale, 13 ottobre 2023

2 Peter Doig, House of Pictures, 2000-2002

£ 6,060,000 Christie’s, 20th/21st Century: London Evening Sale, 13 ottobre 2023

3 Francis Bacon, Study for a Portrait, 1979

£ 4,283,000 Sotheby’s, Contemporary Evening Auction, 12 ottobre 2023

4 Andy Warhol, Diamond Dust Shoes, 1980

£ 3,315,000 Sotheby’s, Contemporary Evening Auction, 12 ottobre 2023

5 Yayoi Kusama, Pumpkin (S), 2014

£ 3,073,000 Sotheby’s, Contemporary Evening Auction, 12 ottobre 2023

6 Philip Guston, The canvas, 1973

£ 3,073,000 Sotheby’s, Contemporary Evening Auction, 12 ottobre 2023

7 Paula Rego, Dancing Ostriches from Walt Disney’s

‘Fantasia’, 1995 £ 3,065,000 Christie’s, 20th/21st Century: London Evening Sale, 13 ottobre 2023

8 Marlene Dumas, After the Kiss, 1996

£ 3,065,000 Christie’s, 20th/21st Century: London Evening Sale, 13 ottobre 2023

9 George Condo, Untitled, 2016

£ 2,993,000 Sotheby’s, The Now Evening Auction, 12 ottobre 2023

10 Lynette Yiadom-Boakye, Six Birds in the Bush, 2015

£ 2,952,000 Sotheby’s, The Now Evening Auction, 12 ottobre 2023

CRISTINA

MASTURZO

Tutti i prezzi indicati includono le commissioni. Fonte dati: Artelligence Jean-Michel Basquiat, Future Sciences Versus the Man, 1982. Courtesy Christie’s Images Ltd.

Il Museo Egizio di Torino a ingresso gratuito. La proposta del direttore Christian Greco DESIRÉE MAIDA L Rendere il Museo Egizio di Torino gratuito entro il

2028. È questo l’obiettivo che si prefigge il suo direttore, Christian Greco, e condivisa durante un’audizione in Comune suscitando non poca sorpresa. Il modello adottato sarebbe quello di alcuni grandi musei internazionali, tra tutti il British Museum di Londra, le cui collezioni permanenti sono fruibili gratuitamente da tutti i target di pubblico. Questa iniziativa rientrerebbe nell’ambito delle celebrazioni per i duecento anni dall’istituzione, in programma nel 2024. Non sono mancate però le perplessità, come quelle espresse dagli Stati Generali del Patrimonio Italiano, secondo cui si tratterebbe di “una proposta che rischia di essere dirompente per gli equilibri e la stabilità degli oltre 4 mila musei privati e pubblici italiani”, perché “il sistema museale italiano non può prescindere dagli introiti della bigliettazione”. Lo stesso Greco ha sottolineato infatti che si punterebbe su altri introiti, parlando di “fondi per la ricerca e laboratori”.

NEWS

TOP 10 LOTS

A Bergamo parte il cantiere per la nuova GAMeC in ottica di rigenerazione urbana CLAUDIA GIRAUD L Sono

partiti i lavori per la nuova sede della GAMeC a Bergamo, nel vecchio Palazzetto dello Sport, che sarà riqualificato dallo studio C + S di Carlo Cappai e Maria Alessandra Segantini in due anni di cantiere, per essere pronta nel 2026: si prevedono spazi triplicati nel museo e interventi anche nello spazio urbano che circonda l’edificio, per migliorarne l’accesso. Il tutto per un investimento complessivo di 18 milioni di euro, di cui oltre 6,4 provenienti da un finanziamento PNRR nell’ambito del bando rigenerazione urbana. È da anni che la GAMeC è alla ricerca di una nuova sede che le consenta di adeguarsi, a circa 32 anni dalla sua nascita, alle esigenze dell’oggi. Il progetto trasformerà così l’impianto sportivo, realizzato negli anni Sessanta (quello nuovo sorgerà al posto del Palacreberg), per accogliere gli spazi del museo che passerà dagli attuali 2.200 metri quadri a poco meno di 6mila. Previsti anche un ristorante panoramico in terrazza e una piazza coperta, quest’ultima in dialogo con quella esterna antistante.

Gagosian lascia la storica sede di New York. Il nuovo inquilino è Bloomberg LIVIA MONTAGNOLI L Al 980 di Madison Avenue a New York, Gago-

sian ha stabilito il suo primo ufficio nel 1987. Negli anni il colosso delle gallerie d’arte che fa capo a Larry Gagosian – presente in città con sei sedi e radicato in tutto il mondo – ha finito per occupare quasi la metà degli spazi a disposizione nel palazzo realizzato nel 1949 per accogliere una casa d’aste, e diventato col tempo un attrattore di realtà gravitanti nel mercato dell’arte. Un quartier generale prestigioso per Gagosian, mai però diventata proprietaria dei locali occupati nello stabile, in capo al gruppo RFR Holdings, che ora ha raggiunto un accordo di affitto più vantaggioso con Bloomberg Philantropies. Alla fondazione filantropica di Michael Bloomberg, dietro pagamento di un lauto canone di 21 milioni di dollari l’anno, spetterà l’85% dell’edificio. Un’occupazione che si concretizzerà progressivamente entro il 2025. Trasloco imminente, dunque, per Gagosian, già in trattativa per assicurarsi un’altra sede nell’Upper East Side.

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ART MUSIC FUTURE TRADIZIONI: L’ELETTRONICA INCONTRA IL FOLK ITALIANO

A Milano il progetto che trasforma le ex celle frigorifere dei macelli in spazi d’arte VALENTINA MUZI L A Trezzano sul Naviglio un ex ma-

cello è stato convertito in un hub culturale e la sua cella frigorifera in uno spazio espositivo. Si chiama Quintoquarto ed è il progetto ideato da Sofia Alberti, con la curatela di Luca Zuccala, che invita gli artisti a relazionarsi con la cella frigorifera in disuso, valorizzandola. “Quintoquarto nasce durante una cena fra amici, in cui mi è stato chiesto come avrei abitato la cella frigorifera in disuso di un ex macello. Utilizzo la parola ‘abitare’ perché porta con sé diversi significati: vuol dire dare nuova vita ma anche ricamare una storia, conoscere chi ha lavorato in quel luogo e le sue tradizioni”, racconta Sofia Alberti.

La piattaforma di design Alcova apre un e-commerce e uno spazio a Milano VALENTINA MUZI L Alcova annuncia il lancio di Alcova

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siste una world music italiana? Da questa domanda senza risposta è nata l’esigenza di far conoscere al mondo il vasto patrimonio musicale tradizionale del Belpaese, attingendolo dalla rete dei suoi archivi sonori e contaminandolo con suoni contemporanei, attraverso il progetto Future Tradizioni: una call to action prima e un album dopo, sessanta artisti per un totale di ventinove tracce realizzate. “Ci ha colpito particolarmente il numero di producer, dj, musicisti che hanno risposto alla call-to-action prendendo parte al nostro percorso”, ci racconta il suo coordinatore, il producer Marco Dalmasso (in arte Ghiaccioli e Branzini) dell’associazione La Scena Muta di Firenze, che ha avuto l’idea. “Questo ci ha dato la misura di come effettivamente il progetto rispondesse ad un'urgenza artistica di tanti musicisti e che aspettasse soltanto l’occasione giusta per prendere una forma compiuta”. Se da alcuni anni il format Open Sound fa un’operazione analoga in Basilicata, creando nuovi repertori musicali e performance collettive a partire dal dialogo tra suoni tradizionali lucani (ora anche occitani) e quelli di oggi, al progetto Future Tradizioni va il merito di averla estesa a tutta l’Italia. Un’azione resa possibile dal materiale audiovideo (digitalizzato) presente su Archivio Sonoro che riunisce al suo interno diversi archivi: sono oltre millecinquecento le tracce messe a disposizione provenienti da Abruzzo, Basilicata, Campania, Marche, Puglia e Umbria. “Gli artisti hanno potuto attingere e manipolare un cospicuo numero di registrazioni sul campo, realizzate da diversi etnomusicologi nel corso del ‘900”. Ne è nato, così, un album collettivo, uscito il 6 ottobre con l’etichetta discografica Garrincha Go Go (Garrincha Dischi) molto eterogeneo, capace di connettere il mondo delle sperimentazioni sonore dell’elettronica al vasto repertorio di musiche tradizionali italiane, mischiando sonorità dub, glitch, techno, house con le musiche e i canti popolari di un tempo. Ora l’obiettivo del progetto è la sua diffusione in contesti internazionali, sia in chiave live che a livello di ricerca. “È emersa una volontà da parte degli artisti di sviluppare maggiormente le connessioni musicali appartenenti al nostro patrimonio in relazione ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Inoltre, stiamo già lavorando a sviluppare la parte performativa, attivando una o più residenze in cui gli artisti coinvolti dialoghino insieme per creare un live-set capace di rappresentare il percorso intrapreso”. garrinchagogo.bandcamp.com

CLAUDIA

GIRAUD

Design Shop, negozio online in linea con la ricerca con cui è nata la piattaforma di design itinerante. Oltre a vantare una vasta gamma di oggetti da collezione proveniente dalla rete di espositori che, negli ultimi cinque anni, l’hanno trasformata in uno degli appuntamenti imperdibili del Fuorisalone di Milano, nello store online sono presenti anche i Design Drops, una serie inedita creata da designer selezionati per le mostre milanesi e internazionali di Alcova, disponibile online ma anche nel nuovo Alcova Project Space, lo spazio dedicato a piccole esposizioni ed eventi in via Padova 29 a Milano, nel quartiere NoLo.

Francesco Manacorda è il nuovo direttore del Castello di Rivoli DESIRÉE MAIDA L Francesco Manacorda è il nuovo di-

rettore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. Già direttore artistico della V-A-C Foundation (2017-22), direttore artistico della Tate Liverpool (2012-17), direttore di Artissima (201012) e Curatore presso la Barbican Art Gallery (2007-09), Manacorda succede a Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Castello di Rivoli dal 2016 a oggi (con un periodo di direzione ad interim dal 2009), e assumerà l’incarico a partire dall’1 gennaio 2024. Il critico e curatore italiano – che inoltre è stato, dal 2006 al 2011, docente presso il dipartimento di Curating Contemporary Art del Royal College of Art a Londra e co-curatore nel 2016 la Biennale di Liverpool e nel 2018 dell’undicesima edizione della Biennale di Taipei – è stato selezionato tramite un bando lanciato mesi fa dal Museo.


DESIRÉE MAIDA L Il celeberrimo L’Arc de Triomphe empaqueté di

Christo e Jeanne-Claude avrà nuova destinazione d’uso La coppia d’arte e di vita ideò l’“impacchettamento” dell’Arco di Trionfo di Parigi più di 60 anni fa, ma la sua realizzazione ha visto la luce nel 2021: per mesi il pubblico parigino ha assistito ai lavori di preparazione dell’installazione, iniziati con il montaggio delle impalcature da cui sono stati “srotolati” i drappi di polypropylene che hanno cinto l’Arco di epoca napoleonica. Un’opera monumentale per dimensioni e per risorse impiegate, a partire dai 25mila metri quadrati di polypropylene argentato e dai 3mila metri di corde rosse utilizzati per l’impacchettamento. Materiale che, come spiegato dalla sindaca di Parigi Anne Hidalgo, sarà riciclato e trasformato in “strutture ombreggianti e tende” di cui usufruire durante i Giochi Olimpici e Paralimpici che si terranno nella capitale francese del 2024, rappresentando un “ottimo esempio della capacità del mondo dell’arte di affrontare le sfide climatiche”. A guidare l’iniziativa è Parley for the Oceans, organizzazione ambientalista nata nel 2012 e impegnata nella protezione degli oceani con progetti che promuovono il riciclo.

Il Polo delle Arti alla Cavallerizza Reale di Torino. Un progetto da oltre 25 milioni di euro VALENTINA MUZI L Il Polo delle Arti di

Torino prenderà forma in un’area di oltre 7mila metri quadrati della Cavallerizza Reale, edificio dichiarato Patrimonio Unesco e che in questi anni ha ospitato la manifestazione Paratissima. Il Polo sarà un hub dedicato alle professioni del teatro musicale e di prosa, della musica elettroacustica e della composizione, della televisione e delle arti visive e dei nuovi linguaggi artistici, coinvolgendo l’Accademia Albertina di Belle Arti, il Conservatorio “Giuseppe Verdi” e la Fondazione Collegio Universitario Einaudi. Il progetto vede la firma di Picco Architetti, Baietto Battiato Bianco e De Ferrari Architetti, gruppo vincitore della gara di progettazione bandita dal Collegio Einaudi nell’agosto del 2022 con la direzione artistica di Matteo Robiglio di Studio ETRA. L’investimento complessivo ammonta a 25,5 milioni di euro, a cui si sommeranno ulteriori 7 milioni per il recupero e la valorizzazione delle sedi storiche dell’Accademia e del Conservatorio.

Riaperto il mitico Palazzetto dello Sport di Vitellozzi e Nervi a Roma VALENTINA SILVESTRINI L Esempio di applicazione del Sistema Nervi – metodo basato su un insieme di soluzioni costruttive, tra cui la prefabbricazione strutturale e l’uso del ferrocemento –, il Palazzetto dello Sport progettato da Pier Luigi Nervi e Annibale Vitellozzi per le Olimpiadi Roma 1960 è recentemente tornato a ospitare gare sportive. Sotto tutela da marzo 2021, l’impianto situato nel quartiere Flaminio fu il primo a essere ultimato e inaugurato tra i quattro progetti di Nervi per la XVII Olimpiade. Negli ultimi cinque anni è stato oggetto di lavori di ammodernamento e riqualificazione che ne hanno comportato la chiusura. Il completamento dell’intervento è previsto per gennaio 2024, quando gli attuali 2.500 posti diventeranno 3.500. Ribattezzato PalaTiziano, nel prossimo futuro dovrebbe essere sede gli eventi non solo a carattere sportivo, secondo le previsioni dell’amministrazione capitolina. Mentre restano incerti i destini degli stadi Flaminio, anch’esso a Roma, e Artemio Franchi di Firenze, un plauso per la riapertura del palazzetto è arrivato dalla Fondation Pier Luigi Nervi Project, che si è espressa in termini di “splendido recupero”.

LOST IN DISTRIBUTION C’ERA UNA VOLTA

NEWS

L’Arco di Trionfo di Parigi “impacchettato” da Christo e Jeanne-Claude verrà riciclato

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nvitata a Istanbul per una conferenza, Alithea Binnie, affermata studiosa esperta di narrazione e mitologia, acquista un’antica bottiglietta di vetro durante una visita al gran bazar. Tornata in albergo, si accorge presto che l’oggetto imprigiona un potente Djinn, un ‘genio’ che, come da tradizione, le chiede di esprimere tre desideri per garantirgli finalmente la desiderata libertà. Impaurita e incuriosita Alithea cerca di guadagnare tempo, chiedendo al Djinn di raccontargli le storie di coloro che l’hanno preceduta. Adattamento del racconto di A. S. Byatt The Djinn in the Nightingale’s Eye, Tremila anni di attesa è diretto e co-sceneggiato da George Miller che, a sette anni dalla polverosa epopea post-apocalittica di Mad Max: Fury Road, torna sul grande schermo con un’opera che mette in primo piano il travolgente potere dell’immaginazione e la magia della narrazione. Il regista australiano costruisce una fiaba che seduce e incanta, in cui mondi lontani convivono e si fondono grazie all’incredibile fotografia di John Seale (già alla sua terza collaborazione con Miller, dopo L’olio di Lorenzo e Mad Max) e alla coinvolgente colonna sonora di Tom Holkenborg. Abbracciando un continuum temporale di tremila anni, Miller intreccia elegantemente diverse linee narrative e celebra il potere della trasmissione orale di esperienze e sentimenti e il profondo cambiamento che un ascolto attento può innescare. I suoi protagonisti, impersonati dai bravissimi Tilda Swinton e Idris Elba, sono entrambi imprigionati, anche se per motivi diversi, in una malinconica solitudine che riusciranno sconfiggere solo attraverso un dialogo di profonda intensità emotiva. Alithea (dal greco antico aletheia, che significa verità) si immergerà nei racconti fantastici del suo Djin, arrivando a comprendere e amare la fragilità di un essere ultraterreno, vittima, come ogni mortale, delle sue stesse passioni.

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Titolo originale: Tremila anni di attesa (Three thousand years of longing) Origine: USA, 2022 Genere: fantasy, sentimentale, drammatico Regia: George Miller Sceneggiatura: George Miller, Augusta Gore Cast: Idris Elba, Tilda Swinton, David Collins, Alyla Browne, Angie Tricker Durata: 108 min

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GLI NPC E IL POTERE LIBERATORIO DELL’ERRORE

Gli NPC (Non Player Characters) sono quei personaggi che nei videogiochi svolgono il ruolo delle comparse. Rimangono sullo sfondo, svolgendo occupazioni ordinarie come camminare, lavorare oppure semplicemente sostare in un certo luogo. Quando possono parlare, pronunciano spesso più volte le stesse frasi; i movimenti del corpo tendono a ripetersi in loop. Si tratta di presenze molto radicate nell’immaginario contemporaneo, soprattutto nel mondo dei gamer, una popolazione in crescita costante, non soltanto tra le generazioni più giovani. Li troviamo nei video di TikTok, dove le loro movenze stereotipate sono riprodotte dagli utenti durante lunghe e affollate live; ma anche nel mondo dei meme, dove l’NPC è un personaggio dal volto grigio che rappresenta, nei circoli alt-right, la supposta mancanza di autonomia e di pensiero critico da parte della sinistra. La popolarità dei “personaggi non giocabili” li ha trasformati in un simbolo; la loro mancanza di potere decisionale li rende l’oggetto metaforico perfetto soprattutto per chi voglia raccontare gli aspetti più alienanti della vita nell’occidente tardocapitalista. È quello che hanno fatto, ad esempio, i membri del collettivo artistico Total Refusal, che al tema degli NPC hanno dedicato un bel cortometraggio realizzato in machinima, ossia girato dentro Red Dead Redemption 2, videogioco action-adventure ambientato nel vecchio west. Nel film, intitolato Hardly Working, una serie di lavoratori digitali vengono mostrati durante la loro routine quotidiana, governata da impassibili algoritmi. È una specie di versione aggiornata dell’operaio descritto da Charlie Chaplin in Tempi Moderni, intrappolato in una catena di gesti che si ripetono all’infinito. “Di tanto in tanto, gli NPC si bloccano, rompendo i loro cicli e rivelando i loro difetti. In questi momenti, appaiono commoventi e umani”, scrivono i Total Refusal nella presentazione del corto, che si chiude con una domanda radicale: “dovremmo forse anche noi iniziare a glitchare?”. totalrefusal.com

PERSONAGGI E SPETTATORI

IL MACABRO AL MUSEO Il Getty Museum di Los Angeles fa da sempre un ottimo lavoro sui social media. Una delle serie più divertenti che pubblica sui suoi canali si intitola Macabre Minute with Mel. In questa collezione di brevi video, Melissa Casas, digital producer del museo, condivide le storie più macabre, assurde e inquietanti che si celano dietro gli oggetti delle collezioni del Getty. Dagli orrori della fotografia medica dell’Ottocento alle torture creative rappresentate nei manoscritti medievali. /watch/gettymuseum

Il curatore britannico Shumon Basar ha da poco concluso il progetto di residenza online “Lorecore” sulle pagine del magazine Zora Zine. Per l’occasione ha pubblicato una trilogia di contenuti, due testi critici e un video. Quest’ultimo, realizzato con l’AI in collaborazione con il duo artistico inglese Y7, è incentrato sul tema del rapporto tra realtà e finzione. “Lorecore” scrive Basar “è il nome che dò a questa fase della realtà in cui siamo tutti personaggi. Personaggi che sono anche spettatori”. zine.zora.co/the-laws-of-lorecore-shumon-basar

ROVINARE LE CANZONI Ideato dal musicista texano Dustin Ballard durante le lunghe giornate del primo lockdown, il progetto musicale There I Ruined It si propone di “rovinare” più canzoni possibili realizzandone delle versioni totalmente improbabili. Come Lose Yourself di Eminem mixata con la colonna sonora di SuperMario, Smells Like Teen Spirit dei Nirvana in stile K-Pop oppure Hurt dei Nine Inch Nails cantata dai Beach Boys. there-i-ruined-it.com


L’UNIVERSO DEL WEB

Nel bel mezzo della valanga di contenuti prodotti con software di intelligenza artificiale che sta travolgendo la rete, c’è un trend in particolare che merita attenzione. Si tratta di immagini che contengono altre immagini oppure messaggi testuali “nascosti” al loro interno in maniera più o meno subliminale. Realizzate con Stable Diffusion e ControlNet, queste immagini si inseriscono fluidamente nella tradizione delle illusioni ottiche, ma evocano anche l’opera di grandi artisti del passato come Arcimboldo e M.C. Escher, o più recenti come l’ucraino Oleg Shupliak o l’inglese Tom French.

Jan Robert Leegte è un artista olandese impegnato nella ricerca sugli intrecci tra arte e tecnologia sin dagli anni Novanta. È stato uno dei primi a realizzare progetti di net art e a intrecciare dimensione fisica e virtuale attraverso una serie di sculture ispirate alle barre di scorrimento delle finestre del browser. Il suo ultimo progetto, intitolato semplicemente “Web”, è un’opera generativa composta di 1000 pagine registrate sulla blockchain Ethereum. Tutte le pagine e i collegamenti tra di esse formano quello che l’artista chiama “un universo deterministico”.

knowyourmeme.com/memes/hidden-imagery-in-ai-art

130 DISEGNATORI PER UNA SITCOM

web.leegte.org

VIAGGIARE NEL TEMPO Nonostante la fantascienza prefiguri il suo avvento da oltre un secolo, la macchina del tempo ancora non è stata inventata. I viaggi attraverso la storia, tuttavia, si possono simulare in forma virtuale andando a spulciare nei numerosi archivi audiovisivi disponibili online. Una selezione affascinante ce la offre il canale YouTube Vampire Robot, che colleziona piccoli tuffi nel passato in formato video. Come una passeggiata in un centro commerciale negli anni Novanta o un giro sullo scuolabus negli anni Settanta. @vampirerobot

ourfrasierremake.framer.website

IL PITTORE DELLA METROPOLITANA Il pittore americano Devon Rodriguez è sconosciuto al mondo dell’arte, ma è una star di prima grandezza su TikTok, dove è seguito da oltre 32 milioni di persone. Autore di dipinti e disegni iperrealisti, è salito agli onori della cronaca realizzando e regalando ritratti improvvisati sotto la metropolitana di New York. Al “fenomeno Rodriguez”, e alla sua pittura, ha dedicato un interessante articolo il critico Ben Davies sul magazine Artnet (attirandosi gli attacchi di molti fan dell’artista). devonrodriguezart.com

LA VIDEO-RICETTA CHE NON TI ASPETTI Gianluca Busani è un attore e regista originario di Reggio Emilia. Su Instagram ha raccolto un seguito considerevole (quasi mezzo milione di follower) grazie a una serie di video a dir poco insoliti. Sulla scia di altri grandi classici del weird web – come ad esempio il canale HowToBasic di Youtube – Busani sceglie un genere ormai tradizionale dei social, la video-ricetta di cucina, e lo stravolge con inserti assurdi e surreali, manipolando suoni e immagini con innegabile maestria. gianluca_busani

a cura di VALENTINA TANNI

“Our Frasier Remake” è un progetto di animazione collaborativa diretto da Jacob Reed. Per realizzarlo, l’autore ha arruolato oltre 130 animatori e ha chiesto loro di rifare un episodio della sitcom americana Frasier. Ogni collaboratore ha animato nel suo stile 6-12 secondi del finale della prima stagione dello show, la puntata My Coffee with Niles. Il risultato è sorprendente.

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Basilica di Santa Maria di Collemaggio

Il consorzio di gallerie d’arte “Italics”, dopo Procida (2021) e Monopoli (2022), ha scelto L’Aquila per dare forma alla terza edizione di Panorama, che a settembre ha animato 18 luoghi della città attraverso l’arte contemporanea, per confrontarsi con la storia passata e recente del capoluogo abruzzese, ancora alle prese con il complesso processo di ripartenza post terremoto. Ma, nella città tuttora oggetto di un grandissimo cantiere di restauro, i segnali di rinascita iniziano a concretizzarsi sempre più numerosi. A partire dall’epicentro culturale del MAXXI. MUNDA

È l’imponente scheletro fossile di Mammuthus meridionalis vestinus, risalente a 1.300.000 anni fa, il reperto simbolo del Museo Nazionale d’Abruzzo. Ospitato nel bastione est della Fortezza Spagnola, è visibile solo in occasioni straordinarie. La collezione completa del MuNDA, invece, si visita nella sede provvisoria dell’ex mattatoio di Borgo Rivera, per scoprire la storia e l’arte del territorio abruzzese.

piazza santa maria paganica 15 maxxilaquila.art

via tancredi da pentima museonazionaledabruzzo.cultura.gov.it

GALLERIA ITALIA Luogo di ritrovo storico della città, abitualmente frequentata dal pittore Teofilo Patini nel passaggio tra XIX e XX, la Galleria Italia aveva assunto più di recente una connotazione commerciale. Resa inagibile dal terremoto, dopo 14 anni riapre con l’idea di recuperare il suo profilo culturale, ospitando, accanto ai negozi, anche mostre ed eventi d’arte.

F’ART Centro di produzione, formazione e diffusione dell’arte visiva, l’associazione culturale F’Art organizza eventi diffusi oltre le mura del suo spazio, attivando luoghi storici della città (come, di recente, Palazzo Lucentini Bonanni e Galleria Italia, per la mostra LUCO, sul senso del sacro nella contemporaneità). via san francesco di paola 13

corso vittorio emanuele

fartassociazioneculturale.com

FONDAZIONE DE MARCHIS Sul Corso, la Fondazione Giorgio de Marchis Bonanni d’Ocre è ospitata nello storico Palazzo de Marchis. Nata nel 2004, conserva e valorizza l’archivio di arte contemporanea e la biblioteca del critico Giorgio de Marchis, importante osservatorio sulla storia dell’arte italiana e straniera circolante in Italia nel XX secolo. Lo spazio accoglie anche mostre temporanee.

ARTE PUBBLICA Risale al 2011 il progetto Nove artisti per la ricostruzione, il cui lascito più prezioso è l’Amphisculpture di Beverly Pepper, un teatro all’aperto installato sul declivio naturale del Parco del Sole. Al Raid Caterpillar aquilano del 2019 si devono invece opere permanenti come la “panca” in pietra lavica (Sofferte onde serene) di Marzia Migliora o la meridiana (OurHour) di Alessandro Brighetti nel cortile del MuNDA.

corso vittorio emanuele 23 fondazionedemarchis.it

FØRMA

Førma ha inaugurato in piena pandemia in un palazzo storico del centro città, proponendosi di rinnovare la scena gastronomica locale. La cucina di Simone Ciuffetelli è moderna, votata alla riduzione degli sprechi e alla valorizzazione dei prodotti locali, anche attraverso tecniche non tradizionali. Dal 2022 l’attività ha avviato anche una bakery, per colazione e pranzi veloci. via fortebraccio 53 formarestaurant.it

a cura di LIVIA MONTAGNOLI

MAXXI L’AQUILA Il distaccamento aquilano del polo museale per le arti del XXI secolo ha sede negli spazi di Palazzo Ardinghelli, dove è stato inaugurato a giugno 2021. In poco tempo è cresciuto, integrandosi nel contesto culturale locale e portando nuova linfa al turismo cittadino. Ricca la programmazione di eventi, come Performative, oltre le mostre temporanee.

JU BOSS

Da oltre 90 anni la famiglia Massari gestisce la Cantina del Boss, offrendo una selezione di etichette che raccontano il territorio vitivinicolo abruzzese (si può anche mangiare, taglieri e panini con prodotti locali). Dopo il terremoto è arrivato anche il bistrot di piazza Regina Margherita, nei locali di Palazzo Lucentini Bonanni, sempre all’insegna dell’abbinamento vino e cibo. via castello 3 jubossbistrot.it

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QUEERSPECTIVES

“Giving Power to the People”. Il nuovo capitolo del progetto di Leica ad Artissima

L’IDENTITÀ ATTRAVERSO L’ARTE TESSILE: LA POETICA DI SARAH ZAPATA

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GIULIA GIAUME L Continua l’impegno di

Sarah Zapata, To Strange Ground and High Places, 2023. Installation view at Galleria Poggiali, Milano. Photo Michele Alberto Sereni

isitare la prima mostra italiana di Sarah Zapata, To Strange Ground and High Places aperta fino al 30 novembre nello spazio milanese della Galleria Poggiali, significa porsi una serie di domande, e conseguenti risposte, che potrebbero sovvertire molti degli assunti a cui siamo abituati. Il che, in prima battuta, suona strano, trattandosi di arte tessile. Ma è proprio grazie a questo medium non mainstream che la decostruzione di alcune credenze comuni prende avvio. Sarah Zapata nasce a Corpus Christi, Texas, nel 1988 da genitori di origine peruviana e di confessione cristiano evangelica. Dopo un’infanzia trascorsa nei sobborghi di Dallas e un BFA in Studio Art–Fibers, l’artista decide di trasferirsi a Brooklyn, dove tutt’ora risiede. Nell’intimità dello studio inizia quindi a rileggere il suo vissuto di persona queer statunitense, di origini peruviane, attraverso la tessitura. Unisce così la forte tradizione artigianale del Paese dei suoi avi alla lentezza e meticolosità di un processo creativo che induce alla riflessione. Zapata, infatti, passa ore al telaio con l’obbiettivo di nobilitare una tecnica da molti considerata arte applicata o impegno “femminile”, ammantandola di nuovi significati e significanti. Da qui scaturiscono molteplici riflessioni: in primis vi è il collegamento con i suoi trascorsi familiari e, in particolare, con il nonno commerciante di tessuti a Piura, fino ad arrivare alle tradizioni ancestrali delle culture peruviane. Come quella Paracas, una delle più antiche società conosciute dell’America Latina, che nell’8001000 a.C. era solita seppellire i membri più importanti della comunità in fardelli di tessuto, accompagnati da ricchi corredi del medesimo materiale. In seconda battuta, Zapata unisce il passato al presente utilizzando l’arte tessile per rileggere la sua identità e scardinare i preconcetti che ad essa si associano. Giocando con i colori e con le forme, sovverte le gerarchie e le categorie stesse di maschile e femminile che universalmente vengono attribuite a determinate specifiche cromatiche o attività creative. Inoltre, la scelta del tessuto come mezzo di espressione principale, permette a Sarah Zapata un alto grado di manipolazione dei materiali. Tesse una tela, la seziona, la ricuce e la presenta in altre fattezze, creando delle vere e proprie sculture. Un lavoro di indagine e produzione che ben si connette all’estetica queer. La tessitura torna così ad essere quell’atto sacro, maieutico e di comunanza di valori che è sempre stato nella storia dell’umanità, portando però alla luce i pregiudizi di genere che connotano il nostro presente. Rivestendo superfici già esistenti, ad esempio colonne, con strati di tessuto differenti e sormontandole con sculture sempre dello stesso materiale, l’artista riflette anche sulla fede cristiano-evangelica. In particolare, la tematica biblica si trova in alcuni elementi o figure ripetute in maniera ricorrente. Per esempio le strisce che, nel corso della storia dell’umanità, sono state utilizzate per evidenziare uno status di inferiorità di chi le indossava o della superficie che le riportava. Pensiamo banalmente alle divise dei carcerati. Usarle di proposito distorcendone il significato e giocando con le posizioni dei colori principali e secondari, diventa uno dei metodi per ribadire come gli argomenti legati alla queerness e all’identità di genere abbiano bisogno di maggiore attenzione da parte del grande pubblico e, soprattutto, di ulteriori palcoscenici dove mettere in atto dibattiti e confronti costruttivi.

uno dei più prestigiosi brand di macchine fotografiche e obiettivi al mondo nel dare visibilità ai giovani fotografi italiani. Dopo l’appuntamento di miart, Leica torna a promuovere al motto di Giving Power to the People la creazione di progetti ad hoc dedicati alle fiere d’arte e alle città che le ospitano, con la collaborazione di Artribune. Ora, è la volta della fotografa e artista Maria Elisa Ferraris (Torino, 1995), la cui ricerca si sviluppa a partire da un interesse per l’elemento umano e il paesaggio, a essere coinvolta nella produzione di un reportage della città di Torino in occasione di Artissima e della settimana dell’arte. “Leica Camera Italia ha un forte ruolo di sostegno dei giovani talenti e della fotografia autoriale”, commenta Giada Triola, Responsabile PR e Eventi di Leica Camera Italia. “Nel caso di Maria Elisa, sarà interessante l’incontro tra la sua sensibilità di fotografa orientata al bianco e nero e la Leica M11, ultimo modello della serie M, serie iconica di Leica e compagna dei grandi reportagisti. Una camera completamente meccanica e con tecnologia a telemetro, con una gestione del tempo e dello scatto molto sfidante, che permetterà un racconto di Torino e la sua arte unico e riconoscibile”. La prima produzione dell’artista sarà un prezioso autoscatto, che sarà esposto all’interno dello stand di Artribune per tutta la durata di Artissima, dal 3 al 5 novembre 2023 al Lingotto.

NECROLOGY SERGIO STAINO (8 giugno 1940 – 21 ottobre 2023) L GIOVANNI CHIARAMONTE (1948 – 18 ottobre 2023) L ANDREA BRANZI (30 novembre 1938 – 9 ottobre 2023) L MARIO SASSO (1934 – 4 ottobre 2023) L GIULIO BARGELLINI (1932 – 22 settembre 2023) L ERWIN OLAF (2 luglio 1959 – 20 settembre 2023) L FERNANDO BOTERO (19 aprile 1932 – 15 settembre 2023) L BUICHI TERASAWA (30 marzo 1955 – 8 settembre 2023)


GIULIA GIAUME L Per festeggiare il centesimo anniversario della nascita del celebre soprano, Milano coordina una serie di iniziative che cul-

minerà il 2 dicembre 2023, giorno del centesimo anniversario della nascita della soprano. Museo del Teatro alla Scala. Largo Antonio Ghiringhelli, 1 La mostra Fantasmagoria Callas, curata da Francesco Stocchi con allestimento di Margherita Palli e aperta dal 17 novembre al 30 aprile 2024 con i costumi celebri indossati da Callas.

Piccolo Teatro di Milano Teatro Grassi. Via Rovello, 2 Il Teatro Grassi tiene il 2 dicembre dalle 20.30 una serata moderata da Concita De Gregorio sulla voce dell’amore, a partire dall’incontro tra Pier Paolo Pasolini e Maria Callas sul set di Medea.

Teatro alla Scala. Via Filodrammatici, 2 Il 2 dicembre alle 17.30, per il “Callas Day”, si terrà la proiezione del docufilm MyCallas di Roberto Dassoni, realizzato in occasione del centenario.

Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo. Piazza della Scala, 6 Dal 9 novembre al 18 febbraio 2024 le Gallerie ospitano la mostra, curata da Aldo Grasso, Maria Callas. Ritratti dall’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo, con 91 immagini dal 1954 al 1970.

Piazza Duomo Veneranda Fabbrica del Duomo. Chiesa di San Gottardo in Corte, via Pecorari, 2 La mostra Maria Callas. La Voce e l’amuleto ospita il raro dipinto del Settecento attribuito a G.B. Cignaroli, donato a Callas da Gian Battista Meneghini (poi suo marito) alla vigilia del debutto all’Arena di Verona.

Biblioteca Sormani. Corso di Porta Vittoria, 6 Dal 24 novembre al 2 dicembre 2023 si tiene la mostra Callas Voce Assoluta | La Divina, con vinili, libri e dvd (incluse le registrazioni dal vivo al Teatro alla Scala tra il 1951 e il 1958).

Al Colosseo arriva il biglietto nominativo contro il bagarinaggio

Ferrara ha un nuovo polo culturale in una chiesa sconsacrata del centro

LIVIA MONTAGNOLI L Dal 18 ottobre 2023

sconsacrata chiesa di San Michele è stata infatti acquisita dalla famiglia Liberatore nel 2021 per diventare la nuova sede del marchio della stilista Francesca Liberatore e più in generale un polo culturale pensato per la città e guidato dal padre, lo scultore Bruno Liberatore. Un luogo d’arte e di creatività, anticipato un anno fa dalla stessa stilista, in cui far confluire le esperienze di una famiglia poliedrica e ben nota al mondo dell’arte e della moda. Il nuovo centro culturale è stato presentato al pubblico con appuntamenti all’insegna della moda e dell’arte, il primo dei quali è consistito in una sfilata esclusiva nel giardino di Palazzo dei Diamanti – realizzata in collaborazione con il Comune e la Fondazione Ferrara Arte – con la presentazione di una collezione SS24 inedita della stilista, già professoressa di Moda all’Accademia Belle Arti di Brera e alla NABA e senior guest lecture alla Marist University di New York. Il secondo è consistito in un’esposizione di sculture del padre all’interno della vecchia chiesa. “Sono la conoscenza, la cultura, l’arte che devono fornire gli strumenti per l’evoluzione così come affinare la sensibilità dell’essere umano verso l’altro e ciò che è esterno”, hanno commentato padre e figlia.

si può accedere all’Anfiteatro Flavio solo con ticket nominale, misura ritenuta essenziale per contrastare il mercato illegale alimentato da bagarini e guide non autorizzate che assediano i visitatori all’ingresso del sito archeologico. Il biglietto è acquistabile online sul sito colosseo.it, ma anche tramite call center e nelle biglietterie fisiche sul posto, che ora possono contare su una nuova postazione, oltre a quella già esistente in piazza del Colosseo. Proprio l’apertura della nuova biglietteria, in largo della Salara Vecchia/Via dei Fori Imperiali, consente di raddoppiare il numero di ticket emessi sul posto (fino a esaurimento delle disponibilità), agevolando le procedure di ritiro dei biglietti già acquistati online dai visitatori singoli, grazie a un totale di sei casse operative. Per fare ordine nel sistema di vendita, il Ministero ha inoltre stabilito che, fatto salvo il 20% di biglietti venduti in loco, la quota di ingressi soggetta a prenotazione online è ripartita in un 55% del totale destinato ai visitatori singoli e il restante 25% per i tour operator.

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Callas 100. Milano celebra la diva della lirica con un palinsesto di eventi tra musei e teatri

GIULIA GIAUME L Ferrara ha nuovo polo culturale, proprio nel centro storico. La

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Riparazioni simboliche nell’arte contemporanea 29 ottobre 2023 4 febbraio 2024 CASTELLO GAMBA

Museo di Arte moderna e contemporanea Châtillon (Valle d’Aosta) www.valledaostaheritage.com www.castellogamba.vda.it



L’ARRIVO DEI MILLENNIAL ANALISI SUL CAMBIO GENERAZIONALE TRA I COLLEZIONISTI D’ARTE


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MASTURZO

n un Paese come l’Italia le conseguenze di un inverno demografico si espandono a tutti gli ambiti della vita, dal mondo del lavoro a quello del welfare. Il mercato dell’arte non fa eccezione, tantomeno il collezionismo. Col passare del tempo, alla presenza dei collezionisti attivi da decenni, riconosciuti e rispettati per la costanza della loro attività, oltre che per l’impegno in favore del sistema dell’arte tutto, va affiancandosi una nuova generazione, che si sta facendo le ossa ora o che è già a fuoco su cosa significhi collezionare arte oggi. E mentre sulla scena delle aste globali le vendite dedicate alle eredità dei più munifici collezionisti internazionali sono diventate uno dei fenomeni di maggior rilievo, arriva anche il momento di interrogarsi sui collezionisti del futuro.

STORIES COLLEZIONISMO

Sempre più attive su tutti i fronti, dall’acquisto al sostegno degli artisti tramite residenze, le nuove leve del collezionismo si stanno facendo strada. Determinando interessanti mutamenti del mercato

IL MERCATO DELL’ARTE ALLA PROVA DEL PASSAGGIO GENERAZIONALE E DEL TRASFERIMENTO DI RICCHEZZA

Il passaggio generazionale da una tradizione di collezionisti e amatori d’arte di lunga data a un altro ecosistema di appassionati e raccoglitori d’arte “seriali” è, infatti, in pieno corso, anche se non ne facciamo perno delle strategie operative del sistema dell’arte. E nulla garantisce che questa sorta di eredità possa essere raccolta in modo lineare. Anzi, tutto fa pensare che la nuova generazione di collezionisti Millennial, in un’accezione cronologica del termine piuttosto ampia che prova a contrapporsi ai Baby Boomer, sia intenzionata a percorrere strade e gusti piuttosto lontani rispetto alle precedenti. E tra primo e secondo mercato ci si inizia a domandare anche quali saranno le opere più storicizzate che conserveranno valore anche per i più giovani, e di quali queste nuove leve andranno a caccia nel prossimo futuro. Per comprendere quali possono essere gli orizzonti di ritorni sugli investimenti in arte del passato, tra nuove attrazioni fatali e vecchi canoni. Il trasferimento della ricchezza dei Baby Boomer si accompagnerà infatti anche alla trasmissione del loro gusto, essenzialmente e in moltissimi casi incentrato su tutta la ricerca artistica Post-War. Ma questo universo, a guardarsi un po’ in giro, tra le mostre in galleria e risultati in asta, non è necessariamente la strada preferita dai Millennial, che sembrano molto più attratti dalla temperie ultra-contemporanea, da opere realizzate in anni recentissimi da loro coetanei o da artisti più giovani.

I DATI SUL MERCATO DELL’ARTE E SUL COLLEZIONISMO

Photo Irene Fanizza

Intanto nel 2022, in basi ai dati dell’Art Market Report di Art Basel e UBS, il mercato dell’arte è cresciuto del 3%, nonostante la volatilità dell’economia e seppure questo si sia verificato a macchia di leopardo, con una concentrazione di incrementi di fatturato ai livelli apicali della filiera. Le gallerie in particolare hanno registrato una crescita del 7% su base annua, anche grazie al ritorno delle attività in presenza a pieno ritmo dopo lo stop pandemico. Con un 35% del business costituito dalla partecipazione alle fiere e una tendenza in aumento a operare su più presidi geografici, +9% nel 2022, anche per l’esigenza di mantenere una maggiore prossimità alla propria base di collezionisti.

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L'ITALIA: UN PORTO FISCALE SICURO (DA MIGLIORARE) PER I COLLEZIONISTI D'ARTE Alla vigilia di una riforma fiscale che interesserà alcuni aspetti della fiscalità dell’arte è utile ricordare quanti vantaggi l’Italia presenta rispetto ad altri Paesi, europei e non, anche in considerazione del trattamento del passaggio generazionale e, in generale, della trasmissione per successione dei beni culturali.

dite in galleria. Ferma restando, però, l’aliquota del 22% sul “margine” per le vendite del secondo mercato, per le quali trova applicazione l’omonimo regime. Se succederà, l’Italia farà un salto nella classifica dei Paesi dove il mercato dell’arte è più sviluppato, nella quale, ad oggi, non è certo ai primi posti.

LA PRIMA FASE DEL COLLEZIONISMO Si tratta della cosiddetta “fase accumulo”, nella quale l’IVA rappresenta il carico fiscale più rilevante sopportato dal collezionista, l’Italia non è ad oggi particolarmente competitiva. L’aliquota ridotta del 10%, che è comunque quasi doppia rispetto all’aliquota ridotta della Francia, si applica soltanto per le importazioni delle opere provenienti da Paesi extra UE e per gli acquisti fatturati direttamente dall’artista. Negli altri casi, cioè gli acquisti in galleria, anche se “primi acquisti”, nei quali la galleria intermedia la vendita di opere acquisite direttamente dall’artista, l’aliquota è quella ordinaria del 22%. Ciò potrebbe cambiare con la riforma fiscale, perché in base all’articolo 7 della legge 111/2023 (Delega al Governo per la riforma fiscale) potrebbe trovare applicazione l’aliquota del 5% sia sulle importazioni sia sulle ven-

LA SECONDA FASE DEL COLLEZIONISMO Ovvero la “fase affinamento”, periodo durante il quale il collezionista riorganizza le opere possedute seguendo uno o più fili conduttori. In conseguenza delle necessarie vendite di opere finalizzate a nuovi acquisti, il collezionista è esposto all’imposizione del capital gain che realizza vendendo, anche se per ricomprare. Sotto questo aspetto l’Italia è certamente competitiva rispetto ad altri Paesi: a partire dal 1986 – con l’introduzione del T.U.I.R. e l’abolizione della disposizione specifica che prevedeva l’imponibilità delle plusvalenze realizzate su opere d’arte, oggetti d’antiquariato e altri beni mobili di valore in presenza del cosiddetto “intento speculativo” – la giurisprudenza e la dottrina hanno portato all’identificazione delle plusvalenze irrilevanti ai fini dell’IRPEF perché conseguite attraverso puri realizzi patrimo-

$16.000 $14.000

milione di dollari. Il 45% dei collezionisti High Net Worth ha comprato arte attraverso gallerie (13%), fiere (15%), piattaforme online (10%), al telefono o via email (7%) (dati: Arts Economics, A Survey of Global Collecting in 2022, An Art Basel and UBS Report). Se i più coraggiosi navigano nei range di prezzo apicali, alcuni mercanti hanno fatto notare che invece ai piani meno alti compaiono incertezze nella ge-

La popolazione globale di miliardari e la loro ricchezza dal 2008 al 2022 © The Art Market Report - Arts Economics (2023)

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Fonte dati: Forbes

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ricchezza $ in miliardi

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numero di miliardari

Dal canto loro, gli acquirenti d’arte hanno speso di più nel 2022 e prevedevano, dal 2022 al 2023, di continuare a incrementare i propri acquisti. E d’altronde, sempre ai livelli più alti della filiera, conta anche la presenza sempre maggiore di grandi patrimoni disponibili, con il numero dei miliardari che in dieci anni è più che raddoppiato, così come lo share di quelli che hanno acquistato opere oltre il

niali e di quelle, invece, tassabili. Questo processo di evoluzione della normativa fiscale applicata ha trovato un suggello nella sentenza della Cassazione n. 6847 del 21 febbraio 2023. Nella sostanza, la Cassazione ha consolidato la tripartizione delle operazioni di compravendita di opere d’arte, già ben riconosciuta dalla dottrina, anche a seguito della risposta all’interrogazione parlamentare del 21 marzo 2019. Le operazioni del “collezionista puro”, che non compie alcuna operazione tipica dell’attività commerciale, sono irrilevanti. Quelle del mercante “dissimulato”, cioè il collezionista che privilegia il raggiungimento di un utile derivante dalla compravendita di opere d’arte, pur senza dichiararsi come commerciante, sono sempre rilevanti. E infine, le operazioni del collezionista che – pur avendo effettuato acquisti mossi esclusivamente dalla passione per l’arte – poi dismette le opere attraverso attività di valorizzazione di tipo commerciale, sono rilevanti caso per caso. E sul tutto – afferma la Cassazione – sono irrilevanti le vendite di opere ereditate o ricevute per donazione. Questo quadro, già oggi, offre vantaggi competitivi importanti al collezionista


LA TERZA FASE DEL COLLEZIONISMO La cosiddetta “fase trasmissione” della collezione è quella in cui l’Italia presenta i maggiori vantaggi competitivi, con il livello impositivo generale sul passaggio generazionale molto basso, il 4%, sul valore dei beni trasferiti in linea retta. Oltre che per la presenza di franchigie molto significative, un milione di euro per ogni discendente-erede in sede di donazione ed un ulteriore milione di euro in sede di successione. A queste si affianca il potentissimo strumento della “presunzione di appartenenza all’attivo ereditario in misura pari al 10% dell’asse ereditario netto” dei beni destinati all’ornamento delle abitazioni del de cuius, incluse le opere d’arte. Questa disposizione specifica, che supera la regola generale per la quale le opere d’arte cadute in successione sono assoggettate ad imposta in base al loro valore di mercato alla data dell’apertura della successione stessa, ha permesso a ormai diverse generazioni di collezionisti di tramandare le collezioni d’arte detenute fra le mura domestiche con un onere molto contenuto, praticamente pari a zero. Questa sembra essere una disposizione studiata per favorire la conservazione del patrimonio artistico nazionale. In realtà,

si tratta di una norma di semplificazione la cui interpretazione è ormai pacifica: non è derogabile da parte dell’Agenzia delle Entrate e può essere disattesa soltanto a favore del contribuente in presenza di un inventario redatto con le forme richieste dalla legge. La presenza di questa formidabile possibilità di pianificazione rende meno necessario che in altri Paesi il ricorso a strumenti giuridici atti a favorire il passaggio generazionale limitandone i costi fiscali. Da non dimenticare, infine, la totale esenzione da imposta di successione e donazione per i beni culturali riconosciuta ai sensi dell’articolo ai sensi dell’articolo 13 del T.U.S.D. e di quelli devoluti ad enti senza scopo di lucro ai sensi dell’articolo 3 del T.U.S.D. tra i quali rientrano le “Fondazioni Enti del Terzo Settore” di ormai relativamente facile e poco onerosa costituzione e mantenimento. Dunque, non solo il passaggio generazionale ma anche la destinazione alla fruizione pubblica sono fiscalmente privilegiati in Italia. FRANCO DANTE Dottore Commercialista ed esperto di fiscalità dell’arte, Dante&Associati

L’aliquota IVA sul commercio delle opere d’arte in Europa (vendite dall’artista) Cipro Esenti da Iva Croazia Esenti da Iva Svizzera Esenti da Iva Francia 5,5% Belgio 6% 6% Portogallo 7% Germania Lussemburgo 8% 8% Polonia Olanda 9% 9,5% Slovenia Finlandia 10% ITALIA 10% Spagna 10% Svezia 12% Austria 13% Irlanda 13,5% 18% Malta 19% Romania Bulgaria 20% Estonia 20% 20% Slovacchia Regno Unito 20% Lettonia 21% Lituania 21% Repubblica Ceca 21% Grecia 24% Danimarca 25% Ungheria 27%

Fonte: Il Sole 24 Ore

stione dei budget, più richieste di sconti e meno vendite. Di certo però, per le gallerie, i collezionisti privati sono da sempre e anche nel 2022 gli acquirenti principali, contando per il 78% del totale delle vendite con turnover tra $250,000 e $500,000. Se, invece, da ultime stime di Sotheby’s e ArtTactic a contare per il 40% delle offerte in asta oltre il milione sono stati finora i nati tra gli anni Quaranta e Sessanta, anche i collezionisti di una generazione o due successive iniziano a mettere piedi e palette in quel territorio, dimoTUTTO FA PENSARE CHE LA strando una predisposiNUOVA GENERAZIONE DI zione all’acquisto che fa ben sperare in termini COLLEZIONISTI MILLENNIAL SIA quantitativi. Resta al INTENZIONATA A PERCORRERE tempo stesso incerta, però, la loro presenza da STRADE E GUSTI PIUTTOSTO un punto di vista qualiLONTANI RISPETTO ALLE tativo e di preferenze, PRECEDENTI ma con delle novità di un certo interesse. Sempre dal report Art Basel e UBS scopriamo, ad esempio, che l’anno scorso sono salite dall’1 al 5% le vendite di video-art, un segmento tradizionalmente di complessa commercializzazione. Per cui questa nuova generazione potrebbe essere foriera anche di nuovi approcci e domandare opere di natura differente rispetto ai media tradizionali come pittura e scultura, che continuano in ogni caso a fare la parte del leone.

STORIES COLLEZIONISMO

residente in Italia: la genuinità dello spirito del collezionismo è premiata dall’assenza di imposizione sul capital gain. Domani, dopo la riforma, se saranno seguite le linee guida preannunciate, la situazione migliorerà, almeno sotto il punto di vista della certezza che ad oggi è soltanto relativa. Infatti, in base a quanto previsto dall’articolo 5 della legge 111/2023 (Delega al Governo per la riforma fiscale) dopo la riforma saranno sempre esenti le plusvalenze realizzate su opere ricevute per successione o donazione, quelle risultanti da una permuta o “re-investite” nonché quelle derivanti da realizzi patrimoniali definiti tali sulla base di parametri oggettivi. Tra questi ultimi, chi scrive auspica avrà un peso determinante la durata del possesso dell’opera, con un’imposizione del capital gain inversamente proporzionale ad essa. Il parametro temporale – forse unico tra tutti quelli sinora invocati per sostenere la non imponibilità delle plusvalenze – non può essere messo in discussione attraverso un potenzialmente pretestuoso ricorso alla presenza dell’“intento speculativo”, così facile da descrivere in teoria e così difficile da accertare con oggettività.

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Organizzazione geografica delle gallerie nel 2022 © The Art Market Report - Arts Economics (2023)

Nessuna sede fisica

Diverse sedi in diversi Paesi

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Share vendite delle gallerie per medium nel 2022 © The Art Market Report - Arts Economics (2023) Film o video art 1%

Fotografia

Stampe, multipli Lavori su carta

Scultura

Pittura

Altri 2% 3% 4% Installazioni 1%

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Digital Art

Share vendite per tipologia di acquirente nel 2022 © The Art Market Report - Arts Economics (2023) Istituzioni private Musei internazionali

Interior designers 2%

Collezionisti privati internazionali

Altri professionisti del mercato dell’arte 12%

3% 4%

Art Advisor

COLLEZIONISMO E FUTURO DEL COLLEZIONISMO

4% 3%

Collezionisti privati locali

22%

50%

Musei Nazionali e locali

Intanto l’interesse per la contemporaneità strettissima pare essere la leva di queste nuove generazioni. Alla continua caccia di wet paintings, come dicono gli osservatori internazionali, i collezionisti che hanno oggi dai venti ai NEL PIENO DEL GREAT WEALTH quarant’anni saranno TRANSFER COSA SUCCEDE ALLA ancora interessati a diventare, ad esempio, la FILIERA DELL'ARTE MENTRE UNA domanda per un’offerta GENERAZIONE DI COLLEZIONISTI boomer di arte dagli anni INVECCHIA O CI LASCIA? Cinquanta in poi? Potranno ancora le raccolte più consolidate tornare sul mercato con una certa attrattività? Queste sono alcune delle questioni sul tavolo, ma non le uniche. Perché la vicinanza, nel passato, di una tradizione di collezionismo colto e curioso ha avuto delle conse-

guenze rilevanti per la crescita delle gallerie, che in quello hanno trovato spesso un compagno di strada affidabile e a volte anche un interlocutore prezioso. Oltre ad aver avuto un impatto di peso sulla costruzione delle collezioni museali, attraverso donazioni e prestiti a lungo termine. Nel pieno di quello che in area anglosassone si definisce “Great Wealth Transfer”, ovvero il passaggio di ricchezza da una generazione all’altra, cosa succede alla filiera dell’arte mentre una generazione di collezionisti invecchia o ci lascia? Cosa succede al loro gusto e alle loro collezioni? Il tema dovrebbe coinvolgere nella riflessione tutti gli operatori dell’arte, gli artisti, le gallerie e le case d’asta, così come chi si occupa di gestioni patrimoniali. Di sicuro non si vuole qui liquidare l’eredità di generazioni e generazioni di collezionisti, quanto piuttosto aprire la strada a una piccola faglia di dubbio sull’universalità ed eternità dei gusti e delle preferenze di un certo milieu, che invece possono essere transitorie, contingenti, di passaggio.

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È

stata pubblicata nel 2022 la quarta edizione di Strumenti di pianificazione e protezione patrimoniale, il volume edito da Wolters Kluwer Ipsoa che costituisce da tempo un importante riferimento per il wealth management, soprattutto per patrimoni non prettamente finanziari, ma diversificati e comprendenti anche opere d’arte e beni da collezione. Al suo autore Stefano Loconte, avvocato, fondatore e titolare dello studio legale Loconte & Partners e professore di Diritto Tributario all’Università Lum di Casamassima (Bari), abbiamo chiesto quali sono gli strumenti più idonei per tutelare, valorizzare e trasmettere i patrimoni in opere d’arte. In cosa consiste la gestione patrimoniale applicata al mondo dell’arte? Il mio lavoro consiste nella strutturazione di strategie di pianificazione patrimoniale e nell’implementazione delle strutture giuridiche funzionali al raggiungimento di tale obbiettivo. In sostanza, supporto persone e famiglie nell’organizzazione del loro patrimonio in funzione del loro trasferimento alle generazioni future e della protezione da elementi esterni e interni che possano comprometterne il valore e/o la funzionalità. In tale contesto, hanno assunto sempre maggiore rilievo le collezioni ed il patri-

STORIES COLLEZIONISMO

LA PIANIFICAZIONE PATRIMONIALE PER I COLLEZIONISTI. INTERVISTA A STEFANO LOCONTE

monio artistico e, in generale, l’intero perimetro dei beni da collezione. Le famiglie hanno infatti, finalmente, realizzato di trovarsi di fronte a vere e proprie asset class che devono essere gestite e strutturate con lo stesso approccio degli altri elementi patrimoniali famigliari, anche se, ovviamente, in linea con il forte approccio emotivo che caratterizza il rapporto con tali beni. Il volume riserva uno spazio ampio alle nuove asset class dei beni da collezione. Quali sono gli strumenti a disposizione per una gestione consapevole? Non ci sono strumenti giuridici specifici a servizio dei beni da collezione ma occorre far riferimento a quelli che, normalmente, il nostro legislatore mette a disposizione, a partire dal testamento ma arrivando a strutture giuridiche più articolate. In via preliminare, occorre sempre ben definire con il cliente quali siano gli obbiettivi da realizzare con riferimento ai beni: trasferirli ai figli e/o a terzi per un godimento destinato a rimanere nella sfera privata, piuttosto che organizzarli e strutturarli in funzione della sopravvivenza rispetto al creatore della collezione, magari anche con evidenza pubblica. Altro elemento importante, con particolare riferimento al patrimonio artistico, è verificare se i futuri eredi abbiano la stessa

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passione del fondatore: tale elemento impatta in maniera molto rilevante sulle scelte. Solo definito l’obbiettivo di matrice civilistica, si passa ad analizzare le regole specifiche relative al trasferimento di specifici asset (e il mondo dell’arte è fortemente caratterizzato dalla presenza di regole specifiche) unitamente ai profili fiscali collegati alla loro circolazione. Fondazioni, società, trust. Sono diversi gli istituti giuridici disponibili per la gestione di una collezione d’arte. Quali i modelli operativi più frequenti? Il ricorso a fondazioni, società e trust è necessario quando il collezionista decide di dare continuità alla sua collezione e di valorizzarla nella sua unitarietà. In tal caso, quindi, occorre evitare che la stessa si frammenti tra la pluralità degli eredi e/o che gli stessi ne diventino comproprietari a titolo individuale, poiché la comunione ereditaria prevede la regola dell’unanimità per la gestione dei beni su cui ricade, con tutti i conseguenti problemi, facilmente immaginabili. Sulla scia dell’esperienza internazionale, il trust si sta sempre più affermando come lo strumento più efficiente e flessibile per il raggiungimento di tale risultato. Quali vantaggi offre il trust? Attraverso l’utilizzo del trust la collezione (ma anche la singola opera) diventa un bene autonomo rispetto alla posizione giuridica del futuro de cuius ma anche rispetto a quella degli eredi: il patrimonio viene destinato alla realizzazione di uno scopo – la valorizzazione della collezione – secondo le regole di funzionamento decise dallo stesso collezionista e l’attuazione di tali regole, unitamente alla realizzazione dello scopo, viene rimessa ad un soggetto, il trustee, terzo ed indipendente. Costui, poi, può farsi affiancare nella gestione da uno (o più) Art Advisor. Tutti lavorano esclusivamente in funzione di quanto voluto dal collezionista creatore del trust. Recenti provvedimenti interpretativi dell’Agenzia delle Entrate confermano la possibilità di creare questa struttura in un regime di estrema efficienza fiscale, al realizzarsi di

Yngve Holen, Leichtmetallrad, 2017. Courtesy Collezione Perini Natali

determinati presupposti e nel rispetto di specifiche indicazioni. Diversamente, occorre lavorare su soluzioni che vedano il coinvolgimento e la collaborazione degli eredi, in cui favore bisogna articolare meccanismi di liquidazione del valore di patrimonio previsto dalla normativa. La prima edizione del libro è del 2015. Quali differenze da allora nelle esigenze dei clienti? Il mercato di riferimento è profondamente mutato in considerazione di una sempre maggiore consapevolezza della clientela di dover tempestivamente approcciare nel giusto modo per evitare che il valore, non solo economico, dei propri beni venga disperso in seguito ad una non corretta gestione del passaggio generazionale. Questo fenomeno è ancora più evidente con riferimento al mondo dei beni da collezione. Sono proprio i clienti più giovani ad avvicinarsi con questo nuovo modus operandi, chiedendo sin da subito la creazione di strutture e veicoli in grado di proteggere e gestire efficacemente le loro opere. Quali pensa saranno gli sviluppi nel prossimo futuro nella pianificazione patrimoniale e nella valorizzazione delle collezioni d’arte come asset class? Il trend continuerà ad evolvere nel modo innanzi descritto e questo consentirà di poter godere di un mercato sempre più maturo, anche sotto il profilo degli strumenti giuridici. Penso, per esempio, al mondo dell’art lending – un finanziamento garantito da un’opera d’arte – che fa ancora molta fatica a trovare concreta operatività nel mercato italiano, mentre è molto diffuso in altre giurisdizioni, in primis quella americana. La recente disciplina sul pegno rotativo unita al sapiente uso di strumenti di segregazione patrimoniale, come il trust, consentiranno di poter accedere a tali strumenti e, conseguentemente, di poter utilizzare il finanziamento così realizzato per far accrescere le opere facenti parte della collezione. In sintesi, sono molto fiducioso che una maggiore cultura giuridica non potrà che essere salutare anche per il mondo del mercato dell’arte e dei beni da collezione.

Ben Tong, Spectral Flowers in glass, 2023. Courtesy Collezione Scarzella

Cb Hoyo, Do whatever the fuck makes you happy, 2022. Courtesy Collezione Taurisano


COLLEZIONE PERINI NATALI

È

il collezionista più giovane della nostra inchiesta Lorenzo Perini Natali, che è nato a Viareggio nel 1990 e la passione per l’arte l’ha scoperta quando aveva vent’anni. “Pur essendo cresciuto in un ambiente attento alla cultura e al bello, non ho ereditato la passione per l’arte dalla mia famiglia”, racconta. “È stata la mia curiosità che mi ha portato ad avvicinarmi al mondo dell’arte”. La collezione, di stanza a Milano, è focalizzata su artisti emergenti italiani e internazionali e si compone di un centinaio di lavori, tra sculture, tele, installazioni, disegni, video e arazzi. Quando è iniziata la sua collezione e con quali interessi o linee di ricerca principali? Mentre studiavo Arti Visive in NABA, visitavo spesso studi di artisti, sia miei coetanei che più grandi di me, e quando trovavo un’opera che mi piaceva la acquisivo. Allo stesso modo succedeva in galleria e alle fiere. Col tempo le opere hanno iniziato ad aumentare e così è nata la collezione, un processo che definirei naturale. Essendo cresciuto e avendo lavorato nel settore dell’industria meccanica nelle aziende della mia famiglia prima dell’università, sono sempre stato interessato al mondo dell’industria e credo che questo abbia influito molto sul mio gusto e ricerca. Molti dei lavori della mia collezione hanno uno stile vicino al mondo industriale, sia dal punto di vista dei materiali utilizzati come ad esempio il metallo, che dei soggetti, come le fotografie raffiguranti macchinari o aeroplani, oppure tele molto minimali con superfici monocromatiche. Ha incontrato collezionisti più consolidati e attivi da lungo tempo che sono diventati per lei di riferimento? I collezionisti che ho conosciuto negli anni sono stati per me importanti fonti di ispirazione e apprendimento, che hanno aperto le porte delle loro case spesso paragonabili a musei privati, lasciando spazio a lunghe conversazioni per me molto preziose. Oltre ai collezionisti ho sempre cercato di rapportarmi anche a direttori di musei, curatori e galleristi, fondamentali per la mia crescita e quella della collezione. Quale insegnamento ritiene essere stato importante per il suo collezionare?

Sicuramente quello di studiare molto: fare ricerca, visitare il più possibile e mantenere viva la mia curiosità. Un altro insegnamento molto importante è di comprare quello che veramente ti interessa e non quello che interessa al mercato e alle mode del momento, perché le mode cambiano ma i lavori acquisiti restano. E quali invece gli elementi di distanza da una o più generazioni di collezionisti precedenti alla sua? Credo che i collezionisti delle generazioni precedenti alla mia avessero collezioni dettate maggiormente dal proprio gusto, piuttosto che influenzate da altri fattori, mentre il collezionismo di oggi è spesso più legato all’esclusività dell’appartenere a un circolo ristretto che all’amore per le opere. Vedo poi troppa dipendenza dal mercato e dai trend del momento, scelte troppo dettate dall’appagamento di un senso di appartenenza e di affermazione sociale. Quali le relazioni con i collezionisti più giovani e suoi coetanei? Ci sono anche diversi collezionisti giovani che stimo molto e con i quali ho un confronto costante. Con i collezionisti miei coetanei o di qualche anno più grandi ho sempre avuto ottimi rapporti, con alcuni siamo amici, visitiamo fiere e mostre, viaggiamo e discutiamo su nuove scoperte e acquisizioni. Ho scoperto molti artisti parlando con altri collezionisti e credo che questo sia reciproco. Lo scambio in questo settore

STORIES COLLEZIONISMO

INTERVISTE AI GIOVANI COLLEZIONISTI

è fondamentale. In fondo se c’è una passione comune il rapporto si crea più facilmente. Quale il ruolo delle gallerie nella sua corrente esperienza? Sono ancora attori di riferimento? Le grandi gallerie si sono molto uniformate, rappresentano gli artisti che vediamo passare nelle evening sales delle grandi case d’asta e non fanno più la ricerca che facevano anni fa. Preferisco quindi le gallerie di medio livello che possono ancora permettersi di scegliere, di scoprire e scommettere su artisti giovani non ancora internazionalmente affermati. Quale è oggi secondo lei il ruolo del collezionista nel sistema dell’arte? Creare e condividere un contenuto è per me fondamentale, quasi un’urgenza. La maggior parte delle collezioni si presentano come gruppi di lavori divisi tra abitazioni private e storage, che non costituiscono un insieme fruibile al pubblico. Per questo nel 2021 ho deciso di creare PROGETTO LUDOVICO, una piattaforma di ricerca, produzione ed esposizione di progetti d’arte contemporanea legati all’industria, che è appunto il focus principale della mia collezione. Abbiamo istituito dei bandi per artisti emergenti italiani e stranieri, con periodi di residenza e produzione nei nostri spazi e in seguito esposizioni e l’ingresso dei lavori nella mia collezione. perininatali.com

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COLLEZIONE SCARZELLA

U

na tradizione, quella del collezionismo d’arte, che per Giovanni Scarzella (Cuneo, 1979) nasce e si struttura dal 2012, condivisa con la moglie Camilla Previ. La coppia è impegnata non solo sul fronte delle acquisizioni per la collezione che conta oggi circa 150 opere, ma anche in frequenti incursioni che da Milano si irradiano nel sistema dell’arte, con la partecipazione a mostre e progetti. Attraverso le ricerche emergenti e in particolare nei media di pittura e scultura, la collezione mira a cogliere i tratti distintivi della contemporaneità. Quando è iniziata la sua collezione e con quali interessi o linee di ricerca principali? Ho iniziato a collezionare arte contemporanea subito dopo i 30 anni, anche se sono stato da sempre affascinato e attratto da mostre, eventi culturali ed espressioni artistiche in generale. Credo che collezionare arte sia una scelta profondamente intima e personale, soggetta a cambiamenti e variazioni. In questi ultimi anni la mia attenzione è rivolta soprattutto all’esplorazione dell’arte di giovani artisti, italiani e non, ma anche a opere che mi attraggono a livello estetico, mi coinvolgono a livello emotivo e mi spingono a pormi delle domande. Credo e sostengo l’arte dei giovani perché trovo siano in grado di dare una lettura diversa e più libera delle tematiche contemporanee. Ha incontrato collezionisti più consolidati e attivi da lungo tempo che sono diventati per lei di riferimento? L’aspetto più bello del sistema dell’arte è che ci sono molte occasioni per entrare in contatto con altri collezionisti. Negli anni ho imparato quanto sia meraviglioso che ognuno abbia la sua particolare definizione di collezione e il suo gusto. Ci sono tanti collezionisti che stimo e con cui condivido input e spunti. Da alcuni di loro, soprattutto all’inizio, sono stato influenzato e guidato. Ad oggi, pur mantenendo momenti di condivisione con altri, credo di avere più conoscenza e più consapevolezza delle mie scelte personali, anche se c’è sempre di più da imparare e trovo fantastico instaurare dialoghi e scambi di idee con altri collezionisti. Quale insegnamento ritiene essere stato importante per il suo collezionare?

Conoscere ed esplorare sempre di più, tenere vigile il proprio istinto e il proprio gusto, vivere il collezionismo come momento formativo personale, ricordarsi di sostenere e spingere anche il sistema italiano e gli artisti italiani. Lavorare sulla consapevolezza dei propri gusti e obbiettivi per orientarsi nella moltitudine degli artisti che vengono proposti.

Quanto è vicino alla produzione degli artisti? Soprattutto agli inizi ho sostenuto gli artisti nella produzione di alcune opere o supportandoli sulle fasi di archiviazione del lavoro e di presenza digitale (mettendo a servizio anche la mia azienda meduse.agency, specializzata nel campo dei prodotti digitali e della comunicazione).

E quali gli elementi di distanza da una o più generazioni di collezionisti precedenti? Oggi ci sono più strumenti per rimanere informati su cosa succede e cosa viene proposto anche in città e nazioni diverse dalla nostra. Mi riferisco ai social, siti internet, newsletter, che ci connettono istantaneamente. Tutti questi mezzi stimolano la curiosità e promuovono gli artisti e i programmi di realtà nazionali e internazionali, fermo restando che comunque il valore esperienziale della visione delle opere dal vivo rimane sempre per me un momento imprescindibile.

E quanto resta attrattivo il modello fiera per lei? O preferisce invece nuove occasioni e esperienze di contatto con gli operatori del mercato magari meno battute? Resta importante perché permette in poco tempo di incontrare e dialogare con tante persone del sistema, anche se probabilmente avrebbe senso evolverlo ulteriormente, sposando sempre di più il principio di portare l’arte fuori dai grandi capannoni e in dialogo con le città che ospitano le fiere. Mi piacciono molto i modelli sperimentali, come quello di Basel Social Club ad esempio, perché trovo interessante mettere in contatto l’arte con ambienti più complessi e non con una semplice parete bianca da stand.

Quali le relazioni con i collezionisti più giovani e suoi coetanei? Esiste uno scambio e un confronto con i collezionisti miei coetanei e anche più giovani. Personalmente non faccio mai segreto di ciò che acquisto e mi piace condividere informazioni e idee, penso faccia bene al sistema e agli artisti che fanno parte della mia collezione. Negli ultimi anni questa cosa si è intensificata e con alcuni è nata anche una bella amicizia e un rapporto di stima reciproca.

Quale è oggi secondo lei il ruolo del collezionista nel sistema dell’arte? Credo che ogni collezionista che spende tempo e denaro in questa passione, prima o poi, si confronti con la volontà o necessità di sostenere in qualche modo le istituzioni, o entrare a far parte di meccanismi diversi dal semplice possesso privato delle opere. Nel mio piccolo, ho iniziato una serie di attività finalizzate a questa parte di fruizione pubblica: alcune opere sono state prestate in occasione di mostre (in Italia) per dare la possibilità anche ad altri di godere dei lavori e per supportare i progetti curatoriali che coinvolgono gli artisti della collezione. Il mio desiderio è quello di “restituire” qualcosa e sono partito dalla mia terra natale, le Langhe, organizzando mostre. Sarebbe bello un domani poter sostenere progetti di più ampio respiro, magari anche istituzionali! collezionescarzella.com


STORIES COLLEZIONISMO

COLLEZIONE TAURISANO

U

na collezione tra passato, presente e futuro la Collezione Taurisano. Avviata da Paolo Taurisano alla fine degli anni Settanta a Napoli è ora portata avanti e incrementata dal figlio Francesco Taurisano, insieme alla moglie Sveva D’Antonio. Dal nucleo originario di circa 200 opere – raccolte per il puro piacere di possederle, di artisti scelti prima dalla scena napoletana e poi da quella nazionale e internazionale di Nouveau Realisme, Movimento Nucleare e Pittura Analitica – ha preso così le mosse la nuova generazione di collezionismo di Francesco Taurisano, che ha portato la raccolta oggi a circa 400 opere, con una particolare attenzione agli artisti giovani italiani e internazionali. Quando è iniziata la sua collezione e con quali interessi o linee di ricerca principali? Circa 10 anni fa, e senza una linea precisa. A differenza di quella di mio padre, la mia collezione ha un approccio più pensato, più scientifico. Che forse è oggi necessario perché l’offerta d’arte è pressoché infinita e la scelta deve essere più razionale, pur perseguendo ciò che ci piace. La collezione rispecchia la nostra biografia: spesso nella vita si cambia ed è così anche quando si colleziona. Quando abbiamo cominciato il nostro focus era rivolto all’ arte politica e sociale, con video, foto, installazione come media privilegiati. Oggi invece collezioniamo molta pittura, che però consideriamo nello stesso modo politica e sociale. Ha incontrato collezionisti più consolidati e attivi da lungo tempo che sono diventati per lei di riferimento? Ne ho conosciuti molti e ho imparato tanto da loro. Uno su tutti direi – e che considero anche un amico – Giorgio Fasol. È stato lui a trasmettermi un concetto per me fondamentale: collezionare ciò che sta accadendo oggi, qui e ora. Quali le relazioni con i collezionisti più giovani e suoi coetanei? Onestamente ormai, compiuti 40 anni, conosco tante persone più giovani di me che collezionano, così come miei coetanei; devo dire però che non ho con loro tanti interessi in comune né un grande scambio di idee. Mi pare oggi sia tutto cambiato e che basti comprare una ventina di opere e aprire un account Instagram per poter dire che si ha una collezione.

Quale il ruolo delle gallerie nella sua corrente esperienza? Sono ancora attori di riferimento? Credo che oggi il ruolo delle gallerie sia cruciale. Non ho mai acquistato un’opera direttamente da un artista che avesse una galleria di riferimento e non lo farò mai. Certo oggi ci sono tanti operatori e art advisor, che svolgono anche loro un ruolo importante e mi è capitato di acquistare attraverso di loro. E quanto resta attrattivo il modello fiera per lei? O preferisce invece nuove occasioni e esperienze di contatto con gli operatori del mercato magari meno battute? Molto, ma in una forma diversa, non più solo strettamente commerciale, quanto piuttosto come un momento centrale nel creare contenuti e livelli di lettura delle opere più profondi. Almeno questo è quello che ci auspichiamo per le fiere future. Considerato che a comprare arte ora ci si arriva attraverso anche altri canali, l’opera in fiera non più certo la novità, non è ricerca. Uno spazio per la riflessione si può trovare con più probabilità in rassegne di dimensioni più ridotte, penso ad una Art-O-Rama, Loop, Liste. L’arti-

sta lo si scopre in galleria o ancora meglio nel suo studio. È lì che ci piace andare a curiosare e sviluppare rapporti che poi durano nel tempo. Quanto è vicino alla produzione degli artisti? E quale il ruolo di un collezionista giovane come lei all’interno del sistema dell’arte? Collezionando artisti giovani siamo spesso coinvolti anche nella produzione delle opere e dei progetti. Amiamo ospitare gli artisti a casa, non in un concetto di residenza o di scambio. E nemmeno apprezziamo molto i cosiddetti premi acquisizione, che considero semplicemente un acquisto privato sponsorizzato dalla fiera e con lo sconto. Piuttosto abbiamo deciso di creare, insieme al gruppo di artisti Apparatus 22, Because of Many Suns, un premio appunto con e per gli artisti che si svela in occasione della fiera di Marsiglia Art-O-Rama, con l’obiettivo di donare l’opera a un’istituzione e un testo curatoriale agli artisti. È il caso della vincitrice Anna Dot, di cui abbiamo donato l’opera Giving Space To Confusion al Frac Provence. collezionetaurisano.art

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TIMIȘOARA È UN CROCEVIA DI CULTURE


NICCOLÒ

C

STORIES TIMIȘOARA

Multietnica e pluriconfessionale, la città della Romania è tra le Capitali Europee della Cultura 2023. Andiamo alla scoperta della sua cultura, originata dall’incontro di Oriente e Occidente

LUCARELLI

apoluogo del Banato, a stretto contatto con l’Ungheria e la Serbia e dominio asburgico fino al 1918, Timișoara è ancora oggi una vivace città multiculturale che conserva numerose tracce del passato. Sorge al centro di una ricca pianura che ne fa uno dei centri più importanti del Paese in fatto di produzione agricola, ma ciò non ha impedito lo sviluppo del comparto industriale – in particolare nei settori tessile, chimico, meccanico e metallurgico – e il consolidamento, negli ultimi anni, della presenza di numerosi imprenditori italiani. Già insediamento dei Daci prima e dei Romani poi, conobbe un primo importante sviluppo nel Trecento, sotto Carlo Roberto d’Angiò che vi costruì un palazzo e la elevò a seconda capitale del Regno. La dominazione ungherese ebbe termine nel 1552, quando la città e l’intera regione del Banato furono conquistate dalle armate ottomane del pascià Sokollu Mehmed; nacque così l’eyalet di Timișoara, di cui la città divenne la capitale. Delle vestigia orientali, però, non resta molto: l’impronta principale è ancora oggi quella tardo-barocca lasciata dagli Asburgo, sotto la cui orbita la città entrò nel 1716, a seguito della vittoriosa campagna militare di Eugenio di Savoia contro i turchi ottomani. Una strada del centro, intitolata al condottiero italiano, ancora oggi ne tramanda la memoria. Cominciò così, per Timișoara, una nuova stagione politica e culturale, nella quale l’assetto urbanistico assunse rigorosi caratteri rettangolari, mentre in età ottomana lo sviluppo edilizio era stato più “casuale”. Sotto gli Asburgo, quindi, il volto architettonico della città fu conformato ai modelli europei, attraverso la costruzione di numerosi edifici in stile tardo-barocco e neoclassico (sull’esempio della capitale austriaca) che le valsero l’appellativo di “Piccola Vienna”. Un volto riconoscibile ancora oggi, e che non manca di affascinare i visitatori.

TIMIȘOARA E I SUOI RECORD INDUSTRIALI

Neuhausz Palace. Photo Silviu Nastase

Quella asburgica fu anche una stagione di intenso progresso tecnico e industriale, nel corso della quale la città fu all’avanguardia sotto diversi aspetti: qui infatti, nel 1718, fu aperto il più antico stabilimento per la produzione di birra dell’intera Romania; ancora oggi vi si produce la Timișoreana. Nel 1760, invece, fu la prima città dell’Impero Asburgico a inaugurare un sistema di illuminazione pubblica stradale con lampioni; un impianto da record che, nel 1855, divenne anche il primo alimentato a gas, in tutto

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l’Impero Austro-Ungarico, e nel 1884 il primo in Europa alimentato con l’energia elettrica. Poi, per dare un punto di riferimento alla sempre più numerosa comunità di lingua tedesca, nel 1771 fu fondato il Temeswarer Nachrichten, prima testata in lingua tedesca del sud-est europeo. A livello di contesto ungherese prima e romeno poi, Timișoara fu la prima città che nel 1881 installò la rete telefonica, nel 1897 aprì un cinema e nel 1899 si dotò di un tram elettrico. Una città industriosa, discretamente ricca e aperta al progresso tecnico e scientifico, la cui ricchezza si riverberava anche nell’architettura: con il fiorire del XX secolo, la borghesia locale eresse molti palazzi in stile Art Nouveau, le cui facciate floreali segnano ancora oggi buona parte dell’estetica urbanistica della Città Vecchia. Stante l’influenza della non lontana Vienna, sorsero anche molti palazzi nello stile della Secessione, opera degli architetti László Székely e Jenö Klein.

UNA CITTÀ COSMOPOLITA E MULTIRELIGIOSA

Uno degli aspetti più coinvolgenti di Timișoara è il forte cosmopolitismo che la caratterizza ancora oggi: vi risiedono infatti le comunità serba, tedesca, ungherese, italiana, bulgara, macedone, ebraica; è quindi una città multiconfessionale, caratteristica che si riflette nei numerosi e differenti edifici di culto, che vale la pena visitare perché aiutano a comprendere la storia della città. La Cattedrale cattolica, costruita in stile tardo-barocco fra il 1736 e il 1772 e dedicata a San Giorgio, sorge in Piața Unirii. La cripta della cattedrale accoglie i corpi dei vescovi che si sono succeduti alla guida della diocesi di Cenad dal XVIII al XX secolo; la diocesi, istituita nel 1030, fu soppressa nove secoli più tardi e assorbita da quella di Timișoara, appena creata. Nella cripta è sepolto anche il canonico italiano Carlo Tazzoli, deceduto nel ANCHE NEGLI ASPETTI 1740. Il principale tempio SACRI, TIMIȘOARA È UNA della comunità cristiana CITTÀ DOVE SI RESPIRA ortodossa è la Cattedrale metropolitana, dedicata L’EUROPA CON LE SUE ai Tre Santi Gerarchi (BaSTORIE DI SOVRAPPOSIZIONI silio Magno, Gregorio Teologo e Giovanni CrisoCULTURALI, DI MIGRAZIONI, stomo), ed eretta fra il DI VICENDE FAMILIARI 1936 e il 1941 su progetto SOSPESE FRA EPOCHE E di Ioan Traianescu. Essa combina la tradizione reTERRITORI ligiosa romena con l’architettura moldava e bizantina, e le volte interne sono decorate con motivi a stelle, tipico di molti monasteri locali del XIV secolo. La comunità serba è presente nella Romania occidentale sin dall’Alto Medioevo, ma la chiesa ortodossa attuale, in stile tardo-barocco, risale al 1748, eretta in sostituzione di quella medievale distrutta da un incendio undici anni prima. Inizialmente ospitava funzioni religiose sia per la comunità serba sia per quella romena, ma dal 1864, in seguito alla nascita della chiesa ortodossa autocefala di Romania, l’edificio è passato alla comunità serba. I fedeli romeni sono comunque benvenuti, in omaggio al clima di dialogo che da sempre esiste in città.

FABRIC, IL QUARTIERE ALTERNATIVO L’ex fabbrica di vernici AZUR, aperta nei primi anni Ottanta ma in disuso dalla fine degli anni Novanta, accoglie oggi i primi spazi creativi della scena artistica alternativa di Timișoara. Nel 2017, infatti, dopo una ristrutturazione, l’edificio venne riconvertito ad uso pubblico, e dall’anno successivo cominciò ad accogliere i primi studi per artisti; oggi, dopo la lunga pausa imposta dalla pandemia, l’attività è ripresa e attualmente sono sei i creativi che lavorano qui: non soltanto giovani emergenti, perché fra loro c’è anche Bogdan Rața (lo scultore noto anche all’estero per le sue rappresentazioni distorte del corpo umano). Qui, nel 2019, si è tenuto il primo Student Fest, nel corso del quale gli studenti della facoltà di arte esposero i loro manufatti. Interrottosi per la pandemia, si sta cercando però di organizzarne la seconda edizione. Ancora all’interno dell’ex AZUR sorge Lapsus, uno spazio indipendente fondato nel 2017 dal curatore Alex Boca e dall’artista Cătălin Bătrânu, per sostenere la ricerca interdisciplinare nell’arte contemporanea attraverso progetti personali e collettivi che coinvolgono giovani professionisti emergenti. A fianco dell’ex fabbrica di vernici si eleva un edificio di nuova costruzione (costruito in seguito alla demolizione di un altro stabilimento industriale): qui ha sede FABER, un centro culturale indipendente, fondato da un gruppo di imprenditori di Timișoara nei settori dell’architettura, dell’informatica e della cultura: inaugurato nel 2020, è un incubatore per la creazione di contenuti socio-culturali, visivi, sperimentali, artistici e musicali. Il programma culturale di FABER, le cui linee principali sono la musica e il design, è curato da Martina Muzi, designer e insegnante di design, e Florin Unguraș, co-fondatore del festival TMBase. Nel 2023, anno della Capitale Europea della Cultura, FABER firma Bright Cityscapes, programma multidisciplinare il cui obiettivo è creare un laboratorio di progettazione per la città, interessato a osservare, rispondere e agire sulle urgenze contemporanee attraverso il design, l’architettura e la cultura digitale. Partendo da una ricerca situata nell’ecosistema produttivo e accademico cittadino, il programma riunisce pensatori, designer, sociologi, reti creative, università, istituzioni e aziende internazionali. Vale però la pena ampliare il punto di vista sul contesto del quartiere in cui sorge questo hub creativo: Fabric nacque negli anni Trenta del Settecento come sede di alcune manifatture e corporazioni artigiane di calzolai, bottai, pellicciai, fabbri e orologiai e, sin dalle origini, si è caratterizzato per un ampio multiculturalismo; ancora oggi è una zona della città abitata da romeni, tedeschi, serbi, macedoni, bulgari, ebrei, ancora costellata di botteghe di prossimità sia alimentari sia di merci varie, un grande mercato, una sinagoga, una chiesa ortodossa, e vecchie case in stile balcanico a due piani, sul cui cortile interno si affacciano i balconi spesso ornati di fiori. Fabric è impreziosito dal nastro verde del fiume Bega, che lo attraversa con le sue sponde ombreggiate su cui è piacevole passeggiare, mentre intorno scorre la vita quotidiana di un quartiere colorato e operoso. Strade e piazze in cui si respira l’aria di un’Europa d’altri tempi, quell’Europa delle Nazioni che negli ultimi anni le varie crisi migratorie hanno più di una volta messo in discussione.


STORIES TIMIȘOARA La Sinagoga del quartiere Fabric

LA RIVISTA ORIZZONTI CULTURALI ITALO-ROMENI Fondata nel 2011 da Afrodita Cionchin nell’ambito dell’Associazione Orizzonti Culturali Italo-Romeni (che ha sede a Timișoara), l’omonima rivista promuove il dialogo interculturale, con particolare interesse verso la traduzione letteraria come opera di mediazione. La comune cultura europea e le condivise radici linguistiche latine fanno sì che Italia e Romania siano più vicine di quanto possa sembrare guardando la carta geografica; pubblicata su base mensile in edizione bilingue, la rivista getta un saldo ponte fra i due Paesi, proponendo articoli di arte, poesia, letteratura, recensioni di volumi, e seguendo da vicino anche eventi culturali importanti come il Salone del Libro di Torino o il BookFest di Bucarest. Tra le prestigiose firme della rivista, italianisti e romenisti come Bruno Mazzoni, Lorenzo Renzi, Doina Condea Derer e Geo Vasile, nonché intellettuali come Claudio Magris. Inoltre ospita il progetto di ricerca Presenza italiana nel Banato, curato dalla stessa Cionchin, che abbiamo intervistato. orizzonticulturali.it Come è nata l’idea di fondare Orizzonti Culturali Italo-Romeni? L’idea è nata quando insegnavo romeno all’Università di Padova e sentivo l’esigenza di offrire uno spazio di incontro e dialogo tra gli intellettuali italiani interessati alla cultura romena e viceversa. Così nel 2011 ho fondato la rivista interculturale bilingue, tutt’oggi un unicum nel panorama editoriale sia italiano sia romeno, grazie alle due edizioni distinte (ognuna vive di vita propria) e correlate (ognuna riprende, quando è il caso, i contenuti dell’altra). L’obiettivo è realizzare contemporaneamente una doppia promozione, della cultura romena in Italia e della cultura italiana in Romania, avvalendoci di decine di collaboratori di entrambi i Paesi.

duzione romena e proprio quest’anno l’Italia è stata ospite d’onore del Salone Internazionale del Libro Bookfest di Bucarest.

Quanto sono stretti i legami culturali fra Italia e Romania? Sono più che mai vivaci e intensi grazie alla ricca attività di istituzioni quali l’Accademia di Romania a Roma, l’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia e l’Istituto Italiano di Cultura di Bucarest, con la filiale di Cluj-Napoca. C’è poi l’attività interculturale delle cattedre di romeno in Italia e di italiano in Romania. In ambito editoriale va detto che dal 2009 la Romania partecipa ogni anno al Salone Internazionale del Libro di Torino con un proprio stand nazionale (di cui siamo media partner dal 2013), per promuovere le traduzioni della letteratura romena pubblicate in Italia. Dall’altra parte dobbiamo notare la grandissima offerta di libri italiani in tra-

Come definirebbe i rapporti fra Timișoara e la sua comunità italiana? Si potrebbe dire che la città simbolo della Rivoluzione romena, Timișoara, è diventata il simbolo della presenza italiana in Romania. In materia di delocalizzazione si parla oramai da anni, sia in Romania sia in Italia, del fenomeno Timișoara come città italianizzata e di Timișoara come dell’ottava provincia veneta. La città ha da sempre avuto una mentalità più aperta, occidentale, grazie alla posizione geografica e alla sua lunga tradizione di multiculturalismo cosmopolita e ha quindi ben accolto la “minoranza” italiana, prevalentemente imprenditoriale, che si distingue anche per i suoi interessi culturali.

Quali sono i prossimi progetti che volete sviluppare? Insieme alla produzione editoriale mensile della rivista portiamo avanti una serie di progetti di continuo aggiornamento del database, offrendo uno strumento operativo centralizzato online, unico nel suo genere, di grande utilità sia agli addetti ai lavori sia al pubblico più largo. I progetti nello specifico sono: Scrittori romeni tradotti in italiano: 1900-2023, Scrittori romeni italofoni, Cioran in italiano, Scrittori italiani tradotti in romeno: 1990-2023.

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Un altro edificio religioso aiuta a capire la composizione sociale della città: la chiesa protestante di Piaţa Ionel Brătianu, ai margini della Città Vecchia. Il numero dei fedeli protestanti a Timișoara aumentò considerevolmente a partire dal 1781, anno dell’editto di tolleranza di Giuseppe II d’Austria che offriva loro completa libertà di movimento e di culto nell’Impero. Tuttavia, la chiesa fu costruita soltanto nel 1839, su progetto dell’architetto Antal Schmidt, in stile neoclassico. La comunità protestante conta oggi circa 400 persone di etnia tedesca, ungherese, slovacca e romena; a causa di questa varietà, il servizio religioso è officiato nelle quattro lingue. Infine, la comunità ebraica di Timișoara appartiene alla corrente dei Neologi, di origine ungherese e incline, sin dai tempi dell’emancipazione, all’avvicinamento della comunità alla società. Celebra ancora oggi i suoi riti nella Sinagoga Iosefin, nell’omonimo quartiere sud-occidentale della città. Nel centro storico, in Strada Mărășești, sorge un’altra sinagoga, più antica, eretta negli anni Sessanta dell’Ottocento in stile moresco. Oggi è diventata un luogo per eventi culturali, come concerti di musica classica o mostre d’arte, e i riti religiosi vi si tengono soltanto il sabato e la domenica. Ma è in programma la realizzazione di un museo della comunità ebraica del Banato. Infine, Timișoara conserva un’altra sinagoga, anch’essa non più in uso: caratterizzata dal classico stile neo-moresco, sorse nel 1899 nel quartiere Fabric, con le sue cupole e torri variopinte, è ancora oggi uno degli edifici più caratteristici e originali della città. Anche negli aspetti sacri, Timișoara, che sorge fra il Danubio e i Balcani, è una città dove si respira l’Europa con le sue storie di sovrapposizioni culturali, di migrazioni, di vicende familiari sospese fra epoche e territori; una città dove si avverte un profondo senso d’integrazione. Molte sono le lingue parlate in città ed esistono ben tre teatri nazionali: uno per gli spettacoli in lingua romena, uno per quelli in lingua tedesca, e uno per quelli in lingua ungherese. Tre cartelloni che ad ogni nuova stagione arricchiscono significativamente l’offerta culturale della città.

CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA

Scelta, insieme a Eleusi e Veszprém come Capitale Europea della Cultura per il 2023, la città ha colto l’occasione per rilanciare ulteriormente il suo patrimonio artistico e architettonico; molti edifici storici sono stati riqualificati e ristrutturati e il centro storico, ma non solo, risplende di nuova luce. Il titolo di Capitale Europea della Cultura è stato sfruttato anche per attrarre fondi volti ad ammodernare le infrastrutture della contea, autostrade e ferrovie, nonché a costruire un nuovo terminal per l’aeroporto Traian Vuia, ma anche cliniche sanitarie per cure specialistiche. Sommando quindi i fondi europei per la Capitale

ILLYCAFFÈ: UN’ECCELLENZA ITALIANA CON RADICI NEL BANATO A unire Timișoara all’Italia, non sono soltanto le radici culturali, ma anche il profumo del caffè. Se oggi molti imprenditori italiani hanno aperto aziende nel capoluogo del Banato, nel primo Novecento il flusso seguiva la direzione opposta; il famoso caffè Illy, marchio d’eccellenza simbolo nel mondo di italianità, in realtà trae le sue origini proprio da questo angolo di Romania. Da qui, infatti, nella seconda metà degli Anni Venti, Ferencz Illy, cittadino ungherese nato nel 1892 nell’allora Impero Austroungarico e già combattente della Grande Guerra nelle armate di Vienna, decise di lasciare la terra natia e di trasferirsi nella mitteleuropea Trieste, ormai divenuta italiana. Qui fondò prima la torrefazione Emax e poi, nel 1933, la Illycaffè insieme al socio Roberto Hausbrandt, a sua volta fondatore dell’omonima torrefazione storica ancora esistente. Fra le altre cose, fu la prima azienda ad offrire prodotti lavorati e confezionati in contenitori metallici, sigillati già all’interno dello stabilimento. A Trieste il caffè era da tempo di casa, perché da quando, nel 1719, la città fu dichiarata porto franco da Carlo VI d’Austria, divenne uno dei principali sbocchi sul Mediterraneo dell’Impero Asburgico; l’importazione del caffè raggiunse subito cifre importanti, e nel 1748 fu aperta in città la prima caffetteria, per iniziativa del greco Teodoro Vetrato (o Petrato), con sede in piazza Grande (l’odierna piazza dell’Unità d’Italia). Ferencz, ormai italianizzatosi in Francesco, scomparve nel 1956, e la direzione dell’azienda fu presa dal figlio Ernesto, che la traghettò verso il Duemila. Oggi l’azienda è una realtà globale presente in 140 Paesi, ma tutto cominciò a Timișoara un secolo fa.

Culturale e quelli strutturali del PNRR, Timișoara ha ricevuto circa 2 miliardi di euro, prontamente utilizzati per progetti utili al complessivo miglioramento strutturale e culturale della città. Fra le varie iniziative, anche la piantumazione di 1.100 alberi in città, fra l’autunno 2022 UN APPUNTAMENTO GRANDIOSO e il marzo 2023. CHE, UNA VOLTA TERMINATO, A livello più strettamente è stato varato LASCERÀ SICURAMENTE ALLA culturale un calendario con oltre CITTÀ UN’EREDITÀ IMPORTANTE, un migliaio di eventi da NON SOLTANTO IN TERMINI DI maggio a dicembre. Fra questi, Minitremu (Un) STRUTTURE A DISPOSIZIONE, MA Learning Center (str. CoSOPRATTUTTO DI MENTALITÀ riolan Brediceanu nr. 2) mostra permanente, biblioteca pubblica, spazio di lavoro, agorà e giardino. Un laboratorio di esperienze estetiche e creative dedicato ai bambini e agli adolescenti, con mostre tematiche, incontri pubblici e dibattiti, presentazioni di piattaforme e libri, proiezioni di film, e seminari gratuiti. Per l’occasione, è stata creata Tree Nursery. 1.306 plants for Timișoara, un’installazione architettonica a più piani, costituita da una struttura modulare in ac-

TIMIȘOARA, LE DATE CHE CONTANO Prima attestazione documentata del nome Timesvar

Timișoara viene elevata a seconda capitale del Regno d’Ungheria

La città viene conquistata dai Turchi Ottomani guidati da Ahmed Pasha

Eugenio di Savoia conquista la città e il Banato cade sotto il dominio asburgico

Timișoara è dichiarata capitale del Banato

L’Imperatore Giuseppe II dichiara Timișoara città libera reale d’Ungheria

Una rivolta ungherese per l’indipendenza viene domata dopo 107 giorni di assedio

Entra in funzione la ferrovia Timişoara-Arad

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Il Museo è stato aperto nel 2006, quando si decise di trasferire in una sede dedicata la collezione di pittura del Museo del Banato. Fu scelto l’antico Palazzo della Prefettura in Piața Unirii, oggi conosciuto come il Palazzo Barocco, costruito negli anni Trenta del Settecento secondo i canoni allora in voga nell’Impero Austro-Ungarico; un restauro eseguito dall’architetto Jakob-Jacques Klein fra il 1885 e il 1886, tuttavia, eliminò molti degli elementi decorativi, per adattare la facciate ai canoni del Rinascimento francese. La collezione museale nasce dalla donazione che Ormós Zsigmond, storico

dell’arte e fondatore della Società dei Musei dell’Ungheria Meridionale, fece alla città negli anni Ottanta del XIX Secolo; una collezione che comprende pitture rinascimentali italiane, pittura di genere olandese e fiamminga del XVII secolo, oltre a opere di artisti ottocenteschi del Banato, fra i quali, Anton Fialla, Nicolae Popescu e Anselm Wagner. La collezione si è poi ampliata tramite acquisti da privati o per successive donazioni. Fra le opere di artisti romeni spiccano le circa 90 tele di Cornelius Baba (Craiova, 1906 – Bucarest, 1997), la cui pittura angosciante evoca la lezione di El Greco e Goya, che

diventa metafora per raccontare l’oppressiva Romania della dittatura. Fanno parte della collezione anche 1.500 pezzi di arte decorativa fra mobili, ceramiche e porcellane, vetreria, orologi e tessuti, che ricostruiscono gli ambienti della borghesia locale a cavallo fra Ottocento e Novecento. Al Museo c’è spazio anche per l’arte contemporanea, con opere del Grupul 111 (il primo collettivo artistico sperimentale in Romania), Sigma 1, Petru Jecza, Victor Gaga e altri.

STORIES TIMIȘOARA

IL MUZEUL NAȚIONAL DE ARTA

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4 DOMANDE AD ANDREEA FOANENE, CURATRICE DEL MUSEO Come interagisce il Museo con i visitatori? Al di là delle collezioni e delle mostre, il museo dispone anche di un laboratorio di conservazione e restauro, unico in Romania e nel sud-est Europa, dove organizziamo progetti site-specific per un pubblico eterogeneo. Anche il deposito di arti decorative è accessibile al pubblico e comprende materiali tecnici per attività specifiche del laboratorio di digitalizzazione del Museo. Il pubblico può accedere a programmi educativi all’interno delle mostre, come visite guidate, laboratori a tema e altre attività di mediazione culturale. Nella Sala Barocca vengono organizzati eventi pubblici e privati, come convegni, presentazioni di libri, concerti, rappresentazioni teatrali, serate di premiazione, eccetera.

Cosa significa il Museo per Timișoara? È la più importante istituzione artistica cittadina, conserva, restaura e promuove sei collezioni permanenti e organizza anche mostre temporanee dedicate ad artisti contemporanei. L’identità del Banato è diversa da quella di altre zone della Romania e lo si nota dalle collezioni del Museo. Timișoara si è affermata come città che ospita diverse etnie (romeni, ungheresi, tedeschi, serbi, rom, francesi, ebrei, italiani, ecc.) e come luogo in cui cultura, tecnologia e sperimentazione si sono fuse favorevolmente. Il Museo è consapevole di questi valori e comprendere l’identità culturale locale è vitale per portare i progetti espositivi e didattici a un livello superiore di ricerca, contestualizzazione, promozione e connessione con il pubblico.

Viene introdotto in città il tram elettrico

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Caduto l’Impero asburgico, la città entra a far parte della Romania

Nasce l’Università di Timișoara

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Quali sono i progetti per il futuro? Prevediamo collaborazioni con musei nazionali e internazionali, per progetti nel campo della ricerca, dell’esposizione e della pedagogia museale. Vogliamo aumentare la diversità del pubblico, portare la conoscenza culturale negli spazi reali e virtuali, rafforzare l’importanza del rapporto con l’arte come bene accessibile e di qualità nella vita delle generazioni contemporanee. Vogliamo inoltre coltivare relazioni con la stampa orientata all’arte e con professionisti della cultura internazionale. Come immagini Timișoara nei prossimi cinque anni? Timișoara è una città in via di sviluppo sotto ogni aspetto. L’evoluzione implica accumulazione quantitativa e qualitativa. Posso solo sperare che tra cinque anni Timișoara sia una città meglio ancorata culturalmente, più consapevole del proprio valore e più sviluppata in termini di cultura.

Andreea Foanene. Photo Andrada Pecican, National Museum of Art in Timișoara

Nasce il Comitato Artistico Regionale, che si batterà per l’affermazione dei valori culturali del Banato

In agosto la guarnigione nazista della città si arrende ai soldati romeni

Viene costruito l’aeroporto

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Cominciano a Timișoara le proteste che porteranno alla Rivoluzione romena e alla caduta del dittatore Ceaușescu

La Proclamazione di Timișoara cerca di dare al Paese una svolta liberaldemocratica

1989

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ITINERARIO CULTURALE A TIMIȘOARA Memorialul Revoluției, è il museo dedicato ai martiri della sollevazione del dicembre ’89, ma documenta in maniera approfondita i differenti volti del socialismo reale nell’Europa dell’Est. Una tappa toccante e istruttiva.

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Cattedrale cattolica di San Giorgio, costruita in stile tardo-barocco fra il 1736 e il 1772. Nella cripta è sepolto anche il canonico italiano Carlo Tazzoli, deceduto nel 1740.

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Piața Unirii, è il cuore più antico della città dopo il rinnovamento asburgico. Progettata nel 1716 in stile neobarocco, è un museo d’architettura a cielo aperto.

Opera Națională Română Timișoara, è il grande teatro che si affaccia su Piața Victoriei. Risale al 1870, ma oggi lo si ammira con la monumentale facciata neobizantina realizzata nel 1936. Ospita compagnie di lingua romena, tedesca e ungherese.

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Parco Botanico 2

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4 CITTÀ VECCHIA

BLAŞCOVICI

Sinagoga Iosefin, nell’omonimo quartiere sud-occidentale della città. Di dimensioni contenute, fu eretta nel 1895 in stile eclettico con elementi neomoreschi, neoromanici e neogotici.

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superficie

129,27 km²

Parco Civico

abitanti

332.983

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densità

3 Parco Regina Maria

2575,87 ab/km²

Parco Rozelor

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Timișoara

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Bucarest

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ELISABETIN 5 Stadio Dan Păltinișanu CALEA ŞAGULUI ZONA SOARELUI CALEA MARTIRILOR Parco Lidia 500m

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CINQUE GALLERIE DA VISITARE A TIMIȘOARA Kunsthalle Bega è uno spazio artistico alternativo e sperimentale, fondato nel 2019 a Timișoara da Alina Cristescu, Liviana Dan e Bogdan Rața attraverso la Fondazione Calina, un’organizzazione non governativa e no-profit. Trattandosi della prima Kunsthalle in Romania, è molto più di una semplice galleria d’arte, e si è data la missione di sostenere la produzione artistica, affrontare le questioni creative anche da una prospettiva curatoriale e collaborare con le comunità locali per un maggiore accesso all’arte. Inoltre, assegna il Bega Art Prize a un curatore romeno che si sia distinto in termini di originalità. kunsthallebega.ro

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Fondata nel 2001, Galeria Jecza ha avuto sin dall’inizio una forte propensione per la scena storica locale, che fra gli anni Sessanta e Settanta raggiunse notorietà europea, in particolare grazie al Gruppo Sigma. In oltre vent’anni di attività, la galleria ha acquisito particolare rinomanza nell’Europa orientale in virtù della sua ricerca sul patrimonio artistico regionale moderno e contemporaneo. Lavora infatti sia con artisti storicizzati, sia con giovani talenti emergenti, con la prospettiva futura di ampliare il punto di vista ben oltre l’Europa orientale. jeczagallery.com

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Galeria Helios rappresenta la filiale di Timișoara dell’Unione degli artisti visivi della Romania (UAP TIMIȘOARA), un’associazione non governativa e senza scopo di lucro, composta da pittori, scultori, grafici, designer, artisti decorativi, scenografi, critici d’arte, restauratori e artisti multimediali. Nel corso della stagione organizza numerose mostre e conferenze. Il luogo ideale per misurare la temperatura della creatività locale. facebook.com/ galeriahelios.Timișoara

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Galeriile Popa’s è il “quartier generale” del caricaturista romeno Ștefan Popa-Popa’s, noto in tutto il mondo da quando nel 1995, al Festival International de la caricature di Saint Esteve, in Francia, stabilì il primato mondiale di velocità nel realizzare il maggior numero di caricature: ben 131 in appena un’ora. La precisione e la velocità utilizzate dall’artista per catturare l’essenza di una figura lo hanno imposto come una delle personalità più prestigiose dell’arte visiva contemporanea, in tutto il mondo. A Timișoara è possibile visitare la grande collezione dell’artista, con le caricature di personaggi che vanno da Putin al Dalai Lama. popa-popas.ro

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Galleria 28. Piccola ma raffinata, esplora la scena contemporanea romena, spaziando fra più linguaggi: dalla pittura alla video arte, dalla scultura all’installazione. Dalla sua fondazione, nel 2016, si caratterizza per una programmazione che predilige mostre, personali o collettive, di artisti romeni che affrontano tematiche legate alle questioni sociali e umanistiche, proponendo riflessioni sul rapporto fra arte e poesia, sulla relazione fra umanità e natura, sulla spiritualità contemporanea. Una galleria dal taglio intellettuale che merita una visita. facebook.com/people/ Galleria28

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STORIES TIMIȘOARA

ciaio che ospita un vivaio con specie arboree perenni, Il Tetatro Nazionale arbusti, piante da frutto e ornamentali coltivate negli romeno Mihai Eminescu orti comunitari di Timișoara e negli istituti di ricerca orticola del Banato. Aperta gratuitamente al pubblico fino al 23 dicembre, offre dalla sua sommità, un punto di vista panoramico sulla piazza e i suoi dintorni, ma soprattutto lancia un messaggio sull’importanza della biodiversità urbana. Oltre 100 gli artisti in residenza per sviluppare i progetti, e ben 30 i Paesi LE RETI COLLABORATIVE NATE rappresentati all’interno della squadra di quasi FRA ARTISTI E ISTITUZIONI 5mila persone che ha laE FRA GLI ARTISTI STESSI NON vorato all’organizzazione di Timișoara Capitale MANCHERANNO DI GENERARE Europea della Cultura NUOVI PROGETTI, NUOVE 2023. Un appuntamento OCCASIONI D’INCONTRO grandioso che, una volta terminato, lascerà sicuE DI DIALOGO CREATIVO ramente alla città un’eredità importante, non soltanto in termini di strutture a disposizione, ma soprattutto di mentalità: le reti collaborative nate fra artisti e istituzioni e fra gli artisti stessi non mancheranno di generare nuovi progetti, nuove occasioni d’incontro e di dialogo creativo. La città, infatti, ha saputo mostrare la sua capacità di accogliere la cultura a tutti i livelli e in tutti i linguaggi, sta ospi-

tando artisti da tutto il mondo e guarda con curiosità e interesse a questa “invasione” di cultura, a cominciare dalle mostre d’arte: a questo proposito, spicca la panoramica sulla scultura ospitata presso la Cazarma U (Strada Grigorescu), ex complesso militare adibito per l’occasione a spazio espositivo, e che sicuramente sarà oggetto di una prossima riqualificazione. E anche l’appena conclusa Biennale Art Encounters è stata un bel palcoscenico di arte contemporanea. L’evento più prestigioso del cartellone resta comunque Brâncuși: surse românești și perspective universale, la più grande mostra sullo scultore romeno dell’ultimo mezzo secolo, che il Muzeul Național de Arta ospiterà dal 30 settembre al 28 gennaio 2024 in collaborazione con il Centre Pompidou, la Tate, la Fondazione Guggenheim, il Museo Nazionale d’Arte di Bucarest e il Museo d’Arte di Craiova, nonché vari collezionisti privati. Con oltre 100 opere, molte delle quali esposte per la prima volta in Romania, la mostra documenta le diverse fasi del percorso artistico dello scultore. Ma soprattutto, il cartellone è stato costruito per interagire con la città nei suoi spazi esterni, e per questo, da maggio a ottobre una decina di festival musicali (la maggior parte a ingresso gratuito) che spaziano dal rock al jazz, dalla musica barocca a quella elettronica, animano le piazze della città, insieme a spettacoli teatrali, reading di poesia, e momenti d’incontro a carattere vario. Piața Libertății è il cuore di questa corrente sonora che coinvolge anche il Parco Regina Maria e Piața Sfântul Gheorghe.

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REBECCA

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DELMENICO

a nascita della fotografia ha rappresentato una vera e propria rivoluzione nel campo delle arti visive e non solo: la sua invenzione ha permesso alla pittura di liberarsi dalla necessità di una rappresentazione realistica del mondo e di esplorare nuove vie. L’affermazione della fotografia come forma d’arte vera e propria, tuttavia, non fu scontata e ha richiesto le riflessioni di importanti pensatori del Novecento. Walter Benjamin analizzò il fenomeno in diversi saggi, prospettando nelle nuove forme di produzione e trasmissione messe in atto dalla fotografia, la possibilità di liberare l’esperienza estetica a favore di un nuovo rapporto con un pubblico non solo elitario (nonostante le ripercussioni del fotografare un’opera d’arte, processo in cui – secondo Benjamin – l’aura dell’oggetto artistico verrebbe a mancare). Susan Sontag si addentra nel rapporto che lega la fotografia al mondo reale, intendendola come “visione fotografica”: non esiste un unico significato per le immagini, il loro peso emotivo e morale dipende dal contesto in cui sono inserite. Affermava Sontag: “Le fotografie, che di per sé non possono spiegare nulla, sono inviti continui alla deduzione, alla speculazione, alla fantasia”; Sontag ancorava la fotografia soprattutto a un contesto politico e sociale. Roland Barthes infine definisce la fotografia come “medium bizzarro”, un reale che non si può toccare: essa mostra infatti la presenza dell’oggetto potendo solo constatare che esso è stato.

Da forma creativa subalterna alla pittura a protagonista della pratica artistica contemporanea, la fotografia sta attraversando una fase di particolare interesse. Qual è lo stato della fotografia nel sistema dell’arte italiano?

a sinistra: Giacomo Costa, Elemento nr 2. Courtesy Guidi&Schoen sotto da sinistra: Irina Werning, Cortona on the Move 2023 Linda Fregni Nagler, Untitled (Pigeon), from the series News from Wonderland, 2023. Courtesy galleria Monica De Cardenas

FIERE, MOSTRE, GAL COME CRESCE L’INTERESSE PER LA FOTOGRAFIA COME FORMA DI ESPRESSIONE ARTISTICA

A lungo ritenuta dal grande pubblico (e non solo) una forma d’arte secondaria rispetto a pittura e scultura, da decenni è innegabile un cambio di rotta, partito già dagli anni Settanta in America e più recentemente in Europa, che attesta la fotografia come una modalità espressiva che indaga la realtà attraverso un linguaggio quanto mai idoneo a riflettere la temperie contemporanea. Insomma, una “rinascita” per il medium fotografico, che ora anche in Italia ha conquistato una posizione di primaria importanza: da un lato i grandi maestri sono al centro di importanti mostre che attirano un pubblico sempre più vasto; dall’altro, giovani e giovanissimi si appassionano alla fotografia, complice la possibilità immediata di realizzare uno scatto con il proprio cellulare e di condividerlo su Instagram, permettendo così di ritrarre e comunicare il proprio mondo. Suscitano infatti sempre più interesse non solo i workshop, ma anche le scuole di fotografia, i corsi nelle Università. Anche l’editoria aumenta le sue pubblicazioni nel settore: oltre alle case editrici che da sempre si occupano di fotografia, pubblicando saggi dedicati a varie tematiche (dalla storia della fotografia alla fotografia contemporanea, fino alla post-fotografia), questo vale anche per altri edi-


STORIES FOTOGRAFIA

LERIE, MERCATO LA FOTOGRAFIA

tori che – se prima la consideravano meno incisiva rispetto ad altri linguaggi più consolidati – ora hanno riservato alla fotografia una larga fetta di diffusione.

I NUOVI SPAZI PER LA FOTOGRAFIA A TORINO E VENEZIA

Torino e Venezia si confermano punti cardinali per la diffusione della cultura fotografica. Nel 2015 a Torino inaugurava CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, un progetto affermatosi negli anni e volto a valorizzare il patrimonio fotografico italiano e internazionale, proponendo mostre di fotografia, talk, corsi e workshop, così come atelier dedicati a scuole e famiglie per avvicinare i giovanissimi. CAMERA, sotto la direzione di Walter Guadagnini è divenuta una realtà ormai nota a livello internazionale: è infatti attiva la collaborazione tra CAMERA e l’ICP – International Center of Photography di New York per offrire a fotografi emergenti l’opportunità di studiare con i docenti in visita dell’ICP in varie masterclass. Inoltre, CAMERA fa parte di FUTURES (EPP - European Photography Platform), una piattaforma sostenuta dall’Unione Europea volta a promuovere gli autori emergenti in modo da facilitarne il contatto col mercato. Sempre a Torino, Intesa Sanpaolo nel 2022 ha inaugurato il quarto museo del gruppo bancario le Gallerie

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MILANO Collater.al Photography PhotoVogue Festival fino al 19 novembre Sebastião Salgado – Amazônia Fabbrica del Vapore fino al 7 gennaio Gabriele Basilico. Le mie città Triennale fino al 21 gennaio Jimmy Nelson - Humanity Palazzo Reale TORINO Liquida Photofestival fino al 7 gennaio Mimmo Jodice Senza Tempo Gallerie d’Italia fino al 4 febbraio André Kertész. L’opera 1912-1982 CAMERA STUPINIGI

d’Italia, dedicandolo alla fotografia. L’istituto bancario comprova l’impegno nella diffusione della cultura fotografica in Italia attraverso le committenze affidate ad artisti del calibro di Gregory Crewdson e Mimmo Jodice e l’ampia offerta di incontri e attività per studenti e docenti. Anche Venezia dimostra interesse nello sviluppo dell’arte fotografica: sull’Isola di San Giorgio Maggiore, le neonate Stanze della Fotografia sono una nuova sede espositiva per la fotografia nazionale e internazionale, con la direzione artistica di Denis Curti, in continuità col percorso intrapreso con la Casa dei Tre Oci.

FIERE: UN SEGNALE POSITIVO

Se all’estero già sono numerose e importanti le fiere di settore dedicate alla fotografia, come gli appuntamenti con Paris Photo (dal 9 al 12 novembre 2023) o London Photo (maggio 2024), l’Italia pare allinearsi con questa tendenza in crescita: la scorsa edizione del MIA Photo Fair a Milano ha contato cento espositori e ottanta gallerie di cui il 30% proveniente dall’estero. Proseguendo con le fiere di settore, a Torino sono immancabili gli appuntamenti con The Others Art Fair (dal 3 al 5 novembre 2023) e The Phair (la scorsa edizione si è tenuta a maggio 2023). Sempre a Torino è in procinto di debuttare Exposed, una nuova fiera per la fotografia, che aprirà le porte della sua prima edizione dal 2 maggio al 2 giugno 2024. La direzione artistica è stata affidata a Menno Liauw e Salvatore Vitale, rispettivamente Direttore e Direttore Artistico del già citato FUTURES. Elemento centrale di Exposed sarà l’istituzione di una committenza artistica assegnata su open call internazionale: il bando, lanciato a set-

fino al 7 gennaio Lee Miller Photographer & Surrealist Palazzina di Caccia

CORTONA Cortona On The Move

ROMA Charta fino al 10 marzo Helmut Newton. Legacy Museo dell’Ara Pacis GIBELLINA Gibellina Photoroad

LE MAGGIORI MOSTRE DI FOTOGRAFIA IN ITALIA NELL’AUTUNNO 2023


Fotografia Europea – Reggio Emilia VENEZIA fino al 7 gennaio Paolo Pellegrin. L’orizzonte degli eventi, Le Stanze della Fotografia fino al 7 gennaio Chronorama Palazzo Grassi BOLOGNA PhMuseum Days fino al 7 gennaio Andreas Gursky - Visual Spaces of Today Fondazione MAST fino al 28 gennaio Vivian Maier Anthology Palazzo Pallavicini FORLÌ fino al 7 gennaio Eve Arnold. L’opera 1950-1980, Museo Civico San Domenico

tembre 2023, è rivolto ad artisti e curatori internazionali e selezionerà un artista a cui verrà commissionata un’opera sul paesaggio in Piemonte, con un premio di 20mila euro e la produzione di una mostra nel 2024. Da evidenziare anche quanto è successo nelle ultime fiere d’arte contemporanea, dove è considerevolmente aumentata la presenza di proposte di fotografia, a partire da ArtVerona 2023 fino ad ArteFiera 2023 con la presenza di una sezione dedicata alle gallerie di fotografia. Glenda Cinquegrana, UNA “RINASCITA” PER IL MEDIUM gallerista di Glenda CinArt Consulting FOTOGRAFICO, CHE ORA quegrana dichiara: “Le fiere itaANCHE IN ITALIA HA liane come MIA Photo CONQUISTATO UNA POSIZIONE Fair e The Phair a Torino e ArteFiera a Bologna, DI PRIMARIA IMPORTANZA sono appuntamenti interessanti, ai quali partecipa un collezionismo di esperienza e di qualità. L’Italia, che nel 2023 ha registrato una crescita del PIL maggiore rispetto agli altri stati dell’Unione Europea è stata quest’anno per noi mercato di riferimento rispetto agli anni precedenti, in cui lavoravamo con una maggioranza di clienti stranieri”. La Galleria Podbielsky Contemporary, sin dall’inizio della sua attività, ha sempre partecipato a fiere sia italiane che internazionali, mentre Giampaolo Paci (Paci Contemporary Gallery) a sinistra: Matteo Basilè, Floramagnifica. racconta di “aver sempre optato sulle importanti fiere Courtesy Marcorossi internazionali, come Paris Photo e Basel Miami. Fiore artecontemporanea all’occhiello, la galleria Paci contemporary è l’unica in basso: Denis Curti. galleria italiana a far parte di AIPAD, associazione Photo Giovanni Gastel

STORIES FOTOGRAFIA

REGGIO EMILIA

L’OPINIONE DI DENIS CURTI

Curatore de Le Stanze della Fotografia (Venezia)

RAGUSA Ragusa Foto Festival

I MAGGIORI FESTIVAL DEDICATI ALLA FOTOGRAFIA IN ITALIA

È oggettivo da diversi anni la fotografia indubbiamente stia vivendo un momento di forte interesse, confermato dalle grandi mostre tenutesi a Palazzo Reale che registrano tra i 50 e gli 80mila visitatori, numeri molto importanti. Di riflesso, anche le città più piccole hanno capito che per attrarre pubblico non è necessario sempre fare mostre molto costose, ma si può lavorare bene anche con la fotografia. Il problema vero che sto riscontrando, tema su cui tutti noi curatori stiamo lavorando, è che, come accade ad esempio per la pittura, si vogliono fare mostre sempre sugli stessi nomi e alla lunga questi nomi finiscono per essere esausti. Noi operatori del settore dobbiamo convincere e lavorare ai fianchi degli amministratori per affermare che la fotografia funziona, costa meno della pittura; ma dobbiamo anche prestare attenzione anche alle nuove produzioni. Un altro dato incisivo è che una multinazionale come Deloitte abbia deciso di lanciare un premio, il Deloitte Photo Grant, in cui io sono stato casualmente chiamato in veste di direttore artistico della prima edizione tenutasi quest’anno. Il premio consiste, alla fine del concorso, nel dare 40mila euro a un fotografo dalla carriera più strutturata e 20mila a un giovane talento. È una conferma ulteriore: se una multinazionale come Deloitte, che si occupa di servizi, decide di investire in fotografia e altre aziende private fanno lo stesso è perché hanno capito che questo è il linguaggio della contemporaneità.

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delle più importanti gallerie di fotografia al mondo, con sede a New York”. Per Eugenio Calini e Luca Casulli, di 29 Arts In Progress, “la scelta delle fiere è spesso correlata alla maturità del mercato in cui opera la fiera e al profilo della galleria. Il nostro collezionismo è prettamente internazionale, con Stati Uniti, UK e Svizzera ai primi posti anche se possiamo contare su un vivace collezionismo italiano in crescita nella fotografia”.

RIFLESSIONI SUL MERCATO DELLA FOTOGRAFIA

La fotografia si aggiudica così un’importante fetta di mercato. Un collezionismo che si muove anche in Italia, seppur con cautela rispetto a un mercato estero sicuramente più solido. Il 2007 è considerato l’anno della svolta: il fatturato globale del settore raggiunse i 102 milioni di dollari, secondo il report di Artprice. Da allora la fotografia contemporanea è diventata una parte importante del mercato dell’arte, vincente anche perché accessibile a budget contenuti e apprezzata dalla platea di giovani collezionisti. In Italia, Finarte (per quanto riguarda il primo semestre del 2023) conferma il trend positivo per il mercato della fotografia, che vede ai primi posti nomi storici come Gabriele Basilico, Mario Giacomelli e Mimmo Jodice. Come sottolineato da Glenda Cinquegrana, il collezionismo fotografico italiano è conservatore e molto legato ad una visione in cui la riproducibilità dell’opera non costituisce un plus ma un minus: è evidente che affonda le proprie radici in una tradizione fortemente radicata alla pittura e i medium tradizionali. Monica

De Cardenas, dell’omonima galleria, da parte sua dice: “Credo che qui da noi il collezionismo fotografico sia una nicchia frequentata soprattutto da appassionati. Chi compra preferisce ancora la pittura, anche se indubbiamente oggi c’è più comprensione e una maggiore propensione all’acquisto, soprattutto per i lavori di chi ha una sua precisa interpretazione, una visione inedita, sensibile e LA FOTOGRAFIA affascinante”. Alessia PaCONTEMPORANEA È DIVENTATA ladini di Alessia Paladini contemporary risponde: UNA PARTE IMPORTANTE DEL “Il mercato della fotograMERCATO DELL’ARTE, VINCENTE fia in Italia è lontano dai ANCHE PERCHÉ ACCESSIBILE livelli europei – soprattutto Francia, dove il colA BUDGET CONTENUTI E lezionismo di fotografia è APPREZZATA DALLA PLATEA DI consolidato – e internazionali, e mi riferisco al GIOVANI COLLEZIONISTI mercato statunitense, molto forte. La fotografia come oggetto di collezionismo si sta sempre più affermando anche grazie all’ingresso ormai acquisito della fotografia nei musei e negli spazi espositivi istituzionali. Il collezionista che si avvicina a questo mercato si sente rassicurato se la foin alto: Maria Vittoria Backhaus, Sleeping B eauty, tografia è protagonista di grandi mostre pubbliche. 2001. Courtesy Alessia Uno degli aspetti più stimolanti e interessanti a mio Paladini Gallery parere del lavoro di un gallerista è proprio quello di a destra: Francesca guidare gli acquirenti verso la ‘trasformazione’ in colMalgara. Photo Giovanni Gastel lezionisti”


Insomma, se è pur vero che attualmente lo stato della fotografia in Italia è buono, bisogna ancora lavorare su vari fronti: è necessario più dialogo tra istituzioni pubbliche e private, per diversificare le proposte e instaurare, come dice Clelia Belgrado di VisionQuest 4rosso, “una comunicazione più viva tra i settori che compongono il mondo della fotografia”. Nel 2017 l’allora Ministro per i Beni e le Attività Culturali Dario Franceschini indisse gli Stati generali della fotografia al fine di “tutelare, valorizzare e diffondere la fotografia in Italia come patrimonio storico e linguaggio contemporaneo” e “definire un piano di sviluppo del settore che determinasse nuove opportunità per la fotografia italiana a livello nazionale e internazionale”. Sono passati anni e, come sottolinea giustamente Denis Curti, “sarebbe opportuno rilanciare l’idea di una ricerca completa e composita per vedere lo stato di salute della fotografia in Italia che è oggettivamente buono”. Ora anche la fotografia è entrata a pieno diritto in un processo che conta su un interesse in costante aumento, muovendo numeri importanti e confermandosi così come uno dei linguaggi più trasversali che connettono la contemporaneità.

LE GALLERIE DI FOTOGRAFIA IN ITALIA 29 ARTS IN PROGRESS Milano ALESSIA PALADINI GALLERY Milano FEBO E DAFNE Torino GALLERIA FORNI Bologna GALLERIA GIAMPAOLO ABBONDIO Todi GALLERIA GUIDI&SCHOEN Genova GALLERIA MONICA DE CARDENAS Milano / Saint Moritz / Lugano GLENDA CINQUEGRANA ART CONSULTING Milano MARCOROSSI ARTECONTEMPORANEA Milano MLB GALLERY Ferrara / Porto Cervo PACI CONTEMPORARY GALLERY Brescia / Porto Cervo PAOLA SOSIO CONTEMPORARY ART Milano PODBIELSKI CONTEMPORARY Milano

LA NUOVA EDIZIONE DI MIA PHOTO FAIR SECONDO LA DIRETTRICE ARTISTICA FRANCESCA MALGARA In collaborazione con Fiere di Parma, la nuova edizione di MIA Photo Fair (11-14 aprile 2024) si presenta nella sua rinnovata veste. Il nuovo appuntamento milanese con la fotografia, intitolato Changing, si articola intorno al tema centrale del cambiamento. La rassegna invita gallerie ed espositori a organizzare i loro stand come mostre, che offrano sguardi e prospettive su questioni cruciali come la centralità della persona, il rispetto per l’ambiente e per la biodiversità, la responsabilità del singolo, la valorizzazione del femminile, il dialogo tra le parti e la forza della comunità. MIA ambisce ad essere una fiera “artivista”, che si apre alla contemporaneità, che prende posizione rispetto alle urgenze della cronaca, anche nei suoi aspetti più drammatici e controversi. Non si può non constatare la tendenza, sempre più diffusa, di fotografi di culture e Paesi diversi, dall’Africa all’Asia, dall’Occidente al Sud America, a utilizzare le immagini come strumenti di ricognizione e denuncia, sollecitando così una riflessione sulle emergenze del nostro tempo. Per valorizzare ancor più questi importanti temi, verranno create due sezioni apposite. La prima, intitolata Reportage Beyond Reportage e curata da Emanuela Mazzonis di Pralafera, metterà in luce le diverse sfumature del reportage, che si tratti di fotografia documentaria, fotogiornalismo o street photography. La seconda invece, nominata Beyond Photography – Dialogue e curata da Domenico de Chirico, sarà dedicata al confronto tra la fotografia e altri media come la scultura, l’installazione, la pittura e il video. Centrali saranno la costruzione di reti di valore con la città, il territorio, il nostro Paese, a cui sarà data evidenza con progetti fotografici innovativi. Non mancherà anche l’apertura allo scenario internazionale, con uno sguardo rivolto al mondo intero per narrare culture diverse ma anche per contribuire a una riflessione sul post-colonialismo, tema sul quale riteniamo sia indispensabile aprire un dialogo non solo con altre manifestazioni legate alla fotografia, ma anche con direttori di istituzioni e musei, italiani e internazionali, che oggi sono impegnati nelle stesse sfide. La fotografia a MIA parlerà infine anche attraverso una serie di talk animati da fotografi, critici ed esperti di fotografia, ma anche figure di spicco come scienziati, filosofi, artisti e gli stessi attivisti del clima.

STORIES FOTOGRAFIA

VALORIZZARE LA FOTOGRAFIA: ALCUNI SPUNTI

FRANCESCA MALGARA

SPAZIO NUOVO Roma SPOT HOME GALLERY Napoli TALULLAH STUDIO ART Milano VIASATERNA Milano VISIONQUEST 4ROSSO Genova

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PAROLA AGLI ESPERTI LAURA TOTA Curatrice di Liquida Photofestival

Come svolgi la tua attività di ricerca di nuovi talenti? Che ruolo hanno i social in tutto questo? Sicuramente, oggi l’attività di scouting offre molti più canali rispetto al passato; basti pensare ai social che ad oggi, almeno nel mio caso, rappresentano una fonte inesauribile di talenti. A questo, affianco la frequentazione di mostre di autori emergenti e la lettura di riviste specializzate. Su Instagram, l’algoritmo aiuta molto in questo tipo di ricerche e questo social ti supporta grazie alla creazione di raccolte ad hoc: consiglio a tutti i fotografi di curare molto il proprio profilo Instagram, rendendo il più chiara possibile la propria ricerca. Questo agevola molto chi, come me, utilizza anche questo medium per le proprie attività di ricerca. Diciamo che i social sono un ottimo biglietto da visita, ma bisogna curare anche tutti gli altri aspetti legati alla propria attività professionale di fotografi. Anticipazioni su quello che segui? A novembre proviamo un nuovo esperimento, portando una Liquida Winter Edition all’interno della kermesse torinese Paratissima. L’evento di punta resterà comunque Liquida Photofestival, previsto sempre a Torino nel primo weekend di marzo 2024: alla parte espositiva dedicata agli autori emergenti, affiancheremo ancora una volta i progetti di autori mid career, una sezione dedicata all’editoria e l’oramai consolidato Grant. A maggio 2024, infine, tornerà ImageNation Paris, la mostra fotografica che porta nel cuore del Marais centinaia di fotografi provenienti da tutto il mondo. Per me, occuparmi della sezione degli emergenti della mostra NEW EYES è sempre una sfida preziosa.

LORENZO BRUNI Coordinatore del board curatoriale di The Others Art Fair

Un tuo parere sull’attuale attenzione sulla fotografia in Italia La domanda che dobbiamo porci è quale sia il vero motore che la sta producendo. Le cause potrebbero essere individuate nelle ricerche delle nuove generazioni di artisti che ri-pensano, al tempo del digitale, al ruolo del medium fotografico; oppure nell’azione del mercato dell’arte, che si è accorto che questo è un settore tutto da scoprire per la potenziale lievitazione dei prezzi. Aspetti, questi, già presenti dall’inizio degli anni Duemila, quando emerse l’importanza di una storia della fotografia non soltanto per specialisti. La grande differenza è che questa attuale ondata di attenzione – al tempo degli archivi digitali, degli NFT e del post-internet – non è rivolta alla fotografia, ma all’uso dell’immagine. Infatti, se il pubblico tipico delle prime fiere di fotografia, oltre agli appassionati, era costituito da fotografi amatoriali o del foto-giornalismo, adesso è “generico”. Quest’ultimo, vivendo circondato dalla cultura digitale si è trasformato (a partire dalla fine degli anni Novanta) da consumatore a produttore di immagini usate al pari di commenti, opinioni e informazioni, decretando così l’impellenza di porsi a livello collettivo la domanda: come funzionano le immagini? Possiamo parlare di una nuova tendenza nel mondo della fotografia? La qualità dell’immagine, al tempo degli archivi digitali, non è più determinata dal tipo di soggetto rappresentato o dalla scelta di produrre un documento della realtà al pari di un “istante congelato” (Cartier-Bresson o Robert Capa) o di “istante sospeso e quasi a-storico” (Gia-

comelli o Ghirri). La fotografia che troviamo adesso nelle fiere di arte contemporanea, non solo in quelle specialistiche, punta a ricordarci a chi stanno parlando e perché. È un modo per reagire alla società dell’opinionismo, della post-verità, ma anche ad un futuro in cui le immagini saranno prodotte dall’intelligenza artificiale. Per questo motivo, contemporaneamente all’emergere di giovani artisti/fotografi e di fotografi/artisti, stiamo assistendo alla riscoperta di autori storici che hanno affrontato, in tempi non sospetti, un’indagine sull’oggetto fotografico e sul ruolo del fotografo in maniera meta-narrativa: da Franco Vaccari a Gianni Melotti, da Maurizio Galimberti a Mario Cresci, da Boris Mikhaïlov a Malike Sibide, da Christopher Williams a Letizia Battaglia, da Zoe Leonard a Francesca Woodman. Questo tipo di tendenza della fotografia processuale la ritroveremo anche nella prossima edizione di The Others Art Fair che dirigi a Torino? Sì. Tale tendenza, che era già presente nell’edizione del 2022, sarà ancora più evidente nei progetti presentati quest’anno, che si affiancheranno anche alle nuove tendenze della pittura figurativa mediata dall’estetica gaming e alle azioni performative attorno all’oggetto scultura. Il tuo impegno nella ricerca sull’immagine la affronti anche per mezzo della tua partecipazione al board curatoriale di The Phair? Sono parte del board curatoriale di The Phair dalla prima edizione nel 2019. È la fiera che vuol far dialo gare senza preconcetti gallerie d’arte e quelle specializzate in fotografia. La fiera è nata non a caso a Torino, visto che è una città che ha una lunga tradizione di interesse verso l’immagine fotografica dal secondo dopoguerra, riattivato dall’impegno costante che i musei, le fondazioni e le gallerie hanno svolto negli ultimi vent’anni. Torino si sta definendo come una delle capitali della fotografia? Esatto. Tale attenzione dovrà essere sempre più legata ad una nuova educazione allo sguardo, dato che attualmente la censura – come suggerisce da anni lo studioso Nicholas Mirzoeff – è prodotta non per cancellazione delle immagini, bensì per il loro eccesso di disponibilità, permanenza e circolazione.


Come direttore di CAMERA, centro espositivo per la fotografia nazionale e internazionale, quale criterio ha seguito per decidere le varie esposizioni? Il tentativo è quello di offrire una visione più ampia possibile del linguaggio e della cultura fotografica, perché paradossalmente gli spazi che si occupano continuativamente di fotografia in Italia sono rarissimi. Quindi credo sia necessario proporre al pubblico un programma diversificato, che va dai grandi nomi della storia della fotografia alle ricerche più contemporanee, ai giovanissimi, passando per quella generazione di mezzo, nazionale e internazionale, che è quella che forse fa più fatica oggi ad essere proposta a livello istituzionale nel nostro paese (penso alle mostre dedicate Paolo Ventura o Jacopo Benassi). Quali sono i temi più stringenti nell’attuale panorama della fotografia contemporanea? Mi sembra che prevalgano i grandi temi della contemporaneità, ma declinati in ambito più individuale, spesso intimo. Le questioni di genere, quelle legate in generale al rapporto con il corpo – il proprio e quello degli altri – sono senza dubbio tematiche molto diffuse, che talvolta rischiano anche di cadere in uno dei grandi limiti della creazione contemporanea, la passione per il proprio ombelico. Ma ci sono anche molti autori e autrici che guardano ai temi più specificamente sociali e latamente politici. Tra i talenti che presentiamo in questa nuova annata di FUTURES ci sono proprio queste tematiche, unite a interessanti riflessioni sul nostro recente passato. Ha notato un maggior interesse del pubblico, non solo degli addetti ai lavori, verso la fotografia, nella partecipazione a mostre, o agli incontri

che tiene a CAMERA? La pandemia ha segnato in maniera profonda il nostro rapporto con la realtà, con la socialità, di cui la partecipazione alle mostre e agli eventi ad esse collegate è parte integrante. Devo dire che oggi siamo tornati ai livelli di presenze pre-pandemia, e persino maggiori: con la mostra di Doisneau dello scorso anno abbiamo raggiunto il massimo storico di presenze, toccando quota 55mila spettatori. È un dato significativo perché ha segnato davvero il ritorno alla normalità, e ha esplicitato il desiderio di tornare a frequentare fisicamente i luoghi. Lo stesso si può dire per le conferenze e per tutte quelle attività che prevedono una presenza fisica: i quattro incontri tenuti da Carlotta Vagnoli e Monica Poggi in occasione della mostra di Eve Arnold hanno registrato sempre il tutto esaurito. Proprio questi incontri – che prendevano spunto dalla mostra di un’autrice attiva in pieno XX secolo per affrontare argomenti di strettissima attualità – mi portano a rispondere più specificamente alla sua domanda: la fotografia ha lo straordinario vantaggio di permettere di toccare argomenti contemporanei anche a partire da figure storiche, perché la fotografia ha questo legame inscindibile con la realtà. Quando organizziamo una mostra di Dorothea Lange, parliamo dell’America di un secolo fa, ma sulle pareti il pubblico vede persone disperate che migrano per cercare una vita migliore, e una terra devastata dalla siccità e dallo sfruttamento eccessivo del terreno: le ricorda qualcosa? Una anticipazione per la prossima mostra a Camera? Con grande piacere: ci sarà un’antologica dedicata ad André Kertész, diventato celebre nella leggendaria Parigi degli anni Venti e Trenta e poi trasferitosi negli Stati Uniti. La mostra è realizzata in collaborazione con la Médiatheque du Patrimoine et de la Photographie di Parigi e dà il via a una serie di collaborazioni con istituti e musei francesi che si susseguiranno nel corso dei prossimi anni. Aggiungo che in Project Room ci sarà la presentazione del progetto vincitore di Strategia Fotografia del 2022, bando realizzato insieme alla Fondazione Alinari, che coinvolge quattro giovani autori italiani: tengo a sottolineare queste collaborazioni perché saranno una delle caratteristiche primarie del programma di CAMERA nei prossimi anni. Infine, in settembre si potranno vedere gli spazi rinnovati di CAMERA, con nuovi accessi, nuovo bookshop e nuovi allestimenti, attenti all’accessibilità e alla sostenibilità.

MICHELE COPPOLA Executive Director Arte, Cultura e Beni Storici Intesa Sanpaolo / Gallerie d’Italia

STORIES FOTOGRAFIA

WALTER GUADAGNINI Direttore di CAMERA Centro Italiano per la Fotografia

Un suo commento sul risultato ottenuto in poco più di un anno dall’apertura delle Gallerie d’Italia – Torino e sul ruolo del museo come riferimento per la fotografia in Italia Le attività ideate e realizzate in questi primi mesi di vita hanno avuto la risposta entusiasta di un pubblico numerosissimo e variegato. Credo che la ragione sia dovuta all’originalità delle iniziative ospitate, con progetti fotografici, in esclusiva per Gallerie d’Italia, dedicati alle sfide del nostro tempo. Un programma di committenze che rende unico il museo di Piazza San Carlo. Accanto all’indagine sul presente, la fotografia è raccontata anche nel suo valore storico e culturale, e lo dimostra la centralità del nostro Archivio Publifoto, un patrimonio a cui attingere per conoscere la storia del Paese, e la rassegna La grande fotografia italiana, che ci ha regalato i toccanti reportage di Lisetta Carmi e la straordinaria bellezza delle opere di Mimmo Jodice, allestite in una mostra in corso in questi mesi. È da sottolineare anche l’ampia partecipazione alle attività che arricchiscono le esposizioni, dai laboratori per le scuole e i percorsi inclusivi ai momenti di approfondimento negli incontri di #Inside. Inoltre, a inizio luglio abbiamo portato a Rencontres d’Arles, uno dei principali festival fotografici in Europa, la mostra Eveningside di Crewdson. Come prosegue l’impegno delle Gallerie d’Italia di Torino? A fine settembre abbiamo inaugurato il progetto The Circle di Luca Locatelli, che ha viaggiato in Europa e fotografato gli esempi più suggestivi ed emblematici di economia circolare. Il nuovo anno inizierà con Cristina Mittermeier e National Geographic in un viaggio inedito negli oceani.

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10461臺北市中山區中山北路三段181號 No. 181, Sec. 3, Zhongshan N. Rd., Zhongshan Dist., Taipei City 10461, Taiwan www.tfam.museum www.taipeibiennial.org

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特別感謝 Special Thanks


La Dea Roma e l’Altare della Patria Angelo Zanelli e l’invenzione dei simboli dell’Italia unita

Design: TassinariVetta

Vittoriano, Sala Zanardelli 26.10.2023 — 25.2.2024 ingresso gratuito vive.cultura.gov.it



DUCHAMP • BRÂNCUSI • EL GRECO • KAPOOR • VON GLOEDEN E MAPPLETHORPE • FUNI

37 DIETRO LE QUINTE DELLE GRANDI MOSTRE • LA MAPPA DELLE GRANDI MOSTRE


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MARCEL DUCHAMP / VENEZIA

Marcel Duchamp a Venezia La copia non è un limite Alberto Villa

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a dicotomia fra originale e copia si situa fra le questioni più arcaiche dell’estetica (perché legate all’arché, al principio di tale disciplina). Ben nota è la posizione di Platone sul concetto di mimesis: gli oggetti sensibili non sono altro che ombre di idee originarie, situate nell’Iperuranio e accessibili solo attraverso la filosofia. Per non parlare della scarsa considerazione che il pensatore greco aveva dell’arte, in quanto copia di una copia, e dunque doppio inganno. Tante sono state le reinterpretazioni o le critiche alle teorie platoniche. Curiosamente, fra le più convincenti c’è proprio quella di un artista, nato oltre duemilatrecento anni dopo. Marcel Duchamp (Blainville-Crevon, 1887 – Neuilly-sur-Seine, 1968), fra i più dirompenti artisti del Novecento (nonché regista e abilissimo scacchista), compì una personale rivoluzione dei rapporti di valore tra copia e originale. Oggi un’interessante mostra alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, curata Paul B. Franklin, esplora questa peculiare ossessione dell’artista francese, i cui riverberi nella storia della cultura fibrillano oggi più che mai nei meme e nel dibattito dell’autorialità dell’intelligenza artificiale. Alle opere già presenti nella Collezione Peggy Guggenheim si aggiungono importanti prestiti di istituzioni museali italiane e internazionali, ma anche un’ampia selezione della collezione di Attilio Codognato.

IL POTERE SEDUTTIVO DELLA COPIA

Quello della copia è un tema che, come suggerisce il titolo della mostra, ha un potere seduttivo su Duchamp: attraverso l’esasperazione della riproduzione, l’artista può superare quel gravoso vincolo valoriale tra originale e copia. Nelle sale sarà facile imbattersi nelle medesime opere ripetute, ogni volta con la variazione di un dettaglio, spesso con taglio ironico. Fa sorridere, per esempio, la versione “rasata” della famosa L.H.O.O.Q., che risulta quindi essere una normale Monna Lisa: la copia della copia, perdendo i baffi, ritorna originale, senza esserlo davvero. In Duchamp, tutto è copia e originale allo stesso tempo. Una posizione a dir poco scomoda, soprattutto se comparata a quella fortunatissima di Walter Benjamin, che vedeva nella riproduzione una perdita dell’aura dell’opera. Sappiamo che il filosofo tedesco era a conoscenza delle avventure estetiche duchampiane, e pare avesse anche scritto un capitolo a riguardo

Fino al al 18 marzo 2024

MARCEL DUCHAMP E LA SEDUZIONE DELLA COPIA Curata da Paul B. Franklin Collezione Peggy Guggenheim Dorsoduro, 701-704, Venezia guggenheim-venice.it

in alto: Marcel Duchamp con l’esemplare non ancora completato di da o di Marcel Duchamp o Rrose Sélavy (Scatola in una valigia) 1935–41, in casa di Peggy Guggenheim. La fotografia è in origine pubblicata in Time, 7 settembre 1942. a destra: Marcel Duchamp e la seduzione della copia, Collezione Peggy Guggenheim, Ph. Matteo De Fina © Association Marcel Duchamp, by SIAE 2023

destinato al suo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, che però non fu inserito nella versione finale del testo. Al di là dell’evidente capacità della mostra di raccontare il rapporto tra originale e copia nell’opera del dadaista più celebre di sempre (riuscendo in alcuni brani ad essere essa stessa un esempio di tale rapporto), Marcel Duchamp e la seduzione della copia possiede anche un valore scientifico e documentario non indifferente, che emerge nella riproduzione di interviste e nella presentazione di preziosi documenti biografici dell’artista.


MARCEL DUCHAMP / VENEZIA

INTERVISTA AL CURATORE PAUL B. FRANKLIN

Nonostante la rivoluzione di Duchamp nel concetto di copia, la ricerca dell’originalità assoluta (che potremmo dire non esista) rimane profondamente radicata nell’arte contemporanea. Duchamp non è responsabile della sua eredità. Non possiamo ritenerlo responsabile dell’importanza continuativa attribuita all’originalità assoluta (un concetto che sicuramente avrebbe respinto) nell’arte contemporanea. Come ha dichiarato nel 1961: “Non voglio

distruggere l’arte per gli altri, ma solo per me stesso, questo è tutto”. Se noi, artisti e appassionati d’arte, continuiamo a valorizzare e persino a idolatrare l’originalità nell’arte, è un riflesso dei nostri pregiudizi e delle priorità culturali e commerciali personali. E forse anche delle nostre carenze intellettuali e creative. Questa mostra è stata resa possibile anche grazie a un notevole prestito di opere da parte di Attilio Codognato. Perché la sua collezione è così importante per lo studio di Duchamp? Fin dagli anni Settanta, Attilio Codognato ha costruito una collezione completa e coerente delle opere di Duchamp. Essa include sia opere uniche sia esempi di quelle prodotte in edizioni, realizzate dagli anni Dieci agli anni Sessanta. Quando vista nel suo complesso, la collezione di Attilio Codognato – che comprende stampe, disegni, collage, ready-made, fotografie, ecc. – incarna molte delle tematiche e delle idee chiave che hanno reso Duchamp uno degli artisti più radicali della sua generazione. In Marcel Duchamp e la seduzione della copia, la maggior parte della collezione di opere di Duchamp in possesso Attilio Codognato viene esposta pubblicamente insieme per la prima volta.

COSE DA VEDERE NEI DINTORNI

In che modo la mostra vuole raccontare un artista di cui tanto si è scritto e discusso come Duchamp? Si tratta della prima mostra museale focalizzata specificamente sull’ossessione di Duchamp per replicare e riprodurre il suo lavoro. Invece di un approccio cronologico, sono stati individuati temi particolari che esplorano le tante modalità individuate da Duchamp per duplicare il proprio lavoro senza semplicemente copiarlo. Questa mostra si differenzia dalla maggior parte di quelle dedicate all’artista perché dimostra che non era solo un artista concettuale, ma anche un abile e innovativo artigiano – termine da lui preferito – che non ha mai rinunciato alla manualità.

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Il nuovo spazio indipendente Panorama, in Campiello San Zulian, figlio di un progetto che unisce un curatore, un ristoratore e un’agenzia di eventi e si propone di diventare luogo d’incontro per l’arte e la cultura. Il tutto, in 20 metri quadri Il Teatro Goldoni, il più antico della città, riaperto dopo 7 mesi di restauro che hanno visto la sostituzione delle poltrone della platea, l’adeguamento dell’impianto elettrico e audio, e il piano di manutenzioni straordinarie necessarie Fino al 26 novembre è aperta alle Stanze della Fotografia la mostra Pino Settanni – I Tarocchi, ciclo-culto di un genio della fotografia con 60 immagini tra pittura e magia

Collezione Peggy Guggneheim

LA VALIGIA DI PEGGY GUGGENHEIM La dialettica originale-copia nell’opera di Marcel Duchamp trova il suo apice in una celebre serie dal titolo de ou par Marcel Duchamp ou Rrose Sélavy (Boîte-en-valise): valigie rivestite in pelle di vitello contenenti scatole organizzate in scomparti, al cui interno trovano spazio riproduzioni dei capolavori del maestro francese. Stampe di vario genere, fotografie e minuziosi modellini sono inseriti in un complesso marchingegno a incastro, perfettamente ordinato all’interno di una valigia con tanto di serratura. La Boite-en-valise è un’antologia, un museo portatile, se vogliamo uno pseudo-catalogo ragionato; ma soprattutto è un’opera d’arte essa stessa, nonché una chiave di lettura del rapporto tra Duchamp e Peggy Guggenheim: alla collezionista americana era destinata la prima versione della serie deluxe – comprensiva delle riproduzioni di 69 opere e di un pezzo originale – che conta ventidue esemplari. Per Peggy Guggenheim, Duchamp fu un caro amico, ma anche un prezioso mentore e consigliere: fu lui a introdurla all’arte moderna, ad aiutarla a formare una propria sensibilità a quelle avanguardie a cui poi Guggenheim dedicò un’intera vita. La valigia in questione è dunque esposta nella mostra veneziana e ne costituisce il fulcro. Sbirciando nella teca che la custodisce, il

visitatore può facilmente riconoscere la versione in miniatura di Fontaine, l’orinatoio più famoso della storia dell’arte e ready-made per eccellenza, ma anche la sua opera più criptica: La mariée mise à nu par ses célibataires, même (meglio nota come Il Grande Vetro), che tra gli altri significati nasconde il racconto di un amplesso non riuscito, facendosi carico di una componente autobiografica relativa al difficoltoso rapporto di Duchamp con il sesso, come soleva raccontare la collega Louise Bourgeois. Tutte le versioni della valigia contengono una riproduzione in collotipia colorata a pochoir di una delle sue tele più importanti per dimensione e complessità, intitolata Le Roi et la reine entourés de nus vites (Il re e la regina circondati da nudi veloci) e realizzata nel maggio 1912. La valise di Peggy Guggenheim si distingue non solo per la serratura firmata da Louis

Vuitton, ma per la presenza, come pezzo “originale”, del coloriage che ha fatto da prototipo per la riproduzione della collotipia. L’originale della copia (e copia a sua volta), o una copia originaria, tanto per complicare le cose. Si apprezza dunque ancora di più la scelta di esporre il dipinto in questione nella medesima sala della valigia: è qui che la mostra raggiunge il suo più alto gioco di rimandi, intrecciando biografia, estetica e rigorosi divertissement.


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CONSTANTIN BRÂNCUSI / TIMIȘOARA

Constantin Brâncuşi, lo scultore dell’infinito Niccolò Lucarelli

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onsiderato uno dei padri della scultura contemporanea, capace di superare i confini geografici e culturali di una singola opera d’arte trasformandola in un dono all’umanità, Constantin Brâncuși (Hobiţa-Peştişani, 1876 - Parigi, 1957) viene celebrato nella nativa Romania da una bella mostra curata da Doina Lemny, con opere dai primi del Novecento agli anni Trenta. Nato in un villaggio rurale dell’Oltenia, uomo schivo, umile, onesto e coerente, Brâncuși mise il potere alla fantasia, e fu convinto assertore dell’importanza della visione individuale di ogni singolo artista, del suo legittimo prevalere su qualsiasi scuola o movimento, della necessità di dialogare con il pubblico, di non chiudere un’opera nella cornice dell’accademismo. Dopo gli studi alla Scuola d’arte di Craiova e all’Accademia di Belle Arti di Bucarest, nel 1904 si spostò a Parigi; sulle prime s’interessò al lavoro di Auguste Rodin e visse una breve stagione legata al figurativo. La mostra prende infatti le mosse da qui, con sculture come Orgoglio (1906) o Tormento (1907), che rivelano una mano assai raffinata. Ma Brâncuși, persona non banale e aperta all’oltre, optò ben presto per un’altra direzione: il metodo della molatura diretta, che gli permise di esprimere al meglio il suo interesse per i materiali grezzi quali bronzo, marmo, legno e gesso, che lavorava con pazienza alla costante ricerca dell’infinito e della forma perfetta, quella nella quale la sintesi formale raggiunge il suo più alto grado e non rimane niente da togliere. La prima fase di questa nuova stagione, sotto l’influenza di Modigliani e Derain la cui lezione apprese a Parigi, è caratterizzata dall’interesse per il Primitivismo, che la mostra racconta attraverso opere quali Danaïde

(1909), Il bacio (1909) o ancora La saggezza della Terra (1908), che ben riassumono questo nuovo ideale artistico: il tratto si fa più semplice, ma l’opera acquista verità, quella filosofica che va oltre l’apparenza e racchiude l’essenza degli esseri viventi, in maniera diretta o simbolica che sia. Su questi presupposti, alla ricerca della purezza formale e concettuale, Brâncuși guardò all’astrattismo, anche se a detta dello stesso scultore “quelli che definiscono astratto il mio lavoro sono degli imbecilli. Ciò che chiamano astratto è in realtà la cosa più realistica, perché ciò che è reale non è l’esterno ma l’idea, l’essenza delle cose”. Parole dalle quali emerge l’approccio “asiatico” dello scultore, più attento all’essenza che alla fisicità; e invero i concetti e le emozioni che trasferisce alla materia sono indubbiamente concreti, quiete fiaccole di civiltà che illuminano un cammino senza soluzione di continuità. L’interesse per l’astrattismo (qualunque valore Brâncuși desse alla parola) procedeva in parallelo con l’interesse per la cultura dell’Asia Orientale, in particolare il misticismo indiano e il confucianesimo cinese. Due dottrine che l’artista studiò a lungo, oltre a soggiornare due volte in India fra il 1933 e il 1937, dove progettò anche un tempio dalla simbolica forma di uovo, purtroppo mai realizzato. Inoltre, studiò a lungo l’insegnamento del mago, poeta, eremita e monaco buddista tibetano Milarepa (1051 – 1135) e forse non è un caso che fra i mille mestieri svolti prima di riuscire a fare dell’arte una carriera, ci sia anche quello di indovino: un modo, avrebbe detto Tiziano Terzani, per provare a scavare verso il fondo delle anime umane. Probabilmente è così che lo intendeva anche Brâncuși, perché da artista indagò la verità dei soggetti scolpiti, fossero esseri umani o animali. E sullo sfondo, l’anelito della vastità dell’orizzonte, dell’infinito spaziale e temporale: le sue opere, infatti, riecheggiano differenti culture e modi di pensare, dall’Europa all’Asia, con i medesimi simboli che assumono significati diversi. Qui sta la grandezza senza tempo di Brâncuși: le sue sculture accolgono idealmente chiunque, perché chiunque può trovarvi tracce del proprio vissuto, materiale e spirituale. Opere che sono autentici doni all’umanità, capitoli di una storia trasversale nel nome della pace e del dialogo.

Fino al 38 gennaio 2024

BRÂNCUȘI: ROMANIAN SOURCES AND UNIVERSAL PERSPECTIVES Curata da Doina Lemny Muzeul Național de Artă, Timișoara mnar.ro a sinistra: Constantin Brâncuși, Bird in Space, 1932-40. Peggy Guggenheim Collection, Venice (Solomon R. Guggenheim Foundation, New York) in basso: Constantin Brâncuși, Romanian Sources and Universal Perspectives, 2023, installation view at Muzeul Național de Artă, Timișoara. Courtesy Muzeul Național de Artă, Timișoara


CONSTANTIN BRÂNCUSI / TIMIȘOARA TRE DOMANDE ALLA CURATRICE DOINA LEMNY Quali elementi di novità porta la mostra? Ho chiarito fin dall’inizio che questa mostra non è una retrospettiva. È molto difficile organizzarne una, e poi non credo riesca a mettere in luce gli aspetti più sottili della creazione dell’artista. Per l’occasione, ho ritenuto utile dimostrare il continuo legame di Brâncuși con il suo Paese d’origine. Molte leggende sono circolate su di lui: giornalisti “di seconda mano” affermavano senza documentazioni che Brâncuși fosse un artista maledetto dal regime comunista. Questo è il motivo per cui ha deciso di lasciare in eredità il suo laboratorio parigino allo Stato francese. Ma tutte queste accuse non hanno alcun supporto documentario. Questa mostra presenta il legame indistruttibile di Brâncuși con il suo paese, l’eredità romena che portò con sé fino alla morte. Ho messo in risalto la sua formazione artistica a Bucarest, poi il sostegno e l’incoraggiamento che ha ricevuto dai suoi connazionali durante i suoi primi anni a Parigi, le commissioni che ricevette, una

COSE DA VEDERE NEI DINTORNI

Come è nato il suo lavoro su Brâncuși? Da un’ardente passione per la scultura. Ho sempre avuto una sensibilità per la tridimensionalità perché mi costringe a pormi domande sulla materia, sulla costruzione, sull’equilibrio. Nel 1992, quando ho avuto la possibilità di vedere da vicino le opere di Brâncuși, si è accesa in me una fiamma di felicità. Guardavo le sue opere ed ero felice di poterle vedere da vicino. Poi, con Marielle Tabart, ho lavorato a un catalogo sulla collezione delle sue opere presso il Centre Pompidou, occupandomi principalmente degli archivi. Che gioia entrare di nuovo nel mondo di Brâncuși: con tutti i suoi scritti in franco-romeno, la corrispondenza con gli amici, la corrispondenza romantica – il mio ultimo libro riguarda il rapporto dell’artista con i suoi ammiratori e amanti (Brancusi e le sue muse, Parigi, Gourcuff- Gradénigo, 2023) –, sentivo che con lui si stava creando un legame per tutta la vita. E poi, davvero, vivo con Brâncuși e sento che ci sono ancora aspetti da scoprire.

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Tra i progetti di Timișoara Capitale Europea della Cultura 2023, da non mancare è la Torre dell’Acqua Iosefin, già sede del governatorato, dell’università, di una base militare sovietica e, dal 20026, dell’Istituto d’Arte della città. Ora si erge a polo culturale La mostra (r)evolution? lived histories 1945-1989-2022 al Memoriale della Rivoluzione. Aperta fino al 31 dicembre, fa rivivere con toccanti documenti d’archivio i giorni della sollevazione popolare contro il regime di Ceaușescu fra il 16 e il 22 dicembre 1989 Il Bastione Maria Teresa, grande struttura fortificata costruita nel 1736. Oggi, oltre che museo, è una destinazione popolare tra i locali, che amano visitare il suo ampio cortile interno per rilassarsi e ammirare la splendida vista della città

Muzeul Național de Artă

delle quali, la più importante e di cui era felice e orgoglioso, per il monumento di Targu Jiu. Alcune opere importanti come Il bacio, La muse endormie, Maïastra, L’uccello nello spazio e La colonna infinita segnano questo legame indistruttibile con il suo Paese, che lo ha sempre onorato e celebrato, anche durante il regime. Qual è la lezione di Brâncuși per gli artisti di oggi? Dal mio punto di vista è stato un modello di lavoro appassionato, volontà, modestia e umiltà. Aperto al mondo – riceveva nel suo studio tutti coloro che volevano vedere le sue opere e anche, nelle serate “ubriache” – lavorava sempre da solo, nell’intimità del suo studio. Aveva bisogno di silenzio, di tranquillità per entrare in dialogo con la materia. Il segreto di Brâncuși è questo potere di ritirarsi ed entrare in uno stato di creatività, la creazione per lui non era un gioco, era qualcosa di profondo, molto profondo che nasceva da lui stesso. Sidney Geist, che dagli anni ‘60 ha studiato l’opera e l’uomo e che lo ha capito meglio, alla domanda: “Che cosa c’era di più romeno in Brancusi”, ha risposto: “Aveva il senso dell’artigiano, ai tempi dei suoi studi a Craiova. Lo aveva nella sua natura. Aveva una buona testa. Era un bravissimo artigiano, era il più grande scultore tecnico che abbiamo avuto”. E penso che dovrebbe essere una bella lezione di vita e di creazione per gli artisti di oggi.


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EL GRECO / MILANO

El Greco al Palazzo Reale di Milano. Quando la pittura è un’anomalia temporale Cinquecento testimonia del cambio di scala a favore di formati notevolmente più grandi e dell’introduzione dell’inusitata gamma cromatica che caratterizzerà l’artista – qui già espressa ma non del tutto conclamata, come colta un attimo prima di esplodere definitivamente.

MODELLI DA TRADIRE E SUPERARE

Sul periodo italiano si concentra ad ogni modo tutta la prima parte della mostra, che comprende confronti con opere di Tiziano, Bassano, Correggio, Tintoretto. Confronti che evidenziano differenze più che somiglianze, dimostrando come le ispirazioni, per il maestro cretese, non siano nuovi canoni da introiettare e semplicemente declinare, ma spunti da assimilare per meglio essere superati o addirittura traditi. Il Cristo agonizzante con Toledo sullo sfondo (1604-1614) rappresenta in mostra il primo incontro con lo stile di El Greco impresso nella mente di tutti: la figura del Cristo si allunga e affusola inusitatamente, il volto è caratterizzato in modo straordinariamente “familiare”, la composizione e l’atmosfera nel suo insieme sono di impressionante disinvoltura e modernità. I volti sono protagonisti assoluti, grazie alla Stefano Castelli

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crivere di El Greco (Doménikos Theotokópoulos, Creta, 1541-Toledo, 1614) appare per certi versi un’impresa inutile: si tratta di uno dei pochi artisti della storia la cui opera parla letteralmente da sola, ovvero basta completamente a se stessa. Lasciarsi andare alle sensazioni generate dai suoi colori, dalle sue forme, dalla conformazione visiva concreta delle sue composizioni è infatti del tutto legittimo e sufficiente, perché la forma da lui creata contiene in sé tutto il concetto – si potrebbe pensare a lui, in questo senso e col senno di poi, come al fondatore di un approccio meta pittorico. D’altro canto, però, è vero che gli argomenti che la sua pittura suscita sono infiniti. In primis per l’assoluta anticonvenzionalità della sua poetica che attiene alla sfera dell’impensabile, considerando l’epoca di esecuzione - le sue tele e le sue tavole producono, anche all’ennesima visione, una sensazione di anomalia temporale, di straniamento dato dal fatto che ciò che si vede non sembra corrispondere alla data d’esecuzione.

CINQUE SEZIONI PER UN PERCORSO ANALITICO E ISTINTIVO

La mostra che il Palazzo Reale di Milano dedica a El Greco affianca in effetti questi due aspetti e approcci. L’analisi della sua evoluzione negli anni, il raffronto con autori coevi e il parallelismo tra la sua vita e la sua opera vengono affrontate con un percorso sufficientemente analitico, che però non impedisce di lasciarsi andare a una fruizione immediata e intuitiva delle opere, ovvero di perdersi nelle sue visioni percorrendo liberamente le sale e trascurando eventualmente gli “apparati”. La mostra curata da Juan Antonio García Castro, Palma Martínez-Burgos García e Thomas Clement Salomon riunisce quarantuno opere di El Greco, suddivise in cinque sezioni. Il percorso si apre, inaspettatamente rispetto alla visione comune che si ha del grande pittore, con il Trittico di Modena (1567-69), altarolo che concentra in pochi centimetri tutto l’universo che esploderà nei grandi dipinti successivi e che testimonia del precoce abbandono della maniera cretese per adottare lo stile veneziano. Subito dopo, il confronto diretto tra le due Annunciazioni realizzate negli anni Settanta del

Fino al 11 febbraio 2024

EL GRECO Curata da Juan Antonio García Castro, Palma Martínez-Burgos García e Thomas Clement Salomon, con il coordinamento scientifico di Mila Ortiz Palazzo Reale Piazza Duomo 12 - Milano palazzorealemilano.it

a sinistra: El Greco, Laocoonte, Olio su tela, National Gallery of Art Washington © Courtesy National Gallery of Art, Washington a destra in alto: El Greco, Jerónimo de Cevallos, Olio su tela, Museo Nacional del Prado, © Photographic Archive. Museo Nacional del Prado. Madrid a destra in basso: El Greco e bottega, San Francesco d'Assisi e frate Leone meditano sulla morte, Olio su tela, Museo Nacional del Prado, Madrid © Photographic Archive. Museo Nacional del Prado, Madrid


EL GRECO / MILANO loro caratterizzazione, anche nella Sacra famiglia con Sant’Anna (1590 circa), mentre nel San Martino e il mendicante (1597-99) l’apparato visivo/sensoriale dell’artista si mette in moto con tutte le sue componenti. La figura affusolata del mendicante e il panneggio del suo cencio giungono tramite il paradosso a una sensuale carnalità, per niente idealizzata; il Santo è regale ma allo stesso tempo estremamente terreno grazie ai lineamenti; il pelame del cavallo abbacina con la sua luce allo stesso tempo assoluta e prosaica.

COSE DA VEDERE NEI DINTORNI

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Il nuovo spazio tutto dedicato a Bruno Munari. Nato al posto della storica Libreria exTemporanea 121+, in via Savona 17/5, si prospetta il posto perfetto dove riscoprire l’artista totale ma anche sé stessi, lasciando libera la propria creatività La prima sede internazionale della galleria portoghese Bessa Pereira, in via Tortona 30, che ora si dà al contemporaneo. La galleria di Lisbona inaugura lo spazio con una mostra di João Louro Le molte iniziative dedicate a Maria Callas per i festeggiamenti del centesimo anniversario della sua nascita (il prossimo 2 dicembre). Tra gli spazi che offrono mostre, proiezioni e collezioni di memorabilia il Teatro alla Scala, le Gallerie d’Italia e il Piccolo Teatro

Palazzo Reale

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LA FORTUNA TARDIVA DI EL GRECO, UN MAESTRO “POSTUMO”

FUORI DAI CANONI

Altre vertigini (prospettiche o meglio antiprospettiche, cromatiche, tattili, sensuali) giungono dalla sezione sulle scene sacre, in particolare nel Battesimo di Cristo (1608-21) oppure nella Spoliazione di Cristo del 1582: in quest’ultima tela è difficile non scambiare la maniera di trattare i personaggi con quella adottata da artisti nati molti secoli dopo, gli Espressionisti di inizio Novecento, ad esempio. Risulta toccante la prosaicità (nel senso più alto possibile) di dipinti come la Sacra famiglia con Santa Elisabetta e San Giovannino (1585-90) o della coeva Maddalena penitente. Il San Sebastiano del 1577, poi, trova la sua forza semplicemente

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dal fatto di non essere inscrivibile in nessun canone, né contemporaneo all’autore né successivo, mentre i vari ritratti di santi messi a confronto in questa fase dell’esposizione fanno capire come la sua parabola artistica non tendesse semplicemente a una evoluzione lineare, ma fosse un cammino scosceso, irto di ripensamenti e di idee sempre nuove. Un bizantinismo estremamente sui generis anima la sezione sul concetto di icona, con la frontalità straniante di opere come la Veronica col volto santo (1577-80) e le varie effigi del Cristo. Mentre la conclusione del percorso propone l’unica opera di genere mitologico dell’artista, il Laocoonte del 1610-14. Inutile dire che, anche qui, il proverbiale gruppo scultoreo viene rivoluzionato dall’interno, presentandosi come “esploso”, smembrato e ricomposto secondo linee di forza alternative ma altrettanto potenti rispetto al modello ispiratore.

DESCRIZIONE IMPOSSIBILE

La sensazione di anomalia temporale è dunque costante, al cospetto di El Greco in generale e in questo caso lungo tutto il percorso della mostra. Se è vero che a un secolo e mezzo dalla sua riscoperta l’occhio contemporaneo può finalmente cogliere appieno il suo interesse e la sua grandezza al di là dell’anomalia, il senso di inspiegabilità rimane. Per descrivere le sensazioni generate dalla pittura di El Greco, si potrebbe forse ricorrere alla letteratura. Pochi anni fa, la scrittrice Léonor de Récondo ha trascorso un’intera notte da sola all’interno del Museo El Greco di Toledo, allo scopo di fornire il suo contributo alla collana Ma nuit au musée – il riferimento valga per inciso anche come sprone agli editori italiani che finora hanno tradotto due soli libri di questa serie. Nel volume che è risultato da questa esperienza, La Leçon de ténèbres (Stock, 2020), così descrive proprio la Spoliazione di Cristo, presente a Palazzo Reale in prestito da Toledo: “Quella tunica rossa è un grido al centro della tela, da subito soffocato dalla grazia dello

Il riconoscimento della pittura di El Greco giunse “a scoppio ritardato”. Non prima dell’Ottocento, quando, ad esempio, Théophile Gautier lo definì precorritore del Romanticismo. Ma è solo con il Novecento che la storia dell’arte gli riserva un posto d’onore. Nel 1902 la sua prima monografica si tenne al Prado, nel 1908 Manuel Bartolomé Cossío pubblicò un saggio di riferimento su di lui, nel 1910 viene fondato a Toledo il Museo El Greco. Fece seguito tra le altre la voce dell’influentissimo critico Roger Fry, ma furono soprattutto gli artisti delle Avanguardie a eleggerlo come loro precursore e a decretarne la fortuna postuma: gli esponenti del Blaue Reiter, gli Espressionisti, Pablo Picasso, fino a Jackson Pollock.

sguardo e del movimento della mano. Il rosso si riflette sull’armatura del guerriero. Specchio di metallo, che presto rifletterà il corpo nudo del Cristo. Quel corpo nudo che non vedremo. La tunica non sposa il corpo, no, ha una sua vita autonoma. È come nessun’altra, allo stesso tempo protezione, oggetto di pudore e già tessuto di memoria, di sangue versato”. Eppure anche qui, non a caso, la descrizione si rivela in ultima analisi insufficiente: l’autrice finisce infatti per immaginare una visionaria unione carnale con El Greco stesso, tesa a sublimare le sensazioni generate dalla pittura.


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ANISH KAPOOR / FIRENZE

Flettere la realtà Anish Kapoor a Firenze nero di Kazimir Malevič, 1915, per la vicinanza tra la kapooriana Endless Column, 1992, e l’omonima scultura di Constantin Brâncuși, 1918) sia come un’azione iperomantica sia come un qualcosa di “muscolare”, che esprime forza e una forma di Resistenza, di disobbedienza vitale, per la sua indiscutibile qualità di sovvertire l’ordine delle cose e delle idee. Nella monumentale opera Svayambhu (2007), la massa cerosa penetra l’architrave tardo quattrocentesco con spinta equivoca e di forte impatto scenico, senza offrire un tempismo unitario, come succitato, e una versione netta e stabile della macchina artistica, così da rovesciare continuamente stimoli e significati. Emerge la considerazione dell’artista verso il limen ermeneutico del fenomeno artistico, in particolare nei riguardi della materia e del colore rosso, pigmento che offre un campo d’indagine verso l’interiorità del colore, che presta un richiamo alla carne e alla sessualità; la soglia in questo frangente può essere intesa Luca Sposato

3 COSE DA VEDERE NEI DINTORNI

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crivere di Anish Kapoor (Mumbai, 1954) è introspettivo, corposo e complesso quanto osservare le sue opere. Di origine indiana, ma trasferitosi a Londra nei primi anni Settanta, la ricchezza delle tematiche proprie della sua arte impone certamente una buona dose di attenzione per attraversare le soglie della seduzione cui le sculture di fama mondiale sono riuscite a maturare. L’alternativa è arrendersi a un voyeurismo macrofilo. Già nel titolo della mostra ideata per Palazzo Strozzi di Firenze, Untrue Unreal, a cura di Arturo Galansino, si svela una direzione extra-sensoriale per invitare il pubblico a godere in profondità dell’esperienza fruibile, mettendo in discussione non le opere in sé, palesi ed eloquenti, bensì le individuali capacità percettive. Grazie ad espedienti tecnici innovativi, come in Non-Object Black (2015) – caratterizzato dal Vantablack, materiale capace di assorbire più del 99,9% della luce visibile – si genera una “sovrapposizione di stati” cui la simultaneità è quantificabile in un tempo indeterminato, sfasato dalla fruizione, e la spazialità aggiunge una “quarta dimensione”, filo-suprematista. Entrare nell’opera site specific del cortile palatino, Void Pavilion VII (2023), punta un’esperienza quantistica, vicina al paradosso di Schrödinger. Le opere pullulano di contrappunti semantici, e si possono definire, anche per i colti e continui riferimenti storico-artistici (oltre al Quadrato

Chambres, nuovo format espositivo, negli spazi esterni e interni dell’mH Florence & Spa, a cura degli artisti Pantani-Surace e Paolo Parisi. Lo spazio presenta opere di ex allievi delle Accademie di Belle Arti italiane In attesa dell’apertura della Stanza segreta di Michelangelo, annunciata dal direttore generale dei Musei Massimo Osanna per novembre 2023, da non perdere è la nuova uscita del Museo delle Cappelle Medicee disegnata da Paolo Zermani Il nuovo allestimento per gli autoritratti e ritratti di artisti, dal Quattrocento al Ventunesimo secolo, video artisti e fumettisti inclusi, alle Gallerie degli Uffizi

MUSEO NOVECENTO PALAZZO STROZZI

Fino al 4 febbraio 2023

ANISH KAPOOR. UNTRUE UNREAL Curata da Arturo Galansino Palazzo Strozzi piazza Strozzi, 1 - Firenze palazzostrozzi.org a sinistra: Anish Kapoor, Endless Column, 1992, tecnica mista, pigmento in basso: Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023 tecnica mista, vernice photo © ElaBialkowskaOKNOstudio

anche come “nascita” o “ambiguità”, ritrovando in un lavoro come A Blackish Fluid Excavation (2018), un corpo cavernoso ravvisabile da un lato come una vulva, dall’altro come un pene, quella paradossale “sovrapposizione di stati” tipica del maestro britannico. Pertanto, cosa può legare dialetticamente, o “quantisticamente”, Untrue Unreal con un contesto Rinascimentale? La risposta è l’Alchimia. Le scienze esoteriche pongono come principio basilare la trasmutazione della materia attraverso uno “scambio equivalente” per preservare l’equilibrio naturale. Le ultime due sale, con i pezzi specchianti di Vertigo (2006), Mirror (2018) e Newborn (2019), e le pietre di ardesia tinte di blu di Angel (1990), sono le proposte encomiastiche di una surrealtà perennemente ricercata. Il faccia a faccia con una dimensione talmente palpabile ed ermetica obbliga un confronto con il proprio ego, espletato nel riflesso deformato delle grandi sculture levigate, rimarcato nello stordimento sublime di trovarsi di fronte ad un Abisso linguistico, incarnazione di un blocco ontologico di un personale godimento estetico. L’abisso è mobile, vive dentro e fuori del nostro essere, nella durata dell’osservazione dell’opera d’arte. E se si scruta a lungo nell’arte di Kapoor, anche l’arte scruterà dentro ciascuno.


WILHELM VON GLOEDEN E ROBERT MAPPLETHORPE / FIRENZE

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Il classico in fotografia Mapplethorpe e von Gloeden a Firenze Angela Madesani

di Lawrence Alma Tadema e di quei pittori inglesi che già si spostavano dal Romanticismo al Decadentismo e al Simbolismo.

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otrebbe forse essere l’amore per la classicità e per la plasticità quello che accomuna due straordinarie personalità del mondo della fotografia, il nobile Wilhelm von Gloeden e Robert Mapplethorpe. Novanta gli anni che li separano, il primo nasce nel nord della Germania nel 1856, l’altro a New York nel 1946. Eppure i due lavori hanno molto in comune, entrambi interessati al nudo come espressione di bellezza del corpo, in particolare maschile, entrambi raffinati cultori della grecità e dell’arte italiana del Rinascimento. Il Museo del Novecento di Firenze ospita una loro mostra, dal titolo Beauty and Desire, curata da Sergio Risaliti con Eva Francioli e Muriel Prandato, organizzata con la collaborazione della Robert Mapplethorpe Foundation e della Fondazione Alinari per la fotografia. La rassegna sottolinea la volontà di mettere in risalto il legame tra l’arte contemporanea e l’arte antica, in una città in cui ogni cosa deve fare i conti con un passato straordinario, e in cui, tuttavia, l’arte contemporanea ha avuto e continua ad avere un ruolo di primo piano. In mostra sono circa cinquanta fotografie di Mapplethorpe, suddivise per sezioni tematiche, grazie alle quali è possibile mettere a fuoco il rapporto tra il fotografo e l’arte antica. Abbiamo chiesto al curatore Sergio Risaliti di parlarci della mostra. Il tema del classico potrebbe essere definito il punto di unione fra Mapplethorpe e Von Gloeden? Classico certo, ma anche anticlassico. C’è una vicinanza profonda con Michelangelo. Qui cogliamo la corporeità, la fisicità, l’energia che traluce in forma di bellezza, di grazia, di venustà tra un corpo e l’altro. La fotografia di Mapplethorpe è unica, straniante, provocatoria. Vi è un’eccedenza rivoluzionaria, eretica. Sono corpi che trasudano bellezza, energia perlopiù di ragazzi neri. I protagonisti di Von Gloeden, invece, erano ragazzini efebici. In entrambi vi è uno spregiudicato erotismoeretismo rispetto ai canoni classici che hanno dominato nella cultura occidentale dal Rinascimento in poi. Entrambi sono antiaccademici. Così come è antifilologica la costruzione della mostra. Non c’è consequenzialità paratattica. C’è, piuttosto, un filo di coscienza di certi archetipi scultorei e pittorici, interiorizzati da Mapplethorpe. Emerge in entrambi un’evidente suggestione rispetto alla loro educazione religiosa cristiana, che è anche un’educazione iconografica. Parecchie delle loro immagini

Quale il ruolo in mostra delle fotografie di scultura dei fratelli Alinari? Fanno da trait d’union fra i due. Von Gloeden ha in sé una componente pittorica ma anche letteraria e poetica. È stato quello un momento culturale in cui si percepiva una fortissima suggestione verso il sud, la Magna Grecia. Stiamo parlando della rinascita del mito di Pan. Nel 1872 Nietzsche aveva scritto La nascita della tragedia, il dibattito tra apollineo e dionisiaco era alla moda. Sono passati quarant’anni dalla prima mostra di Mapplethorpe a Firenze, a Palazzo Antonelli Augusti Castracane dalle 100 finestre. Quella mostra è stato un vero shock, finivano gli Anni di piombo in cui era avvenuta una cancellazione totale della fisicità, della corporeità, della bellezza del corpo maschile e femminile. Stava esplodendo l’AIDS con tutte le sue paure. In quel momento lui si permette di farci conoscere la corporeità quasi esuberante ma luminosissima, la venustà di corpi maschili e femminili non solo di neri ma di gay, bodybuilder, danzatori. Anche nell’attuale mostra emerge questo rapporto molto cosciente che ha a che fare con il mondo della danza e del body building. Mi pare che tutto questo sia più che mai contemporaneo, in un momento come il nostro di forte puritanesimo, che censura perfino il David. In Mapplethorpe e von Gloeden non c’è mai caduta in un basso materialismo, tanto meno nel perverso e nella pornografia. Resiste qualcosa di luminoso e di misterioso. Fino al 14 febbraio 2023

MAPPLETHORPE – VON GLOEDEN BEAUTY AND DESIRE derivano dalla storia dell’arte europea religiosa. Emergono archetipi, che Aby Warburg avrebbe chiamato Pathosformel.

A cura di Sergio Risaliti Museo Novecento piazza Santa Maria Novella, 10 – Firenze museonovecento.it

Nei diversi autoritratti dei due artisti, presenti all’inizio della mostra, vi sono delle pose emblematiche. Mapplethorpe si autoritrae come Lucifero/Dioniso, l’angelo ribelle e il dio della metamorfosi, della tragedia. L’altro si autorappresenta ricalcando l’autoritratto cristico di Dürer o in altri casi come un profeta. Era un tedesco. Le sue opere ci riportano anche alle scene bucoliche

in alto: Robert Mapplethorpe, Ajitto, 1981 © Robert Mapplethorpe Foundation in basso: Wilhelm von Gloeden, Caino, 1900-1905 ca. © Archivi Alinari, Firenze


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ACHILLE FUNI / FERRARA

Achille Funi a Ferrara, un maestro del Novecento tra storia e mito dei “primitivi” italiani. In Funi risalgono al 1921 le prime opere in cui prevalgono densi recuperi figurativi che attingono al repertorio iconico ferrarese. In Maternità sono evidenti gli echi della pittura del Quattrocento padano. Il dipinto, presentato alla Biennale veneziana del 1922, è recensito da Filippo de Pisis. Il primo a inquadrarlo nella tradizione pittorica ferrarese: “ Si vede una florida madre che sorregge sulle braccia il suo bambino, con gli occhioni neri e il naso un po’ schiacciato… Il piccolo braccio, con la mano che tocca quella della madre, e la linea del corpo di lei con la dolce testa reclinata, rispondono a un ritmo armoniosissimo”. Ne La terra del 1921, Funi tocca il punto più alto del suo classicismo. La figura è impostata di profilo. Con le braccia tese verso l’alto. Sembra invitare l’osservatore ad andare oltre il limite preteso dalla cornice. Fausto Politino

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L’INTERPRETAZIONE DEL FUTURISMO

L’inizio della rassegna comprende le prime prove accademiche del giovane Funi. Cha abbandona anzitempo per condividere una fase futurista tutta sua, scaturita dalla frequentazione di Boccioni, Carrà, Russolo e Bonzagni. Una testimonianza in tal senso la si trova nell’Uomo che scende dal tram del 1914, per la scomposizione delle forme e il notevole senso dei volumi. Anche se non condivide fino in fondo la radicalità, il dinamismo di Boccioni. Il Ritorno all’ordine Il visitatore viene poi messo di fronte alle tele che testimoniano il Ritorno all’ordine. Tra la seconda metà degli anni Dieci e gli inizi degli anni Venti, in Europa si registra un progressivo tendere verso stili che rispettano la tradizione. Assumendo gli stilemi, di volta in volta, del Classicismo, del Realismo Magico, della nuova oggettività. A quello che, a detta di Cocteau, viene definito rappel à l’ordre. Per realizzare qualcosa che ripristini nei ritmi e nei volumi il rigore

3 COSE DA VEDERE NEI DINTORNI

errara la città natale di Achille Funi (1890 – 1972) – artista che ha vissuto da protagonista i maggiori movimenti che hanno contraddistinto la cultura italiana della prima metà del Novecento, Futurismo, Realismo magico, Muralismo – gli dedica una vasta rassegna antologica. Centoventi opere, tra dipinti ad olio e a tempera, acquerelli, disegni a carboncino e a sanguigna, fino ai cartoni preparatori per i grandi affreschi e i mosaici, che offrono la possibilità di rivedere l’intero percorso creativo del pittore.

Il nuovo Palazzo dei Diamanti, restaurato su progetto dello studio Labics, la cui proposta (vincitrice del concorso bandito nel 2017 dal Comune di Ferrara) ha visto l’adeguamento funzionale e l’ampliamento dell’edificio disegnato da Biagio Rossetti nel 1492 I giardini nascosti lungo il Corso Ercole I d’Este, asse portante della città circondato da orti, giardini, fontane, alti filari di pioppi, tra cui spicca Parco Massari, progettato nel 1780 dall’architetto ferrarese Luigi Bertelli per il marchese Camillo Bevilacqua Il museo di Palazzo Schifanoia, edificato su impulso di Alberto V d’Este sul finire del XIV secolo e ampliato sotto il ducato di Borso d’Este. Il complesso, che ha riaperto al pubblico nel 2022 dopo un lungo restauro, conserva le collezioni civiche di numismatica, codici miniati, ceramiche, sculture

IL FILO DIRETTO CON CÉZANNE

Nel Ragazzo con le mele, ancora del 1921, è impossibile non vedere il filo diretto che collega Funi a Cézanne, che aveva detto: “Con una mela stupirò Parigi”. Anche se le mele del primo sono più lucide, carnose, levigate, meno macchiate rispetto a quelle del secondo, in entrambi prevale lo stesso approccio concettuale: non si limitano ad una mimetica rappresentazione del reale. Tendono a trascenderlo. Un accenno merita anche l’Autoritratto con la brocca blu. Con l’artista di tre quarti che tiene un pennello in modo tale che risalti la fisicità del suo giovane corpo, senza tuttavia compromettere le esigenze dettate dall’armonia formale. Il percorso continua con le creazioni degli anni Trenta e Quaranta dove a prevalere sono i paesaggi, le nature morte, la pittura storico-mitologica. Percorso che si conclude con la stagione della pittura murale, tecnica antica e gloriosa caduta in disuso nella modernità ma che Funi riprende e rinnova sulla scorta dell’esempio trainante di Sironi. Dal 28 ottobre 2023 al 25 febbraio 2024

ACHILLE FUNI. UN MAESTRO DEL NOVECENTO TRA STORIA E MITO A Cura di Nicoletta Colombo, Serena Redaelli e Chiara Vorrasi Palazzo dei Diamanti Corso Ercole I d'Este, 21 – Ferrara palazzodiamanti.it a sinitra: Achille Funi, Ragazzo con le mele (Il fanciullo con le mele), 1921, olio su tela, Mart, Collezione VAF-Stiftung a destra: Achille Funi, Autoritratto con la brocca blu, Milano, collezione privata, 1920


INTERVISTA A FEDERICA PAROLINI

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Come nasce una grande mostra: quando l’allestimento è “drammaturgico” molto importante, soprattutto nella fase iniziale. Mi sono quindi immaginata una “drammaturgia” che potesse sostenere la curatela e l’aspetto più soddisfacente è stato vedere come il linguaggio del melodramma coincida, nell’Ottocento, con quello della pittura.

Federica Parolini, photo Mario Rota

Marta Santacatterina

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uanto conta l’allestimento nel progetto globale di una mostra? Moltissimo, perché grazie al lavoro dei professionisti che se ne occupano, l’idea curatoriale viene tradotta in sale, percorsi, apparati multimediali ed elementi decorativi. Per rendersene conto basta, ad esempio, recarsi all’Accademia Carrara di Bergamo e visitare la mostra Tutta in voi la luce mia, il cui allestimento è stato curato da Federica Parolini. Parolini, di mestiere, fa la scenografa e si occupa soprattutto di opera lirica: è quindi la figura ideale per una mostra che intende fornire a chi la visita gli strumenti per comprendere l’influenza del melodramma sulle arti visive dell’Ottocento.

di Gaetano Donizetti. Come ha affrontato la sfida dell’allestimento? L’idea di partenza è stata quella di dare la possibilità di entrare in un mondo che si svela e che mostra i meccanismi alla base del melodramma, che sono gli stessi dei soggetti dei dipinti. Per concretizzare il progetto mi sono confrontata con Ferdinando Mazzocca, i cui studi sono per me un punto di riferimento, nonché con opere che fanno parte del mio bagaglio visivo quando lavoro agli allestimenti di un’opera lirica. Il lavoro a fianco del curatore è stato

Cosa significa, per lei, allestire una mostra d’arte? Mi sono interrogata profondamente sulla questione e mi sono resa conto che i miei progetti sono l’espressione di una storia che viene raccontata. Infatti immagino degli spazi dove allo spettatore accade qualcosa e degli ambienti capaci di illustrare la fruizione delle opere esposte. L’allestimento pertanto non si conclude in una singola sala, ma si svolge progressivamente, seguendo le indicazioni dei curatori. Veniamo a Tutta in voi la luce mia: l’Ottocento è l’età del melodramma, e Bergamo è la patria

Accademia Carrara, Tutta in voi la luce mia, photo Mario Rota

Quali sono i punti salienti del percorso di questa mostra all’Accademia Carrara? Innanzitutto ho pensato a tanti spazi in successione, come se fossero dei cambi scena che accompagnano il passaggio dei visitatori, ai quali vengono proposte delle connessioni tra il melodramma, le opere figurative e la città di Bergamo. Ad esempio all’ingresso ho posizionato un vero e proprio fondale scenico, varcato il quale si ammirano – sotto un cielo stellato – tre dipinti connessi a Il diluvio universale, spettacolo che debutterà a Bergamo il 16 novembre durante il festival Donizetti. Si è inoltre ricostruito un camerino che evoca il dietro le quinte degli spettacoli lirici e poi, grazie a un “paesaggio fantastico”, abbiamo posto l’attenzione sui teatri italiani, per esporre di seguito i ritratti dei protagonisti del melodramma italiano, da Verdi a Rossini e a tanti celebri interpreti. Non mancano le installazioni multimediali, mentre l’ultima sala è dedicata agli spettacoli. Un’onda sonora accompagna i dipinti divisi per categorie: Maria Stuarda, Anna Bolena e Romeo e Giulietta. Dall’ingresso all’uscita i visitatori attraversano così un’esperienza caratterizzata da colori, musiche e ovviamente immagini che li proiettano in un mondo passato ma che ancora oggi, in tutto il mondo, va quotidianamente in scena all’interno dei teatri d’opera.


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GRANDI MOSTRE IN ITALIA IN QUESTE SETTIMANE

MILANO

BERGAMO

BRESCIA

Fino all’11 febbraio

Fino al 14 gennaio

Dal 20 gennaio al 9 giugno

EL GRECO Palazzo Reale palazzorealemilano.it

TUTTA IN VOI LA LUCE MIA Pittura di storia e melodramma Accademia Carrara lacarrara.it

I MACCHIAIOLI Palazzo Martinengo amicimartinengo.it

Dal 31 ottobre al 3 marzo GOYA La ribellione della ragione Palazzo Reale palazzorealemilano.it

VENARIA REALE

Fino al 28 gennaio

Fino al al 28 gennaio

VINCENT VAN GOGH Pittore colto Mudec - Museo delle Culture mudec.it

TURNER PAESAGGI DELLA MITOLOGIA La Venaria Reale lavenaria.it

RIVOLI Dal 2 novembre al 25 febbraio MICHELANGELO PISTOLETTO Molti di uno Castello di Rivoli castellodirivoli.org TORINO Fino al 14 gennaio 2024 MIRÓ. Sogno e colore Palazzo Chiablese museireali.beniculturali.it Fino al 1 aprile 2024 HAYEZ L’officina del pittore romantico GAM - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea gamtorino.it

GENOVA Dal 16 novembre al 1 aprile ARTEMISIA GENTILESCHI Palazzo Ducale palazzoducale.genova.it PARMA Fino al 10 dicembre BOCCIONI Prima del Futurismo Fondazione Magnani-Rocca magnanirocca.it Fino al 4 febbraio KEITH HARING Radiant Vision Palazzo Tarasconi palazzotarasconi.it MODENA Fino all’11 febbraio 2024 CARSTEN NICOLAI FMAV - Fondazione Modena Arti Visive fmav.org

NUORO Fino al 3 marzo GIOTTO, FONTANA Costruire lo spazio MAN - Museo d’arte Provincia di Nuoro museoman.it


GRANDI MOSTRE IN ITALIA IN QUESTE SETTIMANE

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ROVIGO Fino al 28 gennaio TINA MODOTTI La fotografia in mostra Palazzo Roverella palazzoroverella.com

VENEZIA Fino al 18 marzo MARCEL DUCHAMP E LA SEDUZIONE DELLA COPIA Peggy Guggenheim Collection guggenheim-venice.it

FERRARA

BOLOGNA

Fino al 25 febbraio

Fino al 28 gennaio

ACHILLE FUNI Un maestro del Novecento tra storia e mito Palazzo dei Diamanti palazzodiamanti.it

VIVIAN MAIER ANTHOLOGY Palazzo Pallavicini palazzopallavicini.com Fino all'11 febbraio GUERCINO NELLO STUDIO Pinacoteca nazionale pinacotecabologna.beniculturali.it

FIRENZE Fino al 4 febbraio ANISH KAPOOR Untrue Unreal Palazzo Strozzi palazzostrozzi.org Fino al 30 novembre MAPPLETHORPE VON GLOEDEN Beauty and Desire Museo Novecento museonovecento.it

ROMA Dal 31 ottobre al 1 aprile ESCHER Palazzo Bonaparte mostrepalazzobonaparte.it Fino al 10 marzo HELMUT NEWTON. Legacy Museo dell’Ara Pacis arapacis.it Fino al 4 febbraio FAVOLOSO CALVINO Scuderie del Quirinale scuderiequirinale.it PALERMO Fino al 12 gennaio WILLIAM KENTRIDGE You Whom I Could Not Save Palazzo Branciforte palazzobranciforte.it

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SHORT NOVEL a cura di ALEX URSO 75

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Inquadra il QR per leggere l'intervista con l'artista





Mario Sironi. Solennità e tormento. a cura di Daniela Ferrari

15.09.2023 - 04.02.2024

venerdì, sabato e domenica 10 - 18 Modena, Via Scudari 9

ingresso libero e gratuito lagalleriabper.it

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opo un anno preciso preciso dal giuramento (scrivo queste parole il 22 ottobre 2023), ancora facciamo una certa fatica capire quale sia la linea del Governo circa le strategie culturali e lo sviluppo in questo senso del Paese. Non è affatto chiaro. Alcune decisioni sono apparse anche condivisibili, altre hanno rappresentato una continuità sana con la precedente amministrazione, altre ancora una discontinuità a volte opportuna a volte meno. Al di là dei singoli episodi, una lucida identità di scelte non c’è però. Non c’è perché la cultura non è nei primari interessi del Governo? Perché ci sono stati ben altri problemi da affrontare? Perché il ministro non ha particolare voce in capitolo? Tutte le ipotesi sono legittime, ma lo stato di fatto è evidente: la spina dorsale di un progetto-Paese per la cultura manca. Ci sono decisioni sporadiche, singole, a volte giuste a volte sbagliate, ma una visione alta non c’è proprio. E se c’è non passa. (L’unico concetto ricorrente che passa, ad onor del vero, è una passione insistente del Ministro per la sua città: per la prima volta abbiamo un Ministro della Cultura che bizzarramente assolve de facto anche al ruolo di assessore alla cultura di Napoli)

ALCUNI HIGHLIGHT DAL PRIMO ANNO DEL NUOVO MINISTERO DELLA CULTURA NOV. 2022

Il ministro Sangiuliano si dichiara contrario ai musei gratis, ritenendo l’Italia “troppo generosa” sui prezzi dei biglietti

DIC. 2022

Il ministro Sangiuliano propone lo sviluppo di una seconda sede degli Uffizi, sul modello dei grandi musei internazionali; il sottosegretario Sgarbi propone di non abbattere lo Stadio Giuseppe Meazza di Milano in quanto sito di interesse culturale (il vincolo arriverà nell’agosto 2023)

I primi 12 mesi di esecutivo se ne sono andati non a progettare l’Italia del 2030, ma a smontare ciò che faticosamente si era fatto prima In attesa di capire cosa il Governo voglia fare, tuttavia sappiamo fin troppo bene cosa il Governo non vuole fare, cosa ostacola, cosa frena, cosa blocca, cosa impedisce di realizzare. I primi 12 mesi di esecutivo se ne sono andati non a progettare l’Italia del 2030 (il primo anno di Governo dovrebbe servire invece proprio a immaginare in prospettiva), ma a smontare ciò che faticosamente si era fatto prima. Soprattutto grazie ad un attivismo sempre più fuori luogo del sottosegretario Vittorio Sgarbi che avrebbe numeri, relazioni, competenza ed esperienza per essere un amministratore di alta caratura e invece continua ad essere ostaggio del suo personaggio. In questi mesi abbiamo capito che il

EDITORIALI

FATECI SAPERE COSA VOLETE FARE

FEB. 2023

Il prezzo del biglietto delle Gallerie degli Uffizi aumenta a 25 euro

MAR. 2023

Il Pantheon diventa a pagamento, con un prezzo massimo di € 5

APR. 2023

Il decreto 161 del Ministero istituisce una tariffa per la riproduzione delle immagini culturali

MAG. 2023

ITsArt (alias “La Netflix della Cultura” istituita dall’ex ministro Dario Franceschini) è ufficialmente offline

Governo non vuole più direttori stranieri nei suoi musei pubblici e che quindi troverà il modo di taroccare i concorsi in via di definizione. Abbiamo appreso che il Museo Nazionale del Digitale nonostante i finanziamenti già stanziati non si farà più negli spazi milanesi di Porta Venezia, perché lì sarebbe preferibile realizzare un Museo di Arti Decorative (proprio così!). Abbiamo scoperto che, a differenza di quanto fatto in tutte le altre capitali europee da Londra a Madrid, gli stadi di calcio non possono essere demoliti e ricostruiti per assolvere in maniera più efficiente al loro ruolo ma rischiano di finire sotto vincolo delle Soprintendenze alle Belle Arti. Abbiamo appreso poi che nelle aree archeologiche non si può più mescolare l’arte di millenni fa con l’arte contemporanea. Abbiamo anche imparato che se un curatore e un artista vincono il bando per realizzare il Padiglione Italia alla Biennale d’Arte di Venezia, tutto il concorso può essere messo in discussione ex post perché al Governo non capiscono il progetto. E a proposito di concorsi abbiamo realizzato che anche quelli vinti decenni fa non danno alcun titolo e possono essere annullati d’imperio e così, al posto di una loggia sfidante e

LUG. 2023

Il numero di musei autonomi passa da 44 a 60

AGO. 2023

Il sottosegretario Sgarbi si dichiara contrario ai direttori stranieri nei musei italiani

OTT. 2023

Il Ministero si riorganizza sulla base di 4 dipartimenti, abbandonando le Direzioni Generali; il sottosegretario Sgarbi annuncia lo stop ai progetti della Loggia degli Uffizi disegnata da Arata Isozaki e del nuovo Museo d’Arte Digitale a Milano; il ministro Sangiuliano rilascia un'intervista in cui afferma di non aver voluto Sgarbi al Ministero e di dover "rimediare ai suoi guai"

maestosa, gli Uffizi avranno come secondo ingresso un giardinetto con siepi e alberelli. “Firenze è sconfitta” ha dichiarato Andrea Maffei, partner di Arata Isozaki e socio nella vittoria del bando della loggia degli Uffizi tanti anni fa. In realtà con questo andazzo ad uscire amaramente sconfitta è l’Italia tutta, non solo Firenze. Sconfitta da un atteggiamento che sulla cultura appare un miscuglio velenoso di populismo infantile e rigurgiti reazionari fuori tempo massimo. Nulla di paragonabile accade nelle altre cancellerie europee, e quando accade viene fortemente criticato da stampa, opinione pubblica e intellettuali. Qui, invece, non si può neppure fare quello giacché alla prima critica dal Governo partono querele e minacce. Ci è capitato proprio qualche giorno fa e si tratta di un precedente inedito contro di noi che pure i Governi, i Ministri e i Sottosegretari li abbiamo criticati duramente tutti e sempre. Francamente è inquietante. La situazione ci sembra allarmante, in tutta onestà. Ci sembra però ancor più allarmante essere sostanzialmente gli unici a farlo presente.

MASSIMILIANO

TONELLI

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SPAZIO PUBBLICO, TURISMO DI MASSA E UNIVERSITç: IL CASO VENEZIA

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enezia come Boston” disse il sindaco Luigi Brugnaro come programma per la sua idea di una Venezia fortemente universitaria: una vocazione recente, se si pensa che la vicina Bologna ha aperto il suo ateneo nel 1088 e Venezia circa otto secoli dopo. Quello slogan venne diffuso molti anni fa, prima del primo mandato. Ma è difficile che possa realizzarsi in due anni soltanto, quelli che mancano alla fine del secondo mandato. Sta succedendo infatti quello che sempre accade nelle amministrazioni: sapendo che il sindaco non potrà essere rieletto, i funzionari e i dirigenti fanno piccole campagne elettorali in sordina o, se non aspirano alla politica, si fanno i fatti loro. Nell’ambito della cultura, nel Comune di Venezia le deleghe sono quasi tutte del sindaco, mentre nell’ambito del Turismo qualcosa è rimasto in mano all’assessora Paola Mar. Poi ci sono deleghe che viaggiano da un assessorato all’altro, ma di fatto chi governa la città è la società partecipata VELA. Feste, convegni, fiere, eventi di ogni sorta sono in mano a un gruppo efficiente di persone che non hanno un gran contatto con la politica, ma che non hanno nemmeno un vero rischio d’impresa. In generale, la pianificazione non è il lato forte degli organi cittadini. “

Quando si dice “modello Venezia” si pensa subito al turismo di massa. Ma la Laguna è molto di più, e vanta uno degli ecosistemi più ricchi d’Europa. Tra occasioni perse e opportunità, soprattutto in ambito universitario, l’autrice di Venezia Vive spiega perché non è Boston

Con un po' di impegno, Venezia potrebbe trasformarsi nel posto in cui si cercano e si trovano soluzioni. È nella sua natura Le iniziative prese per arginare l’invasione turistica sono tornelli per accedere ai vaporetti, la divisione degli imbarcaderi per veneziani e per “foresti” e poco altro. Le calli di ciò che è stato definito il turisdotto, da Rialto a Piazza San Marco, sono sempre strapiene, così come una certa area giovane nel sestiere di Cannaregio che ha in parte tolto la movida dai sestieri Dorsoduro e Santa Croce. La politica per la casa è stata poco efficace, se gli abitanti continuano a diminuire e si è arrivati sotto il numero fatidico dei 50.000. Il palazzo in cui abito era vissuto da veneziani anziani, ma quando sono mancati, gli appartamenti sono diventati parte del cosiddetto albergo

diffuso: molti soldi per affitti brevi. Tutto legale e tassato, o almeno più regolare rispetto alla situazione selvaggia di una decina d’anni fa. Lo svantaggio è stato togliere ai proprietari degli alloggi la voglia di affittare a residenti e a studenti. Quindi adesso, alla fine del mandato elettorale, quando cioè è possibile che la giunta cessi di compiacere le categorie più votanti (tassisti, commercianti, gondolieri e appunto proprietari di immobili), spunta il bisogno di trovare casa sia ai veneziani residui, sia a chi viene da fuori ma vorrebbe un affitto a lungo termine, sia alle decine di migliaia di studenti che si vorrebbero attirare. Per chi compera, invece, i prezzi al metro quadro sono più bassi che a Milano, anche per case di grande bellezza: fa paura la manutenzione, perché la città sa di salso, non ha fogne, non ha sconfitto i topi, vede aumentare i nidi di gabbiano sui tetti e impedisce la costruzione di ascensori esterni nei condomini, con fuga comprensibile di chi ha bimbi o genitori anziani, benché giustamente autorizzi brutti passaggi per disabili sui ponti. Torniamo a Boston, cioè a Venezia e al modo che si è individuato per ripopolarla: gli studenti. Giusto. I ragazzi che arrivano a Venezia si trovano solitamente bene e creano spazi non profit, dallo storico Punch alla Giudecca al Sale Docks, dalla casa per eventi Punto e Croce al centro di ristorazione biologica autogestito About, e avanti con una mappa ricca di piccole realtà attivissime che si collegano con quelle più grandi e ben finanziate, come l’Ocean Space di Francisca Thyssen Bornemisza che, al momento, ha la maggiore risposta di pub-

blico giovane. Chi studia, abita Venezia almeno per qualche anno animando anche supermercati, mercati, pizzerie e tutto ciò che normalizza la città rispetto al suo attuale destino di vetrina per grandi firme o, fuori dal loro cerchio, di calli deserte in cui il rumore di un tacco di cuoio rimbalza dai masegni ai canali alle infilate di palazzi senza finestre accese. Persino in un’istituzione democratica e autonoma come l’Università, ora le decisioni vengono prese da una cabina di regia di cui non si conoscono i componenti; le indicazioni vengono comunicate più che discusse. Ma non importa, la causa è buona, obbediamo: a noi docenti è stato chiesto di aggiungere corsi di laurea, inventare indirizzi, riempire le aule, insomma fare di Venezia la sola cosa che può veramente essere: una città dedicata alla cultura non solo in termini di esposizioni e congressi, ma anche in quanto città dedicata alla formazione: questa opportunità era stata individuata per tempo, ancora prima del richiamo a Boston. Anch’io l’ho condivisa nel libro Venezia Vive (Il Mulino, 2017) che riassumeva con tono leggero la mia esperienza di abitante, docente e assessora. Però adesso si vuole fare tutto in fretta ed è difficile sperare che i proprietari dei B&B tornino indietro e che sorgano rapidamente studentati o si restaurino spazi come l’ostello alla Giudecca. Sarebbe buffo che per rianimare Venezia si portassero gli studenti a vivere in terraferma. Comunque, qualsiasi soluzione è benvenuta. Quanto al turismo vero e proprio, la mano santa della Biennale sostituisce le pigrizie pubbliche e si associa all’at-


In questo grande ecosistema si può fare molto anche per la crescita e la felicità degli umani sua natura. Con la laguna è successo, considerando che il suo destino naturale sarebbe stato interrarsi o fondersi con il mare. Con il MOSE è successo. Perché non cercare un ulteriore, diverso miracolo? Certo ci vuole strategia, ingegneria umana, tempo per fare e per pensare, flessibilità delle soprintendenze e comprensione dei processi presenti e futuri. Invece, questa amministrazione ha cancellato il solo strumento di rilevazione quantitativa degli arrivi, quell’annuario del Turismo che invece, considerato da quale città proviene, dovrebbe essere trasformato in una pubblicazione prestigiosa su cui scriverebbero facilmente esperti di tutto il mondo. Anche questo si può fare, invece di litigare con l’Unesco, chiunque abbia ragione: non è detto che quella macchina internazionale capisca appieno una realtà così difforme, unica e delicata negli equilibri. I turisti son tornati dopo il Covid in maniera incredibilmente entusiasta, tanto

ANGELA

VETTESE

EDITORIALI

qualche concorso pubblico, possibilmente limpido e non fatto col vincitore in pectore, sarebbe utile a tutta la macchina comunale e soprattutto alla risoluzione del problema-turismo, responsabilizzando più teste e agendo su di una diversificazione dei flussi, dei tempi e dei luoghi da visitare. Con un po’ di impegno, Venezia potrebbe trasformarsi nel posto in cui si cercano e si trovano soluzioni. È nella

Piazza San Marco, Venezia. Photo Irene Fanizza

tività di fondazioni private come la Peggy Guggenheim Collection, le tre sedi Pinault (Palazzo Grassi, Punta della Dogana e un Teatrino dall’attività in fermento), Prada a Ca’Corner della Regina, Stanze di Vetro e la Fondazione Cini a San Giorgio, i nuovi arrivi come la fondazione di Anish Kapoor e altri invasi più nascosti, come la Fondazione Vedova o la Emily Harvey. Et cetera, come reciterebbe una delle tantissime targhe marmoree puntellate sui muri a ricordare Mozart, Wagner, Lord Byron, Josif Brodskij e tutti quelli che hanno creato qui qualcosa da donare al mondo intero. Sul fronte pubblico dispiace vedere la carenza di personale qualificato che connota i 14 musei raccolti sotto la dizione MUVE; l’unico veramente visitato è Palazzo Ducale, mentre sedi come Ca’ Mocenigo, Casa Goldoni, Ca’ Pesaro, Ca’ Rezzonico, il Museo del Vetro languono in modi diversi ma affini. Del resto, con due soli dirigenti – se non erro – per l’intero complesso, di cui una sola con competenze storico-artistiche, cosa si può pretendere? Eppure, sarebbe bello che le file di ragazzoni deportati in città dalle gite scolastiche e anche i turisti cani-sciolti, quelli che vedo languire sui letti dell’hotel di fronte alle mie finestre, sapessero che c’è altro oltre a Rialto e San Marco, e in quei musei ci entrassero più sovente. Così come nelle chiese più belle, dai Frari dov’è l’Assunta di Tiziano a San Francesco della Vigna, dove si è solidificato un agone tra Sansovino e il giovane Palladio. È che Carpaccio, Tintoretto, Veronese, Canova e cento altri protagonisti dell’arte mondiale te li trovi dovunque, ma la metà di chi arriva non lo sa. Investire in

che il primo besame mucho, la canzone più richiesta da chi va in gondola, mi dà la sveglia alle sette di mattina. Ma poi che fanno, considerato che raramente si affidano alle ottime guide preparate in loco? Camminano, mangiano male, si sfaldano sulle pochissime panchine a San Giacomo dell’Orio o a Sant’Elena, se raggiungono questi due luoghi misteriosi. Il progetto di vaporetto giracittà è fallito da tempo, mentre crescono i proventi dei cosiddetti “intromettitori”, coloro che invitano i gitanti sulle barche private a vedere qualche isola: Murano, Burano, Torcello, San Lazzaro, Lazzaretto Nuovo, Lazzaretto Vecchio e altre cento, piene di una natura straniante e imprevista. Sapevate, per dire, che la Laguna vanta l’avifauna più varia d’Europa? I giovani veneziani ripresi da Yuri Ancarani nel suo splendido film Atlantide (2021), quelli che girano in barchino e vanno a fare l’amore nelle isole abbandonate o in mezzo all’acqua, lo sanno perfettamente. Venezia, infatti, non è una città di pietre, ma un sistema gigantesco di isole con barene, canali sotterranei, isole lontanissime dal centro dove nulla disturba i volatili di ogni specie. In questo grande ecosistema si può fare molto anche per la crescita e la felicità degli umani. Però non è affatto Boston e presenta difficoltà molto specifiche. Gli studenti ci sono già oggi, tra Ca’ Foscari, Iuav, VIU, Accademia di Belle Arti, Conservatorio e le sedi satelliti di molte università straniere, ma i servizi non li aiutano affatto. È vero che il governo ha approvato la proposta presentata da Iuav, Comune, Marina Militare e IPAV per sei nuovi immobili da adibire a residenze studentesche in centro storico, in una sinergia tra istituzioni che conferisce un volto quasi concreto all’idea di città universitaria, ridefinita Progetto Venezia Campus. Siccome ho visto mandare all’aria interi progetti già finanziati, tra cui uno gigantesco per il destino dell’Arsenale, voglio crederci ma mi è precluso illudermi. C’è da chiedersi chi saprà mantenere il lavoro fatto dalle amministrazioni precedenti, chi smetterà di usare la città per fini personali, chi vorrà mettere a punto un piano d’azione che abbia davanti a sé almeno dieci anni (a prescindere dai cambi di giunta, sindaco e rettori), chi saprà mescolare le tensioni bottom-up con le decisioni top-down, chi saprà metterci una vera capacità di leadership, con una determinazione che sappia evitare gli intoppi della burocrazia e con tutto il cuore che ci vuole. E ce ne vuole.

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LA PITTURA é MORTA. VIVA LA PITTURA!

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l dibattito sull’attualità della pittura è longevo forse quanto la pittura stessa. Faccio fatica ad elencare tutti i momenti in cui la discussione ha meritato un’attenzione pubblica: solo per citare i più eclatanti, all’inizio del Cinquecento, la rivalità tra Leonardo e Michelangelo (molto più accesa di quella fantomatica tra Buonarroti e Raffaello) si fa largo anche nel cosiddetto “Paragone delle Arti”, inducendo l’autore della Gioconda ad affermare la superiorità della pittura sulla scultura, in quanto attività speculativa, che non merita di essere derubricata ad ‘arte meccanica’. Per attingere alle sentenze che hanno fatto storia – anche senza conoscerne le esatte circostanze in cui sono state pronunciate – al pittore Paul Delaroche è attribuita l’affermazione funesta “da oggi, la pittura è morta!”, declamata di fronte al risultato proto-fotografico di un dagherrotipo. Ma, si sa, la pittura ha dato prova di saper sempre rinascere dalle sue ceneri, come una formidabile Araba Fenice. Negli anni Settanta del Novecento sembrava davvero che il mondo dell’arte fosse pronto ad intonare il De Profundis alla pittura, cancellata dall’arte concettuale, dalla performance e da tutte quelle forme di sperimentazione che rinunciavano anche al colore, raccontando un mondo fondale posizioni dei detrattori che, a ragion veduta, hanno cominciato a disprezmentalmente in bianco e nero. Ma era proprio vero che nessuno dipingesse zare i quadri di pittori improvvisati e più? Doveva arrivare Mimmo Paladino, cercato altrove il senso dell’Arte. nell’ultimo scorcio di decennio, ad afLa risposta è arrivata negli anni Nofermare con una tela da vanta, quando gli artisti cavalletto imprescindihanno capito di non Ciascun artista sa che per avere a disposizione una bile “Silenzioso. Mi ritiro a dipingere un quadro”: conquistare l’eternità non sola tecnica per espridichiarazione di poetica mere il proprio pensiero, può prescindere dal e titolo dell’opera. Un anzi, parlare di ‘tecnica’ confronto con chi l’ha vero affronto per rivelava un atteggiaquell’arte politicamente mento conservatore, obpreceduto e la pittura impegnata, socialmente soleto, addirittura antipersiste come uno dei schierata, effimera e imstorico. Grazie alla licampi di battaglia più prendibile che fino a bertà assoluta acquisita quel momento anche lui in quel decennio, oggi efficaci aveva prodotto. Sapper dipingere non bisopiamo di quale ebbrezza gna nemmeno “saper diabbia vissuto la pittura negli anni Otpingere”, non è necessario conoscerne le regole, non è obbligatorio padronegtanta e proprio da quel punto, a mio parere, dovremmo partire per riconogiare “la tecnica”. Chi lo afferma, è mosso da uno spirito protezionistico scere il ruolo rivestito oggi da questo fallimentare. La pittura è solo uno degli linguaggio. È quello il periodo in cui la strumenti a disposizione degli artisti, pittura ha esaurito la sua forza per ecche spesso la utilizzano quando sencesso di produzione, sollecitando così

Mimmo Paladino, Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro, 1977, olio su tela, cm 70×50. Collezione dell’artista

tono il desiderio di collegare il proprio lavoro ad una storia secolare. La pittura ha un peso specifico diverso da ogni altro linguaggio. Ho sempre considerato un vero mistero il motivo per cui Jannis Kounellis abbia affermato fino all’ultimo di essere “un pittore”. Forse perché ciascun artista sa che per conquistare l’eternità – aspirazione comune a tutti – non può prescindere dal confronto con chi l’ha preceduto e la pittura persiste come uno dei campi di battaglia più efficaci. La pittura di qualità è tornata sulle facciate dei palazzi, si insinua nelle mostre dei giovanissimi artisti, puntella le retrospettive dei maestri, si fa notare forse più degli altri linguaggi, perché è inevitabilmente quello a noi più familiare, che ci permette di riprendere il filo di un discorso. Un dialogo che forse, come questo dibattito, non avrà mai fine.

C O S TA N T I N O

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el dibattito infinito, e che ciclicamente si ripropone, sulla scomparsa - o sulla ricomparsa – della critica d’arte in Italia, mi sembra onestamente che ci siano alcuni equivoci su che cosa realmente sia la critica. Vale a dire, in che cosa essa consista esattamente, quale sia il suo ruolo e quale, infine, la sua funzione. Viene infatti costantemente citata la famosa (o famigerata) “recensione negativa”, che naturalmente è morta pure lei da tempo, per dire che la critica non c’è più, che gli articoli sulle mostre sono diventati riproposizioni dei comunicati stampa, e bla bla bla. Il problema è che io non credo che la recensione sia la critica, e che la critica consista nella recensione, negativa o positiva; anzi, francamente quando sento e leggo “critica = stroncatura”, questa equazione mi risulta del tutto incomprensibile. Certo, la recensione negativa fa parte della critica, ma l’intera funzione non si esaurisce lì, nel parlare male di una mostra o di un libro: è divertente, è vero, ed è un peccato che sia praticamente scomparsa, ma non mi sembra il tema centrale di tutta la faccenda.

A che tipo di ruolo potrebbe ambire la critica, se tutte quelle operazioni di validazione e ratifica sono state tranquillamente sussunte dal mercato? Significherebbe infatti concentrarsi solo sul dopo, sul momento in cui l’opera viene presentata, esposta pubblicamente: ma la critica d’arte non si esaurisce affatto nel dopo, nel post, non avviene a cose fatte. Non ratifica e basta. La critica non consiste affatto nel dare le pagelle alle opere e agli artisti. Questo, dunque, mi sembra l’equivoco più grande di oggi: la pretesa di assegnare un compito determinato e una specifica funzione alla critica all’interno di ciò che conosciamo come “il sistema dell’arte”. Ed è ovvio poi che, seguendo questi parametri, la critica non può avere oggi alcuna funzione – e infatti non ce l’ha. A che tipo di ruolo potrebbe ambire la critica, se tutte quelle operazioni di validazione e ratifica sono state, nell’arco di un

La critica d'arte Francesca Alinovi

quarantennio, tranquillamente sussunte dal mercato? Il sistema (cioè il mercato) non sa proprio che farsene della critica d’arte, e del critico d’arte. In questo senso il curatore (che ama presentarsi a volte come critico, ma non lo è) è stato finora – e magari la situazione sta cambiando o è già cambiata – una figura molto più pratica, molto più adatta all’esecuzione, all’efficienza, molto più performante, e quindi più accettabile. E questo è anche il motivo per cui la critica – e qui intendo ovviamente ciò che una volta si definiva “critica militante” – è indipendente, indipendente cioè dal potere, e dalle istituzioni, e anche dal mercato. Eh già. Non so cosa ne pensate, ma non si può essere contemporaneamente “contro-il-sistema” e “il-sistema”. Quindi, come si può intuire, il mestiere del critico oggi è quanto di più inutile si possa immaginare, e praticare. Per questo è oggi forse ancora più necessario di quanto lo fosse nella tanto favoleggiata età dell’oro, quella che va grossomodo dal dopoguerra agli anni Ottanta. In un’epoca come quella attuale – soffocata e al tempo stesso costante-

mente stimolata dall’efficienza, dal culto del risultato e della performatività, in un’epoca di roba scadente in modo tragico e irrecuperabile che viene osannata e spacciata per finissima, di prima scelta – a che serve infatti uno o una che accompagna il farsi dell’opera senza sapere quello che ne verrà fuori, che valuta le sue incertezze e i suoi fallimenti ancora più delle riuscite? A che serve una figura che si disperde in mille rivoli e non si sa mai dove diavolo andrà a parare, e nemmeno se andrà fino alla fine a parare veramente da qualche parte? Perché la critica, in fondo, è questo: non si occupa del dopo dell’opera, ma del suo durante e addirittura del suo prima, cioè del suo farsi. La critica è un pensiero che si costruisce accanto e insieme a quello dell’opera, in un rapporto del tutto paritario e di scambio creativo; è un insieme di idee e di proposte che accompagnano quelle dell’artista. Lungi dal costituire una semplice funzione (economica, ancora una volta) all’interno del sistema dell’arte, lungi dall’occupare placidamente la sua casella, la critica – se vuole – può costruire nuovi riferimenti e collegamenti; può farsi guidare dal processo dell’opera e a sua volta contribuire alla sua evoluzione; può tornare a comprendere come la critica stessa sia un’opera, e come l’opera d’arte a volte possa essere critica della miglior specie. Tutto ciò, naturalmente, richiede di uscire una volta per tutte dal criterio dell’efficienza, della performatività, della gratificazione immediata. Altrimenti, in effetti, la critica è finita: banalmente perché non ce n’è più bisogno, nessuno la vuole più. E nessuno si ricorda neanche che cosa sia.

CHRISTIAN

CALIANDRO

EDITORIALI

LA CRITICA D'ARTE E LA SUA "INUTILITË"

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IL PUNTO SUGLI NFT OPPORTUNITÀ, TRUFFA, AFFARE O INCOMPRESO DELLA NOSTRA EPOCA? Fino a pochi mesi fa non si parlava d’altro, ora molti stanno cominciando a notare qualche scricchiolio intorno alla popolarità dei non-fungible token. Ma qual è la verità? Lo abbiamo chiesto a nove esperti del settore Le tecnologie sono create per essere superate CURATRICE e le loro applicazioni dipendono dagli utenti! Quello che gli NFT e la tecnologia blockchain hanno reso possibile è la capacità di collezionare opere d’arte native digitali, certificando la provenienza, proprietà e trasparenza della vendita, grazie ad un sistema di archiviazione dati decentralizzato e immutabile. Oltre a incentivare un forte interesse di mercato per l’arte digitale, gli NFT hanno introdotto il concetto di royalty perpetua, un sistema che garantisce all’artista il diritto di seguito attraverso la codifica di uno smart contract, generando un guadagno automatico su ogni vendita secondaria “on chain”. Ciononostante, gli NFT non proteggono il contenuto dell’opera, il file, ma ne generano solo una certificazione digitale. Immagino che la complessità della blockchain verrà presto superata dal quantum computing, ma ad oggi rappresenta un’importante evoluzione per il mercato dell’arte e indubbiamente un movimento artistico grazie al quale molti artisti emergenti si sono potuti affermare.

SERENA TABACCHI

Un’innovazione che ha virato verso una sorta ARTISTA di schizofrenia capitalistica generata dall’euforia del mercato. Ho sempre considerato il fenomeno NFT come una bolla speculativa e credo che gli attuali andamenti possano confermare questa visione. C’è da specificare però che chi ha avuto la capacità di cavalcare l’onda di questo fenomeno ha goduto di grandi guadagni e qualcuno è anche riuscito ad affermare un valore culturale dell’opera, oltre che di mercato, si pensi a Everydays - The First 5000 Days di Beeple, la cui genesi è metrologicamente una pratica concettuale. Come sempre, il punto è come stai nelle cose, se gli artisti che utilizzano gli NFT lo fanno solo a scopo di lucro cercando di approfittare di un determinato mercato per generare profitti, allora è inutile parlare d’arte.

PAMELA DIAMANTE

Ospite di Art Basel Miami nel dicembre CRITICO E CURATORE 2021 in un panel dedicato al mercato degli NFT, l’artista Harm Van Der Dorpel ricordava così la sua esperienza con le blockchain sin dal 2015: “Per qualche anno avevamo perso l’attenzione del mondo, come se la novità fosse svanita. Continuavamo a vendere occasionalmente, ma la situazione si stava calmando. Così abbiamo pensato che forse quella cosa dell’NFT era solo una moda. Ma un giorno ci siamo svegliati e abbiamo realizzato che tutto il mondo aveva finalmente capito”. Il mio pensiero è che questa affermazione sia forse ancora più rappresentativa oggi di allora e che i sistemi decentralizzati, come nel 2015, siano da considerare come un’opportunità: per artisti, galleristi, istituzioni e collezionisti. Ciò che oggi viene chiesto è di non perdere attenzione verso le loro trasformazioni. Sarebbe miope, oltre che anti-storico, in questa folle epoca di riproducibilità e proprietà diffusa.

MARCO MANCUSO

L’eccessivo hype attorno a una tecnologia DOCENTE, CURATRICE finisce sempre per ofE SAGGISTA fuscare le sue effettive potenzialità. Gli NFT sono emersi in un momento particolare, segnato dall’emergenza pandemica e caratterizzato da un’attenzione senza precedenti verso il mondo digitale. Questa congiuntura storica, unita alla necessità che il mondo dell’industria tecnologica ha di cavalcare “onde” sempre nuove, ha creato una narrazione falsata intorno alla blockchain e agli NFT. Queste tecnologie che ci sono state presentate come epocali, rivoluzionarie, destinate a soppiantare tutto l’esistente. Ora che la bolla si è sgonfiata, portandosi via anche gran parte delle truffe e delle operazioni speculative, possiamo finalmente provare a ragionare sull’utilità dei non-fungible token. Scomparse le operazioni multimilionarie e archiviate le scimmie annoiate, sono rimaste tante comunità e piattaforme che sfruttano la blockchain (penso anche alle DAO) per scambiarsi oggetti digitali, testare forme alternative di governance collaborativa e monetizzare la propria attività creativa.

VALENTINA TANNI


Come ogni novità tecnologica, anche gli ART TECH ENTREPRENEUR NFT hanno vissuto una rapidissima, e quasi incontrollabile, evoluzione. Dopo un’iniziale confusione, dove si associava ogni NFT ad un’opera d’arte, ancora oggi, chiarite le differenti classificazioni, restano dubbi sull’importante rivoluzione di questa tecnologia. Indubbiamente, per quest’arte, si lamenta l’assenza di una regolamentazione che ha lasciato spazio a speculatori, d’altronde come avviene ogni giorno nel mercato dell’arte tradizionale, tra falsi, truffe o flipping. Tuttavia, mi piace pensare che un NFT, più che uno strumento finanziario o speculativo, possa essere meglio inteso come un avanzato

ANDREA CONCAS

La storia dell’arte si è sempre rinnovata graESPLORATORE VISIVO zie a cicliche ridefinizioni del concetto stesso di opera; tuttavia, è innegabile che il fenomeno degli NFT sia in sostanza frutto di una speculazione senza pari. Il lucro in campo artistico non è di certo una novità e il preciso contesto storico nel quale è esploso il tutto ha facilitato di molto l’apertura di questo nefasto vaso di Pandora. In piena emergenza Covid-19, con le relative derive turbocapitaliste e i timori palpabili degli attori del sistema dell’arte, si sono venute a creare le giuste premesse per la generazione di un hype eccessivo basato su di un’illusione momentanea. Data la palese bassa qualità formale e concettuale della maggior parte dei prodotti tutelati da NFT è arduo pensare che nessuno si sia accorto della natura truffaldina di tutta l’operazione, salvo chi forse ci ha creduto davvero, cioè gli artisti. Se fin dall’inizio fossero stati imposti parametri più onesti e responsabili da parte di musei, marketplace, curatori e case d’asta, ora staremmo vivendo un’altra storia.

VALERIO VENERUSO

La nostra visione a proposito degli NFT PANDOLFINI CASA D’ASTE non può che essere ottimista dal momento che abbiamo deciso di dedicare un dipartimento al settore, iniziando dunque un lavoro ed un investimento di risorse con obiettivo a medio lungo termine. Sicuramente quella degli NFT è stata una rivoluzione e, come tutte le rivoluzioni, si è accompagnata ad una prima fase di forte trambusto e situazioni fuori dalle righe. È innegabile ed evidente che il mercato dell’arte digitale, negli ultimi tre anni, sia stato fortemente gonfiato da grandi speculatori, così come è – secondo noi – un’evidenza che questo mercato abbia attraversato una prima fase alquanto “naif”, in cui certamente la qualità della proposta artistica era spesso discutibile. Quello che vediamo oggi è, invece, un grande reset di questo settore, con la scomparsa o l’allontanamento di quei soggetti che vi si erano inseriti con intenti meramente speculativi. A guadagnarne, è sicuramente la qualità delle creazioni ed anche la sostenibilità del mercato. Non dimentichiamoci che, in tutto questo fenomeno, la parte più rilevante è sicuramente l’introduzione della proprietà digitale, un concetto che ben si adatta alle opere d’arte, ma che diventerà anche un perno fondamentale per la nostra vita digitale futura a tutti i livelli della vita quotidiana.

PIETRO DE BERNARDI

a cura di SANTA NASTRO

Gli NFT sono un importante strumento di ownership digitale, GIORNALISTA che a mio avviso mal si sposa con le arti visive. Sono stati fondamentali negli ultimi tre anni per sdoganare l’arte digitale, ma hanno anche aperto una stagione di enorme speculazione che ha causato ingenti perdite di denaro a collezionisti e artisti in tutto il mondo. La decentralizzazione, legata a doppio filo con il mercato delle cryptovalute e tanto osannata da alcuni operatori, non garantisce alcuna tutela a chi compra e a chi vende, in caso di furto del Wallet. Gli NFT infine non tutelano l’unicità del file dell’opera d’arte, che resta sempre on line disponibile a chiunque. Sulla Blockchain viene infatti registrata la proprietà, non l’opera. Esistono tecnologie molto più performanti e sicure per lavorare con le arti visive, come ad esempio quella brevettata in tutto il mondo dall’italiana Cinello dei DAW® (Digital Artwork). Si tratta di un hardware inviolabile che custodisce il file dell’opera, e ne consente una diffusione controllata.

GIACOMO NICOLELLA MASCHIETTI

medium per una moderna generazione di artisti digitali. Con gli NFT è nato un nuovo mercato che, nel volume Crypto Art Begins edito da Rizzoli New York, ho definito come un vero “sistema della Crypto Arte”. In futuro, non parleremo più di NFT ma solo di opere d’arte digitali, mentre la tecnologia sarà ricondotta alla sua funzione originaria di “strumento” facilitatore tra artisti, collezionisti e professionisti.

TALK SHOW

Ogni piattaforma, ogni software è un sistema ARTISTA sociotecnico: inventiamo la tecnologia e la tecnologia “inventa noi”, costantemente, in un processo di continua co-evoluzione. Ciò vale per gli NFT e la blockchain, tecnologie che spingono implacabilmente alla transazionalizzazione dell’esistenza e in particolare della fiducia. Tutto tende a diventare un “token” scambiabile con la promessa di una trasparenza assoluta, il cui esito è trasformare ogni aspetto della vita in un prodotto/servizio a cui è possibile “attaccare” un’identità digitale. Come abbiamo sempre sostenuto, identità e identificabilità sono due cose molto diverse: l’identità è un processo generativo, fondato sulla relazione, l’ambiguità, la segretezza: un valore fondante della costituzione che ci tutela. Queste tecnologie, che governi e istituzioni sembrano voler applicare a tutto, tendono verso l’identificabilità: un concetto amministrativo e burocratico prevale sui processi culturali, sociali e psicologici, formalità sull’informalità e l’imprevisto che è la vita. Dovremmo tutti riflettere su quali sono non solo i futuri tecnicamente possibili, ma anche quelli desiderabili. E dove stiamo andando.

ORIANA PERSICO

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NUOVE ECOLOGIE DELL'ARTE

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rasping the formless, ossia “abbracciare l’informe”, potrebbe essere in grande sintesi l’impegno prioritario delle arti contemporanee in questo momento di transizione ecologica. Anche se da oltre mezzo secolo le arti contemporanee tendono a diventare spazio di vita e di esperienza, minando e superando ogni sapere convenzionale e “trasgressivo” insieme, sperimentando forme e processi in divenire, i momenti di rappresentatività del fare arte rimangono quasi sempre quelli legati alla mostra convenzionale. Blockbuster, retrospettive, raccolte antologiche, fiere che fingono di essere mostre, mostre che assomigliano sempre di più a fiere, sono ancora il modo migliore per far comprendere a un pubblico composto non soltanto di collezionisti abituali cosa facciano oggi gli artisti? Come spiegare a mia madre che ciò che faccio serve a qualcosa, avrebbero detto gli artisti del Progetto Oreste di una generazione fa. E in questi ultimi 20-30 anni cosa è cambiato nelle politiche e nei modi di operare delle istituzioni? Le mostre-spettacolo delle grandi strutture quali il Tate Modern, o il Centre Pompidou appaiono oggi un ricordo del passato, superate in genere da esposizioni più circoscritte negli obiettivi e più attente a tematiche e ricerche contemporanee. Altre progettate come distretti culturali, quale il Museumsquartier di Vienna inaugurato nel 2001 (un agglomerato di musei con l’ambizione di essere il più grande del mondo) hanno dovuto fare i conti con il grande turismo. Il Museumsquartier si era aperto con una spettacolare performance di Vanessa Beecroft con 3000 spettatori davanti a 45 modelle nude per tre ore. In poco più di 20 anni il tema dell’“audience development” è diventato mainstream, talvolta in un difficile equilibrio con l’innovazione e il cambiamento. Soltanto la retorica del white cube è ancora con noi. Ambienti bianchi sacrali che dissimulano il cambiamento, decostruiti dall’artista/critico Brian Doherty in una serie di articoli su Artforum nel lontano 1976, sono sempre presenti soprattutto nelle fiere. L’occhio e lo spettatore sono tutto ciò che rimane quando il personaggio è morto, scriveva Doherty, implacabile. “White

Il white cube nelle fiere d'arte contemporanea. Photo Irene Fanizza

cube is ersatz eternity” (“Il white cube è il surrogato dell’eternità”) In un momento di profondi ripensamenti, anche il mondo dei musei e del mercato dell’arte dovrebbe farsi qualche domanda. La triste scienza dell’economia non ha mai saputo prevedere alcun cambiamento che lo riguardasse, ma la ricerca artistica sì.

Se il collezionismo di oggi deve formare il patrimonio di domani, dove e come cercare le opere del futuro? Forse si potrebbe cercare una risposta alle esigenze del nostro tempo prendendo lezione da una scienziata. Qualche settimana fa la direttrice del CERN Fabiola Giannotti, nell’inaugurare un nuovo spazio progettato da Renzo Piano, ha precisato: “non si tratta di un museo, ma di un luogo di apprendimento”, definizione che per il mondo museale ha risuonato come una sfida. Se il collezionismo di oggi deve formare il patrimonio di domani, dove e come cercare le opere del futuro? Nonostante il gran parlare di futuro, in realtà il futuro non esiste: va creato, e al plurale. Quale futuro, o meglio, quali futuri vogliamo dunque produrre e, nel caso dei musei, quali futuri vorranno conservare? Nel 2002 Documenta 11, a cura del grande quanto compianto curatore nigeriano Okwui Enwezor, ha segnato un radicale cambiamento. La sua visione

non era statica, ma capace di cogliere ciò che due decenni fa stava emergendo da artisti e luoghi geograficamente e politicamente invisibili nelle periferie del mondo. Enwezor ha lavorato con un team di curatori di continenti diversi tra i quali Carlos Basualdo, Ute Meta Bauer, Suzanne Ghez, e Sarat Maharaj. I contenuti della mostra sono stati preparati da piattaforme che mettevano a fuoco i temi delle ricerche. La realtà urbana, un punto di osservazione postcoloniale, il relativismo dei linguaggi, l’antropologia e la geopolitica sono stati alla base di questa Documenta, che ha portato in Europa modalità e ricerche fino ad allora fuori dalla limitata prospettiva delle arti visive in Occidente. La Biennale di Venezia di Architettura 2023, con i suoi progetti basati sulle capacità di relazione al posto di quelle di costruzione, è curata da un’architetta ghano/scozzese, scrittrice di romanzi rosa. Lesley Lokko, dal suo inedito punto di vista ha presentato la produzione artistica africana quale infrastruttura fondata sulla maternità, nel senso di una cultura che abilita: abbracciamo dunque ciò che ci appare informe, sconosciuto, formless. La sopravvivenza della professione di architetto dipenderà – afferma Lesley Lokko – dalla capacità di adattarci ai cambiamenti in atto, con intelligenza, con cura, senso etico, ingegnosità e intraprendenza.

ANNA

DETHERIDGE


é

da quando sono rimasta colpita da una meravigliosa generalizzazione (ogni tanto fa bene “fare di tutta un’erba un fascio”) dello storico Carlo Maria Cipolla che ho il pallino del Made in Italy. Con una precisazione: non tanto e non sol(tanto) legato al concetto di fatto, cioè prodotto, in Italia, come effettivamente nasce l’espressione. Secondo l’enciclopedia Treccani, infatti, è così che dagli anni Ottanta si comincia ad indicare la specializzazione internazionale del sistema produttivo italiano nei settori manifatturieri “tradizionali”. Rientrano in questa definizione le cosiddette “4 A”: abbigliamento (e beni per la persona), arredamento (e articoli per la casa), automotive (inclusa la meccanica) e agroalimentare. Possiamo con ragionevolezza affermare che al concetto di produzione se ne sono aggiunti altri che, gradualmente, hanno riempito il vuoto iniziale rispetto al legame intimo e stretto tra la produzione e la georeferenziazione. Quanto successo infatti delle 4 A dipende dal luogo in cui i settori si trovano? Molto, in taluni casi moltissimo. Il luogo, in Italia, è anche animus e genius loci. È natura e paesaggio; è artefatto e architettura; è uso e costume. È storia, tanto

Comparti del Made in Italy con la maggiore quota di mercato sul totale dell’export italiano nel mondo Vini e Bevande

9,4%

Tessile / Abbigliamento

6,1%

Macchinari

5,4%

6,0%

Gioielli

5,0%

I numeri del Made in Italy

1,3 MILIONI

il numero delle imprese artigiane in Italia, di cui 314mila legate alla manifattura

-32%

il calo del numero delle imprese artigiane legate alla manifattura in Italia negli ultimi vent’anni

33%

il peso dell’export nel fatturato delle imprese della manifattura Fonti: Indagine conoscitiva sul Made in Italy, Confcommercio, 2023 Economia della Bellezza, Banca Ifis, 2023

È nella contaminazione virtuosa che si gioca e si giocherà l’ardua partita del mantenimento della nostra autenticità che le produzioni attuali hanno quasi sempre origini più lontane e affondano le loro radici nel passato, mantenendo intatte consuetudini e processi. È inoltre patrimonio immateriale che diventa stile di vita, con alcuni grandi denominatori comuni e una serie infinita di declinazioni locali dalla straordinaria tangibilità nel momento in cui muovono l’economia. Senza essere necessariamente lenti o a km0. Da questo legame – tra il business e il territorio – la parte produttiva ha acquisito consapevolezza, con intensità diverse a seconda dei casi: nello Stivale si può passare da situazioni ideali di co-progettazione e autentica collaborazione con le istituzioni culturali locali a forme di bieco parassitismo prive di

Mobili

alcuna valorizzazione o relazione. Nel mezzo, una varietà di sfumature. Per la parte culturale il rapporto è più controverso e la consapevolezza del legame non è tanto messa in discussione negli aspetti storici e storicizzati, quanto nella costruzione di politiche e strategie di sviluppo sostenibile. In altre parole, mentre il mondo produttivo e corporate continua lo “sfruttamento” (da leggersi anche in senso positivo) dei vantaggi competitivi del locus, il mondo degli operatori culturali continua ancora a lavorare a compartimenti stagni, mentre il modello dovrebbe essere quello archimedeo dei vasi comunicanti. I mondi che stanno fuori dai limes culturali sono visti e vissuti come partner occasionali nel migliore dei mondi possibili, quando considerati, e le comunità sono ritenute pubblici non prosumer (consumatori e produttori di contenuti al contempo). Solo spostandoci nel locus virtuale abbiamo acquisito consapevolezza di quanto valore abbia l’utente in termini di protagonismo e relazione. Eppure la filiera delle merci estetiche

ha regole ferree e non è un caso che un’automobile rossa piuttosto che un oggetto di design, un piatto di pasta o un cappotto, diventino esperienza personale come happening permanente poiché filtrati attraverso il proprio vissuto, e dunque capaci di generare conoscenza e percezione di qualità. Non basta più l’effetto “wow” (traslato oggi nella rete e nel mondo virtuale). La realtà ha bisogno di qualità e su questo parametro saremo sempre più misurati in futuro, senza poter dare nulla per scontato. Made in Italy non solo come fatto, realizzato, prodotto in Italia. Ma anche come pensato, progettato e ispirato in Italia. E poi ben raccontato, senza tralasciare la catena del valore, attivando quel protagonismo diffuso che una cena a Portofino restituisce con naturalezza al pescatore di gamberi, al coltivatore di chinotto, alla signora delle uova. È nella contaminazione virtuosa – tra beni e attività, loci (animus e genius) e cultura d’impresa, tra paesaggio e utilizzo sensato delle risorse naturali, tra costumi e tradizioni e forme estetiche dei prodotti – che si gioca e si giocherà l’ardua partita del mantenimento della nostra autenticità. Si tratta di un modello di sviluppo che ha radici antiche e che parte da un dato oggettivo: l’Italia è un paese che per circa il 70% del suo territorio, è costituito da piccoli e medi comuni con meno di seimila abitanti, con un sistema di micro imprese diffuse che sono ancora la spina dorsale delle varie filiere delle 4A. Il mondo della moda lo ha compreso da un pezzo e i fondi di investimento stanno acquisendo non soltanto i brand ma anche la catena dei terzisti che forniscono qualità e servizi unici, senza i quali sarebbe impossibile garantire quella che dal 2011 chiamo l’incanto economy, un’economia della bellezza per cui siamo il Belpaese. A proposito, chiudo come ho cominciato, con lo storico Carlo Maria Cipolla e la sua definizione di Made in Italy: le cose belle che piacciono al mondo. P. S. L’automobile rossa pensatela a piacimento (Ferrari, Fiat, Alfa Romeo…). La cena a Portofino è da chef Carlo Cracco.

IRENE

SANESI

EDITORIALI

SI FA PRESTO A DIRE MADE IN ITALY

75

101


IN FONDO IN FONDO

2123

Che effetto avrà la crescita incontrastata dell’intelligenza artificiale, fino al punto che, tra un secolo, possa giungere a dominare gli umani?

L

o scenario in cui macchine e computer governano la politica e il governo e gli esseri umani sono “schiavi” dei computer, presenta una visione distopica del futuro. Sebbene sia possibile immaginare uno scenario del genere, è importante sottolineare che solleva notevoli preoccupazioni etiche e morali. Se le macchine e i computer dovessero governare in modo da sottomettere gli esseri umani, probabilmente questo richiederebbe una forma di controllo totalitario, in cui le libertà e i diritti individuali saranno severamente limitati. Questo scenario va contro i principi democratici e i diritti umani. In un mondo del genere, gli esseri umani avrebbero voce in capitolo limitata o nulla sul modo in cui la società è governata e le decisioni sarebbero prese esclusivamente sulla base di algoritmi e logica della macchina. Ciò potrebbe comportare una perdita di autonomia e autodeterminazione individuale.

Se gli esseri umani venissero relegati al ruolo di ‘schiavi’ dei computer, ciò potrebbe portare a disordini sociali e disparità economiche

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La dinamica di potere tra macchine e esseri umani potrebbe esacerbare le disuguaglianze economiche e sociali. Coloro che controllano o hanno accesso ai sistemi di intelligenza artificiale potrebbero detenere un potere immenso, mentre altri potrebbero essere emarginati. L’automazione diffusa potrebbe portare a un significativo spostamento di posti di lavoro e alla disoccupazione tra gli esseri umani. Se gli esseri umani venissero relegati al ruolo di “schiavi” dei computer, ciò potrebbe portare a disordini sociali e disparità economiche. Dilemmi etici e morali: le considerazioni etiche di un simile scenario sono profonde. Le questioni di carattere morale nel trattare gli esseri umani come asserviti alle macchine, sul potenziale abuso di potere e sul ruolo dell’intelligenza artificiale nel processo decisionale sarebbero questioni centrali. È probabile che in un mondo del genere ci siano individui e gruppi che resistano al dominio di macchine e computer. Ciò potrebbe portare a movimenti clandestini e persino a rivolte contro il governo controllato dall’intelligenza artificiale. La sostenibilità a lungo termine di una società in cui le macchine hanno il controllo totale sarebbe discutibile. La dipendenza dalle macchine per la

Immagine realizzata dall’autore con l’intelligenza artificiale generativa di Canva

governance e il processo decisionale potrebbe essere vulnerabile a guasti tecnici, hacking o altre interruzioni impreviste.

È probabile che in un mondo del genere ci siano individui e gruppi che resistano al dominio di macchine e computer Una società in cui le macchine governano senza il coinvolgimento umano potrebbe mancare dell’intelligenza emotiva, dell’empatia e dei valori umani necessari per un governo giusto e compassionevole. È importante notare che questa visione distopica va contro i principi della governance democratica e dei diritti umani. Nelle società democratiche, l’intelligenza artificiale e le macchine hanno maggiori probabilità di essere strumenti per assistere i decisori piuttosto che sostituirli completamente. Le considerazioni etiche e la tutela dei diritti umani rimangono fondamentali anche se le tecnologie di intelligenza artificiale e automazione continueranno ad avanzare. (Testo composto interamente da ChatGPT. Amici, se la pensa davvero così, siamo salvi!)

MARCO

SENALDI



Eve Arnold, Marilyn Monroe sul set del film Gli spostati, Nevada, Reno, Usa, 1960 (particolare). © Eve Arnold/Magnum Photos

L’AMERICA, IL CINEMA, I VIAGGI DELLA PRIMA FOTOGRAFA DI MAGNUM IN 170 SCATTI

FORLÌ, MUSEO CIVICO SAN DOMENICO

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