Artigianato 75

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a r t i g i a n a t o tra arte e design

N°75/ Sett./Ott./Nov.2009

Le sei stagioni di

Chandan Bolsena Biennale L’arte nel Ricamo e nel Merletto

La Cina è sempre più vicina Metalli.ca Arte Fiera, Verona 2009.

“Concreta”:

il “genio” artistico applicato alla ceramica

Miniartextil e l’universo

Giochi

di carte

Insegnare

l’artigianato

contemporaneo


Artigianato Tra Arte e Design Anno 2009 - Numero 75 Sett./Ott./Nov. www.mestieridarte.it DIRETTORE RESPONSABILE: Ugo La Pietra DIREZIONE EDITORIALE: Franco Cologni COMITATO SCIENTIFICO: Enzo Biffi Gentili, Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Anty Pansera REDAZIONE: Alberto Cavalli Simona Cesana Alessandra de Nitto

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Sommario

Ugo La Pietra / EDITORIALE

Dove è l’Artigianato? Nives Arnaboldi

Miniartextil e l’universo Vittorio Amedeo Sacco

L’ambivalente maturità di una mostra Edoardo Perri

HANNO COLLABORATO: Edoardo Perri Vittorio Amedeo Sacco Enzo Fiammetta INSERZIONI PUBBLICITARIE: Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte IMPAGINAZIONE/GRAFICA: Emanuele Zamponi

Metalli.ca

Ugo la Pietra

La Cina è sempre più vicina Simona Cesana

I Luoghi della Ricerca Alberto Cavalli

Mestieri d’arte: giacimenti culturali sui quali investire

EDITING: AG Media S.r.l. UN PROGETTO DI:

Alberto Cavalli

Giochi di carte Enzo Fiammetta

Le sei stagioni di Chandan Simona Cesana

“Concreta”: il “genio” artistico applicato alla ceramica

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Simona Cesana

Insegnare l’artigianato contemporaneo Federica Cavriana

Bolsena Biennale. L’arte nel Ricamo e nel Merletto Alberto Cavalli

Scultura gioiello di carta di Lydia Hirte.

Arte Fiera, Verona 2009 Franco Cologni

Un’eccellenza su misura: i giacimenti culturali del Made in Italy

60 67 70 76



Comitato tecnico e corrispondenti per le aree artigiane Alabastro di Volterra Irene Taddei

Ceramica sestese Stefano Follesa

Marmo di Carrara Antonello Pelliccia

Pietra Serena Gilberto Corretti

Bronzo del veronese Gian Maria Colognese

Ceramica umbra Nello Teodori

Marmi e pietre del trapanese Enzo Fiammetta

Pizzo di Cantù Aurelio Porro

Ceramica campana Eduardo Alamaro

Cotto di Impruneta Stefano Follesa

Marmo del veronese Vincenzo Pavan

Tessuto di Como Roberto De Paolis

Ceramica di Albisola Viviana Siviero

Cristallo di Colle Val d’Elsa Angelo Minisci

Mosaico di Monreale Anna Capra

Travertino romano Claudio Giudici

Ceramica di Caltagirone Francesco Judica

Ferro della Basilicata Valerio Giambersio

Mosaico di Spilimbergo Paolo Coretti

Vetro di Altare Mariateresa Chirico

Ceramica di Castelli Franco Summa

Gioiello di Vicenza Maria Rosaria Palma

Oro di Valenza Lia Lenti

Vetro di Empoli Stefania Viti

Ceramica di Deruta Nello Teodori

Intarsio di Sorrento Alessandro Fiorentino

Peperino Giorgio Blanco

Ceramica di Vietri Sul Mare Massimo Bignardi

Legno di Cantù Aurelio Porro

Pietra di Apricena Domenico Potenza

Vetro di Murano Marino Barovier Federica Marangoni

Ceramica faentina Tiziano Dalpozzo

Legno di Saluzzo Elena Arrò Ceriani

Pietra lavica Vincenzo Fiammetta

Ceramica piemontese Luisa Perlo

Legno della Val d’Aosta Franco Balan

Pietra leccese Luigi De Luca

Lavorazione dell’alabastro in un laboratorio di Volterra. Foto Irene Taddei.

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Ugo La Pietra / EDITORIALE

Dove è l’Artigianato? Difficile elencare la mappa del nostro artigianato artistico! Una difficoltà che, se da una parte ci stupisce per la ricchezza e complessità di espressioni, dall’altra ci preoccupa per la superficialità con cui la cultura e le istituzioni ne semplificano la dimensione. La gente comune conosce l’artigianato artistico attraverso le bancarelle dei mercatini, dove si alternano oggetti di semplice bigiotteria, con qualche riferimento all’ormai lontana cultura hippie, a souvenir riferiti alle varie sagre o ai luoghi di pellegrinaggio; più specificatamente l’artigianato artistico è conosciuto e frequentato attraverso le grandi fiere pre-natalizie che raccolgono una grande quantità di visitatori. È un artigianato, questo, spesso carico e ridondante, che fa mostra di qualcosa che da sempre la cultura ufficiale chiama “kitsch” (o semplicemente di cattivo gusto), salvo poche eccezioni. C’è anche l’artigianato più colto, quello che ripercorre gli stili e i modelli del passato (vale a dire che ripropone, non sempre in modo filologicamente corretto, le opere del passato): mobili in stile, ceramiche, vetri, alabastri, marmi, gioielli d’epoca. Da questo ambito si sono sem-

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pre distinti gli artigiani artisti capaci di rinnovare il linguaggio definendo così quello che, per cercare d’intenderci, chiamiamo “Artigianato Artistico di Eccellenza”, fatto spesso di singoli autori in grado di esprimersi attraverso un linguaggio contemporaneo, prendendo comunque le distanze dal mondo dell’arte. A questi modelli occorre aggiungere tutto l’artigianato (intagliatori, intarsiatori, incisori, ecc.) che lavora per le medie aziende (soprattutto del mobile e della moda) realizzando le parti lavorate a mano di cui l’azienda realizza poi il montaggio, e l’artigiano che lavora per l’industria attraverso la realizzazione di stampi e modelli (in cera, in gesso, in legno, …) per la grande produzione. A questi si aggiunge un’altra categoria (forse la più colta), ovvero gli artigiani che operano su progetto per opere uniche come gli arredamenti fatti su misura (spazi privati e spazi pubblici) a cui recentemente si sono aggiunti gli artigiani che producono oggetti in piccola serie su progetto di designer (edizioni di design artistico). Non trascurabile è il fenomeno dell’autoproduzione, una versione aggiornata della vecchia

bottega artigiana in cui il titolare stesso si occupa di progetto del prodotto, della sua comunicazione e della sua commercializzazione: artigiani artisti che superano i modelli tradizionali sia nell’uso dei materiali (ad esempio con l’ultilizzo del silicone o materiali di recupero) che nelle tecniche di lavorazione e che conoscono bene anche le leggi del marketing. All’interno di queste categorie così diversificate è difficile definire una strategia per lo sviluppo e la valorizzazione: ogni categoria è un mondo a parte che segue regole e logiche creative, produttive e commerciali completamente diverse tra loro. Profonde differenze tra una categoria e l’altra che dovrebbero portare le varie strutture preposte alla loro valorizzazione (Istituzioni, Assessorati, Camere di Commercio, Fiere ma anche strutture didattiche) a cercare di approntare di volta in volta strumenti differenziati. Ma ancora è lontano uno studio approfondito di queste categorie che rappresentano l’artigianato: un nostro grande patrimonio artistico, culturale, produttivo ed economico.


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Unica al mondo, la nostra collezione di movimenti meccanici vanta un impareggiabile vastità di forme, stili e complicazioni : ogni orologio è dotato di un proprio calibro, interamente realizzato all’interno della Manifattura. Nel corso dei nostri 175 anni di storia, abbiamo creato oltre 1000 movimenti diversi : questo cofanetto mostra alcuni dei 60 attualmente in produzione. Un record assoluto nella storia dell’orologeria.

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Luisa Valentini, “Angeli ribelli”.


Nives Arnaboldi

Miniartextil e l’universo

L’edizione 2009 della mostra internazionale di Fiber Art di Como


Naoko Serino, “Existing”.

La XIX edizione della rassegna d’arte contemporanea, dal titolo “…e lucean le stelle… 2009 miniartextil cosmo”, curata da Luciano Caramel e organizzata dall’associazione culturale Arte&Arte di Como, è dedicata all’universo, in concomitanza con l’anno mondiale dell’astronomia proclamato dall’ONU. Luciano Caramel introduce la mostra con una riflessione sull’astronomia e sull’universo: «Tra le scienze, l’astronomia è forse quella che, da sempre, ha coinvolto e coinvolge più di ogni altra un pubblico molto vasto e differenziato, per età, formazione, cultura: un’attenzione trasversale, anche nelle motivazioni, oltre che nei modi in cui si realizza, che conta ricadute importanti sulla letteratura, la poesia, il cinema, la televisione e l’arte

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nei suoi vari aspetti. Fiber art o arte tessile compresa, come questa diciannovesima edizione di Miniartextil dimostra con la forza propositiva delle opere, nelle quali prende forma la duplicità di base della tematica celeste, tra razionalità ed emozione, progetto e invenzione, teoria e fantasia, partecipazione ideale e frizione con la contingenza mondana contemporanea.» Gli artisti coinvolti sono stati invitati a confrontarsi e a verificare nuovi campi d’indagine e di ricerca investigando lo spazio tra terra e cielo, traendo ispirazione dal movimento dei pianeti e dai disegni delle costellazioni, in sintesi attraversando l’universo; le opere offrono quindi scenari molto variegati, alcune danno enfasi alla luce, altre presentano effetti cinetici, texture dinami-

che, fughe nello spazio e nel tempo. Come ogni anno la mostra esporrà le opere finaliste del concorso dedicato ai “minitessili”: 54 opere (misure massime 20 cm per lato) selezionate tra 378 progetti pervenuti ad Arte&Arte da 40 nazioni diverse. Quest’anno la giuria è composta dal critico d’arte Luciano Caramel (presidente), dall’artista del Ghana El Anatsui e dall’Architetto Arturo Dell’Acqua Bellavitis, Professore presso il Politecnico di Milano. Accanto ai minitessili ogni anno vengono esposte installazioni di artisti affermati e riconosciuti a livello internazionale. Nelle precedenti edizioni erano presenti, tra le altre, opere di Fausto Melotti, Maria Lai, Magdalena Abakanowicz, William Kentridge, Hiroko Watanabe e lo scorso anno


anche l’imponente “Cattedrale Vegetale” di Giuliano Mauri, grande artista recentemente scomparso. Le installazioni proposte quest’anno in mostra sono una trentina, tra cui “Five Creation Myths” dell’australiano Robin Fox, che realizza opere audiovisive generate dalla trasmissione di segnali sonori ad un oscilloscopio a raggio catodico; “Different Worlds” un’istallazione di 13 elementi della ceca Blanka Sperkova che crea con le proprie mani reti e maglie in fili metallici dalle forme interplanetarie; “Il Metafisico” dell’italiana Elisa Nicolaci, una scultura tessile che a detta dell’autrice “(…) si libera progressivamente dal suo peso di scultura, di materia, di forma e diviene misteriosamente lieve”; fino a giungere all’imponente installazione del tedesco Jens J. Meyer allestita con tessuti elastici e tubi di carbonio leggero che ama definire “textile tensions”. Presente anche un’altra esponente della Fiber Art, Shihoko Fukumoto, un’artista specialista nella tecnica shibori che propone “Koku” (il vuoto), un arazzo che misura 500x210 cm; e Luisa Valentini con i suoi “Angeli Ribelli” un’installazione di 3 elementi in maglia di acciaio e tubi saldati. Tra i minitessili invece particolarmente curiose e accattivanti sono le opere “Meditation” di Hiroko Watanabe per l’impiego delle luci led; “A second Earth” della belga Annelies Slabbynck, da intendersi proprio come una seconda pelle; “Space In” della giovanissima ceca Dagmar Smetanova; e “the Hall” della turca Muge Durmaz, classe 1985, che racchiude nello spazio di un melograno tutta l’immensità dell’universo. La manifestazione prevede anche una serie di incontri collaterali legati al tema dell’universo, e in particolare un incontro con il fisico e giornalista scientifico Marco Cagnotti dal titolo “L’universo come opera d’arte”, una tavola rotonda moderata dal Professor Arturo Dell’Acqua Bellavitis e un incontro sui ritrovamenti archeologici nell’area comasca dal titolo “Il grande cerchio litico: lettura

Annelies Slabbynck , “A second earth”.

Dagmar Smetanova, “Space In”, particolare.

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Antonella Cimatti, Ceramiche Pimpinelli, Gualdo Tadino.


Aina Muze, “Rising star”.

Walter Francone, “Nel giardino delle idee campate per aria”.

di un ritrovamento enigmatico”. Da sottolineare i rapporti con importanti realtà internazionali che Miniartextil ha saputo intrecciare nel corso degli anni, creando un percorso itinerante che ha portato l’esposizione in varie città del mondo. Appuntamenti consolidati sono Montrouge, alle porte di Parigi, e Venezia, presso il Museo di Palazzo Mocenigo, in collaborazione con i Musei Civici Veneziani. Sono in fase di sviluppo trattative con Il Cairo nell’ambito della 12° edizione della Biennale d’Arte, con Fulda, in Germania, città tessile gemellata con Como dal 1960; e con Quebec City presso il Musée du Costume et du Textile du Québec.

Miniartextil 2009 84 opere di fiber art internazionale provenienti da 40 Paesi: 54 minitessili e 30 installazioni. Catalogo italiano/inglese/francese JMD Como, con intervento critico di Luciano Caramel. 26 settembre - 15 novembre 2009 Ingresso libero Sede principale: Chiesa di San Francesco, Largo Spallino, 22100 Como Info Associazione Arte&Arte Tel. 031.305621 www.miniartextil.it artearte@miniartextil.it

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Vittorio Amedeo Sacco

L’ambivalente maturità di una mostra 14 La 49a Mostra della Ceramica di Castellamonte


Maria Cristina Carlini, “La ceramica delle donne�, allestimento nelle sale del Castello.


Jayme Hayon, “The family portrait”.

Presentare delle opere d’arte contemporanea e di design in una mostra che per definizione si interessa di ceramica d’autore, ha cessato di essere audace. La questione che si pone, di contro, è sapere se questo genere di riscontri sia fruttuoso, se questo tipo di presentazione, insolita per definizione, in un tale luogo, si iscriva in una forma di continuità coerente o provochi una discordanza. La mostra di Castellamonte, “Il Canto della Terra” sottolinea a che punto la ceramica e gli oggetti d’arte contemporanea, le proposte, le tecniche e gli obiettivi, come i risultati, siano differenti. Questa esposizione

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presenta un florilegio d’arte contemporanea in ceramica, la “ceramica dei ceramisti”. Questo non può che essere un confronto arricchente. Tutte le analogie sono pericolose. A chi compete oggi il campo della ceramica d’arte, che ormai passa soltanto di fianco ai vasai, per ricordare una terminologia caduta in disuso? Lo scarto nel pensiero e nel possibile, inerente a tutte le creazioni artistiche, definisce il campo di azione, diviso tra possibilità, artistiche e utilitaristiche. Sembra ormai acquisito che l’espressione individuale debba essere al centro delle preoccupazioni, fuori da ogni pensiero d’utilità. Siamo

persuasi che oggi la produzione ceramica debba soddisfare bisogni d’ordine estetico e psicologico. Di conseguenza il ceramista deve evitare ogni riferimento immediato alla funzione che può nuocere alla scoperta sensoriale dell’oggetto, come la creatività dell’artista. Il valore utilitaristico dell’oggetto diventa secondario, perfettamente arbitrario. È radicato in molti, erroneamente, il pensiero che due vocazioni, artistica e utilitaristica, non possano coesistere in seno allo stesso oggetto senza nuocere e creare confusione. Ma allora, un oggetto può ancora assicurare la sua modesta utilità e


Allesimento nelle sale del Castello.


Rosaria Rattin, “Specchi dell’anima”, ceramica.

mettere in evidenza anche le regole della sua disfunzione? Sembra che si assista a una crisi schizofrenica dell’oggetto. L’eterna forma regolare del vaso contenitore tornito si trova messa male, decentrata, mal sopportando l’urto della via artistica. Davanti a questa libertà sconcertante, certi ceramisti hanno voluto fuggire per ritrovare il senso, ricercare l’accidentale, resuscitare l’istinto selvaggio. La terra - nuda e cruda - non ha mai fatto tanto muovere il pensiero. I ceramisti sono chiamati a scegliere il loro campo. Il simbolico vaso che ancora all’inizio del secolo scorso conteneva forma e funzione, narrazione ed evocazione, si è rotto. Queste schegge o frammenti sono diventati altro, arte, design, scultura in ceramica, pittura su ceramica, artigianato, fregi per l’architettura, oggetti d’uso. È di questi frammenti, di queste schegge che vuole occuparsi la 49a mostra della Cerami-

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Alessandro Mendini, “Poltrona Proust”, realizzata da Superego editions, 2009, Foto di Emanuele Zamponi.


Il curatore della Mostra Vittorio Amedeo Sacco e lo scultore ceramista Giancarlo Scapin con il Sottosegretario Giachino. Le sale di Palazzo Botton durante l’inaugurazione con l’allestimento “Il canto della terra” con opere di Giancarlo Scapin.

ca - 6a mostra di Arti Applicate, in Castellamonte. Il materiale ceramico in sé non contiene alcune proposte particolari. La sua potenzialità è nell’attenta possibilità di creare forme e oggetti, che la orienta secondo le leggi che sono gli elementi oggettivi di una scoperta, ma pretendono il rispetto o la trasgressione resta d’ordine soggettivo. Un numero crescente di artisti opta definitivamente per il materiale terra, dopo una formazione di scuola d’arte più che di laboratorio e ha creato una certa distanza dalla generazione precedente, faccia a faccia con la ceramica tradizionale. Quello che potrebbe essere considerato come un rimarcabile e complesso movimento di liberazione è pertanto sovente percorso ancora come una mancanza dei principi fondamentali dei luoghi della ceramica, tradizione ed etica millenaria dell’umiltà e della domesticità. Certo, i vasai si definiscono più volentieri come ceramisti. Più raramente, è vero, essi torniscono un vaso, una pentola, semplicemente, modestamente, se lo sanno ancora fare. Sovente scelgono una libera manipolazione per la quale l’argilla malleabile si trova improvvisamente liberata, accostata a materiali eterogenei, imbrigliata in pratiche poco ortodosse, che la derubano dalle mani esperte, dalle nostalgie utilitaristiche. I più giovani hanno accettato facilmente questa rivoluzione delle forme e dei materiali provenienti dalla scultura. Nuovi pensieri, nuovi gesti, riaffermano senza tregua l’esistenza stessa della ceramica d’arte e si prolungano nell’edonismo. La vera morale per noi, spettatori attenti, è che l’oggetto ceramico - a immagine di una scultura, di un dipinto, o di un altro mezzo


espressivo - deve essere sempre in grado di farci riflettere, in maniera viscerale, sull’impegno fisico e intellettuale del suo autore: il gesto dell’autore, la carezza dell’amatore. (...) La mostra della Ceramica di Castellamonte della ceramica è dunque un punto fermo, per ora e ciò mettendo anche in conto che il punto in sé, come è noto, non ha dimensione, cioè si pone per definizione come indefinito.

L’inaugurazione della mostra; in primo piano un’opera di Giancarlo Scapin.

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49a Mostra della Ceramica, 6a Mostra di Arti Applicate di Castellamonte TO dal 4 settembre al 4 ottobre 2009 Castellamonte, varie sedi a cura di Vittorio Amedeo Sacco Tel. 0124/5187216 info@stendhal.biz La mostra è caratterizzata da varie esposizioni: “Il Canto della Terra” (Giancarlo Scapin), “Fantasy” (Jaime Hayon), “La Ceramica delle Donne” (Maria Cristina Carlini), “Terra e Mare” (Lia Larizza), “L’Arte in Ceramica del Novecento”, “Un Racconto per la Tavola” (Lorenzo Prando, Riccardo Rosso), “Vasi” (Anna Gili), “Fiori di Luce” (Maria Cristina Hamel), “Natura” (Ugo La Pietra), “Proust” (Alessandro Mendini), “Urban pottery”, “Specchi dell’anima” (Rosaria Rattin), “Ambasciatori della Terra Rossa” (10 ceramisti di Castellamonte e 6 ceramisti dell’artigianato d’eccellenza sono stati nominati Ambasciatori della Terra Rossa. Sono state organizzate per loro singole personali in diversi comuni del Canavese).


Slow Food Italia - Campagna associativa 2009

Immagine Maurizio Burdese

Per chi ama le domande...

Per chi vuole le risposte... www.slowfood.it

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THall, “Nubes”, Whomade.

Edoardo Perri

Metalli.ca L’arte e il design dei metalli in mostra al THotel di Cagliari


Immagine dalla locandina della Mostra.

Il mondo si regge sui metalli. Fusi, forgiati, battuti, preziosi, lucidati, ossidati, corrosi, spazzolati, curvati, tranciati, cesellati, cromati, galvanizzati: i metalli sono un materiale serio. Ed è con questa convinzione che il THotel propone a Cagliari una mostra sull’interpretazione dei metalli nel design e nell’arte, ad opera di designer, artisti ed artigiani eccellenti. Nella scenica cornice dell’albergo, ad Edoardo Perri e Dario Riva dello studio Whomade viene affidato il compito di curare nella sostanza e nella forma una mostra che coraggiosamente raccoglie ed avvicina le opere ed i contributi in metallo di una serie di prestigiosi autori del panorama locale, nazionale e internazionale, chiamati a rappresentare i diversi percorsi del metallo contemporaneo. La selezione delle opere è

libera da pregiudizi e anzi parte con l’intenzione di irrompere nei confini tra le diverse discipline alla ricerca di nuovi legami tra arte, design e artigianato. Ed è così che, allestita negli spazi comuni d’accoglienza del THotel, dalla hall al bistrot fino al giardino d’inverno, Metalli.ca è stata inaugurata a Cagliari, il 23 giugno scorso, con una conferenza aperta al pubblico. Ed è all’insegna dell’interdisciplinarità che Dalia Gallico, Presidente dell’ADI Lombardia, Associazione per il Disegno Industriale, apre il dibattito fornendo già da subito una sua lucida visione: “Oggi il ruolo del designer è iscritto in un quadro in cui l’innovazione deve passare da un carattere di episodicità a quello di sistematicità e in cui la capacità creativa del singolo deve di conseguenza trasformarsi nella capacità

creativa del sistema. Sviluppo di reti di conoscenze, relazioni, idee che caratterizzano in modo trasversale l’attuale sistema delle arti e della conoscenza basata sulla condivisione - da parte dei diversi ambiti - di informazioni, documenti, strumenti e servizi, che favorisce l’innovazione, fonte di processi progettuali.” Una visione trasversale della progettualità questa, che lavora per una reale condivisione dell’innovazione e non è come spesso accade una semplice incursione del design nei campi dell’arte e dell’artigianato. Come a voler ribadire lo stesso approccio olistico, includendo allo stesso tempo l’idea di responsabilità ed etica nel progetto, continua poi Riccardo Dalisi, artista e designer, promotore del Compasso di Latta: “Il Compasso di Latta propone una prassi del

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“Torso”, Tamar Meshulam.

design, una salutare “spinta”, un suggerimento utile, una possibilità di rinnovamento, una percorribilità complementare. La recessione, i grandi problemi legati all’ecologia e al consumismo non possono più essere trascurati né tanto meno ignorati. L’idea di un Compasso di Latta è di Alessandro Guerriero. Viene, io credo e sento, da un valore che egli attribuisce a tutto ciò che attiene all’umiltà e al cuore: tutto ciò che è “povero”, semplice, facile nella reperibilità e nell’uso ha un suo proprio valore potenziale.” Dalisi propone una nuova prassi progettuale legata alla consapevolezza del fare e quasi ripercorre la sua stessa passione per il mondo

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del progetto, indissolubilmente legato alla manualità e a un senso di responsabilità e sociale e culturale. E se linguisticamente l’idea apparentemente giocosa di un Compasso di Latta sembra contrapporsi alla più consolidata realtà del premio Compasso d’Oro del quale l’ADI è promotore, in realtà, ed è anche questo il senso della mostra Metalli.ca, l’obiettivo è comune: creare una nuova rete di conoscenze, relazioni, idee trasversali che attraversano tutto il sistema del progetto, sollecitando nuove prassi di ricerca, nuovi settori, nuovi ambiti. Metalli.ca avvicina così le sculture di artisti come Moretti, Mereu, Forges Davanzati e Meshulam, che

con una sensibilità molto personale sviluppano una propria originale estetica del metallo, agli oggetti dei designer Rifino, Lucidi Pevere, Amfitheatrof, Bracco e De Lange che con le loro creazioni osano guidare il metallo verso l’espressione di nuovi linguaggi, facendo ampio uso di metafore e provocazioni figurative. Un articolato panorama di contributi che include la collezione “parlante” dei fiori futuristi in ferro smaltato multicolore di Gherardo Frassa, le opere eclettiche Whomade, gli oggetti rigenerati fatti di posate di Giovanni Scafuro, la fine collezione in rame smaltato di Ugo La Pietra, gli argenti e i preziosi riflessi firmati De Vecchi, fino ai


“Rama”, Whomade.


Andrea Forges Davanzati “Ciliato”.

tradizionali Mufloni in ferro di Bam Design e le pentole in rame di Luigi Pitzalis, chiamati a rappresentare l’uno la giovane promettente generazione di progettisti sardi, l’altro la maestria e l’eccellenza artigiana dalla quale, a ben pensare, tutto è partito. Nata dalla lungimiranza dei proprietari del THotel che, con questa ed altre mostre, sempre più si configura essere cuore pulsante della cultura nella città capoluogo sardo, e dalla visione di Cristina Boy e Margherita Usai a cui tanto

deve questa mostra, Metalli.ca propone un suo percorso libero da schemi, quasi a suggerire al pubblico che nonostante al mondo tutto sembra essere già stato inventato, c’è ancora parecchio spazio per ricercare e sviluppare una nuova consapevolezza del fare, legata all’integrazione tra le varie arti e discipline.

Elefante Fermalibri, Collezione Albini, Presentato al salone del mobile 2009.

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Metalli.ca a cura di: Whomade con Vittorio Bruno con la collaborazione di Andrea Sandali (T Art) fino al 15 ottobre 2009 aperto dal lunedì al sabato, ore 10:00 - 13:00 / 17:00 - 21:00 THotel via dei Giudicati 66, Cagliari - Italy Informazioni: Tel. +39 070 47407020 tart@thotel.it www.metalli.ca.it Artisti: Alessi, Francesca Amfitheatrof, Bam Design, Claudio Bracco, Riccardo Dalisi, Andrea Forges Davanzati, Anna Deplano, De Vecchi, Gherardo Frassa, Chanan de Lange, Ugo La Pietra, Michela Mereu, Tamar Meshulam, Guido Moretti, Luigi Pitzalis, Matteo Pugliese, Enzo Rifino, Giovanni Scafuro, Studio Lucidi Pevere, Whomade. Riccardo Dalisi.

“Ivy”, Whomade.

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Ugo La Pietra

La Cina è sempre più vicina Un laboratorio didattico di riconversione progettuale

Andrea Giacomelli, studente al corso di Design della NABA, “Alzata”, autoproduzione da riconversione progettuale di piccoli souvenir.

Giulia Siciliano, studentessa al corso di Design della NABA, “Borsa estiva”, autoproduzione da riconversione progettuale di un sottopentola in bambù.

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Hanno iniziato pochi anni fa aprendo diversi ristoranti cinesi in quello che la tradizione voleva essere il quartiere cinese a Milano. È, quest’ultimo, il quartiere Sarpi / Canonica / Bramante (per indicare le vie principali) e costeggia il Parco Sempione e l’Arena. Un quartiere che originariamente ospitava alcuni artigiani cinesi per la lavorazione della pelle ma soprattutto un’infinità di botteghe riferibili ad un folto gruppo di artigiani-commercianti “nostrani” da generazioni radicati nel quartiere: dalle botteghe alimentari alle più varie legate a diverse attività come la cromatura dei metalli, la vendita di pese, la fornitura di colori, la lavorazione della lana per materassi e tanti negozi di abbigliamento per un mercato medio, e poi bar e cinema. In pochi anni decine di migliaia di cinesi con le proprie famiglie si sono comprati tutto il quartiere: un pezzo di città! Questi cinesi non si sono “inseriti”, né tanto meno integrati, ma semplicemente “sovrapposti” agli abitanti e negozianti di prima. Il quartiere in poco tempo si è trasformato radicalmente ma soprattutto, per i non pochi vecchi residenti rimasti, è diventato invivibile. Non tanto per il gran numero di cinesi, quanto per


il fatto che i migliaia di negozi sono stati trasformati in “grossisti” e in più in grossisti di un sol genere di merci: abbigliamento a bassissimo costo. Se in via Solferino o in via Volta, a soli 150 metri da via Bramante, le scarpe vengono vendute a 400 Euro, in via Paolo Sarpi in un negozio cinese costano dagli 8 ai 12 Euro. Una vera rivoluzione! Una modificazione radicale che ha trasformato il quartiere in un luogo in cui vengono quotidianamente tutti gli ambulanti e i piccoli negozianti di mercati a rifornirsi di merce. Un traffico di un “grande mercato” che può essere paragonato a ciò che avviene (carico e scarico) in un grande porto europeo. Carico e scarico: perché i piccoli negozi stracolmi di “balle” di merce vengono

riforniti e svuotati dai vari acquirenti anche più di una volta al giorno. Le porte del negozio sono aperte in qualsiasi stagione per ricevere balle portate da carrelli, da auto, da furgoncini. Ma anche mezzi di tutti i tipi di acquirenti che si fermano dove e come possono per caricare le merci che verranno poi presentate e vendute al dettaglio nei vari mercati di tutta Italia. Un traffico infernale: spesso le auto si fermano in mezzo alla strada per caricare bloccando la circolazione, con le macchine che in breve iniziano un feroce concerto di clacson! Strade congestionate dalla gente (i negozianti preferiscono stazionare sui marciapiedi, non essendoci spazio vitale nei negozi ricolmi di merce, e anche perché la temperatura

Quartiere di Paolo Sarpi.

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Quartiere di Paolo Sarpi.

interna è uguale a quella esterna), dai carrelli che portano le balle che investono completamente la corsia dei modesti marciapiedi (spesso molto ristretti, come in via Bramante, che deve contenere oltre ai due marciapiedi il passaggio anche di due linee di tram), delle auto che si fermano a caricare e scaricare. Un quartiere devastato, certamente non costruito per contenere un simile traffico. Un quartiere che ormai è caratterizzato da merce di basso livello economico e culturale, o merce firmata dalle nostre più importanti case di produzione ma contraffatta e venduta sempre a basso costo. «L’imprenditoria cinese, utilizzando la nostra creatività,

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Lorenzo Polo, studente al corso di Design della NABA, “Il terzo occhio”, autoproduzione da riconversione progettuale di una zuccheriera in metallo.

da tempo sta producendo merci che vengono immesse a basso costo sui nostri mercati producendo una grave situazione per la nostra economia. Oggi la cultura, l’impresa e il marketing italiano si domandano come contrastare questo processo che parassita la nostra capacità progettuale. La nostra risposta è: utilizziamo la nostra creatività e parassitiamo la loro produzione! Quella creatività che da sempre più parti ci viene riconosciuta come nostra specificità, la utilizziamo sfruttando la produzione cinese per realizzare nuovi prodotti attraverso una sorta di “Riconversione progettuale”. Loro usano la nostra creatività, noi usiamo i loro prodotti.» Con queste premesse ho avviato un’esercitazione con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera e del NABA, un’esercitazione che partendo dalle “risorse” del territorio urbano di Milano (e nello specifico i materiali a basso costo dei grossisti cinesi) arrivava, attraverso la loro manipolazione e reinvenzione, alla definizione di oggetti realizzati dagli stessi studenti, classificabili come oggetti di “design metropolitano”.

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“Libri aperti�, Ugo la Pietra, realizzati da Bertozzi & Casoni, Imola, 1993.


Simona Cesana

I luoghi della ricerca Le ceramiche d’arte di Ugo La Pietra in mostra al Museo di Faenza


La mostra organizzata dal MIC di Faenza, a cura di Franco Bertoni, ci offre l’occasione per parlare in modo più approfondito del lavoro di Ugo La Pietra, direttore di questa rivista da più di quindici anni, e di presentare al lettore le diverse esperienze di ricerca che, dagli anni Sessanta ad oggi, l’hanno visto attivo protagonista del sistema dell’arte, dell’architettura e del design, in una posizione libera da ogni tipo di classificazione. Grazie alla ceramica, medium privilegiato del suo linguaggio artistico, è possibile ripercorrere i suoi numerosi viaggi progettuali nella cultura fattuale dell’artigianato italiano. Ugo La Pietra, “ricercatore nell’ambito della grande area dei sistemi di comunicazione”, come egli stesso si definisce, si pone nei confronti del processo creativo sempre in atteggiamento di indagine e curiosità. Trickster contemporaneo, affronta il progetto con una carica propositiva e con un’ironia tagliente, rovesciandone senso e contesto, attraversando così le varie discipline, unendole e superandole, con un linguaggio espressivo coerente e personalissimo, fortemente agganciato al contesto antropologico: al centro della sua ricerca c’è infatti l’uomo e le sue relazioni con l’ambiente in cui vive. Franco Bertoni, curatore della mostra, scrive nel testo a introduzione del catalogo: «Ugo La Pietra è un poeta viaggiatore. Con la sua magica valigetta ha instancabilmente percorso tanti luoghi - e tanti momenti sociali, artistici e culturali - dell’Italia dagli anni Sessanta ad oggi. Ha osservato e proposto, lasciando nella memoria collettiva i segni, sempre generosi, ottimistici e leggeri, di una tanto concreta quanto sognante possibilità di una umanizzazione dell’ambiente, della città, della casa e degli oggetti. Dalla sua valigia ha estratto architetture, disegni, dipinti, scritti, film, performance, mobili, oggetti, allestimenti provvisori e ceramiche per affascinanti spettacoli sempre

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“Giardino all’italiana”, Ugo la Pietra, colonna realizzata da Ceramiche Rigoni di Nove per Edizioni Superego design 2009. Foto Emanuele Zamponi.


“Souvenir di Caltagirone�, Ugo la Pietra, vasi antropomorfi dedicati ai prodotti siciliani, 2000. Foto Aurelia Raffo.


“Scaramantico”, souvenir di Vietri sul Mare, Ugo la Pietra, realizzato da Francesco Raimondi, 2000.

sospesi sul filo della più ragionata spericolatezza e della più seria ironia». Le opere presenti in mostra sono state realizzate tra gli anni Ottanta ed oggi e sono riconducibili a quattro diverse esperienze di ricerca: “La nuova territorialità”, “Arte nel sociale”, “Dal Genius Loci al design territoriale” e “L’oggetto significante”. “La nuova territoria-

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lità” raccoglie quelle esperienze che, rifacendosi alla pittura segnica degli anni Sessanta, intendono indagare le trasformazioni di luoghi e territori per identificarne le differenze e quindi le autonomie culturali. L’installazione “Europa Unita” (1996) ad esempio, attraverso la figura archetipale e simbolica del vaso, rappresenta la ricerca di una

grande Europa Unita che sappia contenere e valorizzare le diversità. L’utilizzo della scrittura per immagini, la nuova scrittura trova nei “Libri aperti” l’opera che più incarna e sintetizza questo processo creativo. In “Arte nel sociale” si identificano gli interventi al di fuori del sistema dell’arte, o meglio l’intervento diretto dell’arte nella vita di tutti i giorni,


“Casa e giardino�, Ugo la Pietra, piatti in terracotta modellata a mano, realizzati a Nove per Edizioni Superego design, 2009. Foto Emanuele Zamponi.


“Itinerari siciliani”, Ugo la Pietra, installazione realizzata presso il Museo delle Trame Mediterranee, Fondazione Orestiadi, Gibellina, 2007 (libri realizzati da Giovanni D’Angelo, Polizza Generosa, PA). Foto di Aurelia Raffo.

dallo spazio domestico all’ambiente urbano. Dagli interventi urbani degli anni Sessanta, alla “Riconversione progettuale” degli anni Settanta, al rapporto tra interno (ambiente domestico) ed esterno (ambiente urbano) rappresentato dai contenitori in terracotta “Interno/Esterno” (1978-2008) che, con una serie di contrapposizioni e rovesciamenti di senso, racchiudono il pensiero di La Pietra sintetizzato nello slogan “Abitare è essere ovunque a casa propria”. Il progetto che affonda le proprie radici nel Genius loci territoriale (emblematici i “Souvenir di Vietri sul Mare”, 1999-2008) comunica la necessità, ormai sempre più urgente in un sistema che appiattisce la propria azione su necessità

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globali trascurando quelle locali, di recuperare gli archetipi territoriali per salvaguardarne le identità. La Pietra riflette, a proposito delle identità locali: «… proprio come spesso, attraverso i cibi, è possibile riconoscere un territorio così, attraverso i colori, si possono riconoscere le ceramiche di Vietri o di Faenza, guardando la materia si può distinguere il cotto di Impruneta dal bucchero umbro, osservando la simbologia si può cogliere l’unicità della ceramica di Santo Stefano di Camastra o di Grottaglie, analizzando le forme si può individuare una ceramica di Caltagirone o una di Nove». La Pietra cerca di rinnovare la tradizione con un progetto pensato per le capacità e le pecu-

liarità della cultura materiale locale. Non è un caso quindi che la sua sia un co-creazione, firmata anche da colui che materialmente realizza l’oggetto, artefice a pieno titolo dell’opera insieme al progettista. L’oggetto “fatto ad arte”, come La Pietra definisce tutte le opere che coniugano la cultura del progetto con la cultura del fare, è Oggetto Significante, in quanto portatore di valori e significati che vanno al di là della necessità funzionale, che pure resta componente importante dell’opera. Questo approccio, presente tra gli anni Sessanta e Novanta con le “Immersioni”, gli “Oggetti disequilibranti”, gli “eclettici” e gli “antropomorfi” è ben sintetizzato nella collezione “Vasi per


“Riusciranno i topi dell’Unione Europea a far fuori tutti i nostri formaggi?”, Ugo la Pietra, installazione, 2006. Foto di Aurelia Raffo.

giardini e giardini per vasi” (1986) in cui emerge con chiarezza questa attitudine progettuale, riscoprendo la tipologia di oggetti souvenir che in questo caso rappresentano la natura sotto controllo, destinati al Museo dell’Orto Botanico di Brera. Ceramica tra arte, artigianato e progetto e, per tornare alle parole di Bertoni: «Concettuale quanto serve per essere criticamente contemporaneo, metafisico quanto basta per mantenere le distanze dalle false pressioni del presente e surrealista quanto occorre per travasare i sogni in realtà. Ugo La Pietra ha trovato nella ceramica un partner ideale per viaggi in illustri passati ormai negletti e dimenticati la cui nostalgia è, in lui, pari solo all’insof-

ferenza nei confronti di un presente ormai privo di quella percezione delle differenze che è, in fondo, sintomo di civiltà e termometro della qualità dell’arte, se non della vita». La mostra si può considerare un’antologica del vastissimo lavoro ceramico di La Pietra ed è già stata presentata, in una forma simile, lo scorso febbraio al Museo di Castellamonte: l’auspicio è che queste opere possano viaggiare ancora, da nord a sud in altri luoghi simbolo della cultura ceramica italiana, così che ognuna di loro possa ripercorrere la strada verso casa.

Ceramiche d’Arte I luoghi della ricerca di Ugo La Pietra MIC Museo Internazione delle Ceramiche in Faenza Viale Baccarini 19, Faenza (Ra) Inaugurazione sabato 17 ottobre - ore 18.00 Dal 18 Ottobre al 10 Gennaio 2010 Info: Tel. 0546 697311 www.micfaenza.org info@micfaenza.org

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Alberto Cavalli

Mestieri d’arte: giacimenti culturali sui quali investire Quali sono i nessi di collegamento tra il Made in Italy, fattore sempre più cruciale per individuare le peculiarità di un sistema economico e produttivo fortemente condizionato dalla globalizzazione, e i mestieri d’arte d’eccellenza? Quale ruolo riveste la logica del mestiere d’arte nella definizione di uno stile “italiano” che in tutto il mondo viene identificato con la bellezza, con l’eleganza e con il prestigio di una tradizione inimitabile? Per cercare di costruire uno scenario in grado di fornire spunti, riflessioni e percorsi da cui partire per rispondere a simili domande, il nuovo volume “Mestieri d’arte e Made in Italy. Giacimenti culturali da riscoprire” ha individuato ventiquattro settori produttivi in cui l’Italia ha saputo affermare la propria eccellenza, e ha indagato se e in che misura questi settori siano ancora animati da una base o una logica riconducibili all’artigianato artistico eccellente. Punto di riferimento essenziale e imprescindibile di questo volume, prodotto dal Centro di ricerca “Arti e mestieri” dell’Università Cattolica diretto da Paolo Colombo e finanziato dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, è il tentativo di indagare il presupposto teorico della fondante centralità dei mestieri d’arte nel contemporaneo contesto produttivo italiano, e di rilevare quanto e in che misura, nel nostro Paese, “mestiere d’arte” significhi ancora

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cultura e know-how. La ricerca mira a far emergere, dal quadro particolarmente ricco, complesso e variegato dell’artigianato d’arte nazionale, le attività che sono tuttora in grado di rispondere a precisi criteri di indiscussa eccellenza estetica e produttiva, e che giocano un ruolo forte nel contesto dell’economia, della professionalità, della “Qualità


Italia” nel mondo; dai ventiquattro capitoli, ognuno dedicato a una “eccellenza” della produzione italiana, emerge come la forza dell’autentico “made in Italy” passi anche dalle attività dei maestri d’arte, per loro natura non esportabili dal territorio in cui sono radicate, se non a costo di perdere quei valori che ne giustificano il ruolo e l’importanza. Un volume importante e interessante, che apre prospettive spesso inedite su realtà economiche e sociali di rilevanza fondamentale per il sistema-Italia: una ricerca che, pur senza alcuna pretesa di esaustività, pone però l’accento sui giusti rapporti e sulle corrette relazioni tra manualità, creatività, industria ed eccellenza. I ricercatori dell’Università Cattolica, sotto la guida di Paolo Colombo e coordinati da Alberto Cavalli e Gioachino Lanotte, hanno indagato i seguenti settori: calzatura, carta, ceramica, design, enogastronomia, floricoltura e giardino, fotografia, legno, lirica, liuteria, meccanica, merletti e ricami, metalli, moda, mosaico, nautica, oreficeria – gioielleria – argenteria – orologeria, pelletteria, pietra, pipe, restauro, mestieri dello spettacolo, tessile e vetro. Importanti i rimandi bibliografici e la webgrafia.

Mestieri d’arte e Made in Italy. Giacimenti culturali da riscoprire. Paolo Colombo con Alberto Cavalli e Gioachino Lanotte (a cura di) Marsilio, Venezia, 2009 528 pagine Euro 35,00 Roberto Capucci, “Lame”, 1985, New York Army National Guard Armory. Foto Fiorenzo Niccoli.

www.marsilioeditori.it 41


Symbola è la Fondazione per le Qualità Italiane impegnata a consolidare e diffondere il modello della so� economy, un’economia della Qualità in cui i territori incontrano le imprese, dove si stringono alleanze tra i saperi, le nuove tecnologie e la tradizione, dove la compe��vità si alimenta di formazione, ricerca, coesione sociale e rappor� posi�vi con le comunità. Symbola chiama a raccolta personalità del mondo economico, imprenditoriale, dell’associazionismo, della cultura e dei territori. E’ la lobby delle Qualità Italiane: una nuova alleanza che parla alla poli�ca, all’economia e alle is�tuzioni per orientare il futuro dell’Italia verso l’orizzonte e la scommessa della Qualità.

Via Maria Adelaide, 8 00196 Roma Tel. +39 06 45430941 Fax. +39 06 45430944 Info@symbola.net www.symbola.net


Alberto Cavalli

Giochi di carte

Lydia Hirte.


Innovativi, sorprendenti, creativi, i gioielli di carta esposti al Triennale DesignCafé fino al 25 Ottobre sostituiscono alla preziosità dei materiali, tipica del monile tradizionale, il valore squisitamente culturale del progetto. Sono oltre sessanta i designer internazionali che Alba Cappellieri e Bianca Cappello hanno selezionato per la mostra “Gioielli di carta”, allestita presso il Triennale DesignCafé dal 16 Settembre al 25 Ottobre 2009. Dall’Australia all’Austria, dall’Italia alla Finlandia, dagli Stati Uniti alla Polonia, artigianiartisti di straordinario talento hanno piegato, ricamato, intrecciato, cucito, spugnato, plissettato, fustellato, riciclato, incollato, acquerellato e decorato la carta per creare gio-

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ielli rari e inattesi: tradizioni locali, potenza visionaria e un savoir-faire di altissimo livello hanno portato alla realizzazione di opere fragili e uniche, come gli origami di Nobuko Muratami, i plissé di Janna Syvanoja e di Daniele Papuli, le gorgiere di Nel Linnsen. Una sfida interessante per il pubblico italiano, abituato a confrontarsi con una tradizione di grande prestigio sia nel campo dell’oreficeria, sia in quello della gioielleria: una prospettiva inedita che rivoluziona il modo di pensare alla “preziosità”. Per oreficeria s’intende infatti l’insieme dei prodotti il cui valore è rappresentato in prevalenza dalla materia prima (oro o platino) di cui sono composti. Nel caso della gioielleria,

Angela Simone, “Scapigliata”, collana, cartoncino ondulato nero spruzzato argento, raffia argentata, 2009.


Sandra di Giacinto.

Andrej Szdakowsky.

le piccole serie prodotte hanno un alto valore aggiunto: il prezzo di vendita dell’oggetto è determinato non soltanto dalla lavorazione e dal metallo, ma anche dal valore delle pietre incastonate e dal design. In questo comparto la produzione avviene con tecniche artigianali e l’apporto della tecnologia è sempre stato tradizionalmente secondario; la qualità del manufatto è fortemente influenzata dalla capacità e dall’esperienza dell’artigiano che lo realizza. Nel caso di “Gioielli di carta”, alcuni di questi fattori permangono: il savoir-faire, la creatività, l’unicità. Ma il concetto di “prezioso” si lega non più a un materiale, metallo o pietra, ma a un progetto: e proprio il progetto rappresenta il filo

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Riccardo Dalisi, Collana, carta da Giornale.


Daniele Papuli, “Collana”, collana, lamelle in carta leggera Fabriano Ingres giallo oro, Notturno Cordenons 90 gr, 2007.

conduttore della mostra. Nella visione delle curatrici, infatti, la vulnerabilità della carta si presta a riflessioni progettuali solitamente distanti dal mondo del gioiello: si pensi alla sostenibilità, all’ecologia, alla valorizzazione territoriale, alla fragilità. Dissociandosi da una logica di mercato che giustamente calcola prezzi e valori in funzione di un valore intrinseco, il gioiello di carta esplora linguaggi e temi trasversali a molte discipline: l’ornamento, il colore, la forma, la texture, la superficie. Un dialogo tra discipline e ispirazioni, un confronto tra diverse visioni della bellezza e del mondo, un approccio inedito alla tradizione: per sottolineare ed evidenziare i diversi linguaggi che si intrecciano in “Gioielli di carta”, Alba Cappellieri e Bianca Cappello hanno incluso

nell’esposizione anche i lavori di sei designer che solitamente si confrontano con l’arredo e con la luce, e che appositamente per la mostra si sono confrontati con la creazione di gioielli di carta: Matteo Bazzicalupo e Raffaella Mangiarotti (deepdesign), Marco Ferreri, Miriam Mirri, Marco Romanelli con Marta Laudani, Paolo Ulian.

Gioielli di carta Triennale DesignCafé 16 settembre – 25 ottobre 2009 A cura di Alba Cappellieri e Bianca Cappello Coordinamento generale: Silvana Annicchiarico Progetto dell’allestimento: Daniele Papuli Catalogo Electa Orari: Mart – Dom: 10.30 – 20.30 Gio: 13.30 – 23.00 Viale Alemagna, 6 20121 Milano www.triennale.it

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Kazumi Kurihara, “Text�, 2009, installazione: 33 libri, 33 scatole di carte, 3 testi stampati su foglio, pelliccia bianca sintetica, filo di cotone rosso e paillettes, dimensioni variabili.


Enzo Fiammetta

Le sei stagioni di Chandan Fiber Art a Gibellina tra Mediterraneo e Oriente


Elisa Nicolaci, 2007, “L’amore” (l’amore corrisposto!), Tessuto cucito e metallo, 108 x 82 x 70.

Negli spazi degli atelier della Fondazione Orestiadi di Gibellina, è stata recentemente presentata la mostra “Le sei stagioni di Chandan: fiber art tra Mediterraneo e Oriente” curata da Marina Giordano ed Enzo Fiammetta. La mostra è stata realizzata con la collaborazione della Galleria milanese “Fiber art and…” di Gabriella Anedi. Sono state presentate le opere dell’artista tessile Chabir Shafikul Chandan originario del Bangladesh e di Kazumi Kurihara (Giappone), Mohammed Messaoudi (Tunisia), Sylvie Clavel (Francia) oltre agli italiani Roberta Civiletto, Alfonso Leto ed Elisa Nicolaci, chiamati a rappresentare

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una delle sei stagioni in cui è diviso l’anno bengalese (estate-pioggiaautunno-raccolto-inverno-primavera) ma anche a documentare con la propria opera uno dei tanti modi in cui è possibile declinare i termini della Fiber Art. La produzione tessile dei popoli del Mediterraneo ha avuto e ha nel progetto del Museo delle Trame Mediterranee una fondamentale centralità. L’arte tessile ha accompagnato da sempre l’uomo, che per naturale e immediata corrispondenza ha eletto il proprio corpo e gli abiti che lo coprono a luogo privilegiato per comunicare le sue emozioni. Gli abiti, i tessuti, i costumi diventano gli oggetti

privilegiati, che comunicano appartenenza a un gruppo sociale, uno stato d’animo, un modo di essere. Ogni popolo ha definito dei segni, delle tecniche, delle materie come proprie. La necessità di coprire e proteggere il corpo è tutt’uno con la scelta di come l’abito possa amplificare il sistema di segni, gesti, mimica, movenze. E le mani, che proprio nell’istante in cui lavorano il tessuto sentono col tatto, controllano, anticipano quello che può essere e sarà il contatto con il corpo, la sua ruvidezza, pesantezza, leggerezza, i nodi che non debbono premere sul corpo e le piegature che lo modellano.


Sylvie Clavel, 1980, “Africano”, scultura tessile policroma.


Shafiqul Kabir Chandan, 2009, “Unity”, Juta e cotone, 239 x 43 x 35.

Il Museo delle Trame di Gibellina ha fin dalla sua nascita eletto i manufatti tessili a mezzo per leggere gli elementi comuni tra i popoli del Mediterraneo. Il complesso e ambizioso progetto guida i visitatori tra i segni astratti delle tribù berbere del Nord Sahara, gli arabeschi dei Kaftani del Marocco, le minute geometrie realizzate a punto croce dei costumi palestinesi e siriani, i preziosi ricami turchi e le tessiture dei tappeti siciliani, giordani, libici, armeni… e tra gli infiniti elementi decorativi dei manufatti islamici, cristiani ed ebraici, che nella loro somiglianza denunciano l’origine comune. L’uomo nasce con le stesse necessità di rappresentarsi attraverso le opere del suo estro creativo, con un naturale e semplice bisogno a decorare, arricchire, impreziosire gli oggetti che gli sono propri, per comunicare attraverso i colori, le forme e i decori le sue specificità, le sue appartenenze. Gli artisti invitati al progetto delle “Le sei stagioni di Chandan” sono chiamati a riflettere sull’uso del filo come mezzo di espressione artistica, come scrive Marina Giordano nel suo testo in catalogo: «… a riannodare i fili della narrazione, del vissuto, della denuncia, delle rivendicazioni di genere, della continuità con le tradizioni del proprio genius loci, valorizzando il potere metaforico dell’intreccio, del nodo, della trama, della ragnatela, elementi che uniscono, connettono, rinsaldano, ma che contemporaneamente possono visualizzare, anche linguisticamente, un inganno, un vincolo, un problema. Consapevoli che Il filo ha in sé la forza magica del racconto, l’energia di un ritmo tantrico, che sfida la pesantezza della materia e le leggi dello spazio; la maglia tessuta dialoga con la luce e l’ombra, costituisce una soglia, un passaggio tra un qui e un altrove.» Era nelle nostre intenzioni aprire un confronto sulla Fiber Art. Ma


Jaime Hayon, Cristal Candy Set, Baccarat, 2009.

L’inaugurazione della mostra. In secondo piano l’arazzo dei pesci di Mohammed Messaoudi.

anche verificare lo stato di questo giovane ambito delle arti contemporanee, anche per comprenderne lo scarto con i manufatti tessili del museo. Comprendere ancora una volta il rapporto tra arte e artigianato, tra oggetto unico e seriale quando attinge alla tradizione delle forme, riti e decori codificata nel patrimonio storico di un popolo, che nel tramandarne i canoni tramanda se stesso. Kabir Chandan e Kazumi Kurihara, il primo dal Bangladesh, giapponese la seconda, mostrano nelle loro opere (alcune delle quali realizzate nei loro atelier a Gibellina) come in Oriente non si sia mai interrotto il

rapporto tra le varie arti e che non esiste scarto o cesura tra esse. Mohammed Messaoudi, dalla Tunisia, conferma e riporta nei suoi arazzi l’indispensabile necessità delle immagini, del racconto nelle sue opere, caratteristica propria dell’artigianato maghrebino. La francese Clavel, stabilitasi da tempo in Sicilia, impiega anche un anno a realizzare una sua opera; ci riporta a quelle dimensioni senza tempo proprie dei conventi dove le suore tessevano e ricamavano, realizzando grandi capolavori. Straordinaria è la ricerca che traspare dalle opere degli italiani Leto, Nicolaci e Civiletto, che riportano

la materia tessile direttamente sul terreno della produzione artistica contemporanea. Le sei Stagioni di Chandan Fondazione Istituto di Alta Cultura Orestiadi onlus Baglio di Stefano 91024 Gibellina (TP) Tel. 0924/67844 www.orestiadi.it info@orestiadi.it

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Installazione di Gabriella Sacchi.


Simona Cesana Foto di Andrea Messana

“Concreta”: il “genio” artistico applicato alla ceramica A Certaldo terza edizione della manifestazione internazionale dedicata alla ceramica d’arte

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“Concreta” è un progetto culturale di ampio respiro dedicato alla ceramica contemporanea, nato per affermare l’importanza e l’attualità di questo materiale nel panorama artistico contemporaneo. Il progetto coinvolge gli artisti nella realizzazione di opere e allestimenti pensati appositamente per Palazzo Pretorio a Certaldo, un luogo - Certaldo e l’Empolese-Valdelsa tutto - dove terracotta e ceramica sono elementi essenziali della storia, come ben espresso dalla facciata quattrocentesca del Palazzo, in mattoni rossi di terracotta arricchita da stemmi robbiani di ceramica. Le fondamenta basilari del progetto accostano due realtà: da una parte quella de “La Meridiana” Centro Internazionale di Ceramica che ogni stagione ospita a Certaldo centinaia di studenti e decine di Maestri ceramisti che, dai cinque continenti, si ritrovano per workshop e corsi di perfezionamento, e dall’altro quella

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della Galleria elbana “Gulliver” (diretta da Gian Lorenzo Anselmi), una delle poche realtà italiane che professionalmente si occupano di esporre, promuovere, valorizzare e vendere ceramica contemporanea. Il progetto “Concreta”, sostenuto in questi anni dall’Amministrazione di Certaldo, ha visto coinvolti nelle precedenti edizioni nomi del calibro di Betty Woodman, Lee Babel, Ingrid Mair Zischg, Aldo Rontini, Alessio Tasca, Carlos Carlè, Sandro Lorenzini, Paolo Staccioli e altri ancora. Anche per questa terza edizione sono stati coinvolti sei artisti, che vivono e lavorano in Italia e all’estero, invitati ad esporre a Palazzo Pretorio e a confrontarsi con la sua storia e con la storia di Certaldo, facendo dialogare il contemporaneo e l’antico affinché entrambe le espressioni artistiche si valorizzino. Come scrive Franco Bertoni nel testo critico a introduzione del catalogo: «Se la ceramica

Installazione di Nino Caruso.


Inaugurazione della mostra nella sala dedicata all’artista francese Christine Fabre. Un particolare dell’installazione di Martha Pachon.

è scultura e, quindi, arte a tutti gli effetti, ogni luogo è pertinente. E Certaldo, con le stanze del Palazzo Pretorio offre, per di più, una sfida all’arte contemporanea: il confronto con la storia. Un confronto che l’arte moderna ha certamente praticato, ma più sul fronte dell’opposizione, in nome di una guadagnata libertà da antichi modelli, che su quello del dialogo e del filiale rispetto.» Tra gli artisti coinvolti due “grandi saggi” della ceramica italiana: Nino Caruso e Pompeo Pianezzola. Caruso, il ceramista italiano più conosciuto a livello internazionale, ha installato all’interno di Palazzo Pretorio le sue colonne e i suoi portali a bassorilievo che interpretano, attraverso modanature concavo-convesse di elementi architettonici classici, l’utilizzo della ceramica in architettura come elemento integrante della decorazione. L’intervento di Pompeo Pianezzola

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Nedo Merendi.

consiste, come descrive Bertoni, in «(…) tre “libri” combusti, quasi sopravvissuti a un immane incendio e che un particolare incenerimento ha solidificato per l’eternità. L’orrore di un momento li ha colti aperti, con le pagine mosse dal dolce vento primaverile che un umanista ha lasciato alitare tra i legni dello studiolo.» Due gli artisti faentini coinvolti: Nedo Merendi e Martha Pachon Rodriguez. Merendi, che a Faenza insegna disegno all’ISIA, rende omaggio alle grandi tradizioni italiane del disegno e della maiolica, grazie a una interpretazione contemporanea della pittura su ceramica che enfatizza la concettualità dell’intervento pittorico sulla purezza delle forme in maiolica bianca. Martha Pachon, colombiana ma faentina d’adozione, fa vivere, all’interno delle sale quattrocente-

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sche del palazzo, colorati e vibranti organismi realizzati in preziosa porcellana, che sembrano muoversi al cambiare della luce, racchiudersi in forme pure dalle quali poi sgusciano con sorprendente vitalità. Gabriella Sacchi, milanese, da tempo indaga nella sua opera ceramica il tema della scrittura e del viaggio, definita recentemente “tridimensionale letteratura da viaggio in grés” da Anty Pansera; a Certaldo realizza un’installazione che è un viaggio nel tempo e nella storia: dal “Gioco del mondo” all’indagine sul “migrare” oggi, rappresentata da fragili barchette di carta che si fanno anche portavoce di messaggi da terre lontane, alle pagine di letteratura che diventano opera tridimensionale sussurrata dagli affreschi quattrocenteschi. Christine Fabre, artista che vive e lavora in


Martha Pachon.

Francia, realizza un muto dialogo tra volti arcaici, una messa in scena di equilibrati giochi delle parti, dove si avverte la tensione del momento epico, rafforzata dalla suggestione dei muri carichi di storia di Palazzo Pretorio. Per sottolineare ancora una volta l’importanza del progetto “Concreta”, cito le parole del Sindaco e dell’Assessore di Certaldo «La scelta della ceramica quindi, è non solo una scelta estetica, ma è insieme una scelta etica e antropologica»; ceramica materia carica di storia e contemporaneità.

CONCRETA arte ceramica contemporanea Opere di Nino Caruso, Pompeo Pianezzola, Gabriella Sacchi, Christine Fabre, Martha Pachon Rodriguez, Nedo Merendi Dall’ 11 settembre al 2 novembre 2009 Palazzo Pretorio di Certaldo Firenze A cura di Gian Lorenzo Anselmi con Associazione Culturale “La Meridiana” Info: Sistema Museale di Certaldo, Tel. 0571/661265 www.lameridiana.fi.it www.gulliverarte.com

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Simona Cesana

Insegnare l’artigianato contemporaneo A Este un’Accademia per l’Artigianato Artistico di Eccellenza


In un momento in cui la scuola italiana sta relegando a fanalino di coda l’insegnamento delle discipline artistiche, mettendo in atto vere e proprie azioni di demolizione culturale e sociologica nei confronti dei Licei Artistici e degli Istituti d’Arte, ci sono istituzioni (private) che investono sul valore culturale ed economico di arte e artigianato, organizzando progetti in grado di salvaguardare questo grande patrimonio, di svilupparlo, di radicarlo nella nostra contemporaneità. Un esempio è costituito dai corsi e dai workshop didattici proposti dall’Accademia dell’Artigianato Artistico di Este. La Fondazione Accademia dell’Artigianato Artistico si è costituita nel 2003 tra enti pubblici e privati, con l’obiettivo di valorizzare culturalmente l’ambito dell’artigiano artistico, formare giovani tecnicamente e culturalmente preparati per stimolare l’evoluzione tecnica ed estetica dei mestieri

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artigianali, trasferire alle nuove generazioni di operatori esperienze e tecniche in possesso dei Maestri artigiani, costituire un momento di confronto e scambio con analoghe iniziative già operanti a livello internazionale, nel quadro delle opportunità Comunitarie, formare esperti di design artigianale, cioè progettisti nei diversi settori in cui l’artigianato “nobile” si esprime, fornire le conoscenze indispensabili per gestire un’attività imprenditoriale di successo. Il lavoro dell’Accademia è impostato per il raggiungimento di una serie di obiettivi, ovvero produrre alleanze con il territorio (aziende, scuole, istituzioni, mercato), produrre e condividere sapere nel campo dell’artigianato artistico, sviluppare l’internazionalizzazione, coniugare business, etica ed estetica, mantenere flessibilità e leggerezza dei percorsi formativi. Il profilo professionale che l’Accademia intende sviluppare ruota intorno a tre figure

I partecipanti al workshop “Ceramica: un percorso per l’innovazione” con Nino Caruso e Gastone Primon che si è svolto presso l’Accademia nel giugno 2008.

principali: l’ artigiano progettista in grado di ideare e prototipare prodotti artistici, l’artigiano in grado di innovare creativamente la produzione, sviluppando il design e il senso estetico, l’artigiano in grado di gestire una propria impresa secondo l’ottica imprenditoriale. L’Accademia ha proposto, negli ultimi anni, interessanti workshop con Maestri dell’artigianato artistico italiano, offrendo agli allievi l’opportunità di lavorare fianco a fianco con personalità che hanno fatto la storia e la fortuna del nostro artigianato artistico in Italia e all’estero. I materiali indagati sono stati i metalli e in particolare il rame con il Maestro Lorenzo Burchiellaro, la ceramica con i Maestri Nino Caruso e Gastone Primon e da ultimo


Un’allieva durante il workshop di Nino Caruso.

Filatura della Seta, Museo Della Seta di Como.

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Alcuni momenti del workshop “Tessitura, laboratorio sperimentale” con Renata Bonfanti e Cristina Busnelli che si è svolto presso l’Accademia nel settembre 2009.

il tessuto con Renata Bonfanti e Cristina Busnelli. Di particolare successo il workshop sulla ceramica per l’architettura, organizzato in forma di “summer school” sia nel 2008 che nel 2009 e che ha avuto come docenti Nino Caruso e Gastone Primon. Obiettivo del corso era ricercare e realizzare nuovi prodotti in ceramica da produrre in serie, con una flessibilità d’uso nell’architettura e nell’arredo interno; durante 10 giorni di programmi intensivi, gli allievi hanno appreso le tecniche di lavorazione sviluppate negli anni da Caruso per creare moduli scultorei in ceramica applicabili come elementi decorativi alle architetture e si sono inoltre confrontati con varie problematiche: creatività e innovazione, marketing,

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scenari e tendenze, organizzazione del lavoro, grazie all’intervento di vari esperti. L’Accademia ha anche prodotto una pubblicazione relativa a questo workshop che raccoglie interventi di Caruso e Primon e le immagini delle opere realizzate dagli allievi. L’esperienza si è ripetuta con risultati altrettanto positivi nell’estate del 2009, sempre con la docenza di Nino Caruso e Gastone Primon. Nel mese di settembre 2009 si è svolto il workshop sulla tessitura con Renata Bonfanti e Cristina Busnelli. Tema dell’incontro con l’artista è stato “La creatività nella tessitura”, che ha visto sviluppato il tema del tessuto come forma espressiva, elemento di design e di arredo. Renata Bonfanti, una delle più importanti artiste e designer


In Attesa di foto

Alcuni momenti del workshop “Ceramica: un percorso per l’innovazione” con Nino Caruso e Gastone Primon che si è svolto presso l’Accademia nel giugno 2008.

tessili viventi, ha riproposto l’attualità della tessitura ripercorrendo la sua esperienza artistica e le sue innovazioni più significative, con cui ha notevolmente contribuito, grazie all’invenzione di originali e caratteristici “pattern” visivi, al rinnovamento del gusto in questo specifico ambito artistico. L’Accademia sviluppa anche, aperti al pubblico, incontri e seminari con esperti, aperti al pubblico che indagano tematiche relative alla tradizione e all’innovazione dell’artigianato di eccellenza.

Fondazione Accademia dell’ Artigianato Artistico Via Francesconi, 2 35042 - Este (Pd) Tel. 0429.179200 Fax. 0429.179203 www.accademiartigianato.it segreteria@accademiartigianato.it

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Federica Cavriana

Bolsena Biennale, L’arte nel Ricamo e nel Merletto Un grande convegno di artiste del filo in una piccola città ricca di storia.

Esemplare della collezione privata di Don Giovanni del Drago.

Gli addetti ai lavori o appassionati di ricamo e merletto di certo conosceranno le Biennali del Merletto Ligure, di Sansepolcro, di Cantù. A questi importanti appuntamenti si affianca ora l’ultima nata: Bolsena Biennale. Dal 17 al 20 settembre, per la sua prima edizione, ha radunato circa 2500 ricamatrici e merlettaie di tutta la penisola nella cittadina di Bolsena, delizioso borgo medievale con un passato insigne: opulenta città etrusca e poi colonia romana, luogo di eventi miracolosi e di culto. Il Museo Territoriale del Lago di Bolsena, gli antichi palazzi, le vie e le piazze di epoca medievale sono stati gli scenari interni ed esterni di una manifestazione nata dalla passione e dedizione di Maria Vittoria Ovidi Pazzaglia, presidente di Bolsena Ricama. L’associazione, che festeggia quest’anno i dieci anni di attività, si propone di promuovere e valorizzare le attività artigianali in via di estinzione nel settore del ricamo, del merletto e del tessile in generale. Il suo impegno specifico è quello di riportare in auge i disegni e le tecniche tipiche dei merletti

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dell’Ars Wetana, società storica di patronato nata nel 1907 a Orvieto e dedicata a quelle che una volta si definivano arti “femminili” o “minori”. Una minorità che in Italia non è certo di livello artistico o esecutivo, e che sussiste solo nel numero dei praticanti di queste arti, che dalla chiusura dell’Ars Wetana, nel 1978, sono diminuiti notevolmente. Un fenomeno, quello della rarefazione dei professionisti, che ha interessato tutto il Paese, ma al quale alcune associazioni e scuole stanno cercando di far fronte, formando giovani lavoranti di alto livello o promuovendo luoghi di circolazione di idee come Bolsena Biennale. Questa quattro giorni ha propo-

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sto un programma comprendente svago, come gite in battello sul lago o visite allo storico Palazzo del Drago, e appuntamenti di carattere più specialistico, come il convegno concernente l’antico e moderno utilizzo della canapa. La grande mostra L’arte nel Ricamo e nel Merletto, che dopo tredici anni ha sostituito le edizioni di Ricami e Pizzi a Palazzo, ha raccolto a Palazzo Cardinal Teodorico le opere più preziose delle scuole italiane e straniere partecipanti alla manifestazione. Per quanto riguarda l’estero, Mary Wardell e Iris Heathman hanno messo in mostra antichi manufatti appartenenti all’Allhallows Museum of Lace di Honiton; la

Esemplare della collezione privata di Don Giovanni del Drago.

Nella pagina seguente: La città di Bolsena.


scuola delle Fiandre Dentelle de Lier ha recato il suo contributo di antichi pizzi, mentre la Veritable Dentelle de Valencienne ha esibito pezzi moderni realizzati con disegni tradizionali. Nelle collezioni italiane spiccava per importanza quella del Principe del Drago, che ha reso disponibile agli occhi dei visitatori il bellissimo corredo ottocentesco dell’ava Maria Milagros, appartenete alla famiglia reale spagnola. Nell’Auditorium Comunale sono state esposte le passamanerie di collezionisti privati o delle famiglie di Bolsena, che su input degli organizzatori hanno scovato nei cosiddetti vecchi bauli nascosti in soffitta reperti di grande valore. Quella di

lavorare col filo è infatti una tradizione bolsenese molto antica, derivata dalla ancor più laboriosa città di Orvieto. L’omaggio alla collezionista Fulvia Lewis, il mercato del tessile, le dimostrazioni e i laboratori all’aperto non sono altro che strumenti per innescare un nuovo interesse verso il settore, anche da parte dei più giovani, che sono solitamente i grandi assenti in manifestazioni come queste. Ma non solo: pochi sanno che il mondo del ricamo e del merletto è spesso diviso da contrasti, fazioni, da città che si litigano l’origine di una stessa tecnica o l’invenzione di un punto. Momenti come le biennali, i concorsi, i forum,

sono oppurtunità per cercare punti d’incontro in un settore che sicuramente avrebbe bisogno di unire le forze per attivare progetti, promuovere la diffusione dei saperi tradizionali, anziché autoindebolirsi con lotte intestine. Bolsena Biennale è un grande convegno di artiste del filo, maestre come Lucia Costantini, Iva Baracco, Velia Pollegioni, Mariella Piacentini e tante altre che hanno voluto sottolineare l’importanza di incontrarsi e “crescere in esperienza e cultura”, come recita il testo introduttivo alla Biennale firmato da Ovidi Pazzaglia; una crescita culturale, un arricchimento reciproco che non può che dare sollievo e speranza al settore.

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La mostra dei Marmi del Doge, all’interno della fiera.


Alberto Cavalli

Arte Fiera, Verona 2009 Dal 17 al 21 settembre, la Fiera di Verona ha ospitato la manifestazione “Abitare il tempo�.


L’allestimento della Via dei Mestieri d’Arte.

Molte sono le proposte presentate per il 2009, dal progetto alla distribuzione, dal design alla decorazione, passando per l’architettura: un ‘fiume di idee’ che attraversa Verona e trova espressione nell’unica rassegna italiana in grado di riunire 18 diversi settori merceologici nella sfera dell’arredamento. Una prerogativa sintetizzata dal concetto di ‘Total living’ che Abitare il Tempo ha scelto come formula di presentazione per la ventiquattresima edizione, mai così ricca e appassionante, per soddisfare anche il visitatore più esigente e raffinato. Gli spazi più interessanti sono sicuramente quelli dedicati ai maestri d’arte: La via dei Mestieri d’Arte (Pad. 2) metteva in scena l’eleganza, la raffinatezza e la qualità del Made in Italy. Reinterpretando in chiave contemporanea un’antica

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strada delle botteghe, una selezione di artigiani provenienti da tutta Italia è stata chiamata a rappresentare la creatività progettuale, la cultura dei materiali e la maestria delle lavorazioni che tutto il mondo ci invidia: come l’atelier Bianco Bianchi, un laboratorio fiorentino che da più di cinquant’anni disegna e realizza capolavori realizzati in scagliola. O il laboratorio Alabarte, di Roberto Chiti e Giorgio Finazzo: una bottega artigiana di scultura con sede nel centro storico di Volterra, che realizza splendidi manufatti in alabastro. All’interno del padiglione 5 era presente l’installazione “L’isola di Murano - Atto secondo” con una muffola proveniente dall’isola veneziana, dove artigiani e artisti realizzavano creazioni in vetro soffiato avvicinando il pubblico all’antica arte dei maestri vetrai. Il Consorzio Marmi-

Particolare di lavorazione di una tavola, prima della stesura della scagliola, laboratorio Bianco Bianchi.


Particolare di un cancello del laboratorio Zanini.

sti Chiampo ha invece presentato la mostra “I Marmi del Doge”, un evento curato dal designer Raffaello Galiotto che, prendendo spunto dalle suggestioni dei marmi del Palazzo Ducale di Venezia e lavorando con alcuni marmisti della Valle del Chiampo, ha realizzato ambienti e oggetti dedicati all’ospitalità e all’accoglienza contemporanea. Sempre con il marmo alcuni fra i più rappresentativi designer a livello internazionale sono stati chiamati a creare un progetto originale, sul tema della parola e dell’oggetto-vaso. Il marmo utilizzato proviene dalle cave di Up Group; la stessa azienda ha realizzato i 30 vasi che adesso sono prodotti in tiratura limitata a 25 pezzi cadauno. Fondata nel 1969, con sede a Massa, Up Group è oggi fra le aziende italiane leader nella produzione e nella lavorazione del marmo; negli anni ha collaborato ai progetti di alcuni fra i più importanti architetti e designer italiani. All’interno del padiglione 8 erano presenti cinque progetti sulle architetture d’interni, tra cui il contenitore in legno modulare e componibile per l’abitare temporaneo “Cas(s) a (Combinazioni Architettoniche Su Sfondo Agricolo)”, radicale scelta del laboratorio MPa-progetti d’architettura realizzato da Ristiklegno: un modulo abitativo “eco-compatibile” la cui struttura posa su basi autolivellanti. Ispirata alle ceste per raccogliere la frutta nei campi, la struttura a cubo usa solo strumenti “poveri” dell’agricoltura come tessuti e semplici meccanismi, per un totale ritorno alla natura. Tra le aziende artigiane più interessanti vi è la Zanini, che lavora il ferro battuto da ben otto generazioni, sin dal lontano 1655. La “Haute Material” di Giuseppe Pruneti è una bottega evolutasi in azienda; insieme al designer Renato Geraci, Pruneti fa

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Lavorazione del vetro all’interno dello spazio “L’isola di Murano - Atto secondo”.

tornare protagonista il legno antico, utilizzato per realizzare importanti tavole che stimolano il tatto. Ricerca e sperimentazione sono da sempre una prerogativa della rassegna. A testimoniare l’intenso legame tra arte e design, per la prima volta Abitare il Tempo è affiancato da ArtVerona, prestigiosa manifestazione che ospita 170 gallerie tra le più importanti dell’arte moderna e contemporanea in Italia. All’interno del Padiglione-cerniera tra le due manifestazioni era presente anche una mostra di 16 ceramiche totemiche di Linde Burkhardt, “Belle di giorno, Belle di notte” realizzate dal laboratorio di Nove dei Fratelli Rigoni. Particolare della lavorazione di una tavola di legno, Haute Material.

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L’interno di un modulo della “Cas(s)a (Combinazioni Architettoniche Su Sfondo Agricolo)”, del laboratorio MPa-progetti.

Linde Burkhardt, “Belle di giorno, Belle di notte”.


Franco Cologni

Franco Cologni, presidente della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte.

Un’eccellenza su misura: i giacimenti culturali del Made in Italy

Possiedo alcune azioni del Banco delle Primule Titoli profumati Una Dote di Asfodeli scriveva Emily Dickinson, ritenendo assai ricco e pregevole il suo tesoro di sogno e poesia. Un simile elenco di ricchezze evanescenti, pur se preziosissime, può ricordare da vicino le risorse del nostro Paese: niente petrolio, uranio o miniere d’oro. Ma giacimenti culturali vasti come l’oceano; tesori d’arte inestimabili; tradizioni e mestieri antichi di secoli che la contemporaneità non solo non ha cancellato, ma che ha anzi saputo rivitalizzare con la tecnologia e il design. La saggezza di un popolo nasce e si sviluppa in un determinato territorio, che diventa esso stesso un valore fondamentale: un valore da proteggere e da riscoprire, da considerare prezioso al pari dell’oro o del petrolio. Perché dal territorio nascono i saperi e i sapori, che sempre rappresentano l’identità di una comunità e che hanno la loro radice proprio in quel sapere latino che significa “avere sapore”, e quindi essere savio.

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Premessa al volume “Mestieri d’arte e Made in Italy. Giacimenti culturali da riscoprire”.

Un sapore che arricchisce e preserva; una saggezza che ha un “sapore” perché è umana, personale, tramandata non solo con le parole ma anche con i gesti, elevata a ricchezza condivisa e spendibile. Ed ecco la prima valenza che deriva del considerare il territorio come una ricchezza inestimabile: la scoperta che mettere in circolo la cultura, le arti e i mestieri non solo non depaupera nessuno, ma anzi crea dei circoli virtuosi di sapienze che fertilizzano tutti i campi.Dalla bottega di Benvenuto Cellini, artigianoartista per eccellenza, passavano indistintamente re e apprendisti, maestri e mercanti, pittori e musicisti: in un’epoca in cui spostarsi da una costa all’altra dell’Italia era già impresa impervia, la fama dei maestri d’arte italiana raggiungeva comunque le corti più distanti d’Europa e i maestri stessi (o il loro stile, o le loro opere, o la loro “sapienza”) circolavano fra i centri di potere, d’arte e di ricchezza più influenti del tempo. L’eredità di quei crogioli culturali è ancora viva e presente negli artigiani-artisti italiani: maestri che all’intelligenza della mano uniscono

la passione del cuore e la creatività della mente, e che pur in mezzo a mille difficoltà (non ultime quelle di ordine burocratico) rappresentano l’eccellenza del loro, e del nostro, territorio. I Benvenuto Cellini del XXI secolo devono avere tutte le caratteristiche dei maestri rinascimentali, ma anche possedere qualcosa in più: la padronanza della tecnologia oltre che della tecnica, che potenzia l’intelligenza della mano ma non la può mai sostituire, e il fiuto del rabdomante per scoprire le correnti sotterranee del gusto contemporaneo. Oggi il maestro d’arte deve infatti guardare verso le nuove forme d’espressione: il design, il web, la declinazione contemporanea delle antiche tecniche, la fotografia, la moda. Ma ora come allora diventare maestro d’arte richiede sacrificio, impegno e intelligenza, estro e creatività, abnegazione e soprattutto tempo: non si diventa maestri dopo una prova andata bene, né si smette di esserlo dopo un esperimento andato male. Il mondo contemporaneo offre poche chance: ma il mondo dei mestieri d’arte vive ancora di lunghi apprendistati e infinite prove,


che però devono sempre avere come fine l’eccellenza e l’esclusività. Il savoir-faire collegato alla grande tradizione, ma aperto alla creatività e all’innovazione: intorno a questi quattro punti cardinali si gioca quella calligrafia del gusto che deve costituire l’eccellenza della produzione italiana, quell’eccellenza su misura tipica dei maestri d’arte. La moda, il design, l’oreficeria e il legno, la carta e la fotografia, il vetro e i tessuti, la liuteria e tutti gli altri settori presentati in questa ricerca: da ognuno di essi si comprende come i nomi più illustri del Made in Italy abbiano alla base una logica di atelier o di bottega. Un saper-fare che non può essere riprodotto altrove, né facilmente esportato. Una cultura e un’umanità che si radicano su secoli di bellezza stratificata, e che chiedono ancora di essere liberati e di essere trasmessi, insegnati. In che modo? Stabilendo delle regole, rispettandole e mettendo in circolo la cultura. Favorendo la formazione ovvero l’educazione, con un’attenzione particolare all’istruzione professionale e all’apprendistato qualificato. Lavorando di più e meglio. Creando una rete ed entrando in connessione. Ma perché la connessione sia virtuosa, valida, percepita e accolta come un valore aggiunto, occorre in primo luogo avere qualcosa da esprimere e da trasmettere: in una parola, occorre sapere. Occorre “saper creare” e soprattutto “saper fare”. I lord inglesi che venivano in Italia per il “Gran Tour” restavano ammirati dal gusto

pittoresco e un po’ decadente delle rovine classiche, dei borghi antichi, dei palazzi nobiliari. Il “Gran Tour” di oggi ha un sapore diverso: non solo cattedrali e monumenti, ma anche nuovi maestri d’arte che producono oggetti meravigliosi, botteghe eccellenti dove riscoprire il sapere e il sapore, reti di relazioni che nonostante tutto riescono ancora a trasformare un mediocre Prodotto Interno Lordo in un eccellente Prodotto Interno Qualità, come propone la Fondazione Symbola. Perché non c’è vera crescita senza l’attenzione per la qualità, per il territorio, per le relazioni umane e la crescita personale. Rivitalizzare il Made in Italy significa dunque preservarne la legittimità, l’autenticità e l’originalità, e trasmetterne nel tempo la durevole bellezza e la straordinaria qualità. Permette di facilitare quelle connessioni di filiera che sono naturali e che vanno dall’atelier alla bottega, e dalla bottega all’azienda. Aiuta i giovani ad essere parte di un mondo, quello dei mestieri d’arte, che è eredità e vanto di ciascuno di noi: con la speranza che ci siano sempre più dottori, certo, ma anche sempre più lavoratori. Il modo italiano di produrre eccellenza continuerà a puntare sull’unione della serietà industriale con la singolarità artigianale, combinando in modo creativo produzione e creatività. Che oggi non possono e non debbono prescindere da una forte sensibilità etica, imprescindibile dall’estetica. Mai come oggi abbiamo bisogno di una creatività applicata al buon senso: ma la ca-

pacità di creare va nutrita di ricerca, fiducia, libertà, tecnica, cultura. Con questa ricerca vorremmo dare voce non solo alle realtà artigianali, agli atelier e ai settori produttivi che rendono il Made in Italy famoso e celebrato in tutto il mondo; vorremmo anche richiamare l’attenzione sul gran numero di mestieri d’arte legati all’eccellenza italiana, che tuttora offrono buone opportunità occupazionali, e su quelle realtà formative che rappresentano spesso un unicum nel panorama internazionale, per prestigio e coerenza didattica. Ma che vengono spesso ignorate o neglette da troppi giovani. Vorremmo riaccendere una luce di speranza e di passione in chi da sempre garantisce al nostro Paese un primato difficile da espugnare, grazie al lavoro delle proprie mani e alla genialità del proprio estro; e offrire un punto di vista certo incompleto, ma pur sempre panoramico su un mondo affascinante ma spesso nascosto, dai percorsi carsici eppure fondamentali anche per la nostra economia. Intorno al Made in Italy fioriscono tante formulazioni, ma la sostanza è una: la passione per un’eccellenza su misura o à la carte. Che nasce in distretti che non si possono esportare né riprodurre altrove, perché sono intimamente legati a un territorio e a una storia unica al mondo: e non mi riferisco al “particulare” che Guicciardini giustamente deprecava, ma a secoli di bellezza e arte. E di mestiere d’arte, naturalmente.

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