AGROMILLORA ITALIA - OLINT MAGAZINE

LA P R I M A R I V I STA I TA L I A N A D E D I C ATA A L S U P E R I N T E N S I VO

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CUS ECO L FO

O V I S N

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L’INNOVAZIONE AL CENTRO DELL’AGRICOLTURA

FAI GERMO GL IAR E L E TU E IDEE

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Sommario

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Il sistema olivicolo superintensivo è l’unico modo di coltivare l’olivo che permette di produrre olio extra vergine abbattendo i costi di produzione.

Salvatore CAMPOSEO

Sostenibilità agronomica ed ambientale del sistema colturale superintensivo

Silvia STRICCOLI

Editoriale Il superintensivo è davvero l’unico modo di coltivare l’olivo in forma economica, meccanizzata ed efficace? Parliamone nel primo magazine italiano dedicato al tema.

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Roberto ROBERTI

Nuovi sistemi colturali in mandorlicoltura 40

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SMART TREE® Angelo GODINI

15 anni di esperienze sull’alta densità in olivicoltura Si possono unire nozioni tecnicoscientifiche ai ricordi di un percorso di studi (e di vita) iniziato 15 anni fa? Il professor Godini ci è riuscito!

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Concetta GENTILE

Coltivazione biologica di oliveti superintensivi: un’opportunità a supporto del reddito dell’azienda olivicola L’olivicoltura nei paesi europei mostra sempre più i segni della crisi dovuta agli elevati costi di produzione.

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Giuseppe Rutigliano

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Olint People

Superintensivo?

Parliamone Vari anni di riflessioni e interrogativi su come coltivare l’olivo in forma economica, meccanizzata ed efficace.

Fin dalla sua nascita, l’impatto del superintensivo è stato di dimensioni tali da diffondersi rapidamente dalla Spagna ad altre regioni e ad altri paesi.

Il vantaggio economico del metodo sta nella rapida entrata in produzione delle piante e dai bassi costi della manodopera. Per questo motivo crediamo fondamentale far nascere questa rivista come strumento utile per tutti gli utenti, per poter partecipare liberamente esprimendo le proprie opinioni. La realtà del fenomeno superintensivo avanza a grande velocità in tutto il mondo e si va imponendo nelle principali zone olivicole del mondo.

L’intenzione è quella di fornire un servizio a tutti i nostri lettori, rendendoli partecipi di tutte le novità e invitandoli anche a partecipare, apportando le proprie idee e dando i suggerimenti che ritengono opportuni.

Siamo un gruppo giovane e pieno di entusiasmo. Il nostro obiettivo è quello di lavorare con umiltà e onestà, trasmettendo tutto il nostro sapere ai nostri lettori.

Crediamo fermamente che l’olivicoltura moderna debba andare in questa direzione e, anche se siamo consapevoli che il metodo di coltivazione tradizionale dell’olivo ha ancora grande seguito, sappiamo che è necessario guardare all’introduzione di nuove tecnologie.

Accettiamo le critiche come un’opportunità di migliorarci, come una possibilità costruttiva

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di crescita e come spunto di riflessione per superare gli ostacoli e fornire ai nostri lettori una rivista sempre migliore, fornendo più informazioni possibili e cercando di fugare anche i dubbi che sempre possono sorgere davanti alle innovazioni. La tecnica si evolve rapidamente e costantemente ma la cultura del nostro paese è ancora troppo rivolta al passato, nonostante l’olivicoltura tradizionale sia penalizzata a causa dei costi troppo elevati e di una eccessiva dipendenza dai contributi comunitari.

Se non convertiamo l’olivicoltura in una produzione economicamente sostenibile, una volta che i contributi diminuiranno o spariranno del tutto, sarà troppo tardi per porre rimedio.La nascita del primo periodico d’informazione in lingua italiana dedicato interamente al metodo superintensivo.

Anni di riflessioni e interrogativi su come coltivare l’olivo in forma economica, meccanizzata ed efficace anno portato alla nascita del sistema superintensivo. Questo metodo di coltivazione dell’olivo è stato messo a punto per la prima volta nel 1994 dall’ ”Agromillora Catalana” nell’area di Barcellona e, fin dalla sua nascita, ha avuto un impatto di dimensioni tali da diffondersi rapidamente in tutto il mondo, imponendosi come metodo di coltivazione in tutte le nazioni tradizionalmente olivicole. Il boom del superintensivo è legato al vantaggio economico del metodo, grazie alla rapida entrata in produzione delle piante e ai bassi costi della manodopera grazie alla completa meccanizzazione delle operazioni di potatura e raccolta.

Negli ultimi anni, il sistema superintensivo si sta diffondendo rapidamente anche in Italia, paese tradizionalmente vocato all’olivicoltura, da qui l’esigenza di un periodico di informazione in lingua italiana, strumento utile per gli operatori del settore e non, per poter entrare in contatto con questa

nuova realtà.

Tradizione e innovazione: questo è il nostro motto e lo vogliamo condividere con i nostri lettori. Siamo fortemente convinti che il settore agricolo in generale e quindi anche quello olivicolo, sia in una profonda fase di trasformazione e se vogliamo partecipare attivamente al futuro del comparto, anziché limitarci a subirlo, non possiamo più ignorare il nuovo che avanza.

Il metodo superintensivo è al giorno d’oggi l’unica alternativa valida per realizzare nuovi impianti olivicoli tecnicamente ed economicamente validi e per gestire in modo più efficiente gli input agronomici, garantendo una gestione dell’oliveto ecocompatibile e rispettosa dell’ambiente.

Il periodico avrà lo scopo di far scoprire ad un pubblico sempre più ampio questo rivoluzionario metodo di coltivazione dell’olivo seguendo tutte le fasi della coltivazione della pianta (impianto, concimazione, difesa fitosanitaria, ecc…), di far conoscere le nuove varietà in commercio e le scoperte della ricerca genetica, di presentare in anteprima tutte le novità tecniche e i macchinari di ultima generazione in commercio, nonché di informare su tutti gli eventi che verranno organizzati sul territorio nazionale (viaggi, riunioni, giornate dimostrative ecc…), lasciando largo spazio anche alla possibilità di interagire con i lettori per scambiare idee, aspettative, suggerimenti e per condividere le proprie esperienze personali.

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Silvia STRICCOLI

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anni di esperienze sull’alta densità in olivicoltura ANGELO GODINI

Già Professore ordinario di Arboricoltura e Direttore del Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” Alti costi di produzione non compensati dai prezzi di vendita del prodotto olio extra vergine riguardano almeno l’80-90% dell’olivicoltura italiana e quindi anche pugliese. Lo stato di crisi nel quale versa il comparto dura ormai da tempo, tanto che la sua sopravvivenza è subordinata, fin dal 1966, ai sussidi annui dell’Unione Europea. Convinti di tanto, il Prof. Bellomo e chi scrive non esitarono a recarsi nel 1999 in Spagna alla notizia di un nuovo modello colturale dell’olivo, chiamato superintensivo, totalmente meccanizzato e perciòcapace di consentire un notevole abbattimento dei costi di produzione, così da rendere nuovamente competitiva la nostra olivicoltura. L’Autore ripercorre i quindici anni (1999-2014) trascorsi a studiare possibilità e limiti d’applicazione, almeno in Puglia, del superintensivo e rivendica per sé e per il Prof. Bellomo l’essere stati i primi, se non a conoscere, a credere in quel modello rivoluzionario, che, partendo da zero, nel mondo ha oggi superato 200.000 ettari.

Nella primavera del 1999 Francesco Bellomo, Professore Associato di Meccanica agraria, mi propose di collaborare ad un programma di ricerche che gli era stato finanziato dalla Regione Puglia, Ispettorato all’agricoltura della provincia di Foggia. Il programma aveva come finalità quella di individuare e proporre innovazioni dell’olivicoltura tradizionale foggiana con interventi di tipo meccanico

ed agronomico miranti all’abbattimento dei costi di produzione.

Risposi al Prof. Bellomo che, sebbene avessi cominciato a scrivere di olivicoltura nel 1965, avevo anche smesso di farlo nel 1982, quando, secondo il mio personale e del tutto arbitrario - ripeto arbitrario - modo di vedere, mi ero reso conto che nessun ulteriore, sostanziale miglioramento sarebbe

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stato possibile raggiungere con i mezzi allora a disposizione (forbici pneumatiche, piattaforme elevatrici, ganasce vibratrici, pettini oscillanti, cascolanti chimici, ecc.) per ridurre i costi di produzione, che già allora erano superiori al prezzo di vendita dell’olio extra vergineal netto degli aiuti comunitari.

Si badi bene che il mio riferimento non andava all’olivicoltura pugliese degli alberi monumentali, di difficilissima gestione e produttori in massima parte di olio lampante, ma a quella del basso foggiano (e, di conseguenza, dell’alto barese), cioè al regno di ‘Coratina’, costituito da molte decine di migliaia di ettari di oliveti allevati a vaso, producenti eccellenti oli extra vergini e da considerare il modello di olivicoltura più razionale e moderno di Puglia e forse anche d’Italia, perché con chiome moderatamente sviluppate in altezza e larghezza, potatura annua, buona produttività, ridotta alternanza, sesti regolari, tronchi sottili, anche irrigui, elevato livello di meccanizzazione per lavorazioni, difesa e raccolta, grazie alla diffusione in ambienti a

prevalente giacitura pianeggiante. Insomma, quel modello di olivicoltura che il Prof. P. Spiegel Roy, nel corso di una sua visita tra Andria e Barletta nell’ormai lontano 1977, mi confessò che avrebbe voluto fosse visitato dagli olivicoltori israeliani suoi compatrioti affinché imparassero come andava potato l’olivo!

Aggiunsi a Bellomo che non mi risultava che, tra il 1982 ed il 1999, fossero intervenute proposte innovative tali da fare, se non agitare, almeno increspare una superficie da tempo stagnante, liscia siccome - per l’appunto quella del placido “lago”di olio d’oliva.Non ritenevo infatti di potere considerare tale la proposta innovativa chiamata allevamento dell’olivo a “monocono”, che ha avuto una certa diffusione in Italia alla finedel secolo scorso, perché, a mio avviso, lasciava irrisolti i problemi relativialla potatura ed alla raccolta, almeno quanto a modi, tempi e costi.

Sebbene riluttante, accolsi tuttavia la proposta di collaborazione: cominciammo così a esplorare con occhio mirato

Tutto partì da un viaggio in Spagna e da un convegno organizzato a Foggia dal titolo: La raccolta meccanica delle olive dalla pianta Olint Magazine

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moltioliveti del foggiano (e non solo) per vedere se facesse capolino qualche utile spunto meritevole di approfondimento. Ma invano. Durante quella fase, fummo però informati di un’innovazione appena all’avvio in Spagna, tanto innovativa da potere essere considerata rivoluzionaria. A parte l’indirizzo cui eventualmente rivolgerci, il nostro informatore non seppe dirci di più.

La notizia ci stupì non poco, visto che la sede di tale processo innovativo non era in Andalusia, la più importante regione olivicola spagnola e tradizionale meta di pellegrinaggio di studiosi e tecnici italiani in olivicoltura, ma in Catalogna. Come dire non in Puglia, ma in Liguria (con tutto il rispetto per la Liguria). Decidemmo di saperne di più e di recarci in Spagna senza pregiudizi, nonostantel’innovazione che ci accingevamo a conoscere non venisse da un’istituzione scientifica o un’Accademia, bensì da un vivaio commerciale privato, fino allora a noi del tutto sconosciuto, Agromillora Catalana S.A. Credo anche di ricordare che, nonostante le ricerche effettuate, nessuna documentazione bibliografica/pubblicitaria riguardante il vivaio e/o l’innovazione propostaci fu possibile trovare prima di metterci in viaggio.

Furono presi i necessari contatti. La visita

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fu concordata all’epocadella raccolta delle olive, a metà di novembre 1999. Arrivati al vivaio a Subirats, fummo accolti da Jordì Mateu, allora giovane responsabile tecnico aziendale. La prima cosa che ci fu chiesta con ferma cortesia fu di lasciare le macchine fotografiche all’ingresso, giacché tutte le tecnologie che avremmo osservato nelle serredi propagazione dell’olivo per talea erano coperte da brevetto e l’azienda non avrebbe avuto piacere a vederne diffuse immagini all’esterno. Avemmo così modo di osservare l’intera filiera innovativa della propagazione dell’olivo mediante auto radicazione su scala industriale in serre altamente automatizzate. Per inciso, cinquesei anni più tardi, quando la notorietà di quell’azienda vivaistica aveva ampiamente varcato i confini iberici, quel divieto era venuto meno.

Ci fu spiegato che il primo impianto di superintensivo, quello che avremmo visitato più tardi nell’azienda “La Boella”, tra Reus e Tarragona, era stato realizzato nel 1993 su una superficie di 30 ettari; ci venne anche detto che, tra il 1994 ed il 1999, gli ettari a superintensivo in Spagna erano arrivati a circa 700, di cui circa 200 in Catalogna e meno di 40 in Andalusia, e che nell’imminente erano previste piantagioni in Francia, USA,

Brasile e Argentina.

Terminata la visita nelle serre, nel pomeriggio, aiutati anche da una splendida giornata di sole, fummo accompagnati a vedere l’oliveto,meta delle visite di tecnici, agricoltori e studiosi non solo spagnolie come noi curiosi di prendere visione di un sistema colturale dell’olivo concettualmente affatto nuovo (Figura 1).

Tanto nuovo che ci trattenemmo fino a oltre l’imbrunire per osservare l’operatività del cantiere di raccolta “in notturna” (Figura 2).

Il modello che ci fu mostrato prevedeva l’integrale meccanizzazione delle operazioni colturali, potatura eraccolta incluse, siccome da me ripetutamente riportatonei miei numerosi scritti al riguardo, il cui elenco è in calce alla presente nota ed ai quali rimando il lettore. A quella prima visita se seguirono molte altre, con cadenza quasi annuale per poterci aggiornare sulla progressiva evoluzione e messa a punto delle tecniche vivaistiche e di campo, quanto, ad esempio, a sesti d’impianto, meccanizzazione delle operazioni di messa a dimora, potatura

d’allevamento, modello di accrescimento delle varietà, fasi fenologiche essenziali, alternanza di produzione, evoluzione del settore progettazione macchine, allargamento della piattaforma varietale, ecc.

Confesso che gli aspetti innovativi del particolare modello d’allevamento dell’olivo osservati in Spagna piacquero a Bellomo ed a me al punto da convincerci ad organizzare un incontro tecnico per illustrare quanto da noi appena osservato. Siccome il programma di ricerche era finanziato dall’Ispettorato all’Agricoltura di Foggia, l’incontro ebbe luogo nella sala del consiglio comunale di Cerignola (FG) il 3 Dicembre 1999. Cerignola è il più importante comune della provincia di Foggia per concentrazione di oliveti di ’Coratina’.

Con una relazione dal titolo: “La raccolta meccanica delle olive dalla pianta” conclusi la mia esposizione affermando che, forse, “l’olivicoltura superintensiva non era la soluzione, ma poteva essere considerata una soluzione dei problemi dell’olivicoltura

FIGURA 1. Panoramica del primo oliveto superintensivo nell’azienda “La Boella”, da noi visitato la prima volta nel 1999. In primo piano, in basso a sinistra, il Prof. F. Bellomo.

FIGURA 2. Vendemmiatrice Braud al lavoro in “notturna” in Spagna nell’oliveto superintensivo “La Boella” nel 1999. (Foto Bellomo)

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pugliese e nazionale, di cui sarebbe valso comunque la pena valutare la risposta in loco”.

Coerentemente, Bellomo ed io decidemmo che quanto da noi osservato non dovesse restare lettera morta, ma che fosse meritevole d’essere preso in considerazione quanto meno per una verifica in Pugliadel modello superintensivo attraverso la realizzazione di un campo sperimentale impostato secondo i canoni osservati. D’accordo con l’Ispettorato di Foggia e l’ITAS “G.Pavoncelli” di Cerignola fu firmata una convenzione per la realizzazione di un campo della superficie di 1 ettaro. Altro nostro intendimento era quello di verificare la risposta delle principali varietà pugliesi/italiane a quella forma di allevamento. Infatti, gl’impianti visti in Spagna si fondavano sull’uso di varietà d’olivo del tutto estranee al patrimonio varietale italiano. Il campo fu realizzato nel 2001: in esso furono introdotte tutte le varietà d’olivo del patrimonio nazionale propagate per talea che ci fu possibile reperire presso i vivai italiani.Nel frattempo, in Spagna,ad ‘Arbequina’ avevano cominciato ad affiancare ‘Arbosana’: entrambe furono introdotte a Cerignola, insieme con ‘Cima di Melfi’, ‘Cipressino’, ‘Coratina’, ‘Frantoio’, ‘Fs-17Ò’, ‘Leccino’, ‘Ogliarola del Gargano’, ‘Peranzana’, ‘Picholine’.

Nel 2002, allestimmo una nota a firma A. Godini e F. Bellomo dal titolo “Olivicoltura superintensiva in Puglia per la raccolta meccanica con vendemmiatrice”, che presentammoa Spoleto (PG) al Convegno Internazionale di Olivicoltura del 22-23 aprile.

Fu l’unica relazione sull’argomento che, forse anche per questo, destò curiosità ed interesse. Nel corso del convegno avemmo poil’opportunità di ascoltare la relazione ad invito di A. Troncoso, dell’IRNA di Siviglia, ben noto agli studiosiitalianidi olivicoltura,

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che accogliemmo personalmente con favore quando disse e scrisse (lui andaluso) che «‘Arbequina’ è la cultivar per eccellenza della Catalogna e quella dalla quale si ottiene probabilmente l’olio spagnolo migliore»” (pag. 21 degli atti del Convegno).

Nel frattempo, la sezione barese dell’Associazione Pugliese Produttori Olivicoli (Presidente Dr G. Acquaviva, Tecnico Dr V. Scavo) si era dichiarata interessata alla sperimentazione che avevamo avviato a Cerignola e, col concorso operativo suo e finanziario della Banca di Credito Cooperativo di Cassano delle Murge (Bari), nell’azienda del Sig. D. Spinelli, nel territorio di quel comune, realizzammo nel 2002 un secondo campo sperimentale della superficie di 8.000 mq, nel quale introducemmo le seguenti varietà: ‘Arbequina’, ‘Arbosana’, ‘Cipressino’, ‘Coratina’, ‘Fs-17Ò’, ‘Frantoio’,‘Leccino’,‘UranoÒ’.La storia dell’introduzione di ‘UranoÒ’ merita d’essere narrata. Anni prima, durante una visita ad una collezione di varietà d’olivo dell’Università di Firenze in quel di S. Casciano in compagnia di A. Sonnoli, vivaista e miglioratore, rimasi impressionato dal portamento estremamente compatto di unbiotipodel quale non chiesi né mi fu detto il nome,ma che all’epoca mi sembrò addirittura controproducente (Figura 3).

Anni dopo, mi ricordai che, forse, quel portamentotanto raccolto sarebbe potuto

La sperimentazione iniziò nel 2001 con un campo di 1 ettaro, per verificare l’uso di varietà pugliesi e italiane

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FIGURA 3. San Casciano (Fi): in primo piano, il biotipo molto compatto osservato nel campo collezione dell’Università di Firenze, poi battezzato da A. Sonnoli come ‘Urano®’ ed introdotto nei nostri campi sperimentali.

tornare utile per il nuovo modello di superintensivo. Mi misi allora in contatto con il costitutore, A. Sonnoli, che mi mandò un limitato numero di piante di quella che, nel frattempo, era stata battezzata e brevettata come ‘UranoÒ’ e che furono messe a dimora a Cassano delle Murge.

Nel novembre 2005, a tre anni dalla messa a dimora, la maggior parte delle varietà (inclusa ‘UranoÒ’) introdotte a Cassano delle Murge erano entrate in produzione e ci suggerirono d’organizzare una giornata dimostrativa di raccolta delle olive con intervento di una New Holland semovente messaci a disposizione, e titolo gratuito, dall’Az. Agricola Torrevento di Corato (Bari).

Intorno a quegli anni comincia la fattiva collaborazione al progetto del Dr Salvatore Camposeo, giovane ricercatore presso il mio stesso Dipartimento.

Nel 2006, l’Accademia Italiana dell’Olivo e dell’Olio di Spoleto, sollecitata da alcuni

membri, organizzò il 9 giugno una Giornata seminariale “Impianti Olivicoli Intensivi” alla quale partecipammo con una relazione firmata da A. Godini, F. Bellomo e S. Camposeo ed avente per titolo: “Olivicoltura superintensiva: gli aspetti agronomici”.

Ricordo che fu una giornata vivace,alla quale partecipò anche, come relatore, J. Mateu.

L’argomento colse di sorpresa molti dei convenuti: per soddisfazione di chi scrive, nessuna critica venne mossa alla diagnosi da me fatta dei mali che affliggevano (e affliggono tuttora) l’intera olivicoltura nazionale, quanto piuttosto all’olivicoltura superintensiva suggerita come terapia.

La più ragionevole delle critiche, ancora oggi irrisolta, riguardavala non dimostrata adattabilità al modello del patrimonio olivicolo nazionale, ricco di alcune centinaia di varietà. Dalla giornata seminariale derivò una visita guidata in Spagna per i membri dell’Accademia: visita più o meno simile a

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quella effettuata da me e Bellomo nel 1999, con l’aggiunta – questa volta – dell’Andalusia, dove nel frattempo il modello superintensivo aveva preso piede.

Quando si è ospiti in casa d’altri, anche col conforto di accordi sottoscritti, non è sempre possibile avere piena soddisfazione quando si chiedono interventi puntuali e tempestivi, se se ne ravveda necessità oppure urgenza: per tali motivi, sebbene i risultati che cominciavamo ad ottenere a Cerignola e Cassano apparissero promettenti, decidemmo di chiedere un contributo alla Provincia di Baricol qualerealizzammo, nel 2006, un terzo campo sperimentale nell’azienda della Facoltà di Agraria di Bari in agro di Valenzano. Eravamofinalmente in casa nostra, dove meriti e/o demeriti dell’esito della sperimentazione non potessero essere attribuiti ad altri che a noi, in quanto responsabili al 100% di quanto di buono e di meno buono avremmo fatto e di quantoaltri avrebbero visto e giudicato.Nel giugno-luglio 2006 furono messe a dimora piante autoradicate delle seguenti varietà: ‘Arbequina’, ‘Arbosana’, ‘Carolea’, ‘Cima di Bitonto’, ‘Coratina’, ‘Don Carlo®‘,‘Frantoio’, ‘Fs 17®,’ ‘I-77®’, ‘Koroneiki’, ‘Leccino’, ‘Maurino’,’Peranzana’, ‘Urano® ’.

Nel 2007, in accoglimento di numerose sollecitazioni da parte del mondo imprenditoriale agricolo, provvedemmo ad organizzare una seconda giornata dimostrativa di raccolta delle olive con macchina vendemmiatrice: tra le varie ditte interpellate, risposta affermativa ci venne solo da Kverneland Group, che ci mise a disposizione, a titolo non oneroso, Gregoire 167. Organizzammo così nel mese di novembre una “tre giorni”, con prove di raccolta il 22 a Cerignola (FG) nell’azienda ITAS “G. Pavoncelli”, il 23 a Cassano delle

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Murge (BA) nell’azienda del Sig. D. Spinelli ed il 24aPozzo Guaceto di Fasano (BR) nell’azienda del Sig. V. Cantore,che cinque anni prima aveva realizzato in proprio circa 30 ettari di superintensivo, anche come rinfittimento di un oliveto monumentale, convinto da quanto osservato dopo una visita guidata in Spagna organizzata per tecnici ed agricoltori dal Prof. Bellomo.

Nel 2008, terzo anno dall’impianto, l’oliveto sperimentale realizzato nella nostra azienda di Valenzano entrò in produzione e organizzammo una prima giornata di raccolta, cui ne sarebbero seguite ininterrottamente altre 5 fino al 2013: questa volta con l’utilizzo di una Pellenc, messaci a disposizione, sempre a titolo non oneroso, dall’Az.Agr. Salatino di Sammichele di Bari.

I risultati del comportamento delle varietà testate nel corso di oltre 10 anni possono essere così sintetizzati: dopo un primo, straordinario e assai promettente risultato produttivo fornito al terzo anno dall’impianto, paragonabile a 10 tonnellate di olive per ettaro, dal 2009 in poi ‘ Urano® ’ ha tenuto comportamento tanto erratico ed inspiegabile da convincermi ad escluderla, almeno nelle mie relazioni, dal novero delle varietà sulle quali focalizzare l’attenzione. So che in Dipartimento, il Dr Camposeo e i suoi collaboratori stanno continuando a studiare il comportamento di quella varietà cercando di venirne a capo. Caratteri in sostanza negativi, come, di volta in volta, il ritardo dell’entrata in produzione, l’eccessivo vigore, il portamento espanso con chioma rada, la delicatezza di frutti, rami e/o brachette all’impatto coi battitori, mi convinsero ad escludere dalla sperimentazione, perché da me ritenute inadatte al modello,tutte le altre varietà italiane. Alla finerimasero in gioco solo le tre già collaudate in Spagna:

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‘Arbequina’, ‘Arbosana’, e la greca ‘Koroneiki’, nel frattempo andata ad aggiungersi alle prime due.

Ho già scritto che una piattaforma varietale ristretta a ‘Arbequina’, ‘Arbosana’ e ‘Koroneiki’ viene interpretata da molti – ed io condivido - come il limite principale alla diffusione del modello in Italia, dove si vorrebbero vedere valorizzate almeno alcune delle numerosissime varietà costituenti la piattaforma varietale olivicola nazionale. Premesso che non è minimamente immaginabile un’esplosione del superintensivo tanto rapida e vasta da portare alla scomparsa in tutto od in parte del patrimonio varietale nazionale, aggiungo chedetto limiteè tutt’altro che insormontabile e potrebbe essere superato, nell’immediato, con tagli in percentuali studiate tra gli oli di quelle tre varietà,ottenuti a costi bassissimi, e oli delle varietà di consolidata coltivazione nelle diverse regioni olivicole, ottenuti invece a costi non più competitivi quasi dappertutto in Italia.Nel medio termine la soluzione più intelligente potrebbe venire da programmi di miglioramento genetico per trasmettere nella discendenza di nuovi genotipi l’architettura della chioma, la precocità di messa a frutto e la produttività delle tre varietà base insieme con le caratteristiche tecnologiche delle olive delle migliori varietà italiane. So che si sta lavorando in questa direzione e che si è in attesa di risultati che

- spero - potranno tornare utili. Quanto alla prima proposta, quella dei tagli, è ben noto - diciamolo una volta per tutte - che in Italia si è soliti farli da sempre nel settore della produzione, confezionamento e vendita degli oli extra vergini di origine mediterranea.

Il nostro Paese è il primo mercato mondiale quanto ad import ed export di oli extra vergini. Altrimenti non si spiegherebbero le quotazioni settimanali, ad esempio alla Borsa Merci di Firenze, di extraverginidel Lazio, della Puglia, della Sicilia, ma anche della Grecia, della Tunisia e della Spagna, quest’ultima con due menzioni, una delle quali specificatamente chiamata (erroneamente al maschile) “Arbequino”. Il tutto senza che a nessuno sia venuto in mente di protestare contro questo evidente “imbastardimento” della purezza e qualità della produzione oleicola regionale/nazionale.Allo stato delle cose dunque, sono soltanto poche le varietà adatte al superintensivo. Alle tre più volte ricordate possiamo oggi aggiungere ‘Sikitita®’ e ‘Oliola®’,ottenutein Spagna da incroci ‘Picual’x‘Arbequina’ e ‘Arbequina’x‘Arbosana’, rispettivamente, come mi risulta siano in osservazione genotipi nati da incroci tra le due spagnole e molte italiane. In altri termini, il settore del miglioramento varietale è tutt’altro che fermo e nuove interessanti proposte da valutare attentamente sono attese nel prossimo decennio.

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Nella presente nota ho ritenuto utile aggiornare la tabella annua recante i dati di produzione ottenuti a Valenzano da ‘Arbequina’, ‘Arbosana’ e ‘Koroneiki’, tra il 2008 ed il 2013, così portando le annate di produzione a 6, dal terzo all’ottavo anno dall’impianto. Dalla lettura dei dati è possibile rilevare una flessione delle produzioni nel 2012, provocata dal primo vero intervento di integrale potatura (meccanica), effettuato nella primavera di quell’anno (dopo 7 anni dalla messa a dimora) con topping e edging: flessione più evidente in ‘Koroneiki’ perché varietà più vigorosa delle altre e pertanto più predisposta a reazioni di tipo vegetativo agl’interventi effettuati, ma con buon recupero nell’anno successivo.

Premesso e ribadito che, personalmente, mi ha sempre più interessato il modello colturale, piuttosto che le varietà con cui realizzarlo, come fatti di estremo interesse mi preme sottolineare ancora una volta: 1. la precocissima entrata in produzione (terzo anno); 2. il rapidissimo raggiungimento dello stadio di produzione costante (ritenuta da me

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ottimale intorno a 10 t/ha) già dal quarto anno dall’impianto, cioè soltanto un anno dopo l’entrata in produzione; 3. la soddisfacente costanza produttiva, con scarti tra gli anni inferiori al 20%; 4. la buona resa (≥ 18%) e la buona qualità degli extra vergini ottenuti, testata da ripetute analisi; 5. il fortissimo contenimento dei tempi e dei costi almeno delle due voci più importanti (potatura e raccolta), che permettono di confermare la già detta possibilità di abbassareil costo di produzione del chilogrammo di olio d’oliva extra vergine, al netto dei sussidi comunitari, al di sotto di 2,00 €; 6. la mancanza di qualsiasi indizio negli aspetti vegetativi che faccia prevedere in un futuro più o meno prossimoun cedimento oppure un collasso del sistema; 7. l’inconsistenza dell’opinione di alcuni secondo i quali l’allevamento superintensivo, data la fittezza dell’impianto, avrebbe rappresentato un ottimo “pascolo” per i principali parassiti animali e vegetali dell’olivo.

Agromillora Catalana S.A. comunicò al Prof Bellomo ed a me che, nel 1999, la superficie a superintensivo nel mondo era 700 ettari; la stessa fonte mi ha informato che la superficie mondiale aveva raggiunto, nel 2013, 135.000 ettari, con la Spagna al primo posto con 80.000 ettari, seguita dal Portogallo con 20.000, Usa con 10.000 (Figura 4), Cile con 9.000, Marocco con 6.000, Tunisia con 4.000, ArabiaSaudita con 3.000, Italia con 1.000, Francia e Libia con 500, altre con 1.000. Se ammettiamo che oltre adAgromilloraqualche altro vivaiopossa avereprodotto barbatelle d’olivo per il superintensivo, non si può escludere che

la superficie dedicata a questo innovativo modello colturale abbia raggiunto nel mondo la quota di 150.000 ettari. Non c’è dubbio: un bel successo, raggiunto in solo 15 anni. E non tantoo non solo per la diffusione in Paesi senza e con poca tradizione olivicola.

Si badi anche che, per una produzione annua di 10 tonnellate di frutti per ettaro e con una resa in olio del 18%, da quei 150.000 ettari è attesa una produzione annua di olio extra vergine di circa 270.000 tonnellate, vale a dire più o meno l’intera attuale produzione italiana di extra vergine, ma ottenuta su oltre un milione di ettari.

TABELLA 1.

Produzione “teorica” per ettaro tra il terzo e l’ottavo anno dalla messa a dimora e cumulata ottenuta a Valenzano (Bari) CON LE TRE VARIETÀ LEADER DEL MODELLO SUPERINTENSIVO

VARIETÀ

2008

2009

2010

2011

2012

2013

MediaC

umulata

Arbequina

4,1

9,3

10,2

11,7

9,7

7,5

8,75

52,5

Arbosana

4,6

9,5

8,7

10,3

8,0

7,7

8,13

48,8

Koroneiki

6,3

10,3

11,7

9,2

4,2

11,3

8,88

53,0

Media

5,0

9,7

10,2

10,4

7,3

8,8

8,58

154,3

Fonte: Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, dal 2012 Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali e TerritorialiUniversità di Bari

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FIGURA 4. Panoramica di oliveto superintensivo californiano a perdita d’occhio fotografato nel 2008.

Nel 2013 la superficie coltivata a superintensivo è pari a 135.000 ettari.

Un bel risultato raggiunto soltanto in 15 anni Olint Magazine

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Si dice che i vichinghi o forse anche i turchi abbiano preceduto Cristoforo Colombo nello sbarcare nel continente americano. Molto immodestamente e con tutti i distinguo del caso affermo che, anche ammesso che Bellomo ed io non siamo stati i primi ricercatori italiani a prendere visione della nuova realtà spagnola costituita dall’allevamento dell’olivo a superintensivo, di sicuro siamo stati i primi a credere in quel modello, che, partendo da zero, nel mondo ha oggi toccato 150.000 ettari dei quali 1.000 in Italia.

Sono trascorsi esattamente 15 anni dal primo “incontro” col superintensivo ed è forse giunto il momento di stendere un bilancio. Per quanto riguarda il nostro Paese, ritengo che una sicura importanza sulla diffusione del superintensivo sia da attribuire non tanto agli scritti o alle conferenzedi Bellomo e mie, quanto alla possibilità data a tecnici ed imprenditori, in maggioranza pugliesi, di valutare criticamentel’efficienza degl’impianti sperimentali realizzati grazie alle annuali giornate dimostrative organizzate dal 2005 in poi.

Una conferma di quanto appena detto può forse venire dalla constatazione che circa la metà degli ettari di superintensivo italiani è ubicata in Puglia.

La domanda che ora mi pongo è: “Come considerare i 1.000 ettari raggiunti dal superintensivo in Italia, seconda nazione olivicola mondiale?”

La risposta è che, in valore assoluto, quei 1.000 ettarinon possono essere consideratiun importante successo. Bisogna però pensare che, tra gli imprenditori agricoli italiani, l’olivicoltore, anche per “l’immortalità” della specie cui è legato, è quello che piùdi tutti è propenso alla conservazione del patrimonio trasmessogli dalle generazioni che l’hanno preceduto ed è pertanto poco o punto incline ad accettare innovazioni, specie se tali da stravolgere l’esistente.

L. Caricato, l’11/4/2014 ne: “Il manifesto dell’Olio.

Per un nuovo inizio”, ha scritto che: “L’Italia è l’unico Paese ad alta vocazione olearia a non piantare olivi. Non investe più in olivicoltura, si limita a mantenere e perpetuare l’esistente” (www.luigicaricato.net).

Caricato non fa altro che dare corpo al sospetto ch’io nutrivo da qualche anno. Ma se diamo credito a Caricato, dobbiamo anche dire che allora quei 1.000 ettari di superintensivo in Italia non sono più da guardare con sufficienza, ma come interessante e promettente inizio, come qualcosa in grado di cominciare a fare increspare la placida superficie del “lago” olio d’oliva, vista la situazione di totale stagnazione del settore.

A Caricato, che ha sempre avuto in simpatia i modelli tradizionali di olivicoltura, mi limito a rispondere: “Perché mai gli olivicoltori italiani dovrebbero investire alcune migliaia di Euro per ettaro per realizzare nuovi oliveti tradizionali e/o intensivi (tra 300 e 400 piante/ha), che chiederanno spese annue non indifferenti, checominceranno a dare frutti solo dopo 5-6 anni dall’impianto e per i qualisi dovrà attendere 13-15 anni (Figura 5) ch’essi entrino nello stadio di produzione costante e la cui gestione per potatura e raccolta continuerà a richiedere molto lavoro umano, dalla reperibilità calante e dal costo montante?”

Tutto sommato, gli olivicoltori italiani non piantano più olivi, perché frenati da costi elevati e irritati da quotazioni di mercato dell’ultimo decennio tanto vili da non consentire loro di coprire le spese di gestione dell’oliveto. Nei fatti, i nostri tradizionalisti olivicoltoriri fuggono da innovazioni che ritengono ancora temerarie e si accontentano di mantenere in vita l’esistente, vecchio di decenni oppure di secoli e perciò con investimentiampiamente e da tempo ammortizzati, facendo affidamento sugli aiuti comunitari per non chiudere i bilanci in passivo.

Sempre più spesso rinunciando ad affrontare le spesetroppo elevate, ad esempio, per la raccolta dei frutti, che vengono lasciati cadere e marcire al suolo in quantitativi di anno in anno crescenti, specialmente nei difficili ambienti di collina dell’Italia centrale.

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12 10 8 t/ha

La metà degli ettari di superintensivo è ubicata in Puglia

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anni

FIGURA 5. Confronto tra andamento delle produzioni ipotizzate per l’olivicoltura intensiva (in grassetto) con 300 piante/ha (De Benedetto, 2004 trasformato) e quelle pesate in oliveto superintensivo tra il 2008 ed il 2013 (Godini, 2014).

17 NOVITÀ 20 per l’olivo

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Un viaggio nel mondo del “bio” ci svela se il superintensivo può coniugare quantità alla qualità

Coltivazione biologica di oliveti superintensivi: un’opportunità a supporto del reddito dell’azienda olivicola

CONCETTA GENTILE AgrimecaGrape and FruitConsulting srl

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L’olivicoltura nei paesi europei – Spagna, Italia, Grecia, da sempre culla della coltivazione dell’olivo – mostra sempre più i segni della crisi dovuta agli elevati costi di produzione, a fronte di un mercato globale in cui la tendenza dei prezzi dell’olio di oliva è quella di attestarsi su quotazioni da commodities.

Fanno eccezione le sole produzioni legate a territori esclusivi e nell’ambito di marchi IGP e DOP affermati, che riescono ad assicurare una buona redditività ai coltivatori.

Tale stato di difficoltà è acuito dal crescente sviluppo dell’olivicoltura nei Paesi del nord Africa, caratterizzati da un basso costo della manodopera, e dalla presenza di nuovi attori che appaiono sullo scenario mondiale Argentina, Cile, Australia, ecc. - che realizzano impianti ad elevata meccanizzazione, convogliando tutta l’innovazione disponibile verso una delle piante la cui coltivazione affonda nella notte dei tempi, permettendo così un’efficiente gestione e la realizzazione di migliori guadagni. È ormai consolidato il fatto che, il modello super intensivo, consente di raggiungere risultati economici soddisfacenti, dando così nuove speranze alla ripresa di un settore in cui si fa sempre più spazio l’idea di un’olivicoltura non sostenibile e redditizia e quindi destinata ad un declino più o meno rapido in base alle specifiche situazioni.

Ma cosa si può fare per cercare di incrementare il valore aggiunto delle nostre produzioni non solo in termini quantitativi,

ma anche qualitativi e quindi creare un’ulteriore opportunità commerciale per l’olio d’oliva prodotto in Italia?

La produzione di olio proveniente da oliveti superintensivi condotti con metodo biologico può costituire un’opportunità. È sicuramente difficile accostare l’idea del sistema superintensivo al concetto di produzione biologica, due concetti che sembrano in antitesi tra loro.

Da un lato, il modello super intensivo che impone, per sua natura, forti spinte nutrizionali e idriche, affiancate da massicci interventi fitosanitari; dall’altro la filosofia che sta alla base del metodo biologico che prevede riduzioni di concimazioni e interventi fitosanitari.

Allora come è possibile questo connubio?

Molto spesso, è di uso comune identificare il biologico come un metodo di coltivazione poco produttivo, che impone alti costi di produzione e che, per l’ottenimento di un tornaconto economico finalizzato a far quadrare i bilanci aziendali, è legato in maniera inscindibile ai contributi comunitari.

In realtà le cose non sono proprio così. Infatti è possibile realmente gestire in biologico impianti di olivo superintensivo con gratificanti risultati agronomici ed economici.

La dimostrazione è quanto realizzato in un oliveto super intensivo di 8 Ha (in espansione) in agro di Brindisi, con le varietà Arbequina e Arbosana di 8 e 6 anni di età. L’azienda, che ha sempre condotto il suo oliveto con metodo convenzionale, ha deciso di intraprendere un percorso diverso, convertendo nel corso degli ultimi 3 anni l’oliveto superintensivo al metodo biologico. Con l’aiuto dell’assistenza tecnica degli agronomi della società di consulenza AgrimecaGrape and

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FruitConsulting di Turi (Bari), sono state adottate precise scelte tecniche al fine di mantenere l’alta produttività, la sanità e l’equilibrio vegetativo dell’oliveto. Ciò è stato possibile attraverso l’applicazione di pratiche agronomiche fondamentali e necessarie per la buona riuscita del metodo biologico.

L’obiettivo principale è stato quello di controllare a monte lo sviluppo di malattie fungine e batteriche e infestazioni di insetti, facendo della prevenzione la linea guida da seguire nella conduzione dell’impianto nel corso delle diverse fasi fenologiche (vedi tabella 1).

La vigoria della pianta, il cui eccesso può sicuramente predisporla a infezioni di funghi e batteri, oltre che ad attacchi di fitofagi, è stata controllata con un’attenta gestione della nutrizione, esclusivamente

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di origine organica, e una razionalizzazione dell’apporto irriguo. Tutto ciò ha permesso di ottenere i risultati desiderati senza compromettere la resa finale.

Particolare attenzione è stata riposta nella gestione del suolo, spesso inteso come un substrato inerte, destinato esclusivamente a fornire in maniera meccanica nutrienti e acqua, oltre che essere un mezzo di ancoraggio per la pianta. L’interazione tra pianta e suolo è invece profondamente più complessa. Ecco perché una gestione scorretta dello stesso può creare notevoli ripercussioni sul benessere globale della pianta. Pertanto in azienda sono state ridotte al minimo le lavorazioni del terreno, cercando di preservarne la struttura e il contenuto di sostanza organica.

TABELLA 1.

AVVERSITÀ

NOME SCIENTIFICO

PRINCIPI ATTIVI

N. TRATTAMENTI

Mosca olearia

Bactrocera oleae

Spinosad (esca)

6

Tignola

Prays oleae

Bacillus thuringiensis / olio minerale

3

Margaronia

Palpita unionalis

Bacillus thuringiensis

2

Cocciniglia mezzo grano di pepe

Saissetia oleae

Olio minerale

2

Oziorrinco

Otiorrhynchus cribricollis

Fasce in lana di vetro

\

Occhio di Pavone

Spilocaea oleagina

Rame

4

Lebbra

Colletotrichum gloeosporioides

Rame

4

Cercosporiosi

Mycocentrospora cladosporioides

Rame

4

Rogna dell’olivo

Pseudomonas siringae pv. savastanoi

Rame

4

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La produzione di olio proveniente da oliveti superintensivi condotti con metodo biologico è un’opportunità

Inoltre, sono state ricondotte ad una corretta interpretazione per la gestione dell’oliveto super intensivo, alcune pratiche agronomiche ed in particolare: • Epoca ed intensità delle potature • Modalità di gestione del suolo • Volumi irrigui in relazione alle diverse fasi fenologiche • Quantità, tipologia e somministrazione degli elementi nutritivi • Metodologie di controllo degli organismi nocivi e posizionamento degli agrofarmaci ammessi per la difesa fitosanitaria

FIGURA 2. Parete produttiva stretta per una prevenzione ottimale delle malattie.

Tutto ciò è stato realizzato nella consapevolezza che, le piante stressate, non sono più in grado di mettere in atto i meccanismi metabolici e fisiologici utili a regolare le proprie funzioni, compromettendo così l’equilibrio che da sole sono in grado di raggiungere.

Al termine di tale esperienza, con soddisfazione reciproca dei proprietari e dei tecnici, è stato anche possibile verificare come l’azienda, con il passaggio al metodo biologico, abbia migliorato lo stato delle proprie piante, che risultano non solo più sane e più equilibrate rispetto alla conduzione precedente, ma anche meno suscettibili ed esposte agli attacchi parassitari.

FIGURA 3. Gestione del suolo con inerbimento controllato.

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Questo risultato ha altresì permesso di conservare sempre lo stesso potenziale produttivo, che è stato di 120 q.li/Ha, nonostante le infestazioni di mosca dell’olivo

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che, in un’annata così critica come il 2014, sono state irrilevanti per le quantità e le qualità delle olive prodotte e per la qualità dell’olio da esse estratto.

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Sostenibilità agronomica ed ambientale del sistema colturale superintensivo Con particolare riferimento all’areale di coltivazione pugliese

Il sistema olivicolo superintensivo è ad oggi l’unico modo di coltivare l’olivo che permette di produrre olio extra vergine abbattendo i costi di produzione ben al di sotto del prezzo all’ingrosso e rappresenta il frutto del knowhow internazionale, scientifico e tecnologico, nel campo dell’olivicoltura (Godini et al., 2011). Al pari delle altre specie arboree da frutto, la gestione colturale richiede preparazione ed esperienza, personalizzate all’ambiente di coltivazione. L’Università di Bari per prima in Italia ha introdotto e studiato

questo innovativo sistema colturale (Godini e Bellomo, 2002) ed è attualmente impegnata in indagini scientifiche a tutto campo: aspetti dell’architettura, dell’ecofisiologia e della biologia riproduttiva, utili alla messa appunto della gestione irrigua e nutrizionale, della chioma e del suolo, non solo delle varietà sulle quali è stato calibrato il sistema, ma anche di varietà locali (Camposeo et al., 2006; 2008). I genotipi adatti sembrano infatti al momento assai rari nel ricco patrimonio olivicolo mondiale. Il sistema superintensivo

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è indubbiamente destinato almeno ad affiancare i sistemi tradizionali ed intensivi nei Paesi di antica coltivazione come l’Italia, portando una reale ventata di novità in un comparto produttivo ingabbiato e sofferente e soprattutto margini significativi di reddito agli imprenditori olivicoli. Gli studi hanno ormai validato la sostenibilità agronomica degli impianti superintensivi (Camposeo e Godini, 2009; 2010). La ricerca sta dando buoni frutti ed in tempi brevi anche nei confronti della loro sostenibilità economica

ed ecologica-ambientale.

La presente nota illustra ed evidenzia alcuni aspetti critici riguardanti la sostenibilità agronomica ed ambientale degli impianti olivicoli superintensivi, rispondendo con i risultati scientifici, l’esperienza di campo diretta e la normativa in vigore ad alcuni interrogativi mossi legittimi dubbi ma anche da accuse ingiustificate.

SALVATORE CAMPOSEO

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ordinari di 130 unità di azoto, 30 di fosforo e 110 di potassio (Godini et al., 2011); La gestione fitosanitaria, condotta secondo le aggiornate Linee Guida di Difesa Ecosostenibile della Regione Puglia (pubblicate sul B.U.R.P. n. 33 del 3 marzo 2011), prevede al massimo 2-3 trattamenti rameici, ammessi in agricoltura biologica, e 2-3 trattamenti insetticidi, effettuati secondo i principi del controllo guidato, sempre in funzione dell’andamento climatico dell’annata. Si evidenzia, inoltre, che: 1. tali inputs agronomici rientrano pienamente nei limiti previsti ad esempio dal Disciplinare di Gestione Ecosostenibile dell’Olivo per le Province

Circa la sostenibilità agronomica

Il sistema superintensivo non richiede elevati volumi di irrigazione, elevate quantità di fertilizzanti e di trattamenti fitosanitari La nostra sperimentazione, oramai decennale, ha dimostrato che un impianto olivicolo superintensivo richiede inputs agronomici identici a quelli di qualsiasi altro oliveto diffuso nella medesima zona, di pari livello produttivo e presuppone la conoscenza e l’applicazione nientedimeno che del Codice di Buone Pratiche Agricole di cui al D.M. del 19 aprile 1999 (pubblicato sulla G.U. n. 102 S.O. n. 86 del 4 maggio 1999).

Esaminiamo le singole tecniche colturali I volumi irrigui stagionali variano notoriamente con l’andamento termopluviometrico annuo e con le caratteristiche pedologiche dell’azienda. Per un impianto superintensivo al massimo possono

di Bari e di Barletta-Andria-Trani, licenziato recentissimamente dalla Regione Puglia (Guario et al., 2012); 2. la gestione del suolo negli impianti superintensivi è effettuata secondo criteri di ecosostenibilità, prevedendo tra l’altro apporti di concimi ed ammendanti organici, inerbimento controllato dell’interfila (Foto 1), trinciatura dei sarmenti in situ, pacciamatura della fila con sansa esausta senza il ricorso al diserbo chimico (Camposeo e Vivaldi, 2011); 3. non è esclusa, a partire dal quarto anno dall’impianto, la conversione in biologico degli oliveti superintensivi.

Professore di Arboricoltura Generale e Coltivazioni Arboree Docente di Olivicoltura e di Sistemi Colturali Arborei Sostenibili

raggiungere i 2.000 metri cubi per ettaro; tuttavia essi sono ordinariamente al di sotto di tale valore massimo (Camposeo e Godini, 2010). Recentissime ricerche condotte in Sicilia, in ambienti ad elevata domanda evapotraspirativa, hanno evidenziato che 1.300 metri cubi per ettaro sarebbero sufficienti per soddisfare il fabbisogno idrico annuo degli impianti olivicoli superintensivi (Caruso et al., 2012); Le dosi di fertilizzante sono funzione dei livelli produttivi attesi, che non dovrebbero superare le 10-11 tonnellate di olive per ettaro, ed al massimo esse prevedono valori

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FOTO 1. Inerbimento controllato dell’interfila in un impianto olivicolo superintensivo.

Gli studi hanno ormai validato la sostenibilità agronomica degli impianti superintensivi.

La ricerca sta dando buoni frutti ed in tempi brevi anche nei confronti della loro sostenibilità economica ed ecologica-ambientale.

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La coltivazione in Italia di varietà di olivo di provenienza spagnola o greca costituisce una produzione di olio tipica per ragioni ambientali L’introduzione di nuove cultivar in areali olivicoli italiani pone certamente la necessità di una valutazione comparativa della qualità degli oli estratti da queste in confronto a quelli estratti da varietà autoctone. Ma bisogna tenere ben presente che anche se la qualità di un olio extra vergine di oliva, intesa come profilo chimico e sensoriale, è certamente una caratteristica varietale, tuttavia essa è notevolmente influenzata dalle condizioni del suolo e del clima della zona di coltivazione (Godini et al., 2006; Inglese et al., 2011). I risultati ottenuti negli ultimi sei anni in Puglia, nell’ambito di un progetto di interesse nazionale finanziato dal MIUR e negli ultimi dieci anni di un progetto di interesse locale finanziato dalla Provincia di Bari, hanno evidenziato in modo singolare gli effetti incrociati genotipo-ambiente per gli oli delle cultivar spagnole e greca, utilizzate per gli impianti superintensivi. Soffermiamoci ad esaminare il caso dell’olio di Arbequina.

Questo può pienamente essere incluso nella categoria degli oli decisamente equilibrati (Camposeo et al., 2006); i panel test ufficiali hanno attribuito una mediana del fruttato, dell’amaro e del piccante che ne accertano leindubbie caratteristiche di pregio (Tab. 1; Camposeo et al., 2010). Il risultato più interessante, ai fini della presente nota, è stato quello di poter accertare che i profili chimici e sensoriali degli oli di Arbequina siano di fatto sovrapponibili a quelli della ben

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nota Cima di Bitonto in Puglia e della pregiata Biancolilla in Sicilia (Fig. 1; Camposeo et al., 2011). Ciò conferma, di conseguenza, che gli oli estratti da varietà di origine straniera ma coltivate in areali italiani diventanode facto tipici, a motivo dell’effetto dominate dei fattori di natura ambientale sulla qualità degli oli di oliva.

Se ciò non bastasse, il Regolamento (CE) n.

182/2009 del 6 marzo 2009 (pubblicato sulla G.U.U.E. n. 63 del 7 marzo 2009), recepito con D.M. del 10 novembre 2009 (pubblicato sulla G.U. n. 12 del 16 gennaio 2010), relativo alle norme di commercializzazione dell’olio di oliva con particolare riferimento alla disciplina della designazione dell’origine, prevede l’indicazione in etichetta della dicitura “Prodotto in…”, oppure “100% prodotto in …” per indicare l’origine dell’olio ottenuto nello stesso Stato Membro di RACCOLTA delle olive. Di conseguenza, volendo sempre rimanere nel caso di Arbequina, in forza di tale norma europea e nazionale, l’olio estratto dalle olive di queste piante è de iure olio Made in Italy nel momento stesso in cui questa varietà è coltivata sul territorio nazionale e pertanto l’etichetta può di diritto riportare la dicitura “100% prodotto in Italia”. Ad oggi si stimano nella sola Puglia già oltre 2500 ettari di impianti superintensivi, tanto che le tre cultivar per ora adatte a tale sistema colturale, Arbequina, Arbosana, Koroneiki, Oliana® e Sikitita®, stanno per essere inserite, insieme ad altre, quali Leccino ed altre, tra le accessioni del Registro Nazionale delle Varietà di Olivo per la Regione Puglia istituito dall’art.14 del D.M. del 24/07/2003.

Si aggiunga, infine, che vi sempre è la possibilità di mettere a punto appositi blendche consentano di ottenere un prodotto qualitativamente molto apprezzabile, costante e riconoscibile nel tempo, nel quale le caratteristiche di pregio degli oli di

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Arbequina

Arbosana

Koroneiki

Oliana

FIGURA 1. Caratteristiche sensoriali

una importantissima cultivar tradizionale quale la Coratina,notoriamente assai ricca di polifenoli e per questo caratterizzata da oli ordinariamente squilibrati per il fruttato (Caponio et al., 2001), siano completate ed armonizzare con gli oli extra vergini ottenuti delle cultivar idonee per il sistema superintensivo, caratterizzate invece da contenuti polifenolici più modesti (Camposeo et al. 2010; 2011). Tale pratica è prevista, ad esempio, dal Disciplinare di produzione della Denominazione di Origine Protetta “Terra di Bari” - menzione geografica “Castel del Monte” riservata agli oli extra vergini di oliva ottenuti dalla

cultivar base Coratina in misura non inferiore all’80% e da altre varietà presenti, da sole o congiuntamente, in misura non superiore al 20% (http://www.oliodopterradibari. it). Ma tutti i Disciplinari DOP prevedono quote più o meno ampie destinate al mix di cultivar. Per quanto esposto, dunque, la provenienza spagnola della cultivar Arbequina è irrilevante ai fini della tipicità del prodotto e l’olio proveniente da un impianto olivicolo superintensivo localizzato in Puglia costituisce di diritto e di fatto una produzione tipica locale: ma ciò ovviamente vale per qualsiasi altra localizzazione geografica e per qualsiasi altra varietà coltivata di olivo.

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Sfatiamo falsi miti circa la sostenibilità ecologica, ambientale e paesaggistica Il sistema superintensivo non interferisce in modo significativo con le specie vegetali e animali e con gli habitat naturali?

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Le tecniche agronomiche previste negli impianti olivicoli superintensivi, riassunte nel precedente paragrafo, ne innalzano a tal punto la sostenibilità ambientale da favorire, anziché ostacolare, la costituzione di habitat idonei al ciclo vitale di specie vegetali ed animali presenti, ad esempio, nelle aree SIC/ZPS, secondo il Formulario Natura 2000 aggiornato al febbraio 2003, e che rappresentano bioindicatori specifici delle aree naturali regionali.

Sotto i filari di un oliveto superintensivo adulto in agro di Valenzano (BA), pacciamato con sansa esausta, è stata osservata nella tarda primavera la fioritura diorchidee spontanee tipiche della Murgia barese (Foto 2). Prati aridi ed incolti, garighe, radure boschive costituiscono, in ecosistemi naturali, l’habitat di queste orchidee, le quali posseggono un sistema di impollinazione entomofila.

FOTO 2. Orchidee spontanee in un impianto olivicolo superintensivo

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La presenza di tali specie vegetali è stata osservata per due anni consecutivi, finché è durato l’effetto finale della pacciamatura con la sansa. Studi specifici sono tuttora in corso; tuttavia rimane dimostrato che l’agrosistema olivicolo superintensivo, gestito secondo i criteri ecosostenibili prima esposti, non inquina l’ambiente e non danneggia gli insetti pronubi, tanto da permette il costituirsi e lo stabilizzarsi dell’habitat idoneo per specie vegetali delicate ed esigenti dal punto di vista ecologico.

Anche le specie animali non si sottraggono alle evidenze scientifiche. Due nidi attribuibili a occhiocotto sono stati fotografati sempre nello steso impianto per più anni consecutivi, all’interno della vegetazione particolarmente fitta delle varietà adatte al sistema superintensivo (Arbequina, Urano).

L’occhiocotto, infatti, vive generalmente nella macchia mediterranea, caratterizzata da densi e bassi cespugli, e si rinviene anche in ambienti di bosco che presentino un rigoglioso strato arbustivo (Brichetti e Fracasso, 2010). L’habitat idoneo alla nidificazione di questo uccello nell’oliveto superintensivo è stato favorito non solo dalle caratteristiche vegetative delle cultivar (Camposeo et al., 2008), ma soprattutto dalla forma di allevamento e dai criteri di potatura che tali impianti richiedono. Infatti la forma ad asse centrale determina una struttura ‘piena’ dell’albero, mentre l’assenza completa di interventi cesori sulle branche fruttifere permette la formazione di una chioma bassa e uniformemente densa (Godini et al., 2011).

Inoltre, tra le sue prede più comuni vi sono insetti di diverse specie, larve di lepidotteri, ortotteri ed afidi, ragni che, evidentemente non sono mancati nell’oliveto superintensivo (Brichetti e Fracasso, 2010). La disponibilità di tale pabulum è quindi un ulteriore indicatore

di una entomofauna ricca ed equilibrata.

Infine, nella tarda estate ed in autunno l’occhiocotto utilizza per alimentarsi anche frutti e semi di numerose piante (Brichetti e Fracasso, 2010) e non è escluso che abbia approfittato anche delle olive.

Il sistema superintensivo non ha un alto impatto ecologico ed ambientale La coltivazione estensiva ed in asciutto dell’olivo rappresenta notoriamente un sistema colturale con bilanci passivi non solo da un punto di vista economico (Godini, 2010) ma anche ecologico; infatti è stato dimostrato che la coltivazione intensiva in irriguo raddoppia la quantità di gas serra immobilizzata nelle biomasse vegetali e nel suolo (carbon sinks) rispetto quella estensiva in asciutto (Padilla et al., 2010; Sofo et al., 2005; Testi et al., 2008).

Non ultima per importanza è la difesa dei versanti che gli impianti superintensivi possono offrire, se si tiene conto che la superficie di suolo coperta, e quindi protetta, negli impianti tradizionali ed intensivi diffusi nella zona è del 50%, mentre può superare il 60% negli oliveti superintensivi (Camposeo, dati inediti). Se poi si considera che negli spazi vuoti di questi impianti è praticato l’inerbimento controllato, non è difficile comprendere il contributo prezioso che l’olivicoltura superintensiva può mettere a disposizione della lotta al dissesto idrogeologico nelle aree collinari dell’Alta Murgia, così come sta mostrando di fare nelle aree collinari del sud della Spagna (Metzidakis et al., 2008).

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TABELLA 1. Orchidee spontanee in un impianto olivicolo superintensivo PARAMETRO ACIDI GRASSI C12:0 - A. Laurico C14:0 - A. Miristico C16:0 - A. Palmitico C16:1 - A. Palmitoleico C17:0 - A. Eptadecanoico C17:1 - A. Eptadecenoico C18:0 - A. Stearico C18:1 - A. Oleico C18:2 - A. Linoleico C18:3 - A. Linolenico C20:0 - A. Arachico C20:1 - A. Eicosenoico C20:4 - A. Eicosatetraenoico C20:5 - A. Eicosapentenoico C22:0 - A. Beenico C22:1 - A. Erucico C22:5 - A. Decosapentenoico C22:6 - A. Docosaesenoico C24:0 - A. Lignocerico

% % % % % % % % % % % % % % % % % % %

RAPPORTO TRA ACIDI GRASSI Insaturi/Saturi Monoinsaturi/Polinsaturi

Arbequina

Arbosana

Koroneiki

Urano ®

0,0 0,0 14,0 2,4 0,1 0,2 1,8 68,6 11,4 0,6 0,4 0,3 0,0 0,0 0,1 0,0 0,0 0,0 0,1

0,0 0,0 13,2 21,6 0,1 0,3 2,0 72,2 8,8 0,8 0,4 0,3 0,0 0,0 0,2 0,0 0,0 0,0 0,1

0,0 0,0 11,5 1,1 0,1 0,1 2,2 76,8 6,5 0,7 0,4 0,3 0,0 0,0 0,2 0,0 0,0 0,0 0,1

0,0 0,0 12,8 1,0 0,1 0,1 2,0 70,6 11,5 1,0 0,4 0,3 0,0 0,0 0,1 0,0 0,0 0,0 0,1

5,05 5,96 0,05

0,0 0,0 0,0

0,0 0,0 0,0

0,0 0,0 0,0

POLIFENOLI Idrossi-tirosolo Tirosolo Decarbossimetil-oleuropeinaaglic one Decarbossimetil-ligu strosideaglicone Lignani Agliconeoleuropeina Agliconeligustroside

mg/kg mg/kg mg/kg mg/kg mg/kg mg/kg mg/kg

12,0 2,0 12,0 10,0 23,0 6,0 6,0

23,0 3,0 36,0 16,0 34,0 7,0 3,0

3,0 4,0 37,0 28,0 20,0 10,0 4,0

6,0 4,0 21,0 15,0 26,0 12,0 14,0

Polifenolitotali

mg/kg

123

187

139

149

Conclusioni

SALVATORE CAMPOSEO

Il sistema colturale olivicolo superintensivo possiede numerosi e notevoli requisiti di sostenibilità agroecologica, derivanti dalle tecniche colturali che lo caratterizzano: cultivar e sesti di impianto, gestione della chioma, del suolo, dell’acqua e dei nutrienti.

La presenza accertata e costante nel tempo di specie vegetali ed animali di interesse comunitario (Serapiasspp. e Sylviaspp.) costituisce la risposta più immediata ed eloquente sui possibili impatti ambientali derivanti della realizzazione di un oliveto superintensivo anche in aree agricoli ricadenti in zone SIC/ZPS. L’elevata densità di piante rappresenta paradossalmente la causa maggiore della ecosostenibilità di questo sistema colturale. A ciò si aggiunga, infine, che il risultato agronomico degli impianti olivicoli superintensivi è costituito da un prodotto tipico, di alta qualità, anche DOP e Biologico.

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Nuovi sistemi colturali in mandorlicoltura, cenni storici ed economici.

Roberto ROBERTI Delegato commerciale Puglia e Basilicata Agromillora Iberia Il mandorlo ha da sempre caratterizzato l’ambiente di coltivazione mediterraneo, costituendo fino agli anni 60’ la terza

coltura arborea per importanza in questo ambiente ed in particolare in Italia che, fino al 1956, deteneva il primato di produzione mondiale. Le camere di Commercio di Bari e di Agrigento erano il punto di riferimento nella quotazione del prodotto sgusciato a livello mondiale.

Circa 50 anni dopo in Italia la mandorlicoltura è pressoché sparita, rimanendo retaggio di alcuni piccoli areali produttivi. Tale situazione si è venuta a creare per diverse valide ragioni, in primis l’incapacità di capire l’importanza di un cambiamento doveroso nei metodi di coltivazione che, fin dall’epoca di Palladio e Varrone, erano rimasti pressoché immutati e che invece altri paesi emergenti, quali la California stavano mettendo in atto in modo estremamente repentino. La stessa California in circa quarantanni ha dimostrato che, tale coltivazione, se gestita correttamente e

FOTO 1. : Foto esemplificativa di mandorli in sistema superintensivo.

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con tecniche agronomiche adeguate, può essere ad oggi estremamente redditizia.

Solo negli ultimi anni anche in ambiente mediterraneo, molti addetti al settore hanno iniziato a considerare il mandorlo come una coltura da riscoprire, anche in virtù di un trend dei mercati, stabile e con interessanti prospettive. Molti attribuiscono tale situazione ad uno stato momentaneo del mercato, dovuto a cali produttivi in presunti paesi produttori, ma le vere cause dell’ascesa dei prezzi degli ultimi 10 anni sono da ricercare nella consapevolezza dei valori nutraceutici e delle caratteristiche nutrizionali della frutta secca, tra cui, regina fra tutte, proprio la mandorla. Miliardi di nuovi consumatori (India e Cina in primis) sul mercato globale si sono affacciati al consumo di frutta secca e questo sta contribuendo ad allargare la forbice tra l’offerta del prodotto e una domanda che si prevede in crescita costante nei prossimi anni. Il continuo aumento delle produzioni a livello mondiale non riuscirà a soddisfare il costante aumento della domanda. Anche in Europa, paese storicamente consumatore consolidato, i consumi sono in aumento e le buone quotazioni attuali aprono nuove opportunità di redditività per i mandorlicoltori. Acclarato che la mandorlicoltura potrebbe rifiorire in italia e in tutto il bacino del mediterraneo, il grande interrogativo si pone sul sistema colturale da adottare. Di certo, il sistema tradizionale in asciutto ha mostrato di essere inefficiente se si vuole essere competitivi in un mercato globale. Una delle valide alternative che negli ultimi 9 anni si sta affacciando sul mercato è la mandorlicoltura superintensiva, partita anch’essa come l’olivo dalla penisola iberica e che, negli ultimi 3 anni, si sta diffondendo anche in Italia. Il sistema superintensivo di mandorlo

è basato esclusivamente sul portinnesto nanizzante Rootpac 20®, con sesti di 3,5 metri per 1,20 con una densità dai 2200 ai 2800 piante ad Ha. Il grande successo di questi sistemi è da ricercare nell’esecuzione di tutte le operazioni colturali esclusivamente tramite macchine, ad esempio le cimatrici per la potatura, senza alcuna rifinitura manuale, e le scavallatrici analoghe a quelle utilizzate in vigneti ed oliveti la raccolta.

Nel mondo si sono realizzati in meno di 4 anni, circa 5000 Ha, in Italia siamo a circa 500 ha, per lo più localizzati al sud Italia. (tab 1) Tra le varietà più promettenti che vengono attualmente utilizzate si segnalano Guara, Soleta®, Belona®, Avijour e Penta®, quest’ultima con fioritura molto tardiva. Il sistema di allevamento utilizzato è la parete libera disordinata, caratterizzata dall’assenza di rami e strutture predefinite e dominanti che disegnano l’architettura dell’albero.

TABELLA 1.

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SMART TREE®

Introduzione del superintensivo

Giuseppe Rutigliano Responsabile tecnico Italia Agromillora Iberia All’incirca 20 anni fa, nel 1994 veniva introdotto nell’azienda La Valonga un sistema colturale innovativo di gestione dell’oliveto, poi definito Superintensivo, “SHD”, destinato a rivoluzionare tutto il comparto olivicolo, europeo e mondiale. Il sistema prevedeva sin dall’inizio un impianto una struttura portante del tipo raffigurato nello schema 1 ed un forma di allevamento ad asse centrale, (CENTRAL LEADER).

La struttura richiamava in maniera esemplificativa quella del vigneto allevato a spalliera, all’epoca unica coltura raccolta con la macchina vendemmiatrice-raccoglitrice, come tale richiamava pali di testata, intemedi e canne di bamboo con un’altezza di 2,10 che dovevano accompagnare la pianta nella sua crescita sin dai primi cm (fig. 1). La pianta

FIGURA 1. : Impianto di superintensivo con struttura, tipo PRIMA GENERAZIONE O STANDARD.

utilizzata era una monoasse del tipo OLINT, con vasetti in plastica o teku da 7 cm di diametro (fig. 2).

Con questo sistema la formazione era del tutto manuale e consisteva in continue costose legature della pianta alla canna di bambo che in alcuni casi potevano raggiungere anche le 15 ripetizioni nel corso dei primi 18 mesi dalla messa a dimora delle piante (fig.

3). Inoltre era necessario effettuare potature manuali di formazione atte a ripristinare la dominanza apicale persa dai giovani olivi FIGURA 2.

SCHEMA 1. : Impianto di superintensivo con struttura, tipo PRIMA GENERAZIONE O STANDARD.

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FIGURA 3. : Operazione di legatura della pianta al tutore di bamboo. Tale operazione si rende non necessaria.

dovuti ad attacchi di insetti quali margaronia ed oziorrinco e potature di produzione anch’esse manuali per poter garantire una buona produzione sin dai primi anni.

Questo sistema ha rappresentato lo sviluppo di tutti gli impianti SHD, dal 1994 al 2008, quando inizio a sentirsi la esigenza di razionalizzare ulteriormente il sistema e cercare di eliminare in toto le operazioni manuali. Queste esigenze hanno portato ad aggiornamenti nella tecnica colturale, nel sistema di allevamento e formazione, nonché nelle tecniche vivaistiche di produzione delle piante. Enfasi di tali FIGURA 4. cambiamenti possono essere

riassunti in una semplice parola: Smarttree®.

SmartTree è il connubio tra un nuova tipologia di pianta sviluppato da Agromillora (fig. 4) e un sistema di gestione della chioma non più basato sulla impostazione ad asse centrale o central leadear ma sulla realizzazione di una parete indefinita gestita in maniera anarchica. Tale passaggio si è reso indispensabile per effettuate un salto tecnologico importante che il mondo olivicolo richiedeva e che ha consentito di gestire al 100% meccanicamente l’impianto sin dalle prime fasi. Con la struttura anarchica SMARTTREE® è stato possibile eliminare in parte o in toto le strutture di sostegno che oltre ad essere antieconomiche e di danno per la raccolta meccanica al partire dal 4 anno, sono anche scarsamente eco compatibili e di forte impatto per l’ambiente.

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Lo schema di realizzazione si è notevolmente semplificato eliminando in toto le strutture come evidenziato in schema 2, o lasciando una piccola struttura di supporto indicato per le aziende condotte in regime di agricoltura biologica, per agevolare l’uso degli scalzatori meccanici per la gestione dell’interfila o laddove le condizioni di ventosità

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estremamente avverse la richiedano.

Anche nelle aziende gestite con tecnica di coltivazione biologica è possibile però ovviare alla realizzazione della mini struttura se viene introdotta la tecnica della pacciamatura realizzata con film plastici o materiali naturali (Fig. 5).

Perdendo l’asse centrale si introduce un prezioso concetto, la parete produttiva che sostituisce la individualità della pianta, garantendo un incremento produttivo ed una

maggiore precocità di entrata in produzione registrata negli impianti gestiti in maniera corretta secondo la tecnica smarttree®.

SCHEMA 2. : SMARTTREE® di seconda generazione.

CON MINI STRUTTURA DI SUPPORTO

SENZA ALCUN TIPO DI SUPPORTO FIGURA 5. : Impianto Shd. Smarttree senza struttura di supporto. Con pacciamatura in film plastico.

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Dalle foto dell’impianto di Oliana è possibile vedere la corretta formazione della parete produttiva di mese in mese, che dovrà essere realizzata nei primi 30 mesi dall’impianto

effettuando continui tagli, TOPPING nella parte alta ed HEDGING sui laterali, tale da favorire una formazione corretta della parete (schema 3).

FIGURA 6. : Vista di un impianto SMART TREE CV. Oliana® (8 mesi ) Sesto 3*1 m

SCHEMA 3. : Parete produttiva da realizzarsi nei primi 30 mesi dall’impianto.

FIGURA 7. : Vista di un impianto SMART TREE CV. Oliana® (12 mesi ) Sesto 3*1 m

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La parete formatasi a 26 mesi (fig.8) dall’impianto a differenza di una derivante dall’impianto di tipologia Standard o di prima generazione appare molto più compatta, uniforme, senza spazi vuoti all’interno che creano discontinuità nelle fase di settaggio continuo della raccoglitrice. La parete formatasi in un impianto smarttree® risulta essere di più facile gestione, con una produttività decimetro quadrato maggiore a quella ottenuta da un impianto standard.

FIGURA 8. : Impianto cv. Arbosana. 26 mesi dall’impianto. Senza struttura di supporto. Ala gocciolante posta a terra.

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MORENO BERNARDINI - SCARLINO (GROSSETO)

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People

PIONIERO nella realizzazione in Italia di impianti ad alta densità, Moreno Bernardini rappresenta il successo del superintensivo nel cuore dell’Alta Maremma Toscana. Coltiva Olivo da tre generazioni, rappresentando un’ azienda storica della produzione di Olio Extravergine in Maremma. Oggi l’azienda si estende su circa 40 Ha, investiti per la quasi totalità ad Alta Densità.

• Fratelli Presti

- SALEMI (TRAPANI) BIODINAMICA, è la filosofia che hanno adottato nel gestire gli impianti ad alta densità nel cuore della Sicilia. Impianti di mandorlo gestiti con la tecnica dello stress idrico controllato e oliveti in asciutta, sono uno dei tanti elementi caratterizzanti della loro esperienza in una terra siciliana dove l’acqua è più che mai una risorsa da valorizzare e tutelare.

VINCENZO DELLERMA - CERIGNOLA (FOGGIA) Pasquale e Leonardo Presti

SMARTTREE, INNOVAZIONE, MECCANIZZAZIONE sono le peculiarità di questo impianto di circa 30 ha a ridosso di Cerignola. Dapprima Arbequina, poi Arbosana ed infine Oliana per un oliveto che si pone gli obiettivi di far si che il futuro sia già il presente.

SOCIETA’ AGRICOLA ARTEMIDE - ANDRIA (BT) TRADIZIONE, INNOVAZIONE E TERRITORIO sono gli elementi che accomunano gli imprenditori DIPIETRO E BORRELLI, artisti dell’agricoltura fatta con passione e dedizione. Costituiscono la più grande realtà mandorlicola ad alta densità realizzata in Italia. Non è la sola introduzione del sistema superintensivo a rendere unico il loro progetto, bensi l’unione delle più moderne tecniche di produzione, il rispetto dei cicli biologici, dalla terra alla terra per un’efficienza di gestione a tutto tondo.

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