Mestieri d'arte e design 12

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e è molto facile innamorarsi delle meraviglie del nostro Paese, queste non devono essere usate come scudo per mascherare l’indolenza, l’ignoranza e l’inefficienza

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«Ma signore, cosa mi domanda? Son veramente innamorato di questa bellissima lingua, la più bella del mondo. Ho bisogno soltanto di aprire bocca e involontariamente diventa il fonte di tutta l’armonia di quest’idioma celeste. Sì, caro signore, per me non c’è dubbio che gli angeli nel cielo parlano italiano». Così scrive Thomas Mann, nelle Confessioni del Cavaliere d’Industria Felix Krull. L’italiano come lingua celestiale, l’Italia come la patria della bellezza: innamorarsi del nostro Paese, della nostra cultura, dei nostri mestieri è facile. Eppure, come in tutti i Giardini dell’Eden, anche nel nostro paradiso si annidano serpenti insidiosi, tentatori e rovinosi: la sciatteria, la disorganizzazione, la corruzione e tutta quella «industria del brutto» (dall’ignoranza alla delinquenza) che è ogni giorno sotto i nostri occhi. Di bellezza si vive, ma si muore anche: è questo il rischio che corriamo, quando sottolineiamo solo gli aspetti edulcorati della nostra cultura e dimentichiamo che la creatività e la cultura del progetto (oggi diremmo «il design») nascono e prosperano in un contesto sociale, politico ed economico stimolante. Eretico. Nutrito di scienza, ricerca, difficoltà e ispirazione. Sostenuto storicamente da un sistema avanzato di dialogo tra committenti, creativi, artigiani non sempre facile, a volte

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belligerante, ma anche irripetibile altrove come giustamente afferma la Fondazione «Italia Patria della Bellezza», di nascita recente. In un momento di estrema banalizzazione dei messaggi, saper mantenere un atteggiamento critico e un linguaggio convincente, come questa rivista si impegna a fare, significa saper presentare il «bello ben fatto» tipico dell’Italia come il risultato di un processo che si nutre di curiosità e competenza. Significa raccontare il vero cuore della bellezza attraverso una vis retorica efficace e reale, che faccia breccia presentando la realtà e non un facile surrogato di essa. La bellezza italiana va infatti compresa, raccolta e raccontata con competenza non solo evocativa ma anche linguistica, per presentare al meglio la genialità così come il lavoro, la maturazione così come la sperimentazione, la crescita così come la tradizione. Innamorarsi della bellezza è facile. Ma il vero amore è quello «generativo»: ovvero, quello fertile. Che fa nascere qualcos’altro, che porta lontano. A differenza di Narciso, punito dagli dei per essersi innamorato del suo riflesso, Pigmalione, abbagliato dalla grazia della sua opera, venne premiato da Afrodite: perché l’amore per la statua si rivelò un sentimento puro, che trovava la sua ragione nella sensibilità dell’artifex. Mentre lo sguardo di Medusa pietrifica e toglie la vita, lo sguardo innamorato dell’artigiano/artefice dona calore alla materia in virtù dell’autenticità della sua ispirazione, e della sua perizia e competenza nell’esecuzione. Lo sguardo e la parola: le vere fonti dell’amore. Ma per mantenere questa capacità di essere amati e amabili e di generare ricchezza e stupore, la bellezza non può più essere un alibi per mascherare l’indolenza, l’ignoranza e l’inefficienza. Per essere competitivi occorre non solo essere belli e bravi, ma anche precisi, puntuali, affidabili; occorre saper raccontare la verità con bellezza. Una sfida ancora da combattere, per passare dalla suggestione del linguaggio al successo dell’azione.

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